il legato - Libri Professionali

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Capitolo 9
La successione a titolo particolare:
il legato
Sommario: 1. Nozione. - 2. Distinzione tra legato ed eredità. - 3. L’acquisto del legato e la rinunzia. - 4.
Figure particolari di legato.
1. Nozione
Il legato è una disposizione «mortis causa» a titolo particolare, in base alla quale un soggetto, «legatario», succede in uno o più determinati diritti reali o in uno o più rapporti determinati,
e non in una quota dell’intero patrimonio, come l’erede.
In relazione alla fonte distinguiamo:
— il legato testamentario che è la figura tipica del legato che trae origine da una disposizione testamentaria;
— il legato ex lege che trae origine da una norma di legge (ad es.: assegno vitalizio spettante al figlio naturale non riconoscibile).
In relazione al contenuto si distinguono:
— legato di specie: ha per oggetto o il diritto di proprietà su un bene determinato (o quota di bene determinato), o altro diritto reale, già appartenente al testatore;
— legato di genere o di quantità (artt. 653-654): ha per oggetto una cosa che fa parte di un genere (es.: danaro) ed ha efficacia obbligatoria poiché solo in seguito alla specificazione, il legatario diventa proprietario della cosa;
— legato reale che attribuisce al legatario un diritto di proprietà o un diritto reale limitato;
— legato obbligatorio che attribuisce al legatario un diritto di credito che nasce dal testamento e fa sorgere un’obbligazione a carico dell’onerato;
— legato liberatorio che libera il legatario da un’obbligazione.
Si ricordi, inoltre, che si ha sublegato quando il soggetto che è tenuto alla prestazione oggetto del legato è, anziché l’erede, un altro legatario.
È, invece, prelegato il legato del quale beneficiario sia uno dei coeredi. Costui, pertanto, cumula (a carico di tutta l’eredità) le due qualità di coerede e di legatario. L’art. 661 dispone che il
prelegato è considerato legato per l’intero ammontare che grava, quindi, su tutta l’eredità e, cioè,
anche sulla quota dello stesso legatario quale erede.
2. Distinzione tra legato ed eredità
Legato è, come già detto, la disposizione mortis causa a titolo particolare.
La distinzione fra eredità e legato rileva sotto i profili della:
— continuazione nel possesso: l’erede, in quanto successore a titolo universale nei rapporti attivi e passivi del «de cuius»
(«in toto», o per quota), subentra al defunto anche nel possesso, che continua nell’erede, fin dall’apertura della successione con gli stessi caratteri che aveva rispetto al defunto (buona o malafede, vizi, etc. art. 1146 comma 1). Il legatario, invece, non subentra nel possesso; inizia un nuovo possesso al quale può «unire quello del suo autore per goderne gli effetti (1146 comma 2) (accessione del possesso);
— responsabilità per i debiti ereditari: l’erede, poiché subentra nell’insieme dei rapporti giuridici del «de cuius», risponde dei debiti del defunto anche coi propri beni salvo che abbia accettato con formula del «beneficio d’inventario».
Il legatario, succedendo in uno o più determinati rapporti attivi, non è tenuto a pagare i debiti ereditari, a meno che il
defunto non gli abbia posto a carico espressamente il pagamento di qualche debito (in tal caso, però, il legatario non è
vincolato al di là dei limiti del valore del legato ricevuto);
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Libro I: Diritto civile - Parte V: La famiglia e le successioni
— necessità dell’accettazione: la successione a titolo universale richiede un atto di volontà del successore: occorre infatti, l’accettazione per l’acquisto dell’eredità (459).
La successione a titolo particolare, invece, si realizza senza un apposito atto di volontà del destinatario della attribuzione ed opera «ipso iure» cioè di diritto (salvo la possibilità di rinuncia).
Differenze
Poiché, dal punto di vista dell’effetto pratico, legato e modus presentano delle affinità, è opportuno metterne in evidenza alcune differenze.
Secondo il criterio differenziale proposto da GIORGIANNI, si ha legato quando il testatore ha designato
come onorato una persona determinata o determinabile ai sensi dell’art. 631, mentre si ha modus negli
altri casi, ossia quando il beneficiario è indeterminato.
Secondo altri criteri proposti da altra dottrina:
— il modus è elemento accidentale di un negozio giuridico e non implica successione, mentre il legato è
un negozio esso stesso che implica, di regola, successione;
— il modus è un negozio indiretto per beneficiare un soggetto che diventa avente causa dall’onerato, mentre il legato ha per contenuto una attribuzione patrimoniale diretta a favore del legatario che diventa
avente causa del de cuius;
— il modus implica sempre una diminuzione dell’entità della disposizione testamentaria, nei confronti
dell’onerato, mentre il legato può anche consistere in un facere o in un non facere a carico dell’erede.
3. L’acquisto del legato e la rinunzia
A) L’acquisto del diritto al legato
L’acquisto del legato ha luogo «ipso iure», senza che occorra accettazione (art. 649): pertanto, a differenza che nell’acquisto dell’eredità, delazione ed acquisto del diritto coincidono logicamente e cronologicamente.
Se, tuttavia, il legatario faccia ugualmente l’accettazione, questa vale come conferma dell’acquisto o come volontà di non rinunciare.
B) La rinunzia al legato (art. 649)
La rinunzia al legato è un atto abdicativo: infatti, a differenza della rinunzia all’eredità, opera rispetto ad un diritto già acquistato e porta, quindi, non ad un mancato acquisto, ma alla perdita di un acquisto già fatto.
La rinunzia al legato è un «actus legitimus»: non tollera, cioè, l’apposizione né di termini né
di condizioni (art. 520).
Si ricordi, infine, che si ha decadenza dal potere di rinunziare quando il legatario non dichiari
se intende rinunziare nel termine fissato dal giudice a norma dell’art. 650, su richiesta di chiunque vi abbia interesse (cd. «actio interrogatoria»).
4. Figure particolari di legato
A) Il legato di cosa altrui (art. 651)
È questo un legato di cosa che non rientra nel patrimonio del testatore. La validità di un legato
siffatto è subordinata alla conoscenza da parte del testatore della alienità della cosa.
Quando la cosa oggetto del legato appartiene ad un terzo, l’onerato è obbligato ad acquistarne la proprietà ed a trasferirla al legatario, ma può liberarsi corrispondendo al legatario il giusto prezzo.
L’onerato, qualora la cosa sia di un terzo e non sua, è tenuto ad un’obbligazione facoltativa: deve procurare la cosa al legatario, ma è in sua facoltà di liberarsi corrispondendogli il giusto prezzo.
Capitolo 9: La successione a titolo particolare: il legato
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B) Il legato di un credito (art. 658)
È il legato di un credito spettante al testatore verso un terzo o verso l’onerato; esso rappresenta un caso di successione particolare «mortis causa» nel credito ed è valido per la parte di credito che sussista al tempo della morte del testatore.
C) Il legato di liberazione da un debito (art. 658)
È quello che libera il legatario da un debito nei confronti del testatore. È una rimessione di
debito fatta per atto «mortis causa».
D)Il legato a favore del creditore del testatore (art. 659)
Si ricordi che: se il debito è menzionato, il cd. legato è da considerare fatto a titolo di pagamento del debito; se il debito non è menzionato, si presume (salva prova contraria) che il legato
sia fatto non a titolo di pagamento, ma a titolo di liberalità: quindi, il creditore avrà diritto anche al pagamento del debito.
Capitolo 4
Le cause di esclusione del reato
Sommario: 1. Le cause oggettive di esclusione del reato. - 2. Cause di giustificazione non codificate. - 3. Cause soggettive di esclusione del reato. - 4. Segue: L’errore. - 5. Segue: Il reato aberrante. - 6. Il reato putativo.
Per la esistenza di un reato non basta la sussistenza di un comportamento umano cosciente e
volontario conforme alla descrizione della norma incriminatrice. È altresì necessario che non ricorrano cause soggettive od oggettive di esclusione del reato, cioè situazioni (espressamente previste dalla legge) in presenza delle quali un fatto che normalmente costituisce reato va esente da pena.
Esaminiamole nei paragrafi che seguono.
1. Le cause oggettive di esclusione del reato
Le cause oggettive di esclusione del reato sono comunemente denominate «cause di giustificazione» o «scriminanti».
L’esistenza di una causa di giustificazione esclude l’antigiuridicità del fatto, cioè il contrasto
di esso con un precetto dell’ordinamento giuridico (in quanto lo giustifica) e, quindi, esclude il
reato. La loro rilevanza è obiettiva, per cui sono valutate «a favore dell’agente anche se da lui non
conosciute o da lui per errore ritenute inesistenti» (art. 59, comma 1, c.p.).
Le cause di giustificazione previste dalla legge sono:
a) il consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.).
Il consenso del titolare del bene o del diritto protetto dalla norma esclude la illiceità di un fatto che normalmente arrecherebbe offesa a quel bene o a quel diritto in quanto viene a priori
a cadere la possibilità di un danno.
Il consenso, a norma dell’art. 50, deve:
— avere ad oggetto un diritto disponibile.
Secondo la dottrina più recente debbono ritenersi indisponibili i diritti appartenenti alla collettività, nonché i beni
dell’individuo che sono tutelati indipendentemente dalla sua volontà, perché riconosciuti di interesse pubblico;
— essere prestato validamente dal soggetto capace e titolare di tale diritto. Legittimato a prestare il consenso è colui che, altrimenti, sarebbe il soggetto passivo del reato, sempre che abbia capacità di intendere e di volere al momento della manifestazione del consenso. Quanto alla capacità di agire, si discute in dottrina sul limite di età richiesto per il suo acquisto;
— sussistere al momento del fatto. Il consenso deve essere espresso con volontà non viziata da errore, violenza o dolo,
e deve essere lecito (non contrario a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume) e attuale (cioè esistente al momento del fatto);
b) l’esercizio di un diritto (art. 51 c.p.).
Il titolare di un diritto, nell’esercizio di esso, può compiere alcuni atti che normalmente costituiscono reato, rimanendo immune da pena.
Il fondamento di tale scriminante va rinvenuto nella logica considerazione che, se l’ordinamento ha attribuito ad un
soggetto un diritto e, quindi, la facoltà di agire nell’esercizio di esso in un certo modo, l’azione riconosciuta non potrà
certamente integrare un fatto illecito (esempio: il giornalista che riferisce obiettivamente fatti che ledono l’onore di una
persona non commette il reato di diffamazione, perché esercita un diritto riconosciutogli dalla legge).
Nell’ambito dei diritti l’esercizio dei quali è scriminato, la dottrina individua, oltre al diritto di cronaca giornalistica ed
alla disciplina familiare, anche il diritto di critica ed i cd. offendicula. In particolare, questi ultimi sono mezzi a tutela
della proprietà atti ad offendere. La giurisprudenza ammette, entro determinati limiti, l’uso degli offendicula.
Capitolo 4: Le cause di esclusione del reato
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Presupposti della scriminante sono:
— l’esistenza di un diritto;
— che il diritto sia esercitato dal suo titolare;
— che l’esercizio di esso non superi i limiti imposti dalla sua natura e dalla esistenza di diritti altrui;
c) l’adempimento del dovere (art. 51 c.p.).
Nella ipotesi in esame, il comportamento del soggetto non costituisce reato in quanto lo stesso non aveva alcuna facoltà di scelta, ma era tenuto a porlo in essere dovendo adempiere ad un
dovere; del fatto risponderà il superiore gerarchico che ha impartito l’ordine (art. 51 comma 2).
Il dovere può derivare:
a) da una norma giuridica (ad esempio: il soldato che uccide in guerra non commette il delitto di omicidio);
b) da un ordine dell’Autorità: ordine è qualsiasi manifestazione di volontà che un superiore rivolge ad un inferiore gerarchico affinché tenga un determinato comportamento. Presupposto della scriminante è l’esistenza, tra il superiore e l’inferiore, di un rapporto di subordinazione di diritto pubblico. L’ordine, inoltre, deve essere legittimo, tanto sotto il profilo sostanziale quanto sotto quello formale.
Per il primo tipo di legittimità devono esistere i presupposti richiesti dalla legge. L’ordine può essere disatteso solo
se manifestamente criminoso.
Per la legittimità formale dell’ordine è invece richiesto che:
— il superiore abbia la competenza ad emetterlo;
— l’inferiore abbia la competenza ad eseguirlo;
— siano state rispettate le procedure e le formalità di legge previste per la sua emissione.
Un caso particolare di attività giustificata da una norma giuridica è quello dell’uso legittimo delle armi (art. 53 c.p.).
Possono invocare tale scriminante i pubblici ufficiali e quei soggetti che su legale richiesta del p.u. gli prestino assistenza.
La legge ha, dunque, previsto una «riserva di competenza» a favore del pubblico ufficiale relativamente ai casi in cui è
legittimo il ricorso alle armi. La richiesta di assistenza è legale quando è fatta nei limiti e nei casi previsti dagli artt. 652
c.p. e 380 c.p.p.
Le condizioni perché si possa invocare la scriminante sono le seguenti:
a) che il soggetto sia determinato dal fine di adempiere un dovere del proprio ufficio;
b) che il soggetto sia costretto a far uso delle armi dalla necessità (l’uso delle armi costituisce «extrema ratio») di respingere una violenza, vincere una resistenza, impedire la consumazione dei delitti di cui all’ultimo inciso dell’art. 53.
Quanto alla resistenza è discusso se in essa rientri, oltre quella attiva, anche la passiva quale l’inerzia o la fuga per
impedire al pubblico ufficiale di adempiere un dovere di ufficio (ad es. dimostranti che bloccano il traffico ferroviario sedendosi sulle rotaie).
L’art. 53 comma 3 c.p. richiama altri casi in cui la legge autorizza l’uso delle armi o di altri mezzi di coazione fisica;
d) legittima difesa (art. 52 c.p.).
Purché vi sia un pericolo attuale per il proprio od altrui diritto, derivante da una aggressione
ingiusta da parte di un terzo, il soggetto può reagire compiendo in danno dell’aggressore una
azione che normalmente costituisce reato, sempre che tale reazione sia assolutamente necessaria per salvare il diritto minacciato e sia proporzionata all’offesa (esempio: il soggetto che
uccide per difendersi da chi gli si sta scagliando contro armato di coltello e con evidente intenzione omicida). È talvolta ammessa la legittima difesa anticipata.
Requisiti dell’aggressione perché ricorra la scriminante sono:
—
—
—
—
oggetto dell’offesa deve essere un diritto;
l’offesa deve essere ingiusta, cioè contraria al diritto;
il pericolo minacciato deve essere attuale;
il pericolo non deve essere stato determinato volontariamente dall’agente.
Agli stessi fini la reazione deve essere:
— costretta;
— necessaria;
— proporzionata all’offesa; proporzione che secondo la dottrina più recente deve sussistere tra il male minacciato e
quello inflitto.
Peraltro, a seguito dei correttivi operati sulla previsione dalla nuova legge in materia di legittima difesa (L. 13-2-2006,
n. 59), è stata introdotta una ipotesi nella quale, in deroga alla regola generale anzidetta, la sussistenza del rapporto di proporzione fra la reazione dell’aggredito e l’offesa minacciata viene presunta «ex lege» (dunque sottratta alla valutazione del
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Libro II: Diritto penale - Parte I: Parte generale
giudice), nel caso in cui il fatto avvenga nel domicilio dell’aggredito o nel suo luogo di lavoro (per tale intendendosi ogni
luogo in cui si eserciti una attività commerciale, professionale o imprenditoriale). In particolare, si esclude la punibilità di
chi, legittimamente presente in uno dei luoghi appena indicati, usi un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo
al fine di difendere la propria o altrui incolumità, ovvero i beni propri o altrui, nel caso in cui non vi sia desistenza e sussista un pericolo d’aggressione. Si è precisato in giurisprudenza che, per la configurabilità della scriminante, il requisito della necessità della difesa, anche a seguito delle modifiche apportate all’art. 52 cod. pen. dalla L. n. 59 del 2006, va inteso nel
senso che la reazione deve essere, nelle circostanze della vicenda apprezzate «ex ante», l’unica possibile, non sostituibile con
altra meno dannosa egualmente idonea alla tutela del diritto (Cass. 24-6-2008, n. 25653);
e) stato di necessità (art. 54 c.p.).
Ricorrendo il pericolo attuale di un danno grave alla persona (esempio: per il bene della vita
o della incolumità personale) e purché la situazione di pericolo non sia stata causata dallo
stesso agente (con dolo o per colpa), il soggetto può compiere in danno di un terzo un’azione
che normalmente costituisce reato, sempre che questa sia assolutamente necessaria per salvarsi e sia proporzionata al pericolo, e sempre che il soggetto non abbia un particolare dovere di esporsi al pericolo stesso (esempi tipici: l’alpinista che, per salvarsi, taglia la corda che
lo lega al compagno sospeso nel vuoto e che rischia di trascinarlo con sé nel baratro; il naufrago che fa annegare un suo compagno in quanto la zattera su cui si trova non può sostenere il peso di più di una persona).
Perché ricorra lo stato di necessità occorre, dunque:
— l’esistenza di una situazione di pericolo attuale, da cui possa derivare un danno grave alla persona la quale non lo
abbia causato né sia tenuto ad esporvisi;
— un’azione lesiva assolutamente necessaria per salvarsi e proporzionata al pericolo.
L’ultimo comma dell’art. 54 statuisce che, se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo;
Differenze
Legittima difesa
Stato di necessità
• Il male minacciato può riguardare sia diritti personali che patrimoniali.
• Il male minacciato deve riguardare solo diritti personali.
• Si reagisce contro colui che aggredisce.
• Si reagisce contro un terzo estraneo ed incolpevole, a tal proposito la dottrina definisce lo stato
di necessità come la scriminante amorale.
• Esclude l’antigiuridicità del fatto.
• Esclude l’antigiuridicità del fatto ma residua per
l’agente l’onere di versare un equo indennizzo
alla vittima.
f) errore sulle cause di giustificazione (art. 59 c.p.).
L’errore sulle scriminanti è disciplinato specificamente dall’art. 59 c.p., il quale, conformemente alla disciplina dettata per l’errore sul fatto, stabilisce che: «se l’agente ritiene per errore che
esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo».
Per l’operatività della scriminante putativa è necessario che l’agente supponga di trovarsi in una situazione di fatto tale
che, ove sussistesse realmente, egli eserciterebbe un diritto, adempirebbe un dovere giuridico, si troverebbe in uno stato di necessità o di legittima difesa.
Qualora, invece, il soggetto agente ritenga erroneamente esistente una scriminante, in realtà non prevista dalla legge, il
suo è un errore sul precetto, e come tale penalmente irrilevante.
Così, andrà assolto, perché il fatto non costituisce reato, colui che uccida una persona credendo di essere assalito da un
malvivente, qualora il suo errore non sia colposo e qualora nella sua condotta non si ravvisi un eccesso di legittima difesa (nel qual caso risponderà per omicidio colposo ex artt. 59, comma 3, e 55 c.p.).
Se però, pur sussistendo tutti i presupposti per il ricorrere di una causa di giustificazione, l’agente colposamente ne travalichi i limiti (eccesso colposo) «si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla
legge come delitto colposo» (art. 55 c.p.).
Capitolo 4: Le cause di esclusione del reato
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2. Cause di giustificazione non codificate
La dottrina ritiene che possa farsi ricorso al procedimento analogico per individuare altre
cause di giustificazione non contemplate espressamente dalla legge.
Sono state individuate le seguenti ipotesi:
— informazioni commerciali: allorché tali informazioni vengano fornite dietro richiesta a più persone e per il contenuto
siano offensive dell’altrui reputazione (esempio: il signor X suole non far fronte ai suoi impegni), formalmente ricorrerebbero gli estremi del reato di diffamazione (art. 595): il fatto, tuttavia, non è punibile in base all’art. 51, trattandosi di
facoltà riconosciuta da una norma consuetudinaria o implicita nella tutela dell’attività commerciale ex art. 41 Cost.;
— trattamento medico-chirurgico: per la liceità dell’attività medico-chirurgica diretta a circoscrivere o guarire gli effetti di
una malattia o ad eliminare o ridurre una deformità si ritiene necessario il consenso del paziente (o consenso presunto nel caso dell’infortunato operato urgentemente in stato di incoscienza). Il fondamento di tale scriminante è da ricercare nel fatto che l’attività medico-chirurgica risponde ad un interesse sociale;
— attività sportiva: il danno prodottosi fortuitamente nel corso di un’attività sportiva violenta, pur nel pieno rispetto delle regole del gioco, non può dirsi scaturente da atto illecito.
Il fondamento di tale scriminante non risiede nella consuetudine e neppure nel consenso dell’offeso (perché vi osta l’art.
5 c.c.), ma, secondo BETTIOL, allorché si abbia a soddisfare un dato interesse che si ritiene proprio di tutta la collettività (come il potenziamento fisico della gioventù attraverso lo sport), occorre anche assumere il rischio della lesione di
un interesse individuale relativo alla integrità fisica.
3. Cause soggettive di esclusione del reato
Sono le cd. «scusanti» che fanno venir meno la colpevolezza, cioè l’elemento soggettivo del reato. Il fatto materiale posto in essere dal soggetto rimane antigiuridico ma, mancando l’elemento soggettivo (dolo o colpa), esso non costituisce reato e, quindi, non è punibile.
a) Determinano l’esclusione del nesso psichico (coscienza e volontà dell’azione ex art. 42 c.p.):
1) incoscienza indipendente dalla volontà: si ha in tutti i casi in cui il soggetto pone in essere un fatto costituente reato in stato di totale incoscienza che non può farsi risalire alla
sua volontà, neppure a titolo di colpa (es.: azioni che il soggetto compie agitandosi in preda al delirio di una malattia);
2) forza maggiore (art. 45 c.p.): consiste in una forza esterna all’uomo che per il suo potere superiore determina inevitabilmente il soggetto all’azione, anche contro la sua volontà (es.: un
operaio, intento a lavorare su un’impalcatura che, sbalzato al suolo da un violentissimo colpo di vento, cadendo cagiona la morte di un passante schiacciato dal peso del suo corpo);
3) costringimento fisico (art. 46 c.p.): è un’ipotesi di forza maggiore in virtù della quale l’autore del reato è la longa manus di altro soggetto che è l’unico responsabile del reato (es.:
chi è costretto con la forza a premere il grilletto di una pistola, uccidendo altra persona).
b) Determinano la mancanza di dolo o colpa:
1) il caso fortuito (art. 45), allorché si verifica, per effetto del comportamento dell’agente, un
evento da lui non voluto, né da lui causato per imprudenza o negligenza (es.: un automobilista procedendo nel pieno rispetto delle norme sulla circolazione stradale investe un ciclista che, colpito da un malore, gli taglia improvvisamente la strada senza che lui possa
far niente per evitare l’investi­­mento);
2) l’errore sul fatto costituente reato (art. 47): consiste in una inesatta percezione della realtà del soggetto che, pertanto, ritiene di porre in essere un fatto concreto diverso da quello
vietato dalla norma penale.
Differenze
Non sempre agevole risulta la distinzione tra caso fortuito e forza maggiore. In proposito, la dottrina
più risalente affermava che, nel caso fortuito, la forza che determina l’azione è inconoscibile e collabora con l’azione del soggetto alla produzione dell’evento, mentre nella forza maggiore questa è imprevedibile e si pone contro la volontà del soggetto il quale inutilmente tenterebbe di contrastarla per impedire
l’evento. La dottrina moderna, in sostanziale accordo con la giurisprudenza, afferma, invece, che, men-
184
Libro II: Diritto penale - Parte I: Parte generale
tre il caso fortuito copre l’area degli accadimenti che si svolgono al di fuori dell’id quod plerumque accidit, la forza maggiore si riferisce ad un accadimento che, ancorché preveduto o prevedibile, tuttavia non
può essere evitato da chi agisce. In sostanza, ciò che caratterizza la forza maggiore è l’irresistibilità, mentre il caso fortuito è connotato dall’imprevedibilità.
4. Segue: L’errore
L’errore può incidere:
1) sul processo di formazione della volontà, la quale nasce, quindi, viziata da una falsa rappresentazione della realtà: cd. errore-motivo;
2) sulla fase esecutiva del reato, cioè sul momento in cui la volontà viene attuata: si parla, in tal
caso, di errore-inabilità, che si ha nel cd. reato aberrante.
A sua volta, l’errore-motivo si distingue in:
— errore sul divieto, che cade sulla norma che prevede il fatto;
— errore sul fatto, che cade sul fatto previsto dalla norma.
Come osserva MANTOVANI, nell’errore sul divieto l’agente vuole un fatto identico a quello previsto dalla norma incriminatrice, credendo che esso non sia vietato: egli erra, quindi sulla qualificazione penale del fatto; viceversa, nell’errore sul fatto, l’agente vuole un fatto diverso da quello incriminato, ed erra, quindi, sulla corrispondenza del fatto alla fattispecie penale.
Pertanto, mentre l’errore sul divieto non esclude nel soggetto la coscienza dell’offensività del fatto, e quindi il dolo, l’errore sul fatto fa venir meno la volontà del fatto criminoso: qualora però l’errore sul fatto sia dovuto a colpa, l’agente risponderà del fatto se questo è previsto come delitto colposo.
L’errore sul divieto (o sul precetto) si ha quando il soggetto si rappresenta, vuole e realizza
un fatto materiale che è perfettamente identico a quello vietato dalla norma penale, ma che egli,
per errore, crede non costituisca reato.
L’errore sul divieto può derivare:
— dalla ignoranza o erronea interpretazione della legge penale;
— dalla ignoranza o erronea interpretazione della legge extrapenale, richiamata dalla norma penale, quando non si traduca
anche in un errore sul fatto.
L’errore sul precetto è penalmente irrilevante, a meno che non sia inevitabile: infatti, l’art. 5
c.p., nel testo modificato recentemente dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 364/1988, prevede che «l’ignoranza della legge penale non scusa, tranne che si tratti di ignoranza inevitabile».
L’errore sul fatto si ha quando il soggetto, che può anche conoscere con precisione la norma
penale, crede di realizzare un fatto diverso da quello vietato dalla norma penale (art. 47 comma 1).
L’errore sul fatto può derivare:
— da un errore di fatto che consiste in una mancata o imperfetta percezione di un dato della realtà
sensibile, per effetto del quale il soggetto agente ritiene di porre in essere un fatto concreto diverso
da quello vietato dalla norma penale. Esso può cadere sugli elementi positivi e negativi del reato;
— da un errore sulla legge extrapenale richiamata dalla legge penale laddove per legge extrapenale s’intende una norma diversa da quella penale e da quest’ultima richiamata ai fini della
determinazione della fattispecie criminosa; sono tali, ad esempio, le norme civilistiche concernenti la proprietà, rilevanti per la definizione del concetto di altruità della cosa nei reati
contro il patrimonio. Inoltre, l’errore sulla legge extrapenale può tradursi in:
— un errore sul precetto, che non esclude la responsabilità penale (salvo che, come si è detto, non sia inevitabile);
— un errore sul fatto, che esclude la responsabilità penale quando è scusabile;
— da un errore su una norma sociale richiamata dalla legge penale.
Concludendo, l’errore sul fatto esclude il dolo e, quando sia scusabile, anche la colpa; quando invece l’errore sul fatto è inescusabile, l’agente risponde a titolo di colpa, se il fatto è previsto
dalla legge come delitto colposo.
Capitolo 4: Le cause di esclusione del reato
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Tipologie di errore
➤
errore-inabilità
reato aberrante (artt. 82-83 c.p.)
➤
errore-motivo
errore sul precetto (art. 5 c.p.): realizzazione di fatto di reato nell’erronea convin- ➤
zione che non costituisca reato, derivante
errore sul fatto (art. 47 c.p.): realizzazione
di fatto di reato nell’erroneo convincimento di realizzare fatto penalmente irrilevan- ➤
te, derivante
da ignoranza o erronea interpretazione della legge penale
da ignoranza o erronea interpretazione di legge extrapenale
da errore di fatto
da errore su legge extrapenale
5. Segue: Il reato aberrante
È un’ipotesi di errore nell’esecuzione del reato.
Aberratio ictus: ricorre quando il reo, per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato (es. il proiettile deviando colpisce un soggetto anziché un altro) o per altra causa (es. nel momento in cui l’agente preme il grilletto la persona presa di mira cade e viene colpito altro soggetto) cagiona offesa a persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta. Il colpevole risponde
come se avesse commesso il reato in danno della persona che voleva offendere.
Quando poi, oltre alla persona diversa, sia colpita anche quella alla quale l’offesa era diretta, il colpevole soggiace alla pena stabilita per il reato più grave aumentata fino alla metà (vedi
schema a fine capitolo).
Aberratio delicti: si ha quando il reo, per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato
o per altra causa, cagiona un evento diverso da quello voluto (Es. Tizio vuole ammazzare Caio
e gli spara contro ma, mentre tira, Caio cade e il proiettile colpisce materie infiammabili provocando un incendio). Il colpevole risponde dell’evento non voluto a titolo di colpa (sempre che
il fatto sia previsto dalla legge come delitto colposo; nell’es. Tizio risponderà di incendio colposo). Se il colpevole realizza poi anche l’evento voluto, si applicano le norme sul concorso di reati.
Dalla dottrina, infine, è stata creata una terza figura di «aberratio», la cd. aberratio itineris
causarum (o aberratio causae), che si verificherebbe quando per errore nella fase consumativa
la successione causale si sia svolta in maniera diversa da quella prevista dall’agente. È il caso di
chi, volendo ammazzare un soggetto mediante annegamento, lo scaraventa nel fiume, ma il soggetto muore perché batte la testa contro un sasso.
In questo caso, però, nessun effetto produce la diversa successione causale in quanto il soggetto risponderà sempre per omicidio doloso.
Diverso è il discorso per quanto riguarda i cd. reati a forma vincolata, in relazione ai quali le
modalità dell’azione causale costituiscono elementi essenziali. In queste ipotesi, difatti, pur sussistendo il dolo, l’agente non è punibile, non avendo realizzato la condotta tipica prevista e sanzionata dall’ordinamento.
Per il reato aberrante, v. anche schema riportato a fine capitolo.
6. Il reato putativo
Ricorre quando l’agente commette un fatto che non costituisce reato, credendo erroneamente che esso costituisca reato (art. 49 c.p.; ad es.: il soggetto crede di commettere furto, ma in realtà la cosa asportata è propria).
186
Libro II: Diritto penale - Parte I: Parte generale
Il reato putativo, in realtà, è un fatto lecito del tutto indifferente per il diritto penale, quindi
il suo autore non è punibile a meno che concorrano nel fatto gli elementi costitutivi di un reato
diverso, nel qual caso risponderà di quest’ultimo (es.: un soggetto, credendosi imprenditore, ritiene di commettere bancarotta; anche se il soggetto non è passibile di bancarotta, tuttavia, se
nel fatto ricorrono gli estremi dell’appropriazione indebita risponderà ugualmente di tale reato).
Nonostante la dimostrata pericolosità sociale, il giudice non può irrogare nei confronti del
soggetto attivo una misura di sicurezza, mentre può irrogarla nei confronti dell’autore di un reato impossibile.
aberratio ictus
(art. 82 c.p.)
aberratio delicti
(art. 83 c.p.)
errore nell’esecuzione
del reato
errore nell’esecuzione
del reato
offesa a persona diversa
da quella voluta
evento diverso
da quello voluto
in via esclusiva
a.i. monolesiva
congiunta a quella
della vittima designata
a.i. plurilesiva
in via esclusiva
a.d. monolesiva
pena prevista per
il reato (irrilevanza
dell’errore
sulla persona)
pena prevista per
il reato più grave aumentata fino alla metà
responsabilità
a titolo di colpa,
se fatto configurabile
in forma colposa
circostanze
imputate
ex art. 60 c.p.
aberratio
causae
decorso causale
diverso da quello
voluto
reati a forma
libera
reati a forma
vincolata
irrilevante
rilevante
congiunto
a quello perseguito
a.d. plurilesiva
configurabile
concorso
di reati
Capitolo 7
L’attività negoziale e consensuale
della Pubblica Amministrazione
Sommario: 1. L’attività contrattuale della P.A. in generale. - 2. Classificazione dei contratti della P.A. - 3. La
disciplina in materia di appalti pubblici: dalle direttive comunitarie al Codice dei contratti pubblici. - 4. Il
diritto dei contratti pubblici dal Codice (D.Lgs. 163/2006) al Regolamento di esecuzione (D.P.R. 207/2010).
- 5. Il procedimento di formazione del contratto (l’evidenza pubblica). - 6. La tutela. - 7. Gli affidamenti in
house. - 8. Gli accordi integrativi e sostitutivi alla luce della L. 241/1990 e successive modificazioni. - 9. Gli
accordi di programma.
1. L’attività contrattuale della P.A. in generale
L’azione della P.A. può esplicarsi sia nelle forme proprie previste dal diritto pubblico, sia nelle forme comuni del diritto privato.
Nell’ambito dell’attività di diritto comune della P.A., assume particolare rilevanza l’attività
contrattuale dello Stato e degli altri enti pubblici che, pur costituendo manifestazione della capacità di diritto privato della P.A., è caratterizzata per essere regolamentata da una disciplina composita, formata da norme di diritto privato e norme riconducibili all’ordinamento giuspubblicistico.
Attualmente, sono sempre più frequenti le ipotesi in cui la pubblica amministrazione, nel perseguimento delle proprie finalità pubbliche, ricorre agli strumenti tipici del diritto privato, tra
i quali i contratti, rispetto a quelle in cui utilizza il provvedimento amministrativo, dando così
contezza di quel processo di rivisitazione del concetto stesso di supremazia che, da sempre, caratterizza il rapporto tra P.A. e cittadino.
La possibilità riconosciuta alla P.A. di esplicare la propria attività amministrativa, scegliendo, alternativamente tra il provvedimento amministrativo ed i moduli contrattual-privatistici,
comporta, sempre nell’ottica del perseguimento dei fini pubblici e nel rispetto dei principi fissati
dall’art. 97 Cost., conseguenze diverse in ordine al rapporto P.A.-cittadino, soprattutto con riferimento al regime che caratterizza i relativi atti. Ed invero, qualora la pubblica amministrazione decida di utilizzare strumenti propri del diritto pubblico, la stessa agisce, unilateralmente,
quale organo titolare di poteri autoritativi nei confronti del privato, ponendosi in una posizione di supremazia rispetto a quest’ultimo; laddove, invece, la P.A., nell’ambito della sua capacità di diritto privato, utilizzi strumenti propri di quest’ultimo (attività negoziale) si spoglia di
ogni prerogativa pubblicistica, ponendosi in tal caso, su un piano di parità con il privato cittadino, e divenendo «parte» del relativo rapporto giuridico (ALTIERI).
In tale prospettiva si colloca la previsione generale contenuta nell’art. 1, comma 1bis, L.
241/1990, ai sensi del quale «la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente»: dalla lettera della disposizione non sorgono dubbi sul fatto che il legislatore ha inteso formalizzare
una piena e generale capacità di diritto privato dell’amministrazione.
Il riconoscimento di tale generale capacità comporta che l’amministrazione può stipulare
qualsiasi tipo di contratto, tipico o atipico, con il solo limite che tale capacità può essere attuata
«soltanto nei casi in cui vi sia attinenza con le finalità pubbliche» (CASETTA).
Il ricorso allo strumento contrattuale da parte di una P.A. ha posto un delicato problema relativo al possibile rapporto
tra negozio privato ed interesse pubblico.
Capitolo 7: L’attività negoziale e consensuale della Pubblica Amministrazione
409
La particolarità sta nel fatto che l’amministrazione deve, in ogni caso, dar conto sia delle ragioni di interesse pubblico che la inducono ad utilizzare lo strumento negoziale in luogo di quello provvedimentale, sia dell’effettiva realizzazione
di tale interesse mediante il ricorso al contratto. Ciò significa che, anche laddove la P.A. decida di ricorrere allo strumento
contrattuale, deve essere sempre possibile la verifica ex post, da parte del privato ed eventualmente dell’autorità giurisdizionale, circa la rispondenza del proprio agire ai principi di buon andamento ed imparzialità, di matrice costituzionale. La cura
dell’interesse pubblico deve, pertanto, essere evincibile ed a tal fine assume specifico rilievo il procedimento di evidenza pubblica che deve precedere la stipulazione di un determinato contratto. In particolare, come è stato evidenziato dalla dottrina (IMMORDINO) anche i contratti della pubblica amministrazione sono la risultante dell’incontro di due volontà,
solo che, in tal caso, la volontà della P.A. risulta all’esito di un procedimento, regolato da norme di diritto pubblico, nel corso del quale «sono evidenziate ed esplicitate le ragioni di pubblico interesse che muovono la stazione appaltante, orientandone la discrezionalità» (CARINGELLA).
2. Classificazione dei contratti della P.A.
Lo strumento utilizzato dalla P.A. per la sua attività di diritto privato è il contratto. I contratti della P.A. possono così distinguersi:
a) contratti ordinari. Sono i cosiddetti contratti di diritto comune caratteristici dell’autonomia
privata (si pensi ad esempio alla vendita, alla locazione, al contratto di appalto). Essi non presentano alcuna particolarità rispetto agli schemi contrattuali utilizzati dai soggetti privati;
b) contratti speciali di diritto privato. Si definiscono, così, quei contratti regolati da norme di
diritto privato speciale (tali sono ad esempio i contratti di trasporto ferroviario). La loro peculiarità risiede, perciò, nel fatto di essere regolati da norme civilistiche di specie rispetto a
quelle generali del codice civile;
c) contratti ad oggetto pubblico. Sono quelli che si caratterizzano per l’incontro e la commistione tra provvedimento amministrativo e contratto. Si pensi ad esempio alle convenzioni
che si accompagnano alla concessione di un bene pubblico.
Inoltre, quando si parla di attività contrattuale della pubblica amministrazione si è soliti ricondurre i contratti stipulabili alla generale distinzione: contratti passivi-contratti attivi.
I contratti passivi sono quei contratti con i quali la P.A. si procura beni e servizi necessari al proprio funzionamento dietro erogazione di somme di denaro (es.: gli appalti, la compravendita, la locazione, il contratto d’opera etc.); i contratti attivi, viceversa, sono quei contratti mediante i quali l’amministrazione si procura delle entrate finanziarie (es.: la
compravendita, nel caso in cui la P.A. riveste il ruolo di venditore, la locazione quando il soggetto pubblico è locatore etc.).
3. La disciplina in materia di appalti pubblici: dalle direttive comunitarie al Codice dei contratti pubblici
La materia degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi è stata da sempre caratterizzata
da una molteplicità di normative, che ha spesso comportato l’allontanamento di tale fondamentale settore della contrattualistica dalla politica promossa dal legislatore europeo, basata sulle
quattro libertà di circolazione e sul principio concorrenziale.
Con l’obiettivo principale di rispondere ad esigenze di semplificazione e di modernizzazione, formulate sia dalle amministrazioni aggiudicatrici che dagli operatori economici, il legislatore comunitario ha varato le direttive n. 2004/17/CE e n. 2004/18/CE, rispettivamente volte ad
unificare la disciplina degli appalti e delle concessioni di lavori, servizi e forniture nei settori cd.
esclusi (ovvero nei settori gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, oggi definiti settori speciali), e la disciplina degli appalti e concessioni di lavori, servizi e forniture nei settori ordinari.
Nel rispetto del termine (31 gennaio 2006) fissato per l’attuazione delle dette direttive, l’art.
25 L. 62/2005 (legge comunitaria 2004) ha delegato il Governo a recepire le due norme europee;
alla delega ha dato attuazione il D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici).
410
Libro III: Diritto amministrativo
4. Il diritto dei contratti pubblici dal Codice (D.Lgs. 163/2006) al Regolamento di esecuzione (D.P.R. 207/2010)
A) La disciplina del Codice dei contratti
Il Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture è stato adottato, come visto, con
il D.Lgs 12-4-2006, n. 163, successivamente modificato ed integrato con il D.Lgs. 26-1-2007, n. 6,
con il D.Lgs. 31-7-2007, n. 113 e con il D.Lgs. 11-9-2008, n. 152.
Oltre ai citati interventi, di carattere correttivo del Codice, la materia dei contratti pubblici
è stata oggetto di altre previsioni che hanno di fatto delineato il diritto dei contratti pubblici.
Tra i numerosi provvedimenti normativi che hanno interessato la materia, si ricordano: il
D.Lgs. 20 marzo 2010, n. 53, con il quale è stata data attuazione, nel nostro ordinamento, alla
direttiva n. 2007/66/CE finalizzata al miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in
materia di aggiudicazione degli appalti pubblici; il D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, recante il Codice del processo amministrativo con il quale, nella sostanza, il rito processuale in materia di
affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture nonché i poteri del giudice amministrativo in
ordine al contratto medio tempore stipulato sono stati trasposti dal Codice dei contratti pubblici
al Codice del processo amministrativo (artt. 119 ss.).
Rientra nel diritto dei contratti pubblici, sia pur sotto il peculiare profilo di contrastare le infiltrazioni mafiose negli
appalti pubblici, la L. 13 agosto 2010, n. 136. In particolare, tale normativa, modificata dal D.L. 187/2010, conv. in L. 17
dicembre 2010, n. 217, ha introdotto l’obbligo per gli operatori economici coinvolti in appalti pubblici di utilizzare, anche
non in via esclusiva, conti correnti bancari o postali dedicati alle commesse pubbliche.
Un importante contributo alla formazione di una omogenea disciplina dei contratti pubblici
è, poi, stato fornito dal D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, con il quale è stato approvato il Regolamento di esecuzione e di attuazione del Codice dei contratti pubblici.
Ed infatti, si tratta di un testo strutturalmente ampio e complesso che, adottato ai sensi dell’art.
5 D.Lgs. 163/2006, è stato emanato al fine di completare la disciplina legislativa in materia di contratti pubblici e, in quanto fonte di rango secondario, contiene numerose novità di dettaglio.
In particolare, e senza alcuna pretesa di esaustività, si ricordano, tra le altre, la disciplina del
responsabile del procedimento, il quale viene configurato come il centro unitario di imputazione delle funzioni di scelta, controllo e vigilanza dell’appalto, e le disposizioni volte a tutelare
i lavoratori: mentre gli artt. 4 e 5 disciplinano il potere sostitutivo della stazione appaltante, rispettivamente, in caso di inadempienza contributiva e retributiva dell’esecutore e del subappaltatore, l’art. 6 regolamenta il documento unico di regolarità contributiva (DURC), ossia
un certificato che attesta il possesso, da parte di un operatore economico, del requisito generale di partecipazione alle gare (ex art. 38, comma 1, lett. i), del Codice), per cui i soggetti partecipanti non devono aver commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali. Il regolamento prevede l’acquisizione d’ufficio del
DURC da parte della stazione appaltante ed affida al responsabile del procedimento, in caso di
DURC irregolare per due volte consecutive, il potere di proporre la risoluzione del contratto con
il soggetto affidatario.
B) I principi
L’art. 2 del Codice detta una serie di principi generali che devono governare la procedura di
scelta del contraente a garanzia della qualità delle prestazioni.
Da una parte, viene stabilito che deve essere garantita la qualità delle prestazioni ed il rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, con evidente richiamo al dato normativo costituzionale, e dall’altra, si pone l’accento sulla necessità di procedere
all’affidamento nel rispetto dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità, tutti di matrice comunitaria, frutto
della elaborazione giurisprudenziale della Corte di giustizia e capisaldi della legislazione europea.
Capitolo 7: L’attività negoziale e consensuale della Pubblica Amministrazione
411
Alla enunciazione di carattere generale segue una specificazione, contenuta nel comma 2 dell’articolo, con la quale, con
riferimento al principio di economicità, si lascia ai criteri del bando la possibilità di subordinarne l’applicazione al perseguimento delle esigenze sociali, della tutela della salute e dell’ambiente nonché alla promozione dello sviluppo sostenibile. Se è
vero, quindi, che la portata della deroga è rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione, è altrettanto vero che in ogni
caso il detto principio, che deve sovrintendere l’azione amministrativa, deve conciliarsi con valori «sociali», espressione di
quell’economia mista di matrice costituzionale.
Gli ultimi due commi dell’articolo 2 del Codice contengono due importanti richiami: al rispetto delle disposizioni di cui
alla legge sul procedimento amministrativo, L. 241/90, per ciò che attiene le procedure di affidamento e le altre attività amministrative in tema di contratti pubblici, e ai principi fissati nel codice civile, relativamente all’attività contrattuale dei soggetti appaltanti.
C) Ambito di applicazione del Codice: soggettivo ed oggettivo
Affinché le norme del Codice possano essere applicate è necessario individuare sia i soggetti
che sono tenuti alla loro applicazione nello svolgimento della propria attività contrattuale (ambito soggettivo), sia le tipologie contrattuali alle quali esse si applicano (ambito oggettivo).
Entrambi gli aspetti trovano una compiuta risposta nell’art. 3 del Codice, dove sono fornite
una serie di definizioni generali che consentono di circoscrivere l’ambito di applicazione del testo normativo de quo.
Quanto al profilo soggettivo, la norma in questione, al comma 25, stabilisce che i contratti
devono essere affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici, con tale espressione intendendosi «le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti».
In particolare, poi, il legislatore ha fornito una definizione di organismo di diritto pubblico, individuandolo in qualsiasi organismo, anche in forma societaria, che presenti i seguenti caratteri: a) che sia istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; b) che sia dotato di personalità giuridica;
c) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.
Alla detta elencazione di carattere generale devono aggiungersi le ulteriori specificazioni operate dal legislatore in relazione alle varie parti del Codice che di volta in volta, nel caso specifico, devono essere applicate.
Nella nozione di «enti aggiudicatori» al fine dell’applicazione delle disposizioni delle parti I, III, IV e V rientrano le amministrazioni aggiudicatrici, le imprese pubbliche, e i soggetti che, non essendo amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche, operano in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi loro dall’autorità competente secondo le norme vigenti; mentre negli «altri soggetti aggiudicatori», ai fini dell’applicazione della parte II, sono da ricomprendere i soggetti privati tenuti all’osservanza delle disposizioni del Codice.
Quanto all’ambito oggettivo di applicazione del Codice, il D.Lgs. 163/2006 regola prevalentemente i contratti pubblici cd. passivi; nell’ambito di tale tipologia di contratti, particolare importanza è rivestita dagli appalti pubblici, per i quali il legislatore detta una disciplina specifica soprattutto per quanto attiene alle modalità di scelta del contraente.
Ai commi 6, 11 e 12 dell’art. 3 vengono, rispettivamente, fornite le definizioni dell’appalto e della concessione (di lavori pubblici e di servizi) utili a delimitare, con maggiore precisione, la portata applicativa del Codice. E, dunque, l’appalto è
un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto tra una stazione appaltante o un ente aggiudicatore e uno o più operatori
economici, aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi.
Specificamente, il contratto di appalto può avere ad oggetto:
1) lavori: comprendente l’esecuzione o, congiuntamente, la progettazione esecutiva e l’esecuzione, ovvero, previa acquisizione in sede di offerta del progetto definitivo, la progettazione esecutiva e l’esecuzione (art. 53), oppure, limitatamente
alle infrastrutture strategiche, l’esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un’opera rispondente alle esigenze specificate dalla
stazione appaltante o dall’ente aggiudicatore, sulla base del progetto preliminare o definitivo posto a base di gara;
2) servizi: aventi ad oggetto la prestazione dei servizi individuati dal legislatore;
3) forniture: aventi ad oggetto l’acquisto, la locazione finanziaria, la locazione o l’acquisto a riscatto, con o senza opzione
per l’acquisto, di prodotti.
412
Libro III: Diritto amministrativo
Le concessioni di lavori pubblici, invece, vengono definite come «contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta, aventi ad oggetto, in conformità al presente Codice, l’esecuzione, ovvero la progettazione esecutiva e l’esecuzione, ovvero la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e l’esecuzione di lavori pubblici o di pubblica utilità, e di lavori ad
essi strutturalmente e direttamente collegati, nonché la loro gestione funzionale ed economica, che presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di lavori, ad eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo»; infine, le concessioni di servizi che, pur presentando le
medesime caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, vengono dal legislatore definite a contrario, differenziandole da
quest’ultimo per la loro peculiarità di avere come corrispettivo della fornitura di servizi unicamente il diritto di gestire i servizi ovvero tale diritto accompagnato da un prezzo.
Da altro punto di vista, le disposizioni del Codice si applicano sia ai contratti di rilevanza
comunitaria che a quelli cd. sotto soglia. Tale distinzione, inizialmente molto importante ai fini
dell’individuazione della disciplina applicabile, è venuta nel tempo scemando: ed infatti, ai contratti sotto soglia è dedicato il Titolo II della Parte II del Codice, che estende a questi ultimi la disciplina dettata per i contratti di rilevanza comunitaria, salvo limitate eccezioni, previste dal legislatore, in materie ben specifiche, quali la pubblicità, i termini di presentazione delle offerte etc.
Per quanto riguarda la determinazione del valore della soglia, il regolamento n. 177/2009/CE
del 30 novembre 2009 ha disposto che dal 1° gennaio 2010, la soglia è di 193.000 euro per gli
appalti di forniture e 4.845.000 euro per gli appalti e le concessioni di lavori pubblici.
Una questione di rilievo, in tema di appalti, è quella relativa alla presentazione di offerte anomale ed alla possibilità
dell’amministrazione di escludere le stesse dalla procedura concorsuale senza verificarle.
Il Codice dei contratti non contiene una definizione dell’offerta anomala, ma con tale espressione si intende fare riferimento a quelle offerte che presentano un ribasso talmente eccessivo rispetto all’oggetto del contratto (natura dei lavori,
del servizio o della fornitura) da far dubitare dell’affidabilità delle stesse. In presenza di un’offerta anomala, il legislatore
del Codice non distingue più tra appalti sopra soglia e sotto soglia (per i quali sanciva l’esclusione automatica), ed il procedimento di verifica in contraddittorio, di cui agli artt. 87 e 88, si applica, di massima, ad entrambe le tipologie di appalti.
L’ipotesi dell’esclusione automatica negli appalti sotto soglia non è però scomparsa del tutto: sono fatte salve le ipotesi previste dall’art. 122, comma 9, per i lavori pubblici e dall’art. 124, comma 8, per i servizi e le forniture, così come modificati dal terzo correttivo contenuto nel D.Lgs. 11-9-2008, n. 152, nonché dal D.L. 78/2009 conv. dalla L. 3-8-2009, n. 102.
La normativa del Codice, oltre ad applicarsi ad autonomi appalti di lavori, di servizi o di forniture, disciplina anche le ipotesi degli appalti cd. misti, ossia quelli caratterizzati dalla contemporanea commissione di lavori e/o servizi e/o forniture, la cui disciplina è contenuta nell’art.
14 del Codice.
5. Il procedimento di formazione del contratto (l’evidenza pubblica)
Per poter addivenire alla stipula di un contratto è necessario che la pubblica amministrazione segua una determinata e specifica procedura, definita da regole di ordine pubblico che non
possono essere derogate dalle parti, con la quale renda evidenti le ragioni che la inducono a stipulare proprio con un determinato soggetto: la cd. evidenza pubblica.
Si tratta, quindi, di un procedimento che, volto ad attuare il principio di trasparenza nell’attività amministrativa, è posto a tutela delle imprese concorrenti che partecipano ad una gara, affinché sia garantito che l’affidamento del contratto avvenga in favore dell’offerta (effettivamente)
più meritevole all’esito di un confronto concorrenziale tra tutte quelle presentate.
Quanto alla struttura, il procedimento de quo si articola in quattro fasi (artt. 11 e 12 del Codice):
1)
2)
3)
4)
la cd. deliberazione a contrarre;
la fase di scelta del contraente, mediante il criterio di aggiudicazione prestabilito nel bando;
la conclusione del contratto;
l’approvazione del contratto.
A) La cd. deliberazione a contrarre
Costituisce il momento iniziale dell’iter procedimentale che condurrà alla stipulazione del contratto pubblico e, in particolare, è l’atto con il quale la P.A. manifesta la propria volontà di concludere un contratto e fornisce delle indicazioni di massima circa la futura procedura. In parti-
Capitolo 7: L’attività negoziale e consensuale della Pubblica Amministrazione
413
colare, con la delibera de qua l’amministrazione deve individuare gli elementi essenziali del futuro contratto, la procedura di scelta del contraente che intende adottare nonché il criterio da
seguire per selezionare l’offerta migliore.
Da un punto di vista giuridico, la delibera a contrarre costituisce un atto meramente interno all’amministrazione, anche se l’art. 55, comma 3, del Codice stabilisce che la stessa sia menzionata nel bando di gara. Tale natura fa sì che pur essendo rilevante ai fini del procedimento formativo della volontà della P.A., essa non sia immediatamente lesiva nei confronti dei terzi e pertanto non immediatamente impugnabile in sede giurisdizionale. In ogni caso è un atto ineliminabile della procedura ad evidenza pubblica, la cui mancanza comporta in via derivata l’illegittimità di tutti gli atti successivi.
Sulla base della delibera a contrarre ha luogo il primo vero atto della procedura ad evidenza pubblica, ossia quello della predisposizione e successiva pubblicazione del bando di gara, che costituisce
la lex specialis della stessa. Accanto a questo, il legislatore (art. 5) prevede che le stazioni appaltanti possano approntare dei capitolati che individuano, più analiticamente, la disciplina tecnica e di dettaglio
della generalità dei propri contratti ovvero degli specifici contratti che intendono porre in essere: tali
capitolati menzionati nel bando o nell’invito, costituiscono parte integrante del successivo contratto.
Il bando di gara è sottoposto all’obbligo di pubblicità che grava sulle amministrazioni appaltanti: ciò al fine di garantire la più ampia partecipazione e di creare una reale concorrenza tra le imprese partecipanti. Pertanto, la mancata pubblicazione del bando secondo le prescrizioni stabilite comporta l’illegittimità della procedura. L’art. 66 del Codice individua le forme di pubblicità dei bandi di gara. In particolare vi è una pubblicazione sovranazionale sulla GUCE (valida per i contratti
di valore pari o superiore alla soglia comunitaria) alla quale segue una pubblicazione in ambito nazionale.
In ordine al problema della immediata impugnabilità, o meno, del bando di gara, questo è stato risolto dal legislatore con le novelle del 2010. In particolare, attualmente, all’esito di un processo di modificazioni normative, l’art. 120, comma
5, del Codice del processo amministrativo prevede l’(immediata) impugnativa dei bandi e degli avvisi con cui si indice una
gara, laddove autonomamente lesivi, nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione degli stessi.
Successivamente alla pubblicazione del bando, tutti i soggetti interessati, in possesso dei
requisiti richiesti, possono presentare la propria offerta.
Conseguenza del procedimento di modernizzazione della P.A. è la possibilità riconosciuta al concorrente di presentare
la propria offerta per via elettronica: l’offerta, infatti, può assumere la forma di un documento cartaceo o elettronico e deve
recare la sottoscrizione con firma manuale o digitale (artt. 74 e 77, comma 6, lett. b), del Codice).
Ogni operatore economico può presentare una sola offerta (art. 11, comma 6, del Codice).
L’offerta deve essere corredata da tutti i documenti stabiliti nel bando, nell’invito o nel capitolato (art. 74, comma 4, del Codice), ma il legislatore ha poi stabilito una regola di favore per il concorrente che presenta un’offerta: la stazione appaltante non può
chiedere documenti e certificati per i quali è ammessa la presentazione di dichiarazioni sostitutive (art. 74, commi 6 e 7, del Codice).
Alla presentazione delle offerte segue lo svolgimento della gara, al cui esito verrà individuata l’offerta migliore.
B) La fase di scelta del contraente
Le procedure di aggiudicazione degli appalti rappresentano le modalità con cui si realizzano i
precetti costituzionali di buon andamento ed imparzialità, che sono i parametri che devono indirizzare tutta l’attività amministrativa. Nel settore dei contratti pubblici, pertanto, la scelta del
contraente deve avvenire secondo criteri oggettivi e regole procedurali definite che devono consentire di verificare ex post la trasparenza della scelta compiuta dall’amministrazione aggiudicatrice.
Il D.Lgs 163/2006, ha disciplinato una serie di modalità di svolgimento della gara in parte consistenti in una rinominazione di quelle originariamente previste, mediante l’utilizzo della terminologia utilizzata a livello comunitario, ed in parte assolutamente nuove.
L’art. 54 del Codice individua le procedure di scelta nei seguenti termini:
— procedure aperte: sono quelle procedure in cui ogni operatore economico interessato può
presentare un’offerta;
— procedure ristrette: sono quelle in cui ogni operatore economico può chiedere di partecipare (presentando una richiesta di invito) ed in cui possono presentare un’offerta solo gli operatori invitati dalle stazioni appaltanti;
414
Libro III: Diritto amministrativo
— procedure negoziate, con o senza la previa pubblicazione di un bando: sono quelle procedure in cui le stazioni appaltanti consultano gli operatori economici da loro scelti e negoziano con uno o più di essi le condizioni dell’appalto;
— dialogo competitivo: è quella procedura applicabile nei casi di appalti particolarmente complessi. Con essa l’amministrazione aggiudicatrice avvia un dialogo con i candidati ammessi
a tale procedura, al fine di elaborare una o più soluzioni atte a soddisfare le sue necessità e
sulla base della quale o delle quali i candidati selezionati saranno invitati a presentare le offerte. Qualsiasi operatore può chiedere di partecipare.
La differenza fra le procedure aperte e le procedure ristrette è evidente.
Nelle prime, tutti gli operatori possono partecipare alla gara, preceduta da un bando e caratterizzata da tutti gli adempimenti procedurali necessari ad assicurare all’aggiudicazione la massima conoscibilità; nelle seconde, la procedura di aggiudicazione coinvolge soggetti già selezionati dalle amministrazioni aggiudicatrici ed invitati a presentare offerte mediante specifico atto, lettera d’invito, appositamente predisposto: in tal caso, quindi, a seguito della pubblicazione del bando (ove previsto), gli interessati possono presentare la propria domanda di partecipazione, e successivamente viene effettuata una preselezione al cui esito la stazione appaltante trasmette ai selezionati una lettera di invito, ricevuta la quale gli
operatori presentano l’offerta.
Accanto a tali modalità, gli artt. 59 e 60 del D.Lgs. 163/2006 disciplinano rispettivamente: gli
accordi quadro ed i sistemi dinamici di acquisizione.
L’accordo quadro assicura una maggiore flessibilità negli appalti, consentendo alla stazione
appaltante di rimandare l’individuazione o l’aggiornamento di alcuni elementi del contratto ad
un momento successivo rispetto a quello della sua conclusione. Esso è definito come un accordo concluso tra una o più stazioni appaltanti e uno o più operatori economici il cui scopo
è quello di stabilire clausole relative agli appalti da aggiudicare durante un dato periodo,
in particolare per quanto riguarda i prezzi e, eventualmente, le quantità previste (art. 3,
comma 13, del Codice). L’art. 59 del Codice, che estende l’istituto de quo ai settori ordinari, prevede l’espletamento di una gara al fine di individuare i soggetti partecipanti all’accordo quadro,
i quali saranno i soli che potranno aggiudicarsi i successivi appalti basati sull’accordo stesso.
Il sistema dinamico di acquisizione è una particolare modalità di scelta del contraente che consente la gestione on-line dell’intera procedura di aggiudicazione per l’approvvigionamento di beni e
servizi. Esso è un processo di acquisizione interamente elettronico, per acquisti di uso corrente, le cui caratteristiche generalmente disponibili sul mercato soddisfano le esigenze
della stazione appaltante, limitato nel tempo ed aperto per tutta la sua durata a qualsivoglia operatore economico che soddisfi i criteri di selezione e che abbia presentato un’offerta indicativa conforme al capitolato d’oneri (art. 3, comma 14, del Codice).
Una particolare menzione deve poi essere fatta all’asta elettronica che, non costituendo una vera e propria procedura autonoma di scelta del contraente, rappresenta una diversa modalità di svolgimento delle procedure di gara, che consente l’utilizzo combinato di mezzi informatici e telematici (art. 3, comma 15 del Codice). In particolare, si tratta di un meccanismo di selezione delle offerte che consente di concentrare le operazioni di gara, mediante la modifica, in tempo reale,
dell’importo delle stesse. Pertanto, stante tale peculiarità, essa non può essere utilizzata per l’affidamento di appalti aventi ad oggetto prestazioni intellettuali.
Il regolamento attuativo del Codice dei contratti contiene una precisa disciplina dell’asta elettronica, basata sulla attribuzione ad ogni partecipante di un codice identificativo e sulla impossibilità per ciascun concorrente di conoscere l’identità degli altri durante lo svolgimento dell’asta (artt. 291 e ss. per servizi e forniture, e art. 122 per lavori).
Il contraente con il quale la pubblica amministrazione dovrà, all’esito della procedura, stipulare il contratto sarà quello che avrà presentato l’offerta migliore, quella cioè in grado di soddisfare le necessità della stazione appaltante. Un momento importante della procedura è, pertanto, quello consistente nella scelta del criterio in base al quale individuare l’offerta migliore, in quanto, tramite i criteri di aggiudicazione, si concretizza il principio di concorrenza negli appalti.
I criteri di aggiudicazione sono individuati all’art. 81, comma 1, del Codice e sono: il criterio
del prezzo più basso ed il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Il legislatore ha stabilito una piena equivalenza fra i detti criteri, tale che il potere di scelta fra gli stessi viene rimesso alla discrezionalità dell’amministrazione, sancendone l’applicabilità indistinta
a tutti i tipi di contratti, di lavori, servizi o forniture. La stazione appaltante deve indicare il criterio scelto nel bando di gara e da questo poi non può più discostarsi.
Capitolo 7: L’attività negoziale e consensuale della Pubblica Amministrazione
415
La fase di scelta del contraente termina con l’aggiudicazione dell’appalto. Dapprima si procede all’aggiudicazione provvisoria della gara al miglior offerente e, solo a seguito dei controlli
opportuni e dell’approvazione dell’organo competente dell’amministrazione pubblica, si formalizza l’aggiudicazione definitiva. Tale aggiudicazione non equivale ad accettazione dell’offerta, ed
è subordinata alla verifica del possesso dei requisiti prescritti in capo all’aggiudicatario; solo in
caso di esito positivo, essa diviene efficace.
L’atto di aggiudicazione definitiva viene tempestivamente comunicato ai controinteressati (gli altri concorrenti), al fine
di consentire loro di agire in giudizio per l’annullamento della stessa e di permettere alla P.A. di stipulare il contratto nella
certezza che non vi siano contestazioni in ordine all’espletate procedure.
Il D.Lgs. 53/2010 ha dettato una minuziosa disciplina delle comunicazioni, e, quindi, anche
di quella relativa all’aggiudicazione definitiva, che la stazione appaltante è tenuta ad effettuare.
In particolare, per quel che riguarda l’aggiudicazione definitiva, questa deve essere comunicata tempestivamente e comunque entro un termine non superiore a 5 giorni:
—
—
—
—
all’aggiudicatario;
al concorrente che segue nella graduatoria;
a tutti i candidati che hanno presentato un’offerta ammessa in gara;
a coloro la cui candidatura o offerta siano state escluse, se hanno proposto impugnazione avverso l’esclusione, o sono
in termini per presentare dette impugnazioni;
— a coloro che hanno impugnato il bando o la lettera di invito, se dette impugnazioni non siano state ancora respinte con
pronuncia giurisdizionale definitiva.
Inoltre, nell’ottica di dare certezza all’esito della procedura concorsuale, il legislatore del 2010 ha stabilito che unitamente
alla comunicazione dell’aggiudicazione definitiva debba essere trasmesso anche il relativo provvedimento completo di motivazione, e che la stessa (ma ugualmente è a dirsi per la comunicazione di avvenuta stipulazione del contratto con l’aggiudicatario) viene spedita nello stesso giorno a tutti i destinatari. Tale contestualità consente che il termine per ricorrere in sede giurisdizionale avverso l’aggiudicazione definitiva (30 gg.) decorra, in linea di massima, dallo stesso momento per tutti gli interessati.
C) La conclusione del contratto
Fatti salvi i poteri di autotutela dell’amministrazione, la stipula del contratto deve avvenire
nel termine stabilito dal legislatore: entro 60 gg. da quando è divenuta efficace l’aggiudicazione
definitiva (art. 11, comma 9, del Codice). Il contratto stipulato è sottoposto alla condizione sospensiva dell’esito positivo della sua eventuale approvazione e degli altri controlli stabiliti dalle stazioni appaltanti.
L’approvazione è una condicio iuris di efficacia del contratto.
L’esecuzione del contratto può avere inizio solo dopo che lo stesso è divenuto efficace.
Con il D.Lgs. 53/2010 il legislatore ha introdotto un’importantissima riforma in materia di
appalti pubblici, la cui ratio è individuabile nel tentativo di garantire che ogni contestazione in
ordine alla procedura di gara sia risolta prima che la P.A. addivenga alla stipula del contratto.
In particolare:
— è previsto un termine dilatorio che blocca la stipulazione del contratto per 35 giorni, decorrenti dall’invio dell’ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione definitiva (cd. clausola stand still);
— nel caso in cui venga proposto ricorso giurisdizionale avverso l’aggiudicazione definitiva con
domanda cautelare, il contratto non può essere stipulato, con effetto sospensivo obbligatorio decorrente dalla notificazione dell’istanza cautelare alla stazione appaltante e per i successivi 20 giorni.
D)L’approvazione del contratto
Il contratto stipulato è soggetto all’eventuale approvazione da parte dell’organo competente,
nel termine stabilito nei singoli ordinamenti delle specifiche stazioni appaltanti ovvero in quello
di 30 gg. stabilito ex lege, decorrenti dal ricevimento dello stesso: tale termine può essere interrotto qualora l’amministrazione chieda chiarimenti e/o documenti. Decorsi i detti termini il contratto si intende approvato (art. 12, comma 2, del Codice). Con l’approvazione, il contratto produce i suoi effetti fin dal momento della stipula: essa, pertanto, ha efficacia retroattiva.
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Libro III: Diritto amministrativo
Il legislatore ha poi disciplinato anche la fase dei controlli che possono essere effettuati sull’atto di approvazione del
contratto. L’art. 12, comma 3, del Codice, infatti prevede che l’approvazione possa essere, a sua volta, oggetto degli eventuali controlli previsti dagli ordinamenti delle diverse stazioni appaltanti, nel termine ivi stabilito ovvero in quello di 30 gg. fissato ex lege decorrenti dal ricevimento del contratto appaltato. Anche in tale fase è possibile che il detto termine venga interrotto per la richiesta di ulteriori chiarimenti e/o documenti da parte dell’amministrazione. L’organo di controllo si pronuncia entro 30 gg. dal ricevimento degli stessi. Decorsi i termini, il contratto diviene efficace.
6. La tutela
La Parte IV del Codice individua e disciplina gli strumenti predisposti per tutelare le posizioni dei soggetti interessati da una determinata procedura concorsuale. Tra questi, il legislatore ha
individuato, accanto ai rimedi giurisdizionali, una serie di misure precontenziose deflative, quali strumenti stragiudiziali di definizione delle liti.
La transazione è ammessa per questioni aventi ad oggetto diritti soggettivi derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, nel rispetto delle disposizioni del codice civile. Essa deve essere redatta in forma scritta a pena di nullità.
Il ricorso all’accordo bonario è invece consentito solo in relazione a controversie che superano un certo valore economico e quindi presenta un ambito di applicazione più circoscritto rispetto alla transazione.
Fra gli strumenti stragiudiziali di risoluzione delle controversie, il Codice inserisce anche l’arbitrato, per le controversie su diritti soggettivi, derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee.
Accanto ai summenzionati strumenti stragiudiziali di definizione delle liti, il legislatore, con il
D.Lgs. 53/2010 ha inserito nel Codice dei contratti l’art. 243bis che, nei fatti, introduce un nuovo
strumento deflativo del contenzioso: l’informativa in ordine all’intento di proporre ricorso giurisdizionale (cd. preavviso di ricorso).
Nelle procedure di affidamento, coloro i quali intendono proporre un ricorso giurisdizionale
devono preventivamente informarne la stazione appaltante, indicando, in modo sintetico e sommario, i presunti vizi di illegittimità ed i motivi di ricorso che si intendono articolare in giudizio.
Tale indicazione non costituisce una preclusione, essendo consentita, in sede giurisdizionale, la presentazione di motivi diversi.
Tale comunicazione può essere effettuata in forma scritta, indirizzata al responsabile del procedimento, o anche oralmente nel corso di una seduta pubblica della commissione di gara, nel qual caso è inserita nel verbale della seduta e comunicata immediatamente al responsabile del procedimento.
Quanto alla tutela giurisdizionale, si può affermare che attualmente, dopo le innovazioni
del 2010, il sistema di tutela processuale in materia contrattualistica risulta dal combinato disposto del Codice dei contratti pubblici e del Codice del processo amministrativo: ed invero, il rito
processuale in materia di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture nonché i poteri del
giudice amministrativo in ordine al contratto medio tempore stipulato, in caso di annullamento
dell’aggiudicazione definitiva, sono oggi disciplinati negli artt. 119 ss. del Codice del processo,
mentre la disciplina sostanziale della materia è rimasta nel Codice dei contratti.
Specificamente, si rileva che, i sensi dell’art. 133 del Codice del processo amministrativo, in
tale settore, sono devolute al G.A. in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie:
— relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative;
— relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, relative
alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad
Capitolo 7: L’attività negoziale e consensuale della Pubblica Amministrazione
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esecuzione continuata o periodica, nell’ipotesi di cui all’art. 115 del D.Lgs. 163/2006, nonché
quelle relative ai provvedimenti applicativi dell’adeguamento dei prezzi, ai sensi dell’art. 133,
commi 3 e 4, dello stesso Codice dei contratti.
Con riferimento al potere del giudice di dichiarare, nello stesso giudizio in cui viene pronunciato l’annullamento dell’aggiudicazione definitiva, l’inefficacia del contratto medio tempore stipulato e di disporre le sanzioni alternative da applicare,
si osserva che il legislatore ha previsto due ordini di cause che generano l’inefficacia del contratto.
In particolare:
a) il contratto è inefficace quando l’amministrazione abbia commesso, durante la procedura concorsuale, gravi violazioni:
si tratta, per lo più, di ipotesi legate alla mancata pubblicità della gara o al mancato rispetto del termine dilatorio o della sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione del contratto. In tal caso, il giudice dichiara l’inefficacia e decide se la privazione degli effetti sia retroattiva o soltanto limitata alle prestazioni ancora da eseguire. Inoltre, il contratto, benché gravemente viziato, resta efficace se giustificato da esigenze imperative connesse ad un interesse generale;
b) il contratto è inefficace quando sia stato stipulato all’esito di una procedura concorsuale comunque viziata, quando,
però, tali vizi non rientrano tra le “gravi violazioni”: in tal caso, è rimessa alla discrezionalità del giudice, la decisione
in ordine alla possibilità di dichiarare inefficace il contratto, fissandone la decorrenza.
Gli appalti pubblici e le più rilevanti novità del D.L. 70/2011
Con il D.L. 13-5-2011, n. 70, cd. decreto sviluppo, (in corso di conversione), il legislatore è intervenuto
in modo massiccio sulla disciplina degli appalti pubblici, sia modificando numerose disposizioni sia del
Codice dei contratti che del relativo Regolamento di esecuzione e di attuazione, che introducendo istituti giuridici nuovi. Il tutto nella prospettiva di ridurre i tempi di costruzione delle opere pubbliche, soprattutto se di interesse strategico, di semplificare le procedure di affidamento dei relativi contratti pubblici,
di garantire un più efficace sistema di controllo e di ridurre il contenzioso.
Specificamente, tra le numerose novità, si segnalano:
a) la tipizzazione delle cause di esclusione dalle gare, che possono essere solo quelle previste dal Codice dei
contratti pubblici e dal relativo Regolamento di esecuzione e di attuazione, non rilevando eventuali clausole aggiuntive predisposte dalle stazioni appaltanti nella documentazione di gara;
b) il riconoscimento in capo agli operatori economici della possibilità di presentare alle amministrazioni aggiudicatrici proposte per la realizzazione in concessione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità non previsti nel programma triennale o negli strumenti di programmazione approvati
dall’amministrazione stessa;
c) la previsione di un disincentivo per le liti “temerarie”, ossia per quei giudizi che vengono decisi sulla
base di ragioni manifeste od orientamenti giurisprudenziali consolidati: in tal caso è previsto che il giudice condanni d’ufficio la parte soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria;
d) l’istituzione presso le Prefetture di un elenco di fornitori e prestatori di servizi non soggetti a rischio di
inquinamento mafioso, ai quali possono rivolgersi gli esecutori dei lavori, dei servizi e delle forniture
appaltate.
7. Gli affidamenti in house
A) Profili generali
Perché si abbia «contratto» occorre che esso sia stipulato fra due soggetti diversi. Quindi,
ogni volta che una pubblica amministrazione svolge determinate prestazioni mediante la propria organizzazione interna (in house, appunto) non dovrebbero trovare applicazione le direttive dell’Unione europea in materia di appalti. Con l’espressione affidamento in house, infatti, si
suole indicare quel modello organizzatorio mediante il quale una pubblica amministrazione reperisce beni e servizi ovvero eroga pubblici servizi alla collettività servendosi di un ente strumentale, formalmente esterno alla stessa, ma, sottoposto al suo penetrante controllo.
L’affidamento in house trova applicazione soprattutto relativamente alla gestione dei servizi pubblici locali.
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Libro III: Diritto amministrativo
B) In house e servizi pubblici locali a rilevanza economica
Ai sensi dell’art. 23bis del D.L. 112/2008 (come modificato dal D.L. 135/2009, conv. con modif. in L. 166/2009), il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica deve avvenire, in via ordinaria, a favore di:
— imprenditori o di società in qualunque forma costituite, individuati mediante procedure
competitive ad evidenza pubblica;
— società a partecipazione mista pubblica o privata, a condizione che la selezione del socio
avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica le quali abbiano ad oggetto,
al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40%.
In entrambi i casi, la legge richiede espressamente che le procedure competitive ad evidenza pubblica si svolgano nel
rispetto dei principi desumibili dal Trattato CE e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità.
In deroga alle suddette modalità di affidamento ordinario, il comma 3 del novellato art. 23bis
in esame prevede, in riferimento a situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche
economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non
permettono un efficace e utile ricorso al mercato, che l’affidamento possa avvenire a favore di
società a capitale interamente pubblico, partecipata dall’ente locale, che abbia i requisiti
richiesti dall’ordinamento comunitario per la gestione cd. «in house» e, comunque, nel rispetto
della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell’attività svolta dalla stessa con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.
L’art. 15 D.L. 135/2009 ha successivamente chiarito il contenuto dell’art. 23bis L. 133/2008, specificando che la modalità eccezionale di affidamento diretto di servizi pubblici locali a rilevanza economica è circoscritta alla fattispecie della società in house, ovvero quella società per la quale, in linea con la giurisprudenza dell’UE in materia, vi deve essere la necessaria presenza dei tre requisiti:
1) capitale interamente pubblico;
2) controllo sulla società da parte dell’ente pubblico proprietario, analogo a quello esercitato sui propri servizi;
3) attività della società svolta in prevalenza per l’ente pubblico proprietario.
Il legislatore ha previsto che la descritta deroga alla modalità ordinaria di affidamento sia adeguatamente pubblicizzata dalla P.A., nonché motivata in base ad un’analisi del mercato, con successiva trasmissione all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato di una relazione contenente gli esiti della predetta verifica, per l’espressione di un parere preventivo in merito, da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione (decorsi i sessanta giorni, il parere,
se non reso, si intende positivo).
Il D.P.R. 168/2010, recante il Regolamento di attuazione della riforma dei servizi pubblici locali a rilevanza economica ex art. 23bis ha confermato la sopravvivenza dell’affidamento in house come ipotesi eccezionale.
Benvero, l’art. 2 limita «l’attribuzione di diritti di esclusiva, ove non diversamente previsto dalla legge, ai casi in cui, in
base ad un’analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea, secondo criteri di proporzionalità, sussidiarietà orizzontale ed efficienza, a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità».
La preferenza assegnata al mercato trova un limite, inoltre, nella necessità che l’attività economica, erogata dal privato, sia compatibile con le caratteristiche di universalità ed accessibilità del servizio.
La verifica dell’incapacità del mercato di erogare il servizio viene svolta dallo stesso ente: all’esito dello stesso viene
adottata una delibera che illustra i fallimenti del sistema concorrenziali e i benefici derivanti dal mantenimento in esclusiva del servizio.
C) I singoli requisiti: il controllo analogo
Per quanto riguarda il significato da attribuire alla nozione di controllo analogo, è stato ripetutamente specificato dalla giurisprudenza dell’Unione europea e dalla dottrina che occorre verificare l’esistenza di una relazione di subordinazione gerarchica, tale da non lasciar residuare alcun potere decisionale autonomo in capo al controllato. Deve riscontrarsi l’esistenza, tra
i soggetti interessati, di uno stringente controllo gestionale e finanziario, di un potere di intervento
Capitolo 7: L’attività negoziale e consensuale della Pubblica Amministrazione
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in chiave sia autorizzatoria che sanzionatoria, in cui le scelte strategiche dell’ente affidatario siano
sempre subordinate all’intervento dell’amministrazione controllante.
D)Segue: il requisito dell’attività prevalente
Dal punto di vista funzionale, requisito legittimamente l’affidamento in house è costituito dalla circostanza che l’ente aggiudicatario realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente che lo controlla (cd. requisito dell’attività prevalente).
Occorre analizzare questo elemento procedendo alla individuazione dei soggetti destinatari
dell’attività economica esercitata dal soggetto controllato. Si sarà in presenza di un servizio in
house laddove destinatario e quindi principale beneficiario di detta attività sia l’autorità controllante, alla stregua di ciò che accade quando un servizio interno agisce per l’autorità cui appartiene e di cui costituisce un mero prolungamento amministrativo.
Come puntualizzato da attenta dottrina, deve aversi riguardo, da un lato, all’attività svolta
«nei confronti» dell’amministrazione controllante, e dall’altro alle attività svolte «per conto» della stessa.
L’attività può dirsi svolta «nei confronti» della controllante quando sia volta a soddisfare il fabbisogno di questa e a fornirle i mezzi necessari allo svolgimento corrente delle sue competenze e dell’attività istituzionale; si pensi alle prestazioni di
servizi, lavori e forniture utilizzate dall’amministrazione per l’esercizio dei servizi erogati al pubblico.
L’attività è, invece, svolta «per conto» dell’ente di riferimento quando il soggetto controllato non si limiti a fornire utilità finalizzate allo svolgimento dell’attività istituzionale del primo, ma eserciti direttamente, in prima persona, le attività e
le funzioni dell’amministrazione, rivolte agli utenti finali.
8. Gli accordi integrativi e sostitutivi alla luce della L. 241/1990 e successive modificazioni
La L. 241/90 ha consacrato il principio dell’esercizio consensuale dell’azione amministrativa, nel
senso che la P.A., nel perseguimento dei propri fini pubblici, non si spoglia del suo potere amministrativo ma opta per l’esercizio consensuale dello stesso. Ciò si traduce nella circostanza che la
pubblica amministrazione pone in essere un’attività, non più estrinsecantesi nell’esercizio in via
autoritativa ed unilaterale del potere amministrativo, ma tesa alla condivisione con il privato destinatario del contenuto del provvedimento finale, che poi viene formalmente trasfuso in «accordi» specifici.
Attraverso l’art. 11 della L. 241/1990, in particolare, si conferisce dignità di istituto generale
a due strumenti convenzionali: gli accordi integrativi e gli accordi sostitutivi.
1) Accordi integrativi
Si tratta di accordi conclusi dall’amministrazione procedente con gli interessati al fine di determinare il contenuto del provvedimento.
La previsione di tali accordi conferma l’accoglimento legislativo della concezione che considera il procedimento alla stregua di confronto dialettico tra privati e P.A. ed il provvedimento
come risultante di questo confronto.
2) Accordi sostitutivi
Mentre gli accordi integrativi precedono il provvedimento e ne determinano il contenuto, gli
accordi sostitutivi sono stipulati in sostituzione del provvedimento amministrativo.
Gli accordi sostitutivi, nella versione originaria dell’art. 11 L. 241/1990, avevano carattere eccezionale e potevano essere conclusi solo nei casi previsti dalla legge. La L. 15/2005, sopprimendo le parole «nei casi previsti dalla legge», ha inteso generalizzare lo strumento degli accordi
sostitutivi; ha, inoltre, aggiunto un ulteriore comma nel quale si prevede che a garanzia dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa, in tutti i casi in cui una pubblica amministrazione conclude accordi (integrativi e/sostitutivi), la stipulazione dell’accordo è preceduta da una determinazione dell’organo che sarebbe competente per l’adozione del provvedimento.
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Per entrambi i tipi di accordo si prevede la stipulazione per atto scritto a pena di nullità e l’applicabilità dei principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili.
È consentito, altresì, il recesso della P.A. per motivi di pubblico interesse, salvo corresponsione di un indennizzo alla controparte.
9. Gli accordi di programma
Con gli accordi di programma le pubbliche amministrazioni concordano le modalità di programmazione ed esecuzione di interventi pubblici, coordinando le rispettive azioni.
Più precisamente si tratta di uno strumento cui si fa ricorso quando la realizzazione di opere ed interventi coinvolga più livelli di governo (statale, regionale, provinciale o comunale) tale
da rendere necessario una sinergia di azioni.
Gli accordi di programma sono presenti da tempo nel nostro ordinamento, ma solo con la L. 241/1990 (art. 15) e la L.
142/1990 (art. 27 confluito integralmente nell’art. 34 D.Lgs. 267/2000) l’istituto è stato reso di generale applicazione.
L’art. 34 D.Lgs. 267/2000, dopo aver definito l’istituto nel comma 1, contiene in quelli successivi, le seguenti disposizioni:
1) la possibilità di prevedere procedimenti di arbitrato fra le pubbliche amministrazioni partecipanti all’accordo per la composizione di controversie sorte in sede di esecuzione dello stesso;
2) la possibilità di prevedere forme di interventi surrogatori per eventuali inadempienze di alcuni dei soggetti partecipanti all’accordo;
3) l’obbligo per il Presidente della Regione, della Provincia o per il Sindaco procedenti di convocare una conferenza istruttoria fra i rappresentanti di tutte le amministrazioni interessate;
4) la forma, gli effetti e le modalità di pubblicazione dell’accordo;
5) la possibilità per gli accordi di comportare variazioni degli strumenti urbanistici purché tali varianti siano ratificate dai
Consigli comunali competenti entro 30 giorni, a pena di decadenza;
6) l’istituzione di un collegio di vigilanza sull’esecuzione dell’accordo di programma;
7) la possibilità di utilizzare l’accordo di programma per l’approvazione di progetti di opere pubbliche comprese nei programmi dell’amministrazione e per le quali siano immediatamente utilizzabili i relativi finanziamenti. In questo caso
l’approvazione dell’accordo comporta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle medesime opere.
Gli accordi di programma vengono promossi dai Presidenti delle Regioni, delle Province o
dai Sindaci che abbiano competenza primaria sull’opera da eseguire (soggetti necessari), i quali
hanno il potere di iniziativa e possono invitare i rappresentanti di altri enti locali ovvero di altre
amministrazioni interessate (soggetti eventuali).
Il procedimento per la conclusione degli accordi di programma è disciplinato dall’art. 34
D.Lgs. 267/2000. Esso può essere suddiviso grosso modo in quattro fasi: quella dell’iniziativa,
quella istruttoria, quella conclusiva e quella integrativa dell’efficacia.
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