Giacomo Aldegheri
JEAN
2a menzione
Concorso letterario Alice Chimirri
A.S. 2007/08
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Dietro ogni specchio
c’è una stella morta
e un arcobaleno bambino
che dorme.
Dietro ogni specchio
c’è una calma eterna
e un nido di silenzi
che non hanno volato.
[…]
-Federico Garcìa Lorca, Capriccio da La suite degli specchi
Jean
Angeli: come rughe
di questa vecchia notte.
P-Pum Putcha-cha P-Tum Pt Chacha Tu Cha Ptum; OOOOOOooooohh Vena pulsante di una notte
silenziosa quanto una goccia di saliva, asciutta quanto umida di fronte a firmamenti così
imbarazzanti; metallo altezzoso eretto in riflessi lunari e, PtchurrrrrrrrrRRRrrp, crocifissione su di
una corda (budello di orizzonte), ventre di un oceano morbido, come una nuvola nel cielo di una
gengiva della notte, e solo a quel punto arriva Jean, oh, Jean alle cui arterie palpitanti un’ode è la
luna, oh oh oh, Jean Jean, Jean dagli occhi incisi su palpebre di pioggia viva, e le labbra col vento
volano via…
Successivamente, intorno all’una, lasciarono l’edificio. Il pubblico si riavvolse come un nastro, a
Jean sembrò che i suoi occhi fossero gocce di legno. (sciolto sulla superficie dell’ombra, il legno
assume spesso forme bizzarre e inconsuete, cui sono state date interpretazioni anche molto
discordanti).
Cilindri di nebbia, di questo sono fatti gli specchi.
Jean amava quel buco. Le pareti della sala erano foderati di cuoio e specchi ed erano belle. Le
guardò riponendo la chitarra nella custodia. Semplici ricordi di un edificio silenzioso lo
osservavano ed erano stelle. Era stato bello. Da molto non suonava così. Si era sentito di nuovo
giovane. Sospirò. Si sarebbe mai sentito di nuovo eterno?
Guardò il proprio riflesso nello specchio di fronte a sé. Non pensò a niente. Erano le due. Spense la
luce. Guardò lo spettro del proprio riflesso (o il riflesso del proprio spettro?) nello specchio alle sue
spalle. Si sedette. Erano le due e due. Estrasse lo strumento, suonò una nota. Lasciandola vibrare,
lasciando che si propagasse e diventasse grande. Ma una volta cresciuta, essa abbandonò il nido.
Jean era solo.
Alcune note si propagarono come frammenti di specchi nell’aria della sala, puzza di chiuso, sudore
e fumo.
Ma il vento è sordo e Jean si sentiva come un piccione, che dall’alto di una torre sottile come un
dito possiede la città: ne vede lo scheletro danzante, e il cielo, bellissimo e cieco- ne percepisce il
tocco umido e delicato, e vibra solo attraverso l’aria.
Forse Jean sarebbe morto quella notte stessa. Cominciava a non importargliene più nulla. Fece
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dell’aria circostante le proprie labbra aperte a formare un piccolo cerchio: o…
Una piccola mongolfiera solcava il cielo notturno e lui, fermo nel suo proposito, le mani ombre di
aracnidi nello specchio freddissimo, fece di quelle sei corde la sua ragnatela, sputò suoni
sull’universo fottuto, e, oh, un gesto, un respiro, il vento, tutto fu trasmesso allo specchio, lo
specchio rispose, gli specchi notturni sono fantasmi in stanze troppo piccole, gli specchi notturni
sono sogni incastrati fra i denti delle nostre orbite, gli specchi notturni vivono!
Il respiro di Jean elevava maree, le sue dita facevano vibrare la minuscola sfera ossea - l’anima mentre il mondo, sua lingua, palpitava e cieli evocavano montagne, e dal fondo dell’oceano si
risvegliavano le ultime ombre e il cielo risaliva per emergere dalle acque: dalle acque era venuto e
nelle acque avrebbe avuto fine; demoni che solcano autostrade, il Maestro Della Pioggia ride sotto
un patio, lo specchio rifletteva tutto, anticipava, rispondeva a ogni battito, lo amplificava, lo
specchio notturno era la luce della finestra della camera del bimbo nel palazzo basso schiacciato
dalle nuvole e le ultime paure infantili di Jean, lo specchio notturno era Jean. Vi fu un’esitazione,
un ritardo, un silenzio. Vapore da un camino. Sempre più su… Occhi bianchi, sorrisi e marmo…
Il palazzo cominciava ad elevarsi, sarebbe stato all’altezza? Le sue contorsioni tese al
raggiungimento di cieli stellati, le sue terrazze di neve, la Sua notte, Sua e di nessun altro, palazzo
di specchi in cui la luna indossa una maschera, Dio sussurra versi e qualche spettro dal ventre molle
aspettava di possederlo… Le corde si contorcevano si spezzavano sotto la frusta di Jean…
respiro… palpitazione… le arterie cominciano a cadere prive di vita… Scheletri di vacca sopra
spiagge ottiche ansimanti… desiderose di Quello… la notte… Jean, maschera di ossa molli, poteva
solo aprire le palpebre per vedere ciò che le sovrastava… uccelli notturni, belli, intensi, apertura di
ogni finestra… la mongolfiera arenatasi sulla spiaggia… Era eterno!
“Buongiorno”, disse l’angelo dalla testa scarabocchiata all’ultimo uccello notturno, con cui gli era
capitato di dover condividere il cornicione. “Buongiorno a te. Sebbene la circonferenza non fosse
perfetta, stanotte è stato davvero qualcosa di speciale…”, cinguettò l’ultimo uccello notturno.
L’angelo dalla testa in ferro battuto ammise di essere rimasto molto colpito. L’alba era molto bella,
il cielo sembrava coperto da un leggerissimo lenzuolo. Cubi di latte trasparente salivano. “Morti
così in tv non le vedi di certo”, fece notare l’angelo, grattandosi l’ombelico. “No di certo…”
Un uccello solitario
canta.
Moltiplica l’aria.
Udiamo attraverso specchi.
-Federico Garcia Lorca, Replica da La suite degli specchi
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