1 Roma, 16 settembre 2015 Prot. n. 101/2015/RS/rb Ai

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Roma, 16 settembre 2015
Prot. n. 101/2015/RS/rb
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LORO SEDI
All. 3
Oggetto: Legge 210/92 Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da
complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni
e somministrazione di emoderivati.
1. Retroattività dei termini di decadenza (Corte Cassazione Sezioni Unite
15352/2015 e 15353/2015).
2. Termine perentorio proposizione azione giudiziaria (Corte Cassazione Sezioni
Unite 15687/2015).
Sommario:
1) Il termine triennale di decadenza in caso di contrazione di epatite postoperatoria, opera anche nel caso in cui il contagio sia avvenuto in data
antecedente l’entrata in vigore della legge n. 238/1997 che l’ha previsto e
decorre da tale data.
2) Il termine di un anno per la proposizione del ricorso giudiziario è
perentorio.
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Care compagne, cari compagni
La legge 210/92, come noto, prevede un indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da
complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e
somministrazione di emoderivati. Nella sua prima stesura la norma indicava termini
perentori per la proposizione della domanda solo in caso di vaccinazioni (3 anni) e
infezioni da HIV (10 anni), termini che decorrono dal momento in cui l'avente diritto risulta
aver avuto conoscenza del danno; mentre, nessun limite temporale era previsto, invece,
nel caso di epatiti post – trasfusionali, introdotto, solo successivamente, dall’art. 1 legge n.
238 del 1997 (Modifiche ed integrazioni alla l. 25 febbraio 1992, n. 210), che ha esteso il
termine perentorio triennale di decadenza anche ai soggetti emotrasfusi.
Il non esplicito inserimento di termini decadenziali perentori ha comportato negli anni, in
seno alla Cassazione, due diversi filoni interpretativi, contrapponendo la tesi del carattere
ordinatorio della norma (10 anni) a quello perentorio (3 anni) per la proposizione della
domanda.
Con la sentenza 10215/2014 i giudici di merito ritengono che “una nuova legge non può
essere applicata, non solo ai rapporti esauriti prima della sua entrata in vigore, ma anche a
quelli sorti anteriormente ed ancora in vita qualora l’applicazione determini il
disconoscimento degli effetti, già verificatesi del fatto passato ovvero finisca per privare di
efficacia, in tutto o in parte, le conseguenze attuali e future di esso”.
In sostanza non trovano spazio le ragioni in base alle quali il termine decadenziale,
previsto dalla normativa del 1997, avente carattere eccezionale, non riguarderebbe le
ipotesi di epatite contratta in precedenza, poiché il diritto all’indennizzo a essa
conseguente sarebbe già entrato nel patrimonio del danneggiato e, in quanto tale,
andrebbe sottoposto all’ordinario termine di prescrizione decennale.
Questo a significare che, qualora l’epatite post-trasfusionale sia stata contratta o si sia
avuto conoscenza del danno prima della modifica normativa (28 luglio 1997), la domanda
è proponibile nell'ordinario termine di prescrizione decennale, ovviamente, a decorrere dal
momento in cui l'avente diritto ha avuto conoscenza del danno; se, invece, la conoscenza
del danno è successiva all'entrata in vigore della legge 25 febbraio 1997 n. 238, si applica
il termine triennale di decadenza dalla stessa prevista.
Di tutt’altro tenore la sentenza di Cassazione 13355/2014 dove i giudici di merito, pur
condividendo la tesi per cui l’introduzione di un termine di decadenza, da parte del
legislatore, non può avere un effetto retroattivo, hanno ritenuto necessario: “Bilanciare da
una parte la tutela dell’interesse del privato, dall’altra l’esigenza di garantire l’efficacia del
fine sollecitatorio che la previsione del termine persegue”.
Ponendosi in “consapevole” contrasto, affermano che il termine triennale di decadenza per
il conseguimento della prestazione indennitaria per epatite post trasfusionale contratta
antecedentemente alla L. del 25 luglio 1997, n. 238, decorre dall’entrata in vigore, ossia il
28 luglio 1997.
Tale posizione trae origine dall’art. 252 (attuazione del codice civile), relativo
all’abbreviazione dei termini, al quale, secondo la Corte di merito, va attribuito valore di
regola generale: “quando per l’esercizio di un diritto il codice stabilisce un termine più
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breve di quello stabilito da leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all’esercizio dei
diritti sorti anteriormente e alle prescrizioni e usocapioni in corso, ma il nuovo termine
decorre dalla data di entrata in vigore della nuova legge”.
Le due sentenze si pongono in posizione del tutto contrapposta e danno seguito, ciascuna
di loro, a orientamenti giurisprudenziali che seppur in tempi diversi hanno avuto
consistente seguito.
Tale contrasto ha comportato l’intervento delle Sezioni Unite che con sentenza
15352/2015 confermano questo secondo orientamento, evidenziando che i principi
generali dell’ordinamento in materia di termini impongono che in caso d’introduzione di
un termine di decadenza che prima non era previsto, la relativa disciplina ha
efficacia generale, con l’unica differenziazione riguardante il momento di decorrenza.
Il termine di prescrizione triennale è dunque applicabile anche per i casi di
contrazione di epatite post-operatoria anche precedenti al 1997, e parte dal
momento in cui il paziente viene a conoscenza di soffrire della patologia.
La Cassazione ha ulteriormente stabilito che questo termine si applica a
tutte le domande presentate dopo la sua introduzione, avvenuta con legge
25 luglio 1997, n. 238, entrata in vigore il 28 luglio 1997.
Qualora però la conoscenza del danno sia anteriore rispetto al 28 luglio
1997, i tre anni decorrono da quest’ultima data.
Se la conoscenza è invece posteriore all’introduzione del termine, la
richiesta è ammissibile solo se inviata o protocollata entro tre anni dalla
conoscenza del danno.
Sempre in tema di perentorietà dei termini, si è espressa la Cassazioni a Sezioni Unite
con la sentenza 15687/2015.
L’art. 5 comma 3 della legge 210/92 dispone:” E' facolta' del ricorrente esperire l'azione
dinanzi al giudice ordinario competente entro un anno dalla comunicazione della
decisione sul ricorso o, in difetto, dalla scadenza del termine previsto per la
comunicazione”.
Per legge, quindi, i termini per la proposizione del ricorso giudiziario sono un anno dalla
risposta amministrativa al ricorso gerarchico o un anno e tre mesi, qualora tale risposta
non sia stata fornita, dal ricorso gerarchico. Qualora, invece, il ricorso gerarchico non sia
stato presentato, il termine è di un anno dalla notifica del verbale della Commissione
Medica Ospedaliera (Cmo).
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Sulla perentorietà dei termini si era già espressa la Cassazione (sentenza 21081/2007)
chiarendo che in materia di legge 210/92 i termini sono di decadenza solo se la legge lo
dichiara espressamente e prevedendo la norma una “mera facoltà” il termine deve
intendersi ordinatorio e non perentorio e, pertanto, vale la prescrizione ordinaria del diritto
di dieci anni.
Nel 2012 la Cassazione (sentenza 1272/2012), ribaltando il precedente pronunciamento,
indica come perentorio il termine annuale per la proposizione del giudizio: “la ratio del
disposto dell'art. 5 della legge n. 210 del 1992 sia quella di limitare nel tempo il
riconoscimento del diritto all'indennità rivendicata dal ricorrente”. E’ evidente che si
consideri che essa risponde all'interesse della collettività di non procrastinare nel tempo le
decisioni in relazione a domande- come quella in oggetto- il cui esame ed il cui giudizio
sulla fondatezza devono scontare, oltre al tempo per l'esame in sede amministrativa del
ricorso (nel caso in specie i tempi previsti dall'art. 3 della legge n. 210 citata), anche quelli
davanti al giudice ordinario”.
Chiamate in causa le Sezioni Unite con sentenza n. 15687/2015, hanno definitivamente
chiarito che il termine di un anno previsto dall’art. 5 comma 3 della legge 210/92 ha natura
perentoria, sottolineando, inoltre, che nel citato articolo il legislatore ha indicato in modo
“rigido” i tempi in cui deve essere espletato tutto l’iter, fino alla proposizione del ricorso
giudiziario.
Un’eventuale opposizione al decreto del Ministero della salute, che rigetta la
domanda d’indennizzo, dovrà, quindi, essere impugnata avanti al giudice
ordinario entro un anno dalla sua ricezione.
Cari saluti
p./Il settore
(Roberto Scipioni)
p./il Collegio di Presidenza
(Silvino Candeloro)
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