Riabilitata Cenerentola? Prospettive comunicazione sociale nella crisi di mercato e istituzioni Riabilitata Cenerentola? La prospettiva della comunicazione sociale nell’era di crisi del mercato e delle istituzioni LAUDATIO PER LA CONSEGNA DELLA LAUREA H.C. IN RELAZIONI PUBBLICHE E COMUNICAZIONE SOCIALE AL DOTT. ALBERTO CONTRI Presidente di Pubblicità Progresso Stefano Rolando Professore di ruolo all’Università IULM di Teoria e Tecniche della comunicazione pubblica nei corsi di laurea della Facoltà di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo e direttore scientifico del Master universitario MASPI (Management della comunicazione sociale, politica e istituzionale) 1. Lo scenario della comunicazione sociale,tra comunicazione di impresa e comunicazione politico-istituzionale “Le sorellastre andavano riccamente vestite, mentre la povera ragazza era costretta ad indossare un vestito semplice e grossolano, ed un grembiule, e a compiere in casa tutti i lavori più pesanti. Si alzava prima dell'alba, andava a prender l'acqua, accendeva il fuoco, cucinava, lavava e puliva i pavimenti. Quando aveva finito di sbrigare tutti i lavori, per riscaldarsi era solita sedersi vicino al camino accanto al carbone ed alla cenere. Perciò cominciarono a chiamarla Cenerentola” [1]. Tutti avranno riconosciuto la celebre descrizione fatta dal facoltoso (nel senso di ricco e nobile) scrittore seicentesco francese Charles Perrault. Tutti sanno che Cenerentola è, da allora, parola metaforica per esprimere un soggetto emarginato che potenzialmente può riemergere e tornare ad avere il rango che gli spetta. Chi è a margine di che, nella nostra storia? Stiamo parlando della comunicazione sociale, cioè di un segmento del pianeta comunicazione. Il pianeta in cui si ha per vero che la differenza con l’altro pianeta gemello, quello dell’informazione, sta sostanzialmente nel seguente assioma: informazione è quello che vi sto dicendo, comunicazione è quello che voi intendete comprendere. Vale a dire l’informazione è connessa alla riconoscibilità di una notizia. La comunicazione è il contesto in cui – anche a partire da quella notizia, ma pure da altro – si genera una relazione, comunque interattiva (anche quando la volontà è autoritaria, propagandistica, unilaterale), che tiene conto dei molteplici fattori che caratterizzano quel setting e quella relazione (cultura, lingua, geografia, economia, salute, tempo, velocità, affetti). In quel pianeta agiscono tanti soggetti, relazionati verso il terzo pianeta, quello delle utenze (fatto di tutte le possibili declinazioni della parola persona, ovvero cittadini, elettori, contribuenti, clienti, compratori, utilizzatori, in forma singola o associata, in forma valoriale o negoziale, capace di indossare principalmente diritti o principalmente bisogni). E al tempo stesso relazionati verso il secondo pianeta, quello dell’informazione, appunto, popolato da media e da nuovi media, grande potere dell’età moderna, armato di due atomiche: il potere di selezionare e il potere di svelare. Soggetti forti – per immagine e per capacità di spesa – sono da molti anni le imprese. Soggetti forti – per immagine, capacità di spesa e presunzione di condizione sovrastante – sono da sempre i poteri costituiti, le istituzioni e il sistema politico che li alimenta e li popola. Noi qui parliamo di una terza realtà, che può contenere ruoli e funzioni anche delle imprese e delle istituzioni, dunque sconfinare nelle aree forti. Ma che per lo più si caratterizza quando, attorno alle funzioni comunicative (dare voce, fare emergere, dichiarare, annunciare, rappresentare), si collocano soggetti privati, cresciuti nelle dinamiche della società, espressione tendenzialmente autonoma di problematiche di valori e diritti che cambiano nel tempo e si adattano ai caratteri morfologici della democrazia e dell’economia che un paese assume come architettura delle regole e delle relazioni interne. Appunto la comunicazione sociale. Essa storicamente rappresenta una fase di grandissima importanza della connessione tra democrazia (cioè forma dell’equilibrio dei poteri) e condizione civile (cioè permeabilità delle regole democratiche da parte di bisogni non del tutto riconosciuti e accolti): quella per cui i bisogni senza voce hanno infinite minori possibilità di essere visibili, quindi valutabili, quindi discutibili, quindi accoglibili, quindi trasformabili in diritti. E ancora essa è grandemente rilevante quando accompagna quei diritti sanciti (ovvero exbisogni divenuti degni di copertura da parte di politiche pubbliche e di impegni dei soggetti istituzionali ma anche economici) nel controllo e nella garanzia che tutte le prestazioni che con essi si confrontano (divenute obbligatorie da volontarie che erano) vengano esercitate. Portando a buon fine (la Costituzione dice “buon andamento”, la scienza dell’amministrazione moderna dice “rendimento”) ciò che le leggi hanno previsto e ciò che il negoziato sociale connesso ha reso applicativamente possibile. Infine essa è essenziale quando, potendo contare su una certa autonomia di ricerca (scientifica ma anche statistico-sociale e demoscopica), comprende l’insorgenza di nuovi bisogni generati dal cambiamento, dalle trasformazioni, dai conflitti. E apre dunque nuove salutari vertenze – con le istituzioni, con la politica, con le imprese, con i decisori in senso lato – per aggiornare ciò che la potenzialità, la vitalità della norma non è più in grado di assicurare in ordine a quegli antichi bisogni, risorti in altra forma. Il caso per esempio della dimensione della povertà che genera nuove povertà o il caso dell’analfabetismo che genera nuovi analfabetismi è di lampante evidenza. Questa triplice importanza non vede corrispondere un pari rilievo della materia. La comunicazione sociale è pratica diffusa, è frammentazione di iniziativa – generosa, interessante, spesso creativa, faticosa, indispensabile (l’impresa che la genera è essa stessa costituita prevalentemente dalla comunicazione stessa) – ma il peso che ciò ha : nello spending pubblicitario nel quadro degli spazi di fruizione comunicativa maggiore nel sistema formativo nella saggistica specialistica nell’orientamento professionale è tra l’1,5 e il 2,5 % del sistema della comunicazione, a seconda dei parametri impiegati per il calcolo. 2. Le voci della società civile. Ruolo per allargare la sfera pubblica responsabile Perché questa nobile “cosa” è in realtà una Cenerentola? Proviamo a fare solo un cenno a tre argomenti che paiono condivisibili: • perché è fragile in Italia lo spessore di quella “società civile” che dovrebbe essere il contenitore prevalente delle ragioni comunicative, ovvero l’area di produzione di ragioni indipendenti da interessi economico-commerciali e da interessi politico-istituzionali; • perché l’etica pubblica non riesce a creare un punto fermo accettabile nel rapporto tra opinione pubblica e decisioni della democrazia rappresentativa; ovvero fatta la delega, il punto di vista del cittadino fatica ad avere spazio nei processi di ascolto e in altre modalità partecipative riconosciute in molti paesi civili (con i corredi comunicativi che ciò significa); • perché il sistema mediatico è pregiudizialmente refrattario ad una merce “povera” – povera per mezzi, povera per fonti, povera per implicazioni di potere – salvo gestirla in modo spettacolarizzato, sponsorizzato, enfatizzato, patologizzato. In sostanza il vecchio adagio civile inglese “un paese civile si giudica da come tratta coloro che sono alla sua mercé” (i più poveri, i più bisognosi, i più reclusi) applicato nel nostro paese spesso non ci da risultati confortanti. Anzi, spesso ci fa vergognare (considerando il paese in tutta la sua latitudine e longitudine e in tutta la sua attuale condizione culturale e civile). Tuttavia quel segmento che abbiamo chiamato “così importante” è cresciuto per dimensione e per i settori che contiene: perché la contaminazione imprese-istituzioni-associazioni di fronte a certi temi ha ampliato la sua consistenza; e in questo quadro lo sviluppo di campagne di cause related marketing da parte di alcune imprese (uso del tema sociale per la propria distinta promozione commerciale o di brand) ha creato ponti (qualche volta anche conflitti) con associazioni e istituzioni; perché i temi sociali sono comunque da tempo in testa alla agenda setting (immigrazione, coesione, bioetica, salute, occupazione, violenza, discriminazione); perché la crisi della spesa pubblica e delle istituzioni di servizio ha utilizzato gli spazi della sussidiarietà e anche una certa spontaneità organizzativa dell’associazionismo per sopperire a un deficit di prestazione che, in alcune parti del paese, è drammatica (senza le parrocchie nelle periferie urbane sarebbe il deserto). Si vanno aprendo spazi nella misura in cui chi opera in questo settore non risponde solo ai due vecchi stimoli (gridare il bisogno e agire in danno dei tantissimi concorrenti che hanno altri bisogni da gridare). Ma comprende - con più visione, più cultura dell’innovazione, più comprensione dell’insieme dei soggetti in campo - il modo di utilizzare le opportunità. Opportunità di sistema, che tanto il nuovo quadro tecnologico dell’informazione quanto la capacità di realizzare alleanze sociali e culturali intelligenti oggi offrono. A volte per intelligenza delle condizioni locali, a volte per superiore padroneggiamento delle relazioni pubbliche. A condizione di capire e gestire modernamente. Inoltre la comunicazione di impresa e la comunicazione delle istituzioni hanno dovuto fare passi importanti di riconoscimento della comunicazione sociale. “ I driver all’acquisto non sono più riconducibili all’equivoca categoria del bisogno. Il consumo – prima e oltre che comportamento economico – è anche agire umano, sociale” ha scritto nel suo ultimo Societing Giampaolo Fabris [2]. “Cresce l’orientamento delle istituzioni che si propongono di dare elementi di conoscenza e di consapevolezza ai cittadini in merito a problemi di interesse collettivo anche nella prospettiva di convincerli a modificare i loro comportamenti” ha scritto la collega Franca Faccioli che è tra chi guarda alla comunicazione pubblica più in chiave di accompagnamento alla gestione del servizio[3] . Nella cornice di questi temi trova il suo innesto l’evoluzione dell’associazione Pubblicità Progresso, E qui trova i suoi meriti l’azione professionale che, in Pubblicità Progresso e nel contesto della comunicazione sociale in Italia, ha espresso Alberto Contri da molti anni. Prima citazione Dedicata al ruolo delle imprese nello sviluppo della comunicazione sociale Alberto Contri: Per capire le nuove frontiere del sociale bisogna porsi innanzi tutto il tema del coinvolgimento etico delle aziende, la capacità di ascolto degli stakeholder, cioè dei portatori di interessi verso l’azienda. E’ un concetto decisamente più ampio di quello dei semplici azionisti o shareholder e che comprende ad esempio anche i dipendenti e i soggetti rilevanti per l’azienda, come le comunità vicine a impianti e stabilimenti e via dicendo.[4] Prima di concludere la mia breve riflessione con la vera e propria “laudatio”, consentitemi di dire ancora una parola sulla “damnatio” della situazione di cui parliamo. Damnatio è parola eccessiva. Almeno si dovrebbe parlare di una condizione confusiva, un po’ rissosa, spesso al di sotto di un razionale quadro di relazioni che poi si traduca in un razionale rapporto con i media, con le imprese, con le istituzioni e con i soggetti formativi (università in testa). Responsabilità le hanno anche tutti questi più potenti interlocutori, si intende. L’impresa, sul sociale ha fatto passi avanti. Per se stessa, generando linee comunicative attorno alla responsabilità sociale, che sono ancora insufficienti ma che hanno aperto sperimentazioni interessanti. Per lo più sono pochi – ma non inesistenti - i casi di supporto strategico al settore in cui il radicamento territoriale e la specialità produttiva riescono ad essere sposate con visione ad azioni che fanno prendere quota ad iniziative sociali veramente innovative (ho assistito in questi anni ad alcuni casi brillanti, cito ad esempio quello degli interventi di Nokia in questo campo). Le istituzioni hanno mantenuto l’opzione di comunicare in campi in cui sono obbligate a spiegare politiche pubbliche, nuove normative e gestione di servizi e strutture. Giovanna Gadotti, a cui si deve un primo manuale di comunicazione sociale, ha stimato che in Italia circa 100 campagne sociali all’anno beneficiano di gratuità dei mezzi in larga parte grazie a benefici di legge, mente un’altra cinquantina di campagne sociali all’anno trovano copertura finanziaria per fronteggiare i costi [5]. Mentre Mauro Ferraresi ricorda che la dimensione istituzionale per definizione – il nation brand – è diventata parte fondamentale per la qualifica di provenienza e quindi di vendita di qualunque prodotto attraverso il concetto di cross country effect [6]. In questo genere di convergenze il contenuto sociale della comunicazione assume rilievo ampio, al di là dei caratteri tradizionali legati al volontariato e al non profit. Intendiamo infatti per “comunicazione sociale” non lo stretto ambito di esplicitazione di bisogni irrisolti – che contiene anche la preziosa funzione allarmistica della advocacy - ma anche il territorio delle identità sociali, in cui imprese, autonomie, sistema educativo, fino ai nuclei piccoli (la famiglia, il team professionale) possono costruire “contenuti” di indagine e di racconto, per dialogare, crescere, configgere, maturare. Seconda citazione Dedicata alla funzione educativa della tv Alberto Contri: La tv non deve “insegnare niente a nessuno”? Questo atteggiamento è come un virus che serpeggia nel mondo delle tv. Oggi il piccolo schermo diffonde soprattutto un relativismo etico che non è del tutto privo di effetti su quanto sta accadendo nella nostra società, sullo sbandamento dei giovani. Dalla tv questi ragazzi cosa imparano? Che non esistono più né limiti né vincoli, che tutto è lecito. E, quando sei abituato ad avere tutto senza sforzo, dal motorino al cellulare, al primo vero “no” ti saltano i nervi. Non dico che la tv debba essere pedagogica e assomigliare alla vecchia zia che nessuno ascolta. Ma una tivù che rinunci a una mira alta e istilli il permissivismo totale non può essere accettata, soprattutto se finanziata con il denaro pubblico.[7] La natura politica della gestione dei mezzi televisivi rende chiaro che questa osservazione investe anche i modelli che la classe dirigente del paese ha alla fine imposto. Ma diciamola tutta, complice anche la società. Che non è vero che subisca sempre la politica; spesso la motiva e chiede rappresentanza sulle sue istanze anche meno nobili. Per così dire, una società a somiglianza di don Abbondio (una tipologia, diciamo, piuttosto diffusa) considererà fastidioso, pericoloso, colpevolizzante un governo di capitani coraggiosi. La metafora c’entra molto con la posta in gioco di molte questioni trattate dalla comunicazione sociale. Così che oggi la comunicazione sociale vera – insomma, la domanda di attuazione profonda di tutti i diritti costituzionali - richiede di comprendere la politica, le sue logiche, le sue architetture; ma anche di sviluppare strategie con molta indipendenza. Per non dovere dissentire a giorni alterni. E non dover dire che la lotta alla fame è un obiettivo giusto , ma la bioetica dipende e le pari opportunità nel lavoro sono una moda. Il che fa intendere che nel mondo della comunicazione sociale agiscono centinaia di soggetti, in oggettiva competizione, con alcuni operatori capaci di grandi risultati nel rapporto tra comunicazione e raccolta fondi (da Telethon alla Associazione italiana per la ricerca sul cancro) e altri che agiscono ai margini dei circuiti mediatici del fund-raising. 3. L’esperienza di Pubblicità Progresso Pubblicità Progresso associa dal 1971 (va dunque per i “quaranta”) i principali soggetti professionali e imprenditoriali della comunicazione – sul modello dell’organizzazione americana Advertising Council (anche se Philip Kotler – il guru del marketing – l’ha definita “un caso unico al mondo”) – per costruire campagne di orientamento sociale con il principio della gratuità delle prestazioni e degli spazi. La prima campagna, appunto nel 1971, si ricorda ancora oggi: “C’è bisogno di sangue. Ora lo sai”. Dilagava la piaga del mercato nero del sangue. Alcuni lungimiranti comunicatori provarono a realizzare una campagna di comunicazione per invitare i cittadini alla donazione. Nel 1972 il mercato del sangue si ridusse visibilmente. L’iniziativa aveva funzionato. I suoi ideatori decisero di associarsi per realizzare una campagna sociale ogni anno. Nacque Pubblicità Progresso. Come si ricorda ancora quella anti-fumo del 1975 “Chi fuma avvelena anche te. Digli di smettere”. Nel 1987 quando il governo italiano lanciò una grande e memorabile campagna antiAids - quella con i contorno viola che ribaltò il rapporto drammatico della non conoscenza della cause del contagio – anche Pubblicità Progresso (associazione privata) si cimentò sullo stesso terreno. Da quell’anno in poi il ruolo precursore di Pubblicità progresso trovava le istituzioni finalmente sul terreno e portava l’associazione a diversificare progettazione e funzioni. Anche proseguendo esperienze sinergiche. Nel 90-91 – fu una mia responsabilità – il governo lanciò una campagna per la regolarizzazione degli immigrati e Pubblicità Progresso attivò una campagna contro il razzismo. Nel 2000 assecondò un programma governativo per sostenere lo sviluppo del computer e della lingua inglese nella scuola. Altre volte giocò di anticipo o segnalò la drammaticità di fenomeni trattati in modo troppo prudente dalle istituzioni (per esempio nel 2008 con la campagna sulla sicurezza sul lavoro e per la prevenzione rispetto alle “morti bianche”). Insomma un laboratorio – di cui Contri ha assunto la presidenza nel 1999 con una prolungata esperienza utile per la implementazione di strategie e rapporti. Ci auguriamo che malgrado la crisi incalzante i partner di questa esperienza mantengano il loro impegno e la loro volontà di assicurare – grazie alla garanzia degli spazi – una visibilità a campagne sociali che per molti altri soggetti significano spazi interstiziali e ben minori opportunità. Dunque uno stimolo complessivo per il sistema. Lo stesso Contri ha raccontato che nel 1992 Pasquale Barbella ideò per Pubblicità Progresso l’headline di una campagna poi non realizzata, “L’anima del commercio ha un’anima”, il cui copy apriva il dibattito che qui anche oggi portiamo avanti: “Per alcuni la pubblicità è l’anima del commercio, per altri è un commercio dell’anima” [8]. Terza citazione Dedicata allo scopo di Pubblicità Progresso Alberto Contri Il clima che c’è in Pubblicità Progresso è quello di una comunità un po’ diversa, forse perchè non ci sono materie economiche troppo importanti, cioè protagonismi troppo importanti, quindi un clima che elabora dei pensieri (in campo sociale), li ribalta e li metabolizza in qualche modo e quindi cerca di fare cultura.[9] 4. Un professionista nel sistema delle comunicazioni che connette modernamente contenuti e innovazione Nella motivazione del riconoscimento che questo Ateneo ha sancito e che il Preside della Facoltà ha letto, vi è il profilo di Alberto Contri. Ciò permette di non ripassare in rassegna qui nei dettagli un percorso, lo si è colto, fortemente orientato all’impegno professionale, largamente radicato nel sistema della pubblicità, attento alle dinamiche internazionali, interessato a cogliere la reciproca influenza tra l’efficacia della comunicazione e l’evoluzione del sistema dei media, curioso e capace di indagare i fenomeni insorgenti quando si tratta di capre le discontinuità generate dall’innovazione tecnologica. In una forma appassionata ma non contemplativa solo del carattere “meraviglioso” dell’evoluzione. Con una preoccupazione – che nasce anche da uno sguardo etico-politico caratterizzato – che connette analisi e operatività: le conseguenze sociali dei processi comunicativi. Limiterò questo “ripasso” a tre citazioni dello stesso Contri. Ricordando in più il merito aggiuntivo di avere fortemente rianimato la Film Commissiondella Lombardia, a lui affidata dopo anni di colpevole inerzia di questa struttura promozionale che rende un servizio all’industria dell’audiovisivo ma anche al marketing territoriale. Quarta citazione Dedicata alle tecnologie Alberto Contri: Se ripenso alla mia carriera professionale, mi rendo conto che mi sono sempre molto appassionato all’innovazione tecnologica. Fin da giovane, in quanto appassionato di fantascienza, divoravo tutti i libri e i racconti che narravano le mirabolanti applicazioni rese possibili dai progressi dell’informatica e dell’elettronica. Con il passare degli anni ho visto avverarsi molte di quelle previsioni soprattutto quelle positive. E attendo con una certa preoccupazione quelle negative, di cui la fantascienza non è mai stata avara, per la verità.[10] Quinta citazione Dedicata ai contenuti della comunicazione Alberto Contri: Qualunque sia lo sviluppo tecnologico e i mezzi impiegati, una volta passata la buriana dell’entusiasmo della novità, c’è una sola assoluta certezza: il vero re sarà il contenuto. La vera differenza sarà lì. Finalmente. [11] Sesta citazione Dedicata alla degradazione dei linguaggi Alberto Contri: Nell’era della multimedialità interattiva e dello sviluppo elle tecnologie della comunicazione ci troviamo sempre di più a fronteggiare un popolo di persone dal linguaggio degradato perché degradato è il loro modo di pensare, il loro modo di rapportarsi con la realtà. Personalità fragili, formate di frammenti, con una mente che potremmo definire a macchia di leopardo. Nel migliore dei casi brandelli di conoscenza sparsi, senza collegamenti tra di loro. Sembra quasi che, per un assurdo paradosso, nell’era che ha visto il grande sviluppo dell’elettronica, le sinapsi si siano scollegate, lasciando gruppetti di neuroni ad accendersi e spegnersi in solitudine. [12] 5. Conclusioni Cenerentola, nel testo di Perrault, torna al suo stato nobiliare, grazie a una magia ma anche grazie alla logiche delle fiabe in cui la verità trionfa. Non senza aver patito la sua condizione povera e anonima. Il ritorno della comunicazione sociale al piano nobile del mercato della comunicazione è dunque ipotizzato (ma con il punto di domanda) perché vi sono stati laboratori di riflessione sulle trasformazioni del perimetro della materia che hanno avuto luoghi utili a tutti come Pubblicità Progresso e persone utili al raccordo tra sistemi professionali e formativi come Alberto Contri, e sia consentito dirlo, come altri amici e colleghi. Ma anche perché avere fatto crescere questo diaframma tra le ragioni commerciali e quelle elettorali della comunicazione corrisponde al profilo di un paese più civile, più europeo, più consapevole delle sue responsabilità collettive che sono sintesi di una crescita di maggiori responsabilità individuali. Molti di voi penseranno che io stia parlando della Svizzera, della Germania, della Gran Bretagna, della Nuova Zelanda. Non dell’Italia. No, io sto parlando anche dell’Italia. Quella che comunque noi immaginiamo. Quella che le eredità della storia ci hanno dimostrato capace di cambiamento e di sacrificio. Quella capace di dimostrare che i nuovi vizi sociali – tra cui il nihilismo giovanile diffuso di cui parla Umberto Galimberti [13]– sono frammento, non cultura generazionale (al tema è stata dedicata, lunedì scorso, la giornata convegnistica di Pubblicità Progresso – aperta dal ministro Sacconi, dal presidente Formigoni e dal nostro rettore – qui in Iulm) [14]. Quella che, appunto, i giovani – a cominciare magari da coloro che oggi qui ascoltano - si decideranno una buona volta a considerare una partita – dura e meravigliosa – su cui investire. (23.229 caratteri spazi inclusi) [1] Cenerentola (Cendrillon) è una delle più celebri fiabe popolari del mondo. Originaria probabilmente della Cina o, secondo altri, dell'antico Egitto, è stata narrata in centinaia di versioni in gran parte del mondo, ed è parte dell'eredità culturale di numerosi popoli. In occidente la versione più nota è quella di Charles Perrault, a sua volta basata su una precedente trascrizione di Giambattista Basile, del 1634, di un'antica fiaba napoletana. [2] Giampaolo Fabris, Societing. Il marketing nella società postmoderna, Egea, Milano 2008 [3] Franca Faccioli, Comunicazione pubblica e cultura del servizio, Carocci, Roma 2000. [4] Intervista a cura di Antonio Dini in Le professioni della comunicazione, Il Sole 24 ore-IULM, Milano 2006 [5] Giovanna Gadotti (a cura di), La comunicazione sociale. Arcipelago edizioni, Milano 2001 [6] Mauro Ferraresi, Pubblicità e comunicazione, Carocci, Roma 2002 [7] L’audience non è più un alibi. Luigi Dell’Aglio intervista Alberto Contri – in Telema, primavera 2001. [8] Nella prefazione a Giovanna Gadotti e Roberto Bernocchi, La pubblicità sociale, Carocci, Roma, 2010. [9] Da un’intervista di Luigi Ferrari a Alberto Contri. [10] Alberto Contri, Il tempo è uscito dai cardini, in Next, n. 9/2000. [11] Alberto Contri, Sua Maestà il contenuto, in Spot&Bit, a cura di Enrico Lehman, Il Sole 24 ore, 1996 [12] Alberto Contri, Il degrado del linguaggio, metafora del declino del paese, s.d. [13] Umberto Galimberti, I vizi capitali e i nuovi vizi, Feltrinelli, Milano 2003. [14] Sesta conferenza internazionale della comunicazione sociale, promossa da Pubblicità Progresso presso l’Università IULM di Milano, 9 novembre 2010.