BIOECONOMIA E MEZZOGIORNO: QUESTIONE MERIDIONALE O EUROMERIDIONALE? La Bioeconomia strumento adeguato di lettura territoriale e sociale Lo sviluppo, né crescita e né decrescita, ma integrazione tra territorio e produzione – La matrice sviluppo/declino per reinterpretare il Mezzogiorno e riadeguare le politiche di SERGIO VELLANTE nua a manifestarsi) con quel continuo dissesto idrogeologico generatore perenne di frane riparate curando gli effetti, ma non rimuovendone l’origine. E rottura che poi, nelle aree forti, si concretizzava (e continua a concretizzarsi) in un’erosione dei patrimoni genetici e delle biodiversità combinata con una crescita di processi produttivi ad alta intensità industriale, finanziaria e internazionale, a forte impatto ambientale, a scarso assorbimento occupazionale e penalizzanti per quel sistema produttivo di piccole e medie dimensioni legato alle variegate risorse del territorio. Un tutto, ulteriormente aggravato da quella stretta correlazione con un modello di consumo che, dettato dalla macdonaldizzazione2 dell’alimentazione domestica e collettiva e dalla carrefourizzazione3 della distribuzione dei beni domestici, generava e genera quell’infelice benessere economico contrassegnato dalla forte diffusione dell’obesità, delle spazzature e delle perenni emergenze territoriali, tanto per fare alcuni esempi significativi. Un fertile humus per dirottare la spesa pubblica, nazionale ed europea, dal sostegno sociale ed ambientale alle emergenze, stimolando non raramente gli appetiti della criminalità organizzata. Una spesa che – complice indiretto un apparato tecnico-scientifico e professionale (è tale? o sedicente tale?) non addestrato a rimuovere le cause, ma a curarne, e talvolta neanche efficientemente La Bioeconomia necessità del futuro Una linea di riflessione avviata dopo la metà degli anni ‘90 sui problemi del Mezzogiorno e riguardante le relazioni tra Economia Agraria ed Economia della Conoscenza, ci ha condotto direttamente a fare i conti con la maggiore complessità delle nuove relazioni tra agricoltura e biologia nella nostra epoca ed a concepire una vera e propria “Economia della Vita”, non dissimile, ma nemmeno tanto eguale, alla “BioEconomia” elaborata da Nicholas Georgescu-Roegen. Una riflessione sul fatto che il modo di produzione definito come post-fordista aveva, nell’ultimo ventennio del secolo scorso, velocemente invaso anche quelle aree meridionali più arretrate1 prossime ad un declino fatto di desertificazione ambientale e di marginalizzazione socio-economica. E ciò ragionando in quell’ottica innovativa connessa alla rivoluzione informatica e tecnologica (compatibile con le risorse locali del Mezzogiorno?) in cui le macchine svolgevano un ruolo secondario a vantaggio del capitale umano, delle regole organizzative e della velocità dell’informazione. Una riflessione che tentava di analizzare, sempre nel Mezzogiorno e attraverso gli strumenti economici standard, la rottura dell’equilibrio territorio-produzione. Rottura che, nelle aree deboli ed interne, si manifestava (e conti- 3 Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007 Economia e Ambiente (questione rifiuti in Campania), gli effetti – tendeva e tende a ripristinare lo stato di partenza non ponendosi il problema di ricomporre l’equilibrio territorio– produzione. Un meccanismo che, scherzosamente, ma non troppo, giustifica pienamente l’opera (Produzione di merci a mezzo di merci) di Piero Sraffa che, volta a dare risposte al quesito non pienamente risolto della trasformazione dei valori in prezzi, calza perfettamente con il nostro caso. Infatti, non siamo in una realtà in cui non sarebbe sbagliato parlare di produzione di frane a mezzo di frane, di produzione di monnezza a mezzo monnezza, di produzione di camorra a mezzo camorra e di sicura obesità a mezzo di sicuri alimenti? Rispetto ad un simile quadro l’economia standard, comprensiva di quella componente economicoagraria irretita nella camicia di forza dell’impostazione neoclassica e del sottostante approccio meccanicistico, non forniva una strumentazione adeguata ad indagare sulle determinanti della Articoli rottura dell’equilibrio territorio-produzione. Cosa non più vera quando l’Economia Agraria recupera la sua implicita e latente autonomia culturale e scientifica compresa nei suoi fondamenti teorici volti ad un’analisi dell’evoluzione del rapporto uomo natura ponendo al centro la fotosintesi clorofilliana. Il più importante processo naturale di creazione ed accumulazione di energia, necessaria alla vita del pianeta, e che permea l’analisi economico-agraria, tanto, sul versante dei rapporti di produzione4 insiti nelle unità produttive, quanto, su quello di come queste ultime si relazionano con il proprio territorio e microclima di appartenenza. In realtà nei fondamenti dell’Economia Agraria – descritti magistralmente da alcuni grandi studiosi della disciplina come ad esempio Arrigo Serpieri ed Emilio Sereni – e nelle peculiarità del processo produttivo agricolo – si veda Giorgio Nebbia nel n° 6 del 2006 di tale Rivista – hanno sempre implicitamente dominato, in un’ottica sistemica, ma complessa, il paradigma organicistico e l’approccio olistico. Sopra: un bosco in autunno Nella pagina a fianco: un torrente in campagna 4 Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007 Economia e Ambiente Articoli 5 Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007 Economia e Ambiente Articoli Dall’altro lato tali questioni riguarderanno, quale branca della BioEconomia (o Economia della Vita), gli aspetti della fisica connessi alla termodinamica nelle accezioni elaborate da Georgescu-Roegen che sostanzialmente curano la fase catabolica del ciclo energetico7. In pratica si tratta di approfondimenti per i quali la fotosintesi clorofilliana (fase anabolica) alimenta lo stato patrimoniale, quindi l’accumulazione di capitale, di un bilancio energetico che vede nell’entropia dei processi produttivi (fase catabolica) il conto economico derivante dalle utilizzazioni energetiche. Una questione teorica questa appena accennata che è fortemente legata alla concezione di capitale dell’Economia Standard che include la quasi totalità delle “teorie economiche”evolutesi nel corso dei tempi: da quelli successivi alla nascita del capitalismo fino ai giorni nostri. Si tratta di questo: in tali teorie, compresa quella marxiana, il capitale alla pari degli altri fattori produttivi è stato concepito come fatto meccanico e quindi spiegato da concezioni sostenute dall’approccio deterministico (o dal paradigma meccanicistico) che perde gran parte della sua capacità interpretativa dei fenomeni economici , e non solo, quando il capitale è di origine biologica e naturale (animali, piante, minerali ecc.). Cosa, quest’ultima, che emerge con maggiore spessore nella teoria marxiana, dove giustamente s’individua l’origine del plusvalore nella capacità dell’uomo (intesa come fattore variabile della produzione) di trasformare l’energie acquisite in un surplus di energie erogate (con un salario di 4 ore di lavoro l’uomo è in grado di produrre per 6 ore). L’uomo, di per se è un’unità biologica, ma nel modello marxiano viene reificato ad un’unità meccanicistica per renderlo omogeneo al capitale e per quantificare il livello di sfruttamento della forza lavoro nel processo di produzione capitalistico. Cosa non più possibile nelle produzioni in cui il capitale è di natura biologica (ciò non riguarda solo l’agricoltura) e che al pari dell’uomo nel processo produttivo può generare anche esso surplus energetico e di conseguenza plusvalore. Tutto ciò, come si può intuire, tratta delle rilevanti questioni teoriche rese ancor più complesse dai nuovi modi di produzione dettati dall’Economia della Conoscenza. Questioni che sono state appena accennate in quanto per molti aspetti esse hanno influenzato quella empirica lettura economica del territorio del Mezzogiorno a cui prima si è accennato. Un paradigma non dissimile, come descrive in modo pregnante Romano Molesti (numero della rivista prima citato), da quello ipotizzato da GeorgescuRoegen in conseguenza dei suoi ragionamenti sulla termodinamica e l’entropia. Ragionamenti che lo conducono a sostenere la tesi che il degrado dell’energia da utilizzabile ad inutilizzabile, come previsto dalle leggi della termodinamica riguardi anche la materia. Un’intuizione scientifica, quest’ultima, che sta nelle cose della vita, che viene evidenziata da un Economista “quantitativo” ma non “determinista o meccanicista”, che non viene né respinta e né accettata dai fisici come quarta legge della termodinamica, che gli permette di cogliere, e non dal versante della biologia ma della fisica, i principi ispiratori dell’Economia Agraria,5 e che infine dà origine al distacco dalla Economia Standard di quella branca volta a fondare la Bioeconomia. Un percorso scientifico che, come sottolinea la presentazione del 1973 di Giacomo Becattini al volume di raccolta dei più significativi saggi di Georgescu-Roegen,6 trova le sue radici nella cultura mitteleuropea dell’Uomo che gli permette di affrontare problemi di rilevanza epistemologica e «di far scorrere nuova linfa nei canali piuttosto disseccati che collegano l’intuizione della realtà con la sua riduzione a modello teorico. Un rinsaguamento che non và lasciato ai soli filosofi, sociologi o giornalisti, ma che venga portato avanti… da economisti» nel solco tracciato dal nostro Autore. Alcune “questioncine” teoriche e metodologiche L’insieme delle considerazioni fin qui addotte permetterebbero di azzardare due ipotesi: una di natura teorica; la seconda di natura empirica e volta ad una lettura economica del territorio in cui quest’ultimo – inteso nelle sue variabili naturali, socio/economiche e storico/istituzionali - gioca un ruolo prioritario nelle dinamiche produttive dei luoghi. Le questioni di ordine teorico, che saranno oggetto di approfondimento in altre sedi, riprenderanno da un lato un aspetto in precedenza accennato e riguardante quella branca dell’Economia della Vita (o BioEconomia) – quale rinnovamento dell’Economia Agraria – volto allo studio della biologia ed innanzitutto della fotosintesi clorofilliana che origina quella fase anabolica della rigenerazione dell’energia con il suo relativo accumulo nel pianeta per gli usi futuri. 6 Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007 Economia e Ambiente Una lettura che si sta oramai conducendo dagli inizi del nuovo secolo attraverso la Matrice Sviluppo Declino, Espansione – Stasi e che è un tentativo di mettere a punto uno strumento in grado di analizzare i legami tra territorio, ambiente (fisico e sociale) e produzione definendo quattro principali traiettorie evolutive in cui sono allocabili i vari contesti territoriali. Uno strumento che potrebbe completare l’analisi economica del distretto e dei sistemi produttivi locali dove gioca un ruolo prevalente il capitale umano che, maturato nelle tradizioni della storia locale, garantisce l’integrazione territorio-produzione dal solo versante socioistituzionale. Manca, viceversa, il ruolo del Biocapitale che integra anche la componente fisicoambientale del territorio nella produzione. Articoli marcano ambedue una stagnazione economica ( o decrescita) che nel caso della Stasi si coniuga con una persistenza dell’integrazione tra territorio e produzione (presenza di ordinamenti produttivi diversificati, plurisettoriali, multifunzionali e tradizionali) e che, viceversa, in quella del Declino con un forte squilibrio (se non addirittura la dissoluzione del rapporto) dell’integrazione territorio produzione alimentando la perversa combinazione tra marginalizzazione economico-sociale e desertificazione ambientale. Lo sviluppo in questa impostazione è distinto fortemente dalla semplice crescita economica e riguardando innanzitutto l’equilibrio tra il territorio ed il processo produttivo, non ha bisogno di essere aggettivato come sostenibile o con altro termine analogo, MATRICE SVILUPPO – DECLINO CRESCITA ECONOMICA 2 -4 + 1 ESPANSIONE SVILUPPO (CRESCITA SENZA INTEGRAZIONE) (CRESCITA CON INTEGRAZIONE) 0 + 3 DECLINO STASI (Marginalizzazione Desertificazione) (INTEGRAZIONE SENZA CRESCITA) (MANCANZA DI CRESCITA E DI INTEGRAZIONE) INTEGRAZIONE TERRITORIO – PRODUZIONE La matrice8 è stata costruita utilizzando due variabili l’Integrazione Territorio-Produzione e la Crescita Economica. Ogni parte dello schema sotto riportato evidenzia “le traiettorie evolutive” che si affermano nei vari contesti territoriali. Questi ultimi sono riconducibili a quattro tipologie di base. La prima è identificata come area di reale sviluppo perché abbina i valori positivi della crescita economica e della integrazione territoriale. La seconda, di semplice espansione, con integrazione territorio/produzione negativa e crescita economica positiva. Le restanti traiettorie (parte bassa dello schema) qualora lo si persegua. Si tratta di un’idea di sviluppo che non deriva da un ragionare coi paraocchi del meccanicismo come spesso fanno anche componenti importanti dell’Economia Ambientale. Un idea che rifugge dal riduttivismo culturale volto ad identificarlo tout-court con la crescita economica, ma anche da quello volto a negarlo come categoria analitica dell’economia e della sociologia9. Dal punto di vista dell’Economia della Vita (o BioEconomia) questi due modi di concepire lo sviluppo rappresentano le facce di una stessa medaglia coniata dalla cultura economicistica, sia sul versante della sua accettazione (la crescita prima di tutto) che su quello che a parole 7 Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007 Economia e Ambiente Articoli 8 Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007 Economia e Ambiente la respinge (la decrescita come salvezza del pianeta). Indubbiamente di quest’ultima tesi sono condivisibili molte analisi riguardanti i tragici destini ambientali e sociali del mondo attuale. Ciò che invece non convince è una proposizione – vigorosa, e forse metafisica – di «decostruzione del pensiero economico» e dell’economia per liberare il mondo dalla crescita, dalla povertà, dai tenori di vita incompatibili con la vita del pianeta.. E nell’ansia di liberarsi, giustamente, dagli effetti perversi del mercato e della connessa competitività sulla società, non si riconosce che l’oggetto d’indagine dell’economia è la produzione ed il consumo realizzati nei vari contesti ambientali dominati da modi di produzione storicamente determinati. Una risposta a questo ultimo problema non può certamente essere dato dalle precedenti concezioni economicistiche che tendono a confondere lo sviluppo con la crescita e la stasi con il declino. Viceversa l’introduzione nell’analisi economica del territorio come variabile socio-ambientale (ed analizzabile con gli strumenti della Bioeconomia) permette d’individuare ex-ante le traiettorie evolutive dei diversi contesti e su di esse ipotizzare le conseguenti politiche di programmazione secondo un modello10 – definibile come So.In.Pro.Re (Sostegno, Integrazione, Promozione e Recupero) – in grado di orientare allo sviluppo, nell’accezione bioeconomica, le macroaree regionali ed interregionali attraverso interventi tesi: a) al Sostegno delle aree sviluppate; b) all’Integrazione dell’espansione produttiva con le risorse del territorio nelle aree di sola crescita11 c) alla Promozione della crescita delle aree di stasi economica, ma che conservano ancora un sufficiente equilibrio ambientale; d) al Recupero dello sviluppo nelle aree di declino socio-economico ed ambientale ricostituendo prima le risorse territoriali da integrare, poi, con la crescita produttiva. Il So.In.Pro.Re, come è intuibile, nella sua impostazione, ha dei significativi punti di distinzione rispetto ai modelli delle “Politiche Standard”. Innanzitutto l’individuazione di quattro traiettorie evolutive fa aumentare il numero dei sistemi territoriali su cui intervenire, mentre allo stato attuale il tutto si riconduce ad una distinzione tra aree in crescita e non. Articoli In secondo luogo la natura degli interventi tende a differenziarsi ed a divenire più complessa sui versanti delle politiche strutturali. Così, il lavoro, le tecnologie, la ricerca e le imprese, non possono essere considerate “neutrali ed oggettive” rispetto al perseguimento dello sviluppo come qui inteso. Per cui una crescita produttiva che non tiene conto dell’equilibrio territorio produzione e dell’uso delle risorse endogene genera incompatibilità ed alta entropia, come è avvenuto per gran parte delle politiche economiche, e non solo nelle regioni meridionali. Infine necessità di una nuova impostazione delle politiche di coesione della UE non ancorate unicamente alle variazioni del PIL e da questo far discendere l’iter programmatico, i principi di attuazione, i meccanismi di gestione, i criteri di valutazione e la misurazione dei risultati ottenuti. Il So.In.Pro.Re è in realtà un complesso modello di politica economica ma è forse quello più adatto per uscire dal perverso binomio della crescita senza sviluppo e per andare incontro ad un futuro Europeo «orientato ad una Bioeconomia da capitalizzare nella tecnologia dell’informazione ed in grado di promuovere il passaggio verso stili di vita sostenibili», così come recita il documento UE «Oltre Lisbona e l’Ottavo programma quadro:quale futuro per l’Europa?». La Realtà del Mezzogiorno nella lettura bioeconomica I ragionamenti sin qui esposti e gli strumenti d’indagine messi a disposizione dalla Bioeconomia sono stati utilizzati per analizzare da un nuovo versante le dinamiche evolutive dell’Economia del Mezzogiorno Dinamiche che, esaminate prevalentemente con lo studio degli andamenti macroeconomici desunti dall’uso delle categorie analitiche dell’economia standard, non riescono a catturare gli effetti di quella relazione tra andamenti economici ed equilibrio territorio produzione. Tentativo che viceversa è in atto in significative realtà del Mezzogiorno e che la sottostante tabella riepiloga12 fornendo dei dati impressionanti. Nella pagina a lato: vite selvatica 9 Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007 Economia e Ambiente Articoli 10 Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007 Economia e Ambiente Articoli Distribuzione % delle Superfici Territoriali tra le diverse Traiettorie 2005 Traiettorie Sviluppo Espansione Stasi Declino Totale Basilicata 8,90 24,31 30,77 36,02 100,00 Campania 4,20 33,50 34,50 27,80 100,00 Molise 7,15 30,02 28,18 34,65 100,00 Mezzogiorno 5,73 29,47 32,59 32,21 100,00 Fonte: ns. Elaborazioni su dati Istat, Union Camere ed indagini di campo Innanzitutto va sottolineato che nei casi presi in considerazione è altissima la superficie a rischio desertificazione e marginalizzazione (più del 30% dell’intero territorio meridionale) e che ciò rende più precaria la condizione delle aree interne con ricadute nefaste su quelle ricche di pianura (le perenni frane come quella di Sarno). In secondo luogo va rilevato che è bassissima e quasi irrilevante la percentuale delle aree di sviluppo, con l’aggravate che sotto l’incalzare della concorrenza internazionale, molti di questi territori sono entrati in stasi economica (sistema locale del divano lucano). In terzo luogo si constata che è consistente la percentuale (non distante dal 30%) dei territori – maggiormente concentrati nei Sopra: un gregge al pascolo Nella pagina a fianco: frutti autunnali 11 Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007 Economia e Ambiente sistemi metropolitani ed urbani della Campania – di sola espansione economica e ricchi d’emergenze ambientali (dai rifiuti alle frane, al dissesto urbano) e sociali (dalla mancanza di servizi alla insalubrità ed alla criminalità). Infine bisogna registrare che non è per niente insignificante la quota (più del 32% nel Mezzogiorno) dei territori che si trovano in stasi. Questi ultimi sono dei territori a cui bisogna accordare massima attenzione e promuovere delle politiche particolarmente adatte alle loro esigenze. Essi sono legati ad un filo di lana che rinforzato li può facilmente collocare nelle traiettorie di sviluppo e che, viceversa, rotto li può altrettanto facilmente far scivolare verso la desertificazione e la marginalizzazione. Anche da questi dati e da questa nuova angolazione emerge un Mezzogiorno profondamente differenziato che esprime per i suoi territori sostanzialmente due domande di politica economica e territoriale. Una di “crescita economica” che in totale riguarda circa il 65% dei propri territori (quelli collocati nella parte bassa della matrice) e che per una buona metà investe le aree di stasi, necessitanti di sola crescita, e per l’altra metà le aree di declino che richiedono anche il recupero e la rigenerazione delle risorse endogene (risorsizzazione). La seconda domanda, “d’integrazione,” negli equilibri tra ambiente e produzione, in totale viene espressa da circa il 62% dei territori e precisamente quelli collocati alla sinistra della matrice. Quelli caratterizzati dalla espansione economica (più del 30%) avanzano una sola domanda d’integrazione territoriale che non raramente va intesa come vera e propria “decrescita” di quei consumi ad alta incompatibilità con la salubrità umana ed ambientale. Viceversa, tale domanda d’integrazione territoriale nei contesi di declino va coniugata con una politica della crescita, come già sottolineato in precedenza. In realtà a tali domande dei territori del Mezzogiorno non si è quasi mai risposto – specialmente nel ciclo 2000/2006 di programmazione della UE per le aree dell’Obiettivo 1 – con un’adeguata offerta delle politiche strutturali. Una inadeguatezza che, dettata da una volontà politica volta alla sola crescita del PIL e non a generare sviluppo, ha permeato tutte le fasi del processo di programmazione delle politiche: dall’ideazione iniziale, imperniata su analisi scarsamente esplicative dei bisogni del territorio, all’attuazione finale, dove sono stati incentivati ser- Articoli vizi ed investimenti non sempre compatibili con le risorse endogene e non raramente generatori di spreco. Tutto ciò non ha permesso alle popolazioni meridionali di colmare la distanza dei propri redditi procapite (16.600 € anno) da quelli medi europei (24.000 €). Non si è realizzato, così, l’efficacia della spesa in direzione dello sviluppo, e neanche come auspicato e previsto, in direzione della crescita del PIL, sebbene ci sia stato un’efficienza a spendere gran parte dei fondi disponibili. Si è praticamente sprecato molto! Ed i motivi? Molti! Ma prima di tutto una classe dirigente, con l’annesso ceto politico, eccessivamente arrogante e fortemente dipendente da culture esogene incompatibili e penalizzanti per il Mezzogiorno e le sue popolazioni. Sono in arrivo, con il nuovo ciclo di programmazione della UE 2007/2013, 21 miliardi di euro. I modelli di spesa che si stanno attrezzando e le analisi che stanno sostenendo tali modelli non lasciano intuire un cambiamento di rotta in direzione dello sviluppo nell’accezione bioeconomica. Al contrario ci si batte sempre di più per la crescita al fine di preparare – forse inconsapevolmente data la dipendenza da un’egemonia culturale esogena – quel terreno di messi per le metaforiche cavallette di Rossi-Doria, che ai suoi tempi depredavano il Mezzogiorno d’Italia, alimentando la «Questione Meridionale» ed oggi depredano i Mezzogiorni d’Europa alimentando una «Questione EuroMeridionale». Sergio Vellante Sergio Vellante è prof. ord. di Bioeconomia e Sviluppo Rurale nell’Università degli Studi della Basilicata [email protected] NOTE 1 Si pensi agli effetti nefasti della cerealicoltura integralmente meccanizzata ed informatizzata nelle aree calanchive del Mezzogiorno tesa a sfruttare fino al collasso geoambientale le riserve dei suoli. 2 «Ho usato il termine “macdonaldizzazione” – dice George Ritzer, Il mondo alla Mcdonald’s, il Mulino, 1997. Edizione originale: The McDonaldization of Society. An Investigation into the Changing Character of Contemporary Social Life, Pine Forge Press/A Sage Publications Company, 1996 – per descrivere il processo con cui tali princìpi si sono diffusi in tutta l’industria del fast food, in altri settori della società americana e in misura crescente in 12 Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007 Economia e Ambiente altre società del mondo. L’enorme popolarità di questo modello riflette il fatto che ha molto da offrire, ma comporta anche una serie di problemi, tra cui l’eccessiva importanza data alla velocità e alla quantità a scapito della qualità, lo scarso o nullo interesse per beni e servizi unici e la riduzione, fino all’eliminazione, della manodopera specializzata. Implicazioni di espressioni quali “fast food” e “cibo spazzatura”, sono solitamente associati a tale processo». Nei fatti si tratta di strategie aziendali che, dando per scontato la saturazione alimentare e l’opulenza degli stili di vita delle popolazioni dei paesi del primo mondo, offrono a prezzi accessibili il cibo – standardizzato, sempre più artificializzazato (modifica fisico chimica dei componenti originari) ed energeticamente eccedente i fabbisogni nutrizionali (insalubrità del sicuro alimento) – ed altri consumi primari. 3 Il modello Mac Donald, di ristorazione collettiva ha pervaso anche i consumi alimentari domestici che si fanno pervenire sul tavolo della gran parte dei consumatori attraverso la GDO (grande distribuzione organizzata)in cui domina il gruppo francese della Carrefour. Di qui l’idea di carrefourizzazione che comporta la distribuzione su larga scala ed a prezzi contenuti, per imballaggi che curano solo gli aspetti estetici del marketing ma di scarsa qualità rispetto alla biodegradabilità, il riuso, il riciclaggio e l’incenerimento dei rifiuti. Tutto ciò si manifesta in modo più accentuato dove dominano – come nel Mezzogiorno – redditi pro-capite più bassi rispetto alla media europea. Ed innanzitutto ciò che fa di Napoli la capitale europea per l’obesità dei bambini (e non solo) e per la produzione dei rifiuti. 4 I rapporti di produzione, non fanno parte della nomenclatura dell’Economia standard. In essa si parla di combinazione tra i fattori terra, capitale e lavoro depurando, appunto, i rapporti di produzione dagli aspetti sociali e di relazione con il territorio in essi compresi. 5 «…non esiste alcun parallelismo fra la legge della scala di produzione nell’agricoltura e quella dell’industria. È sempre possibile coltivare il grano in un vaso o allevare galline in un minuscolo cortile, mentre nessun dilettante potrebbe costruirsi un’automobile con i soli strumenti della sua officina. E allora, perché mai la dimensione ottima in agricoltura dovrebbe essere quella di una gigantesca fabbrica all’aria aperta? In secondo luogo, il ruolo del fattore tempo nelle due attività è completamente diverso. Il tempo necessario per tessere un braccio di panno può essere abbreviato per mezzo di congegni meccanici, ma nessuno è riuscito finora a abbreviare il periodo di gestazione nell’allevamento del bestiame, o (in una misura significativa) quello di maturazione delle piante. Inoltre l’attività agricola è vincolata a un ritmo non derogabile, mentre nell’industria si può benissimo rimandare a domani quel che abbiamo deciso di non fare oggi. Infine, esiste tra i due settori una differenza che tocca alle radici la molto discussa legge dei rendimenti decrescenti. Per gli usi industriali, Articoli l’uomo è riuscito a imbrigliare una fonte di energia dopo l’altra, dal vento all’atomo, ma per quanto riguarda il tipo di energia necessario per la vita stessa, egli dipende ancora interamente dalle fonti più «primitive», gli animali e le piante che ha d’intorno. Queste brevi osservazioni bastano a spiegare non solo il perché della differenza fra la filosofia dell’uomo dedito all’agricoltura e quella del cittadino, ma anche l’impossibilità di includere sotto una stessa legge l’agricoltura e l’industria. Oggi come oggi, la questione se le future scoperte scientifiche potranno ridurre la vita al denominatore della materia inerte rimane estremamente controversa, e non meno speculativa.» pagg. 164 e 165 in Nicholas Georgescu-Roegen, Analisi Economica e Processo Economico, nella collana Sansoni Saggi edita da S.C.Sansoni S.P.A Firenze 1973. 6 Op. cit. nota 4. 7 In una recente intervista lasciata al Corriere Economia, inserto del Corriere della Sera di lunedì 24 settembre ‘07, Rifkin, oracolo dell’energia all’idrogeno, ha vaticinato che gli allevatori di bestiame, come è nella verità delle cose, inquinano più dei trasporti. E di conseguenza propone un’ecotassa sulla carne per scoraggiarne i consumi. Sebbene non sia necessario conoscere la distinzione tra anabolismo e catabolismo energetico, Rifkin dovrebbe saper, o quanto meno dedurre, che gli allevamenti allo stato naturale sono ad entropia 0 e che in tale stato contribuiscono all’accumulo di energia nel pianeta. Viceversa è l’intensificazione e la concentrazione degli allevamenti in luoghi ristretti e la loro gestione che, fatta attraverso reti non dissimili da quelle previste con la diffusione della sua energia all’idrogeno, genera oltre all’inquinamento anche debilitanti attentati alla salute umana come nel caso della BSE, peste suina e aviaria tanto per richiamare quelli più alla moda. Quindi il problema non è nella carne ma nel modo di produzione dominante che una semplice tassa non riuscirà mai a sgominare. 8 Tale strumento, utilizzato per la prima volta in una ricerca finanziata dalla Regione Basilicata all’omonima Università e finalizzata a definire delle politiche di sviluppo imperniate sull’uso pieno delle risorse endogene, e descritto in S. Vellante (a cura di), Mezzogiorno Rurale Risorse Endogene e Sviluppo: Il Caso Basilicata Donzelli Editore (2002) 9 Come è evidente nell’opera di Serge Latouche: L’Invenzione dell’Economia: L’artificio culturale della naturalità del Mercato, Arianna Editrice, Bologna 2002; Come Sopravvivere allo Sviluppo, Bollati-Boringhieri, Torino 2005; La scommessa della decrescita, Feltrinelli 2007. 10 Questa parte dell’articolo e la successiva tabella fanno riferimento al lavoro di S. Vellante, I Paesaggi Euromediterranei Del Mezzogiorno Rurale Nelle Dinamiche Regionali Di Sviluppo. In F. Marangon (a cura di), Gli Interventi Paesaggistico-Ambientali nelle Politiche Regionali di Sviluppo Rurale. Franco Angeli 2006 13 Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007 Economia e Ambiente 11 Articoli 12 In realtà impostare una politica di decrescita come suggerisce Latouche ha significato soltanto per quei territori appartenenti alla traiettoria della crescita. E viceversa non ha nessuna ricaduta per quei contesti di stasi economica, ma integrati territorialmente, e per quelli in via di marginalizzazione socio-economica e desertificazione ambientale in cui la crescita economica significa attivazione di processi produttivi in grado recuperare compatibilmente le risorse endogene. La tabella distribuisce percentualmente i territori regionali tra le diverse traiettorie evolutive, riepiloga la situazione al 2005 per tre regioni oggetto di studio e stima un dato medio per il Mezzogiorno continentale sulla base di prime rivelazioni relative alle restanti regioni qui non comprese. I dati, vanno presi con le dovute cautele e scontano il fatto che ad ulteriori ricalibrature potrebbero subire delle leggere variazioni. 14 Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007