La valutazione dei progetti imprenditoriali: i profili etici ed ambientali

La valutazione dei progetti imprenditoriali: i profili etici ed ambientali
Giulio Tagliavini, Università di Parma
La valutazione dei progetti imprenditoriali per la concessione del fido richiede molta attenzione e capacità di
analizzare l’azienda sotto molteplici punti di vista. Già la valutazione sotto il profilo prettamente economico è spesso di
estrema complessità, ma occorre dire che alcuni operatori aggiungono alla suddetta valutazione di base un ulteriore
approccio, volto a capire se il progetto di impresa sia meritevole sotto il profilo etico e/o sia accettabile sotto il profilo
ambientale. Alla valutazione sulle caratteristiche economiche, si aggiunge dunque una valutazione finalizzata a capire
se, sotto il profilo morale, il progetto di investimento sia meritevole di appoggio o se esso invece sia in contrasto con
regole di buon comportamento.
Le istituzioni finanziarie che maggiormente applicano criteri morali nella valutazione del fido sono le banche
etiche o, comunque, le banche con approccio orientato in modo spiccato alla responsabilità sociale. Banche di questo
tipo ne esistono ormai in tutto il mondo ed anche in Italia è in fase conclusiva un progetto di avvio della prima banca
etica nazionale. Le principali iniziative di questo tipo nel mondo sono la Triodos Bank in Olanda, la Oekobank in
Germania, la ABS in Svizzera, la South Shore Bank di Chicago, la Grameen Bank in Bangladesh. Si tratta di iniziative
molto interessanti in quanto si prefiggono di gestire l’attività di intermediazione in modo molto peculiare, facendo
attenzione a quelle iniziative imprenditoriali e sociali che sono particolarmente meritevoli di appoggio per le ricadute
sulla collettività. Si tratta di progetti di sviluppo del settore del non profit legate alla economia sociale, di iniziative di
microcredito per permettere lo sviluppo di aree molto povere dell’economia, di iniziative del settore profit che si
distinguano in modo particolare per le ricadute sulla collettività. Lo sviluppo della finanza etica è dunque pienamente
coerente con lo sviluppo del terzo settore, che progredisce in termini qualitativi e quantitativi in Italia ed in tutto il
mondo industrializzato. L’interesse per questi temi è ora notevolissimo anche in Italia.
Le banche tradizionali non hanno prestato, almeno in epoca recente, una particolare attenzione al terzo settore.
In linea di massima il banchiere giudica le iniziative con carattere sociale senz’altro molto meritevoli ma inefficaci come
strumento di produzione di ricchezza finanziaria e si rifiuta di finanziarle, o le finanza in modo marginale. L’esperienza
di varie banche etiche del mondo industrializzato dimostra invece che il terzo settore può essere una buona area d’affari,
con un grado di rischio effettivo contenuto e quindi con una più che accettabile combinazione rischio - rendimento.
Anzi, per il caso italiano, si riscontra un allontanamento di diverse banche dalle iniziative sociali, in conseguenza
dell’acuirsi della rilevanza degli obiettivi reddituali di breve termine, e quindi le necessità finanziarie del terzo settore
stentano a trovare interlocutori qualificati.
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Anche sul comparto del microcredito, l’attenzione da parte delle banche italiane non è eccessiva. Per
microcredito si intende il supporto di piccole iniziative imprenditoriali che spesso hanno la possibilità di fare uscire
dalla povertà i proponenti e i loro famigliari. I prestiti del tipo microcredito sono stati una area molto interessante per le
banche italiane nella fase del loro sviluppo ma ora, raggiunto lo stadio della maturità, le banche tendono a ritenere il
microcredito troppo rischioso in rapporto alle prospettive di reddito offerte. Nel mondo industrializzato ed in quello in
via di sviluppo vi è un interesse enorme per questi temi. Il summit sul microcredito del 1997, tenuto a Washington sotto
il patrocinio del Presidente degli Stati Uniti, ha sottolineato come questa sia la strada per fare uscire dalla povertà molti
paesi in via di sviluppo e, per quanto riguarda i paesi industrializzati, per affrontare la grave situazione di progressivo
allargamento della distanza tra cittadini benestanti e cittadini poveri. I criteri di valutazione del fido nel microcredito
sono molto particolari e richiedono professionalità specifiche. In sintesi, si può dire che nel microcredito è rilevante la
personalità e la determinazione morale del finanziato rispetto alle caratteristiche oggettive del progetto, che spesso non
sono compiutamente monitorabili.
Per chi si specializza nel finanziamento delle iniziative con forti ricadute sociali occorre, in generale,
predisporre attenti criteri di valutazione del fido. In estrema sintesi, si possono suggerire le seguenti osservazioni:
1.
la meritevolezza sociale del progetto non può in alcun caso consentire un finanziamento insicuro sotto il profilo
economico – finanziario;
2.
la valutazione del profilo etico deve essere effettuata in modo “partecipato”, in modo che i promotori della banca o
le relative forze culturali di riferimento possano esprimersi sui criteri e sulle metodologie di analisi della
meritevolezza etica;
3.
i criteri etici di valutazione del fido devono, in buona parte, essere precisati ex-ante, in modo da indirizzare una
coerente politica degli impieghi ed evitare di giustificare sotto il profilo etico ogni iniziativa;
4.
una parte importante della istruttoria etica si rivolge alla valutazione della natura e delle caratteristiche istituzionali
dell’ente da finanziare piuttosto che del progetto in corso di avvio.
L’integrazione tra la valutazione economico – finanziaria e la valutazione etica non è certo semplice. Il rischio
è che iniziative particolarmente meritevoli sotto il profilo morale finiscano per attirare finanziamenti non congrui alle
prospettive finanziarie ed in questo caso l'attività bancaria inevitabilmente si trasforma in beneficenza. Naturalmente
anche la beneficenza ha molti meriti e deve essere guardata con il dovuto rispetto, ma certamente non deve essere
confusa con una attività bancaria specificatamente rivolta alla dimensione etica delle iniziative finanziate. La sfida che
coglie il banchiere etico sta proprio su questa questione: effettuare attività finanziaria in condizioni di economicità con
l’obiettivo di perseguire gli obiettivi sociali che ci si è posti, senza dunque permettere che il capitale di pertinenza
finisca eroso operazione dopo operazione.
Il rischio dei finanziamenti al terzo settore è, nell’esperienza delle banche che si sono consolidate all’estero,
piuttosto contenuto. Giocano infatti a favore di queste iniziative i seguenti motivi:
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-
si tratta di iniziative che si concentrano in settori non particolarmente innovativi dal punto di vista
tecnologico o della formula imprenditoriale;
-
il contenuto imitativo è rilevante;
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gli investimenti iniziali sono contenuti ai minimi termini e ciò alleggerisce il fabbisogno finanziario;
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il costo del lavoro e la tassazione sono favorevoli;
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la gestione è più trasparente e la paura, dei promotori, di “perderci la faccia” è maggiore di quanto non sia
per un imprenditore for profit.
Per facilitare la valutazione del profilo etico delle iniziative imprenditoriali del terzo settore è certamente utile
l’iniziativa dell’Associazione italiana per la finanza etica, che ha proposto una bozza di carta d’intenti della finanza etica
finalizzata ad uniformare e razionalizzare le idee che, al riguardo, sono in realtà piuttosto diversificate presso i vari
interlocutori e lontane da una necessaria standardizzazione di base. La carta d’intenti propone interessantissime
riflessioni sull’impiego etico e sui criteri di valutazione più utili in questo campo. Questo documento, tuttavia, assume
una ottica specifica utile per un intermediario specializzato in questo settore e richiede diversi adattamenti per essere
utilizzata da intermediari tradizionali che, pure, vogliono introdurre la dimensione etica nella valutazione del fido. In
ogni caso, le banche che si occupano in modo specifico di iniziative sociali hanno la necessità di sviluppare un
comportamento di riferimento più rigido e strutturato rispetto a quelle che hanno un prioritario di reddito e ciò giustifica
lo sforzo di razionalizzazione in atto.
La valutazione etica riguarda sia le implicazioni del progetto in corso di istruttoria, sia le caratteristiche
generali dell’istituzione proponente. Il banchiere etico è interessato a valutare globalmente il richiedente, in modo da
avere indicazioni sulla filosofia complessiva che lo guida. Alcuni operatori della finanza etica, ad esempio, si
ripromettono di evitare differenziazioni eccessive nella politica di remunerazione del personale e, di conseguenza, si
rifiutano di finanziare aziende che presentino una eccessiva differenza tra lo stipendio più elevato e quello più
contenuto, anche se ciò non è connesso al progetto in corso di valutazione.
Per le banche tradizionali, che effettuano una attività di impiego con prevalente finalità di lucro, si pone il
problema di conciliare l’attività economica con il profilo della responsabilità sociale. E’ infatti da tutti accettato il
concetto che l’attività del banchiere, come di altri imprenditori, riceve benefici da una impostazione socialmente
responsabile, piuttosto che esclusivamente orientata alla massimizzazione del risultato. Il banchiere deve riuscire a fare
convivere i criteri economico-finanziari con la valutazione dei requisiti di accettabilità etica delle iniziative da
finanziare. La differenza è evidente: il banchiere etico cerca progetti meritevoli, il banchiere tradizionale con coscienza
sociale cerca progetti accettabili sotto il profilo etico. L’uno usa un criterio positivo, ossia cerca la presenza di
determinate caratteristiche meritevoli di attenzione; l’altro usa prevalentemente un criterio negativo, ossia cerca di
evitare i progetti con caratteristiche controproducenti sotto il profilo morale.
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L’applicazione di criteri negativi, di esclusione dal finanziare progetti con certe caratteristiche, è in linea di
massima più semplice rispetto all’applicazione di criteri positivi. L’utilizzo dei criteri negativi è molto vario e trova
diversa applicazione in relazione al grado di restrittività e di attenzione dell’operatore.
Importanti banche commerciali internazionali cominciano a porsi attentamente il problema del rischio
ambientale associato ai progetti imprenditoriali che stanno finanziando. Il rischio ambientale è principalmente legato
alla possibilità che l’azienda finanziata ha di causare un disastro ambientale, o di essere messa in difficoltà da
contestazioni riguardanti il suo contributo all’ambiente. I banchieri si sono accorti che molte imprese sensibili a questo
rischio, principalmente le imprese chimiche, possono subire dei veri e propri tracolli economici sulla base di motivi che
non erano in precedenza percepibili sulla base dei profili di analisi economico-finanziaria, ma che invece erano
percepibili sulla base di una istruttoria riguardante il rischio ambientale. Le imprese più esposte a tale rischio e più
evolute sotto il profilo degli strumenti di controllo hanno cominciato a pubblicare il “bilancio ambientale”, ossia la
descrizione della situazione in essere in tema di rischi e di provvedimenti di cautela che caratterizza l’azienda. Molto
interessante è, ad esempio, la lettura del bilancio ambientale di una grande azienda come l’ENI, che certamente ha come
fattore critico di successo il rapporto con il problema dell’inquinamento e della salute dei dipendenti. Il bilancio
ambientale di questa società analizza in dettaglio le politiche per la salute, dei dipendenti e della collettività, le politiche
per la sicurezza e quelle per il controllo delle emissioni nell’atmosfera e nelle acque. Il bilancio ambientale ENI è
giunto, con il 1997, alla sua terza edizione e la rilevanza del documento, anche al fine della valutazione del rischio del
finanziatore, è forse solo di poco inferiore a quella del bilancio tradizionale. Ci si deve aspettare, in coerenza con quanto
si registra all’estero, che nei prossimi anni si avrà un maggiore e progressivo interesse per il bilancio ambientale e per la
sua lettura nell’ambito delle valutazioni del banchiere.
Un recente convegno (Ambiente e finanza etica, Milano, 8 novembre 1997) ha sottolineato l’importanza per il
banchiere di una corretta percezione del problema. Il problema del rischio ambientale è molto più importante di quanto
non si possa immaginare ad una prima e sommaria analisi del problema e la valutazione del fido deve rapidamente
integrarsi con le metodologie disponibili per lavorare su questo fronte. Anche sulle tematiche ambientali l’approccio
delle banche commerciali rimane diverso da quello delle banche eticamente orientate. Le prime ragionano in termini di
rischio ambientale (si vuole evitare i pericoli di danno economico conseguente); le seconde vogliono finanziare progetti
che siano, nel breve o nel lungo termine, di miglioramento dell’ambiente, anche subendo qualche danno sotto il profilo
reddituale.
In conclusione, la valutazione etica della pratica di fido è un tema destinato ad attirare progressivamente
maggiore attenzione. Fino ad ora l’attenzione per essa non è stata in effetti accentuata, particolarmente in Italia, ma il
diffondersi di forme di risparmio alternativo ed il verificarsi di episodi di perdite conseguenti ai rischi ambientali sono
importanti fenomeni che incentivano l’interesse.
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