VISITA AI LABORATORI NAZIONALI DEL GRAN SASSO (LNGS

annuncio pubblicitario
VISITA AI LABORATORI NAZIONALI DEL GRAN SASSO (LNGS) CLASSE V G
Il 15 marzo 2009 la V G del nostro liceo, accompagnata dalle prof.sse Emanuela De Luca e Giuseppina Scarcella ha visitato i
laboratori nazionali di fisica del Gran Sasso. Partenza alle sette del mattino, con non poca fatica visto che si trattava di domenica,
arrivo all’Aquila alle 11. Dopo una breve sosta in città, il gruppo ha raggiunto la sede dei laboratori dove, in una sala conferenza un
ricercatore ha fornito le informazioni di base sugli esperimenti che si svolgono nei LNGS. Successivamente, nei laboratori
sotterranei, lo stesso operatore ha illustrato alcuni degli esperimenti attivi: OPERA, ICARUS, BOREXINO, CRESST. Il laboratorio
contiene anche esperimenti minori che occupano meno spazio che però, non sono stati descritti.
BREVI CENNI SULL IMPIANTO:
I Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS) sono localizzati ad Assergi, in provincia di L’Aquila. Il progetto, l’approvazione e il
finanziamento statale sono stati possibili grazie alla costruzione simultanea, negli anni ’70-’80, del tunnel autostradale nella stessa
zona. La realizzazione dei LNGS è iniziata nel 1982, da un'idea di Antonino Zichichi e la costruzione del primo apparato
sperimentale è iniziata solo 4 anni più tardi, nel 1986, quando il primo tunnel è stato aperto al traffico pubblico. Gli uffici ed il centro
direzionale sono situati a circa 1 km dall’uscita autostradale di Assergi ed occupano attualmente un’area di circa 12.000 mq..
I laboratori sotterranei sono localizzati circa 1400 metri sotto il massiccio roccioso centrale del Gran Sasso, precisamente sotto la
vetta del Monte Aquila. L’accesso avviene attraverso il tunnel autostradale relativo al flusso di traffico Teramo-L’Aquila, utilizzando
una corsia autorizzata ai soli utenti dei LNGS creata mediante un restringimento di carreggiata di circa 1 km in corrispondenza delle
sale sotterranee. I laboratori sono sostanzialmente costituiti da 3 grandi sale sperimentali, di dimensioni circa 100 x 20 x 20 metri, e
da una serie di gallerie di collegamento che vengono utilizzate per ospitare tutta l’impiantistica di supporto alle attività ed agli
esperimenti di dimensione ridotte.
I LNGS sono gestiti dall'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e vengono utilizzati da scienziati di tutto il mondo per condurre
ricerche in campi come l'astrofisica e la fisica delle particelle. La collocazione sotto la montagna permette di ridurre notevolmente il
flusso dei raggi cosmici e consente di semplificare il rilevamento di particelle come il neutrino o la ricerca della materia oscura. Una
peculiarità di questi laboratori è che sono stati appositamente costruiti e quindi sono dotati di un facile accesso. Normalmente gli altri
laboratori sotterranei sono collocati in miniere abbandonate o zone non più utilizzate di una miniera tuttora attiva e così, l'accesso
alla zona sperimentale richiede di percorrere cunicoli minerari e lunghi tragitti in ascensore. Questa disposizione si rivela
particolarmente utile e comoda non solo per il personale ma soprattutto per il trasporto della strumentazione e delle strutture
precostruite che sono di notevole dimensione. Attualmente sono in corso circa quindici esperimenti correntemente in funzione nelle 3
sale sperimentali e in alcuni tunnel di collegamento.
Nello schema è indicata la mappa dei laboratori con l’indicazione di alcuni esperimenti attualmente in funzione
CENNI SUL NEUTRINO:
Tutta la materia che ci circonda e di cui siamo fatti è costituita da tre sole particelle: il protone e il neutrone che formano il nucleo
atomico, e l’elettrone che forma la corteccia atomica. L’universo rivela la presenza di altre particelle, presenti soprattutto all’atto della
sua formazione; tra quelle ancora oggi presenti vi sono i neutrini, che rappresentano le particelle più bizzarre ed elusive conosciute. I
neutrini, indicati con la lettera greca  , sono neutri e con massa zero (?), permeano l’universo (circa 1 miliardo per ogni protone) e
sono costantemente prodotti nei decadimenti radioattivi e nelle reazioni di fusione termonucleare delle stelle. Per noi terrestri, la
sorgente naturale di neutrini è il sole: si stima che su 1 centimetro quadrato di terra ne arrivino circa 60 miliardi al secondo. Nel
nucleo del sole, a 15 milioni di gradi, avvengono una serie di reazioni nucleari. La principale, che produce il 98% dell’energia del sole
consiste nella fusione di quattro protoni in un nucleo di elio con emissione di energia sotto forma di raggi gamma (fotoni ad alta
energia) indicati con la lettera greca  , calore e neutrini. Mentre i  , impiegano centinaia di anni per attraversare i 700000 Km del
raggio solare, ai neutrini sono sufficienti 2 secondi. In altri 8 minuti raggiungono la terra fornendoci preziose informazioni sui processi
solari. Secondo la teoria del Modello Standard delle particelle, i neutrini sono particelle elementari con carica nulla e massa zero. Si
conoscono tre tipi di famiglie di neutrini dette flavour (sapori): il neutrino elettronico ( e), quello muonico ( µ) e quello del tau (  )
associati rispettivamente all’elettrone, al muone e alla particella tau (leptone tau). Per poter indagare la natura dei neutrini è
necessario farli interagire con particelle o radiazioni note. I neutrini però, rispondono solo all’interazione nucleare debole,
interagiscono pochissimo con la materia, e sono insensibili all’interazione elettromagnetica e a quella nucleare forte. Ciò li rende
difficili da studiare. L’interazione dei neutrini è infatti, un evento molto improbabile dal punto di vista statistico e per cercare di
osservarlo è necessario disporre di rivelatori molto grandi, così da rendere alta la probabilità di interazione. E’ necessario perciò,
costruire apparati di grandi dimensioni per sperare di rivelarne pochi.
SULL’OSCILLAZIONE DEI NEUTRINI:
Bruno Pontecorvo (1913-1993), allievo di Enrico Fermi, verso la fine degli anni 50, elaborò una teoria nota come “oscillazione del
neutrino”, di cui esistono moltissime prove sperimentali ma che non è ancora riconosciuta dal comitato del Nobel. Tutti gli
esperimenti svolti mostrano che i neutrini rilevati sono in minore quantità rispetto a quelli stimati in teoria: ciò fu attribuito da
Pontecorvo, proprio al fenomeno dell‘oscillazione citata. Tale fenomeno afferma che i tre tipi di neutrino (il neutrino elettronico, il
neutrino muonico e il neutrino del tau), possono trasformarsi da un tipo all’altro mentre viaggiano o attraversano la materia.
L'oscillazione dei neutrini sarebbe un indice che essi hanno una massa non nulla e diversa per ogni famiglia. Una prova
sperimentale delle oscillazioni del neutrino potrebbe essere la discrepanza tra la quantità di neutrini elettronici prodotti dalla fusione
solare che si prevede debba raggiungere la Terra dal Sole e la quantità che viene effettivamente misurata. Ulteriori prove vengono
da esperimenti che misurano il flusso di neutrini, prodotti dai raggi cosmici nella parte superiore dell'atmosfera, prodotti dai reattori
nucleari e dagli acceleratori di particelle.
Gli esperimenti osservati:
OPERA:
L'esperimento OPERA (Oscillation Project with Emulsion-tRacking Apparatus) ricopre un ruolo fondamentale nell'ambito degli
esperimenti realizzati per studiare il fenomeno dell'oscillazione tra le differenti famiglie di neutrini. Lo scopo dell’esperimento è infatti,
quello di rilevare la comparsa di neutrini tau in un fascio che originariamente è quasi totalmente costituito da neutrini muonici.
OPERA utilizza un fascio di neutrini prodotti dall'esperimento Cern Neutrino to Gran Sasso (CNGS) del CERN di Ginevra, che
viaggia sotto la superficie terrestre fino a raggiungere i LNGS dove è localizzato il rilevatore di OPERA. Il CNGS è un fascio quasi
puro di neutrini muonici prodotti dalla collisione di un fascio di protoni di 400GeV accelerati dall'SPS (SuperProtoSincrotrone) del
Cern. Tale fascio viene fatto collidere con un bersaglio di grafite per produrre un fascio secondario composto parzialmente di
particelle cariche che viene focalizzato mediante lenti magnetiche ed indirizzato verso il Gran Sasso. Le particelle prodotte (pioni e
kaoni) decadono in un tunnel lungo 1Km, dando vita a particelle cariche (muoni) e neutrini muonici che continueranno a viaggiare
nella stessa direzione delle particelle che li hanno prodotti e cioè verso il Gran Sasso. Si ottiene così, un fascio quasi puro (95%) di
neutrini muonici con energia media di 17,4 GeV. Il fascio raggiunge, praticamente indisturbato, gli apparati sperimentali del Gran
Sasso, dopo aver percorso i circa 730 Km che separano Ginevra e dall’Aquila. Lo scopo dell’esperimento è di rivelare la comparsa di
neutrini tau nel fascio inviato che, come si è detto, è composto da neutrini muonici. I neutrini, non avendo carica elettrica, possono
essere rivelati solo attraverso le tracce delle particelle prodotte dalla loro interazione nell’apparato sperimentale. Il neutrino tau
produce oltre ad altre particelle, la particella tau (leptone tau, di carica negativa) che ha vita estremamente breve, tipicamente
percorre meno di 1mm prima di decadere in altre particelle, ad es. muone e altri due neutrini. La caratteristica dell’evento prodotto
dal neutrino tau è però, di avere una traccia con deviazione a gomito nel punto di decadimento. Siccome però, la probabilità del
neutrino di interagire è estremamente bassa, il rivelatore deve possedere un’alta risoluzione spaziale ed essere di grande massa.
OPERA è caratterizzato da un apparato di rivelazione ibrido di grande dimensione costituito sia da rivelatori elettronici che da un
bersaglio di piombo ed emulsioni nucleari. Si tratta di due supermoduli ognuno formato da un bersaglio seguito da uno spettrometro
per muoni. Il rivelatore è costituito da 58 wall (pareti) di dimensioni 7mx7m su cui sono montati circa 150000 brick (mattoni). Ciascun
brick di dimensione 10,2 cm x 12,7cmx 7,5cm del peso di 8Kg è formato da 56 strati di piombo alternati da 57 strati di emulsioni
nucleari. La misura della posizione dell’interazione permette di identificare il brick che poi viene estratto e dopo un trattamento di
sviluppo delle emulsioni fotografiche, analizzato con microscopi automatizzati. Le emulsioni nucleari conferiscono al rivelatore la
risoluzione spaziale di alcuni micron, necessaria alla rivelazione della produzione del neutrino tau. Mentre gli eventi rivelati di neutrini
muonici sono piuttosto frequenti (circa 30 al giorno) si prevedono solo un paio di eventi all’anno, di neutrini tau. La massa totale dei
brick di OPERA è di circa 1300 tonnellate.
BOREXINO e i neutrini solari:
La prima proposta di osservare i neutrini solari per studiare il sole è di R. Davis e J. Bahcall e risale al 1964.
Il Modello Solare Standard predice che, durante le reazioni di fusione che si verificano nel nucleo solare vengono prodotti neutrini
elettronici. Se questi neutrini interagiscono immediatamente con un bosone W, possono produrre muoni per il 50% del tempo ed
elettroni per l'altro 50% (in conseguenza della natura statistica intrinseca delle interazioni quantiche). Subito dopo questi neutrini
possono ritornare ad essere dei neutrini elettronici puri per produrre elettroni al 100% (naturalmente queste percentuali sono solo
indicative). Sorprendentemente, come già detto il numero di neutrini solari osservati dagli esperimenti condotti per diversi anni è
stato minore di quello previsto dalla teoria e così, a seguito di tale anomalia indicata come “problema dei neutrini solari”, sono stati
proposti molti esperimenti per lo studio dei neutrini solari. Questi neutrini hanno però mediamente un’energia più bassa di quelli
atmosferici e sono ancora più difficili da rivelare. L’esperimento Borexino è finalizzato proprio alla rivelazione di neutrini solari, in
particolare quelli prodotti dalle reazioni del Berillio-7, e  Be  Li   e che hanno un’energia intorno agli 862 keV, e che ad

7
7
oggi, nessun rilevatore ha misurato sulla Terra Il successo di Borexino è di aver abbassato così efficacemente la soglia del rumore di
fondo da rendere visibili neutrini con energia fino a 250 kev. Questo consente di rivelare e studiare una percentuale del potente
flusso di neutrini proveniente dal Sole. La rivelazione di neutrini a queste energie offre un test estremamente preciso per verificare i
modelli astrofisici del sole.
Borexino consente infine, di studiare anche, gli antineutrini provenienti dalle Supernove e quelli emessi dall’attività radioattiva
all’interno della Terra (geoneutrini). Come già detto precedentemente però, per poter rilevare i neutrini occorrono grandi masse di
materia (si ha meno di un’interazione al giorno per ogni tonnellata di materia), e così Borexino utilizza una massa bersaglio di 300
tonnellate di pseudocumene (PC), un idrocarburo prodotto dal petrolio.
L’esperimento visto dall’esterno, appare come una cupola di acciaio di sedici metri di diametro al cui interno si trovano, come una
sorta di “matryoska”, altre sfere. La cupola è riempita di 2.400 tonnellate di acqua che serve come primo schermo per filtrare le
particelle di alta energia provenienti dal cosmo e la radioattività naturale proveniente dalla montagna. All’interno del volume
dell’acqua si trova una sfera di acciaio di circa 14 m di diametro che contiene, nella parte interna 2.200 sensori (fotomoltiplicatori),
apparati che possono registrare la presenza di lampi di luce provocati dai neutrini. La sfera è riempita di circa mille tonnellate, di
pseudocumene. Proseguendo il nostro viaggio all’interno di Borexino, incontriamo un’altra sfera di circa 9 m di diametro, questa è
costituita di nylon speciale, si tratta del cuore ultimo di Borexino. Essa contiene ancora pseudocumene per cira 300 tonnellate e che
rappresenta la massa bersaglio per i neutrini. Il funzionamento somiglia a quello di un vecchio flipper: Quando i neutrini si
“scontrano” con gli elettroni dello scintilllatore, trasferiscono parte della loro energia, provocando un lampo luminoso nel liquido.
Questi lampi vengono visti dai fotomoltiplicatori grazie alla trasparenza della sfera interna e producono un impulso di corrente
analizzato da potenti calcolatori. Affinché il segnale dei neutrini solari non venga schermato dal fondo dovuto ai decadimenti
radioattivi naturali, è importante il grado di purezza dello scintillatore. Con raffinate tecniche di purificazione si è giunti ad ottenere la
presenza di meno di un nucleo radioattivo per ogni cento miliardi di nuclei di scintillatore. Una tale purezza, su una così grande
massa era impensabile fino a qualche anno fa. L’esperimento funzionerà per dieci anni ed è il più economico tra gli esperimenti di
rivelazione dei neutrini solari.
ICARUS (Imaging Cosmic And Rare Underground Signals) :
ICARUS è un esperimento che usa argon liquido e studia il decadimento del protone e la natura dei neutrini. Si può considerare una
camera a bolle elettronica ed è stato progettato per fornire il maggior numero di informazioni (risoluzione spaziale, identificazione del
tipo di particella e ricostruzione 3D dell’evento) con la possibilità di avere contemporaneamente una lettura elettronica degli eventi
che si verificano all'interno del suo volume sensibile
L'idea originale per la realizzazione di una camera ad argon liquido a proiezione temporale 'Time Projection Chamber' (TP d’Argon
liquido -TPC) è stata proposta da C. Rubbia nel 1977 . L'impiego dell'argon liquido costituisce un mezzo ideale per la rivelazione di
eventi ionizzanti, inoltre il rivelatore è sempre attivo, "self-triggering" (ossia in grado di comandare la registrazione dell'evento nel
momento stesso in cui avviene al suo interno) e capace di produrre immagini tridimensionali come tutte le camere a bolle.
Il principio di funzionamento del rivelatore proposto è relativamente semplice: l'intero volume di argon liquido è immerso in un campo
elettrico intenso ed uniforme, stabilito da due piani di elettrodi affacciati a potenziale opportuno, che rappresenta così il materiale
dielettrico di un grande condensatore piano. Ogni evento ionizzante (ossia l'insieme delle particelle cariche che, prodotte a seguito di
una interazione o di un decadimento, si propagano nel mezzo circostante costituito dall'argon liquido) produrrà delle tracce formate
dall'insieme delle coppie elettrone-ione prodotte per ionizzazione. Una frazione di queste coppie, a causa dell'intensità del campo
elettrico presente, non si ricombinerà, bensì tenderà a separarsi muovendosi nella direzione del campo elettrico, in versi opposti. Il
moto delle cariche elettriche così prodotte induce una corrente sugli elettrodi che stabiliscono il campo elettrico nel volume di argon
liquido. L'intensità di questa corrente è proporzionale sia al campo elettrico presente, sia alla velocità stessa delle cariche; dato che
gli elettroni risultano avere una velocità di deriva in argon (~1,1 mm/msec, in condizioni standard di campo elettrico, E=500 V/cm) di
cinque ordini di grandezza maggiore di quella degli ioni, solo gli elettroni daranno un contributo apprezzabile alla corrente indotta. La
registrazione del segnale elettrico indotto permette quindi di ricavare informazioni sull'evento fisico che ha avuto luogo nel volume di
argon. Il dettaglio e la precisione di queste informazioni dipende tuttavia in modo cruciale dalla geometria degli elettrodi che
generano il campo. Questi pertanto non saranno semplici piani di conduttore bensì saranno costituiti da delicate strutture composte
(le camere a proiezione temporale, TPC) che rappresentano quindi il vero fulcro dell'apparato ICARUS. Un importante requisito cui
deve soddisfare l'argon liquido per poter essere utilizzato in tale rivelatore è l'estrema purezza chimica, ossia la garanzia che in esso
non si trovino tracce di altri elementi, quali ossigeno o idrocarburi.
Il programma sperimentale del progetto è imperniato su due linee di ricerca principali, ambedue di fondamentale importanza per la
moderna fisica delle alte energie: l'indagine sulla stabilità della materia nucleare (protone e neutrone ) e lo studio dettagliato del
fenomeno delle oscillazioni di neutrini. Lo studio delle oscillazioni di neutrini può essere affrontato in ICARUS su tre differenti fronti:
attraverso lo studio dei neutrini atmosferici, mediante lo studio dei neutrini solari e attraverso lo studio di neutrini prodotti
artificialmente al CERN e inviati verso il rivelatore posto ai Laboratori del Gran Sasso utilizzati anche nell’esperimento OPERA.
CRESST (Cryogenic Rare Event Search with Superconducting Thermometers)
Premessa: Ciò che vediamo con i telescopi tradizionali (le stelle, i pianeti, le galassie, i gas intergalattici …) rappresenta solo una
piccola parte (~ 5%) della materia che compone l’Universo. La gran parte di essa non emette luce e per questo viene detta materia
oscura. Non sappiamo ancora in cosa consista questa materia oscura: potrebbe essere costituita di particelle esotiche che non
abbiamo ancora scoperto. Le particelle massive debolmente interagenti WIMP (cioè Weakly Interacting Massive Particles)
costituirebbero un alone oscuro intorno alla nostra e ad altre Galassie. Queste particelle, nate in seguito al Big Bang, avrebbero una
massa elevata (50, 100 o più volte la massa del protone) ma carica elettrica nulla. La loro capacità di interazione con la materia è
quindi molto piccola e questo le rende difficili da rivelare. L’esperimento CRESST è in grado di rivelare le interazioni delle particelle
WIMP misurando il piccolo aumento di temperatura che l’energia del WIMP fa avvenire in un cristallo. Per fare questo, il cristallo
deve trovarsi ad una temperatura di solo 15 millesimi di grado superiore allo zero assoluto (- 273 °C). Nella prima fase di CRESST
sono stati utilizzati come rivelatori, cristalli di zaffiro di circa 260 g. In seguito sono stati sviluppati nuovi tipi di cristalli, fatti di
tungsteno e calcio, che hanno la proprietà di emettere luce se una particella WIMP interagisce al loro interno.
Per saperne di più..\LNGS_digiovanni.pdf
La nostra giornata si è conclusa sul prato antistante la basilica di Collemaggio a godere il dolce sole primaverile.
Scarica