Pensare di nuovo la nazione italiana

Pensare di nuovo
la nazione italiana
di Salvatore Abbruzzese
Docente di Sociologia
della religione,
Università di Trento
Da diverso tempo la percezione dell’Italia rilevabile attraverso i sondaggi non è più
solo quella di una realtà politico-istituzionale, cioè di un sistema specifico di rappresentanza degli interessi della nazione dinanzi ai diversi consessi internazionali.
La percezione emergente non sembra essere nemmeno quella della semplice rappresentazione di un’identità trascorsa, opportunamente richiamata alla luce non
appena ci si imbatte in qualche pagina di storia. Né ancora, sembra essere riducibile a quella di un semplice luogo della memoria condivisa, un punto di riferimento
per situare persone ed eventi.
Il recupero dei legami significativi
Da diverso tempo l’idea di nazione sembra assumere innanzitutto una forma immediatamente reattiva. L’importanza dell’identità nazionale appare la risposta a un
senso di eclissi identitaria, la reazione a un giudizio ingeneroso di irrilevanza culturale, troppo spesso profuso con pervicace e colpevole leggerezza, inflitto al “bel
Paese“ dopo avere già convenuto su altri, altrettanto affrettati, giudizi sull’irrilevanza economica e su quella politica.
Le ragioni di una simile reazione vanno iscritte al punto di intersezione tra la consapevolezza della qualità raggiunta nei processi produttivi, la percezione di un’insufficiente valutazione in ambito internazionale – e in particolare, europeo – e i
risvolti culturali di una immigrazione di massa, dove l’altro sociale pone di fronte
alla necessità di definire l’io sociale che gli è di fronte.
L’immagine e la rappresentazione dell’Italia si configura così come il risultato di alcuni processi sociali: non sempre voluti, non necessariamente positivi, ma che comunque ci sono e sembrano operanti. Di fatto la percezione della nazione è sede di
un legame identitario e affettivo in crescita.
Identità nazionale come legame sociale
Ma il recupero del legame con la patria, quindi l’identità nazionale che vi si ricollega, non è che uno dei recuperi di legame ai quali è dato assistere. La rivalorizzazione dell’identità nazionale si colloca all’interno di un’attenzione più generale ai
legami in funzione identitaria, rientrando così in quella categoria di rivisitazione
delle “legature” che Ralph Dahrendorf ha indicato come la posta in gioco principale
della società post-moderna1.
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Se fin dalla sua fondazione la società moderna ha legittimato la propria ragion
d’essere attraverso la crescente rete di opportunità che la libertà economica, politica e culturale hanno finito con l’aprire, esiste un punto di svolta a partire dal
quale questa logica si rivela insufficiente. Oltre un certo limite di opportunità c’è
bisogno di criteri di scelta, cioè di vincoli che consentano di muoversi e, senza i
quali, si può vagare all’infinito tra una scelta e l’altra. Questi vincoli possono essere
sia di ordine materiale, sia di ordine morale. Possono essere costituiti, in negativo,
dagli ostacoli di ordine materiale o fisico.
Ma in positivo possono essere dati dagli affetti, dai legami affinitari, dalla fedeltà a
un luogo, un gruppo, una persona. Così come possono essere dati da una rete di
principi e di valori, condivisi e convissuti. All’interno del concetto di “legature”
rientrano pertanto i legami di vario ordine: affettivo, identitario, culturale. I legami
che aiutano il singolo a definirsi e a situarsi come soggetto in relazione, diventano
comunque indispensabili e si rendono tanto più necessari quanto più aumentano
verticalmente e costantemente le opzioni tra le quali scegliere.
Questi legami, che svolgendo soprattutto una funzione identitaria, servono al soggetto per definirsi socialmente, quindi geograficamente, storicamente e culturalmente, hanno nella nazione, così come nelle realtà territoriali soggettivamente
significative e nei valori e principi condivisi, altrettanti ancoraggi a partire dai quali
il soggetto, identificando se stesso, può operare delle scelte significative, muovendosi pertanto all’interno della rete di opportunità fornita dalla società avanzata.
Di fatto, in modo parallelo al declino dell’universo di sviluppo e all’ottimismo economico degli anni Sessanta e Settanta, si è assistito a una proliferazione di legami
socialmente significativi. La più ampia ricerca di una migliore qualità della vita è
rapidamente passata dalla scoperta dell’ambiente a quella del territorio, dall’attenzione alle culture “altre” a quella delle identità locali, dall’esigenza di uno stile di
vita “più semplice e naturale” al recupero dei legami affinitari2.
Il successo della Lega e, più in generale, l’affermazione delle liste civiche in ambito
locale, possono essere ricondotti a una tale dimensione e sono tra gli indicatori più
chiari di questa tendenza. In particolare l’attivarsi delle diverse forme di volontariato e di associazionismo trae molto spesso la propria linfa proprio da una riattivazione delle reti al livello locale e la stessa nozione sociologica di “capitale sociale”
si alimenta costantemente proprio da una tale relazione. È all’interno di questa
cornice cognitiva che va rintracciata la crescente attenzione alla nazione italiana e
il correlato aumento dell’orgoglio nazionale.
La non sovrapposizione dei legami identitari
Parlare di identità nazionale come di un legame significativo grazie al quale il soggetto, se lo riconosce come valido, può avere un criterio di riferimento per le proprie scelte, presenta una nuova lettura del problema nazionale. Un’identità
nazionale come cornice identitaria e quindi come legame soggettivamente significativo è qualcosa di sostanzialmente diverso da quella derivante da una cornice
giuridico-politica.
Sotto quest’aspetto, l’idea di nazione che si va profilando – che è poi quella che
l’indagine sociologica consente di accertare – è significativamente diversa da
quella storicamente accreditata nel corso della formazione dello Stato unitario, indica un’appartenenza culturale prima ancora di definire una cornice istituzionale.
Le appartenenze identitarie a riferimento territoriale, al contrario di quelle giuridico-politiche, non funzionano per esclusione ma per il suo esatto contrario. Di
fatto queste non si escludono, ma coesistono tra loro, ciascuna con la propria area
di pertinenza. Un’appartenenza ha i suoi limiti naturali, tende a scomparire là dove
non è più avvertita in quanto soppiantata da un’altra, che diventa più vicina e soggettivamente più significativa.
Questo valore è
costituito dalla
dignità della
persona, intesa
come il
riconoscimento del
singolo in quanto
portatore di valori.
Si può parlare di una vera e propria scala di appartenenze con le quali il soggetto si
pone in relazione in conseguenza dell’ambiente specifico nel quale opera. L’appartenenza nazionale ha poco senso sul territorio della propria provincia o del proprio
comune, non perché dimenticata, ma perché scarsamente utile per definirsi. In pari
modo qualsiasi appartenenza locale sbiadisce e tende a scolorire una volta che il
soggetto entra in relazione con i propri legami familiari, con una rete specifica di
affetti e di legami che fa emergere un’identità e un’appartenenza pertinenti a un
altro spazio, che non è più quello dell’identità locale bensì quello dei propri legami
familiari.
Al posto di una gerarchia di appartenenze esistono quindi degli spazi territoriali –
ma che finiscono anche per essere degli spazi cognitivi e percettivi – che operano
in ambiti diversi. Ciò che li unisce è il soggetto stesso che, in ogni momento, si avvale di legami specifici e di appartenenze particolari. Questi legami identitari, per
quanto indipendenti l’un l’altro, si collegano in virtù di un valore comune necessario alla loro coesistenza. Questo valore è costituito dalla dignità della persona, intesa come il riconoscimento del singolo in quanto portatore di valori3. Il soggetto,
in altri termini, si percepisce come riconosciuto nella sua dignità solamente a partire dal momento che gli sono riconosciuti i valori che ha sottoscritto e dei quali si
sente portatore.
La possibilità di avere una pluralità di appartenenze (familiare, locale nazionale,
culturale, religiosa) è strettamente dipendente dalla capacità di ciascuna di queste
di riconoscere il soggetto nella sua dignità come persona, quindi nei valori specifici
che gli sono cari.
Ma poiché gran parte di questi valori si riassumono proprio nei legami, affettivi e
identitari al tempo stesso, che il soggetto intrattiene con ogni singola appartenenza – che lui vive come significativa, perché situata ogni volta in un’area specifica e particolare – ogni singola appartenenza è obbligata a prodursi nel proprio
ambito e a non pretendere di valere anche al di là dei propri confini.
Di fatto, un’appartenenza municipale che pretenda di sconfinare nei legami interni
alla famiglia e di essere prioritaria, non può essere accettata che per un periodo limitato, ma non può valere come permanente senza ledere, in modo vistoso, l’autonomia e la dignità dei singoli realizzando una sorta di “regime culturale”. Allo
stesso modo, un’appartenenza nazionale non può ledere le reti dei legami e delle
appartenenze locali senza provocare, in qualche modo, delle riduzioni e delle eliminazioni identitarie.
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Si viene così a creare una forma di sussidiarietà implicita, dove l’appartenenza più
ampia – quella del legame identitario con la patria – non riassume affatto le altre,
ma acquista peso e significato solamente a partire dal momento in cui le altre appartenenze, come possono essere quella familiare e quella locale, tendono a sbiadire, a rendersi meno presenti e operative a partire dal momento in cui il soggetto
opera in un ambiente più vasto. Proprio per questo può riconoscerle senza esserne,
in qualche modo limitata.
Non solo ma, proprio a partire da questo, l’identità nazionale può essere essa stessa
tutelata dal momento che anch’essa è riconosciuta come legittima dalle altre e tutelata nella propria integrità. È in questa logica della sussidiarietà che ogni identità
acquisisce la propria autonomia, così come riscuote il massimo dei benefici in
quanto è cautelata da una rete di identità che la riconoscono come parte dei legami che il soggetto vede come significativi.
Questo primato della sussidiarietà implicita, individuando e riconoscendo ogni singola identità come cornice culturale nella quale il soggetto si definisce, pone le
premesse affinché sia possibile prospettare un’assenza di conflitto, e quindi una ricomposizione tra le singole identità. La nazione italiana come legame culturale si
separa così dalla sua base meramente giuridica: una volta pensata come legame, si
correla a tutte le altre forme di legame possibili.
Legami socialmente significativi
Le identità culturali non sono l’esito di individuazioni giuridiche, ma le precedono.
Esse sono il risultato di una vita locale che si è coinvolta storicamente, impegnandosi in azioni specifiche. Non si può parlare di identità locale se questa non si
esprime attraverso una storia nella quale si è andata progressivamente definendo
alla luce di iniziative specifiche, quasi sempre di tipo politico. È molto difficile parlare di identità nazionale, nel senso di legame soggettivamente significativo,
quando non c’è stato un percorso storico, un’emergenza, un fatto che ne abbia
consentito l’aggregazione della comunità che la esprime.
Ciò vale per tutte le forme di legame identitario. Difficile ad esempio parlare di
identità familiare là dove la famiglia non ha mai preso coscienza di se stessa e non
si è mai attivata in quanto tale. Difficile parlare di identità di comune o di valle,
quando questa non si è mai animata intorno a un’idea, né si è mai riconosciuta intorno a un principio, né si è mai attivata per elaborarlo e vederselo riconoscere. In
altri termini la dimensione identitaria di una collettività, come quella di un gruppo,
ha a che fare con la storia delle sue azioni, con ciò che questa collettività, o questo
gruppo, hanno concretamente svolto.
Se la dimensione giuridica garantisce l’individuazione delle singole soggettività
come portatrici di diritti, la dimensione culturale non riconosce la componente
identitaria se non a partire dal momento in cui questa è soggettivamente significativa. E questa non lo è mai a priori, ma solo in conseguenza di un suo attivarsi all’interno dell’azione sociale, come riferimento dotato di senso, come legame
condiviso.
Un tale processo di riattivazione e di riconoscimento dei legami identitari si rea-
lizza concretamente, sul piano dei processi storici; non esiste a priori. Ogni legame
socialmente significativo si produce in forme concrete che sono in relazione con il
contesto nuovo nel quale si trova a operare. La rete di “legature” descritta da
Dahrendorf si sostanzia di volta in volta, nella concretezza delle situazioni storicamente definite e socialmente vissute.
L’attuale quadro nazionale e quello internazionale pongono l’esigenza di pensare la
nazione italiana in una posizione inedita rispetto a quelle occupate in precedenza.
Le nazioni non costituiscono più le uniche identità di riferimento: al di sopra e al di
sotto di queste esistono delle realtà con diversi livelli di condivisione. La dimensione europea e il legame identitario con l’Europa costituiscono un altro legame in
crescita e c’è da prevedere una loro crescente visibilità nei prossimi anni.
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All’opposto, sul piano delle appartenenze regionali e comunali, anche le identità locali si rivelano fonti di appartenenza direttamente collegate alle dinamiche della
società contemporanea. Infatti queste non si configurano più come altrettanti
snodi autoreferenziali, in qualche modo indifferenti a tutto ciò che capita al loro
esterno: una tale concezione, puramente “residuale” dell’identità locale, rischia di
passare accanto a fenomeni di rilevanza strategica nella definizione della società
contemporanea.
La società post-industriale e, in particolare, i processi di globalizzazione che la caratterizzano, hanno creato e stanno contribuendo a creare una nuova geografia
economica. All’interno di questa sono venute meno le polarizzazioni tradizionali tra
centro e periferia. La possibilità, quanto meno potenziale, per ogni polo produttivo
di poter comunicare direttamente con il proprio referente, senza passare per la mediazione degli snodi centrali, produce immancabilmente delle reti autonome dai
centri, capaci di collegarsi tra di loro.
Di fatto è questo ciò che si è prodotto già a partire dagli anni Settanta e Ottanta,
quando le singole aree di vitalità hanno espresso una capacità produttiva autonoma, realizzando rapporti diretti con il mercato internazionale e ridisegnando la
mappa della geografia economica nazionale. L’identità culturale è spesso risultata
una scoperta sociale dopo che la capacità di mercato l’aveva rivelata sul piano produttivo.
Di fatto, dietro le diverse aree di vitalità, sono state ben presto rintracciate altrettante reti di valori locali, capaci di assemblare e vivificare una risorsa sociale altrimenti inoperante. Per tale strada l’identità locale non è si è affatto presentata
come una semplice cornice istituzionale, ma ha rivelato quel capitale di legami e di
valutazioni della realtà, definito spesso con il termine di “capitale sociale” alla luce
del quale ogni singola collettività si è rivelata sede di un valore aggiunto imprescindibile e mai annullabile.
Il pensare oggi la nazione italiana come legame di significato capace di restituire
un’appartenenza identitaria a quanti la riconoscono, non può non prendere atto di
questa evidenza sociale, rappresentata da identità locali che non sono affatto una
semplice eredità culturale, ma costituiscono il centro di attivazione di energie e di
risorse sempre più vitali. Pensare oggi la nazione trova la propria configurazione
realistica proprio a partire dalla sua capacità di rendersi elemento di rinforzo di
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tutti gli altri legami significativi che esistono nelle diverse identità locali e che
sono alla base dello sviluppo e del legame sociale all’interno di ciascuna di queste.
La nazione è osservabile, d’altra parte, proprio come il luogo di sedimentazione
delle diverse identità locali, dei diversi ancoraggi territoriali alla luce dei quali i
soggetti si definiscono.
La nazione può essere pensata e realisticamente praticata come il prodotto finale e
la casa comune nella quale le singole identità locali possono riconoscersi, a partire
dal momento in cui sono esse stesse riconosciute.
Una simile operazione può avere senso solo se ogni dimensione riconosce la specificità dei propri ancoraggi ed è in condizione di vedere i vantaggi che ottiene riconoscendo le altre specificità che si producono all’esterno di essa. Da un lato le
singole collettività locali debbono pensarsi come luogo di elaborazione di quelle
reti di rapporti significativi e consapevoli in conseguenza dei quali il capitale sociale può dare i suoi migliori risultati, mentre, al contrario, è proprio la loro disgregazione e la loro irriconoscibilità a segnarne la crisi.
Dall’altro, la dimensione nazionale deve pensarsi come prodotto collettivo delle
identità locali, capace di vedere in queste il luogo di produzione permanente dei
valori culturali, delle economie locali e dei capitali sociali che la alimentano e delle
quali è beneficiario.
Da un lato, le comunità locali devono poter cogliere nella dimensione nazionale il
luogo nel quale si afferma un’identità di tipo diverso, che non entra in conflitto con
la propria ma, al contrario, si configura come una risorsa.
Il beneficio di una lingua e di una tradizione culturale comuni, quello di principi e
valori costitutivi della persona radicati e condivisi, quello di leggi e regole comuni,
controllate ed emanate da un Parlamento che si è contribuito a eleggere, consente
a ogni singola collettività una potenzialità straordinaria, in quanto le mette a disposizione un allargamento del mondo alla propria portata, abbattendo tutti gli
ostacoli a questa esterni e facilitando enormemente tutti gli scambi che, di fatto, la
potenziano e la arricchiscono.
Dall’altro lato, la dimensione nazionale deve percorrere costantemente il cammino
a ritroso, che dagli snodi centrali nei quali si definisce e si riconosce, la conducono
alle dimensioni regionali, alle reti culturali, alle tradizioni religiose che la alimentano e senza le quali perderebbe ogni consistenza.
Conclusioni
Certamente nulla garantisce che ciò si verifichi. Il fatto che, nella configurazione
attuale, il primato dei legami identitari finisca con il porre la nazione italiana –
quindi il legame nazionale – in una forma nuova, non esprimibile in chiave meramente giuridica, non vuol dire affatto che, necessariamente e inevitabilmente, la
sussidiarietà implicita tra le singole appartenenze arrivi a riconoscersi e a realizzarsi. Il punto decisivo sta nella dignità riconosciuta alla persona.
Solo a partire dal momento nel quale il soggetto è riconosciuto portatore di valori
(e le appartenenze identitarie sono tra questi), il riconoscimento delle appartenenze
diviene costitutivo e quindi ineliminabile. Solo al momento in cui ogni appartenenza riconosce l’autonomia del soggetto e quindi l’irriducibilità dei valori che lo
costituiscono, allora diventa possibile anche pensare la nazione italiana come un
valore aggiunto, un’appartenenza necessaria, che ricongiunge e completa un patrimonio di valori sempre più importante, sempre più indispensabile.
1
R. Dahrendorf, La libertà che cambia, Laterza, Bari-Roma 1994.
2
R. Inglehart, The silent revolution: changing values and political styles among western publics, trad. it. La rivoluzione silenziosa,
Rizzoli, Milano 1983.
3
Un tale aspetto è stato sottolineato da R. Boudon in Etudes sur les sociologues classiques, II, PUF, Paris 2000, cap. 7.
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