Scuole di Sussidiarietà
Carlo Emanuele Gallo
LA RIFORMA DELLA SANITA' ITALIANA:
VERSO UNA WELFARE COMMUNITY?
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Sommario: 1. Il welfare state. - 2. La welfare society. - 3. L'assetto dei
poteri. - 4. Il ruolo rispettivo dell'organizzazione pubblica e privata. - 5.
La regolazione e la gestione. - 6. Il problema "Sanità". - 7. Profili di
ricostruzione. - 8. Verso la welfare community.
1. Il welfare state.
Il significato e l’esperienza del welfare state hanno connotato in
modo intenso l’esperienza istituzionale, giuridica, economica e sociale del
XX secolo. L’espressione, in sé, ha un significato acquisito: il welfare state
è l’organizzazione statale di una società del benessere che si preoccupa di
garantire ai cittadini una adeguata assistenza sociale.
Due sono i presupposti che giustificano la realizzazione di una
siffatta organizzazione.
Il primo è costituito dall’interesse al benessere generalizzato dei
cittadini, che è una caratteristica dello stato sociale, inteso come
organizzazione che promuove il progresso dei cittadini, con l’obiettivo di
garantire ai medesimi una migliore qualità di vita e insieme di così superare
i conflitti sociali. Lo stato del benessere è uno stato che punta alla diffusione
della qualità della vita, con una impostazione pertanto tendenzialmente
egualitaria, e che peraltro ritiene che detta impostazione possa meglio
risolvere i conflitti sociali che, altrimenti, debbono essere risolti o con una
forma di organizzazione autoritaria o attraverso fenomeni rivoluzionari.
L’obiettivo positivo, la diffusione del benessere, si accompagna, perciò, con
una tendenza alla pace sociale, secondo elementi di composizione dei due
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aspetti che mutano nel corso del tempo ed in relazione alle singole realtà,
nonché al vario interesse delle parti sociali che partecipano al progetto. È
incontestato, peraltro, che il concetto di stato sociale o stato del benessere ha
in sé una caratteristica positiva, significando l’attribuzione di interesse, da
parte delle istituzioni, alla qualità della vita dei cittadini.
Il secondo presupposto dello stato sociale, quello che ne consente in
pratica la realizzazione, è la disponibilità complessiva di una pluralità di
risorse: lo sviluppo della industrializzazione e del commercio dimostra, già
all’inizio del XX secolo, come le risorse utilizzabili siano numerose e come,
anzi, lo sviluppo delle attività produttive non faccia che rendere il sistema
ancor più valido dal punto di vista della ricchezza acquisita. Anche se non
mancano, ovviamente, momenti di crisi, anche grave, pure l’idea di fondo
dello stato sociale è che il benessere possa essere garantito in quanto le
risorse disponibili sono comunque sufficienti per garantire a tutti quanto
loro abbisogna.
In altre parole, lo stato del benessere garantisce benessere in quanto
il benessere è per tutti agevolmente raggiungibile.
Ecco che allora lo stato del benessere viene ad essere una sorta di
socialismo "rosa," di socialismo che si realizza senza tensioni, ed anzi al
fine di evitare rivoluzioni, e che garantisce comunque una adeguata
assistenza e disponibilità di risorse a tutti.
Se due sono i presupposti dello stato sociale, uno è comunque il dato
incontestato: la necessità di intervento dello Stato nell’economia e nel
sistema sociale, necessità di intervento individuata come evoluzione
naturale di uno stato che man mano vede aumentare i compiti che
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necessariamente deve assumere per garantire in modo più efficace vuoi gli
scopi classici dello stato liberale (la sicurezza all’interno e la pace
all’esterno), vuoi gli scopi propri dello stato socialista (l’attribuzione alla
classe operaia di una situazione di benessere in vista di una società senza
classi). Consegue a quanto detto che l’intervento dello Stato nell’economia e
nel sociale è, in questa configurazione, necessario, dovendosi, semmai,
semplicemente individuare quale sia il punto di equilibrio migliore,
ipotizzandosi per taluno una semplice attività di supplenza dello Stato nei
confronti del mondo privato, e da talaltro invece il necessario intervento
dello Stato in vista del superamento di discriminazioni altrimenti non
eliminabili.
L’origine, sia dal punto di vista istituzionale che dal punto di vista
politico, dello stato sociale è comunque indiscutibilmente nello Stato che si
afferma nel secolo XIX come struttura di diritto pubblico, titolare di
sovranità che si deve preoccupare di per sé delle esigenze dei propri
cittadini.
2. La welfare society.
Assai differente è, rispetto al welfare state, il concetto di welfare
society. Dal punto di vista storico-istituzionale la welfare society è una
conseguenza dell’affermarsi e del realizzarsi del welfare state: nel senso,
cioè, che il progressivo sviluppo della dignità umana, permessa comunque
dallo stato di benessere, che attribuisce a tutti i cittadini la possibilità
concreta di crescere dal punto di vista economico, culturale e politico,
consente ai singoli cittadini, da soli e organizzati, di assumere una maggior
consapevolezza dei propri diritti e doveri e quindi la volontà di cooperare in
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modo più attivo e diretto al benessere pubblico.
La consapevolezza dell’esistenza di diritti e doveri, che si
accompagna ad una crescita culturale e complessiva della persona umana, fa
sì che i presupposti della welfare society siano diversi da quelli del welfare
state e in qualche misura, se si vuole accogliere un concetto di progresso,
più progrediti.
Due, anche in questo caso, possono essere i presupposti della welfare
society.
Il primo è l’interesse dei cittadini organizzati al proprio progresso, in
un’ottica di cooperazione ed in uno spirito di socialità che si ispira di più al
solidarismo che all’esigenza di superare i conflitti. Non è tanto l’intenzione
di evitare momenti autoritari così come rivoluzioni che ispira l’intervento
dei cittadini, quanto il sincero desiderio di progredire tutti insieme: sincero
desiderio che dà luogo, per esempio, alle numerose organizzazioni di
volontariato. Il desiderio di crescita e di cooperazione è un' aspirazione che i
singoli manifestano in sé, anche come organizzazione, e che però li vede in
qualche misura contrapposti allo Stato, del quale più non paiono
comprendere in modo preciso la ragione d’essere, anche perché trovano più
facile e spontaneo aggregarsi in relazione a problemi specifici piuttosto che
in relazione ad obiettivi totalizzanti o a lungo termine.
Il secondo presupposto della welfare society è la capacità di
raccogliere risorse dalla società: l’idea è ancora una volta che le risorse
siano disponibili, ma l’originalità dell’impostazione sta nel fatto che le
risorse non sono più raccolte dallo Stato, in modo pressoché
necessariamente autoritativo, quanto raccolte spontaneamente all’interno
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della società da parte della società medesime o comunque da parte degli
esponenti più attivi, che non assumono peraltro il ruolo di leaders ma che si
organizzano invece in entità spontanee e assai diffuse.
Il dato incontestato della welfare society è la non accettazione di un
intervento totalizzante dello Stato, sia perché lo Stato non è riconosciuto in
modo spontaneo come colui che si deve occupare del benessere dei cittadini,
in sé, sia in quanto l’intervento dello Stato è considerato insieme inefficiente
ed inefficace. La valutazione nei confronti della macchina statale,
organizzata nel corso dell’esperienza del welfare state, è una valutazione
che evidenzia gli sprechi e l’incapacità di raggiungere gli obiettivi. I
cittadini, divenuti più consapevoli proprio per effetto della esperienza del
welfare state, e cioè per la diffusione dei livelli di istruzione, per
l’affrancamento dal bisogno, ritengono a questo punto di potere operare
singolarmente o in gruppi in modo più efficace e più efficiente rispetto allo
Stato. Lo Stato, in questo caso, viene inteso non solo come istituzione
pubblica, e cioè come assetto neutro dei pubblici poteri, ma anche come
forma organizzata del consenso politico, e cioè come organizzazione di
partiti. Del resto, caratteristica del welfare state è stata proprio la presenza
di partiti politici che assumevano in sé gli obiettivi totalizzanti propri dello
stato sociale, proponendo ai cittadini scenari complessivi diversificati e
proponendosi, giunti al potere, di rendere realizzabili detti scenari attraverso
l’utilizzazione del potere pubblico. La irrealizzabilità definitiva del
programma porta di per sé i cittadini a ritenere di dover superare, insieme,
sia l’esperienza di stato sia l’esperienza politica che a questo stato è risultata
servente, e cioè l’esperienza del partito. Il che, peraltro, porta con sé
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fatalmente il venir meno di quella funzione totalizzante che è la funzione di
indirizzo politico, che proprio nel partito trovava il suo momento di
concretizzazione. Di modo che l' aspirazione alla società del benessere viene
a contrastare con uno Stato senza più progetti politici specifici, proprio nel
momento in cui la sensazione della finitezza delle risorse si fa strada. Il
problema della finitezza delle risorse, e perciò della necessità di equilibrio
fra i bisogni e le esigenze, si affaccia soltanto nella welfare society che,
inevitabilmente, procedendo dal movimento spontaneo delle forze sociali
non si pone il problema del contemperamento degli obiettivi, confidando in
un movimento spontaneo delle forze sociali che possa far giungere di per sé
al miglior risultato utile. La welfare society, nella sua contrapposizione allo
stato interventista, appare in qualche misura espressione di un fiducioso
ottimismo sulla bontà istituzionale delle forze sociali, lasciate libere nei loro
movimenti e nelle loro iniziative.
3. L’assetto dei poteri.
La fiducia nella libera evoluzione delle forze sociali non può, però,
indipendentemente da qualsivoglia valutazione che voglia compiersi di detta
impostazione, non confrontarsi con l’assetto esistente dei poteri pubblici e,
pertanto, non porsi il problema di una evoluzione dell’assetto di detti poteri:
questo, ovviamente, per dir così, in seconda battuta, e cioè nel momento in
cui si riflette su una welfare society in qualche misura già instauratasi di
fatto e che deve essere razionalizzata.
Se il presupposto di fondo della welfare society è comunque il
superamento di uno Stato rigidamente interventista e se a detto presupposto
si affianca il favore per un’iniziativa sociale multiforme e pluralista, in
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competizione, ciò che necessariamente deve essere superato è l’aspetto
unitario, per non dir monolitico, dello Stato, quand’anche stato sociale.
Ed allora, è naturale che si affermino i principi di sussidiarietà, intesi
come principi in forza dei quali l’obiettivo della felicità dei cittadini è
affidato in primo luogo ai cittadini medesimi, come singoli, poi come
cittadini organizzati in formazioni sociali, poi in cittadini organizzati in
livelli amministrativi, poi in cittadini organizzati in livelli politici: in una
progressione dal singolo alla unità organizzativa più complessa che vede
peraltro quest’ultima unità intervenire in modo residuale, soltanto ove le
unità più semplici e più prossime al cittadino non siano in grado di operare.
In questo modo, lo stato unitario e monolitico viene comunque superato, e si
dà luogo ad una pluralità di presenze che devono comunque essere
armonizzate.
L’impostazione, che conduce necessariamente a una limitazione dei
poteri dei livelli più elevati, sentiti anche come livelli più distanti rispetto al
cittadino oltre che meno informati dei problemi e meno in grado perciò di
risolverli, viene realizzata, o almeno ipotizzata, sia con riferimento ai
rapporti tra poteri pubblici sia con riferimento ai rapporti tra poteri pubblici
e poteri privati.
Nel primo caso, si tratta della affermazione della sussidiarietà
verticale, e cioè della articolazione del potere all’interno del settore
pubblico, in modo da renderlo più vicino al cittadino, attribuendo ai livelli
man mano più distanti dal medesimo soltanto quelle competenze,
necessariamente ridotte e via via residuali, che non possono essere esercitate
al livello più vicino.
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Si fa riferimento poi al concetto di sussidiarietà orizzontale, e cioè a
quella organizzazione che consente al cittadino singolo o spontaneamente
aggregato di soddisfare le esigenze non soltanto proprie ma anche collettive,
fin laddove sia possibile, riconoscendo ai poteri pubblici soltanto una
possibilità di intervento residuale, allorché il cittadino non sia in grado da
solo di provvedere.
È evidente che uno Stato così organizzato è un qualcosa di
completamente diverso rispetto allo Stato al quale siamo abituati a pensare e
a maggior ragione allo stato nazionale che, di per sé, si è affermato,
nell’esperienza dell’Europa continentale, come tendenza alla riduzione ad
unità: riduzione ad unità fondata sull’idea che detta unità fosse in sé utile, in
sé positiva, sia in relazione alla necessità di affermazione dei diritti di libertà
sia in relazione all’affermazione dei diritti sociali. È abbastanza evidente
che lo stato unitario, così concepito, aveva una sua ragion d’essere proprio
per la necessità di superare organizzazioni autoritarie precedenti e per la
necessità di contrapporre a poteri pubblici non democratici una struttura
democratica sufficientemente forte: tendenza questa che comportava
peraltro, in considerazione di una ritenuta corretta sfiducia nei confronti del
singolo cittadino non formato, l’acquisizione nello Stato inteso come entità
di una serie di capacità e competenze che non venivano riconosciute
esistenti nel cittadino singolo e nemmeno nel cittadino organizzato
(quest’ultimo immaginato non in grado di superare l’angusta prospettiva di
interessi corporativi). La welfare society in tanto riesce ad affermarsi in
quanto proprio, come già detto, il welfare state abbia educato il cittadino ad
una libertà responsabile.
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A questa situazione interna si accompagna il sorgere e l’affermarsi di
realtà sovranazionali, tali sia per il ruolo politico acquisito sia per l’esigenza
di rispondere ad una globalizzazione economica.
Due, perciò, vengono ad essere i presupposti del nuovo assetto dei
poteri.
Il primo è l’affermarsi di livelli organizzativi sovrastatuali (si tratta
del secondo elemento prima ricordato). L’affermarsi di questi livelli, infatti,
comporta due conseguenze, una d'ordine culturale, una d'ordine pratico. Dal
punto di vista culturale, l'esistenza di livelli sovrastatuali particolarmente
incisivi (e cioè in quanto dotati, tra l'altro, di funzioni giurisdizionali che
consentono l'applicazione di sanzioni e la pronuncia di comandi) comporta
il superamento dell'idea di Stato come unica entità sovrana: lo Stato unico
sovrano era la caratteristica dello Stato unitario, che in quanto tale si
affermava e si faceva riconoscere. L'esistenza di una dimensione
sovrastatuale inevitabilmente trasforma lo Stato unitario sovrano in uno dei
soggetti dell'ordinamento, che vede a fronte a sé un altro soggetto che si
afferma comunque dotato di poteri superiori. Il riconoscimento di questa
finitezza dello Stato (riconoscimento che, a livello di Unione Europea, si
spinge per esempio all'ammettere che lo stesso parlamento nazionale sia
responsabile nel caso di omissioni nei confronti dei cittadini, cosa che
all'interno del singolo ordinamento statuale non era ammessa) consente
l'affermarsi della società e delle organizzazioni sociali come entità in grado
di rispondere alle esigenze dei cittadini. Lo Stato non più necessariamente
unico sovrano si trova di fronte ai cittadini singoli ed organizzati come un
soggetto in qualche misura in competizione.
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Ed ecco che si viene al secondo presupposto: il crescere culturale e
sociale delle collettività fa sì che le medesime si considerino in grado di
essere autonome e in quanto tali capaci di rispondere ai propri bisogni. La
risposta ai propri bisogni fa sì che il rapporto fra le organizzazioni sociali e
lo Stato non sia considerato come un rapporto di soggezione delle prime alle
seconde, ma invece come un rapporto di concorrenza e quantomeno nella
prima fase di contrapposizione. Concorrere con uno Stato totalizzante infatti
non è possibile se prima non lo si riduce in modo da acquisire degli spazi
dal medesimo non occupati.
Ecco che allora, il dato incontestato dell'assetto dei poteri nella
welfare society è il superamento dello Stato come unico e totalizzante livello
di governo e di risposta ai bisogni: superamento perché al di sopra vi sono
entità sovrastatuali più ampie e perché al di sotto vi sono i cittadini singoli
ed organizzati i quali tutti , sopra e sotto lo Stato pretendono di poter
soddisfare le aspettative dell'uomo.
4. Il ruolo rispettivo dell'organizzazione pubblica e privata.
Nel panorama che si è illustrato, peraltro, l'individuo da solo non è il
punto di riferimento principale, anzi non è nemmeno un punto di
riferimento: ed infatti, per soddisfare le esigenze di una convivenza evoluta
qual è quella della welfare society non è possibile immaginare l'azione di un
individuo da solo. Se nella esperienza del welfare state la risposta era
dell'organizzazione statale globalmente intesa, nell'esperienza della welfare
society la risposta è nella organizzazione dei cittadini in sé considerati.
Un livello organizzativo è perciò considerato presumibilmente
indispensabile. Ecco che, allora, due presupposti appaiono indiscussi.
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Il primo è l'esistenza di una organizzazione pubblica, sia pure con
caratteri e finalità particolari. L'affermazione solo apparentemente è in
contrasto con quanto prima ricordato circa il ruolo che i cittadini,
liberamente organizzati, ritengono di svolgere: infatti, la welfare society non
nega integralmente l'esigenza di una presenza pubblicistica, che, nella realtà
odierna, per il vero, nessuno contesta nella sua interezza. E, del resto, la
caratteristica intrinseca della organizzazione pubblica è in ogni caso tale da
renderla indispensabile in qualunque entità organizzata che si preoccupi del
benessere. Peraltro, il carattere proprio dell'organizzazione pubblica sta
nella doverosità del perseguimento del pubblico interesse, doverosità che è
coessenziale rispetto all'organizzazione pubblica, mentre è soltanto
conseguenza di una libera scelta nell'organizzazione privata. La welfare
society, proprio perché il benessere è una aspirazione complessiva della
collettività, ipotizza l'esistenza di una struttura pubblica, come elemento
indispensabile per consentire il perseguimento dell'obiettivo comune.
Diversamente, non vi sarebbe una società complessiva, ma vi sarebbero
singoli gruppi, più o meno coordinati. Ma in una realtà quale quella odierna,
di rapporti a livello addirittura mondiale, l'esistenza soltanto di singoli
gruppi non consentirebbe affatto il raggiungimento di un obiettivo comune.
L'esistenza, perciò, di un livello organizzativo pubblico non è in
discussione.
Il secondo presupposto è la necessità non solo di un’organizzazione
pubblica, ma di intervento pubblico, e cioè di un intervento attivo di quella
organizzazione che come fine istituzionale ha il bene complessivo:
l'intervento pubblico occorre per la fissazione di regole che siano accettate
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dall'intera collettività e che pertanto consentano al singolo, sia da solo che
organizzato, di operare. La società riesce a muoversi liberamente in uno
spazio organizzato purché vi sia chi lo spazio organizza, quantomeno nel
senso di fissare le regole essenziali della convivenza e di preoccuparsi che le
medesime vengano rispettate.
Ecco che allora la welfare society richiede comunque l'esistenza di
un livello di organizzazione pubblica: il dato incontestato è il mantenimento
necessario di una funzione pubblica che sia espressione di una struttura
organizzata. La funzione è una funzione di regolazione ma anche di
gestione. Se il primo elemento è facilmente comprensibile in relazione a
quanto prima detto, sul secondo bisogna spendere alcune considerazioni. Ed
invero, se la regolazione deve essere efficace, la medesima non può che
essere svolta da una entità pubblica che, nel suo complesso, e perciò non
necessariamente attraverso l'apparato che ha l'incarico della regolazione,
eserciti anche funzioni specifiche di erogazione e perciò di gestione. Si
tratterà di gestione di servizi pubblici particolari (fra questi la giustizia, la
sicurezza interna, la difesa all'esterno), si tratterà della gestione di servizi
essenziali che il privato non è in grado di rendere, anche in materia di
istruzioni o di sanità. La presenza pubblica è in ogni caso indispensabile.
Ciò che peraltro è parimenti indispensabile è la presenza privata: una la
presenza privata che sia in grado di espandersi in tutti gli ambiti dei quali la
presenza pubblica non è in sé necessaria quale valore o per l'impossibilità
della struttura privata di garantire la medesima prestazione.
Ma, trattandosi, di welfare society, posto che dato di fondo è la
presenza di una realtà privata organizzata, è probabilmente più significativo
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sottolineare, come si è fatto, il ruolo del livello pubblico, che sembrerebbe
essere sacrificato in presenza di slogan che affermano sinteticamente "più
società e meno stato". Nel senso che a fronte dell'esplodere della presenza
sociale occorre quanto meno individuare i momenti imprescindibili di
presenza statale.
5. La regolazione e la gestione.
Ecco che, proseguendo nella impostazione già illustrata, occorre ora
prestare attenzione a quale sia l'ambito e il contenuto rispettivo della
regolazione e della gestione da parte del settore pubblico (il che, tra l'altro
consentirà di rilevare, a contrario, qual è lo spazio del settore privato: ma
con l'osservazione che, in una struttura improntata al principio di
sussidiarietà, ciò che conta non è tanto individuare l'ambito riservato a colui
che per definizione può far tutto, quanto l'ambito riservato a colui che per
definizione deve avere poteri residuali: sono i poteri residuali che debbono
essere enumerati, non i poteri generali).
Consegue a quanto detto che, anche in questo caso, possono
individuarsi due presupposti.
Per quanto concerne il primo, la riflessione va portata sulla
regolazione: la regolazione è la fissazione di regole di comportamento ed il
controllo sul rispetto di tali regole. Di per sé, il concetto può prestarsi a
applicazioni di vario tipo, anche ad applicazioni che conducano a un
esasperato centralismo e ad un penetrante statalismo. Posto che, però,
l'impostazione è completamente diversa, la caratteristica della regolazione
deve essere quella di essere partecipata e leggera, di provenire, cioè, da una
riflessione nella quale sia dato spazio ai soggetti regolati per far presenti le
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loro esigenze e la loro lettura del mondo. La presenza dei soggetti
partecipati garantisce una democraticità della regolazione, anche nei singoli
aspetti, e garantisce altresì l'utilità di una regolazione medesima, che viene
elaborata anche sulla base degli elementi forniti dai soggetti che, operando,
sono meglio in grado di conoscere la situazione e le esigenze che la
medesima richiede siano soddisfatte. La regolazione deve poi essere
necessariamente leggera, e cioè limitata ad aspetti essenziali del sistema,
riconoscendosi come naturale una libertà di comportamento che è la
ricchezza di una struttura partecipata. Una regolazione partecipata e leggera
può essere assistita da un controllo efficace: il controllo, infatti, per essere
efficace deve essere riferito ad elementi certi e facilmente verificabili. Uno
dei
problemi
dei
controlli
classici
sull'attività
della
pubblica
amministrazione è il fatto di essere riferiti a entità complesse e di avere
parametri di applicazione estremamente confusi ed incerti. In questo modo il
controllo non soltanto occupa molto tempo, ma conduce a risultati
facilmente controvertibili: se la regolazione invece è certa e non
eccessivamente analitica, il controllo è certamente più facile, ed è perciò
efficace. Del resto, il controllo in tanto ha un senso in quanto sia efficace, e
cioè possa essere esercitato e dia luogo ad una valutazione.
Per quanto concerne la gestione, e si viene al secondo presupposto,
la medesima deve essere rispettosa del soggetto al quale è rivolta ed insieme
efficiente. Innanzitutto la gestione deve essere rispettosa nei confronti del
soggetto destinatario, in quanto la gestione deve tener conto della sua
personalità e delle sue esigenze, e presentarsi come servizio non come
imposizione. Ma la gestione deve essere insieme efficiente, in quanto deve
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essere ispirata ad un uso corretto delle risorse, che ormai si conoscono non
illimitate, per evitare sprechi e per giungere ad una economicità
complessiva. Le due esigenze possono in qualche misura considerarsi
contraddittorie, ma sono, in realtà, da tenere presenti congiuntamente,
secondo il meccanismo delle endiadi che, del resto, trova prima origine del
nostro
ordinamento
nell'art.
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della
Costituzione,
che
impone
all'amministrazione di operare in modo da garantire sia l'imparzialità che il
buon andamento (l'imparzialità che significa riconoscere la pari dignità dei
soggetti destinatari, il buon andamento che significa garantire l'efficienza
della gestione).
Anche in questa ricostruzione, un dato è, di conseguenza,
incontestato: occorre una nuova amministrazione, per lo svolgimento della
richiesta attività di regolazione e di gestione. E' necessaria una nuova
amministrazione che sia insieme agile e garantista, che possa perciò
raggiungere il risultato della imparzialità e del buon andamento. Il problema
è innanzitutto un problema di regole: l'amministrazione deve essere
disciplinata da un numero di regole non eccessivo e che soprattutto non
impediscano qualunque attività, ma si preoccupino di individuare obbiettivi,
di precisare compiti e di definire mezzi, al fine di garantire il cittadino che
viene a contatto con l'amministrazione medesima. Le regole non possono
però far venire meno il ruolo della discrezionalità amministrativa, che è la
caratteristica della pubblica amministrazione: discrezionalità amministrativa
che significa possibilità doverosa di individuare in concreto il punto di
equilibrio fra interesse pubblico e interesse privato, fra interesse pubblico
prevalente ed altri interessi pubblici, in una attività di definizione di che
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cosa sia meglio nella realtà concreta che consegue alle responsabilità tipiche
della amministrazione pubblica. Il problema è poi un problema di
applicazione
delle
regole,
e
perciò
di
garanzia
di
imparzialità
dell'amministrazione, intesa come garanzia di azione e di indipendenza
rispetto al potere politico e come garanzia di azione e di indipendenza
tecnicamente valide. Il problema è di definire il ruolo del politico e
dell'amministrazione, e cioè di colui che esprime gli interessi della
collettività e di colui che deve individuare il miglior punto di equilibrio tra i
medesimi; il problema è poi di preparazione di una amministrazione che sia
in grado di esercitare il potere discrezionale di cui è titolare senza, per
questo, divenire autoritaria, ma riconoscendo invece il ruolo significativo sia
dei cittadini singoli che della struttura associata. Non è facile ricostruire una
amministrazione di questo genere, in quanto sino ad ora il meccanismo che
è stato posto in essere è completamente diverso: ma l'efficacia delle riforme
amministrative non può che misurarsi in un lungo periodo di tempo e vi è
perciò una ragionevole speranza che le innovazioni introdotte degli anni più
recenti possano essere recepite ed applicate.
6. Il problema "Sanità".
Il settore della sanità ed il riconoscimento del diritto alla salute a
favore del cittadino è uno dei settori ed uno dei problemi più delicati in una
struttura sociale che si è ispirata al principio della welfare society. Ed infatti,
in questo settore aumentano progressivamente le domande da parte dei
cittadini, interessati ad usufruire di cure sempre più efficaci, ed è difficile
definire a priori il livello di accoglimento possibile di dette domande, pur
essendo certo che le risorse da destinare al soddisfacimento di queste
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domande non possono essere illimitate. Ecco che allora nel settore della
sanità il conflitto fra le varie esigenze appare particolarmente rilevante. E in
una società che si è affrancata dal bisogno primario dell'alimentazione, qual
è la nostra civiltà occidentale, la salute viene ad essere l'elemento essenziale.
Anche qui, volendo procedere secondo l'impostazione già dianzi
seguita, due sono i presupposti dei quali occorre prendere le mosse.
Il primo è il quadro giuridico essenziale di riferimento che, per
rimanere a livello nazionale, è il dato costituzionale, e cioè il disposto
dell'art. 32 della Costituzione. Il dato costituzionale è estremamente preciso:
garantisce a tutti il diritto alla salute ed impegna perciò sia il legislatore che
l'amministrazione, secondo le varie responsabilità ed i vari compiti, a
riconoscere e a rendere effettivo tale diritto. La posizione di diritto è la
posizione che garantisce al singolo un bene della vita in modo diretto e
preciso: e in questo caso il bene è proprio la vita, e la vita intesa nel senso
più pieno, e cioè una vita nella salute. Per questa ragione il diritto alla salute
è considerato un diritto fondamentale, trattandosi di un aspetto della vita di
una persona che la caratterizza e ne è coessenziale: se non c'è diritto alla vita
e alla salute la persona non è tutelata. Così definito il diritto alla salute è
evidente il significato che il medesimo riveste per la collettività: una
collettività che sia tale, che sia cioè l'organizzazione di più soggetti che
vivono insieme, non può evidentemente disinteressarsi della salute dei
singoli, in quanto la loro salute è il presupposto indispensabile perché
possano esistere ed operare e perciò far vivere la collettività che
costituiscono. In questo senso la salute del singolo è un interesse della
collettività, in quanto la collettività ha interesse a che il diritto alla salute sia
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garantito. Ancora una volta, il dettato costituzionale individua una endiadi, e
cioè coniuga indissolubilmente la posizione del singolo e la posizione della
collettività, evidentemente coinvolgendo anche la collettività, per la tutela
della posizione del singolo. La lettura che è stata data dell'art. 32
Costituzione invero, come è noto, è in parte diversa, essendosi sottolineato il
ruolo dell'interesse della collettività come limite al diritto del singolo:
ancorché autorevolmente sostenuta, una siffatta lettura appare, in sé,
aberrante, non potendosi immaginare che vi sia un interesse della collettività
a ridurre il diritto alla salute, in quanto, così facendo, la collettività
giungerebbe a negare sé stessa (se il diritto alla salute non fosse affatto
riconosciuto, cosa che secondo questa teoria sarebbe un'ipotesi possibile, se
il diritto non corrispondesse all'interesse della collettività, la collettività
potrebbe giungere ad un risultato di un suicidio collettivo). In realtà,
attraverso la valorizzazione e la contrapposizione al diritto del singolo
dell'interesse della collettività si fa emergere il problema, al quale fin
dall'inizio si è dedicata attenzione, della limitatezza delle risorse: ed ecco
che allora si è costruita la figura del diritto alla salute come un diritto
finanziariamente condizionato. Il condizionamento finanziario non è
espressione di un interesse della collettività contrapposto al diritto del
singolo: è, semplicemente, la risultante concreta del fatto che le risorse, in
questo come un altro settore, sono limitate, con la conseguenza che la
collettività, che deve applicarsi perché il diritto alla salute sia garantito nella
massima misura possibile, deve anche preoccuparsi di individuare con
temperamenti tra i singoli diritti alla salute qualora non possano essere tutti
integralmente soddisfatti. Soltanto questo è il significato accettabile del
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condizionamento finanziario del diritto alla salute: condizionamento che
non deriva da un rapporto diretto fra il diritto del singolo e l'esigenza della
collettività, ma invece da un rapporto comparato fra i diritti di tutti i singoli
e
le
disponibilità
finanziarie
complessive.
In
questo
modo,
il
contemperamento dipende dal fatto che vi sono più diritti fondamentali che
si confrontano, i quali, essendo tutti del medesimo contenuto, debbono,
evidentemente, essere contemperati applicando le medesime regole. Non vi
è un interesse della collettività prevalente in quanto tale. Il che, però,
evidentemente pone ugualmente dei problemi in relazione alla finitezza
delle risorse, che è, di per sé, un elemento incontestato.
Il secondo presupposto è, in un'ottica di sussidiarietà, il confronto fra
gli obblighi e i compiti della collettività e gli ambiti e le possibilità del
privato. La collettività, a fronte di un diritto fondamentale, deve,
necessariamente, attivarsi affinché il diritto sia garantito nella misura
massima possibile. Da questo punto di vista la tutela del diritto alla salute è
un compito essenziale a qualunque struttura organizzata moderna e non può
essere abbandonato. Del resto, già nel secolo scorso l'esigenza era compresa,
allorché si immaginava che dovesse essere valutata in termini di ordine
pubblico la cura onde evitare il propagarsi di malattie: semplicemente, in
quella realtà, tenuto conto anche delle risorse disponibili, l'intervento della
collettività si limitava a garantire un diritto alla salute in termini
assolutamente essenziali e primitivi. Oggi, con conoscenze mediche più
avanzate e con disponibilità accresciute, la garanzia del diritto alla salute
deve essere, evidentemente, ben più incisiva. Quanto detto, peraltro, non
può condurre a obliterare che strutture private sono in grado di fornire agli
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interessati uguali cure, dal punto di vista contenutistico, essendo anch'esse
nella disponibilità delle conoscenze mediche appropriate: se questa
possibilità di assistenza sussiste per le strutture private, non vi è ragione per
la quale la struttura pubblica debba appropriarsi anche del settore della
erogazione delle cure, una volta che abbia garantito comunque il livello
indispensabile. La garanzia del livello indispensabile avviene attraverso la
fissazione delle regole e l'apprestamento di strutture: ma se le strutture
possono essere private, ecco che la parte pubblica può limitarsi alla
fissazione delle regole. Si comprende, perciò, il ruolo dell'assistenza
sanitaria privata, rispetto alla quale non vi è motivo per cui la struttura
pubblica debba assumere un atteggiamento di diffidenza (atteggiamento che
in qualche misura aveva ispirato la legislazione di fine del XIX secolo, in
un’ottica di contrapposizione fra lo Stato che si affermava in quanto tale e
delle realtà organizzate di provenienza privata e di connotazione religiosa: si
pensi alla legislazione in tema di istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza).
Anche in questo caso, un dato appare incontestato: la finitezza delle
risorse è un limite inevitabile, anche se ovviamente crudele, alla garanzia
del diritto alla salute; questo limite impone, peraltro, che siano prescelte in
modo tecnicamente accettabile le modalità e cura che debbono essere
comunque garantite. Ecco che l'appropriatezza delle cure diventa uno degli
elementi essenziali nella definizione del diritto alla salute. E a questo punto,
l'appropriatezza delle cure è un elemento che deve caratterizzare anche la
struttura privata che si impegna nel campo dell'assistenza. La struttura
pubblica e struttura privata devono, laddove si occupano di gestione,
21
garantire la medesima appropriatezza: il che significa che l'elemento tecnico
diviene estremamente rilevante che, peraltro, garantito un livello tecnico
analogo, l'esistenza della struttura pubblica non diviene più giustificata.
7. Profili di ricostruzione.
La configurazione articolata della tutela del diritto alla salute nella
welfare society abbisogna di precisazioni ed integrazioni: sino ad ora,
infatti, l'esame del problema è avvenuto per profili settoriali, essendosi
interessati i singoli ricercatori dall'esame delle differenti problematiche,
vuoi organizzative vuoi funzionali, senza una adeguata ricostruzione dei
profili di fondo che tenga conto, peraltro, della specificità delle singole
discipline.
A questo scopo sono dedicate le osservazioni che seguono, che
verranno sviluppate distinte per punti problematici.
A) La posizione degli utenti del servizio.
Anche se nel nostro ordinamento la qualificazione soggettiva della
posizione vantata assume un minor rilievo in ordine all'individuazione del
giudice che ha giurisdizione a conoscerne, stante la tendenziale evoluzione
del criterio del riparto della giurisdizione verso una suddivisione per
materia, pure la qualificazione della posizione soggettiva è importante in
relazione ai profili dell'ordinamento generale, dal momento che, comunque,
a ciascuna posizione corrisponde una tutela differenziata. Ciò vale ancorché,
come è noto, sia ormai riconosciuta la tutela risarcitoria anche alla posizione
di interesse legittimo: ed invero, la consistenza della tutela risarcitoria è
evidentemente diversa in relazione al rapporto che la posizione soggettiva
ha come un bene della vita. La configurazione della posizione del cittadino
22
nei confronti della pretesa alla tutela della salute assume connotati diversi in
relazione al diritto fondamentale garantito ed ai profili organizzativi
funzionali
del
servizio
pubblico,
sia
gestito
direttamente
dall'amministrazione sia gestito in qualche forma da parte dei privati (è
evidente, infatti, l'assimilazione da questo punto di vista del privato alla
pubblica amministrazione, in considerazione della natura oggettiva
dell'attività svolta: assimilazione che, come è noto, è stata innanzitutto
configurata a livello di Unione Europea con riferimento alla materia diversa,
ma simile, dei lavori pubblici e poi dei servizi).
A fronte della organizzazione di un servizio pubblico, che, pur
finalizzato alla tutela del cittadino, in quanto pubblico, sconta delle
valutazioni di carattere generale di ordine non solo organizzativo ma
funzionale (la graduazione dei servizi offerti in relazione alla disponibilità
delle risorse, quantomeno) la posizione del cittadino viene ad avere la
configurazione tipica dell'interesse legittimo. L'interesse legittimo, è infatti,
la posizione sostanziale che è riconosciuta al destinatario dell'attività
amministrativa nei confronti dei profili autoritativi dell'attività medesima: e
cioè dei momenti dei quali l'amministrazione esercita la funzione ad essa
assegnata dall'ordinamento di individuazione in concreto degli interessi
pubblici da perseguire o comunque da privilegiare e delle modalità di
perseguimento dei medesimi. La tutela di interesse legittimo significa che il
cittadino
non
può
pretendere
di
sostituirsi
all'amministrazione
nell'effettuazione della valutazione e che, di conseguenza, non può
pretendere
che
all'amministrazione
si
sostituisca
il
giudice:
l'amministrazione rimane depositaria della sua funzione specifica, funzione
23
infungibile in quanto attribuita, all'amministrazione come soggetto portatore
in concreto della volontà popolare espressa attraverso la scelta del
legislatore. La configurazione della posizione in termini di interesse
legittimo, però non elimina la consistenza della tutela ma, per certi profili, la
rende particolarmente incisiva: la posizione di interesse legittimo, infatti,
non è esterna rispetto all'amministrazione, ma è interna alla medesima, il
che significa da un lato la necessità per l'amministrazione di tenerne conto
nella formazione della propria volontà, dall'altro la possibilità per il
cittadino di intervenire nel corso della formazione della volontà medesima,
facendo diventare rilevanti per la stessa scelta pubblicistica i propri
personali interessi. Il che significa che in sede giurisdizionale sarà poi
consentito verificare se l'amministrazione abbia tenuto conto in modo
adeguato degli interessi dei singoli che comunque le appartengono, in
quanto per i singoli opera e dai singoli è costituita. Quello che è viceversa
configurabile in termini di diritto soggettivo è il diritto alla prestazione,
inteso in due sensi: diritto alla prestazione inteso nel senso di diritto ad
evitare interferenze dannose e diritto alla prestazione inteso nel senso di
pretesa alla erogazione di attività benefiche. Nel primo caso, il cittadino è
titolare della pretesa, nei confronti di tutti i consociati, a che non vengano
posto in essere attività dannose per la salute. Nel secondo caso, il cittadino è
viceversa titolare della pretesa, nei confronti dell'amministrazione o dei
privati che per essa agiscano, a delle cure efficaci. In entrambi i casi la
posizione è di diritto soggettivo, in quanto il bene della vita, la salute, è
tutelato direttamente dall'ordinamento, essendo state compiute da parte del
legislatore delle scelte volte a configurare le attività vietate e le prestazioni
24
dovute ( in questo caso, peraltro, è evidente che il legislatore è condizionato
dai traguardi raggiunti dalla scienza e dalla tecnica, che individuano quali
sonno le attività dannose e quali sono le prestazioni utili). Stante questa
configurazione, non è possibile alcuna comparazione di posizione che possa
indurre a limitare la tutela della salute, dovendo operare nel senso più esteso
la tutela del bene della vita che è riconosciuto. Il che significa che il bene
della vita può essere non tutelato soltanto se si confronta con un altro bene
della vita avente analoga consistenza, e cioè con un altro diritto
fondamentale che abbia la medesima attinenza all'esistenza stessa
dell'individuo qual è il diritto alla vita o il diritto alla salute. E' evidente che
in questa configurazione, in realtà, ipotesi di soccombenza del diritto alla
salute sono assolutamente teoriche, potendosi immaginare la soccombenza
del diritto alla salute soltanto a fronte di un altro diritto alla salute o alla vita
di maggior consistenza, e cioè non tanto di un diritto potiore quanto di una
pretesa riferita a una situazione nella quale la lesione alla vita o alla salute
sia più immediata e diretta di quella lamentata dal soggetto che agisce. In
questa situazione, la stessa configurazione, alla quale in precedenza si è
fatto riferimento, del diritto alla salute come diritto finanziariamente
condizionato, assume il connotato limitato che le è proprio: il diritto alla
salute, come diretta espressione del diritto alla vita, non è tendenzialmente
ormai condizionabile, posto che la struttura pubblica dispone in ogni caso di
risorse che impiega anche per altre attività, che sono necessariamente
secondarie rispetto al diritto alla vita e alla salute medesima. Il che, tra
l'altro non può che condurre a una rilettura degli stessi poteri di
pianificazione e di programmazione , che sono normalmente esercitati senza
25
tener conto di questa graduazione fra diritti fondamentali, che è viceversa
indispensabile acquisire ed utilizzare se si vuole effettivamente operare alla
luce del dettato costituzionale in una situazione di risorse predeterminate e
comunque non illimitate.
B) La tutela della posizione.
La tutela della posizione di diritto alla salute è ovviamente
riconosciuta nel nostro ordinamento, attraverso il ricorso al giudice, di cui
poi si dirà, tenuto conto del fatto che il ricorso al giudice è la tutela
riconosciuta in via generale a tutti i soggetti dell'ordinamento dalla stessa
carta costituzionale. Per quanto riguarda, però, il diritto alla salute, è
evidente che la tutela in sede giurisdizionale non può essere l'unica forma
riconosciuta, anche perché, in molti casi, detta tutela si rivela
sostanzialmente inidonea: si consideri che il diritto alla salute deve essere
tutelato in termini di solito brevissimi e che il diritto alla salute deve essere
tutelato nella ordinarietà dell'attività amministrativa e non attraverso
l'intervento di un soggetto in qualche modo eccezionale quale è il giudice.
Non è pensabile che colui che vuole tutelare il proprio diritto alla salute sia
costretto ad interrompere l'attività volta alla acquisizione concreta delle cure
per ricorrere al giudice in ogni caso i cui si trovi di fronte una
amministrazione o un soggetto dalla stessa incaricata che non si comporta
così come l'ordinamento da questi pretenderebbe. Ecco che allora il primo
profilo di tutela di diritto alla salute è contenuto nelle carte dei servizi ed è
costituito
dall'esistenza
di
impegni
regolarmente
assunti
dall'amministrazione, o dai soggetti che per essa operano, nei confronti dei
cittadini ad una determinata qualità. Si tratta di impegni che devono essere
26
pubblicizzati, e rispetto ai quali deve essere previsto un meccanismo di
reazione immediato e di facile accesso, e perciò affidato alla stessa autorità
amministrativa con la previsione di strumenti di tutela sia ripristinatoria che
risarcitoria rapidi (e da questo punto di vista si può comprendere l'efficacia
di una tutela risarcitoria monetizzata in termini predeterminati e fissi). Ma
non va dimenticato che l'effetto della carta dei servizi è quello di garantire
tutela in via preventiva e cioè indirizzando l'erogatore del servizio
medesimo al raggiungimento di standards di qualità più elevati: la carta dei
servizi prima ancora che strumento di tutela, ed in qualche misura di
repressione, è strumento di indirizzo dell'azione.
Da questo punto di vista, la carta dei servizi appare maggiormente
significativa rispetto all'intervento del giudice, che ha, necessariamente, una
funzione in qualche misura repressiva, intervenendo nell'ipotesi in cui sia
individuata una situazione di crisi: l'intervento del giudice è, normalmente,
incardinato presso la giurisdizione ordinaria, e tale soluzione appare
giustificata in relazione soprattutto alla maggior diffusione sul territorio del
giudice ordinario rispetto al giudice amministrativo. Non vi sono, per il
vero, altre ragioni che giustificano detta attribuzione, posto che il giudice
amministrativo sta diventando il giudice titolare di una competenza per
materia in tema di servizi pubblici, con la conseguenza che il medesimo sta
acquisendo una capacità di valutazione e risposta con riferimento a tutta
l'attività di erogazione della pubblica amministrazione. Di modo che non vi
sarebbe da stupirsi se il legislatore, in un'ottica di razionalizzazione della
tutela, attribuisse al giudice amministrativo anche questi profili di
giurisdizione. E' ovvio, però che il diritto alla salute postula la possibilità di
27
azione e decisione in termini rapidi e deve consentire l'intervento anche di
organizzazioni di tutela del malato che possano rappresentare ed assistere
coloro che non sono in grado o psicologicamente o finanziariamente di
ricorrere autonomamente alla tutela in sede giurisdizionale.
C) Gli operatori.
In una entità organizzata che deve erogare prestazioni ad elevato
contenuto tecnico e che, peraltro, essendo rivolte direttamente alla persona,
debbono essere qualificate anche da una particolare attenzione alla
medesima, e perciò dal carattere dell'appropriatezza, il ruolo degli operatori
è fondamentale e l'attenzione ai medesimi deve essere particolarmente
raffinata. E, ciò va detto, in realtà non del tutto consapevoli a questo
proposito appaiono il legislatore e l'amministratore concreto: i rapporti con
gli operatori, intesi come categoria di tecnici particolarmente qualificati e
particolarmente attenti al profilo umano del servizio, non è così evidente sia
nelle norme sia, soprattutto, nella loro attuazione concreta. Da questo punto
di vista, il nostro sistema si differenzia rispetto ad altri, di derivazione
anglosassone, ove il minor peso attribuito alla macchina statale consente di
riconoscere un ruolo più significativo agli operatori del settore, intesi
proprio come categoria. Negli studi di derivazione anglosassone, sia al di
qua che al di là dell'oceano, infatti, è prestata particolare attenzione, al
ruolo, per esempio dei medici nel funzionamento del servizio sanitario, sia a
livello di medicina specialistica od ospedaliera sia al livello di medicina di
base. Le loro aspettative, le loro valutazioni, la loro capacità di
individuazione della prestazione più appropriata sono considerate
dall'amministrazione pubblica come un momento di collaborazione
28
particolarmente significativo, che può condurre alla configurazione più
esatta del servizio sanitario medesimo. Si tratta, in realtà, di una forma di
sussidiarietà orizzontale che diviene particolarmente significativa per far
partecipare singoli ed organizzazioni della società civile alla attività
pubblica. Nel nostro ordinamento, ispirato in realtà ad un intervento sempre
unilaterale ed autoritativo dello Stato, il rapporto con gli operatori del
servizio sanitario nazionale è un rapporto che sconta l'unilateralità
dell'intervento pubblico, di modo che il singolo o anche la struttura
associativa, come l'ordine professionale, quand'anche connotato in senso
pubblicistico, viene sempre introdotto in modo limitato e secondario rispetto
ad una impostazione autoritativa che ha il carattere predominante. In questo
modo, è ovvio che la partecipazione del singolo ha un significato ridotto e la
stessa iniziativa del singolo viene mortificata. Il discorso ora svolto vale
anche per gli operatori sanitari privati, che vengono coinvolti nella sanità
soltanto in una funzione secondaria e in qualche modo di supplenza rispetto
alla struttura pubblica, laddove la medesima non può operare direttamente.
Il meccanismo della sussidiarietà, in altre parole è rovesciato: è il privato
che è sussidiario dello Stato mentre a questi spetta la attività in via ordinaria
e diretta. L'approccio, che ha progressivamente condotto all'espulsione dal
settore delle strutture private non riconducibili a finalità più spiccatamente
di lucro (la vicenda parte dal XIX secolo, dalla pubblicizzazione delle
confraternite all' istituzione delle IPAB, per giungere alla costituzione degli
enti ospedalieri da parte della legge Mariotti del 1968 fino alla creazione
delle unità sanitarie locali nel 1978) ha fatto sì che sia venuta meno una
possibilità importante di collaborazione e di acquisizione di conoscenza: e
29
ciò ha condotto in qualche misura a vanificare la stessa possibilità di
programmazione, non avendo senso, ovviamente, programmare una rete
articolata con la compresenza di operatori privati se i medesimi vengono
tenuti all'oscuro al momento della scelta di fondo e se gli stessi vengono
fatti partecipare soltanto a livello di modesti attuatori.
In questo modo, peraltro, si perde tutta la ricchezza di conoscenza e
di esperienza dei singoli e delle strutture e ci si riduce, a livello di
programmazione, alla elaborazione di programmi che saranno in realtà
perennemente inattuati: non è in effetti immaginabile la definizione
preventiva di livelli massimi di spesa se questa definizione non è frutto di
una acquisizione di dati che parta dai singoli operatori e che tenga conto
delle capacità di resa di ciascuno. La programmazione è sempre di per sé
difficile nel momento previsionale e a maggior ragione impossibile se è
assolutamente autoritaria, in un sistema nel quale la libertà di scelta del
cittadino non può ovviamente essere negata, essendo coessenziale al
carattere di diritto fondamentale del diritto alla salute. Riprova dell’inutilità
di quanto detto è poi nella stessa elaborazione sempre più complessa dei
rapporti tra sistema pubblico e sistema privato che si è realizzata nell'ultima
riforma del servizio sanitario nazionale, il cosiddetto decreto Bindi, con la
moltiplicazione dei momenti formali di contatto fra servizio sanitario
pubblico e operatori privati: l' autorizzazione, l' accreditamento e l'accordo
sono, in realtà, la vuota ripetizione del medesimo momento autoritativo, con
il risultato da un lato di rendere l'amministrazione sempre più opprimente e,
dall'altro, ad indurre il privato meno serio ad elaborare ogni qualsivoglia
meccanismo per aumentare il livello della remuneratività della prestazione.
30
Ecco che, a questo punto, in un'ottica diversa assumono particolare
rilievo i momenti di rapporto con gli operatori.
Il primo momento è relativo ai meccanismi di selezione, che
debbono essere ispirati da un lato al rigoroso accertamento della capacità
tecnica e dall'altro ad una elasticità di acquisizione. Il nostro legislatore non
sembra ispirato a criteri di questo genere, laddove, assurdamente, fa prevalere
valutazioni di tipo manageriale anche con riferimento a professionalità nelle
quali l'elemento predominante è l'elemento tecnico. Il meccanismo di
selezione dei dirigenti di secondo livello è un meccanismo che sembra
introdurre scelte amministrativo-discrezionali in momenti nei quali,
viceversa, elemento di scelta non può che essere soltanto tecnico-operativo. Il
livello tecnico-operativo ovviamente sconta una valutazione discrezionale,
ma si tratta di una valutazione discrezionale che deve essere esplicitabile
perché rapportata a parametri obiettivi. L'eliminazione di meccanismi
artificiosi (si può comprendere che non abbia senso per selezionare un
primario di chirurgia sottoporlo ad una prova pratica quando si è in presenza
di professionisti dalla capacità elevatissima e sperimentata) non può
trasformarsi in una scelta personalistica priva di qualsivoglia motivazione in
relazione ad elementi obiettivi. Non ha nessun senso in situazioni di questo
genere il riferimento ad elementi "fiduciari", che non possono ovviamente
esistere allorché la valutazione è esclusivamente tecnica. D'altro canto, i
meccanismi di selezione devono essere più obiettivi, e rinunciare perciò a
formalizzazioni inutili che soltanto astrattamente garantiscono la parità di
trattamento e che in pratica impediscono una seria valutazione.
Superato il momento della selezione si apre la problematica della
31
varietà dei rapporti di impiego e di lavoro con la pubblica amministrazione.
La varietà dei rapporti, è in realtà, una ricchezza sia per il soggetto che
presta la propria attività a favore dell'amministrazione che per
l'amministrazione che la riceve. La pluralità dei rapporti corrisponde a una
analoga dignità, sia che si tratti di rapporti a tempo pieno, che si tratti di
rapporti a tempo definito, che si tratti di rapporti di impiego, che si tratti di
rapporti di convenzione. Le diverse modalità corrispondono a una diversa
attività e cioè a un diverso contenuto della prestazione ed ovviamente a un
diverso tipo di impegno e di remunerazione per colui che partecipa.
Elementi meccanici o autoritativi non hanno in realtà alcun tipo di
significato e mascherano una incapacità di controllo che peraltro
l'automaticità di un meccanismo non attribuisce affatto. Non è con
imposizione
di
rapporti
esclusivamente
d'impiego
e
di
rapporti
esclusivamente a tempo pieno che si garantisce la bontà della prestazione: se
la struttura non è in grado di effettuare i controlli, non sarà in grado di
effettuarli né con un rapporto a tempo pieno né con un rapporto a tempo
parziale. Il rapporto a tempo pieno esclusivo ed obbligatorio allontana delle
professionalità dal sistema sanitario e rende certamente meno soddisfatti
coloro che debbono necessariamente operare. Si tratta, invece, di
sperimentare una pluralità di rapporti, ciascuno adeguati a determinate
funzioni, a determinate prestazioni e commisurato a un determinato
compenso. Si tratta, poi, di organizzare dei meccanismi di verifica e di
controllo che siano adeguati rispetto al singolo rapporto. Ciascuno deve,
ovviamente, svolgere la propria funzione in modo adeguato, e devono
ovviamente evitarsi momenti di conflittualità non accettabili. Ma la veste
32
giuridica non è di per sé taumaturgica e non corrisponde ad una aprioristica
bontà di risultato. La varietà, viceversa, consente di valorizzare al massimo
le capacità e le esperienze.
Quanto detto per i rapporti con i singoli vale anche per i rapporti con
le strutture che, già si è rilevato, sono stati soltanto inutilmente complicati e
formalizzati, con il ricorso a configurazioni, addirittura in rapporto di
concessione, che sono assai poco adeguate rispetto alla natura del servizio
reso. In un servizio quale quello sanitario, in cui si tratta di prestare cure,
non vi è evidentemente alcuna distinzione fra l'attività svolta da un privato e
l'attività svolta dalla pubblica amministrazione; il momento autoritativo è
del tutto assente, essendo detto momento individuabile soltanto allorché si
formulano le scelte, non nel senso di attività di imperio, ma nel senso di
scelta del livello di prestazione erogabile. Consegue a quanto detto che
laddove è il singolo o la singola struttura che deve operare per erogare la
cura non vi è alcun motivo per ricorrere a strumenti di derivazione
autoritativa quale la concessione. Si tratta sempre ed esclusivamente da un
lato di autorizzazioni, e cioè di accertamenti preliminari circa l'idoneità allo
svolgimento di una determinata attività, e dall'altro di convenzioni, e cioè di
rapporti contrattuali. In questi rapporti contrattuali residua, ovviamente, un
profilo pubblicistico derivante dalle scelte in ordine all'articolazione del
servizio, che può consentire all'amministrazione di incidere su un rapporto
già configurato per adattarlo alle nuove modalità che le scelte pubblicistiche
impongono. In un assetto di questo genere, peraltro, non può essere presente
un meccanismo di programmazione che sia volto ad impedire l'accesso al
mercato. L'accesso al mercato deve essere per tutti possibile, trattandosi
33
della normale esplicazione del diritto al lavoro, anche professionale, e del
diritto alla libertà di iniziativa economica. La verifica della possibilità di
esercitare il diritto corrisponde soltanto ad una idoneità tecnica che, in un
settore quale quello del diritto alla salute, deve essere configurata nel livello
massimo richiedibile, non essendo perciò possibile distinguere, in un settore
così delicato, fra livello minimo, riconosciuto valido per tutti i cittadini, e
livello più elevato, preteso per l'attività svolta per la pubblica
amministrazione. Il livello deve essere unico ed è, necessariamente, un
livello elevato in quanto la prestazione a tutela della salute deve essere la
più elevata praticabile compatibilmente con le conoscenze tecniche diffuse.
I tre livelli autorizzazione, accreditamento ed accordo, perciò, sono
indubbiamente eccessivi: i livelli non possono essere che due,
autorizzazione ed accordo, dovendosi, peraltro, in questo secondo,
individuare sia i meccanismi per la selezione dei soggetti con i quali
stipulare l'accordo sia il contenuto specifico della prestazione che deve
essere modulato in relazione alle esigenze dell'amministrazione.
D) I livelli di regolazione e gestione.
Come si è accennato, il sistema del servizio sanitario nazionale, ma
già in precedenza il sistema della sanità pubblica, è stato fin dalla fine del
XIX secolo ispirato ad un netto accentramento e ad una decisa
pubblicizzazione.
Lo Stato unitario, nel momento in cui si è reso conto della necessità
di dover rispondere alle esigenze dei cittadini che, più numerosi e sempre
più raccolti in grandi agglomerati, richiedevano interventi che andavano al
di là della semplice necessità di ordine all'interno e di pace all'esterno, ha
34
ritenuto di dover intervenire acquisendo in proprio sia la capacità di
regolazione che la capacità di gestione. Ciò è stato, evidentemente, frutto da
un certo punto di vista della consapevolezza dello Stato di dover soddisfare
le esigenze dei cittadini in modo più adeguato e da un altro punto di vista
della diffidenza dello stato medesimo rispetto ad altra realtà organizzata. Lo
Stato, cioè, nel momento in cui ha ritenuto di dover essere destinatario di un
compito sociale, ha immediatamente considerato che questo compito sociale
dovesse essere svolto da esso medesimo e non da altre strutture che
potevano avere impostazioni ideologiche indifferenti. Ecco che lo Stato, di
per sé, è divenuto un soggetto ideologicamente qualificato, quanto meno nel
senso di non ammettere ideologie differenti (da questo punto di vista le
variazioni, pur ovviamente significative, tra stati occidentali e stati orientali,
fra stati liberali ad economia mista o del welfare e stati socialisti sono
differenze esclusivamente in termini di intensità di esclusione di opzione
ideologiche diverse). La linea di tendenza, come si è ricordato, è stata
costante, a partire dall'impostazione crispina che ha escluso le confraternite,
sia di provenienza religiosa che di provenienza operaistica, dal settore
dell'assistenza sanitaria per trasformarle tutte in istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficenza, per giungere alla legge Mariotti del 1968 che ha
trasformato tutte queste istituzioni in enti pubblici, rendendo assolutamente
residuale la presenza degli originali interessi, per addivenire al sistema
incentrato esclusivamente sul livello politico locale delle unità sanitarie
locali della legge del 1978, con la definitiva esclusione di qualsivoglia altro
livello organizzativo e quindi in qualche misura ideologico dal settore
sanitario. Una siffatta impostazione, bloccata dalla Corte costituzionale per
35
quanto riguarda l'azzeramento anche di altre esperienze organizzative con
riferimento all'attuazione del DPR n. 616 del 1977, si connota per il
riferimento ad un determinato periodo storico ormai del tutto superato: un
periodo storico nel quale la rappresentanza popolare veniva considerata
l'unico elemento attraverso il quale far emergere le esigenze dei cittadini e la
rappresentanza
partitica
veniva
considerata
l'unico
strumento
di
partecipazione popolare. Si è trattato della evoluzione di una forma di stato
che ha avuto un momento importante del suo sviluppo nelle realtà
autoritarie della prima metà del secolo che, da questo punto di vista, non
sono affatto avulse dalla progressione: il sistema del partito unico è
l'emersione a livello autoritario di una esigenza di configurazione della
rappresentanza politica e dell'indirizzo politico che trova attuazione a livello
democratico nello stato di partiti. Oggi, l'accresciuta cultura di tutta la
popolazione e l'accresciuta capacità di decisione fa sì che quel momento
ideologico possa ritenersi superato a favore dell'intervento di una pluralità di
soggetti, non con destinazione necessariamente politica, che sono peraltro in
grado di manifestare la propria valutazione in relazione alle esigenze della
collettività e di erogare dei servizi particolarmente significativi per la
collettività medesima.
Questo comporta una necessaria modificazione sia dell'attività di
regolazione che dell'attività di gestione: l'attività di regolazione, infatti, deve
essere organizzata ed esercitata tenendo conto di queste capacità e perciò
utilizzando i meccanismi della sussidiarietà sia verticale che orizzontale. Ma
utilizzandoli nel senso, al quale si è già riferito, di consentire un intervento
paritario ed originario dei cittadini e delle organizzazioni nel farsi delle
36
regole, al fine sia di garantire una maggior democraticità, con la
differenziazione dei centri di produzione delle regole, sia una maggior
adeguatezza delle regole alle esigenze, con la partecipazione di coloro che
sono in grado di conoscere meglio le realtà sulle quali si deve incidere.
Ugualmente, a livello di gestione, e forse addirittura di più, la scelta deve
essere a favore di coloro che sono più vicini ai cittadini e perciò più in grado
di rendere le prestazioni occorrenti, con garanzia della adeguatezza delle
medesime e della modificabilità del livello di prestazione in relazione alle
esigenze. E' ovvio che tutto il meccanismo non può che fondarsi su un
rapporto
di
fiducia
reciproca,
non
essendo
immaginabile
che
l'amministrazione sia in sé migliore dei privati o che il livello centrale sia in
sé migliore del livello locale. Al di là di affermazioni di principio, d'altro
canto, una valutazione comparatistica dimostra ampiamente come
considerazione aprioristiche in ordine alla qualità siano del tutto
ingiustificate, tenuto conto della varietà di soluzioni che nei vari
ordinamenti sono stati raggiunte.
Ecco che allora nella sanità occorre partire dal livello di base, e cioè
dal livello aziendale e dal livello privato. E’ a questi livelli che deve essere
rilevata l'esigenza della collettività in termini di necessità di assistenza e
deve essere rilevata la disponibilità di cure in termini di capacità tecnicooperativa di erogazione. La rilevazione di entrambi gli elementi di una
assistenza sanitaria deve essere rapportata ai costi del meccanismo. Detti
costi debbono essere a questo punto riferiti a livello locale, per una prima
valutazione in termini di rapporto con la disponibilità complessiva del
sistema: è fatale che il livello locale, in questo caso, sia un livello
37
sovracomunale, se non addirittura regionale, non essendo immaginabile,
tenuto conto delle capacità di attività delle strutture sanitarie e anche dei
livelli di costi delle prestazioni, che il livello locale, inteso come comunale,
così parcellizzato possa compiere delle valutazioni adeguate. Il livello
regionale è, a questo punto, il livello soprattutto amministrativo più che
legislativo, trattandosi di determinare le caratteristiche della gestione; a
livello legislativo vi sarà competenza per ciò che concerne i profili
organizzativi del sistema e per quanto concerne la individuazione dei livelli
di prestazione erogabili in relazione alle risorse disponibili.
A livello nazionale dovrà essere compiuto quanto occorre per il
contemperamento delle esigenze del singolo con gli interessi della
collettività: il livello nazionale, infatti, trattandosi del livello nel quale unità
della nazione comunque si manifesta come identità culturale complessiva,
dovranno essere compiute le scelte in ordine al tipo di assistenza
complessivamente erogabile, individuata sia come livelli minimi di
prestazione sia con riferimento a livello tendenziale da raggiungere; dovrà
anche essere valutato il costo economico complessivo, in considerazione
delle varie esigenze che la collettività nel suo complesso manifesta. Il livello
nazionale ha inevitabilmente nell'attuale esperienza storica un suo ruolo di
equilibrio e compensazione perché la collettività nazionale si riconosce dal
punto di vista culturale in una unità di intenti che deve essere condivisa da
tutte le parti del territorio, sia pure nell'ambito di una adeguata e ragionevole
capacità di adattamento alle singole esigenze. Ma questa valutazione a
livello centrale è una valutazione che deve essere limitata alla
individuazione dei caratteri comuni della prestazione dell'organizzazione e
38
non deve essere invece ispirata a una diffidenza nei confronti delle realtà
locali e dei singoli.
Con un criterio di distinzione delle competenze si raggiunge, perciò,
la concordia dell'attività.
8. Verso la welfare community.
Le conclusioni prima raggiunte appaiono in linea con l'evoluzione
del nostro ordinamento, e, in particolare, con il nuovo testo del titolo V°
della Costituzione, introdotto con la legge costituzionale n. 3 del 2001, a
seguito del referendum popolare.
Ed infatti, nel nuovo articolo 118 della Costituzione appare
espressamente riconosciuto il principio di sussidiarietà, al I° comma con
riferimento alla cosiddetta sussidiarietà verticale, e cioè ai rapporti tra
comuni, provincie, città metropolitane, regioni e Stato, e al IV° comma con
riferimento alla cosiddetta sussidiarietà orizzontale, e perciò al rapporto, tra
Stato, regioni, città metropolitane, provincie, comuni e l'autonoma iniziativa
dei cittadini, singoli ed associati.
Un principio che era già individuabile nella nostra Costituzione,
all'art. 5 per quanto concerne la sussidiarietà verticale e all'art. 2 per quanto
concerne la sussidiarietà orizzontale, è stato perciò esplicitato e viene a
connotare tutti i rapporti tra le amministrazioni pubbliche e tra le
amministrazioni pubbliche ed i cittadini (nel nuovo titolo V° sono inserite
disposizioni di principio che valgono ad informare l'intero ordinamento, e
che sono state collocate in quella parte della Costituzione soltanto perché la
revisione costituzionale non poteva riguardare la prima parte del testo
costituzionale).
39
Il nuovo assetto dei rapporti al quale si è fatto sopra riferimento
risulta però autorevolmente confermato nella norma fondamentale della
Repubblica.
Ma anche nelle disposizioni precedenti, dedicate, più analiticamente,
alla disciplina dell'attività legislativa e dell'attività amministrativa, si
trovano significative conferme di quanto ora sostenuto.
Ed infatti, l'art. 117 attribuisce alla legislazione esclusiva dello Stato
la "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale",
rimettendo viceversa alla legislazione concorrente, di spettanza della
Regione salvo per i principi fondamentali, attribuiti alla Stato, la tutela della
salute.
Dal punto di vista legislativo, perciò, mentre lo Stato deve
individuare i livelli essenziali, e cioè minimi, garantiti a tutti, delle
prestazioni, in modo da assicurare il rispetto dei diritti fondamentali
sull'intero territorio nazionale, alla regione è attribuita la competenza a
legiferare in ordine a tutto concerne il profilo organizzativo, il profilo della
prestazione, ed anche, ove è possibile, il profilo dell'incremento del diritto
fondamentale, a favore, ovviamente, non soltanto dei suoi cittadini ma di
tutti coloro che abbiano titolo ad avvalersi delle prestazioni erogate dal
servizio sanitario nell'ambito regionale.
Spetta, invece, a sensi dell'art. 118, ai comuni, in via prioritaria, tutta
la gestione della attività amministrativa: il rapporto tra detta attività
amministrativa e il servizio sanitario è un rapporto che, perciò, la legge
regionale dovrà disciplinare tenendo conto di questa attribuzione prioritaria,
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che non significa concentrazione nel livello amministrativo locale di tutte le
funzioni amministrative, il che comporterebbe inammissibile accentramento
delle medesime, ma comporta invece che a livello locale sia conferita la
possibilità di autonoma determinazione. La sussidiarietà, d'altro canto, vale
anche a favore delle organizzazioni sanitarie, sia pubbliche che private, nella
misura in cui siano espressione di realtà organizzate, con o senza rilevanza
pubblicistica.
L'attuazione della previsione costituzionale consentirà, perciò, di
raggiungere il coordinamento delle attività nel rispetto delle competenze di
ciascuno.
Il principio di sussidiarietà, pur garantendo la differenziazione, non
significa, infatti, contrapposizione o separatezza, ma invece, fattiva
collaborazione.
NOTA BIBLIOGRAFICA
La letteratura che ha affrontato dal punto di vista giuridico i temi
trattati in questo studio è assai vasta. Come prima indicazione, si può
segnalare, per quanto concerne la configurazione dei rapporti tra potere
pubblico, potere economico, diritti fondamentali, l'opera di S. CASSESE,
La nuova Costituzione economica, Bari, Laterza, 2000 ; il tema della
sussidiarietà è stato di recente trattato, in termini completi, anche con
riferimento al campo sanitario, da P. DE CARLI, Sussidiarietà e governo
economico, Milano, Giuffrè, 2001, e dal punto di vista del ruolo delle
autonomie funzionali da A. POGGI, Le autonomie funzionali "tra "
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sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale, Milano, Giuffrè, 2001. In
genere, la tematica relativa al Welfare state, anche con accenti critici, è
trattata nel volume collettaneo Regionalismo, Federalismo, Welfare State,
Milano, Giuffrè, 1997. Una valutazione dell'attività amministrativa nella sua
concretezza è esposta nel volume L'attuazione Regionale del "Terzo
decentramento" - Analisi comparata dell'esperienza lombarda ,a cura di L.
ANTONINI, Milano, Giuffrè, 2001. L'assetto del servizio sanitario
nazionale ed i problemi della sanità in genere sono stati affrontati nel
volume collettaneo Profili attuali del diritto alla salute, a cura di C. E.
GALLO e B. PEZZINI, Milano, Giuffrè, 1998, mentre l'organizzazione
attuale del servizio sanitario nazionale, dopo il cosiddetto decreto Bindi, è
analizzata in Il nuovo servizio sanitario nazionale, a cura di F. ROVERSI MONACO, Rimini, Maggioli, 2000.
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