I SAGGI DI LEXIA
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Direttori
Ugo V
Università degli Studi di Torino
Guido F
Università degli Studi di Torino
Massimo L
Università degli Studi di Torino
I SAGGI DI LEXIA
Aprire una collana di libri specializzata in una disciplina che si vuole scientifica, soprattutto
se essa appartiene a quella zona intermedia della nostra enciclopedia dei saperi – non
radicata in teoremi o esperimenti, ma neppure costruita per opinioni soggettive – che
sono le scienze umane, è un gesto ambizioso. Vi potrebbe corrispondere il debito di una
definizione della disciplina, del suo oggetto, dei suoi metodi. Ciò in particolar modo per
una disciplina come la nostra: essa infatti, fin dal suo nome (semiotica o semiologia) è stata
intesa in modi assai diversi se non contrapposti nel secolo della sua esistenza moderna:
più vicina alla linguistica o alla filosofia, alla critica culturale o alle diverse scienze sociali
(sociologia, antropologia, psicologia). C’è chi, come Greimas sulla traccia di Hjelmslev,
ha preteso di definirne in maniera rigorosa e perfino assiomatica (interdefinita) principi e
concetti, seguendo requisiti riservati normalmente solo alle discipline logico-matematiche,
chi, come in fondo lo stesso Saussure, ne ha intuito la vocazione alla ricerca empirica
sulle leggi di funzionamento dei diversi fenomeni di comunicazione e significazione nella
vita sociale, chi, come l’ultimo Eco sulla traccia di Peirce, l’ha pensata piuttosto come
una ricerca filosofica sul senso e le sue condizioni di possibilità, altri, da Barthes in poi,
ne hanno valutato la possibilità di smascheramento dell’ideologia e delle strutture di
potere. . . Noi rifiutiamo un passo così ambizioso. Ci riferiremo piuttosto a un concetto
espresso da Umberto Eco all’inizio del suo lavoro di ricerca: il “campo semiotico”, cioè quel
vastissimo ambito culturale, insieme di testi e discorsi, di attività interpretative e di pratiche
codificate, di linguaggi e di generi, di fenomeni comunicativi e di effetti di senso, di tecniche
espressive e inventari di contenuti, di messaggi, riscritture e deformazioni che insieme
costituiscono il mondo sensato (e dunque sempre sociale anche quando è naturale) in cui
viviamo, o per dirla nei termini di Lotman, la nostra semiosfera. La semiotica costituisce
il tentativo paradossale (perché autoriferito) e sempre parziale, di ritrovare l’ordine (o gli
ordini) che rendono leggibile, sensato, facile, quasi “naturale” per chi ci vive dentro, questo
coacervo di azioni e oggetti. Di fatto, quando conversiamo, leggiamo un libro, agiamo
politicamente, ci divertiamo a uno spettacolo, noi siamo perfettamente in grado non solo di
decodificare quel che accade, ma anche di connetterlo a valori, significati, gusti, altre forme
espressive. Insomma siamo competenti e siamo anche capaci di confrontare la nostra
competenza con quella altrui, interagendo in modo opportuno. È questa competenza
condivisa o confrontabile l’oggetto della semiotica. I suoi metodi sono di fatto diversi,
certamente non riducibili oggi a una sterile assiomatica, ma in parte anche sviluppati
grazie ai tentativi di formalizzazione dell’École de Paris. Essi funzionano un po’ secondo
la metafora wittgensteiniana della cassetta degli attrezzi: è bene che ci siano cacciavite,
martello, forbici ecc.: sta alla competenza pragmatica del ricercatore selezionare caso per
caso lo strumento opportuno per l’operazione da compiere. Questa collana presenterà
soprattutto ricerche empiriche, analisi di casi, lascerà volentieri spazio al nuovo, sia nelle
persone degli autori che degli argomenti di studio. Questo è sempre una condizione dello
sviluppo scientifico, che ha come prerequisito il cambiamento e il rinnovamento. Lo è a
maggior ragione per una collana legata al mondo universitario, irrigidito da troppo tempo
nel nostro Paese da un blocco sostanziale che non dà luogo ai giovani di emergere e di
prendere il posto che meritano.
Antonio Santangelo
Le radici della televisione intermediale
Comprendere le trasformazioni
del linguaggio della TV
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con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
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senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: novembre 
Indice
11
Introduzione
17
Capitolo I
La televisione intermediale nella nuova Babele elettronica
1.1. La nuova Babele elettronica, 17 – 1.2. La televisione esce dal televisore, 20 – 1.3. Le trasmissioni televisive escono dai canali, 21 – 1.4. I programmi televisivi escono dal flusso, 22 – 1.5. La convergenza, 25 – 1.6. La
televisione interattiva, 26 – 1.7. L’intermedialità, 28 – 1.8. Nuovi linguaggi
per una nuova televisione, 30
33
Capitolo II
La televisione intermediale nell’epoca della rivoluzione multimediale
2.1. La nuova televisione intermediale: da protesi dell’occhio ad ambiente
rituale, 33 – 2.1.1. Il tele vedere e la neutralità linguistica, 34 – 2.1.2. La ritualizzazione e la maturazione linguistica, 35 – 2.1.3. La neotelevisione e
l’ibridazione linguistica, 36 – 2.1.4. L’intermedialità nel destino della televisione, 37 – 2.2. Definizione della parola intermedialità, 38 – 2.3. Il paradigma dell’intermedialità, 40 – 2.3.1. La fine della specializzazione dei
media, 40 – 2.3.2. La produzione di testi ibridi, 41 – 2.3.3.
L’organizzazione modulare dei contenuti, 42 – 2.3.4. La trasformazione del
concetto di testo, 42 – 2.3.5. La sensazione di contemporaneità di diversi
flussi comunicativi, 44 – 2.3.6. La personalizzazione dei contenuti, 44 –
2.3.7. Il paradigma soggettivante, 46 – 2.3.8. L’importanza dei metatesti,
46 – 2.3.9. I media come spazi sociali, 47 – 2.4. Il paradigma
dell’intermedialità in televisione, 49 – 2.5. Il prototipo di un format televisivo intermediale: il caso J’m’en mail, 54 – 2.6. La televisione oltre la crisi
dei media di massa, 58
7
8
61
Indice
Capitolo III
Inquadramenti teorici
3.1. Alla ricerca dei codici della televisione intermediale, 61 – 3.2. Ai confini della televisione, 63 – 3.3. Pratiche televisive per l’invenzione del quotidiano, 70 – 3.4. La televisione e il linguaggio dei nuovi media, 74 – 3.4.1.
La televisione database: l’esempio di Tutte le mattine, 80 – 3.4.2. Gli spazi
dei nuovi media e l’intermedialità, 83 – 3.4.3. Le operazioni degli utenti
dei nuovi media, 85 – 3.4.4. I dispositivi culturali del linguaggio dei nuovi
media, 88 – 3.4.5. Il linguaggio dei nuovi media e l’intermedialità, 91 –
3.5. Culti intermediali, 92 – 3.5.1. Culti Tv, 92 – 3.5.2. L’intermedialità
come strategia di generazione del culto televisivo, 98 – 3.5.3. Griglia
d’analisi del culto televisivo nei format intermediali, 102 – 3.6. Le forme
brevi della comunicazione audiovisiva intermediale, 103 – 3.6.1. Prospettive d’analisi del concetto semiotico di forma breve, 105 – 3.6.2. Le forme
brevi della Tv intermediale come traduzioni intrasemiotiche?, 108
111
Capitolo IV
Il linguaggio della televisione intermediale
4.1. Un modello per l’analisi semiotica della televisione intermediale, 111
– 4.2. Codici tecnologici di base, 115 – 4.2.1. Codici del supporto, 115 –
4.3. Iconismo, 116 – 4.3.1. Codici della denominazione e del riconoscimento, 116 – 4.3.2. Codici della trascrizione iconica, 117 – 4.3.3. Codici
della composizione iconica, 118 – 4.3.4. Codici iconografici stereotipici,
120 – 4.3.5. Codici stilistici, 121 – 4.4. Fotografia, 121 – 4.5. Mobilità, 124
– 4.6. Codici grafici, 125 – 4.7. Codici sonori, 126 – 4.8. Codici sintattici,
127 – 4.9. Analisi delle tecniche di rappresentazione, 128 – 4.10. La dimensione narrativa del programma, 131 – 4.11. Passioni e ritmo, 138 –
4.12. Il modello d’analisi intertestuale, 141 – 4.13. L’enunciazione, 147 –
4.14. Il linguaggio della televisione intermediale, 150
157
Capitolo V
I format intermediali delle origini
5.1. La costituzione del corpus, 157 – 5.2. SI Live 24: il progetto intermediale, 162 – 5.2.1. Un canale televisivo come un sito Internet, 164 – 5.2.2.
Il contributo del web al potenziamento spazio temporale della Tv, 166 –
5.2.3. Il contributo della Tv al potenziamento espressivo del web, 168 –
5.3. Rai News 24: la Tv come banner di un progetto intermediale, 169 –
5.4. Controcampo: giornali televisivi e Tv giornalistiche, 174 – 5.4.1. La
trasmissione televisiva e il database delle passioni, 174 – 5.4.2. Il database
delle passioni in azione, 177 – 5.4.3. L’intermedialità nella trasmissione televisiva, 178 – 5.4.4. La moviola come simbolo dell’incrocio tra oggettivi-
Indice
tà a soggettività, 179 – 5.4.5. La traduzione dei codici televisivi nella rivista, 180 – 5.4.6. Al confine di due generi discorsivi differenti, 185 – 5.5.
Cronache Marziane: il meccanismo intermediale degli sms, 186 – 5.5.1. I
risvolti sociosemiotici dell’utilizzo degli sms in trasmissione, 192 – 5.6.
MTV Playground: pratiche intermediali di utilizzo dei videoclip, 194 –
5.6.1. Lo spazio sociale della Tv come la stanza di una grande chat, 198 –
5.7. Most Wanted: una comunità virtuale di successo, 203 – 5.8. La Fattoria: pillole di format per videofonino, 207 – 5.9. C.u.l.t.: la funzione codificante della Tv intermediale, 214
221
Conclusioni
233
Bibliografia
9
Introduzione
Questo libro è il frutto di un’indagine che ho condotto nel corso di
sei anni di lavoro presso il centro di ricerche semiotiche Format_Lab,
del Virtual Reality & Multi Media Park S.p.a. di Torino, dove ho svolto i miei studi di dottorato e parte di quelli post-dottorali, nell’arco di
tempo che va dal 2002 al 2008. In quel contesto, il mio compito era di
analizzare le tendenze e l’evoluzione del linguaggio della televisione,
del cinema e degli audiovisivi in generale, per cercare di applicare le
conoscenze così acquisite, producendo prototipi di nuovi format televisivi, soggetti o sceneggiature di film e campagne di comunicazione.
Nell’ambito della Tv, a parte alcune ricerche condotte per il marketing
Rai, il risultato più eclatante di questo lavoro sono state l’ideazione e
la realizzazione di Black Box (Morosetti, Santangelo, Taggi, 2008), un
programma intermediale andato in onda su MTV Italia. Ma molti altri
progetti sono nati in quegli anni e altri ancora li ho realizzati di recente1, sempre ragionando attorno al concetto, ormai ineludibile per qualunque prodotto editoriale contemporaneo, di intermedialità. Questo
libro rappresenta dunque la base teorica attorno a cui mi sono mosso
per svolgere la mia attività di autore televisivo e di audiovisivi in generale.
Sono passati all’incirca dieci anni, da quando ho cominciato a ragionare attorno al concetto di televisione intermediale, e ne sono trascorsi altri sei, da quando ho raccolto il corpus di programmi che analizzo in queste pagine. Sono stato a lungo incerto se pubblicare questa
ricerca, i cui contenuti, del resto, sono stati scritti per la maggior parte
1
Penso, per esempio, a Story Bond, un format che ho pensato per rilanciare l’immagine
delle Tv locali piemontesi: http://87.253.98.116/index.php/videopopolari/player/category=Talk-Shows/Story-Bond
11
12
Introduzione
nel 2006. Proprio in quel periodo, infatti, nel giro di poco tempo, sono
stati pubblicati alcuni libri molto interessanti su questi temi. Penso soprattutto agli studi di Henry Jenkins (2006, trad. it. 2007) sulla cultura
convergente, ad alcune applicazioni e sistematizzazioni delle sue teorie (M. Scaglioni e A. Sfardini, 2008; A. Grasso e M. Scaglioni, a cura
di, 2010), ai ragionamenti del gruppo di ricerca coordinato da Fausto
Colombo sulla digitalizzazione dei media (F. Colombo, a cura di,
2007), ma anche al bel lavoro di Pietro Montani sull’immaginazione
intermediale (P. Montani, 2010). D’altra parte, la televisione stessa si
è evoluta velocemente, dando vita – soprattutto negli Stati Uniti – a
format intermediali molto complessi, come la serie di Lost, analizzata
proprio da Jenkins, ma anche a quelle di Fringe e Glee, per citare solo
le più famose: tutti progetti pensati a tavolino per dispiegarsi su diverse piattaforme, intrecciando i contenuti dei vari media in una rete di
rimandi talmente inestricabile da indurre gli studiosi a coniare il termine, oggi molto in voga, di transmedia storytelling.
Eppure, nonostante gli avanzamenti del panorama teorico e i cambiamenti dei contenuti televisivi, mi sono convinto che, in tutti e due i
campi, gli ultimi anni siano serviti più che altro per mettere alla prova
e assestare concetti, linguaggi e pratiche di consumo che venivano esplorati proprio nel periodo in cui io stesso conducevo i miei studi. Ho
come l’impressione che il quinquennio compreso tra il 2000 e il 2005
abbia rappresentato, dal punto di vista dell’intermedialità, una vera e
propria stagione pionieristica, ricca di sperimentazioni e di idee, di cui
renderò conto in queste pagine. Intuizioni spesso d’avanguardia, trainate dal fatto che – come mostrerò nel primo capitolo – i vecchi player
della televisione vedevano entrare proprio allora, nel loro mercato, una
serie di ricchi concorrenti, come le grandi aziende di telefonia mobile,
gli Internet provider e gli editori della stampa quotidiana. Era l’epoca
dell’esplosione del web 2.0, di Youtube e del suo famoso motto “broadcast yourself”, dei blog e dei primi social network, della nascita delle Web Tv, delle Ip Tv e della Tv per videofonini. Oggi tutto ciò fa
parte del patrimonio di molti canali televisivi e sono parecchi i programmi che si servono di queste modalità di comunicazione, sia per
diffondere più capillarmente i propri contenuti, sia per coinvolgere gli
spettatori in una relazione più diretta. Ma osservando come si è assestata la televisione intermediale, resta forte l’impressione che oltre agli
sms o ai tweet per dialogare con il pubblico, oltre ai televoti, oltre ai
forum per commentare le puntate o allo streaming per vederle e rive-
Introduzione
13
derle in luoghi e momenti diversi da quelli canonici; oltre a tutto questo, si potrebbe fare molto di più.
Anche se nel periodo in cui ho condotto la mia ricerca questo non
era affatto scontato, l’idea che alla fine è prevalsa è quella della crossmedialità, vale a dire dello spettatore che si muove da una piattaforma
a un’altra, consumando contenuti autonomi, nei quali il rapporto con
gli altri media non è strutturale, ma facoltativo: senza il proprio sito
web, molti dei programmi contemporanei non perderebbero nulla delle proprie potenzialità spettacolari, perché le loro pagine su Internet
non hanno una funzione diretta nella costruzione delle puntate televisive. Lo stesso dicasi per i forum di discussione sul web dedicati ai
programmi stessi, che nella maggior parte dei casi vengono sfruttati
come delle sorte di focus group a basso costo, per intercettare i gusti e
le reazioni del pubblico, ma che raramente risultano integrati col funzionamento complessivo del format. Un’integrazione, questa, che
quando si verifica è spesso molto povera e sacrificata, come in quei
talk show dove qualche personaggio un po’ defilato, abbarbicato sulla
sua postazione informatica, legge gli sparuti commenti degli spettatori, ponendo agli ospiti alcune domande al posto del conduttore. Poco,
dunque, si è ragionato, per costruire contenuti nei quali le modalità di
comunicazione di piattaforme differenti, con le diverse logiche di fruizione che caratterizzano i loro utenti, interagissero a fondo, fino a dar
vita ad esperienze mediali veramente innovative.
È proprio attorno a questo concetto, invece, che mi concentro in
questo libro, cercando di lavorare su un’idea di intermedialità diversa,
rispetto alla cross-medialità che ho appena descritto. Andando a ragionare sui programmi più significativi degli albori della Tv intermediale — il Grande Fratello e J’m’en mail su tutti, ma anche i primi
progetti di canali all news italiani, le sperimentazioni di MTV col proprio pubblico di giovani, già alfabetizzati alle nuove tecnologie —
tento di tratteggiare il linguaggio e le pratiche di fruizione degli spettatori di quella che da tanti anni viene percepita come la potenziale televisione del futuro, ma che, nonostante tutto, tarda ad affermarsi, forse anche a causa della difficoltà di mettere a fuoco i meccanismi e le
logiche che la renderebbero davvero interessante, innovativa e, soprattutto, vincente.
Nei primi due capitoli, cerco di descrivere cosa intendo per “intermedialità”. Per spiegarlo, parto innanzitutto da alcune rapide considerazioni sull’evoluzione storica dell’assetto tecnico e istituzionale della
14
Introduzione
televisione, caratterizzata da una progressiva convergenza con gli altri
mezzi di comunicazione. Grazie alla digitalizzazione e alla diffusione
sempre più capillare di Internet e delle reti di telefonia mobile a banda
larga, i contenuti, ma anche i contenitori e le professionalità legate a
media un tempo separati tendono a ibridarsi, generando dubbi e perplessità su come tenere separati linguaggi e pratiche di consumo che,
fino a pochi anni fa, si tendeva effettivamente a distinguere.
Per queste ragioni, provo a riflettere sui grandi cambiamenti a cui
la televisione è andata incontro, servendomi del paradigma della cosiddetta “rivoluzione multimediale”. L’ipotesi di fondo è che la multimedialità, prima che un dispositivo tecnico, sia un certo modo di
pensare la comunicazione e i suoi contenuti, che investe tutti gli ambiti della comunicazione stessa. Questi ragionamenti mi portano a confrontarmi con le tesi apocalittiche, che provengono da più parti, sulla
fine imminente della Tv nell’epoca di Internet. Ad esse contrappongo
una visione meno disfattista, che invece prova a immaginare
l’intermedialità come la strategia che la televisione può seguire, per
servirsi dell’evoluzione del sistema dei media, rimanendone al centro
e sfruttando tutte quelle caratteristiche che, in fondo, essa ha sempre
avuto (il lettore, forse, si stupirà di scoprire che per tanti versi la Tv ha
anticipato la rivoluzione multimediale) e che, anche oggi, la possono
rendere moderna e vincente.
Nel terzo capitolo, invece, cerco di inquadrare la televisione intermediale, per mezzo delle teorie di una serie di studiosi che si sono occupati di definirne direttamente alcuni aspetti significativi o che, grazie alle loro ricerche sulla Tv in generale, mi consentono di evidenziare il ruolo che l’intermedialità può svolgere, per potenziare meccanismi classici come il culto degli spettatori per un programma, oppure la
socializzazione e le pratiche di costruzione della propria identità attorno ai contenuti di un medium di massa. Ma ciò che risulta davvero evidente, in questa parte del libro, grazie all’incrocio coi modelli teorici
degli studiosi del “linguaggio dei nuovi media”, è proprio l’esistenza
di quella sorta di paradigma culturale dell’epoca della multimedialità a
cui ho fatto riferimento. Al di là dei luoghi comuni, la televisione – o
almeno un certo tipo di televisione – appare per quello che è: un mezzo particolarmente attivo nel recepire molti stimoli all’innovazione,
alcuni dei quali, addirittura, vengono fatti propri da media o modalità
di comunicazione che di solito vengono percepiti come più avanzati e
capaci di intercettare meglio il cambiamento dei gusti del pubblico.
Introduzione
15
Il quarto e il quinto capitolo, infine, sono dedicati ai casi di studio e
all’analisi dettagliata di una serie di programmi dai quali, a mio modo
di vedere, è possibile evincere buona parte della grammatica
dell’odierna televisione intermediale, sia dal punto di vista del linguaggio, sia da quello delle pratiche di fruizione da parte degli spettatori. In quest’ottica, mi occupo sia di quelle trasmissioni che hanno
stabilito gli standard di ciò che vediamo oggi, sia di prodotti per certi
versi più “avanguardistici”, che hanno indicato alcune strade che, a
mio modo di vedere, sono promettenti e devono essere ancora percorse fino in fondo.
Con questo libro, insomma, grazie a una procedura d’indagine semiotica analitica e rigorosa, messa a punto apposta per questa ricerca e
sperimentata sul campo, provo a condividere tutti gli spunti e le idee
che, negli ultimi dieci anni, mi hanno guidato e ancora mi guidano
nella mia attività di autore televisivo e di studioso di televisione, nella
speranza che possano essere utili sia ai professionisti del settore, sia a
quegli spettatori che desiderano raggiungere una maggiore consapevolezza sul funzionamento del medium con il quale, in fondo, si relazionano quotidianamente, non solo per guardare, ma anche e soprattutto
per entrare in relazione con il mondo.
Capitolo I
La televisione intermediale
nella nuova Babele elettronica
1.1. La nuova Babele elettronica
Che cos’è, oggi, la televisione? La scatola parlante che intratteneva e riuniva in salotto una famiglia intera, rivolgendosi con un linguaggio comune a tutti i suoi spettatori, adesso si esprime come una
nuova Babele elettronica (Olivi e Somalvico, 2003).
Centinaia di canali e migliaia di programmi possono ormai essere
ricevuti su videofonini, computer, decoder satellitari, digitali terrestri
e via cavo. È sempre più frequente sentir parlare della fine del modello
broadcasting, all’alba dell’era della Tv personalizzata. Sotto la spinta
della digitalizzazione, le prospettive di switch off (spegnimento) della
televisione analogica in chiaro inducono i titolari delle licenze di trasmissione verso la sperimentazione di contenuti interattivi, in attesa
che l’integrazione con le reti a banda larga renda accessibili i loro
format da ogni angolo del pianeta, secondo modalità di fruizione più
vicine alla navigazione del web che allo zapping col telecomando. A
questo proposito, alcuni studiosi (E. Fleischner, in P. Boda, E. Fleischner, M. Mezza, 2000, pp. 164–175) prospettano la convergenza tra
i diversi modelli di telecomunicazione digitale, dalla televisione al cinema, dalla telefonia al telelavoro, dall’editoria cartacea a quella multimediale, tutti riuniti in ambienti onnicomprensivi che forniscono
servizi di media on demand. In questo scenario, la televisione si
17
18
Capitolo I
frammenta. Moltiplica la sua offerta di contenuti, si sposta su nuove
reti di trasmissione, diversifica il suo pubblico, cambia modelli di
fruizione, si ibrida con altri media, modifica lo sguardo dei suoi spettatori e da esso, a sua volta, è modificata.
Tentare una lettura unitaria della nuova struttura del sistema dei
media, per capire dove si collochi, oggi, la vecchia scatola parlante,
appare difficile come interpretare, appunto, una Babele elettronica. Le
variabili da prendere in considerazione sono le più disparate, dai cambiamenti delle strategie d’impresa dell’industria televisiva in un mercato globalizzato, alla trasformazione delle modalità di consumo delle
trasmissioni da parte di spettatori sempre più attivi e consapevoli, dalla ricerca sulle tecnologie di diffusione dei contenuti televisivi digitali
alle questioni legali sulle licenze e le autorizzazioni a trasmettere programmi per mezzo di questi strumenti. In questo studio, approfondirò
l’aspetto semiotico del cambiamento della televisione, alla scoperta
del suo nuovo modo di parlare il linguaggio dell’audiovisivo. Se di
una Babele si tratta, meglio ricercare una grammatica comune tra le
sue diverse lingue elettroniche, onde evitare problemi di comunicazione, soprattutto con gli spettatori.
Come sostengono i più attenti osservatori dei cambiamenti di paradigma della Tv di oggi, infatti, tra le tre componenti che devono interagire efficacemente per permettere a questa mutazione di affermarsi,
superando la concorrenza di modelli già solidi e affermati, e cioè una
concreta spinta economico legale, una solida infrastruttura tecnologica e un’offerta di contenuti all’altezza di modificare le abitudini di utilizzo del medium da parte del pubblico, proprio quest’ultimo punto risulta il più problematico (B. Olivi, B. Somalvico, ibidem, pp.
75 112).
È opinione comune che, allo stato attuale, i modelli di format televisivi per la nuova Babele elettronica siano l’anello debole della convergenza tra diversi media sulla televisione e della televisione su diversi media, non ancora all’altezza dei progressi tecnologici e della
volontà d’investimento dei grandi colossi dei mercati
dell’entertainment, della telefonia, dell’informatica e dei servizi web.
In realtà, qualcosa d’interessante si prospetta ormai all’orizzonte e alcune trasmissioni innovative si stanno affermando, in Italia e in Europa, anche sui canali generalisti. Si tratta dei progetti di format cosiddetti intermediali, capaci cioè di integrare l’utilizzo di diversi media
La televisione intermediale nella nuova Babele elettronica
19
dentro e attorno a un programma televisivo, mantenendo la centralità
della televisione, ma arricchendo quest’ultima col contributo di sms,
videochiamate, web cam, siti web, chat, e-mail, forum, riviste elettroniche e cartacee, trasmissioni radiofoniche di commento, eccetera.
I prodromi della televisione del futuro sono dunque ormai visibili. I
nuovi linguaggi della vecchia scatola parlante si stanno lentamente
codificando. Lungi dall’essere semplici strategie di marketing per allargare il bacino d’utenza del proprio pubblico, i format intermediali
s’inseriscono nella tradizione comunicativa della televisione, per potenziare alcuni suoi aspetti tradizionali (la capacità di essere uno spazio sociale, per esempio) e trasformarla in qualcosa di diverso, grazie
all’apporto di strumenti che, fino ad oggi, sembravano essere la sua
antitesi (i cosiddetti personal media, soprattutto1).
La scelta di privilegiare l’aspetto semiotico della nuova Babele elettronica, come dicevo, deriva proprio dalla convinzione che una
grammatica comune possa essere rinvenuta anche in un contesto caotico e in fermento come una torre di Babele, in modo da fornire agli
autori dei nuovi format una solida base di regole di partenza, da ricombinare all’infinito per arrivare a produrre il numero esorbitante di
trasmissioni che serviranno per soddisfare la domanda di un bacino di
pubblico che si allarga sempre più, valicando i confini delle singole
nazioni, prima con il satellite e ora con il web.
Sul versante opposto degli spettatori, invece, conoscere il linguaggio della nuova televisione non potrà che aumentare la consapevolezza
della fruizione di un medium che oggi, ormai, tende ad uscire dal salotto di casa, per comunicare non più alle famiglie riunite nel rito collettivo dello spettacolo del sabato sera, ma ai singoli individui (Tv
personalizzata su videfonino, servizi di video on demand e peer to peer Tv), ai piccoli gruppi (Social Tv), ai gruppi etnici allargati (Tv regionali tematiche su digitale terrestre e canali satellitari), a intere nazioni (canali generalisti su digitale terrestre) e, potenzialmente, a tutti i
cittadini del mondo (CNN su satellite, Ip Tv sul web). Una varietà di
scelta che, come è ovvio, si basa su modelli di comunicazione diversi
e linguaggi, a volte, difficili da decodificare.
1
Si veda, per esempio, E. Pedemonte, 1998.
20
Capitolo I
Una riflessione semiotica sulla nuova televisione non può prescindere, però, da una rapida descrizione, giocoforza sommaria2, dello
scenario tecnologico, economico e legale su cui essa poggia attualmente. L’obiettivo è esplicitare, rendendoli più comprensibili, i termini tecnici con cui sono stati descritti fin qui servizi di distribuzione dei
contenuti televisivi, reti di trasmissione, canali e modalità di fruizione
da parte degli spettatori. Ed è proprio quest’ultimo concetto — la modalità di fruizione della nuova Babele elettronica — che dovrebbe cominciare a delinearsi.
1.2. La televisione esce dal televisore
Il modello della radiodiffusione via etere verticalmente integrata, in
cui il broadcaster svolgeva contemporaneamente la funzione di editore
responsabile dei contenuti e della rete d’impianti di trasmissione, induceva gli spettatori a identificare, nell’immaginario collettivo, il concetto di televisione con quello di televisore. Chi produceva i programmi, li “impacchettava” nelle frequenze di un canale e li irradiava,
attraverso una serie di ripetitori, verso le case di chi li voleva guardare, dove un elettrodomestico dotato di tubo catodico li avrebbe resi
fruibili. A chi non è capitato, almeno una volta, di sentirsi chiedere di
“accendere la televisione”?
La situazione ha cominciato a complicarsi alla fine degli anni ottanta, con l’avvento dei satelliti dotati di tecnologia DTH (Direct To Home). Vecchi e nuovi canali potevano essere visualizzati
sugli apparecchi domestici per mezzo di un’antenna parabolica che riceveva il segnale da un trasponditore orbitante. Dal punto di vista degli spettatori, questo significava, innanzitutto, un passaggio ulteriore
per “accendere la televisione”: l’attivazione di un set top box in grado
di decodificare i nuovi segnali. Per i titolari delle licenze dei canali,
invece, diventava possibile trasmettere i propri programmi attraverso
reti di telecomunicazione di proprietà di terzi, sganciando i contenuti
della televisione dalla loro modalità di diffusione.
La digitalizzazione del segnale audio video nello standard M PEG
2 — approvato come norma unica mondiale per la trasmissione digita2
Per un approfondimento su questi temi si veda M. Scaglioni, A. Sfardini, op. cit.; F. Colombo, a cura di, op. cit..