L’onda
assassina
di Mario Veronesi
U
Il mostruoso fenomeno
dell’onda anomala che
periodicamente miete
vittime fra le
popolazioni costiere
n’improvvisa
scossa sismica o
uno sprofondamento del fondo del
mare provocano una
spinta verso l’alto o
verso il basso che crea
una violenta fonte di
energia da cui si irradiano oscillazioni della
superficie. Queste onde
da noi genericamente
definite maremoto, in Giappone ma anche nel resto del mondo, altrettanto genericamente vengono chiamate tsunami, parola traducibile come onda contro il porto.
Il maremoto è dunque un moto ondoso del mare,
originato da un terremoto sottomarino o da altri
eventi che comportino uno spostamento improvviso di una grande massa d’acqua quali, per esempio, una frana, un’eruzione vulcanica sottomarina
o un impatto meteoritico.
La forza distruttiva di un maremoto è quindi proporzionale al volume d’acqua sollevato; dunque
un terremoto in pieno oceano può essere estremamente pericoloso per le zone costiere se è in grado
di sollevare e spostare l’acqua presente al di sopra
del fondale anche di pochi centimetri. Per questo
motivo, a parità di magnitudo, i terremoti sottomarini che si originano in acque profonde, come
nei pressi di fosse oceaniche, generano tsunami
più devastanti rispetto ai sismi che si originano
sotto superfici meno profonde.
La velocità di propagazione dell’onda anomala in
alto oceano è molto elevata (dell’ordine delle centinaia di chilometri orari), con lunghezze d’onda
di centinaia di chilometri ed altezze poco
osservabili se non con
particolari e apposite
strumentazioni.
Una volta generata, l’energia dell’onda di maremoto è costante e
funzione della sua altezza e velocità. Come
avviene per la comune
propagazione ondosa
nel mare, quando l’onda si avvicina alla costa incontra un fondale marino sempre più basso e rallenta il suo fronte a causa dell’attrito col fondo
oceanico diventando così più corta e, per il principio di conservazione dell’energia, la diminuzione della profondità del fondale su cui si sta propagando causa una trasformazione da energia cinetica ad energia potenziale, con sollevamento o crescita in altezza/ampiezza dell’onda.
Nessuna barriera portuale è in grado di contrastare un’onda di questo tipo. Questo fenomeno tipicamente giapponese ha ispirato il grande Katsushika Hokusai (1760-1849), l’artista giapponese più
conosciuto nel mondo, che ha fatto di una gigantesca onda il simbolo della sua bravura.
Questi eventi si verificano in modo particolare nelle
aree occupate da isole di recente formazione e lungo
le coste vulcaniche, in modo particolare nel Pacifico
orientale, nelle Indie orientali, lungo la costa occidentale dell’America meridionale e in Alaska, ma sono avvenuti anche in Mediterraneo. Nondimeno risentono di questi fenomeni anche le regioni separate dalle coste sopracitate da tratti di mare aperto e
senza ostacoli come le isole Hawaii e la California.
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“La grande onda di Kanagawa”, stampa su carta del maestro Katsushika
Hokusai (1760 - 1849), una delle più
celebri opere che riproducano la possanza di un’onda anomala; in apertura un’immagine amatoriale mostra il
momento in cui la grande onda di
tsunami che colpì il sud-est asiatico
nel dicembre del 2004 si infrange sulla battigia di Pukhett, in Thailandia
La prima descrizione di un fenomeno del genere
storicamente accertato la riporta lo storico greco
Tucidide nel 426 a.C. nella sua opera sulla Guerra
del Peloponneso, parlando di un maremoto che
ipotizzò fosse stato innescato da un terremoto
sottomarino.
Nel 365 d.C. un maremoto che devastò Alessandria d’Egitto fu descritto dallo storico romano
Ammiano Marcellino, che stimò il numero delle
vittime attorno a 50.000.
Il 4 febbraio 1169 un altro maremoto fece 20.000
morti a Catania, mentre il 5 maggio 1202 uno
scorrimento nella zona delle faglie del Mediterraneo orientale devastò Grecia, Turchia, Egitto, Sicilia, Siria e Palestina.
Il Faro di Alessandria, costruito in età ellenistica,
venne abbattuto dalle onde generate da un maremoto al largo di Creta, nel 1309. Venendo ad un
epoca abbastanza recente, varie fonti riferiscono
di un evento del genere nella valle di Noto, nel
1693, quando una gigantesca ondata devastò le
coste orientali della Sicilia dopo che il mare si era
dapprima ritirato di centinaia di metri.
Da ricordare anche il maremoto che paradossalmente spense l’incendio provocato dal terremoto di
Lisbona del 1 novembre 1755, provocando però la
morte di almeno 55.000 persone nella capitale lusitana e di almeno altre 10.000 in Marocco; la stessa
onda attraversò poi l’Atlantico esaurendosi sulle coste americane.
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In Calabria e in Sicilia ci fu
un maremoto nel 1783 che
fece 1.500 vittime a Reggio
Calabria e 630 a Messina. Lo
tsunami che seguì l’eruzione
del vulcano Krakatoa nello
stretto della Sonda il 27 agosto 1883, aveva un’altezza
d’onda di oltre 35 metri, e le
vittime raggiunsero la cifra di
36.000, nonostante la stessa
isola fosse praticamente disabitata, causando anche onde che colpirono le coste di Giava e Sumatra.
Il terremoto di Messina del 28 dicembre 1908 innescò un maremoto di impressionante violenza che
si riversò sulle zone costiere di tutto lo Stretto con
ondate devastanti stimate, a seconda delle località
della costa orientale della Sicilia, da 6 a 12 metri di
altezza, provocando migliaia di vittime e aggravando il bilancio del contemporaneo terremoto.
Il maremoto con la massima altezza raggiunta da
uno tsunami si è verificato in Alaska il 9 luglio del
1958, nella baia chiamata Lituya Bay: l’onda raggiunse l’altezza di 525 metri, e sarebbe stata in
grado di ricoprire il Taipei 101 di Taiwan, uno degli edifici più alti del mondo.
Tuttavia quello di Lituya Bay, classificabile come
mega tsunami, non fu causato da un terremoto
sottomarino, bensì da un gigantesco smottamento di terra: un’intera montagna era caduta in mare sollevando l’enorme massa d’acqua.
Gli tsunami scatenano onde di enorme lunghezza,
come quello delle isole Aleutine del 1° aprile
1945, che superò gli oltre 150 chilometri, viaggiando ad una velocità di 800 chilometri orari.
Nella profondità marina l’altezza dell’onda non
superava il mezzo metro, ma passando sopra la
piattaforma delle Hawaii le onde aumentarono in
altezza, raggiungendo i 16 metri e penetrando
nella terraferma come un muro d’acqua che causò
la morte di oltre 150 persone.
Il 16 ottobre del 1979 sulla costa mediterranea della
Francia era una piacevole giornata autunnale, quando alle 13.55 la spiaggia si allargò mentre il livello
dell’acqua si abbassò in modo anomalo fino a far
emergere la base delle dighe del porto della Salis.
Dopo essersi dolcemente ritirato per circa 250 metri dalla riva, il mare risalì senza onde per posarsi
al di sopra della strada, trascinando via molte imbarcazioni, poi rapido e silenzioso si ritirò, per ritornare immediatamente a scatenarsi causando
morte e distruzione in quell’incantevole zona della Costa Azzurra denominata “Baia degli Angeli”
tra Nizza ed Antibes.
Il maremoto si verificò per il crollo di una fiancata del canyon sottomarino scavato dal fiume Var
negli alti fondali, causata da lavori per la costruzione di una nuova zona portuale. Uno tsunami
artificiale provocato dall’uomo, dalla sua superficialità e impreparazione nel valutare attentamente le situazioni ambientali, che provocò morte, distruzione, sfacelo geologico e biologico, in una
zona litoranea di notevole bellezza. Oggi, dopo
oltre 30 anni, tutto è stato dimenticato, Nizza si
presenta ai turisti con il suo porto e aeroporto
funzionanti, ed i comuni colpiti allora dall’onda
anomala, hanno ripreso da tempo quel ruolo primario che li ha sempre distinti nel turismo internazionale.
Il 12 luglio 1993, a Okushiri, si è abbattuto uno
tsunami di particolare violenza, con onde alte oltre
30 metri. Le vittime furono 239 e sarebbero state
molte di più se non fossero state prese tutte quelle
precauzioni che ormai fanno parte del bagaglio di
conoscenze della protezione civile giapponese.
Il 26 dicembre 2004, uno tsunami colpì il sud-est
dell’Asia e causò almeno 230.000 morti e numerosi feriti.
Il maremoto che circa 8.000 anni fa devastò il Mediterraneo interessando le coste della Sicilia orientale, l’Italia meridionale, l’Albania, la Grecia, il
nord Africa dalla Tunisia all’Egitto, spingendosi sino alle coste del vicino oriente dalla Palestina, alla Siria ed al Libano fu invece un evento abbastanza particolare.
La causa fu lo sprofondamento in mare di una
massa di 35 chilometri cubi di materiale staccatosi
dall’Etna, in seguito ad un sisma di eccezionale magnitudo. L’onda iniziale che si generò era alta più
di 50 metri e raggiunse le propaggini estreme del
Mediterraneo orientale in 3 o 4 ore, viaggiando alla
velocità di diverse centinaia di chilometri orari.
Tale sconvolgimento determinò la scomparsa im-
Questo splendido mosaico bizantino conservato al museo di
Qasr, in Libia, mostra il Faro di Alessandria, una delle meraviglie del mondo, che venne distrutto dall’onda anomala causata
dal maremoto che nel 1309 d.C. devastò Alessandria d’Egitto
provvisa di numerosi insediamenti costieri di epoca neolitica, come è stato dimostrato dai ritrovamenti archeologici sulle coste di Israele. Lo studio
che ha portato alla dimostrazione di questo evento è stato condotto nel 2006, dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, con finanziamento del Dipartimento di Protezione Civile.
A causa del possibile effetto a lunga distanza dello
tsunami, è stato istituito nel Pacifico, un servizio
di sorveglianza, con lo scopo d’allertare in modo
tempestivo gli abitanti delle coste. Grazie a questo
sistema, nel 1957 uno tsunami causò notevoli
danni materiali alle isole Hawaii, ma non provocò
vittime. Un ulteriore maremoto sconvolse le stesse isole in seguito al terribile sisma che, il 22 maggio 1960 funestò il Cile.
Al largo della costa di Hokkaido, in Giappone, in
conseguenza di un terremoto, il 12 luglio 1993,
202 persone sulla piccola isola di Okushiri persero
la vita, e altre centinaia furono ferite o disperse. Il
17 luglio 2006 uno tsunami colpì le coste di Giava, in Indonesia: 547 persone morirono e 233 rimasero ferite.
Ricordiamo ancora il già citato, disastroso, tsunami del 26 dicembre 2004 e non solo per le numerose vittime anche europee che si trovavano lì in
vacanza, ma perché abbiamo avuto modo di vede-
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In una foto da lastra colorata dell’epoca, l’agghiacciante aspetto di Piazza Duomo, a Messina,
dove dopo la duplice mazzata del terremoto e
dello tsunami del 28 dicembre 1908, pochi superstiti si aggirano attoniti
L’evento più grave è stato certamente
quello avvenuto alla centrale nucleare,
e oggi assistiamo con ansia e preoccupazione al dramma di quel popolo,
unico nella storia del mondo ad aver
subito un attacco atomico nell’ormai
lontano 1945.
Ancora una volta, la natura ha dimostrato la sua forza distruttrice, e a noi si
pone nuovamente la domanda: è possibile prevedere questi eventi? L’unico
modo efficace a tutt’oggi per rilevare la
nascita di un maremoto a causa di un
sisma sottomarino è la misurazione diretta della
variazione del livello marino. Attualmente, misurazioni per l’invio di allarmi precoci, con il necessario livello di attendibilità, possono essere effettuate soltanto tramite l’impiego di sistemi posizionati sul fondo del mare capaci di trasmettere in
tempo reale i dati acquisiti.
Fino ad oggi non esistono sistemi di allerta efficaci per prevedere la generazione di uno tsunami dopo un grande terremoto. Una novità fondamentale arriva dalla stazione abissale GEOSTAR (Geophysical and Oceanographic Station for Abyssal Research), che è stata installata dalla fine degli anni
re e rivedere in televisione la forza distruttrice dell’onda all’opera.
Il 30 settembre 2009 uno tsunami colpì il versante
meridionale delle isole Samoa nel Pacifico: il bilancio provvisorio è stato di oltre 100 vittime. Il
25 ottobre 2010 un altro si abbatté nuovamente
sull’Indonesia, in seguito ad un terremoto di magnitudo 7.7 uccidendo più di 300 persone
L’11 marzo 2011, una violenta scossa di magnitudo 9 della scala Richter è stata registrata nella zona nord-orientale dell’isola di Honshu, in Giappone, il più grande sisma registrato nel Paese in epoca moderna.
La scossa è stata registrata dai sismografi alle 14.45, ora locale,
ad una profondità di 24,4 km
con epicentro a poco più di 100
km a largo di Sendai. La sua violenza che ha causato molti danni e l’incendio della centrale nucleare di Fukushima, ha anche
provocato un enorme tsunami
che si è abbattuto violentemente
sulle coste giapponesi appena
poche decine di minuti dopo,
con onde alte fino a 10 metri.
All’alba del 14 marzo, secondo
la televisione di stato NHK e la
polizia di Miyagi, i morti sarebbero già stati più di 10.000, i disAlcuni marinai russi di una squadra di 6 unità che si trovava ad Augusta e che accorse
persi oltre 10.000 e gli sfollati
per prima a Messina, tentano di portare aiuto e conforto ai superstiti dell’immane maremoto, nell’ex centro della città siciliana
circa 700.000.
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Giappone, 11 giugno 2009. La
foto evidenzia l’origine della potenza distruttrice dello Tsunami
perché consente di vedere che
non è un’onda che si abbatte
sulla spiaggia, ma (osservare il
dislivello d’acqua tra la spiaggia
e la cresta dell’onda) un immenso tratto di mare
90 nel golfo di Cadice da
parte della nave oceanografica Urania del Cnr a
oltre 3.200 metri di profondità. La sua realizzazione è stata curata dall’Istituto di Scienze Marine
del Consiglio Nazionale
delle Ricerche di Bologna
(Ismar-Cnr), che coordina
il progetto “Nearest” della Commissione Europea,
con la partecipazione tra gli altri dell’Istituto Nazionale di Vulcanologia e Geofisica, dell’Inaf e
della Tecnomare-Eni S.p.A.
Questo progetto prevede di mettere i sensori direttamente sulle strutture a rischio e di monitorarle nel tempo avvalendosi di uno strumento di
nuova concezione: lo “tsunamometro”. Questo
strumento si basa su un doppio controllo del segnale sismico e di pressione e tiene conto dei movimenti del fondo del mare.
Rileva, misura e registra i cambiamenti che avvengono sul fondo ed è in grado di elaborare i dati per
riconoscere variazioni di pressione dell’ordine del
centimetro nella colonna d’acqua. Per inviare l’allerta a terra in tempi brevi, l’osservatorio abissale è
in collegamento acustico con una boa di superficie
attrezzata e i suoi segnali sono ricevuti, oltre che
dai computer di controllo di Roma, Bologna e Venezia, dall’Istituto Meteorologico di Lisbona, dal
Centro di Geofisica di Granada e dal Consiglio Nazionale per la Ricerca Scientifica di Rabat.
Dal 2005 l’osservatorio SN-1 è operativo a largo
delle coste orientali della Sicilia ad una profondità
di 2.100 m circa, in configurazione cablata grazie
ad un accordo con l’INFN (Istituto Nazionale di
Fisica Nucleare, che ha consentito all’INGV di utilizzare un cavo elettro-ottico sottomarino di 25
km. Gli osservatori sottomarini GEOSTAR hanno
fino ad ora prodotto un enorme quantità di serie
temporali di misure sismologiche, gravimetriche,
magnetico geochimiche, oceanografiche che costituiscono una risorsa unica e preziosa per com-
prendere i fenomeni complessi e probabilmente
correlati che avvengono nell’oceano.
Purtroppo, sul nostro pianeta assisteremo ancora ad
eventi sismici con conseguenti tsunami, è inevitabile, ma quello che possiamo fare è solo continuare
nello studio di questo fenomeno naturale, approntando e costruendo sensori da posizionare in mare
sempre più sofisticati, coordinando con tutti i Paesi
a rischio un sistema integrato di vigilanza e di allarme, per permettere alle persone, in caso di tsunami,
una possibilità di fuga dalle coste.
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La spiaggia di Pukhett, in Thailandia, cosparsa di rottami e di
cadaveri dopo il passaggio dello tsunami del dicembre 2004;
gli alberi, come si vede, resistettero alla grande ondata, ma
non così le costruzioni e le opere dell’uomo, che vennero distrutte o scagliate, per chilometri, nell’entroterra
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