INTRODUZIONE La macchina di Stirling è una macchina a fluido che opera secondo un ciclo termodinamico chiuso; generalmente tale ciclo è rigenerativo. Esso prevede una compressione e un’espansione del fluido operante, realizzate isotermicamente a due diversi livelli di temperatura e intervallate da due trasformazioni isocore rigenerative. Una peculiarità della macchina di Stirling è che il moto del fluido che evoluisce è regolato non da valvole, bensì dalle variazioni dei volumi relativi che compongono lo spazio di lavoro offerto al fluido stesso e queste variazioni vengono, di norma, causate dal moto di stantuffi. Con la dizione di macchina di Stirling s’indica quindi una gamma assai vasta di macchine a fluido, motrici e operatrici, funzionanti in ciclo chiuso, rigenerativo, impiegabili quali motori primi, pompe di calore, macchine refrigeranti o compressori, e aventi un moto caratteristico di lavoro alternativo o, raramente, rotativo. IL CICLO IDEALE Il ciclo è descritto nelle Figg.3-4. La prima fase del ciclo consiste nella compressione del fluido, rappresentata dalla trasformazione 12. Tale trasformazione è una compressione isoterma, poiché durante questa fase, a ogni istante, è sottratta al fluido (e assorbita dalla sorgente fredda, o “pozzo”) una quantità di calore equivalente al lavoro di compressione compiuto sul fluido stesso. Il gas, dunque, rimane ancora alla temperatura minima T C ; durante l'intera trasformazione esso ha ceduto la quantità di calore Q C e ricevuto un lavoro di compressione equivalente. Passando attraverso un rigeneratore, il gas subisce la trasformazione 2-3 a volume costante, ossia un riscaldamento, operato dal rigeneratore stesso; la temperatura del gas cresce fino a raggiungere il valore massimo T E esistente nella camera di espansione. L'incremento di temperatura a volume costante, dovuto all'assorbimento della quantità di calore Q R da parte del gas, ne causa un aumento di pressione. La successiva trasformazione 3-4 è supposta isoterma, poiché il fluido, attraverso le pareti della camera, assorbe una quantità di calore Q E , equivalente al lavoro di espansione compiuto. Infine, il gas, compiendo la trasformazione rigenerativa a volume costante 4-1, ritorna alle sue condizioni iniziali. Durante questo nuovo passaggio attraverso il rigeneratore, il fuido operante ritorna alla temperatura minima della camera di compressione, cedendo una quantità di calore Q R eguale a quella che aveva assorbito nella fase 2-3. Il risultato globale del ciclo è allora cosi riassumibile: il fluido ha assorbito la quantità di calore Q E alla temperatura massima T max e ceduto il calore Q C alla temperatura minima T min realizzando il lavoro L=Q E -Q C . Il sistema, per ipotesi, scambia calore con l'esterno soltanto lungo le due isoterme e tali trasformazioni sono raccordate da due isocore rigenerative; pertanto, in base al teorema di Reitlinger, si può affermare che il sistema stesso realizza il massimo rendimento possibile (lo stesso rendimento che avrebbe una macchina di Carnot il cui ciclo fosse compiuto tra le medesime temperature estreme). LA MACCHINA IDEALE Le molteplici soluzioni costruttive possibili saranno discusse più avanti; qui viene riportata la soluzione più semplice dal punto di vista della comodità di esposizione del funzionamento della macchina motrice operante in ciclo chiuso, rigenerativo. Le condizioni di funzionamento della macchina e il fluido operante si considerano del tutto ideali. Non vi sono, dunque, attriti, né perdite di origine meccanica, fluidodinamica o termica. In un cilindro scorrono, con tenuta, due stantuffi contrapposti, collegati allo stesso albero (Figg. l e 2a). Una serie di opportuni organi di trasmissione fa in modo che alla rotazione dell'albero corrisponda il moto, idealmente discontinuo e con diversa fase, dei due pistoni. Tra questi è sistemato un rigeneratore di calore, avente la funzione di assorbire o cedere calore, scambiandolo con il fluido operante che occupa il volume compreso tra i due stantuffi. Tale volume è suddiviso dal rigeneratore interposto in due camere: in una, detta di espansione, la temperatura di funzionamento è quella massima, costante nel tempo ed uniforme in tutto il volume; nell'altra, detta di compressione, la temperatura è quella minima nel ciclo di lavoro, anch'essa costante ed uniforme. E' da intendersi, cioè, che la camera di espansione è a contatto, attraverso le sue pareti, con una riserva di calore di capacità infinita, che si trova alla temperatura massima T max mentre la camera di compressione è collegata con un altro serbatoio termico, anch'esso di capacità illimitata, posto alla temperatura minima T min . Per ipotesi, nonostante la differenza di temperatura, tra le due camere non avviene uno scambio termico, essendo nulla, nella direzione del flusso del gas, la conducibilità del rigeneratore che le collega. Con riferimento alla Fig 2, il ciclo ha inizio quando lo stantuffo di compressione è al proprio punto morto esterno, mentre lo stantuffo della camera di espansione si trova al punto morto interno, a contatto, quindi, con la faccia del rigeneratore. Il gas, a questo punto, è tutto contenuto nella camera di compressione (si suppone qui che, pur senza l’impiego di valvole, il gas rimanga tutto all’interno della camera di compressione, senza occupare il volume, pur disponibile, offerto dal rigeneratore) e si trova perciò a temperatura e pressione minime, con il massimo volume specifico; le sue condizioni sono allora rappresentate dal punto l del diagramma p-V di Fig. 3. A partire da questo punto avviene la compressione isoterma 1-2, descritta in precedenza. Prima che lo stantuffo in moto arrivi al proprio punto morto interno, comincia a muoversi il pistone di espansione, il cui movimento è così sfasato di un angolo α, che coincide, in quest’architettura, con l'angolo di sfasamento tra le variazioni dei volumi di espansione e di compressione. Per ipotesi, i due stantuffi si muovono ora simultaneamente e alla stessa velocità, realizzando cosi lo spostamento del fluido senza variare il volume complessivo interposto tra i due stantuffi. Passando attraverso il rigeneratore, il gas subisce allora il riscaldamento a volume costante con aumento di pressione 2-3, fino a raggiungere la temperatura massima T E esistente nella camera di espansione. Poi, mentre lo stantuffo di compressione rimane al punto morto interno, l'altro continua la sua corsa verso il proprio punto morto esterno, offrendo volumi crescenti al fluido, che in tal modo può espandersi secondo la trasformazione isoterma 3-4. Infine, nell'ultima trasformazione, entrambi gli stantuffi si muovono, ancora simultaneamente: quello della camera di espansione verso il proprio punto morto interno, l'altro verso il punto morto esterno. Il gas compie la trasformazione rigenerativa a volume costante 4-1 e ritorna alle sue condizioni iniziali. LE MACCHINE IDEALI DI CARNOT E DI STIRLING Si è visto che in base al teorema di Reitlinger le due macchine hanno lo stesso rendimento (eguale anche a quello della macchina di Ericsson), ma esiste un vantaggio offerto dalla macchina di Stirling rispetto a quella di Carnot: la prima è capace, a parità di condizioni operative, di produrre un lavoro specifico (per unità di volume) più elevato o, ciò che è equivalente, di produrre una medesima quantità di lavoro con ingombri minori. Per dimostrare quest’affermazione basta un confronto tra due macchine che operino, rispettivamente, secondo il ciclo termodinamico di Stirling di Carnot e nelle quali la stessa quantità di fluido operi nel medesimo intervallo di temperature e con gli stessi volumi, massimo e minimo, a disposizione. In Fig. 5 sono riportati, sul piano p-V, i due cicli di riferimento. Con le condizioni limite imposte, la macchina di Carnot compirà il ciclo 1-5-3-6-1 ed il conseguente lavoro prodotto sarà proporzionale all'area racchiusa da tale ciclo. Per quanto attiene al ciclo compiuto dalla macchina di Stirling, questo prevede di spingere le due isoterme 1-5 e 3-6 del ciclo di Carnot fino ai limiti di volumi estremi imposti per ipotesi alle due macchine, attenendosi cosi le trasformazioni l-2 e 3-4. Inoltre i due processi isoentropici, caratteristici del ciclo di Carnot (linee 5-3 e 6-1), sono sostituiti da altrettante trasformazioni isocore, ovvero le 2-3 e 4-1. E' evidente, anche graficamente, come questo comporti per il ciclo di Stirling un incremento di area utile, costituito dai triangoli mistilinei 5-2-3-5 e 6-4-1-6, tratteggiati in Fig. 5, e quindi un aumento di lavoro utile prodotto a parità di temperature e volumi estremi. Il confronto può essere compiuto anche sul piano T-S di Fig. 6. LA MACCHINA REALE Nessuna macchina di Stirling è in grado di realizzare esattamente il ciclo termodinamico ideale a causa dell'insieme di limitazioni che caratterizzano il funzionamento effettivo di una macchina reale nella quale evoluisca un fluido reale. E' opportuno innanzitutto distinguere le cause d’imperfezioni più tipiche attinenti alla macchina di Stirling da quelle comuni anche alle altre macchine termiche: − l'attrito tra componenti solidi in moto relativo; − l'attrito fluidodinamico, ovvero le perdite cosiddette "per ventilazione" (particolarmente pronunciate negli scambiatori di calore e nel rigeneratore), nonché le perdite legate ai fenomeni dissipativi che si verificano nel moto non stazionario del fluido. Esse comportano, in ogni istante, differenze di pressione nel gas che occupa i diversi volumi ed hanno grande influenza sulle prestazioni della macchina. In Fig. l sono evidenziati, in modo qualitativo, gli effetti delle perdite per attrito fluidodinamico sul lavoro utile prodotto; − gli indebiti scambi termici, per conduzione, convezione ed irraggiamento verso l'esterno, ma anche tra i componenti stessi della macchina (ad es. la conducibilità termica attraverso il rigeneratore), che possono “drenare” calore dal lato caldo verso quello freddo; può anche succedere che il pistone è più ancora il displacer (quando è presente) facciano da "ponte termico" tra la camera stessa ed altre zone della macchina; − le perdite per potenze passive dissipate dalle forze d'inerzia che agiscono sui componenti della macchina e sul fluido; − le fughe di fluido attraverso le tenute verso l'esterno ed il passaggio indesiderato verso diversi componenti della macchina stessa. Altre cause, più tipicamente connesse con il ciclo termodinamico e la natura della macchina di Stirling attinenti a questioni termodinamiche, di scambio termico, meccaniche e fluidodinamiche: Cause di tipo termodinamico: − distribuzione del fluido: nel ciclo ideale tutto il fluido è contenuto nel componente relativo ad ogni fase, cioè nella camera di compressione o di espansione o nel rigeneratore. Nel ciclo reale il fluido occupa sempre anche i condotti intermedi e il rigeneratore: in ognuno di essi quindi si compie un ciclo (Fig. 2). La differenza tra il lavoro del ciclo di espansione e quello del ciclo di compressione è il lavoro utile; − irreversibilità dei processi termodinamici e loro effettiva natura: in particolare, nel ciclo Stirling, va rilevato che le trasformazioni isoterme alla stessa temperatura delle sorgenti sono impossibili perché lo scambio termico fluido pareti richiede un gradiente di temperatura (in generale non costante); Cause di tipo termologico − rigenerazione termica: la rigenerazione perfetta è impossibile per vari motivi. Oltre al gradiente di temperatura tra fluido e pareti del rigeneratore, lo scambio di calore deve avvenire in tempi molto brevi per avere velocità di rotazione sufficientemente elevate ma nel contempo anche le dimensioni del rigeneratore devono essere contenute per non avere perdite fluidodinamiche e spazi morti troppo alti (al limite, il rendimento del ciclo rigenerativo può diventare peggiore di quello del ciclo non rigenerativo se tali perdite diventano preponderanti). La Fig. 3 illustra gli effetti della rigenerazione termica incompleta; − effetto dei limiti di prestazione degli scambiatori termici: quello degli scambi termici con le sorgenti esterne è certamente un problema peculiare della macchina di Stirling. Le previste trasformazioni isoterme, di compressione e di espansione, dovrebbero avvenire in virtù di rapidissimi scambi di calore con sorgenti esterne. Ma per tali scambi si hanno a disposizione superfici e tempi non dissimili da quelli disponibili nei motori a combustione in tema, per i quali le corrispondenti trasformazioni sono ritenute, con buona approssimazione, addirittura adiabatiche (in una macchina che giri a 3000 giri/min le fasi hanno durate dell'ordine di 10 ms). Non sorprende quindi che nelle macchine di Stirling siano indispensabili scambiatori di calore, caldo e freddo, ausiliari. Uno schema, relativo all'architettura con stantuffi disposti a V, è riportato in Fig. 4. Le schematizzazioni più realistiche ipotizzano, allora, che le due trasformazioni che avvengono all'interno dei cilindri di lavoro siano, di fatto, adiabatiche e ciascuna sia seguita da una trasformazione isoterma (meglio, politropica) compiuta dal fluido nello scambiatore ausiliario complementare. Si definisce allora uno schema a cinque componenti (Fig. 5) e un conseguente ciclo (o "pseudo-ciclo" di Stirling) del tipo riportato in Fig. 6. La trasformazione ideale isoterma 1-2 è ora sostituita da un’adiabatica 1-2", compiuta nel volume di compressione, e da una refrigerazione isocora 2"- 2, realizzata nello scambiatore freddo ausiliario; cosi alla 3-4 corrispondono ora la 3-4' e la 4'-4 (e quest'ultima trasformazione è compiuta nello scambiatore caldo ausiliario). Tali limitazioni negli scambi termici sono causa d’ingenti scostamenti dal ciclo ideale, particolarmente dal lato caldo, come è mostrato qualitativamente in fig. 7, dove il ciclo ideale è ridotto all'area 1'-2'-3'-4'. E' altresì chiaro che l'introduzione degli scambiatori ausiliari, pur necessaria per i motivi ricordati, non è esente da inconvenienti e causa perdite di carico aggiuntive per il fluido, e aumento, talvolta rilevante, degli spazi morti. A rigore, l'inserimento dei due scambiatori ausiliari comporta un altro inconveniente: essi scambiano calore con il fluido che transita in essi anche nella fase, per così dire, di passaggio inverso. Ossia, ad esempio lo scambiatore freddo assorbe calore dal fluido sia quando questo è diretto verso la camera di compressione (e ciò è utile e corretto), sia quando esso è diretto verso il rigeneratore (e ciò non è vantaggioso). Analogo inconveniente si registra nello scambiatore caldo, quando il fluido è diretto verso la camera di espansione. E' teoricamente possibile predisporre circuiti separati, ma ciò comporta eccessive complicazioni. Cause di tipo meccanico e fluidodinamico − moto degli stantuffi: per avvicinarsi alla realizzazione del ciclo reale gli stantuffi dovrebbero avere un moto discontinuo e non un moto sinusoidale o quasi sinusoidale realizzato dai più comuni e semplici meccanismi adottati in pratica. Gli effetti sul ciclo di diversi meccanismi di trasmissione sono illustrati nelle Fig. 8-9; − effetto degli spazi morti: il fluido contenuto negli spazi morti, oltre a ridurre la massa di fluido operante nelle camere “attive”, è soggetto a trasformazioni diverse da quelle idealmente volute e penalizza quindi ulteriormente le prestazioni (Fig. 11). LA TEORIA DI SCHMIDT La teoria di Schmidt, sviluppata tra il 1861 e il 1871, permette di calcolare con una procedura analitica relativamente semplice il lavoro sviluppato da una macchina di Stirling di geometria assegnata, mantenendo però le ipotesi relative alla idealità del fluido e alla isotermicità della compressione e dell’espansione, per cui il rendimento è sempre quello del ciclo del Carnot. Nonostante questo evidente limite termodinamico, l’approccio di Schmidt consente di confrontare diverse soluzioni progettuali e di descrivere le modalità operative di una macchina di Stirling. Schema di riferimento: macchina costituita da due cilindri a V con gli assi sfasati di un angolo α e collegati da un condotto contenente il rigeneratore. Ipotesi di calcolo: Relative alla macchina: non vi sono perdite per potenze passive dissipate; non vi sono perdite per attrito tra organi in moto relativo; non si verificano fughe di gas; le variazioni dei volumi offerti al gas seguono leggi sinusoidali; si tiene conto dell’esistenza di volumi morti; la velocità di rotazione della manovella è costante ed il regime di funzionamento complessivo della macchina è periodico e stazionario. Relative al fluido operante: le trasformazioni del fluido sono reversibili; il fluido è un gas perfetto; si trascurano l’energia cinetica e quella di posizione del fluido; il gas è anche ideale, e quindi non si verificano perdite per attrito; la pressione istantanea è la medesima in tutta la massa di fluido; i processi di compressione e di espansione sono isotermi. Relative alle condizioni termologiche e termodinamiche generali: il processo di rigenerazione è perfetto e completo; non vi sono gradienti di temperatura negli eventuali scambiatori di calore; le pareti di ciascun cilindro e del relativo stantuffo si trovano costantemente alla stessa temperatura; la temperatura del fluido contenuto negli spazi ausiliari è uniforme e costante (ad esempio, è pari alla media aritmetica delle temperature vigenti nelle due camere di lavoro). CLASSIFICAZIONE DELLE MACCHINE DI STIRLING Nella ricerca della macchina in grado di avvicinare il ciclo operativo reale a quello ideale nel modo più efficace possibile, non solo dal punto di vista termodinamico ma anche da quello praticooperativo, sono state concepite molte architetture diverse, difficili da classificare in maniera organica e precisa. I possibili criteri di classificazione sono i seguenti: − − − − − accoppiamento degli stantuffi; numero dei cicli in contemporanea esecuzione; numero degli effetti sugli stantuffi; numero dei cilindri nei quali si realizza un ciclo; tipo di fluido operante e numero delle sue fasi. Per i dettagli si rimanda al testo “La macchina di Stirling” del prof. Vincenzo Naso, mentre di seguito sono riportate alcune osservazioni essenziali. Con riferimento all’accoppiamento degli stantuffi, si distinguono le macchine con stantuffi meccanicamente e rigidamente accoppiati (con soluzioni cinematiche anche molto complesse) e quelle a stantuffi non meccanicamente accoppiati (a stantuffi liberi oppure con accoppiamento ibrido, cioè con il solo stantuffo di potenza vincolato meccanicamente). Le macchine a stantuffo libero sono adatte a realizzare moti alterni lineari e quindi possono essere accoppiate tipicamente a macchine operatrici alternative, le macchine a stantuffi meccanicamente e rigidamente accoppiati (molto più diffuse, nel panorama complessivamente limitato delle macchie Stirling) sono usualmente concepite per la produzione di coppia motrice con un albero rotante. Con riferimento al numero dei cilindri nei quali si realizza un ciclo, è stata proposta la seguente elegante classificazione (Fig. 15): − configurazione alfa: due stantuffi di lavoro, sui quali agisce la pressione istantanea del ciclo; − configurazione beta: in uno stesso cilindro scorrono lo stantuffo di potenza e un displacer (termine che si può tradurre come spostatore o dislocatore). Il displacer è uno stantuffo che ha la funzione di spostare il fluido dalla zona calda a quella fredda, lasciando allo stantuffo di potenza il compito di variare il volume totale; in questa configurazione s’instaura una lieve differenza di pressione tra le camere fredda e calda; − configurazione gamma: sono presenti due cilindri, nei quali si ripartisce lo spazio di compressione per effetto del moto di un displacer. Con riferimento al tipo di fluido operante, sono state realizzate macchine di Stirling sia a gas (fluido monofase) sia con fluidi operanti in due fasi e due componenti (fluido bifase). Nel caso monofase, oggi più diffuso, i fluidi utilizzati sono aria, elio, idrogeno, azoto ecc. Per il caso bifase, ci sono alcune proposte progettuali descritte nella letteratura tecnica.