DiArte Direttore Ornella B Comitato scientifico Sandra C Università degli Studi Roma Tre Sandra H E Universitat de Barcelona Gianni M Università degli Studi di Verona Antonio M R Universidad Nacional de Educatión a Distancia Comitato redazionale Francesca B Università degli Studi di Perugia Enrico B Università degli Studi di Perugia DiArte La collana risponde ai molteplici significati da attribuire alla Didattica dell’Arte e all’Educazione all’Arte in un’ottica di competenza e interazione con le discipline che ad esse afferiscono. La promozione della persona nella sua globalità espressiva si attua nella originalità di un percorso che si snoda tra esegesi, critica e rapporto con la tradizione, secondo un impegno educativo e formativo della relazione bellezza–bello. Francesca Borrione Fotogrammi sul lavoro Il racconto filmico per imparare a vivere Copyright © MMXIV ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, /A–B Roma () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: gennaio Ai miei genitori A business is worth more than the price of its stock. It's the place where we earn our living, where we meet our friends, dream our dreams. It is, in every sense, the very fabric that binds our society together. Other People’s Money Indice 11 Prefazione 15 Introduzione 21 Capitolo I Vita operaia e retrospettiva filmica 1.1. Tute blu made in USA. Attualità e storia, 21 – 1.2. I lavoratori nel cinema europeo tra lotta di classe e nuova globalizzazione, 29 – 1.2.1. Immagini di contestazione dalla fabbrica, 35 – 1.3. Colletti bianchi: identità e spersonalizzazione, 37 – 1.4. Disoccupati al sole. Il lavoro come diritto, 50 – 1.5. Vite sospese. La prospettiva americana del reinventarsi, 56 63 Capitolo II Donne emergenti 2.1. Slapstick comedy e telefoni bianchi: donne in grembiule e tacchi a spillo, 63 – 2.2. L’Italia del dopoguerra e il destino delle mondine, 69 – 2.3. Donne al potere. Le working girls di celluloide conquistano la piramide, 72 – 2.4. Pedagogia del chick-lit. Amore e lavoro nell’era di Bridget Jones, 85 – 2.5. Discriminazione al femminile, 91 10 103 Fotogrammi sul lavoro Capitolo III Ombre sul lavoro 3.1. Senza morale. Wall Street alla deriva, 103 – 3.2. Le relazioni sindacali. Luci e ombre, 109 – 3.3. Il girone infernale delle morti bianche. L’etica del film e nel film, 116 – 3.4. Il precariato permanente nell’Italia della crisi: il cinema italiano e il ritratto di una generazione atipica, 120 - 3.5. Distruggere e costruire: la vita deumanizzata del tagliatore di teste, 123 – 3.6. La negoziazione di culture sul lavoro: immagini di lavoratori migranti nel cinema contemporaneo, 128 137 Capitolo IV La metafora del lavoro motivante 4.1. Apprendere dalle relazioni: buoni e cattivi maestri, 137 – 4.2. Le relazioni di genere, 143 – 4.3. Dall’individuo al gruppo: identità in movimento, 150 – 4.4. Lo stereotipo del leader, 156 – 4.5. Creatività e componente ludica, 163 - 4.6. L’azienda etica, 168 – 4.7. Il lavoro come liberazione e strumento di affermazione sociale, 173 177 Unità didattica. Dalla macchina da presa alla didattica 185 Bibliografia 197 Indice dei film Prefazione Il Novecento è stato il secolo che ha preso le misure sul concetto di persona e sulla sua relazione con l’ambiente del lavoro, con la catena di montaggio, con i ruoli manageriali, ma anche con le molteplici situazioni di sfruttamento, d’indigenza, di confronto con ambienti diversi da quelli delle proprie origini, con la solitudine, con i sentimenti spesso divisi tra amore ed odio. Il Novecento è stato, anche, il secolo del cambiamento nel senso di un radicale capovolgimento dei modi di vivere tradizionali ed ha portato con sé quelle contraddizioni che solo il tempo risolve e stempera nella realtà. Sentimenti opposti e contraddizioni sono, invece, una fonte inesauribile di materiale che trasmigra nell’immaginazione creatrice. Spunti che prendono d’assedio l’arte e le sue forme realizzative, dalla pittura alla poesia, dal teatro al bel canto, dalla narrativa al cinema. Sempre l’arte accoglie e tipizza luoghi, situazioni, comportamenti che diventano stereotipi, diventano simboli ed assumono il ruolo di una vero e sicuro punto di riferimento immedesimativo. Il cinema in particolare diviene l’interfaccia di come la realtà si mostra e si evolve in tutta la sua messe di proposte. Passare in rassegna la cinematografia di una certa epoca storica è come sfogliare un album fotografico, dove eventi positivi e negativi, situazioni di ogni genere, sentimenti, lotte, poteri, rancori, sacrifici, sogni, aspettative diventano immagini belle che, proprio nella rassegna filmica, evidenziano tutto un mondo che si sta riversando in questo ventunesimo secolo. La vita, interpretata e filtrata dall’intuizione scenica di 12 Fotogrammi sul lavoro chi sta dietro alla macchina da presa, continua a ricomporre storie diverse nella storia di persone che rivelano i loro umori, la loro natura umana che si snoda, dal passato al presente, nel futuro. Lasciato alla sua dimensione, il cinema è un infinito lungometraggio di come eravamo, di come siamo, di come forse saremo. Ogni volta la successione dei fotogrammi riversa negli occhi dello spettatore tutta l’audacia delle immagini sui gradi del vivere, sulla suggestione emotiva di un ambiente di sguardo sugli sguardi che diventa suggestivo e magico nell’equilibrio dell’estetico. Ogni realtà che il cineasta adatta alla forma dell’immagine stempera nella visione ricreata anche il realismo più esasperato, come, ad esempio, la totale alienazione della persona nella meccanica produttiva. Vieppiù, con il passare degli anni, il Novecento restituisce, tramite il racconto filmico, la dimensione sociale del rapporto lavoro-persona, subìto prima, conquistato poi dentro la dinamica dello scontro, a cui segue il confronto ed, infine, l’interazione collaborativa tra profitto e capitale umano. Il saggio Fotogrammi sul lavoro. Il racconto filmico per imparare a vivere di Francesca Borrione, studiosa che ha già dato segno della sua personalità scientifica nei confronti della ricerca filmografica, si correda di un procedimento, scrupolosamente documentato, del ruolo che spetta al cinema nella strutturazione del pensiero storicizzato; come il cinema abbia una responsabilità di proposta sociologica e sociale nella mediazione educativa per immagini; come si renda propositivo nello smascheramento dei giochi impercettibili dell’animo umano e del valore universale della produzione artistica. In questo senso Francesca Borrione orienta un suo approccio didattico che si giustifica, non tanto sulle tecniche e sulle regole dell’apprendimento-insegnamento, quanto sul valore simbolico che le immagini trasferiscono direttamente sui comportamenti e sulle tendenze di vita delle persone. Una didattica, insomma, che ha nel cinema il suo supervisore, in quanto un film non è mai un evento estraneo al mondo concreto che rappresenta. È, invece, una cartina di tornasole che colora il come la gente affronta le proprie responsabilità, verso una possibile teleologia Prefazione 13 personale e sociale che può essere un suggerimento indiretto per modulare i propri comportamenti. Vedere la realtà sotto forma di immagini risponde ai modi più consoni ad una didattica attuale che tende a demandare alla vista la responsabilità della promozione all’educazione. L’educazione non è un fatto che può essere eluso o differito, da lei dipende il progresso e la crescita valoriale dell’intera compagine umana e della definizione del sé personale. Al cinema va riconosciuto l’impegno ed il merito di non distogliere i personaggi dall’ambiente, dai luoghi del vivere nella loro adesione alla realtà totale, in cui il lavoro ne è la parte principale. Tutti abbiamo attività, responsabilità, impegni e viviamo gran parte della nostra esistenza nell’esplicarli a tutti i livelli, non solo per la sopravvivenza e la ricchezza: è un comandamento, una regola imprescindibile che risponde alla dinamicità insita in ogni essere umano. In questo senso, il cinema diventa un interlocutore sapiente, consapevole del ruolo di mediazione tra l’uomo e il suo ambiente, tra l’uomo e il lavoro, tra il successo e la soddisfazione di essere dentro il fluire degli eventi. Nel lavoro la persona si forma e si responsabilizza. Così, Francesca Borrione intende rendere il cinema protagonista di uno sguardo responsabile verso forme diverse di attività lavorative a tutti i livelli della loro esplicazione. Il clima che si respira, leggendo il testo, restituisce un caleidoscopio di esperienze che possono incidere, a livello intenzionale, sull’indirizzo veramente coinvolgente di una didattica che voglia incentivare una educazione progressiva permanente, che non è mai veramente decollata, nei confronti di un impegno ad operare per il valore storico ed etico del lavoro. Il cinema, oltre a caratterizzare un modello visivo d’impaginazione comportamentale, proietta il proprio imperativo sugli altri, non in modo egoistico ed egocentrico ma in una forma di stimolo a voler liberare, nel lavoro, la personale libertà di affermazione delle proprie aspettative, della interpretazione del senso della vita. Il cinema è sempre attento ai particolari, ai fondamenti, agli archetipi sociali dell’impegno nei confronti del fare, senza 14 Fotogrammi sul lavoro il quale non c’è progresso e crescita. Allora la funzione del cinema consiste anche nel restituire, di volta in volta, al fruitore l’immagine di sé che si modifica producendo, faticando, rinunciando. Alla fine della storia, c’è la percezione concreta di uno spostamento, di un percorso, un passaggio da un progetto a un altro, sempre più ambizioso ma sempre regolato verso la persona. Il cinema diventa espressione d’arte quando, per il suo tramite, si possono leggere per immagini la storia, le esperienze, le situazioni che l’uomo affronta nell’attuazione del suo progetto di umanità e di perfezionamento, raccontate in modo quasi impercettibile e verosimigliante. Un film è bello quando sa valorizzare, sa accogliere queste sfumature, questi passaggi che diventano solchi, spartiacque di un passato, visto in un presente che si rappresenta completamente diverso. Un film bello non resta mai chiuso nel suo spazio temporale, ma può essere letto dopo, oltre il tempo della sua impaginazione, come un’opera d’arte. Gennaio 2014 Ornella Bovi Introduzione L’operaio Chaplin, schiacciato dagli ingranaggi del grande macchinario nell’intramontabile Tempi moderni, la sindacalista Sally Field in piedi sui tavoli della mensa aziendale nel dramma sociale Norma Rae, o il Gordon Gekko di Wall Street, impettito dentro le impeccabili bretelle, a dominare una New York pronta a farsi mordere. Sono solo alcune delle icone indelebili nell’immaginario cinematografico e culturale di ieri e di oggi, nella società che ha compiuto il salto del post-modernismo e ha accettato le immagini pop, tradizionalmente appartenenti alla cultura popolare, come simboli della propria era. Straordinario interprete e anticipatore di tendenze, mode, cause, problematiche impercettibili all’occhio spesso distratto del cittadino-spettatore, il cinema offre la sua lettura dei cambiamenti sociali, familiari e culturali anche quando guarda con la lente di ingrandimento della macchina da presa sul mondo del lavoro. Una metafora nella metafora, si potrebbe dire. Operai, impiegati, imprenditori illuminati, tradotti in corpi cinematografici dal grande schermo, ci raccontano le storie che abbiamo visto, vissuto, di cui abbiamo letto, o delle quali vorremmo sapere. Racconti che hanno il potere di insegnarci a riflettere su noi stessi, sul ruolo che abbiamo nella società e nella piccola o grande comunità in cui siamo inseriti. Il posto di lavoro viene esplorato dal cinema: come un microcosmo in termini di dinamiche psicologiche e sociali, il luogo in cui le individualità, la competizione tra colleghi, sia personale che professionale, vengono descritte; come il contesto 16 Fotogrammi sul lavoro principe attraverso il quale è possibile leggere e interpretare la deriva della de-umanizzata società contemporanea. I film tendono spesso a presentare l’azienda come un luogo di scontro, freddo, impersonale, radicato nella propria struttura e inamovibile. Nel cinema contemporaneo, così legato all’attualità e alla crisi globale, si sottolinea con sempre maggiore insistenza la contrapposizione tra umanità, valore, creatività dei lavoratori e distaccata indifferenza dell’ambiente lavorativo. Dalla fabbrica all’azienda, ai palazzi di Wall Street, l’umanizzazione del lavoro è il filo rosso che lega contesti apparentemente diversi e invece uniti dalla volontà di trasformare l’attività lavorativa in esperienza di formazione, anche professionale, ma soprattutto umana. I film possono offrire una molteplicità di riflessioni e spunti di analisi sul miglioramento delle relazioni nel posto di lavoro; elaborano, con la finzione cinematografica, situazioni e rapporti umani nelle cui dinamiche chiunque può facilmente identificarsi o riscontrare la realtà di momenti vissuti in prima persona. Dal punto di vista pedagogico, è interessante rilevare come alcune pellicole non offrano la stereotipizzazione della vita, ma ne raccontino «lo svolgersi, accentuando elementi che hanno a che fare con la complessità del vivere, mostrando anche aspetti contraddittori e irrazionali che, in fondo, sono lo specchio dell’esistenza»1. Il cinema, tuttavia, mostra e rispecchia non solo il mutamento sociale e culturale legato ai temi lavorativi e alle figure impegnate a diverso titolo in tale vastissimo contesto, «ma anche le credenze e le aspettative della gente di fine e inizio millennio nei confronti di quell’argomento-chiave per la vita di ogni giorno che è il lavoro»2. 1 S. FAPPANNI, “L’adulto ambiguo. Riflessioni pedagogiche a partire dal film Prendimi l’anima di Roberto Faenza”, in A. AGOSTI (a cura di), Il cinema per la formazione, Franco Angeli, Roma 2004, p. 149. 2 E. VERONESI, Cinema e lavoro. La rappresentazione dell’identità adulta fra miti, successo e precarietà, Effatà, Torino 2004, p. 17. Introduzione 17 Il cinema, dunque, come creta che si fa plasmare, forma e contenuti elastici e dalle infinite sfumature, ci consente di individuare e analizzare cambiamenti politici, storici, sociali, culturali e valoriali, anche in un contesto più limitato e specifico come quello del mondo del lavoro. Un contesto imprescindibile per noi, spettatori dell’illusione filmica ma prima di tutto persone che di lavoro, nel lavoro, per il lavoro (a volte), vivono. Attraverso una lettura capillare dei film che trattano le tematiche lavorative, si può comprendere ancora una volta come il cinema rappresenti un eccellente strumento di riflessione a tutto campo. Analizzare i cambiamenti nella rappresentazione cinematografica di ruoli, figure, ambienti e professioni legati al mondo del lavoro consente di cogliere le medesime evoluzioni anche nella società e nella cultura di riferimento. Se il cinema racconta la storia, la cambia, la interpreta, e modifica i codici della cultura, allora è possibile, attraverso il film, identificare contesti, temi, spaccati sociali, dinamiche psicologiche, innovazioni e sfide che passano dalle immagini agli spettatori, alla popolazione, alla società. Il cinema, che interpreta la propria cultura e sa riscriverne i percorsi, rappresenta un contesto al quale attingere – in chiave pedagogica e didattica – per cogliere in modo più sincero, popolare e diretto i cambiamenti riguardanti le figure professionali, la loro posizione nella scala gerarchica, le mansioni, la presa di coscienza di diritti e doveri. Non solo. Il cinema che parla di lavoro è un cinema che parla di formazione, cittadinanza, crescita, emancipazione. Un cinema che si rivolge alla realtà e ci richiama tutti a una maggiore consapevolezza di noi, del nostro posto nel mondo, dei desideri di felicità e autorealizzazione che passano non solo attraverso l’appagamento della dimensione privata, ma attraverso l’affermazione sociale. Non ci si propone di offrire uno squarcio di storia del cinema legato alla rappresentazione del lavoro, che richiederebbe una differente impostazione culturale, sociologica e soprattutto metodologica. 18 Fotogrammi sul lavoro Adottando una prospettiva pedagogica e considerando il film come uno strumento per l’azione didattica, si intende piuttosto individuare, analizzare e rileggere in chiave critica una pur vasta selezione di pellicole scelte senza aver operato alcuna distinzione rispetto al genere, all’anno di produzione o al paese di provenienza. Al contrario, gli oltre centotrenta film presenti nel volume sono stati selezionati in quanto ritenuti particolarmente significativi e utili per le tematiche in oggetto. Un occhio particolare è comunque riservato all’attualità, al cinema contemporaneo che con tanta attenzione si rivolge alla società, alla popolazione, alle dinamiche dentro e fuori il lavoro, all’economia che tanta influenza e tanta parte ha nella storia recente. Il presente. Oggi. Si osserva dunque il cinema in una chiave storico-educativa e si intende valutare il film per ciò che può offrire alla riflessione pedagogica e alla didattica. Al tempo stesso, la rappresentazione cinematografica dell’ambiente lavorativo coglie alcuni essenziali aspetti da tenere in considerazione anche nell’ambiente lavorativo reale. L’analisi sulle situazioni e sul modo in cui la finzione filmica interpreta e presenta il contesto di lavoro è orientata a individuare alcuni importanti spunti di riflessione su elementi fondamentali per la nostra vita, come le relazioni tra colleghi o con i superiori, la creatività e il bisogno di autorealizzazione che non solo hanno vissuto un’evoluzione, ma sono le chiavi attraverso le quali i soggetti possono trasformare il tempo del lavoro in tempo di formazione e crescita. Nel primo e nel secondo capitolo, l’attenzione è rivolta all’analisi storico-culturale dei ruoli a loro modo centrali nel contesto e nelle dinamiche del lavoro (operai, impiegati, imprenditori, donne lavoratrici) e dei corrispondenti personaggi cinematografici. In un confronto costante con la realtà dell’epoca e il contesto di riferimento, si intende porre a confronto finzione e verità, interpretazione e reale in un ideale aprirsi e chiudersi di porte: dalla sala cinematografica alla strada, dall’immagine al vero, dal personaggio di finzione a quello della storia. Attenzione particolare viene riservata alle tute blu, i