Bioeconomia e Mezzogiorno. Questione meridionale

BIOECONOMIA E MEZZOGIORNO:
QUESTIONE MERIDIONALE
O EUROMERIDIONALE?
La Bioeconomia strumento adeguato di lettura territoriale e sociale
Lo sviluppo, né crescita e né decrescita, ma integrazione
tra territorio e produzione – La matrice sviluppo/declino
per reinterpretare il Mezzogiorno e riadeguare le politiche
di
SERGIO VELLANTE
nua a manifestarsi) con quel continuo dissesto idrogeologico generatore perenne di frane riparate curando gli effetti, ma non rimuovendone l’origine. E
rottura che poi, nelle aree forti, si concretizzava (e
continua a concretizzarsi) in un’erosione dei patrimoni genetici e delle biodiversità combinata con una
crescita di processi produttivi ad alta intensità industriale, finanziaria e internazionale, a forte impatto
ambientale, a scarso assorbimento occupazionale e
penalizzanti per quel sistema produttivo di piccole e
medie dimensioni legato alle variegate risorse del territorio. Un tutto, ulteriormente aggravato da quella
stretta correlazione con un modello di consumo che,
dettato dalla macdonaldizzazione2 dell’alimentazione
domestica e collettiva e dalla carrefourizzazione3 della distribuzione dei beni domestici, generava e genera
quell’infelice benessere economico contrassegnato
dalla forte diffusione dell’obesità, delle spazzature e
delle perenni emergenze territoriali, tanto per fare alcuni esempi significativi. Un fertile humus per dirottare la spesa pubblica, nazionale ed europea, dal sostegno sociale ed ambientale alle emergenze, stimolando non raramente gli appetiti della criminalità organizzata. Una spesa che – complice indiretto un apparato tecnico-scientifico e professionale (è tale? o
sedicente tale?) non addestrato a rimuovere le cause,
ma a curarne, e talvolta neanche efficientemente
La Bioeconomia necessità del futuro
Una linea di riflessione avviata dopo la metà degli
anni ‘90 sui problemi del Mezzogiorno e riguardante
le relazioni tra Economia Agraria ed Economia della
Conoscenza, ci ha condotto direttamente a fare i conti con la maggiore complessità delle nuove relazioni
tra agricoltura e biologia nella nostra epoca ed a concepire una vera e propria “Economia della Vita”, non
dissimile, ma nemmeno tanto eguale, alla “BioEconomia” elaborata da Nicholas Georgescu-Roegen.
Una riflessione sul fatto che il modo di produzione
definito come post-fordista aveva, nell’ultimo ventennio del secolo scorso, velocemente invaso anche
quelle aree meridionali più arretrate1 prossime ad un
declino fatto di desertificazione ambientale e di marginalizzazione socio-economica. E ciò ragionando in
quell’ottica innovativa connessa alla rivoluzione informatica e tecnologica (compatibile con le risorse
locali del Mezzogiorno?) in cui le macchine svolgevano un ruolo secondario a vantaggio del capitale
umano, delle regole organizzative e della velocità
dell’informazione. Una riflessione che tentava di
analizzare, sempre nel Mezzogiorno e attraverso gli
strumenti
economici
standard,
la
rottura
dell’equilibrio territorio-produzione. Rottura che,
nelle aree deboli ed interne, si manifestava (e conti-
3
Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007
Economia e Ambiente
(questione rifiuti in Campania), gli effetti – tendeva e
tende a ripristinare lo stato di partenza non ponendosi
il problema di ricomporre l’equilibrio territorio–
produzione. Un meccanismo che, scherzosamente,
ma non troppo, giustifica pienamente l’opera (Produzione di merci a mezzo di merci) di Piero Sraffa che,
volta a dare risposte al quesito non pienamente risolto della trasformazione dei valori in prezzi, calza perfettamente con il nostro caso. Infatti, non siamo in
una realtà in cui non sarebbe sbagliato parlare di
produzione di frane a mezzo di frane, di produzione
di monnezza a mezzo monnezza, di produzione di
camorra a mezzo camorra e di sicura obesità a mezzo di sicuri alimenti?
Rispetto ad un simile quadro l’economia standard,
comprensiva di quella componente economicoagraria
irretita
nella
camicia
di
forza
dell’impostazione neoclassica e del sottostante approccio meccanicistico, non forniva una strumentazione adeguata ad indagare sulle determinanti della
Articoli
rottura dell’equilibrio territorio-produzione. Cosa non
più vera quando l’Economia Agraria recupera la sua
implicita e latente autonomia culturale e scientifica
compresa nei suoi fondamenti teorici volti ad
un’analisi dell’evoluzione del rapporto uomo natura
ponendo al centro la fotosintesi clorofilliana. Il più
importante processo naturale di creazione ed accumulazione di energia, necessaria alla vita del pianeta, e
che permea l’analisi economico-agraria, tanto, sul versante dei rapporti di produzione4 insiti nelle unità produttive, quanto, su quello di come queste ultime si relazionano con il proprio territorio e microclima di appartenenza. In realtà nei fondamenti dell’Economia
Agraria – descritti magistralmente da alcuni grandi
studiosi della disciplina come ad esempio Arrigo Serpieri ed Emilio Sereni – e nelle peculiarità del processo produttivo agricolo – si veda Giorgio Nebbia nel n°
6 del 2006 di tale Rivista – hanno sempre implicitamente dominato, in un’ottica sistemica, ma complessa, il paradigma organicistico e l’approccio olistico.
Sopra: un bosco in autunno
Nella pagina a fianco: un torrente in campagna
4
Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007
Economia e Ambiente
Articoli
5
Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007
Economia e Ambiente
Articoli
Dall’altro lato tali questioni riguarderanno, quale
branca della BioEconomia (o Economia della Vita),
gli aspetti della fisica connessi alla termodinamica
nelle accezioni elaborate da Georgescu-Roegen che
sostanzialmente curano la fase catabolica del ciclo
energetico7. In pratica si tratta di approfondimenti per
i quali la fotosintesi clorofilliana (fase anabolica) alimenta lo stato patrimoniale, quindi l’accumulazione
di capitale, di un bilancio energetico che vede
nell’entropia dei processi produttivi (fase catabolica)
il conto economico derivante dalle utilizzazioni energetiche.
Una questione teorica questa appena accennata
che è fortemente legata alla concezione di capitale
dell’Economia Standard che include la quasi totalità
delle “teorie economiche”evolutesi nel corso dei
tempi: da quelli successivi alla nascita del capitalismo fino ai giorni nostri. Si tratta di questo: in tali
teorie, compresa quella marxiana, il capitale alla pari
degli altri fattori produttivi è stato concepito come
fatto meccanico e quindi spiegato da concezioni sostenute dall’approccio deterministico (o dal paradigma meccanicistico) che perde gran parte della sua
capacità interpretativa dei fenomeni economici , e
non solo, quando il capitale è di origine biologica e
naturale (animali, piante, minerali ecc.). Cosa,
quest’ultima, che emerge con maggiore spessore nella teoria marxiana, dove giustamente s’individua
l’origine del plusvalore nella capacità dell’uomo (intesa come fattore variabile della produzione) di trasformare l’energie acquisite in un surplus di energie
erogate (con un salario di 4 ore di lavoro l’uomo è in
grado di produrre per 6 ore). L’uomo, di per se è
un’unità biologica, ma nel modello marxiano viene
reificato ad un’unità meccanicistica per renderlo omogeneo al capitale e per quantificare il livello di
sfruttamento della forza lavoro nel processo di produzione capitalistico. Cosa non più possibile nelle
produzioni in cui il capitale è di natura biologica (ciò
non riguarda solo l’agricoltura) e che al pari
dell’uomo nel processo produttivo può generare anche esso surplus energetico e di conseguenza plusvalore. Tutto ciò, come si può intuire, tratta delle rilevanti questioni teoriche rese ancor più complesse dai
nuovi modi di produzione dettati dall’Economia della
Conoscenza. Questioni che sono state appena accennate in quanto per molti aspetti esse hanno influenzato quella empirica lettura economica del territorio del
Mezzogiorno a cui prima si è accennato.
Un paradigma non dissimile, come descrive in modo
pregnante Romano Molesti (numero della rivista
prima citato), da quello ipotizzato da GeorgescuRoegen in conseguenza dei suoi ragionamenti sulla
termodinamica e l’entropia. Ragionamenti che lo
conducono a sostenere la tesi che il degrado
dell’energia da utilizzabile ad inutilizzabile, come
previsto dalle leggi della termodinamica riguardi anche
la
materia.
Un’intuizione
scientifica,
quest’ultima, che sta nelle cose della vita, che viene
evidenziata da un Economista “quantitativo” ma non
“determinista o meccanicista”, che non viene né respinta e né accettata dai fisici come quarta legge della termodinamica, che gli permette di cogliere, e non
dal versante della biologia ma della fisica, i principi
ispiratori dell’Economia Agraria,5 e che infine dà origine al distacco dalla Economia Standard di quella
branca volta a fondare la Bioeconomia. Un percorso
scientifico che, come sottolinea la presentazione del
1973 di Giacomo Becattini al volume di raccolta dei
più significativi saggi di Georgescu-Roegen,6 trova le
sue radici nella cultura mitteleuropea dell’Uomo che
gli permette di affrontare problemi di rilevanza epistemologica e «di far scorrere nuova linfa nei canali
piuttosto disseccati che collegano l’intuizione della
realtà con la sua riduzione a modello teorico. Un rinsaguamento che non và lasciato ai soli filosofi, sociologi o giornalisti, ma che venga portato avanti… da
economisti» nel solco tracciato dal nostro Autore.
Alcune “questioncine” teoriche e metodologiche
L’insieme delle considerazioni fin qui addotte
permetterebbero di azzardare due ipotesi: una di natura teorica; la seconda di natura empirica e volta ad
una lettura economica del territorio in cui
quest’ultimo – inteso nelle sue variabili naturali, socio/economiche e storico/istituzionali - gioca un ruolo prioritario nelle dinamiche produttive dei luoghi.
Le questioni di ordine teorico, che saranno oggetto di approfondimento in altre sedi, riprenderanno da
un lato un aspetto in precedenza accennato e riguardante quella branca dell’Economia della Vita (o BioEconomia) – quale rinnovamento dell’Economia Agraria – volto allo studio della biologia ed innanzitutto della fotosintesi clorofilliana che origina quella fase anabolica della rigenerazione dell’energia con il
suo relativo accumulo nel pianeta per gli usi futuri.
6
Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007
Economia e Ambiente
Una lettura che si sta oramai conducendo dagli inizi del nuovo secolo attraverso la Matrice Sviluppo Declino, Espansione – Stasi e che è un tentativo di
mettere a punto uno strumento in grado di analizzare
i legami tra territorio, ambiente (fisico e sociale) e
produzione definendo quattro principali traiettorie
evolutive in cui sono allocabili i vari contesti territoriali. Uno strumento che potrebbe completare
l’analisi economica del distretto e dei sistemi produttivi locali dove gioca un ruolo prevalente il capitale
umano che, maturato nelle tradizioni della storia locale, garantisce l’integrazione territorio-produzione
dal solo versante socioistituzionale. Manca, viceversa, il ruolo del Biocapitale che integra anche la componente fisicoambientale del territorio nella produzione.
Articoli
marcano ambedue una stagnazione economica ( o
decrescita) che nel caso della Stasi si coniuga con
una persistenza dell’integrazione tra territorio e
produzione (presenza di ordinamenti produttivi diversificati, plurisettoriali, multifunzionali e tradizionali) e che, viceversa, in quella del Declino con
un forte squilibrio (se non addirittura la dissoluzione del rapporto) dell’integrazione territorio produzione alimentando la perversa combinazione tra
marginalizzazione economico-sociale e desertificazione ambientale.
Lo sviluppo in questa impostazione è distinto fortemente dalla semplice crescita economica e riguardando innanzitutto l’equilibrio tra il territorio ed il
processo produttivo, non ha bisogno di essere aggettivato come sostenibile o con altro termine analogo,
MATRICE SVILUPPO – DECLINO
CRESCITA ECONOMICA
2
-4
+
1
ESPANSIONE
SVILUPPO
(CRESCITA SENZA
INTEGRAZIONE)
(CRESCITA CON
INTEGRAZIONE)
0
+
3
DECLINO
STASI
(Marginalizzazione Desertificazione)
(INTEGRAZIONE SENZA
CRESCITA)
(MANCANZA DI CRESCITA E
DI INTEGRAZIONE)
INTEGRAZIONE TERRITORIO – PRODUZIONE
La matrice8 è stata costruita utilizzando due variabili l’Integrazione Territorio-Produzione e la Crescita Economica. Ogni parte dello schema sotto riportato evidenzia “le traiettorie evolutive” che si affermano nei vari contesti territoriali. Questi ultimi
sono riconducibili a quattro tipologie di base.
La prima è identificata come area di reale sviluppo perché abbina i valori positivi della crescita
economica e della integrazione territoriale. La seconda, di semplice espansione, con integrazione territorio/produzione negativa e crescita economica
positiva.
Le restanti traiettorie (parte bassa dello schema)
qualora lo si persegua. Si tratta di un’idea di sviluppo
che non deriva da un ragionare coi paraocchi del
meccanicismo come spesso fanno anche componenti
importanti dell’Economia Ambientale. Un idea che
rifugge dal riduttivismo culturale volto ad identificarlo tout-court con la crescita economica, ma anche da
quello volto a negarlo come categoria analitica
dell’economia e della sociologia9. Dal punto di vista
dell’Economia della Vita (o BioEconomia) questi
due modi di concepire lo sviluppo rappresentano le
facce di una stessa medaglia coniata dalla cultura
economicistica, sia sul versante della sua accettazione
(la crescita prima di tutto) che su quello che a parole
7
Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007
Economia e Ambiente
Articoli
8
Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007
Economia e Ambiente
la respinge (la decrescita come salvezza del pianeta).
Indubbiamente di quest’ultima tesi sono condivisibili
molte analisi riguardanti i tragici destini ambientali e
sociali del mondo attuale. Ciò che invece non convince è una proposizione – vigorosa, e forse metafisica – di «decostruzione del pensiero economico» e
dell’economia per liberare il mondo dalla crescita,
dalla povertà, dai tenori di vita incompatibili con la
vita del pianeta.. E nell’ansia di liberarsi, giustamente, dagli effetti perversi del mercato e della connessa
competitività sulla società, non si riconosce che
l’oggetto d’indagine dell’economia è la produzione
ed il consumo realizzati nei vari contesti ambientali
dominati da modi di produzione storicamente determinati.
Una risposta a questo ultimo problema non può
certamente essere dato dalle precedenti concezioni
economicistiche che tendono a confondere lo sviluppo con la crescita e la stasi con il declino. Viceversa
l’introduzione nell’analisi economica del territorio
come variabile socio-ambientale (ed analizzabile con
gli strumenti della Bioeconomia) permette
d’individuare ex-ante le traiettorie evolutive dei diversi contesti e su di esse ipotizzare le conseguenti
politiche di programmazione secondo un modello10 –
definibile come So.In.Pro.Re (Sostegno, Integrazione, Promozione e Recupero) – in grado di orientare
allo sviluppo, nell’accezione bioeconomica, le macroaree regionali ed interregionali attraverso interventi tesi:
a) al Sostegno delle aree sviluppate;
b) all’Integrazione dell’espansione produttiva con
le risorse del territorio nelle aree di sola crescita11
c) alla Promozione della crescita delle aree di stasi
economica, ma che conservano ancora un sufficiente
equilibrio ambientale;
d) al Recupero dello sviluppo nelle aree di declino
socio-economico ed ambientale ricostituendo prima
le risorse territoriali da integrare, poi, con la crescita
produttiva.
Il So.In.Pro.Re, come è intuibile, nella sua impostazione, ha dei significativi punti di distinzione rispetto ai modelli delle “Politiche Standard”. Innanzitutto l’individuazione di quattro traiettorie evolutive
fa aumentare il numero dei sistemi territoriali su cui
intervenire, mentre allo stato attuale il tutto si riconduce ad una distinzione tra aree in crescita e non.
Articoli
In secondo luogo la natura degli interventi tende a differenziarsi ed a divenire più complessa sui
versanti delle politiche strutturali. Così, il lavoro,
le tecnologie, la ricerca e le imprese, non possono
essere considerate “neutrali ed oggettive” rispetto
al perseguimento dello sviluppo come qui inteso.
Per cui una crescita produttiva che non tiene conto
dell’equilibrio territorio produzione e dell’uso delle risorse endogene genera incompatibilità ed alta
entropia, come è avvenuto per gran parte delle politiche economiche, e non solo nelle regioni meridionali.
Infine necessità di una nuova impostazione delle politiche di coesione della UE non ancorate unicamente alle variazioni del PIL e da questo far discendere l’iter programmatico, i principi di attuazione, i meccanismi di gestione, i criteri di valutazione e la misurazione dei risultati ottenuti. Il
So.In.Pro.Re è in realtà un complesso modello di
politica economica ma è forse quello più adatto per
uscire dal perverso binomio della crescita senza
sviluppo e per andare incontro ad un futuro Europeo
«orientato ad una Bioeconomia da capitalizzare nella tecnologia dell’informazione ed in grado di promuovere il passaggio verso stili di vita sostenibili»,
così come recita il documento UE «Oltre Lisbona e
l’Ottavo programma quadro:quale futuro per
l’Europa?».
La Realtà del Mezzogiorno
nella lettura bioeconomica
I ragionamenti sin qui esposti e gli strumenti
d’indagine messi a disposizione dalla Bioeconomia
sono stati utilizzati per analizzare da un nuovo versante le dinamiche evolutive dell’Economia del
Mezzogiorno Dinamiche che, esaminate prevalentemente con lo studio degli andamenti macroeconomici desunti dall’uso delle categorie analitiche
dell’economia standard, non riescono a catturare gli
effetti di quella relazione tra andamenti economici
ed equilibrio territorio produzione. Tentativo che
viceversa è in atto in significative realtà del Mezzogiorno e che la sottostante tabella riepiloga12 fornendo dei dati impressionanti.
Nella pagina a lato: vite selvatica
9
Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007
Economia e Ambiente
Articoli
10
Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007
Economia e Ambiente
Articoli
Distribuzione % delle Superfici Territoriali tra le diverse Traiettorie 2005
Traiettorie
Sviluppo
Espansione
Stasi
Declino
Totale
Basilicata
8,90
24,31
30,77
36,02
100,00
Campania
4,20
33,50
34,50
27,80
100,00
Molise
7,15
30,02
28,18
34,65
100,00
Mezzogiorno
5,73
29,47
32,59
32,21
100,00
Fonte: ns. Elaborazioni su dati Istat, Union Camere ed indagini di campo
Innanzitutto va sottolineato che nei casi presi in
considerazione è altissima la superficie a rischio desertificazione e marginalizzazione (più del 30%
dell’intero territorio meridionale) e che ciò rende più
precaria la condizione delle aree interne con ricadute
nefaste su quelle ricche di pianura (le perenni frane
come quella di Sarno). In secondo luogo va rilevato
che è bassissima e quasi irrilevante la percentuale
delle aree di sviluppo, con l’aggravate che sotto
l’incalzare della concorrenza internazionale, molti di
questi territori sono entrati in stasi economica (sistema locale del divano lucano). In terzo luogo si constata che è consistente la percentuale (non distante
dal 30%) dei territori – maggiormente concentrati nei
Sopra: un gregge al pascolo
Nella pagina a fianco: frutti autunnali
11
Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007
Economia e Ambiente
sistemi metropolitani ed urbani della Campania – di
sola espansione economica e ricchi d’emergenze
ambientali (dai rifiuti alle frane, al dissesto urbano) e
sociali (dalla mancanza di servizi alla insalubrità ed
alla criminalità). Infine bisogna registrare che non è
per niente insignificante la quota (più del 32% nel
Mezzogiorno) dei territori che si trovano in stasi.
Questi ultimi sono dei territori a cui bisogna accordare massima attenzione e promuovere delle politiche particolarmente adatte alle loro esigenze. Essi
sono legati ad un filo di lana che rinforzato li può
facilmente collocare nelle traiettorie di sviluppo e
che, viceversa, rotto li può altrettanto facilmente far
scivolare verso la desertificazione e la marginalizzazione.
Anche da questi dati e da questa nuova angolazione emerge un Mezzogiorno profondamente differenziato che esprime per i suoi territori sostanzialmente
due domande di politica economica e territoriale.
Una di “crescita economica” che in totale riguarda
circa il 65% dei propri territori (quelli collocati nella
parte bassa della matrice) e che per una buona metà
investe le aree di stasi, necessitanti di sola crescita, e
per l’altra metà le aree di declino che richiedono anche il recupero e la rigenerazione delle risorse endogene (risorsizzazione). La seconda domanda,
“d’integrazione,” negli equilibri tra ambiente e produzione, in totale viene espressa da circa il 62% dei
territori e precisamente quelli collocati alla sinistra
della matrice. Quelli caratterizzati dalla espansione
economica (più del 30%) avanzano una sola domanda d’integrazione territoriale che non raramente
va intesa come vera e propria “decrescita” di quei
consumi ad alta incompatibilità con la salubrità umana ed ambientale. Viceversa, tale domanda
d’integrazione territoriale nei contesi di declino va
coniugata con una politica della crescita, come già
sottolineato in precedenza.
In realtà a tali domande dei territori del Mezzogiorno non si è quasi mai risposto – specialmente nel
ciclo 2000/2006 di programmazione della UE per le
aree dell’Obiettivo 1 – con un’adeguata offerta delle
politiche strutturali. Una inadeguatezza che, dettata
da una volontà politica volta alla sola crescita del PIL
e non a generare sviluppo, ha permeato tutte le fasi
del processo di programmazione delle politiche:
dall’ideazione iniziale, imperniata su analisi scarsamente esplicative dei bisogni del territorio,
all’attuazione finale, dove sono stati incentivati ser-
Articoli
vizi ed investimenti non sempre compatibili con le
risorse endogene e non raramente generatori di spreco. Tutto ciò non ha permesso alle popolazioni meridionali di colmare la distanza dei propri redditi procapite (16.600 € anno) da quelli medi europei
(24.000 €). Non si è realizzato, così, l’efficacia della
spesa in direzione dello sviluppo, e neanche come
auspicato e previsto, in direzione della crescita del
PIL, sebbene ci sia stato un’efficienza a spendere
gran parte dei fondi disponibili. Si è praticamente
sprecato molto! Ed i motivi? Molti! Ma prima di tutto una classe dirigente, con l’annesso ceto politico,
eccessivamente arrogante e fortemente dipendente da
culture esogene incompatibili e penalizzanti per il
Mezzogiorno e le sue popolazioni. Sono in arrivo,
con il nuovo ciclo di programmazione della UE
2007/2013, 21 miliardi di euro. I modelli di spesa che
si stanno attrezzando e le analisi che stanno sostenendo tali modelli non lasciano intuire un cambiamento di rotta in direzione dello sviluppo
nell’accezione bioeconomica. Al contrario ci si batte
sempre di più per la crescita al fine di preparare –
forse inconsapevolmente data la dipendenza da
un’egemonia culturale esogena – quel terreno di
messi per le metaforiche cavallette di Rossi-Doria,
che ai suoi tempi depredavano il Mezzogiorno
d’Italia, alimentando la «Questione Meridionale» ed
oggi depredano i Mezzogiorni d’Europa alimentando
una «Questione EuroMeridionale».
Sergio Vellante
Sergio Vellante è prof. ord. di Bioeconomia e Sviluppo
Rurale nell’Università degli Studi della Basilicata
[email protected]
NOTE
1
Si pensi agli effetti nefasti della cerealicoltura integralmente meccanizzata ed informatizzata nelle aree calanchive del Mezzogiorno tesa a sfruttare fino al collasso geoambientale le riserve dei suoli.
2
«Ho usato il termine “macdonaldizzazione” – dice George Ritzer, Il mondo alla Mcdonald’s, il Mulino, 1997. Edizione originale: The McDonaldization of Society. An Investigation into the Changing Character of Contemporary
Social Life, Pine Forge Press/A Sage Publications
Company, 1996 – per descrivere il processo con cui tali
princìpi si sono diffusi in tutta l’industria del fast food, in
altri settori della società americana e in misura crescente in
12
Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007
Economia e Ambiente
altre società del mondo. L’enorme popolarità di questo modello riflette il fatto che ha molto da offrire, ma comporta
anche una serie di problemi, tra cui l’eccessiva importanza
data alla velocità e alla quantità a scapito della qualità, lo
scarso o nullo interesse per beni e servizi unici e la riduzione, fino all’eliminazione, della manodopera specializzata.
Implicazioni di espressioni quali “fast food” e “cibo spazzatura”, sono solitamente associati a tale processo». Nei fatti si
tratta di strategie aziendali che, dando per scontato la saturazione alimentare e l’opulenza degli stili di vita delle popolazioni dei paesi del primo mondo, offrono a prezzi accessibili il cibo – standardizzato, sempre più artificializzazato
(modifica fisico chimica dei componenti originari) ed energeticamente eccedente i fabbisogni nutrizionali (insalubrità
del sicuro alimento) – ed altri consumi primari.
3
Il modello Mac Donald, di ristorazione collettiva ha pervaso anche i consumi alimentari domestici che si fanno pervenire sul tavolo della gran parte dei consumatori attraverso la
GDO (grande distribuzione organizzata)in cui domina il
gruppo francese della Carrefour. Di qui l’idea di carrefourizzazione che comporta la distribuzione su larga scala ed a
prezzi contenuti, per imballaggi che curano solo gli aspetti
estetici del marketing ma di scarsa qualità rispetto alla biodegradabilità, il riuso, il riciclaggio e l’incenerimento dei
rifiuti. Tutto ciò si manifesta in modo più accentuato dove
dominano – come nel Mezzogiorno – redditi pro-capite più
bassi rispetto alla media europea. Ed innanzitutto ciò che fa
di Napoli la capitale europea per l’obesità dei bambini (e
non solo) e per la produzione dei rifiuti.
4
I rapporti di produzione, non fanno parte della nomenclatura dell’Economia standard. In essa si parla di combinazione tra i fattori terra, capitale e lavoro depurando, appunto, i rapporti di produzione dagli aspetti sociali e di relazione con il territorio in essi compresi.
5
«…non esiste alcun parallelismo fra la legge della scala
di produzione nell’agricoltura e quella dell’industria. È
sempre possibile coltivare il grano in un vaso o allevare
galline in un minuscolo cortile, mentre nessun dilettante
potrebbe costruirsi un’automobile con i soli strumenti della sua officina. E allora, perché mai la dimensione ottima
in agricoltura dovrebbe essere quella di una gigantesca
fabbrica all’aria aperta? In secondo luogo, il ruolo del fattore tempo nelle due attività è completamente diverso. Il
tempo necessario per tessere un braccio di panno può essere abbreviato per mezzo di congegni meccanici, ma nessuno è riuscito finora a abbreviare il periodo di gestazione
nell’allevamento del bestiame, o (in una misura significativa) quello di maturazione delle piante. Inoltre l’attività
agricola è vincolata a un ritmo non derogabile, mentre
nell’industria si può benissimo rimandare a domani quel
che abbiamo deciso di non fare oggi. Infine, esiste tra i due
settori una differenza che tocca alle radici la molto discussa legge dei rendimenti decrescenti. Per gli usi industriali,
Articoli
l’uomo è riuscito a imbrigliare una fonte di energia dopo
l’altra, dal vento all’atomo, ma per quanto riguarda il tipo
di energia necessario per la vita stessa, egli dipende ancora
interamente dalle fonti più «primitive», gli animali e le
piante che ha d’intorno. Queste brevi osservazioni bastano
a spiegare non solo il perché della differenza fra la filosofia dell’uomo dedito all’agricoltura e quella del cittadino,
ma anche l’impossibilità di includere sotto una stessa legge l’agricoltura e l’industria. Oggi come oggi, la questione
se le future scoperte scientifiche potranno ridurre la vita al
denominatore della materia inerte rimane estremamente
controversa, e non meno speculativa.» pagg. 164 e 165 in
Nicholas Georgescu-Roegen, Analisi Economica e Processo Economico, nella collana Sansoni Saggi edita da
S.C.Sansoni S.P.A Firenze 1973.
6
Op. cit. nota 4.
7
In una recente intervista lasciata al Corriere Economia,
inserto del Corriere della Sera di lunedì 24 settembre ‘07,
Rifkin, oracolo dell’energia all’idrogeno, ha vaticinato che
gli allevatori di bestiame, come è nella verità delle cose,
inquinano più dei trasporti. E di conseguenza propone
un’ecotassa sulla carne per scoraggiarne i consumi. Sebbene non sia necessario conoscere la distinzione tra anabolismo e catabolismo energetico, Rifkin dovrebbe saper, o
quanto meno dedurre, che gli allevamenti allo stato naturale sono ad entropia 0 e che in tale stato contribuiscono
all’accumulo di energia nel pianeta. Viceversa è
l’intensificazione e la concentrazione degli allevamenti in
luoghi ristretti e la loro gestione che, fatta attraverso reti
non dissimili da quelle previste con la diffusione della sua
energia all’idrogeno, genera oltre all’inquinamento anche
debilitanti attentati alla salute umana come nel caso della
BSE, peste suina e aviaria tanto per richiamare quelli più
alla moda. Quindi il problema non è nella carne ma nel
modo di produzione dominante che una semplice tassa
non riuscirà mai a sgominare.
8
Tale strumento, utilizzato per la prima volta in una ricerca
finanziata dalla Regione Basilicata all’omonima Università
e finalizzata a definire delle politiche di sviluppo imperniate sull’uso pieno delle risorse endogene, e descritto in
S. Vellante (a cura di), Mezzogiorno Rurale Risorse Endogene e Sviluppo: Il Caso Basilicata Donzelli Editore (2002)
9
Come è evidente nell’opera di Serge Latouche:
L’Invenzione dell’Economia: L’artificio culturale della naturalità del Mercato, Arianna Editrice, Bologna 2002; Come
Sopravvivere allo Sviluppo, Bollati-Boringhieri, Torino
2005; La scommessa della decrescita, Feltrinelli 2007.
10
Questa parte dell’articolo e la successiva tabella fanno
riferimento al lavoro di S. Vellante, I Paesaggi Euromediterranei Del Mezzogiorno Rurale Nelle Dinamiche Regionali Di Sviluppo. In F. Marangon (a cura di), Gli Interventi Paesaggistico-Ambientali nelle Politiche Regionali di Sviluppo Rurale. Franco Angeli 2006
13
Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007
Economia e Ambiente
11
Articoli
12
In realtà impostare una politica di decrescita come suggerisce Latouche ha significato soltanto per quei territori
appartenenti alla traiettoria della crescita. E viceversa non
ha nessuna ricaduta per quei contesti di stasi economica,
ma integrati territorialmente, e per quelli in via di marginalizzazione socio-economica e desertificazione ambientale
in cui la crescita economica significa attivazione di processi produttivi in grado recuperare compatibilmente le
risorse endogene.
La tabella distribuisce percentualmente i territori regionali tra le diverse traiettorie evolutive, riepiloga la situazione al 2005 per tre regioni oggetto di studio e stima un
dato medio per il Mezzogiorno continentale sulla base di
prime rivelazioni relative alle restanti regioni qui non comprese. I dati, vanno presi con le dovute cautele e scontano
il fatto che ad ulteriori ricalibrature potrebbero subire delle
leggere variazioni.
14
Estratto «Economia e Ambiente», Anno XXVI - N. 6 Novembre-Dicembre 2007