Pagamenti internazionali Il rischio di cambio: imparare a scegliere gli strumenti per gestirlo di Giampietro Garioni (*) e Jasmine Zahalka (**) L’approfondimento L’esposizione al rischio di cambio, come pure la sensibilità degli operatori nei confronti di tale problema, è aumentata nel corso degli anni, con l’incremento degli scambi commerciali internazionali, dei volumi trattati quotidianamente sul mercato dei cambi e della elevata volatilità nei rapporti di cambio tra le valute. Il rischio di cambio è diventato una realtà che ha cominciato a pesare sull’organizzazione, contabilità e profittabilità stessa di un’azienda. Occorre perciò imparare a scegliere gli strumenti per gestirlo al meglio. L’ampliamento degli scambi commerciali con l’estero, la graduale apertura dei mercati, la rimozione di barriere valutarie e protezionistiche e l’affermarsi di nuovi importanti mercati finanziari tra i paesi emergenti, in particolare in Asia, ha inciso significativamente sull’aumento delle negoziazioni in cambi trattati ogni giorno sui principali mercati finanziari. Il volume giornaliero di contrattazioni, secondo i dati della BIS (Triennal Survey of Foreign Exchange and Derivatives Market Activity 2010), è passato da 3,3 miliardi circa nel 2007 a quasi 4 miliardi nel 2010, con un incremento complessivo del 20%, nonostante la crisi. Un tale volume di transazioni presuppone una straordinaria mobilità dei capitali, che inevitabilmente comporta un aumento dell’instabilità dei rapporti di cambio. Per un’impresa, che detiene crediti e debiti in valuta estera, il rischio di cambio può essere identificato nella volatilità del valore della moneta estera contro la valuta nazionale. Per un’analisi accurata del grado di esposizione al ri- 42 n. 12/2011 schio, un’impresa deve tener conto dei crediti e dei debiti deducibili da uno studio del bilancio contabile, che possono essere di natura commerciale, finanziamenti o conti di deposito in valuta estera, titoli detenuti in portafoglio, partecipazioni in affiliate estere. Questi, tuttavia, non rappresentano la totalità dei dati da osservare per una gestione ottimale del rischio di cambio: anche il computo dei flussi futuri in valuta estera, non espressi dalle partite contabili, è fondamentale a tale scopo. Un’impresa, prima di decidere con quali strumenti coprire il rischio di cambio, deve valutare innanzitutto cosa considerare a rischio; una volta fatto ciò, deve stabilire quanto di tale rischio sia necessario coprire e quando sia il momento opportuno per la scelta delle coperture necessarie. Solo allora si possono prendere decisioni in merito a quali strumenti adottare per coprirsi dal rischio, pur sempre con le dovute cautele. È necessario infatti definire una politica aziendale in materia di gestione del rischio, un approccio globale che sia condiviso all’interno dell’impresa e che faciliti la funzione della direzione finanziaria, definendo con chiarezza gli obiettivi della gestione, le responsabilità decisionali e le modalità di controllo della gestione stessa. Il Netting Una buona comunicazione tra la direzione finanziaria e le diverse funzioni all’interno dell’impresa è alla base dell’analisi che determina la scelta della stra(*) Consulente di finanza e internazionalizzazione, professore a contratto di Finanza Aziendale Internazionale all’Università di Padova e docente del Master in Commercio Internazionale - MASCI (**) Consulente di finanza e internazionalizzazione Pagamenti internazionali tegia di copertura dal rischio di cambio da attuare. Gli elementi basilari da considerare per la gestione di tale rischio riguardano: - l’arco temporale cui far riferimento (in genere non più di 12 mesi); - i documenti necessari, contabili ed extra-contabili, che consentano di stimare i flussi futuri in valuta estera; - il grado di affidabilità di tali previsioni, distinguendo flussi certi da flussi stimati; - infine la scelta di seguire la tesoreria in modo globale o per singolo contratto, a seconda dell’attività dell’impresa, della tipologia di acquisti e vendite che realizza e della sua organizzazione. Queste accortezze sono essenziali, poiché talvolta permettono di valutare la possibilità di non ricorrere ad alcun tipo di strumento per la gestione del rischio in alcuni casi. La prima copertura dal rischio di cambio può infatti realizzarsi all’interno della tesoreria stessa attraverso la compensazione tra flussi in entrata e flussi in uscita per una stessa divisa e con scadenze simili, se non addirittura identiche. Questa pratica, che permette di eliminare il rischio di cambio senza ricorrere ad alcun strumento di copertura, proprio perché fa affidamento su previsioni future, non sempre è esente da problematiche: permane infatti l’eventualità che ritardi negli introiti in divisa estera possano compromettere la strategia di netting adottata. Una volta definita la situazione della tesoreria in valuta ed esaminata la possibilità di far ricorso al netting per alcune operazioni, resta tuttavia da decidere quale atteggiamento adottare nei confronti delle posizioni rimaste aperte. A questo proposito è consigliabile garantire un buon grado di copertura ai flussi futuri di cui si ha certezza; viceversa, per quanto concerne i flussi futuri stimati, è preferibile ricorrere a strumenti che accordino una copertura parziale o che permettano una certa flessibilità. I cambi a termine Il contratto di cambio a termine è il primo strumento utile per la copertura dal rischio di cambio. Funge inoltre da parametro di riferimento, rispetto al quale le alternative per la gestione del rischio di cambio devono essere confrontate. Questo strumento permette alle parti contraenti di stabilire il rapporto di cambio tra due valute, al qua- le ciascuna si obbliga a consegnare/ricevere una quantità determinata della valuta venduta/acquistata a una data futura prestabilita. Diversamente dalle contrattazioni in cambi spot, il cui regolamento è previsto il secondo giorno lavorativo dopo quello di contrattazione, la scadenza dei cambi a termine può variare dal terzo giorno lavorativo dopo quello di contrattazione fino a un giorno futuro stabilito dalle controparti, anche se normalmente i contratti di cambio a termine vengono negoziati con scadenze fino a un anno. Il cambio a termine della coppia di valute oggetto della negoziazione varia a seconda della data di scadenza futura. Poniamo, per esempio, che un esportatore negozi la vendita di un milione di dollari contro euro avvalendosi con scadenza a tre mesi: in tal caso il cambio a termine definisce il valore al quale egli si impegna a consegnare i dollari, e allo stesso tempo il controvalore in euro che gli verrà corrisposto dalla banca. Come in tutti i contratti, il cambio a termine è definito fin dalla fase di stipula, anche se la sua esecuzione ha luogo solo alla data di scadenza. È un contratto caratterizzato da un elevato grado di rigidità: prevede infatti obblighi ben definiti (la consegna della quantità di valuta predefinita alla data di scadenza) che i due contraenti devono rispettare, senza alcuna possibilità di modifica. Qualora infatti una delle parti si trovasse impossibilitata a eseguire i propri obblighi a scadenza (per esempio nel caso in cui l’esportatore non riceva il pagamento in valuta dall’estero entro i termini che aveva considerato), il regolamento del cambio a termine viene eseguito per differenza, ovvero la valuta venduta viene riacquistata a pronti, e la differenza fra i controvalori al cambio stipulato all’inizio e il cambio a pronti che si verifica effettivamente a scadenza, viene accreditata o addebitata all’operatore. Questa operazione ovviamente reintroduce il rischio di cambio che si voleva eliminare. Generalmente, imprese e banche fanno ricorso a due forme distinte di strumenti di copertura a termine dal rischio di cambio: il contratto utilizzato dalle prime, finalizzato a coprire una posizione aperta della propria tesoreria, viene definito «a termine secco» (outright); le banche, che devono in- n. 12/2011 43 Pagamenti internazionali vece garantire una posizione in cambi bilanciata, utilizzano un contratto di «riporto» (currency swap), che consiste in un contemporaneo acquisto a pronti e vendita a termine della medesima quantità di valuta contro vendita/acquisto dell’altra, il cui prezzo è dettato dalle differenti quotazioni a pronti e a termine. La quotazione a termine delle divise è correlata a quella a pronti, come illustrato nella seguente formula matematica. C (tx) = C(p) + s = C(p) + ( C(p) * d (t) * g) ) / 36.000 dove: C (tx) C (p) s d (t) g = = = = = cambio a termine divisa a/divisa b ad una determinata scadenza x; cambio a pronti divisa a/divisa b; spread fra cambio a pronti e cambio a termine alla scadenza x; differenziale fra il tasso della divisa b ed il tasso della divisa a alla scadenza x; durata in giorni di calendario del contratto. Questa formula semplificata permette di ottenere una quotazione media di cambio a termine, e in particolare dello spread sulla quotazione a pronti. Quest’ultimo rappresenta un premio a termine per la valuta a cui corrisponde, a scadenza, una maggiore quotazione sull’altra e viene accordato alla divisa che possiede il tasso d’interesse inferiore. Dunque, il valore di un cambio a termine viene definito da un’espressione matematica di equilibrio dei mercati e non ha nulla a che vedere con aspettative o giudizi di altra natura circa le tendenze future dei mercati dei cambi. Tra i vantaggi attribuibili a questo strumento di copertura del rischio di cambio, vi è indubbiamente la possibilità di determinare con sicurezza, e per controvalori precisi, i flussi futuri di valuta, accordando in un certo senso la possibilità di disinteressarsi al futuro andamento dei cambi, a meno che non si verifichino imprevisti che portino a una modifica dei flussi in termini di tempo e/o quantità. Questo strumento inoltre, pur accordando una completa copertura dal rischio di cambio, non impegna, se non in misura marginale, le linee di credito a disposizione dell’operatore: le controparti bancarie, quando stipulano un contratto di cambio a termine con un operatore, utilizzano infatti linee di credito d’impegno e d’ordine per una percentuale minima del controvalore nominale del contratto, tra il 5-10%. Un vantaggio del tutto legato all’attuale situazione dei mercati deriva dal fatto che, poiché tut- 44 n. 12/2011 te le principali valute hanno bassi tassi d’interesse, da oltre 3 anni si è verificato un notevole riallineamento fra cambi spot e cambi a termine. Ciò consente agli operatori di concentrarsi sull’andamento dei cambi spot, ed effettuare la copertura a termine quando si è raggiunto un certo livello di cambi a pronti. Il contratto di cambio a termine funge tuttavia solo da strumento di copertura del rischio, lasciando irrisolti i problemi legati al finanziamento e alla liquidità dell’operatore. Un altro limite di cui si è già discusso è la rigidità che lo contraddistingue, dovuta all’obbligo di consegna della valuta entro una data precisa che non lascia spazio a eventuali ritardi e imprevisti di altro genere, costringendo spesso a un regolamento per differenza. Si tratta infine di uno strumento cui si fa generalmente ricorso per importi contrattuali di una certa rilevanza, altrimenti si corre il rischio di vedersi applicate quotazioni più larghe e sfavorevoli. Finanziamenti in valuta Anche i finanziamenti in valuta estera possono talvolta essere utilizzati a copertura del rischio di cambio. Per quanto concerne i finanziamenti in valuta all’importazione, vi è da specificare che, a differenza di quelli all’esportazione, non sono uno strumento per coprire il rischio di cambio: il debitore si trova infatti in una situazione di rischio di cambio per tutta la durata del finanziamento. La necessità di finanziare una posizione debitoria verso Pagamenti internazionali l’estero, di procurare all’impresa i fondi necessari a finanziare le proprie attività (come nel caso si debba corrispondere un pagamento a un fornitore estero), sono le motivazioni che conducono alla nascita di un finanziamento all’importazione. Il problema dell’esposizione al rischio di cambio a cui il finanziamento all’importazione è soggetto, può essere risolto in due modi: - attraverso il netting, qualora il debitore, dall’esame di flussi di tesoreria, abbia la previsione che alla scadenza del finanziamento avrà luogo un flusso in entrata della stessa divisa (derivante da introiti relativi ad esportazioni) di volume equivalente a quello del finanziamento; oppure - acquistando a termine il relativo importo di valuta (capitale più interessi). Il finanziamento all’export in divisa estera risolve invece allo stesso tempo i problemi relativi all’esigenza di finanziamenti e di copertura dal rischio di cambio. Attraverso la vendita a pronti della valuta derivante dal finanziamento, l’operatore può fissare il cambio della divisa che verrà ad incassare in un secondo momento, conseguendo inoltre il risultato di avere a disposizione in conto corrente gli euro derivanti dalla negoziazione, di cui potrà disporre per finanziare la propria attività. Il rischio di cambio in questo tipo di operazione viene quindi eliminato al momento dell’accensione del finanziamento, che verrà poi estinto con l’introito proveniente dall’esportazione. I finanziamenti in valuta indubbiamente sono strumenti utili al fine di reperire i fondi necessari alla sovvenzione dell’attività d’impresa; tuttavia, come abbiamo detto, solo i finanziamenti all’export eliminano veramente il rischio di cambio a cui l’azienda si espone. Vi è infine una considerazione da fare circa il peso che questi hanno sulle linee di credito di una società: questi strumenti, affiancati per di più da altri mezzi di gestione del cambio (come nel caso del contratto di cambio a termine), hanno un peso maggiore sulle linee di credito dell’impresa. Le currency options Un altro strumento molto utile per la gestione del rischio di cambio, se adoperato con le dovute cautele, sono le opzioni in cambi (currency options). Si tratta di una tipologia di copertura molto più flessibile rispetto al cambio a termine, che accorda al compratore la facoltà di beneficiare di alcune opportunità legate all’andamento dei cambi e di modellare la copertura del rischio secondo le proprie esigenze. Le currency options, come tutti gli strumenti derivati, devono essere seguite con attenzione e richiedono un investimento in analisi, tempo e anche denaro. Acquistando una currency option, il compratore acquisisce il diritto (ma non l’obbligo) di acquistare (call option) o vendere (put option) un determinato ammontare di divisa estera contro un’altra ad un tasso di cambio fissato (strike price) entro o a una certa data futura, contro il pagamento di un premio al venditore del contratto. Il venditore di un’opzione, a fronte del premio che gli viene pagato dal compratore, assume l’obbligo di consegnare la valuta oggetto del contratto (in una call option) o di riceverla (in una put option), qualora il compratore decidesse di esercitare il proprio diritto. È intuibile già da questa breve introduzione che nelle currency options, il cui valore è da riferirsi a due valute, l’acquisto di una call option di una valuta corrisponde sempre all’acquisto di una put option per il controvalore dell’altra al cambio di esercizio. Si distinguono, per quanto concerne la scadenza, due tipologie di opzioni: quelle americane, che accordano al proprio compratore la possibilità di esercitare il proprio diritto in qualunque momento durante il periodo di vita del contratto; e quelle europee, in cui diritto dell’acquirente dell’opzione può essere esercitato solo a scadenza. Come è facile supporre, un’opzione di tipo americano è più costosa, ma anche più rara: infatti si presta male a funzioni di copertura del rischio di cambio. L’acquisto delle currency options può avvenire o presso Borse valori autorizzate, o, molto più spesso, sul mercato over the counter (OTC). Per quanto concerne importo dei contratti d’opzione, possiamo dire che nel tempo si è ridotto notevolmente il taglio minimo per le opzioni, soprattutto nel mercato OTC, fino a raggiungere cifre pari ai centomila dollari o euro. Le scadenze negoziate nelle currency options OTC sono a date fisse (un mese, tre mesi, sei mesi, un anno; raramente sono superiori a un anno). Generalmente, il regolamento di tali contratti viene effettuato per differenza. n. 12/2011 45 Pagamenti internazionali Gli elementi costitutivi di un’opzione sono dunque: - le valute oggetto dell’opzione e la posizione del compratore (per esempio l’acquisto di un call USD/put EUR); - la durata del contratto e il momento nel quale il diritto implicito nel contratto può essere esercitato. A questo proposito si distingue tra data d’esercizio (expiry date) e data di regolamento finale dell’opzione stessa (settlement date), poiché, come in tutti i contratti di cambio, il cambio spot di esercizio viene stabilito due giorni lavorativi prima dell’effettiva scadenza; - il capitale nozionale di riferimento, ovvero l’importo della valuta oggetto dell’acquisto del call o del put; - il prezzo di esercizio (strike price), dato dal tasso di cambio al quale il compratore esercita il suo diritto di acquistare o vendere la valuta di riferimento contro l’altra; - le modalità di definizione di tale prezzo d’esercizio che indicano: chi debba fornire la quotazione sulla base della quale viene effettuata la decisione se esercitare o meno l’opzione, a che ora e su che piazza di riferimento; - il costo del premio che l’acquirente dell’opzione paga al venditore del contratto al momento della stipula. In una formula alquanto semplificata, possiamo definire il prezzo di un’opzione come dipendente sostanzialmente da due fattori: Pt = f (V; T) Tavola n. 1 - Grafico del time value di un’opzione 46 n. 12/2011 Questa funzione descrive il prezzo (Pt) di un’opzione nel momento t come funzione del suo valore intrinseco (V) e del suo valore nel tempo (T), determinati in quel momento. Il valore intrinseco di un’opzione corrisponde al guadagno che il suo compratore ne ricaverebbe se potesse esercitare il suo diritto di esecuzione del contratto in quello stesso momento t, coincide cioè con la differenza tra strike price dell’opzione e valore del bene trattato, ovvero il cambio spot delle valute considerate nel nostro caso.Tale differenza può essere a vantaggio del compratore, oppure può verificarsi anche che l’opzione non abbia un valore intrinseco nel momento del suo acquisto (le opzioni con strike price out of the money non ne hanno). Il time value dell’opzione corrisponde alla possibilità, variabile nel tempo, che si realizzi un valore intrinseco per il compratore dal momento t fino alla scadenza dell’opzione. Il valore nel tempo di un’opzione è legato principalmente a fattori quali la durata del contratto e la volatilità delle divise oggetto di contrattazione. Con questo presupposto è facilmente intuibile che il time value sia al suo massimo valore al momento della stipula del contratto, per poi diminuire nel tempo. Questa diminuzione non avviene in modo graduale: infatti, fino a pochi giorni dalla scadenza, l’opzione continua a mantenere un certo valore nel tempo, che in seguito crolla rapidamente fino ad arrivare a zero alla scadenza del contratto. (Tavola n. 1) Tra i fattori che determinano il prezzo dell’opzione in fase di stipula, e quindi il premio da corrispondere al venditore del contratto, vi sono dunque: il prezzo d’esercizio che, in base alle esigenze del compratore, può distinguersi in “at the money”, “in the money” e “out of the money”, rispettivamente a seconda che sia in linea con le quotazioni a termine, oppure più o meno favorevole; i tassi d’interesse, che determinano la differenza tra cambio spot e cambio forward tra le due valute; la durata del contratto d’opzione (maggiore la durata, maggiore il premio da corrispondere al venditore); la tipologia d’opzione che si acquista, americana o europea; e la volatilità del rapporto di cambio tra le due valute oggetto dell’opzione. Per la valutazione dei rischi e delle opportunità delle opzioni, è Pagamenti internazionali necessario innanzitutto distinguere tra posizione del compratore e del venditore: il compratore (di una call o di un put), a fronte del pagamento di un premio, acquisisce la facoltà di esercitare il suo diritto a scadenza (ritiro o consegna della valuta oggetto del contratto, allo strike price predeterminato); viceversa, il venditore, in cambio del premio che riceve, si impegna a sottostare all’esercizio del diritto da parte del compratore. La distinta posizione del compratore e del venditore di un’opzione si riflette anche nella valutazione del rischio che le banche effettuano nei confronti della controparte: la banca che vende un’opzione non ha alcun rischio nei confronti del compratore, in quanto quest’ultimo esaurisce i propri obblighi con il pagamento del premio a suo carico; viceversa, quando è la banca a comprare un’opzione, sussiste il rischio che il venditore, alla scadenza del contratto d’opzione, non adempia agli obblighi assunti. In quest’ultimo caso la banca acquirente di un contratto d’opzione si tutela iscrivendo un rischio nei confronti del venditore di opzioni, per una percentuale del valore nozionale del contratto, corrispondente in genere almeno al 10%. Il costo di un’opzione semplice rispetto a una copertura a termine è ovviamente più elevato, poiché la prima accorda al compratore maggiori facoltà di guadagno e una certa flessibilità come strumento di copertura di cui invece il contratto di cambio a termine non dispone. Nella copertura a termine le parti sottostanno all’obbligo di consegna dell’ammontare di valuta alla data e al cambio prestabiliti, mentre in un’opzione quest’obbligo è sostituito da una facoltà d’esercizio di tale diritto d’esecuzione. Sulle strategie d’opzioni si può inoltre intervenire durante tutto l’arco di tempo della loro vita, modificandone la composizione delle coperture, lo strike price o cercando di guadagnare dei premi. Sono inoltre l’ideale per la copertura dal rischio di cambio di importi non facilmente approssimabili. Nel caso in cui un esportatore acquisti un’opzione put di dollari contro euro, rispetto alla semplice copertura a termine, con l’intento di coprirsi dal rischio di cambio fissando un valore minimo di vendita (strike price), paradossalmente spera che in realtà si verifichi il fenomeno opposto (ovvero che l’euro si indebolisca ed egli ricavi più dollari dalla vendita sul mercato a pronti, senza esercitare l’opzione). Sono quindi strumenti di copertura che accordano, a chi le acquista, la possibilità di beneficiare di evoluzioni favorevoli dei cambi. Non sono tuttavia strumenti esenti da svantaggi: il costo di tali contratti resta comunque elevato, come pure l’incertezza riguardo a quale sarà il cambio a scadenza; la gestione di tali strumenti inoltre, come già si è detto, è decisamente più complessa, sia dal punto di vista della tesoreria, sia dal punto di vista contabile e amministrativo, richiedendo un impiego costante di tempo e professionalità per il loro monitoraggio. Fiscalità finanziaria Per approfondimenti, si rimanda a: R.Dolce-R.Parisotto, «Crediti e debiti in valuta estera per i soggetti non IAS adopter», in questa Rivista, a pag. 35. n. 12/2011 47