FORZE ENDOGENE ED IDROSFERA: GLI TSUNAMI Il termine Tsunami, sinonimo di Maremoto (dal latino mare motus) deriva dal giapponese “Tsu-Nami” che vuol dire “onda contro il porto”. Per Tsunami si intende un anomalo quanto imponente moto ondoso del mare, originato da un violentissimo terremoto sottomarino, spesso di magnitudo > 8.0 Richter, o da altri eventi che comportano uno spostamento improvviso di una grande massa d’acqua quali, per esempio, una gigantesca frana o un’eruzione vulcanica sottomarina. La forza e la distruttività di uno Tsunami dipende sostanzialmente dalla quantità di acqua spostata al momento della formazione del maremoto stesso. Sovente uno Tsunami (o maremoto) si forma in mare aperto dove tuttavia l’onda rimane poco intensa e poco visibile e concentra la sua forza in prossimità della costa quando l’onda si solleva e si riversa dentro l’entroterra sotto forma di un autentico muro d’acqua. A differenza delle tradizionali onde marine, prodotte dal vento e dalle correnti, il Maremoto agisce come una intensa perturbazione sottomarina che coinvolge l’intera colonna d’acqua, dal fondale fino alla superficie. Recenti studi hanno dimostrato che l’attivazione dei Maremoti non dipende tanto dalla violenza del fenomeno sismico, quanto dalle modalità di modificazione e alterazione del fondo oceanico e della profondità di quest’ultimo in vicinanza di una grossa faglia. Difatti, durante i grandi terremoti sottomarini (come quelli che ciclicamente interessano le dorsali oceanica o l’area del Pacifico), le deformazioni del fondale che accompagnano l’evento tellurico producono un improvviso spostamento delle grandi masse d’acqua sovrastanti, innescando cosi la perturbazione sottomarina che alimenta l’insorgenza del Maremoto. Lo spostamento d’acqua prodotto si propaga progressivamente in superficie creando onde superficiali molto lunghe, anche di qualche centinaio di chilometri, che si estendendo in tutta la superficie oceanica (come quando si lancia un sasso in uno stagno). Tanto per dare dei numeri le onde di Tsunami, quando attraversano un tratto di oceano molto ampio come il Pacifico, possono presentare delle lunghezze di circa 250-300 chilometri, raggiungendo velocità di propagazione impressionanti, si parla anche di 600-700 km/h. Bisogna però sottolineare che in determinate situazioni, specie quando l’onda è costretta a percorrere grandi distanze, possono verificarsi degli effetti che causano una lieve attenuazione del fenomeno, rendendolo meno distruttivo del previsto. Una delle tante curiosità degli Tsunami riguarda appunto la loro dimensione che cambia notevolmente dal mare aperto fino in prossimità della linea di costa. A largo, in pieno oceano, su fondali profondi oltre 60008000 metri, l’altezza delle onde risulta piuttosto modesta e spesso non supera neanche 1.0-1.5 metri, muovendosi a circa 600 km/h. Valori che non consentono alle navi che lo incrociano di accorgesi della loro presenza, passando del tutto inosservato, a differenza di quanto avviene vicino alla costa, su fondali meno profondi. Diversa la situazione sotto la superficie visto che dalla perturbazione sottomarina vengono interessati anche gli strati d’acqua molto profondi. Quando lo Tsunami si avvicina alla costa il fondale, divenendo sempre più basso, funge da attrito alla perturbazione sottomarina, costringendola di botto a rallentare la sua elevata velocità di propagazione. Il fondale quindi rallenta la fortissima velocità di propagazione dell’onda. Mentre ciò accade l’energia contenuta (il principio di conservazione dell’energia) in seno a tale perturbazione tenderà a far crescere a dismisura l’altezza dell’onda, favorendo cosi la formazione di un vero e proprio muro d’acqua preceduto dal graduale ritiro delle acque in prossimità dei litorali (a volte il fondale marino rimane scoperto per decine di metri), importante fenomeno premonitore dello Tsunami che si avvicina. Avendo conservato buona parte dell’energia che lo ha generato in mare aperto lo Tsunami si abbatte con grande impeto sulle coste, sotto forma di una serie di grandi ondate, con “Run Up” notevoli li dove il fondale lo consente, che penetrano sino al vicino retroterra portando gravi devastazioni, con una lunga scia di morti e distruzioni li dove colpiscono con grande energia. In alcuni casi, come avviene spesso alle Hawaii, in Giappone e lungo le coste indonesiane, della Papua Nuova Guinea, delle isole Figi e Samoa, la presenza di estese scogliere (con 1-2 metri di fondo) sottocosta possono far rallentare di colpo la velocità di un Maremoto oceanico favorendo lo sviluppo di colossali ondate che possono toccare delle altezze davvero considerevoli, pronte a superare persino i 15-20 metri di altezza. L’evoluzione di una Tsunami tradizionale la possiamo distinguere in ben tre stadi differenti che denominiamo; generazione, propagazione ed inondazione. Generazione: con questo termine di solito si identifica l’origine stessa del Maremoto che è da ricondurre a un disturbo o rapida deformazione del fondale marino (la cosiddetta sorgente tsunamigenica), a seguito del movimento di una lunga faglia che provoca lo spostamento di un ingente volume d’acqua verso l’alto, in direzione della superficie. Ma anche una violenta eruzione vulcanica sottomarina, di tipo esplosivo, può favorire lo stesso fenomeno, sprigionando una quantità di energia sufficienti per generare lo Tsunami. Propagazione: in questo stadio la perturbazione cosi generata si propagherà ad elevatissime velocità lungo la superficie oceanica, fin quando non arriva su un fondale sempre meno profondo, in prossimità della costa, che ne rallenta l’elevata velocità di propagazione. Inondazione: qui arriviamo alla fine, o morte di uno Tsunami, che avviene solo quando l’onda e la perturbazione sottomarina che la tiene in vita finiscono a ridosso della linea di costa, su fondali sempre più bassi che ne rallentano l’elevata velocità di propagazione, facendola crescere in altezza, in un imponente muro d’acqua che si abbatte con grande impeto sul litorale. Non sempre però lo Tsunami compare come una grande onda, in alcune occasioni, in assenza di importanti fenomeni di rifrazione l’onda insorge come una grande alta marea, invadendo la terraferma per diversi chilometri li dove sono presenti estese pianure. Per valutare l’intensità e le caratteristiche di un Maremoto gli studiosi, in genere, fanno uso della nota scala di Sieberg-Ambraseys. Prende il nome dai due scienziati che l’hanno ideata e migliorata. 1. molto debole. percettibile solo dai mareografi. 2. debole. Onda avvertita da persone sulla spiaggia o da chi ha una certa familiarità col mare, osservata soltanto su litorali pianeggianti. 3. abbastanza forte. Onda osservabile da tutti. Inondazione su coste con pendenza limitata, imbarcazioni più piccole sospinte sulla spiaggia. Negli estuari le acque risalgono l’alveo. 4. forte. Inondazione cospicua delle spiagge, con altezze e profondità variabili a seconda dei casi. Possibile erosione dei terreni non consolidati. Danni a strutture sulla costa, soprattutto alle più leggere. Imbarcazioni trascinate per decine di metri, presenza di detriti galleggianti. 5. molto forte. Inondazione totale delle spiagge. Danni significativi alle strutture in muratura sulla costa, distruzione delle strutture leggere. Forte erosione. Detriti galleggianti ed animali marini trascinati sulla riva. Imbarcazioni trascinate per centinaia di metri, danneggiate seriamente o distrutte. Grandi onde in risalita alle foci dei fiumi. Ingenti danni alle strutture portuali. Vittime umane. Onda accompagnata da forte rombo. 6. disastroso. Distruzione delle costruzioni fino ad una determinata distanza dalla riva. Inondazione generalizzata della costa, anche per centinaia di metri e, in alcuni casi, chilometri. Alberi sradicati e troncati. Danni ingenti anche alle navi di grandi dimensioni. Numerose vittime. Purtroppo ancora oggi, pur essendo in corso numerosi esperimenti volti alla determinazione di un modello fisico-matematico affidabile capace di correlare in maniera certa il verificarsi di un maremoto, non esiste al momento alcun tipo di modello affidabile in questo senso. Altri studi previsionali sono fatti tramite simulazioni al calcolatore per studiare gli effetti del frangimento di eventuali onde anomale generate da maremoto sulle coste fornendo mappe di pericolosità. Molte città del Giappone e delle Hawaii, storicamente interessate dal rischio Tsunami, possiedono già da tempo di sofisticati sistemi di allarme e testate procedure di evacuazione in caso di gravi Maremoti, mentre altre zone costiere a rischio risultano ancora scoperte. Ma questi piani purtroppo non sempre risultano cosi efficaci per ridurre al minimo il numero di vittime e danni materiali cagionati da questi fenomeni estremi. Fino ad ora l’unico modo affidabile per prevenire e prevedere uno Tsunami consiste nella misurazione diretta, tramite dei sensori posti in boe oceanografiche, della variazione del livello marino subito dopo la rilevazione del terremoto molto forte. Finora questo tipo di misurazione ha riscontrato una certa efficacia. Ma il problema si pone allorquando l’evento tellurico si verifica in prossimità della linea di costa, come accaduto lo scorso 11 Marzo in Giappone, davanti la città di Sendai. Ogni tentativo di allertare la popolazione potrebbe risultare inconcludente visto la rapidità di propagazione dell’onda. In tal caso l’unica soluzione possibile sarebbe quella di non costruire insediamenti e centri abitati di alcun tipo lungo le coste fino a qualche chilometri verso l’entroterra. Un pò come facevano gli antichi (soprattutto le popolazioni dei tanti arcipelaghi che compongono il Pacifico e il sud-est asiatico), che conoscendo molto bene il rischio, costruivano i loro insediamenti al di la delle foreste di Mangrovie.