Cristo è il `dono` di Dio per tutti gli uomini

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Solennità dell’Epifania
Omelia
Milano-Duomo, 6 gennaio 2009
CRISTO È IL “DONO” DI DIO
PER TUTTI GLI UOMINI
Carissimi,
in questa solenne festa dell’Epifania la Chiesa ci invita a sostare in
meditazione
sul
racconto
dei
Magi,
così
come
ci
viene
presentato
dall’evangelista Matteo: “Nato il Signore Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo
del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme” (2,1).
Forse ci ritornano spontanei i ricordi della nostra infanzia, quando i
nostri occhi guardavano meravigliati la scena dei Magi e la trovavano ricca di
fascino e di curiosità. O forse ci si ripresentano le tante raffigurazioni
artistiche di questo episodio evangelico. E gli uni e le altre conservano sempre
una carica di interesse e di suggestività; anzi, pur in mezzo a non pochi
elementi leggendari e del tutto opinabili, questi ricordi e queste raffigurazioni
possono contenere spunti di vera religiosità e di autentica fede.
Ma nulla può eguagliare la pagina evangelica: racchiude in sé una
straordinaria profondità teologica e da essa veniamo aiutati a riscoprire la
presenza di Dio e del suo amore nell’avventura spirituale dei Magi, e invitati a
lasciarci conquistare da un mistero di grazia che ci viene annunciato e nel
quale siamo coinvolti non come semplici destinatari ma come veri protagonisti.
È una pagina che ci appare scritta oggi e si offre a noi come buona notizia e
dono di salvezza.
Vennero da oriente
Già la prima riga di questa pagina, “alcuni Magi vennero da oriente a
Gerusalemme”, ci fa respirare a pieni polmoni l’universalismo dell’amore
salvifico di Dio: il bambino che viene incontrato e adorato dai Magi è il Dio
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Salvatore non solo del popolo d’Israele, ma di tutti i popoli del mondo. Gli
occhi del vecchio Simeone, illuminati dallo Spirito, avevano visto bene questo
bambino a otto giorni dalla sua nascita: “i miei occhi hanno visto la tua
salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e
gloria del tuo popolo, Israele” (Luca 2,30-32).
Sì, Cristo Signore non è solo “la gloria” di Israele, ma è “la luce per tutte
le genti”. Mentre nel primo capitolo del suo vangelo Matteo aveva – per così
dire – rinchiuso Gesù che nasce nell’ambito ristretto del popolo eletto (appare
chiaramente dalla lettura della genealogia), adesso ne allarga le prospettive: “Il
suo popolo” che è venuto a “salvare dai suoi peccati” (1,21), non è solo Israele,
ma l’umanità intera. E i Magi che vengono “da oriente” – qualunque fosse il
loro paese (la Persia, l’Arabia, la Mesopotamia, ecc.) e qualsiasi la loro
professione (sacerdoti persiani, astrologi, ecc. ) – stanno a rappresentare il
grande mondo dei pagani: anche loro fanno parte dell’unico e universale
disegno di salvezza di Dio.
E a loro lo stesso Matteo riserverà l’ultima pagina del suo vangelo,
meravigliosamente anticipata dall’episodio dei Magi. È la pagina del “mandato
missionario”: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel
nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo…” (28,19).
Ecco il formidabile messaggio che oggi deve risuonare forte e
affascinante nei nostri cuori: Cristo è il “dono” di Dio a tutti gli uomini di tutti i
tempi e di tutti i luoghi.
Sì, è messaggio formidabile, questo: perché ciascuno di noi vi si trova
personalmente coinvolto; perché – poi - possiamo e dobbiamo guardare con
fiducia piena e speranza unica a tutti gli uomini - nessuno escluso e in
qualunque situazione di vita si trovino – come destinatari di questo “dono”,
desiderati, voluti e attesi dal cuore di Dio. Perché – non da ultimo - siamo
chiamati ad amare e ad assumere sì il tempo e lo spazio del nostro vivere
quotidiano, ma insieme ad aprirci ad ogni tempo e ad ogni spazio, a “respirare”
in termini di mondialità, di “cattolicità”: andando oltre i nostri schemi ristretti
e le nostre chiusure egoistiche, sentendoci solidali con tutti e partecipi
dell’intera storia umana. In questo senso, ogni uomo è un mondo!
Tutto ciò si rivela ancora più bello e impegnativo per noi cristiani, come
membri della Chiesa “una e cattolica”, della Chiesa che si pone nel mondo
come “epifania” di Cristo: una manifestazione che nel disegno divino abbraccia
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e avvolge gli stessi illimitati orizzonti di tutta la famiglia umana. La Chiesa è
voluta da Dio come il “segno luminoso” di Cristo nel mondo intero: essa
diviene “epifania” vivente del Signore Gesù, o meglio per mezzo della Chiesa
Cristo stesso oggi si manifesta, si rivela, si offre al mondo per dare a tutti la
sua salvezza e per ricondurre tutti all’unità (cfr. Lumen gentium,1).
L’ “epifania” di Cristo, dunque, continua nella Chiesa. Questo è vero,
ma c’è da domandarsi: come la Chiesa oggi e - in essa - come ciascuno di noi
riescono a essere realmente “epifania” del Cristo? È una domanda alla quale
tutti i credenti, dal più grande al più piccolo, non possono sottrarsi. Vi devono
dare assolutamente risposta! Ma quale? Ecco, è la stessa risposta che
ritroviamo nell’avventura spirituale dei Magi.
Provarono una gioia grandissima
I
Magi
vengono
dall’oriente
alla
ricerca
del
Salvatore.
Scrive
l’evangelista: “Dicevano: ‘Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto
spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo’” (v.2). L’avventura dei Magi,
ripeto, si pone come paradigma, anzi come radice viva, come sorgente feconda
della nostra avventura nella ricerca e nell’adorazione di Cristo Signore.
È vero: il cammino dei Magi è avventuroso, nel senso più ovvio del
termine, tante sono le fatiche, le difficoltà, le traversie, le incomprensioni che
devono affrontare in Gerusalemme e soprattutto presso il re Erode. Ma ha una
conclusione quanto mai felice, traboccante di quella singolare gioia che è
legata alla stella che li ha guidati sin dall’inizio. Come scrive l’evangelista: “Ed
ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finchè giunse e si
fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino” (v.9). E aggiunge: “Al vedere la
stella, provarono una gioia grandissima” (v.10). È grazie alla stella che,
continua l’evangelista, “entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua
madre, si prostrarono e lo adorarono” (v.11).
La gioia per i Magi è causata dalla stella perché offre loro la possibilità
di incontrarsi con il bambino: di vederlo e di adorarlo. Ma è – quindi - questo
bambino l’origine prima e vera della loro “gioia grandissima”. Possiamo anche
dire, seguendo i Padri della Chiesa, che la stella è il simbolo di Cristo. Il nostro
sant’Ambrogio è ancora più forte, non temendo di affermare che “questa stella
è la via, e Cristo è la via, perché secondo il mistero dell’incarnazione Cristo è la
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stella”, in quanto – così spiega - “dove c’è Cristo, c’è anche la stella; egli è
infatti ‘la stella fulgida del mattino’ (Apocalisse 22, 16). Egli si manifesta con la
sua stessa luce” (Esposizione del vangelo secondo Luca, II,45).
La nostra esperienza ci dice che il cuore dell’uomo ha fame e sete
anzitutto di felicità: l’uomo è un essere nativamente fatto per la gioia, non per
una gioia qualsiasi ma per quella gioia che veramente sazia, appunto per la
felicità. La parola di Dio, mentre conferma questo fondamentale e universale
dato dell’esperienza umana, apre e conduce l’uomo alla sua realizzazione
piena, anzi sovrabbondante, eccedente, al di là di ogni previsione e aspirazione
mostrando il vero volto di Cristo: Cristo è la gioia vivente e personale. Se
l’esperienza
di
ciascuno
viene
interpretata
dalle
notissime
parole
di
sant’Agostino: “Tu ci hai fatto per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto
sino a quando non riposa in te” (Confessioni I,1), questa stessa esperienza
sant’Ambrogio la presenta con le parole: “Gaudium Christus est… Il Cristo è
gioia e ogni uomo, che nel grembo della sua anima ha accolto lo spirito di
salvezza, lo dà alla luce” (Commento al salmo 47, 10).
Ma come arrivare a comprendere e a vivere l’incontro con Cristo come
fonte di gioia? Il brano evangelico che stiamo meditando ci suggerisce di
intraprendere una duplice strada: quella che ricorre alla nostra ragione e
quella che ci viene aperta dalla parola di Dio. Non mi soffermo sulla prima
strada, seguita pure dai Magi i quali - grazie al loro amore per la scienza sanno leggere nella stella un segno cosmico che rimanda a Dio creatore e ai
suoi disegni di bontà verso gli uomini. Mi limito a dire che la stessa mente
umana può comprendere come la felicità non possa essere raggiunta solo
attraverso i beni materiali, ma derivare unicamente dai beni morali e spirituali
dell’uomo, dunque dal suo vivere le aspirazioni più profonde e più alte
dell’anima. Quanta verità nelle parole di Gesù: “Che giova all’uomo
guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?” (Marco 8,36)!
È sulla strada della parola di Dio che possiamo giungere alla felicità,
come è stato per i Magi, che hanno potuto riprendere e proseguire il cammino
grazie alle indicazioni delle Sacre Scritture. Sono stati infatti – così scrive
l’evangelista - i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo a rivolgere ad Erode – e
lui poi ai Magi - la risposta circa il luogo in cui doveva nascere il Cristo,
desumendola dal profeta biblico: “così è scritto per mezzo del profeta: E tu,
Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di
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Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”
(vv. 5-6).
Sì, la parola di Dio è fonte di felicità, perché essa rivela alla mente il
mistero di Dio e del suo amore, e insieme lo dona al cuore dell’uomo come
forza di vita, consolazione nella prova, riposo nella fatica, fonte di gioia pura e
profonda. Non può essere diversamente se Cristo è la nostra autentica gioia e
se la parola di Dio si è fatta carne umana in Cristo, dunque da noi udibile,
visibile, incontrabile, sperimentabile. Sì, tutte le lodi che la Bibbia riserva alla
parola di Dio trovano la loro pienezza personale in Cristo. Chiediamo allora
che la parola di Dio possa incontrare anche in noi un cuore veramente attento
e disponibile, quindi sempre più pronto ad accogliere e a saziarsi di quella
gioia unica e insperabile che questa parola sprigiona e accende. Come
leggiamo nel Messaggio dell’ultimo Sinodo dei Vescovi: “La parola di Dio,
infatti, è ‘più dolce del miele e di un favo stillante’ (Sal 19,11), è ‘lampada per i
passi e luce sul cammino’ (Sal 119,1°5), ma è anche ‘come il fuoco ardente e
come un martello che spacca la roccia’ (Ger 23,29). È come una pioggia che
irriga la terra, la feconda e la fa germogliare, facendo così fiorire anche l’aridità
dei nostri deserti spirituali (cfr. Is 55,10-11)…”.
Poi aprirono i loro scrigni
Un ultimo spunto vogliamo trarre dall’avventura spirituale dei Magi,
così che la nostra celebrazione dell’Epifania possa entrare più concretamente
nel nostro vissuto cristiano. Particolarmente eloquente è la conclusione
dell’evangelista laddove scrive: “Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in
dono oro, incenso e mirra” (v.11).
Sì, i Magi aprono i loro scrigni contenenti i doni da offrire al bambino
trovato “con Maria sua madre” (v. 11). In realtà aprono il loro cuore, che è
scosso da un unico grande bisogno: consegnare se stessi quale dono più
prezioso al bambino riconosciuto come Dio e Signore. Per questo, appunto, si
prostrano e lo adorano.
Matteo cita esplicitamente tre doni: l’oro, l’incenso e la mirra, che i
Padri della Chiesa interpretano come riconoscimento – rispettivamente - della
regalità, della divinità e dell’umanità di Cristo Signore. Il prezioso metallo
profetizza il suo regno d’amore, l’incenso proclama la salvezza che da Dio solo
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discende, la mirra è icona di un Dio che ha tanto amato il mondo da offrire la
vita dell’unico Figlio.
Ma oltre l’aspetto simbolico dei tre doni sta il dono reale, vivente che di
se stessi fanno i Magi. E così rispondono al dono che li ha preceduti e
chiamati all’incontro: il Dono per eccellenza è Cristo stesso, rivelato nei doni
dei Magi e donato loro dall’amore del Padre.
L’adorazione dei Magi, di cui ci parla l’evangelista, dice la loro totale
donazione di sé a Dio, riconosciuto nella fede e nell’amore come Bene sommo e
unico della loro vita. Un’adorazione che plasma e trasfigura la loro esistenza,
resa capace di obbedire in pienezza di libertà alla logica del dono in tutti i
rapporti, con Dio e con il prossimo.
E così la vita si rinnova, assume un nuovo volto, come allude il testo
evangelico presentandoci i Magi che “per un’altra strada fanno ritorno al loro
paese” (v.12). Possiamo dire: ritornano al loro paese, alle loro case e
occupazioni; ritornano alla loro vita “normale”, alla vita di sempre. Ritornano,
ma con un “segreto” interiore che tutto rinnova e trasforma. Il segreto è Cristo, il
dono di Dio che si fa in noi sorgente e forza del nostro donarsi quotidiano; è
Cristo, principio di salvezza e di gioia, che rende redenta e felice la nostra vita;
è Cristo, stella che ci fa luminosi nei pensieri, nei sentimenti e nei gesti delle
nostre giornate.
E in questo modo, così semplice e concreto, l’Epifania continua ogni
giorno nella nostra vita.
Facciamo nostra la preghiera della Chiesa: “La tua luce dall’alto, o Dio,
ci guidi in ogni passo della vita e ci doni di penetrare con sguardo puro e con
cuore libero il mistero di cui ci hai reso partecipi” (Orazione “Dopo la
comunione”).
+ Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano
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