CARDIOPATIA ISCHEMICA Funzione del cuore Il cuore è una potente pompa che distribuisce il sangue a tutti gli organi del corpo attraverso una rete di arterie e vene. Per questo lavoro ha bisogno di ossigeno che viene fornito dal sangue attraverso le arterie coronarie. Le coronarie sono piccole arterie che originano dall’aorta ed irrorano il tessuto cardiaco La definizione di CARDIOPATIA ISCHEMICA comprende uno spettro di malattie a diversa eziologia, in cui il fattore fisiopatologico unificante è rappresentato da uno squilibrio tra la richiesta metabolica e l’apporto di ossigeno al miocardio. Questo squilibrio causa un’alterazione dell’attività elettrica e della capacità contrattile delle zone colpite. Cenni Epidemiologici In Italia le Malattie Cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte: 44.7% morti totali. In particolare l’Infarto miocardico acuto (IMA) è causa del 7.4% delle morti totali e del 26% delle morti nella fascia d'età dai 25 ai 64 aa. Ogni anno si verificano 160.000 nuovi eventi coronarici acuti. Negli USA circa 1.5 milioni di pazienti all’anno con infarto acuto Eziologia L’aterosclerosi coronarica è di gran lunga la causa più frequente di cardiopatia ischemica e da un punto di vista pratico essa può esserne considerata la causa esclusiva. Numerosi studi epidemiologici, condotti negli ultimi venticinque anni, hanno consentito di individuare alcune variabili individuali che si associano a un maggior rischio di malattia; queste variabili sono state definite fattori di rischio coronarico. STRUTTURA DEI VASI ARTERIOSI La parete dei vasi arteriosi è costituita da tre strati: la tonaca INTIMA, consistente in un monostrato di cellule endoteliali e sottoendoteliali; è separata dalla media dalla membrana elastica interna (fibre elastiche). La tonaca MEDIA, costituita da molte fibre elastiche e poche fibre muscolari nelle arterie elastiche (aorta, aa. iliache), viceversa nei vasi muscolari (coronarie, carotidi, femorali, ecc.); è separata dall’avventizia dalla membrana elastica esterna. La tonaca AVVENTIZIA: sottile strato di tessuto connettivo, con vasa vasorum, vasi linfatici e terminazioni nervose. STRUTTURA DEI VASI ARTERIOSI Cellule Muscolari Liscie e Collagene nell’Intima Endotelio Intatto Membrana Basale Lamina Elastica Cellule Muscolari Lisce Interna Avventizia nella Tunica Media e Nervi ATEROSCLEROSI La disfunzione endoteliale La disfunzione endoteliale, conseguenza dello stress ossidativo, è una delle prime manifestazioni del processo di aterogenesi. Giuoca un ruolo rilevante nella patogenesi dell’aterosclerosi e nello sviluppo di eventi ischemici; si osserva in una serie di patologie e condizioni associate a un aumento del rischio cardiovascolare (fattori di rischio). Si manifesta con un’alterata capacità di vasodilatazione in risposta a stimoli fisiologici come quello dell’acetilcolina. Nell’aterosclerosi il funzionamento dell’endotelio è anormale, a causa di uno sbilanciamento tra sostanze vasocostrittrici (endotelina) e vasodilatanti (NO-ossido nitrico) a favore delle prime. PLACCA ATEROMASICA L’aterosclerosi è un processo patologico nel quale il colesterolo, i detriti cellulari ed altre sostanze si accumulano all’interno della parete cellulare di arterie di grosso o medio calibro, formando la cosiddetta placca ateromasica. Tale placca provoca vari gradi di ostruzione del flusso sanguigno (stenosi). La placca ateromasica si sviluppa all’interno dell’intima della parete arteriosa ed evolve portando all’ispessimento e all’indurimento della parete stessa. Ha tre componenti fondamentali: - cellule muscolari lisce, e monociti/macrofagi/cellule schiumose di provenienza ematica - fibre, matrice di tessuto connettivo e detriti cellulari - lipidi, incluso colesterolo. Media Lamina elastica Lumee Endotelio Cappuccio fibroso Cellule schiumose contenenti colesterolo e lipidi Tessuto fibroso Fattori di rischio Specifiche condizioni in grado di aumentare la probabilità che si verifichi un determinato evento (malattia). I fattori di rischio coronarico sono condizioni che favoriscono lo sviluppo della cardiopatia ischemica. FATTORI DI RISCHIO CARDIOVASCOLARI Si distinguono in MODIFICABILI, in quanto possono essere corretti e la loro correzione comporta una riduzione del rischio di ammalare di cardiopatia ischemica; questi sono: Dislipidemia, Diabte, Fumo, Ipertensione arteriosa, Eccesso ponderale, Sedentarietà. I fattori di rischio non modificabili sono quelli che non possono essere corretti, e sono: Familiarità, Sesso ed Età. I fattori di rischio agiscono determinando alterazioni della funzione endoteliale, con le conseguenze specificate nella figura. Effetto dei fattori di rischio sulla disfunzione endoteliale Fattori di rischio non modificabili FAMILIARITA’ Familiarità per cardiopatia ischemica significa avere in famiglia un parente di I grado con meno di 60 aa che ha avuto problemi cardiaci di tipo ischemico. Familiarità non significa ereditarietà. ETA’ E’ un fattore di rischio in quanto l’incidenza di cardiopatia ischemica aumenta con il progredire dell’età. SESSO Rappresenta un fattore di rischio in quanto fino all’età della menopausa la donna ha meno frequentemente questa patologia, grazie all’effetto protettivo degli estrogeni. Dopo la menopausa le donne hanno la stessa incidenza di cardiopatia ischemica degli uomini. Fattori di rischio modificabili Dislipidemie Alterazioni del metabolismo lipidico che si traducono in elevati livelli di colesterolo e trigliceridi circolanti. Possono determinare alterazioni dell’endotelio ed inoltre il colesterolo si accumula tra la tonaca intima e la media, contribuendo alla formazione della placca aterosclerotica. Ipertensione arteriosa Aumento permanente della pressione sanguigna al di sopra dei valori normali. Comporta un danno ai vasi arteriosi con ispessimento e depositi di grasso all’interno delle pareti. Pertanto facilita lo sviluppo dell’aterosclerosi con conseguente riduzione del lume vasale, impedendo un normale flusso di sangue, con conseguente danno ai vari organi del nostro organismo. L’ipertensione arteriosa conclamata in Italia è un problema che colpisce in media 33% degli uomini e 31% delle donne, ed aumenta con l’età. Vi sono ampie prove circa i benefici del trattamento dell’ipertensione arteriosa; infatti una riduzione di 10 mmHg della PA diastolica negli ipertesi si associa ad una riduzione del 56% del rischio cerebrovascolare e del 34% di quello coronarico nell’arco di 20 anni. Ischemia Miocardica La placca aterosclerotica accrescendosi gradualmente ostruisce l’arteria coronaria, dterminando Ischemia Miocardica, che è una discrepanza tra fabbisogno ed apporto miocardico di O2 attraverso il circolo coronarico. Si tratta di un fenomeno relativo e transitorio. Due sono i fattori che intervengono nella genesi dell’ischemia miocardica: La riduzione del flusso coronarico e l’aumento del consumo miocardico di ossigeno (MVO2). Se la stenosi riduce la sezione del ramo epicardico del 60-70% si ha una riduzione del flusso in seguito ad un aumento della richiesta di ossigeno (tale meccanismo è, ad esempio, alla base del quadro clinico dell’Angina Stabile). Se la stenosi riduce la sezione del ramo epicardico di oltre l’80%, si ha una riduzione del flusso anche in condizioni basali. Coronaria normale Placca ateromasica subocclusiva (>75%) Placca stenosante (< 50%) Placca ateromasica associata a vasospasmo Manifestazioni della cardiopatia ischemica Si distinguono una forma CRONICA, rappresentata dall’angina stabile, ed una forma ACUTA, che comprende angina instabile e infarto miocardico acuto (Q e non-Q). ANGINA STABILE Sindrome caratterizzata da attacchi di ischemia miocardica acuta transitoria che si producono in condizioni omogenee, stabili nel tempo, generalmente associate a sforzo fisico. Sintomatologia: dolore precordiale, retrosternale, talora irradiato, insorgente dopo sforzo o altre cause, a regressione con la cessazione della causa e sensibile ai nitrati. Fisiopatologia: presenza di stenosi coronarica fissa, determinata da placche concentriche con riduzione del lume >75% e capsula fibrosa integra, con flusso inadeguato durante aumento della richiesta miocardica di O2. Core Lipidico Capsula fibrosa Placca aterosclerotica stabile (con capsula fibrosa integra) Usuale localizzazione del dolore miocardico ischemico Mascella Lato destro Epigastrio Sedi meno frequenti del dolore miocardico ischemico Dorso Angina variante (di Prinzmetal) Sintomatologia: dolore anginoso tipico, insorgente esclusivamente a riposo, con alterazioni ECGrafiche caratteristiche, consistenti in sopraslivellamento del tratto ST. Anatomia patologica: spasmo coronarico che si sovrappone ad una lesione più o meno critica. SINDROMI CORONARICHE ACUTE Differenti manifestazioni cliniche, costituite da angina instabile e infarto miocardico acuto (Q e non-Q), con un unico substrato fisiopatologico, rappresentato da erosione, fissurazione e rottura di placca preesistente, che determina TROMBOSI VASCOLARE, con conseguente riduzione del flusso sanguigno al miocardio. La placca aterosclerotica stabile, che detrmina le manifestazioni croniche, è rivestita da un cappuccio fibroso; quando questo cappuccio fibroso si rompe, si determina la rottura della placca con la sovrapposizione di processi trombotici. Rottura del cappuccio fibroso della placca e formazione del trombo Aspetto macroscopico di placca aterosclerotica ulcerata Angina Instabile E’ responsabile del 50% dei ricoveri in Unità di Terapia Intensiva Coronarica (UTIC); presenta una mortalità a breve termine del 2%; evolve in infarto miocardico acuto nel 10% ed ha una mortalità ad un anno tra il 15 e il 20%. La sindrome è caratterizzata da : Imprevedibilità dell’insorgenza e variabilità della gravità dei sintomi, con instabilità clinica; infatti dal punto di vista fisiopatologico è determinata da processi trombotici che si sovrappongono alla placca aterosclerotica ulcerata, che si alternano ai fenomeni trombolitici spontanei, per cui la sintomatologia si aggrava quando prevalgono i fenomeni trombotici e si attutisce quando prevalgono i processi trombolitici spontanei. Presenta alta incidenza di eventi maggiori a breve e medio termine (morte improvvisa, IMA). Infarto Miocardico Acuto Sindrome clinica che consegue ad un’ischemia acuta, grave e prolungata, a carico del tessuto miocardico, dovuta all’occlusione di un vaso coronarico, causata nella maggior parte dei casi da una trombosi che si sovrappone ad una preesistente lesione aterosclerotica, tale da determinare un danno irreversibile, cioè la necrosi del tessuto miocardico. DIAGNOSI: dolore anginoso prolungato, alterazioni ECGrafiche, segni enzimatici di necrosi. Trombo occludente che determina infarto miocardico acuto Dimensioni del problema Negli U.S.A.si verificano 1,5 milioni di I.M.A. ogni anno di cui 1/3 va incontro a morte. Sotto i 65 anni, l’80 % delle morti per patologia coronarica avviene al 1° I.M.A. L’I.M.A. rappresenta la causa singola di morte più frequente nel mondo occidentale. L’angina instabile è una delle più frequenti cause di infarto miocardico. TERAPIA DELL’INFARTO MIOCARDICO ACUTO La necrosi miocardica è conseguente all’occlusione trombotica di una coronaria ed è un evento dinamico; infatti prima che il danno ischemico irreversibile raggiunga le sue dimensioni definitive passano alcune ore. La prognosi del paziente che non muore acutamente per aritmie (complicanza elettrica) o per insufficienza di pompa (complicanza meccanica) dipende dall’estensione della necrosi. Per questo motivo l’intervento terapeutico deve essere il più precoce possibile e mirare ad ottenere la ricanalizzazione del vaso, limitando l’area di necrosi. La ricanalizzazione (riapertura) del vaso si può ottenere con la terapia trombolitica (somministrazione endo vena di sostanze che sciolgono il trombo) o con l’angioplastica coronarica. ATTIVITA’ FISICA E CARDIOPATIA ISCHEMICA Un primo ruolo dell’attività fisica, molto importante, riguarda la correzione dei fattori di rischio coronarico. Correzione delle DISLIPIDEMIE Il primo approccio è sempre non farmacologico, e consiste in un’alimentazione equilibrata: riduzione dei grassi saturi (burro, grassi animali, olii fritti) e controllo delle calorie, e in un’attività fisica regolare, che riduce l’ipertrigliceridemia e l’ipercolesterolemia, determinando aumento dell’HDL colesterolo (colesterolo buono) e riduzione dell’LDL colesterolo (colesterolo cattivo). Successivamente, se le misure comportamentali non sono sufficiente, si passa alla terapia farmacologica. Correzione dell’IPERTENSIONE L’obiettivo del trattamento è quello di abbassare i valori pressori (<140/90 mmHg nei pz. non diabetici, <130/80 mmHg nei diabetici) e ridurre il danno degli organi bersaglio (cuore, rene, cervello ecc.). Anche in questo caso il primo approccio si basa su strategie di tipo non farmacologico, che prevede calo ponderale nei soggetti in sovrappeso, restrizione sodica, aumento del rapporto fra acidi grassi insaturi e saturi, riduzione dell’assunzione di caffeina e di alcool, riduzione dello stress, abolizione del fumo e soprattutto aumento dell’attività fisica. Ipertensione e attività fisica Negli sport di potenza (sollevamento pesi…) esiste un rischio (teorico) di emorragia cerebrale durante sforzo. Questo in considerazione degli elevati valori pressori che si raggiungono, anche per breve tempo, in modo brusco (PAS 300-350, PAD 200-250 mmHg). In oltre in un terzo dei casi di morte improvvisa durante sforzo fisico nei maschi ultraquarantenni coesiste ipertensione arteriosa. Nella popolazione sportiva si riscontra una più bassa prevalenza di ipertensione rispetto alla popolazione generale. In adulti non agonisti la prevalenza di ipertensione è del 3% circa. Sottoponendosi ad allenamenti costanti con attività di tipo isotonico, aerobiche o di resistenza (marcia, jogging, corsa o sci di fondo, ciclismo) si osserva una riduzione dei valori pressori. In soggetti fisicamente attivi è possibile procrastinare l’intervento farmacologico o ridurre le dosi dei farmaci. L’attività fisica inoltre migliora la colesterolemia e l’insulino resistenza ed in generale determina una riduzione del rischio cardiovascolare. La P.A. durante esercizio fisico Al CICLOERGOMETRO La P.A. sistolica aumenta di 50–70 mmHg sia nei normotesi che negli ipertesi, mentre la P.A. diastolica rimane invariata o aumenta lievemente nei normotesi, ed aumenta negli ipertesi. Al TREADMILL la P.A. sistolica aumenta sia nei normotesi che negli ipertesi (come al cicloergometro), mentre la P.A. diastolica tende a calare nei normotesi e ad aumentare negli ipertesi. Il paziente iperteso non solo può svolgere attività fisica, anzi è auspicabile, dato che una modica attività fisica (soprattutto nei soggetti sedentari o sovrappeso) può ridurre e talora normalizzare i valori pressori o quanto meno consentire un più facile controllo farmacologico. L’attività fisica da consigliare è di tipo isotonico, aerobico, endurance e non competitivo (marcia, jogging, nuoto, sci di fondo, ciclismo in piano, golf, canoa). Correzione dell’OBESITÀ La sedentarietà, è una delle 10 cause principali di morte e disabilità. Secondo l’OMS pare che il 60% e l’85% degli adulti non effettua attività fisica. Complessivamente l’inattività fisica è responsabile del 22% delle coronaropatie ischemiche e del 10-16% dei tumori al seno e al colonretto. La pratica di attività fisica riduce il rischio di incidenti cardiaci mortali e non. Nella popolazione fisicamente attiva che pratica attività fisica moderata tutti i giorni o quasi si evidenzia una riduzione del 30-50% del rischio relativo di malattie coronariche rispetto alla popolazione sedentaria, a parità di altri fattori di rischio. L’esercizio fisico nel paziente con cardiopatia ischemica Un esercizio fisico adeguato incrementa la capacità funzionale, migliora lo stato di benessere e la qualità di vita, riduce i sintomi (innalzando la soglia di angina), contribuisce alla riduzione dei fattori di rischio, può limitare la progressione della malattia aterosclerotica. Diverse metanalisi hanno documentato, nei pz. con C.I. sottoposti a training fisico, rispetto a quelli trattati in maniera tradizionale, una riduzione della mortalità totale del 20%, della mortalità cardiaca del 26% e di infarto non fatale del 21%. La prescrizione dell’esercizio fisico nel cardiopatico si intende sempre a scopo ricreativo o terapeutico, mai agonistico. lo scopo è quello di ottenere, con il minor rischio possibile, un miglioramento della qualità di vita. L’esercizio deve rispettare determinate caratteristiche: MODULARITÀ: il carico lavorativo può cambiare di livello in modo preordinato MISURABILITÀ: il carico lavorativo può essere misurato in modo semplice SCARSA COMPONENTE TECNICA: non deve comportare particolari difficoltà di esecuzione (in quanto un impegno per l’esecuzione potrebbe richiedere un dispendio energetico extra, non quantificabile) Differenti tipi di sforzo Esercizio isotonico o dinamico: consiste nella contrazione di grandi gruppi muscolari risultante in un movimento/spostamento del corpo; determina un aumento del consumo d’ossigeno ed aumento della portata cardiaca e della gittata sistolica, con un calo delle resistenze sistemiche. Comporta un carico sul cuore principalmente di tipo volumetrico Esercizio isometrico o statico: consiste nella contrazione costante di piccoli gruppi muscolari non risultante in un movimento/spostamento del corpo; determina un incremento delle resistenze periferiche e della pressione arteriosa, con minime variazioni della portata cardiaca e consumo d’ossigeno. Comporta un carico sul cuore più di tipo pressorio che volumetrico. La prescrizione dell’esercizio fisico nel cardiopatico Le attività ideali sono quelle isotoniche dinamiche ad impegno cardiovascolare di intensità lievemoderata (corsa, ciclismo, sci di fondo, ecc). La prescrizione di un programma di allenamento dovrà tenere conto di tre fattori: frequenza delle sedute per settimana, entità del dispendio energetico durante le sedute, durata delle singole sedute. Per ottenere un miglioramento dell’adattabilità cardiovascolare allo sforzo l’esercizio deve determinare una F.C. tra il 70 e l’85% di quella massimale. Con lavori di intensità superiore il rischio di complicanze supera i benefici. Riabilitazione Cardiovascolare Fase intermedia tra l’evento acuto (infarto miocardico, intervento chirurgico) ed il ritorno nel proprio ambiente socio-familiare. SCOPI: A BREVE TERMINE ricondizionamento fisico necessario per la ripresa delle attività quotidiane, educazione del paziente e familiari riguardo alle caratteristiche della sua malattia e supporto psicologico. A LUNGO TERMINE identificazione/trattamento dei fattori di rischio, ottimizzazione del condizionamento fisico, assistenza nel ritorno alle comuni attività quotidiane. Dovrebbe rientrare in un quadro di normale gestione del paziente coronaropatico ed essere promossa e continuata anche successivamente alla dimissione Effetti della riabilitazione cardiaca Regressione/stabilizzazione dell’aterosclerosi coronarica con programmi intensivi associati ad una dieta a basso contenuto di grassi. Possibili effetti favorevoli sul rimodellamento del ventricolo sinistro. Utilità dell’associazione con misure di prevenzione secondaria. La riabilitazione determina un aumento della massima capacità funzionale, in seguito ad un miglioramento della tolleranza allo sforzo, della capacità di compiere esercizio aerobico, della forza muscolare, un aumento dell’efficienza del sistema cardiovascolare, attraverso un miglioramento del rapporto lavoro svolto/ossigeno consumato; inoltre una riduzione dei sintomi ed aumento del senso di benessere. Si riscontra inoltre una tendenza alla riduzione di eventi cardiovascolari e mortalità (4.300 pazienti studiati in trials randomizzati), particolarmente significativa (8-14% fino a 19 anni) nei pazienti che presentano un aumento della tolleranza allo sforzo. Programma di riabilitazione cardiovascolare La prescrizione degli esercizi fisici nella riabilitazione cardiologica comprende diverse fasi: FASE I riabilitazione del paziente ricoverato, FASE II riabilitazione del cardiopatico non ospedalizzato e FASE III e IV con programmi di riabilitazione cardiologica basati su interventi comunitari e sociali. Attività fisica nel post-infarto: 1a Fase, Giorni 1-2 Inizialmente impiego di una comoda, alimentazione con un vassoio con eventuale supporto per le braccia ed il dorso, completa assistenza per la pulizia, movimenti passivi di tutte le estremità, movimenti attivi delle caviglie, favorire il rilassamento e la respirazione profonda. Successivamente pulizia autonoma della parte superiore del corpo, sedute in poltrona di 1-2 ore al giorno e movimenti attivi di tutte le estremità per 5-10 volte (seduti o supini). 2a Fase, Giorni 3-4 Inizialmente lavarsi e vestirsi seduti sul letto o su una sedia, libertà di movimenti dal letto alla sedia, muoversi nella stanza con progressiva maggior durata e frequenza. Successivamente recarsi in bagno, deambulazione fuori dalla stanza (30-200 metri) con supervisione e movimenti attivi, con o senza assistenza, di tutte le estremità 5-10 volte al giorno. 3a Fase, Giorni 5-7 Deambulazione di 200 metri 3 volte al giorno, possibilità di movimenti degli arti sopra la testa, ad es. lavarsi i capelli, salita delle scale (con supervisione), educazione del paziente e familiari, controllo dei fattori di rischio coronarico e test da sforzo (pre-dimissione). Effetti favorevoli della mobilizzazione precoce nell’immediato postinfarto Riduzione del rischio di trombosi venosa profonda/embolia polmonare, mantenimento dei riflessi posturali, riduzione dell’ipotensione ortostatica e del decondizionamento fisico. L’esercizio fisico nel paziente con cardiopatia ischemica Nella cardiopatia ischemica post-acuta la prescrizione viene effettuata dopo valutazione funzionale e deve svolgersi in un setting riabilitativo dove la ripresa dell’attività fisica può essere graduata e quantificata in condizioni di sicurezza. Nella patologia cronica, dopo accurata valutazione, l’esercizio può essere effettuato in maniera autonoma o con differenti gradi di supervisione. Valutazione del rischio per l’esercizio fisico nella C.I. I pazienti a basso rischio, che necessitano quindi di monitoraggio ECGrafico solo nelle sedute iniziali, sono quelli con buona capacità funzionale, normale incremento di FC e PA durante test ergometrico, in assenza di angina o segni ECG di ischemia a riposo e da sforzo, nonché di aritmie ventricolari complesse a riposo e da sforzo, con frazione di eiezione >50%, che hanno avuto infarto o procedura di rivascolarizzazione non complicata, in assenza di scompenso cardiaco e di sintomatologia depressiva. I pazienti ad alto rischio, che necessitano di monitoraggio ECGrafico protratto, sono quelli con anormale comportamento di PA e FC durante test ergometrico (incompetenza cronotropa/riduzione PA da sforzo), angina o segni ECG di ischemia a riposo o silente da sforzo a bassa soglia, presenza di aritmie ventricolari complesse a riposo e da sforzo, frazione di eiezione <40%, che hanno avuto infarto o procedura di rivascolarizzazione complicata, con storia di arresto cardiaco o morte improvvisa resuscitata, con scompenso cardiaco e sintomatologia depressiva. FASE I L’attività muscolare deve essere, oltre che moderatamente intensa, graduale e progressiva, con incrementi quotidiani delle attività consentite (anche per dare al paziente un’evidenza tangibile del miglioramento delle sue condizioni), isotonica, dinamica ed aerobica, tale quindi da determinare incrementi proporzionali del consumo miocardico di ossigeno (la parte relativa agli esercizi veri e propri è limitata alla ginnastica respiratoria e ai movimenti attivi degli arti). In questa fase è previsto il test ergometrico predimissione, che ha lo scopo di raggiungere gli abituali obiettivi diagnostici- prognostici, e di consentire una valutazione più precisa dell’attività fisica tollerata in sicurezza con conseguenti benefiche ricadute psicologiche sul paziente. Test Ergometrico E’ una metodica diagnostica che consiste nel far eseguire al paziente uno sforzo incrementale controllabile, durante monitoraggio di parametri cardiovascolari. Per fare eseguire lo sforo zi possono utilizzare un cicloergometro oppure un tappeto rotante, Il carico di lavoro viene incrementato rpogressivamente, ad esempio di 30 watt ogni 3 minuti. Durante lo sforzo il paziente è costantemente monitorizzato con il tracciato elettrocardiografico e si misurano ciclcicamente, di solito ad ogni variazione del carico, la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca; alla fine dello sforzo si misura il doppio prodotto FC x PAS come indice del consumo miocardico di ossigeno. Criteri d’interruzione del test sono la comparsa di sintomi limitanti la possibilità di prosecuzione dello sforzo (test limitato dai sintomi); la comparsa di alterazioni elettrocardiorafiche (es. ischemia severa, aritmie) ed il raggiungimento della frequenza cardiaca massima per l’età (220-età) (Test massimale). I sintomi che possono comparire e determinare l’interruzione del test sono angina, dispnea, cardiopalmo. Alla registrazione elettrocardiografica si attenziona la comparsa di segni di ischemia o di aritmie e si seguono le variazioni della frequenza cardiaca. Linee-guida per l’esecuzione del test ergometrico Gli obiettivi sono: la valutazione delle capacità funzionali in risposta allo sforzo fisico, la diagnosi di malattie cardiache, la valutazione della risposta alla terapia o della progressione della patologia ed in un soggetto sano l’identificazione di eventuale presenza di cardiopatia ischemica o di aritmie ventricolari potenzialmente letali inducibili dallo sforzo. Il laboratorio di ergometria deve essere dotato di attrezzature e farmaci per le emergenze: carrello per rianimazione cardiopolmonare, con defibrillatore, bombola di ossigeno e farmaci e strumenti adatti alle procedure di emergenza (set per intubazione e ventilazione, accesso venoso, ecc.). Le procedure da attuare prima del test sono l’anamnesi, l’esame fisico e l’analisi di eventuali esami eseguiti. Si deve inoltre acquisire il consenso informato: il paziente deve essere sempre informato in modo completo e chiaro sulle finalità del test, sulla modalità di esecuzione, sui potenziali rischi e sulla disponibilità di tutta la strumentazione necessaria per minimizzare i rischi e risolvere le complicanze. E’ importante registrare l’elettrocardiogramma di base sia in clino- che in ortostatismo e se sono presenti turbe della ripolarizzazione ripeterlo dopo iperventilazione. L’obiettivo del test può essere massimale o submassimale. Dopo lo sforzo si deve continuare con la fase di recupero, che consiste nel far continuare al paziente la pedalata o la camminata, dopo aver tolto il carico, e deve durare da 5 a 15 min, e comunque essere protratta fino al raggiungimento di un’accertata stabilità cardiocircolatoria. Monitoraggio dell’ECG e della P.A. nel recupero devono durare almeno 6 min. Programmi riabilitativi nel postinfarto Prima di iniziare un percorso riabilitativo, bisogna sempre eseguire un test ergometrico, per la determinazione della F.C. massima tollerata, l’identificazione di relative controindicazioni alla riabilitazione, per valutare se durante lo sforzo compaiono tachicardie ventricolari o altre aritmie minacciose indotte dallo sforzo, o angina pectoris, sottoslivellamento del tratto ST da sforzo >2 mm o ipotensione arteriosa (riduzione di almeno 20 mmHg rispetto all’inizio). In caso di comparsa di effetti indesiderati (ischemia, aritmie…) è necessaria una rivalutazione medica (terapia, ristratificazione prognostica…) e l’impiego di frequenze cardiache massime durante allenamento di almeno 10-20 b/min inferiori a quelle che hanno provocato gli effetti indesiderati. Intensità dei Programmi riabilitativi nel Postinfarto L’intensità dello sforzo durante allenamento deve essere idealmente pari al 50-80% di quella raggiunta durante uno sforzo massimale preliminare. La frequenza cardiaca raggiunta durante allenamento deve essere pari al 50-75% della riserva della frequenza cardiaca = [(FC max sforzoFC a riposo) x 50-75] + FC a riposo. Deve essere prescritta un’attività con raggiungimento di FC pari a quella prescritta durante allenamento o moderatamente inferiore. Nei pz. con severa disfunzione sistolica, pluripatologia, età molto avanzata o dopo prolungato allenamento, la progressione dell’esercizio richiede un metodo di valutazione standardizzato, con inizio del programma con attività ad intensità lieve, progressione con attività ad intensità moderata (60% della F.C. massimale) ed allenamento con attività ad intensità elevata (85% della F.C. massimale) Durata del programma di esercizio in ambiente medico Pazienti con cardiopatia ischemica a basso rischio e operati di chirurgia coronarica senza complicanze: non inferiore a 4 settimane Pazienti a medio-alto rischio: 4-6 settimane Pazienti con funzione cardiaca molto compromessa: 8-12 settimane Nei pazienti in età avanzata la necessità di effettuare un training a bassa intensità rende necessario il prolungamento della durata del programma. Riabilitazione domiciliare Protocolli con esercizi a bassa intensità di lavoro, che utilizzano l’autocontrollo della frequenza cardiaca. La prescrizione dell’attività fisica deve essere preceduta da un adeguato programma di istruzione ed educazione all’autogestione. Il carico lavorativo deve essere corrispondente alla soglia anaerobica misurata mediante test cardiopolmonare, e deve corrispondere al 70-85% della frequenza cardiaca massima raggiunta a un test da sforzo “tradizionale” preliminare, o al 70-85% della frequenza cardiaca max teorica (FC max teorica: 220 – età del paziente) FASE II Prevede programmi “supervised” controllati (in ambiente ospedaliero, nei centri di riabilitazione) e programmi “advised”, autogestiti a domicilio. Nei pazienti a basso rischio e con decorso privo di complicanze il programma può essere iniziato dopo il test ergometrico (in genere tra il 15° e il 20° giorno di malattia). Pazienti con possibile indicazione a programmi non monitorati sono quelli a basso rischio, con normale funzione ventricolare sinistra, in assenza di aritmie minacciose, di angina instabile e di altre malattie limitanti. È sempre utile un test da sforzo preliminare. Tipo di esercizio fisico nel cardiopatico Recentemente è stata dimostrata la sicurezza e l’efficacia del training con circuiti di pesi e macchinari. I requisiti fondamentali sono carichi muscolari non elevati, che prevedano uno sviluppo di forza sempre inferiore al 40-50% della massima contrazione volontaria, con aumento della F.C. inferiore al 70% della massimale. La metodologia di allenamento prevede: esercizi di bassa intensità, con numerose ripetizioni (più di 10-12) e tempi di recupero tra le serie abbastanza prolungati (1.30-2.30 min), in modo da determinare modestissimi aumenti delle resistenze periferiche. Esercizi di rafforzamento muscolare Sono utili nelle ultime fasi del programma di riabilitazione, in quanto la capacità di impiegare un aumento della forza muscolare permette di svolgere le normali attività con una minore richiesta di O2 Determinano un aumento della forza contrattile muscolare, della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa. Il miglioramento della forza e del tono muscolare indotto dall’allenamento di potenza favorisce le funzioni articolari, concorrendo al senso di benessere. Nel paziente coronaropatico l’esercizio isometrico non è raccomandato, mentre l’esercizio di resistenza combinato con l’esercizio aerobico è raccomandato dalle linee guida a partire dal 1990 (ACSM, American College of Sports Medicine) I vantaggi dell’esercizio di resistenza consistono in un maggior sviluppo di forza muscolare, tolleranza allo sforzo e massa muscolare, consentendo il mantenimento del metabolismo basale. Questo permette al paziente di riprendere a svolgere le normali attività della vita quotidiana. Controindicazioni all’esercizio di resistenza Angina instabile, ipertensione incontrollabile, con PA sistolica ≥ 160 mmHg e/o PA diastolica ≥ 100 mmHg, aritmie incontrollabili, storia di recente scompenso cardiaco non trattato in modo efficace, severa stenosi e/o insufficienza valvolare, cardiomiopatia ipertrofica. Esercizi di resistenza nel post-IMA: fase 1 (esercizi a basso carico), dopo 2-3 settimane dall’IMA Strumenti: fasce elastiche, pesi molto leggeri, wall pulley iniziando con manubri da 0.5-1Kg, pesi da polso Programma: carico iniziale: 0.5-1Kg, frequenza 2-3 volte a settimana, 8-10 esercizi diversi ciascuno ripetuto 10-15 volte con sforzo da lieve a moderato (REP 12-13) Incremento del carico lavorativo: 0.5-1Kg ogni 1-3 settimane sulla base dei sintomi e dell’adattamento del paziente all’esercizio Esercizi di resistenza nel post-IMA: fase 2 (convalescenza), dopo 4-6 settimane dall’IMA Strumenti: possono essere inclusi bilancieri e/o macchinari con pesi Programma: ogni esercizio ripetuto 10-15 volte con sforzo moderato (REP 13) Incremento del carico lavorativo: 1- 2.5 Kg alla settimana per le braccia, 2.5- 5 Kg alla settimana per le gambe L’esercizio di resistenza deve essere personalizzato per ciascun paziente sulla base di: grado di disfunzione ventricolare sinistra, comorbilità e limitazioni associate (neurologiche, ortopediche, vascolari). Training fisico in specifiche categorie di pazienti Angioplastica coronarica: l’esercizio fisico è indicato nei pz. sottoposti ad angioplastica con e senza stent, senza rischio di restenosi acuta indotta dall’esercizio e con un possibile effetto favorevole sulla progressione della malattia coronarica. Coronaropatici anziani: gli effetti favorevoli della riabilitazione sulla capacità funzionale e sulla qualità della vita sono stati dimostrati anche in pazienti di età > 75 aa. Paziente cardiochirurgico. Esercizi ROM (Range Of Motion): - Spalla: flessione, abduzione, intra- ed extrarotazione - Gomito: flessione - Anca: flessione, abduzione, intra- ed extrarotazione - Piede: estensione plantare, dorsiflessione - Caviglia: inversione, eversione Permettono di ridurre i tempi di ripresa completa, di ridurre il discomfort durante il periodo di ricovero ospedaliero e di prevenire i possibili problemi legati ad una scorretta postura e alla perdita di forza e mobilità. Sono controindicati nei pazienti con complicazioni post-chirurgiche a livello della sternotomia. Stretching Va iniziato precocemente, 24h dopo By-Pass Aorto Coronarico (BPAC) o 2 giorni dopo l’infarto Programma: una volta al giorno ed ogni esercizio va ripetuto 10-15 volte con sforzo da lieve a moderato. Esercizi di resistenza Da evitare nei primi tre mesi dopo sternotomia e BPAC per dare allo sterno il tempo di saldarsi completamente. Nel singolo paziente si possono iniziare in base ai sintomi e all’evoluzione della ferita chirurgica. Determinano un aumento della forza muscolare, permettendo di svolgere le normali attività con una minore richiesta di O2, in quanto fa si che si determini una minore forza contrattile muscolare, con diminuzione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa. Esercizio fisico nella Cardiopatia Ischemica cronica La prognosi a lungo termine è significativamente migliore quando viene ottenuta e mantenuta una capacità funzionale più elevata. Pazienti clinicamente stabili, a basso profilo di rischio, possono effettuare varie tipologie di esercizio fisico di tipo ricreativo autonomamente, senza necessità di sorveglianza. Pazienti clinicamente stabili e a basso rischio, ma con difficoltà all’aderenza o al cambiamento dello stile di vita o con altri fattori di rischio, possono effettuare l’esercizio fisico autonomamente, ma necessitano di periodici rinforzi (medico curante o struttura riabilitativa di riferimento). Pazienti con condizioni che li espongono al rischio di progressione di malattia (diabete, ipertensione) o di deterioramento della funzione cardiaca (malattia coronarica plurivasale) devono effettuare esercizio fisico solo con rivalutazioni periodiche che ne documentino la stabilità; la prescrizione deve essere limitata ad attività aerobiche a bassa intensità. Pazienti con profilo di rischio medio-elevato dovrebbero effettuare attività fisica in strutture dedicate, con esperienza e competenza degli operatori; nei casi più complessi è necessaria anche la supervisione medica. Perché l’attività fisica nel cardiopatico ischemico? Gli effetti positivi consistono in un miglioramento dell’assetto emocoagulativo, con riduzione del fibrinogeno e dei livelli dell’attivatore tissutale del plasminogeno (pro-trombotici) ed aumento dell’attività fibrinolitica. Si ottiene inoltre un controllo dell’obesità. E’ documentata una correlazione positiva tra training fisico e riduzione della morbilità e mortalità cardiovascolare. È importante tenere presente che l’attività fisica sporadica o occasionale determina un aumento dell’aggregazione piastrinica, mentre l’attività fisica regolare riduce l’attivazione piastrinica e riduce anche la produzione di citochine infiammatorie e della PCR, che favoriscono i fenomeni ischemici. Risultati della riabilitazione Aumento della capacità funzionale (+ 30%) attraverso modificazioni cardiache, emodinamiche, neurormonali, scheletriche e metaboliche. L’incremento funzionale avviene già dopo 3-6 mesi dall’inizio del programma riabilitativo e risulta più accentuato nei coronaropatici non allenati. Anche nel paziente anziano cardiopatico l’esercizio fisico migliora la performance funzionale, con incrementi compresi tra il 34 e il 53%. Si osserva aumento della resistenza allo sforzo fisico, con maggiore durata degli sforzi effettuati e minore aumento della F.C. e della P.A. a parità di sforzo compiuto. Studi effettuati dopo un anno di lavoro riabilitativo hanno dimostrato una riduzione rilevante dei segni di ischemia miocardica indotta dall’esercizio, valutata sia ECGraficamente che con scintigrafia perfusoria. Si ottiene inoltre una maggiore quota di estrazione di O2 e minore consumo miocardico di O2. Vantaggi psicologici dell’esercizio fisico aerobico Il paziente non si sente diverso e non si sente limitato dalla sua malattia, può autogestire l’esercizio fisico moderato e quindi migliora la qualità della vita. Rischi della riabilitazione L’incidenza di arresto cardiaco durante attività fisica in programmi di training in coronaropatici è sovrapponibile a quella riscontrabile durante normale attività quotidiana (1 caso per 112.000 ore).