PROPOSTE PROGETTUALI PER ATTIVITÀ DI CAMPO AUTORITÀ DI BACINO DEL FIUME PO UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA Contratto n. 323/2006 - “Analisi tecnico-conoscitive e sperimentazioni tecnico-idrauliche riguardanti la vulnerabilità degli impianti sportivi e turistico-ricreativi nelle fasce fluviali definite dal PAI – progetto CANOAPO” Titolo elaborato: PROPOSTE PROGETTUALI PER ATTIVITÀ DI CAMPO Codice elaborato: R.1.2 Il presente documento è stato realizzato nell’ambito dello studio “Analisi tecnico-conoscitive e sperimentazioni tecnico-idrauliche riguardanti la vulnerabilità degli impianti sportivi e turistico-ricreativi nelle fasce fluviali definite dal PAI – progetto CanoaPO”, commissionato dall’Autorità di bacino del fiume Po e condotto dall’Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Ingegneria Idraulica e Ambientale. Il documento è liberamente accessibile e va citata la fonte in caso di utilizzo. I contenuti del documento sono conformi agli obiettivi originari dello studio. Si declina ogni responsabilità per qualunque utilizzo ne venga fatto. Coordinamento dello studio: Enrico Burani, Marina Monticelli, Alessio Picarelli, Piero Tabellini - Autorità di bacino del fiume Po Redazione del documento: Paolo Ghilardi e Isabella Corni Gruppo di lavoro: Paolo Ghilardi, Mario Fugazza, Mario Gallati, Giovanni Braschi, Luigi Natale Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Ingegneria Idraulica e Ambientale Fonti immagini: foto di attivita’ sperimentali, Dipartimento di Ingegneria Idraulica e Ambientale, Università degli Studi di Pavia Lo sfondo della copertina è tratto dalle tavole delle fasce fluviali del Piano stralcio per l’assetto idrogeologico del bacino del Po. Progetto e realizzazione grafica: Paolo Ghilardi, Isabella Corni Febbraio 2009 Per informazioni: Autorità di bacino del fiume Po Via Garibaldi, 75 – 43100 Parma Tel. 0521 276 1 e-mail: [email protected] sito WEB: www.adbpo.it AUTORITÀ DI BACINO DEL FIUME PO UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA INDICE: INTRODUZIONE .................................................................................................................2 1. EROSIONE......................................................................................................................4 1.1 AGIRE NEL PUNTO IN CUI SI INNESCA IL VORTICE.............................................7 1.2 CREARE PROTEZIONI PER RIDURRE LE VELOCITÀ..........................................10 1.3 PAVIMENTARE L’INTORNO DELL’EDIFICIO ...........................................................12 2. SOMMERSIONE ...........................................................................................................15 2.1 RIVESTIMENTI .....................................................................................................................16 2.2 ISOLAMENTO.......................................................................................................................16 2.3 PARETI INTERNE IN CARTONGESSO...........................................................................16 2.4 PORTE E FINESTRE...........................................................................................................17 2.5 PAVIMENTO .........................................................................................................................17 2.6 TERZA FASE: NON PERMETTERE ALL’ACQUA DI ENTRARE ................................17 3. PROPOSTE PER ESPERIMENTI A SCALA DI CAMPO..............................................18 INTRODUZIONE La verifica e la messa a punto di tecniche per la riduzione della vulnerabilità richiede in molti casi la esecuzione di verifiche sperimentali, in quanto non sempre risulta possibile verificare a priori, magari attraverso opportuni calcoli matematici, l’efficacia degli accorgimenti adottati. Ciò accade perché lo stato attuale delle conoscenze non permette di pervenire ad una interpretazione teorica sufficientemente precisa e dettagliata di tutti i fenomeni fisici innescabili dagli allagamenti, in particolare – ma non solo – quando è coinvolto il trasporto solido. A questa carenza si può sopperire tramite la modellazione fisica, realizzando modelli in scala e eseguendo su di essi esperimenti che siano facilmente gestibili all’interno di un laboratorio attrezzato con adeguati strumenti di misura. Alcuni fenomeni idraulici connessi alle azioni delle correnti su edifici risultano però malamente riproducibili per mezzo di esperimenti su modelli fisici in scala ridotta, e al contrario richiedono esperimenti a scala di campo. La ragione di ciò risiede nella molteplicità dei fattori che influenzano un particolare fenomeno. Per esempio, è noto nella letteratura tecnico-scientifica che per riprodurre in scala l’andamento del profilo di pelo libero in un canale occorre mantenere nel modello lo stesso numero di Froude del prototipo o, in altre parole, adottare il criterio di similitudine di Froude. E’ parimenti noto che un tale modello non riproduce altrettanto bene quei comportamenti della corrente che dipendono dal numero di Reynolds: infatti, a parità di numero di Froude il numero di Reynolds in un modello in scala ridotta è anch’esso ridotto, con conseguente distorsione, per esempio, di quanto è in funzione della turbolenza del moto. In particolare si sottolinea che i fenomeni erosivi localizzati, che possono generare pericolosi scalzamenti delle fondazioni, sono ben difficilmente riproducibili su modelli in scala ridotta. Ciò è dovuto alla molteplicità dei fenomeni fisici coinvolti, che ridotti in scala vedrebbero alterati i rapporti fra essi al punto da rendere le conclusioni degli esperimenti ben difficilmente trasferibili alla scala del prototipo. Da non trascurare è anche la complessità granulometrica del terreno naturale, anch’essa difficilmente riproducibile in scala senza introdurre distorsioni. Un altro campo in cui appare opportuno il ricorso a esperimenti a scala di campo, o ad essa molto vicina, è quello che riguarda la resistenza di manufatti alla sommersione più o meno prolungata, anche alla luce di esperimenti già realizzati all’estero con successo. Si rileva in questo caso la necessità di porre attenzione a quanto normalmente usato in Italia in campo edilizio, in quanto le prove eseguite all’estero hanno privilegiato, per ovvie ragioni, tecniche costruttive e materiali tipici dei luoghi in cui è stata effettuata la sperimentazione e che in vari casi non sono riconducibili a quanto utilizzato in Italia e in particolare all’interno del bacino del fiume Po. Un’altra attività sperimentale di grande interesse potrebbe riguardare la misura a scala di campo delle varie sollecitazioni meccaniche, con particolare attenzione alle spinte idrodinamiche – ampiamente descritte nel documento “Valutazione della vulnerabilità: esiti delle attività sperimentali” all’interno del presente studio – e agli impatti di oggetti galleggianti esternamente agli edifici o internamente ad essi. Al momento sembra però troppo oneroso allestire i dispositivi sperimentali necessari al riguardo, anche alla luce della documentazione relativa ad analoghe esperienze condotte da altri gruppi di studio e citate all’interno del documento “Linee generali per la riduzione della vulnerabilità di edifici e impianti nelle fasce fluviali”. 2 Fra l’altro, durante le attività riferite nell’elaborato “Valutazione della vulnerabilità: esiti delle attività sperimentali”, si è verificato che un normale modello bidimensionale basato sulle equazioni di De Saint Venant è stato in grado, con opportuni accorgimenti, di ben interpretare i principali aspetti idrodinamici che sono all’origine delle spinte dinamiche, e di costituire quindi uno strumento che, se usato con accortezza, è in grado di prevedere con adeguata precisione la spinta dinamica esercitata da una corrente su un edificio. A questo proposito è utile ricordare che i citati modelli bidimensionali non descrivono la variazione della velocità in funzione della distanza dal fondo e la distribuzione della pressione lungo una verticale. In particolare, con le procedure descritte nell’elaborato “Valutazione della vulnerabilità: esiti delle attività sperimentali”, a cui si rimanda per i dettagli, la spinta dinamica sugli edifici è valutata nell’ipotesi di una distribuzione idrostatica delle pressioni lungo le pareti. Un esperimento a scala di campo permetterebbe, installando normali trasduttori di pressione lungo la parete, una verifica dello scostamento della distribuzione effettiva da quella approssimata come idrostatica. In particolare andrebbero indagate le zone intorno agli spigoli interessati dalle più forti curvature delle traiettorie e dalle maggiori velocità, essendo essi i punti in cui è ragionevole aspettarsi un maggiore scostamento dalle distribuzioni ipotizzate. Il risultato di queste misure potrebbe consentire lo sviluppo di metodi di stima della spinta più precisi, nonché fornire indicazioni dirette sull’effettiva distribuzione delle sollecitazioni esercitate dall’acqua in movimento sulla superficie del manufatto. Per porre le basi di una eventuale pianificazione di dettaglio di tali esperimenti di campo, nel corso degli studi descritti in questo rapporto si è condotta una prima indagine, basata essenzialmente su prove eseguite nel laboratorio del Dipartimento di Ingegneria Idraulica e Ambientale dell’università di Pavia, e pur con tutti i già ricordati limiti dei modelli in scala, mirata ad una prima valutazione di possibili soluzioni costruttive atte a ridurre i fenomeni erosivi che possono portare allo scalzamento delle fondazioni. Si è parallelamente analizzata la letteratura tecnica su quanto riguarda la resistenza degli edifici soggetti ad immersione in caso di inondazione. La prima parte di questo documento riporta i risultati e le immagini delle prove effettuate alla ricerca di soluzioni atte a ridurre lo scalzamento delle fondazioni, mentre la seconda riporta la sintesi di una serie di esperimenti effettuati in scala 1:1 per testare la resistenza all’acqua dei vari materiali e dei sistemi costruttivi usati abitualmente per le abitazioni costruite negli Stati Uniti. 3 1. EROSIONE Qualsiasi costruzione posta in zone soggette a piena è potenzialmente esposta alle sollecitazioni dovute al trasporto solido innescato al movimento dell'acqua, e in particolare a fenomeni di erosione localizzata del terreno che circonda le fondazioni, con la conseguenza di poter subire crolli o comunque seri danni alla struttura. Esiste molta letteratura sul problema dell'erosione delle pile dei ponti, e sono oggi disponibili le relative equazioni che consentono il calcolo della la profondità massima raggiunta dall’erosione; sono stati eseguiti molti meno studi su oggetti rettangolari quali possono essere edifici posti in zona allagabile. Il problema è serio poiché gli edifici solitamente non sono progettati per resistere alle azioni provocate da un allagamento, e si rischia quindi di non conoscere le conseguenze che l'erosione comporta. Il fenomeno dello scalzamento deriva dal comportamento della corrente, che trovando un ostacolo sul proprio cammino è costretta a trovare vie alternative aggirando la parete. Sullo spigolo, la parete non si oppone più al passaggio dell'acqua quindi questa compie un angolo retto riprendendo la corsa verso il basso. Nel momento in cui l'acqua gira a gomito, si crea un vortice alla base dello spigolo che innesca lo scalzamento del terreno in quel punto, granello dopo granello, creando un buco a forma di cono le cui pareti sono inclinate secondo l'angolo di equilibrio della sabbia immersa in acqua, infatti i granelli portati via lasciano uno spazio libero ai granelli che su quelli si appoggiavano, questi crollano e a loro volta vengono portati via dal vortice. Si innesca quindi un meccanismo che porta il cono ad allargarsi e ad approfondirsi. Nella parte centrale della parete si innesca un dinamismo diverso e inizialmente più lento di quello sugli spigoli: il livello d'acqua si innalza nel punto in cui la corrente arriva contro la parete, e questo genera un aumento della pressione alla base della parete che innesca un locale flusso verso monte spingendo i granelli di sabbia a spostarsi in direzione contraria al flusso. Questo innesca un movimento rotatorio a vite dell'acqua alla base della parete che pian piano porta via materiale. Lavorando in contemporanea, l'erosione in centro parete e sugli spigoli portano ad un disegno di scavo caratteristico, che varia in funzione della direzione che la parete ha rispetto alla direzione della corrente. L'erosione è un fenomeno che varia in funzione del tempo, in continua evoluzione, non si può arrivare a definire il punto finale. Nello schema accanto sono riportate tre fasi del fenomeno: in a) l’asportazione di materiale inizia nello spigolo, per poi ingrandirsi in b) creando un cono più grande, mentre in c) e’ schematizzata la situazione molto avanzata in cui l’azione erosiva si aggrava in centro parete (cfr. “Building Scour in Floodplains” di A.Kohli e W.H.Hager, VAW, ETH Zentrum, Zurigo, Svizzera). 4 Il processo di erosione è favorito dalla presenza di terreno disgregato e di alta velocità della corrente. Per poter valutare a grandi linee le dinamiche che caratterizzano il fenomeno e le possibili soluzioni al problema che questo comporta, si è dato il via ad un'osservazione preliminare eseguita in laboratorio ricreando le condizioni di allagamento su di un alveo a fondo mobile con letto sabbioso, di sezione rettangolare con larghezza dell’ordine del metro. Sono state eseguite varie prove con correnti subcritiche e tiranti compresi fra 3 e 10 cm, osservando l’erosione nell’intorno di ostacoli inseriti nel canale. Dopo aver osservato il fenomeno immergendo pareti verticali o parallelepipedi in diverse posizioni e con vari orientamenti geometrici, si è provato ad impedire o comunque rallentare il formarsi dello scavo conico angolare. Vi sono difficoltà oggettive nella riproduzione in scala di un simile fenomeno: esso è influenzato contemporaneamente sia dal numero di Froude che da quello di Reynolds, rendendo così difficile la determinazione dei rapporti di scala, e dipende fortemente dalle caratteristiche del terreno. Di conseguenza, le prove di laboratorio qui descritte non hanno carattere esaustivo e non hanno la pretesa di voler riprodurre il fenomeno in scala; quanto segue vuol essere puramente la documentazione di un'osservazione preliminare volta a sondare le possibili soluzioni per arginare o limitare il problema, rimandando a una auspicabile sperimentazione a scala di campo per una esatta valutazione quantitativa. Si sono sperimentate alcune linee di azione volte a limitare l’erosione: 1. AGIRE NEL PUNTO IN CUI SI INNESCA IL VORTICE - trasformando lo spigolo (arrotondarlo, affiancando un cilindro, continuando le pareti) - strutturando la terra 2. CREARE PROTEZIONI PER RIDURRE LE VELOCITÀ - piantando alberi a protezione dell'edificio - simulando la presenza di recinzioni 3. - PAVIMENTARE L’INTORNO DELL’EDIFICIO con massetto rigido con ghiaia con tessuto tenuto fermo da ghiaia Si andrà ora ad analizzare nel particolare le osservazioni dedotte dalle diverse prove. 5 Si è osservato che il fenomeno di scalzamento non varia in modo significativo immergendo una parete isolata o un parallelepipedo ortogonali alla direzione dell'acqua. Quindi nelle prove si e’ usato indifferentemente un oggetto profilato oppure una tavoletta. In un primo momento si è cercato di analizzare il fenomeno osservando le fasi e la dinamica dell'erosione, documentando con disegni e foto la geometria che la corrente crea sul fondo sabbioso. Si riportano qui le immagini ricavate dall’osservazione e dalla letteratura. Si può notare la caratteristica forma a fagiolo, che poi si sviluppa in ferro di cavallo, dello scalzamento intorno all'ostacolo. Il disegno varia a seconda dell’angolo corrente-parete. 6 1.1 AGIRE NEL PUNTO IN CUI SI INNESCA IL VORTICE Dato che gran parte della responsabilità dello scavo è dovuta al crearsi di microvortici alla base dello spigolo, si è pensato di disturbare in qualche modo il fenomeno, inserendo oggetti nella posizione in cui il vortice nasce. Un primo risultato dato dalla presenza di un bastoncino in posizione angolare, con la parete posta in modo perpendicolare alla direzione dell'acqua, è stato lo spostamento del fenomeno: il vortice si è comunque formato a fianco del bastoncino, allontanando leggermente il cono di erosione dalla parete. Orientando però la parete in direzione non ortogonale alla direzione dell'acqua, il cono si sviluppa comunque erodendo materiale di fondazione forse anche più in fretta che nel caso senza bastoncino. Scartando quindi questa strada, si e’ passati a inserire nella posizione critica una griglia metallica che andasse a disturbare il processo. Con questo sistema il fenomeno di scalzamento si è ridotto e rallentato notevolmente. Sarebbe interessante approfondire il sistema di disturbo del vortice angolare con esperimenti di campo, per assicurarsi che problemi di scala non influiscano sui risultati. Si è provato poi ad arrotondare lo spigolo per vedere l'effetto sull'erosione e si è constatato che anche se in un primo momento il fenomeno e' rallentato, visto che non esiste uno spigolo, prevale il movimento a spirale intorno alla base che comunque porta via materiale creando un tronco di cono che ha per base minore proprio in corrispondenza dell'angolo arrotondato. Non si sono riscontrati significativi cambiamenti aumentando il raggio della superficie cilindrica. 7 Sempre nell'intento di disturbare il vortice angolare, si è provato a ipotizzare un prolungamento delle travi di fondazione dell'edificio creando così sotto il livello del terreno due barriere ortogonali tra loro in grado di opporsi alla corrente. Effettivamente all'inizio dell’allagamento l'asportazione del materiale viene ritardata, ma nel momento in cui vengono scoperte le travi sotterrate il movimento del materiale posto a contatto della parete interrata diventa molto veloce, e le travi di fondazione vengono rapidamente messe a nudo. Questo sistema quindi porta ad allontanare l'erosione dallo spigolo della parete, contribuendo alla sicurezza della stabilità dell'edificio, ma non risolve il problema dell'asportazione di materiale. 8 Si e’ anche provato a inserire lame angolari sia interrate che non, per vedere come si sarebbero comportati i flussi dovendo rimontare per un breve tratto controcorrente. Si e’ osservato che le barriere fuoriterra attivano molto in fretta il fenomeno erosivo che si localizza sul punto piu’ lontano della barriera. Funzionano meglio invece quelle interrate, rallentando il fenomeno. In entrambe i casi questo tipo di protezione allontana il problema dell’erosione dall’angolo dell’edificio, concentrandolo invece sulle barriere angolari. Come si vede dalle immagini, cambiando direzione della corrente, lo scalzamento assume geometrie diverse senza diminuire la gravità del fenomeno. Nella foto in basso la corrente si muove un direzione ortogonale alla parete, nelle foto precedenti, che mostrano nel tempo lo sviluppo dell’erosione, in diagonale. 9 1.2 CREARE PROTEZIONI PER RIDURRE LE VELOCITÀ Si è provato poi ad affrontare il problema ponendosi l’obiettivo di rallentare la velocità dell'acqua in prossimità dell'edificio. In letteratura si e’ trovato traccia di sistemi per poter ridurre il fenomeno dello scalzamento attorno alle pile dei ponti, di seguito si riportano gli schemi trovati nel manuale di idraulica “Scouring” di A.J. Raudkivi e H.N.C. Breusers edito nel 1991 a Rotterdam da A.A. Balkema, che propongono l’utilizzo di pali sommersi a protezione delle pile dei ponti. Si è pensato innanzitutto a sistemi naturali come la presenza di alberi, che ben si giustifica all’interno di impianti sportivi. Il problema è che il tronco è un ostacolo isolato sostanzialmente cilindrico e di piccola dimensione rispetto alla parete, due fattori che non comportano sostanziali cambiamenti del fenomeno di erosione su parete in quanto la corrente si richiude alle spalle dell’ostacolo senza influire significativamente sulla velocità. È da considerare poi il fatto che la piantumazione di alberi non permette di avere piante troppo vicine una all’altra, a seconda dello sviluppo radicale e di fronda ci sono delle distanze minime da rispettare, sia tra le piante che tra queste e l’edificio, quindi e’ difficile ottenere effetto barriera con i singoli tronchi. Si consiglia, per esperimenti futuri, di provare sul campo l'effetto di barriere permeabili quali staccionate, siepi o recinzioni a protezione di edifici, allo scopo di valutare con più accuratezza di quella possibile nelle prove in laboratorio l'influenza di queste sullo scalzamento. Alcune prove sono state eseguite simulando l'effetto di un muretto o di una recinzione non permeabile a protezione dell'edificio. Si è potuto quindi osservare che la presenza di una barriera abbastanza alta, tale da non venire scavalcata dalla corrente, si dimostra efficace nel rallentare la velocità della corrente che arriva sulla parete dell'edificio. Nelle immagini seguenti si può osservare l’effetto di un angolo di recinzione non permeabile che anche se di limitate dimensioni protegge l'oggetto a valle. Si può notare una diminuzione dello scalzamento sia in profondità che in estensione, soprattutto si nota una riduzione del fenomeno di vortice angolare mentre rimane in 10 evidenza l'asportazione innescata dalla differenza di pressioni alla base della parete che porta via materiale con un movimento a vite che scava un fossato torico intorno all'edificio. Si e’ invece notato come lo scalzamento si accentui e velocizzi nel momento in cui la corrente riesca ad oltrepassare lo sbarramento. Infatti l'acqua scavalcando l'ostacolo si comporta come una piccola cascata, con vortici e turbolenze che facilitano l'asportazione di materiale solido dal fondo, velocizzando il fenomeno dell'erosione in modo proporzionale alla vicinanza della barriera alla parete. Un muro di cinta che ragionevolmente poteva sembrare utile per la protezione dell’edificio, risulta quindi dannoso se costruito troppo vicino e più basso del tirante in condizioni di piena. Non si è qui considerato il problema della difesa da scalzamento dei muri di cinta, infatti come si vede dalle immagini questo e’ ben presente. 11 1.3 PAVIMENTARE L’INTORNO DELL’EDIFICIO Si e’ sperimentato questo diverso approccio al problema volendo proteggere la base della struttura con opere di difesa poste alla base delle pareti, quali ad esempio marciapiedi, cordoli, sassi o pavimentazione in calcestruzzo, posti intorno al perimetro. I risultati di questa metodologia si sono rivelati più soddisfacenti di quelli avuti nelle sperimentazioni precedenti. Per simulare un battuto in cemento armato intorno alla casa, si e’ posto un cubo su di una piattaforma in legno con gli spigoli smussati, questo per rallentare il crearsi del vortice sullo spigolo del marciapiede. I risultati migliori si sono avuti portando il marciapiede allo stesso livello del terreno, senza creare quel gradino che subito genera spigolo e di conseguenza vortice. Sarebbe interessante per sperimentazioni future sul campo provare ad interrare il marciapiede. Infatti, in letteratura viene suggerito di interrare il collare a protezione delle pile dei ponti ad una opportuna profondità. Come si vede nella prima foto si ripresenta comunque nella sabbia il disegno a ferro di cavallo intorno alla pavimentazione, ma la profondità e’ minore. La parte posteriore del marciapiede viene progressivamente interrata, mentre lo spigolo del marciapiede perde pian piano appoggio fino a rimanere a sbalzo oppure a rompersi. La soluzione analizzata rallenta il fenomeno di scalzamento e nel contempo ne riduce le dimensioni. Se però il fenomeno erosivo dovesse prolungarsi troppo a lungo si arriverebbe a una crisi strutturale del marciapiede. Se l’edificio e’ posto in diagonale rispetto alla corrente l’acqua che corre lungo la parete porta a fenomeni di erosione locale come mostrato nella terza foto. 12 Se si crea un fascia coperta da sassi sciolti il fenomeno erosivo rallenta rispetto alla sabbia libera, il vortice angolare viene disturbato ma agisce comunque, asportando granelli di sabbia attorno ai sassi fino a togliere a questi il sostegno, quindi questi pian piano si interrano e si abbassano adagiandosi sul fondo dello scavo. Il problema non viene quindi eliminato, ma sicuramente viene rallentato. Utilizzando parallelepipedi trasparenti di vetro (in colore verdino nelle foto) si e’ voluto simulare una pavimentazione a lastricato allo stesso livello del terreno, dove pietre di grande dimensione rimangono per gravità al loro posto. La prova ha dato ottimi risultati, non si è infatti quasi avuto effetto di scalzamento, forse anche per il fatto di avere bene interrato i blocchetti. La sabbia presente nei giunti è stata asportata, ma non si sono creati vortici intorno ai parallelepipedi. Per sicurezza sarebbe interessante poter osservare gli effetti di una simile prova alla scala di campo, anche per poter valutare l'eventuale influenza delle azioni di attrito superficiale provocate dai diversi materiali. 13 Infine, dopo aver analizzato i risultati delle prove precedenti si e’ provato a simulare una soluzione più flessibile, che tenesse conto dei possibili movimenti del terreno e che dopo il passaggio della piena fosse di facile ripristino. Si e’ quindi posta una stoffa, che vorrebbe rappresentare uno strato di geotessile od altro tessuto o rete plastica usata in edilizia, intorno all’ostacolo, tenuto fermo da pietre sciolte. Queste potrebbero essere nella realtà poste in uno strato e poi interrate e inerbite, oppure, volendo un marciapiedi pavimentato, si potrebbe sistemare sul geotessile blocchetti in cls autobloccanti per pavimentazioni. Le correnti generate dai I vortici e dalle turbolenze create dall’ostacolo verrebbero quindi separate dal terreno dallo strato contenitivo di geotessile, ed il punto delicato che rimane il bordo del geotessile, se anche fosse eroso, invece di presentare un fronte solido come negli altri casi si adagerebbe (essendo costretto a rimanere aderente al terreno dai pesi sovrastanti) seguendo l’inclinazione della nuova conformazione del terreno. La prova in laboratorio ha dato buoni risultati, non si e’ osservata azione erosiva. Sarebbe interessante poter provare sul campo la risposta di diversi tipi di materiali sistemati a strati, e anche dei sistemi di ancoraggio del geotessile al suolo. 14 2. SOMMERSIONE Un altro problema che va affrontato deriva dal prolungato contatto con l’acqua di una parte dell’edificio soggetto a inondazione. I materiali da costruzione si imbevono d’acqua spesso contaminata da diversi agenti inquinanti quali sostanze chimiche, oleose, organiche, che penetrano negli interstizi e per capillarità nei materiali porosi e difficilmente si riesce a ottenere una veloce pulizia una volta ritirata la piena. Vi sono poi materiali che non resistono ad un prolungato contatto con l’acqua, e si degradano al punto da dover operare una demolizione e ricostruzione a fine evento. Si vuole qui riportare l’esperienza condotta sul campo di cui si trovano i risultati in letteratura, in modo da suggerire successivi esperimenti che tengano conto delle precedenti esperienze. Tuttavia le prove di seguito descritte sono state condotte su edifici che ripropongono tecniche e sistemi costruttivi caratteristici della cultura americana con pareti, struttura e rivestimenti in legno, materiali plastici e cartongesso, notevolmente diversa dai sistemi e dai materiali usati dall'edilizia in Europa. Si suggerisce quindi di condurre sperimentazioni che tengano presente le modalità di seguito descritte, applicate però a modelli di edifici costruiti secondo i modelli costruttivi che più si trovano in Italia. Si fa qui riferimento ad una sperimentazione condotta dall’ Oak Ridge National Laboratory e la Tuskegee University per U.S. Department of Housing and Urban Development nel settembre 2004, su edifici resistenti ai danni di piena. Il Dipartimento della Sicurezza Urbana e l’Agenzia Federale per la Gestione delle Emergenze (FEMA) definiscono come ”resistenza ai danni di piena” la capacità di materiali, delle componenti e dei sistemi edilizi, di rimanere a diretto e prolungato contatto con le acque di piena senza riportare danni che richiedano più di una riparazione superficiale per riportarli alle condizioni iniziali. Queste riparazioni non devono però risultare più costose della sostituzione di elementi danneggiati. L'esperimento è stato condotto presso ad un lago vicino all'università di Tuskegee in Alabama. Riprodurre le condizioni di inondazione su di una struttura residenziale completa sarebbe stato troppo costoso e poco pratico, quindi sono stati prodotti una serie di piccoli prototipi per i test: sono state sistemate casette con base di 8 x 8 piedi all'aperto in un bacino allagato. Le casette sono state testate per analizzare la resistenza alla degradazione fisica o dalle condizioni umidità e di successivo seccaggio associate all'inondazione. Sicuramente non è stata testata la resistenza all'impatto delle correnti in piena o alla pressione idrostatica. L'allagamento è stato limitato a due piedi al disopra del livello del pavimento, in modo da non mettere in crisi la struttura delle tipiche costruzioni legno. Dopo tre giorni di permanenza in acqua, le strutture sono state fatte asciugare per cinque giorni, volendo simulare il tempo necessario ai padroni di casa per tornare dopo la piena. Quindi entrando nelle casette è stata lasciata aperta porta e finestra per facilitare l'asciugatura e si sono cominciati i lavori di recupero post-alluvione. Le casette sono state pulite ed alcune disinfettate, poi sono state lasciate ad asciugare per un totale di 28 giorni. Passato questo lasso di tempo, è stato condotto il restauro, poi le casette sono state analizzate per documentare le condizioni, il deterioramento e le macchie di muffa fin nelle parti interne della struttura. 15 Dovendo simulare le condizioni, le strutture e i materiali presenti delle case comunemente presenti in zone esposte a inondazione, ogni casetta è stata dotata di porta e finestra, di due prese d'aria nei blocchi di cemento di fondazione e di una parete interna con porta, a divisione delle due stanzette. Sono stati sperimentati diversi tipi di materiale per le finiture esterne, sono stati condotti tre tipi di test, nel primo vennero costruite due casette con metodi di costruzione tipici, poi allagate per capire in che modo materiali strutture vengono danneggiate durante e dopo la piena. Questo primo esperimento ha creato i presupposti e le linee guida per poter paragonare a questi, altri materiali ed altri sistemi. Nel secondo esperimento sono stati infatti introdotti materiali e sistemi diversi, che si presupponeva resistessero meglio ai danni di piena, poi le casette vennero analizzate e campioni dei vari materiali vennero prelevati. Nel terzo esperimento si è voluto sperimentare un sistema che non lasciasse entrare l'acqua nella struttura, esperienza che è stata poi ripetuta imparando dagli errori commessi in precedenza. Durante gli esperimenti sono state misurate l'umidità relativa, la temperatura, la quantità di fango nei materiali da costruzione e sono state inoltre annotate le condizioni ambientali e climatiche durante i periodi di prova. 2.1 RIVESTIMENTI Si è osservato che l'acqua non è evaporata velocemente dal retro del rivestimento in compensato, questo materiale e’ facilmente lavabile ma la vernice scolorisce. Per riportarlo alle condizioni originali si è costretti a ritinteggiare la parete. Inoltre questo materiale, se esposto a frequenti cicli di allagamento ed asciugatura, si rovina ed invecchia velocemente. Non viene quindi considerato un buon materiale di rivestimento in zona allagabile. Il rivestimento di lame di vinile e le scandole in fibra cemento si comportano molto meglio del precedente, si riesce infatti a riportarle alle condizioni iniziali semplicemente lavando la parte rimasta allagata. I giunti presenti in entrambe i casi permettono all'acqua di asciugare velocemente. 2.2 ISOLAMENTO I test hanno dimostrato che gli strati isolanti composti in fibra di vetro, contribuiscono ad aumentare il livello di umidità delle pareti perimetrali e sotto i pavimenti e possono contribuire a creare danni permanenti alla sotto pavimentazione e ai rivestimenti interni in cartongesso. Si raccomanda quindi di rimuovere di far asciugare o sostituire l'isolante entrato in contatto con l'acqua di piena. Quando è stata testata la schiuma poliuretana isolante all'interno delle pareti perimetrali, i rivestimenti interni ed esterni si sono asciugati allo stesso tempo delle pareti con intercapedine vuota. Questo tipo di isolamento assorbe l'acqua molto lentamente e non viene danneggiato dalla piena e non ritiene il fango. Non si sono osservato tracce di muffa sulla superficie dell'isolante. 2.3 PARETI INTERNE IN CARTONGESSO Quando il cartongesso viene usato a contatto con l’isolante in fibra di vetro delle pareti perimetrali, perde circa il 50 % della sua resistenza a flessione e rimane più umido del cartongesso usato per le pareti interne, prive di isolamento. Le pareti in cartongesso 16 interne si sono asciugate entro i 28 giorni dell'esperimento e hanno mantenuto caratteristiche statiche buone (vedi schema seguente). Se le pareti in cartongesso vengono lasciate asciugare per abbastanza tempo, possono essere riportate alle loro condizioni originali eseguendo soltanto un restauro superficiale. Sulla parete si formano macchie di muffa che vanno pulite e restaurate. 2.4 PORTE E FINESTRE Sono stati utilizzati due tipi di porte: una porta composta da pannelli in legno pieno multi strato ed una porta con telaio interno. Tutte le porte testate sono state molto danneggiate e considerando i costi relativamente bassi della sostituzione, non si è considerato economicamente conveniente il restauro delle porte alluvionate. Per quanto riguarda le finestre è stato semplice ripristinare telai in alluminio o in materiale plastico alle condizioni precedenti la piena. Si consiglia di non inserire isolante in fibra di vetro compresso nei giunti tra telaio e parete, come solitamente si usa, per non far ristagnare eccessiva umidità. 2.5 PAVIMENTO La pavimentazione in cemento non si è rovinata né durante la piena né dopo il periodo di asciugatura. Tappezzeria, finitura vinilica e pavimentazione in legno sono rimaste impregnate e hanno trattenuto l’acqua sopra la soletta rallentando l’intero processo di seccaggio. Questi materiali sono stati quindi rimossi nelle procedure di recupero. Sottofondi in legno isolati con fibra di vetro danno come già detto grossi problemi, inoltre trattengono grosse quantità di umidità. Piastrelle ceramiche assorbono poca acqua e non rallentano significativamente il processo di evaporazione, non richiedono altre cure se non un lavaggio. Tutte le tappezzerie anche quelle resistenti all’acqua e le imbottiture testate, si sono molto sporcate e sono rimate impregnate di umidità rallentando l’asciugatura dell’intero edificio. Una pavimentazione in legno utilizzata, composta da fibre di legno e plastica, si è deformata e si è aperta nei giunti. Sono state testate anche pavimentazioni in vinile sia colate sul posto che steso su un’imbottitura. Entrambe le pavimentazioni hanno riportato bolle d’acqua intrappolate sotto. L’imbottitura sotto il vinile si e’ saturata. Se la pavimentazione non si rovina, può essere rimossa, asciugata e rimessa al suo posto. 2.6 TERZA FASE: NON PERMETTERE ALL’ACQUA DI ENTRARE Si è provato a costruire la casetta impermeabile per due volte senza successo. La prima volta sono stati resi stagni i giunti interni tra pavimento e soglia. Sono state montate barriere per le finestre formate da un pannello rigido di polistirene fissato con silicone, pensando che l’acqua sarebbe entrata da li. Invece ha trovato altre vie, quali i giunti tra pavimento e parete e tra parete interna e perimetrale. Non si è potuto quindi testare l’efficacia delle barriere in polistirene perchè l’acqua è entrata da altre parti. La seconda volta si sono curati e sigillati tutti i giunti tra pavimento e pareti, ma a dispetto di tutti gli sforzi l’acqua è entrata lo stesso. Una videocamera all’interno ha permesso di 17 individuare le falle, come si può vedere in foto c’è stato un cedimento del rivestimento interno. Non si è voluto insistere su questa via che è risultata poco pratica e onerosa. Sicuramente ha influito sull’esperimento la difficoltà di impedire l’ingresso all’acqua in una struttura costruita da intelaiatura e pareti composte a pacchetto. Con la tipologia costruttiva europea con pareti perimetrali in mattoni o calcestruzzo è sicuramente più facile tenere l’acqua all’esterno, però si innescano problemi di stabilità dovuti dal differenziale di pressione tra interno ed esterno allagato. 3. PROPOSTE PER ESPERIMENTI A SCALA DI CAMPO Quanto descritto nei precedenti capitoli ben si presta a esperimenti a scala di campo. Un primo esperimento proposto riguarda lo studio a scala 1:1 dei fenomeni erosivi attorno a ostacoli aventi la forma di normali edifici o di altre tipiche strutture riscontrabili in impianti sportivi (reti, ricoveri, ecc.), con l’intento di verificare la validità di soluzioni atte a contenere il fenomeno o a evitarlo del tutto. In dettaglio, occorrerebbe individuare una zona limitrofa a un fiume o comunque con ampia disponibilità di acqua, in modo da poter generare artificialmente una corrente che possa innescare i fenomeni di scalzamento attorno alla struttura. Deve essere prevista la possibilità di condurre esperimenti usando vari tipi di terreno, variando da composti monogranulari a miscugli più realistici in presenza o meno di copertura vegetale. Le misure effettuabili riguardano la profondità dello scalzamento e la sua evoluzione nel tempo in funzione delle caratteristiche della corrente. Allo scopo occorrerà utilizzare vari strumenti fra cui: misuratori di livello idrico (p. es. sonde laser oppure a ultrasuoni al di sopra della corrente); misuratori di velocità puntuale (micro mulinelli o dispositivi a ultrasuoni); strumentazione fotografica e cinematografica, indispensabile per cogliere al meglio la complessità dei fenomeni generati. Di esecuzione più agevole appaiono le attività descritte a proposito della sommersione, anche alla luce di esperimenti già realizzati altrove con successo. Per questi esperimenti la strumentazione di base appare abbastanza semplice, consistendo in rilevatori di livello e in strumentazione fotografica; è da valutarsi l’impiego di particolare strumentazione appositamente concepita per una eventuale quantificazione molto precisa dell’entità del danno arrecato al materiale dalla presenza d’acqua. Una eventuale attività sperimentale a scala di campo sulle varie sollecitazioni meccaniche, con particolare attenzione alle spinte idrodinamiche e agli impatti di oggetti galleggianti esternamente agli edifici o internamente ad essi, richiederebbe di strumentare un edificio (o altro tipo di manufatto) con trasduttori di pressione posti lungo il perimetro a varie altezze rispetto al suolo. Tali strumenti servirebbero a valutare la spinta idrodinamica, mentre per quella generata dall’impatto dei sedimenti occorrerebbe misurare direttamente la spinta sulla parete rendendola mobile (per intero o a tratti) e collegandola ad appositi dinamometri. Sia i trasduttori che i dinamometri andrebbero collegati ad un opportuno sistema di acquisizione digitale che renda più agevole la raccolta e l’interpretazione delle misure. Oltre alle forze d’urto andrebbero misurate anche le caratteristiche della corrente in arrivo, per cui andrebbe previsto l’uso ad es. di mulinelli o sonde a ultrasuoni per la misura della velocità in vari punti della corrente e di opportuni sensori di livello. 18 In alternativa, gli esperimenti potrebbero rinunciare alla misura delle sollecitazioni e concentrarsi sulla verifica della resistenza effettiva di vari tipi di parete confrontando il loro comportamento a fronte di sollecitazioni di uguali caratteristiche. Si potrebbe considerare, anche nella direzione di una miglior gestione del sito e di un conseguente probabile contenimento dei costi, la realizzazione di tali installazioni all’interno di un “parco attrezzato”, anche facente parte di una area a parco adibita a molteplici scopi culturali o turistico-ricreativi. In questo modo gli esperimenti, ideati a scopo di ricerca, potrebbero acquisire anche una valenza didattica e divulgativa a vari livelli. Ad esempio, l’impianto sperimentale potrebbe essere utilizzato per illustrare a scolaresche alcuni principi base del moto dell’acqua e dei sedimenti, o per discutere con tecnici specializzati l’efficacia o meno di alcuni dispositivi, o ancora per consentire lo svolgimento di esercitazioni didattiche a studenti di facoltà universitarie. 19