Indice 1. La struttura del sistema impositivo; 2. Il rapporto giuridico tributario; 3. Le principali fonti e principi del diritto tributario; 4. Le disposizioni dello Statuto dei diritti del contribuente; 5. L’autonomia dell’ente locale, con particolare riferimento a quella impositiva; 6. Le entrate tributarie della Provincia; 7. Le entrate tributarie del Comune. A cura di Claudio Carbone 1. La struttura del sistema impositivo italiano Premessa È tradizione per l’operatore pubblico (Stato ed Enti locali) realizzare gli obiettivi, di ordine sociale e personale, essenzialmente attraverso la spesa pubblica. Questa viene finanziata con il ricorso a diverse fonti quali ad esempio: la vendita del patrimonio esistente; le entrate derivanti da attività produttive; le forme di prelievo coattivo di denaro o di risorse reali; il ricorso a prestiti; e così via. La scelta della composizione delle entrate da destinare al finanziamento della spesa pubblica dipende, naturalmente, da un insieme di fattori che esplicano i loro effetti sull’efficienza dell’allocazione delle risorse nel Paese, sulla distribuzione del reddito e della ricchezza, sull’andamento del ciclo economico e sullo sviluppo del Paese. Tralasciando l’analisi completa delle citate fonti di finanziamento della spesa pubblica, e ponendo l’attenzione alle sole entrate di carattere tributario, sono utili alcune brevi considerazioni sul sistema tributario italiano. In primo luogo, per sistema tributario si intende il complesso organico di tutti i tributi vigenti in uno Stato in un determinato momento storico. Dalla definizione appena fornita, emerge chiaramente che quando si parla di sistema tributario occorre far riferimento ad un dato sistema politico e ad un definito momento storico. Infatti, l’assetto tributario è strettamente connesso all’evolversi delle strutture istituzionali, sociali ed economiche dei singoli Stati. In secondo luogo, va evidenziato che l’organizzazione amministrativa del sistema tributario statale, è stata e continua ad essere il risultato di una continua evoluzione normativa, volta all’attuazione di un processo di razionalizzazione e semplificazione degli obblighi impositivi. In particolare, in questo processo dinamico di semplificazione e di razionalizzazione del sistema tributario si colloca da ultimo la legge 7 aprile 2003, n. 80, con cui è stata conferita al Governo la delega per la riforma del sistema fiscale statale. I punti fondamentali su cui si basa questo nuovo sistema sono quattro: a) riduzione del prelievo fiscale; b) semplificazione degli adempimenti formali a carico dei contribuenti; c) riordino del sistema fiscale in un unico codice tributario; d) riduzione a cinque del numero delle imposte da applicare (imposte sul reddito; imposte sul reddito delle società; imposta sul valore aggiunto; imposta sui servizi; accisa). Il nuovo codice delle imposte erariali Il codice delle cinque imposte erariali dovrà essere articolato in una parte generale e in una parte speciale che raccoglierà le disposizioni concernenti le singole imposte oggetto del provvedimento in commento. La parte generale, invece, ordinerà il sistema fiscale sulla base dei seguenti principi: la legge disciplina gli elementi essenziali dell'imposizione, nel rispetto dei principi di legalità, di capacità contributiva e di uguaglianza; le norme fiscali si adeguano ai principi fondamentali dell'ordinamento Comunitario e non pregiudicano l'applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l'Italia; le norme fiscali, in coerenza con le disposizioni contenute nella legge 27 luglio 2000, n. 212, recante disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente, sono informate ai principi di chiarezza, semplicità, conoscibilità effettiva e irretroattività; è vietata la doppia imposizione giuridica; è vietata l'applicazione analogica delle norme fiscali che stabiliscono il presupposto ed il soggetto passivo dell'imposta, le esenzioni e le agevolazioni; è garantita la tutela dell'affidamento e della buona fede nei rapporti tra contribuente e fisco; è introdotta una disciplina unitaria per tutte le imposte, con riguardo al soggetto passivo, all'obbligazione fiscale, alle sanzioni e al processo, prevedendo, per quest'ultimo, l'inclusione dei consulenti del lavoro e dei revisori contabili tra i soggetti abilitati all'assistenza tecnica generale. Inoltre, la disciplina unitaria dell'obbligazione fiscale dovrà prevedere principi e regole, comuni a tutte le imposte, in merito alle dichiarazioni, all’accertamento e alla riscossione; è previsto il progressivo innalzamento del limite per la compensazione dei crediti d’imposta; la disciplina dell'obbligazione fiscale deve essere indirizzata a minimizzare il sacrificio del contribuente nell'adempimento degli obblighi fiscali; la sanzione fiscale amministrativa si concentra sul soggetto che ha tratto l’effettivo beneficio dalla violazione; la sanzione fiscale penale è applicata solo nei casi di frode e di effettivo e rilevante danno per l'Erario; è prevista l'introduzione di norme che ordinano e disciplinano istituti giuridici tributari destinati a finalità etiche e di solidarietà sociale. Infine, nell’attività di definizione del nuovo codice, occorre sottolineare ulteriori tre aspetti. In primo luogo, l’esercizio della delega per la riforma del sistema fiscale statale dovrà avvenire nel rispetto del principio di coordinamento con la finanza decentrata e di semplificazione del sistema di riscossione delle somme percepite a titolo di addizionale e tributi erariali, comprese le accise, al fine di garantire agli Enti locali e regionali destinatari di tali risorse la facoltà di ottenere l'attribuzione diretta delle somme versate. In secondo luogo, l'attuazione della riforma sarà modulata con più decreti legislativi, da emanare entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge n. 80 del 2003, sottoposti al vincolo della sostanziale invarianza dei saldi economici e finanziari netti dei singoli settori istituzionali. Al riguardo, per completezza di argomento si evidenzia che al momento, in attuazione della delega contenuta nell’articolo 4, comma 1, della legge n. 80 del 2003, è stato approvato un primo D.Lgs, il n. 344 del 12/12/2003, ad oggetto “Riforma dell’imposizione sul reddito delle società”. In terzo luogo, fino alla data di scadenza del termine per l'esercizio della delega, continueranno ad applicarsi le disposizioni vigenti, in quanto compatibili, non espressamente abrogate. In conclusione, si può osservare che il nuovo processo di riorganizzazione del sistema tributario statale avrà immediate conseguenze anche su quello locale, con riguardo soprattutto ai principi volti alla semplificazione e alla razionalizzazione degli adempimenti tributari, al rispetto, nei rapporti tra contribuente e Amministrazione pubblica, dei principi di collaborazione e della buona fede. Si tratta, in verità, di aspetti già disciplinati in ambito locale con lo Statuto dei diritti del contribuente e che, ai fini di una loro compiuta attuazione, necessitano di essere non soltanto recepiti in atti regolamenti degli enti locali, ma, anche e soprattutto, di essere portati a conoscenza dei contribuenti. La classificazione delle entrate pubbliche Le entrate degli enti pubblici sono diverse e numerose. Di conseguenza se svariate possono essere le modalità di classificazione delle stesse, è opportuno soffermarsi brevemente su due fondamentali criteri di classificazione: quello contabile e quello economico. Con riguardo al profilo contabile, è possibile operare la distinzione tra entrate ordinarie ed entrate straordinarie, a seconda che si rinnovano periodicamente (come ad esempio le imposte sul reddito, l’imposta comunale sugli immobili), o che presentano il carattere saltuario ed eccezionale ( è il caso dell’alienazione del patrimonio). Relativamente al profilo economico, le entrate si distinguono in originarie e in derivate. Le prime provengono agli Enti pubblici dai beni del loro patrimonio (è il caso dei fitti attivi, della vendita del patrimonio e così via) o dalle attività che essi esercitano (corrispondono, in pratica, alle tariffe corrisposte dai cittadini per la fruizione di servizi pubblici). Le entrate derivate, invece, si differenziano da quelle originali perché sono dovute obbligatoriamente dai singoli cittadini: lo Stato e gli Enti locali, cioè, si avvalgono del loro potere di coazione (e quindi di costrizione) per imporre ai cittadini delle prestazione obbligatorie affinché gli stessi contribuiscano alla copertura delle spese pubbliche. Al riguardo va evidenziato che: queste prestazioni obbligatorie in denaro che lo Stato e gli altri Enti pubblici impongono ai singoli, costituiscono la categoria dei tributi; lo Stato esercita la propria potestà tributaria in base a leggi approvate dalle Camere, rappresentative del popolo. Tale potestà viene poi delegata agli Enti locali che, esercitandola in base ai principi sanciti dalla Costituzione e dall’Ordinamento giuridico, nonché nel rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, sono in grado di reperire le risorse necessarie allo svolgimento delle loro funzioni istituzionali. La riforma costituzionale Per effetto della riforma del titolo V della Costituzione, il nuovo testo dell’articolo 119, ai primi due commi, disciplina che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni, nell’ambito della loro autonomia finanziaria di entrata e di spesa, hanno risorse autonome, stabiliscono e applicano tributi ed entrate proprie e, infine, dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. In relazione alla previsione costituzionale, va rilevato da subito che la possibilità di stabilire ed applicare entrate proprie deve essere esercitata agli Enti locali: a) in armonia con i principi della Costituzione (articoli 3, 5, 23, 53,75, 81 e 97); b) nel rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Ma proprio in relazione a quest’ultimo aspetto, con l’articolo 3 della legge finanziaria per l’anno 2003, è stata prevista l’istituzione dell’Alta Commissione per la finanza locale, con il compito specifico di indicare al Governo i principi generali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, ai sensi degli articoli 117, 3° comma, 118 e 119 della Costituzione Tuttavia, in materia nulla di nuovo è stato finora disciplinato e l’elemento che di maggiore preoccupazione è relativo allo slittamento dei termini di consegna dei lavori dell’Alta commissione che dovevano essere conclusi entro il 30 marzo 2003 e ora, con la legge finanziaria per il 2004, sono stati prorogati al 30 settembre 2004. La principale conseguenza del rinvio operato è il blocco di ogni iniziativa sul fronte dell’autonomia finanziaria degli Enti locali. In altri termini, fin quando non saranno specificati i principi di coordinamento della finanza pubblica, l’articolo 119 della Costituzione, pur riconoscendo per gli Enti locali l’autonomia di entrata e di spesa e la possibilità di applicare tributi ed entrate proprie, questa non sarà concretamente applicabile. Il ruolo delle Regioni Fermo restando quanto appena evidenziato circa il ruolo dell’Alta commissione per la finanza locale e riscontrato che nell’attuale quadro politico e normativo l’autonomia finanziaria deve essere esercitata nel rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, allora particolare attenzione deve essere rivolta all’articolo 117 della Costituzione, che attribuisce alla legislazione concorrente delle Regioni la competenza circa l’armonizzazione dei bilanci pubblici e del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, fatta salva, in ogni caso, la determinazione dei principi fondamentali che sono riservati, invece, alla legislazione dello Stato. A tal riguardo, secondo quanto previsto da un primo documento messo a punto dalle rappresentanze associative di Regioni, Province, Comuni e Comunità montane, la legge statale di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, avrà il compito di individuare i tributi e le entrate proprie delle Regioni e degli Enti locali, le sovrimposte e le addizionali ai tributi erariali, nonché le compartecipazioni spettanti ai tributi erariali. Le Regioni, mentre, avendo la competenza in materia di coordinamento dei sistemi tributari regionali e locali, si limiteranno nell’ambito dei principi generali, a definire le aree nelle quali gli Enti locali potranno intervenire a livello fiscale, con particolare riferimento alle tasse di scopo. Peraltro, va evidenziato che in attuazione di quanto sopra rappresentato, sono stati elaborati i primi progetti di legge regionale afferenti il coordinamento del sistema tributario regionale e locale che prevedono: tributi locali di natura contributiva che traggono giustificazione dal dovere dei contribuenti di concorrere alle spese dell’Ente in ragione della loro capacità contributiva; tributi locali di natura commutativa, correlati all’utilità che il contribuente trae dalle attività dell’Ente, ovvero agli oneri sopportati da quest’ultimo per le attività svolte dal primo; tributi locali di scopo, il cui gettito è destinato a finanziare specifiche iniziative. Spetterà, dunque, agli Enti locali, nell’esercizio della propria autonoma potestà regolamentare, disciplinare l’applicazione dei tributi che vorranno istituire. I singoli tributi Il tributo si concretizza in una prestazione in denaro, imposta al cittadino, affinché contribuisca alla copertura delle spese pubbliche. Le specie di tributi più comuni sono: le imposte, le tasse, i contributi o tributi speciali (vedi schema 1). A. Le imposte L’imposta viene definita come una prestazione coattiva, di regola pecuniaria, dovuta dal soggetto passivo, senza alcuna relazione specifica con una particolare attività dell’Ente pubblico. Il fondamento giuridico dell’imposta muove dalla considerazione che poiché il suo gettito è destinato a soddisfare i bisogni della collettività, il prelievo imposto non deve avere alcuna correlazione con la domanda o con l’utenza di dati servizi pubblici da parte dei singoli. Il dovere di corrispondere le imposte sorge, invece, sulla base di alcuni criteri stabiliti coattivamente dallo Stato nell’esercizio del suo potere di sovranità, che si rinvengono nella possibilità economica del soggetto a sostenere il peso dei tributi e quindi nella sua capacità contributiva. Di conseguenza, sulla base di quanto sopra detto, si rileva che la funzione dell’imposta è quella di far concorrere alle spese pubbliche tutti coloro che sono interessati all’esistenza e al funzionamento dello Stato e degli altri enti pubblici locali cui questo ha conferito la potestà tributaria. Ciò detto, va evidenziato che le imposte possono distinguersi e classificarsi in numerosi modi, di cui ricordiamo i principali. In primo luogo, abbiamo la distinzione tra imposte dirette e imposte indirette. Le imposte dirette sono quelle che colpiscono le manifestazioni immediate e dirette della capacità contributiva, ossia la ricchezza in quanto esistente (ad esempio il patrimonio) ovvero il flusso di ricchezza che perviene ad un soggetto in un determinato periodo di tempo (ad esempio il reddito). Le imposte indirette sono, invece, quelle che colpiscono le manifestazioni medianti e indirette della capacità contributiva, ossia la ricchezza in quanto viene consumata o trasferita. Una seconda distinzione è tra imposte reali e imposte personali. Le imposte reali sono quelle che colpiscono il soggetto passivo senza tenere conto delle proprie condizioni personali o famigliari. Le imposte personali sono, invece, quelle che colpiscono il soggetto passivo tenendo conto delle sue condizioni socio-economiche e familiari. Una terza distinzione è tra imposte generali e imposte speciali. Le imposte generali sono quelle che gravano sui redditi dei contribuenti, da qualunque fonte provengano, o che colpiscono tutti i redditi di una stessa categoria e in modo uguale. Le imposte speciali sono, invece, quelle che colpiscono singole tipologie di ricchezza ovvero gravano in maniera differenziata sulle categorie di ricchezze. Una quarta distinzione e tra imposte fisse e tra imposte proporzionali e progressive. Le imposte fisse sono quelle che costituiscono un ammontare di tributo che è fissato dall’autorità pubblica, senza alcun riferimento al valore della materia imponibile. Le imposte proporzionali, mentre, sono quelle che colpiscono la base imponibile con aliquota fissa, talché il rapporto fra imposta e imponibile rimane costante. Infine, sono imposte progressive quelle in cui l’imposta aumenta in misura più che proporzionale all’aumentare della materia imponibile (vedi schema 2). B. Le tasse La tassa è una prestazione pecuniaria dovuta dal singolo che trae origine da una controprestazione che lo Stato o l’Ente locale effettua su richiesta del soggetto. Tale controprestazione è relativa alla erogazione di un servizio pubblico, divisibile e individualizzabile (Vedi schema 3). L’ordinamento tributario, tradizionalmente classifica le tasse in due categorie: Le tasse amministrative che sono dovute per ottenere autorizzazioni, certificazioni o per l’emanazione di atti. In questi casi, si è soliti distinguere tra: tasse sugli affari civili (tasse per certificazioni); tasse relative alla vita intellettuale (tasse scolastiche, tasse d’ingresso ai musei); tasse per la vita economica. Le tasse giudiziarie che sono dovute dai privati sia per i giudizi civili, sia per i provvedimenti di volontaria giurisdizione, sia, infine, per l’attività di ufficio svolta dall’Autorità giudiziaria nell’esercizio della giurisdizione penale per la repressione dei reati. I contributi Il contributo è costituito da un’entrata pubblica, di natura tributaria, che l’Ente pubblico impositore realizza sotto forma di prelievo coattivo di ricchezza a carico di determinati soggetti per il fatto che costoro traggono vantaggio diretto o indiretto da determinati servizi pubblici, anche senza che essi li abbiano richiesti. Nei contributi, l’obbligazione di pagamento nasce ex lege per effetto delle spese sostenute dall’Ente pubblico nel realizzare, di propria iniziativa, un’attività o un servizio che soddisfa in primo luogo un interesse generale. I singoli ne traggono comunque vantaggio e appare, quindi, giusto che a loro carico venga posta una quota del costo sostenuto. L’iniziativa pubblica e l’impostazione obbligatoria distinguono il contributo dalla tassa avvicinandolo piuttosto alla imposta. Ma, a differenza di quanto avviene per quest’ultima, nel contributo è ravvisabile il corrispettivo di un beneficio o vantaggio divisibile, al quale il contributo stesso è proporzionato. I contributi possono essere: di miglioria (o extra – redditi), se il privato vede incrementare i suoi redditi a seguito di un’attività dello Stato o di un ente pubblico; di utenza, se scaturiscono da una spesa sostenuta dall’ente pubblico per una migliore utilizzazione delle opere realizzate. Schema 1: I tributi Provinciali e Comunali Tributo Provinciale Tributo Comunale Addizionale Provinciale all’IRPEF Addizionale comunale all’IRPEF Tassa o canone per l’occupazione di spazi ed aree Tassa o Canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche pubbliche Imposta Provinciale di trascrizione Canone o diritto per i servizi relativi alla raccolta, all’allontanamento,alla depurazione e allo scarico delle acque. Addizionale alla TARSU per l’esercizio delle funzioni Tassa o Tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti di tutela, protezione e igiene dell’ambiente urbani, e relative addizionali (Eca e Meca) Addizionale al Consumo di energia elettrica Addizionale al consumo dell’energia elettrica Imposta comunale sulla pubblicità e del diritto delle pubbliche affissioni Canone per l’installazione di mezzi pubblicitari Tassa sulle concessioni comunali Schema 2: la progressività dell’imposta Nell’ambito della progressività dell’imposta, distinguiamo: Progressività per classi Nella progressività per classi il reddito viene ripartito in classi e ad ogni classe è applicata un’aliquota sempre crescente. Il reddito di ogni contribuente rientrerà in una determinata classe e su di esso e si applicherà l’aliquota corrispondente. Progressività per scaglioni Anche nella progressività per scaglioni il reddito viene suddiviso in fasce o scaglioni come avviene nella progressività per classi. La differenza rispetto al metodo precedente sta nel fatto che l’aliquota della classe superiore non si applica all’intero imponibile, ma solo a quella parte di reddito che supera il limite della classe inferiore. Progressività continua La progressività continua si determina in base a una formula matematica, che individua una data aliquota per ogni livello di imponibile. L’aliquota cresce fino ad un dato limite massimo di imponibile stabilito, dopodiché si ferma e diventa costante. Progressività per detrazione Nella progressività per detrazione l’aliquota è formalmente costante, ma viene fissata una detrazione fissa della base imponibile che di fatto trasforma l’imposta in progressiva, in quanto la detrazione andrà ad incidere sull’imponibile in materia decrescente. Schema 3: Le principali differenze tra imposta e tassa Imposta Tassa Obbligatorietà o caoattività della prestazione tributaria; Obbligatorietà o caoattività relativa della prestazione tributaria; Esclusività del potere impositivo; Esclusività del potere impositivo; Generalità del servizio; Specialità del servizio reso; Inesistenza di un rapporto sinallagmatico fra Natura di controprestazione per il servizio pubblico pagamento dell’imposta e il godimento del servizio pubblico 2. Il rapporto giuridico tributario Premessa Ogni società non può vivere senza un complesso di regole che disciplinano i rapporti tra le persone che l’aggregazione stessa compongono e senza apparati che s’incarichino di farle osservare. Se proviamo ad applicare quest’osservazione, ovvia ed elementare, a quella specifica società che è lo Stato, constateremo ugualmente la necessità di un complesso di norme atte a regolare i rapporti tra i cittadini, e di uffici, di organi ed istituzioni che hanno il compito di tentare di realizzare gli scopi che lo Stato decide di perseguire. Riesce dunque chiaro il concetto di ordinamento giuridico, che è costituito dal complesso di norme e di istituzioni mediante le quali viene regolato e diretto lo svolgimento della vita sociale e dei rapporti tra i singoli nell’interno di una collettività. In altri termini, il sistema di regole, modelli e schemi mediante i quali è organizzata una collettività viene chiamato ordinamento. Ciascuna di queste regole, proprio perché concorre a disciplinare la vita organizzata della Comunità, si chiama norma e poiché il sistema di regole da cui è assicurato l’ordine di una società rappresenta il diritto di quella società, ciascuna di tali norme si dice giuridica. I fatti produttivi di norme giuridiche si chiamano, invece, fonti. Il rapporto giuridico tributario Il rapporto giuridico tributario identifica il rapporto che si instaura fra due soggetti, in forza del quale un soggetto attivo ha diritto di ricevere una prestazione in denaro da un altro soggetto passivo. Di conseguenza, i soggetti del rapporto giuridico tributario devono essere almeno due. Da un lato, il soggetto attivo o creditore che ha il diritto di ricevere una determinata prestazione e dall’altro lato il soggetto passivo o debitore che risulta essere il soggetto obbligato a tenere un certo comportamento a favore di un altro soggetto. Naturalmente, nel rapporto giuridico di carattere tributario, il soggetto attivo del rapporto d’imposta è unico, i soggetti passivi possono essere più di uno. Gli elementi costitutivi del rapporto giuridico tributario In ossequio al dettato dell’articolo 53 della Costituzione, presupposto dell’imposta è la situazione, l’atto, il fatto al cui verificarsi l’ordinamento giuridico ricollega l’assoggettabilità di un soggetto all’imposizione (ad esempio, l’essere titolare di un reddito). Pertanto, gli elementi tipici del rapporto giuridico tributario sono: il soggetto attivo; il soggetto passivo; il presupposto; la base imponibile; l’aliquota; la fonte. Nel dettaglio: il soggetto attivo: è lo Stato e l’Ente locale, titolari della capacità impositiva; il soggetto passivo: è il contribuente (o i contribuenti) obbligato ad adempiere all’obbligazione tributaria; il presupposto: è la situazione, l’atto, il fatto al cui verificarsi l’ordinamento giuridico ricollega la nascita dell’obbligazione tributaria; la base imponibile: è la grandezza cui va commisurata l’imposta; l’aliquota: è la misura del prelievo tributario; la fonte dell’imposta: è la ricchezza da dove il contribuente attinge per corrispondere l’imposta stessa. La capacità giuridica tributaria Ai fini della soggezione al rapporto giuridico d’imposta viene considerata non la personalità giuridica, bensì l’autonomia patrimoniale. In sintesi, nel diritto tributario valgono le seguenti regole: le persone fisiche incapaci sono rappresentate da coloro che vengono a ciò autorizzati dal codice civile; le persone giuridiche e le società commerciali agiscono attraverso gli organi designati dallo statuto o dalla legge; gli enti sforniti di personalità giuridica sono rappresentati dalle persone autorizzate, secondo la loro organizzazione, ad esprimerne la volontà. Tra i soggetti di diritto (persone fisiche o persone giuridiche) legittimati ad essere considerati soggetti passivi del rapporto tributario, occorre considerare anche le ipotesi di rappresentanza necessaria per gli incapaci e gli altri casi di rappresentanza tributaria. Tra questi ultimi, in primo luogo occorre considerare che gli enti e le società senza sede in Italia devono nominare un rappresentante per i rapporti tributari. In secondo luogo, è ammessa espressamente la rappresentanza volontaria o negoziale sia in fase di dichiarazione che per l’assistenza tecnica davanti agli uffici finanziari. Di solito, il rappresentante volontario non risponde del pagamento del tributo dovuto dal rappresentato, mentre è obbligato solidalmente per le soprattasse e per le pene pecuniarie. Inoltre, rappresentanti ammessi alla trattazione di questioni inerenti al rapporto tributario possono essere: i coniugi e i parenti fino al 4° grado, ai quali può essere conferito mandato senza autentica notarile della firma; i soggetti iscritti agli albi professionali i quali possono da soli autenticare la firma del mandante; le persone già appartenenti alla Amministrazione finanziaria ed aventi particolari requisiti. Gli ulteriori soggetti passivi dell’imposta Come anticipato, per soggetti passivi si intendono tutti coloro che vengono sottoposti alla potestà tributaria della Pubblica Amministrazione e che, quindi, corrispondono il tributo e, in caso di inadempimento, subiscono l’esecuzione forzata. Tuttavia, la normativa fiscale prevede, accanto ai soggetti passivi obbligati in via principale al pagamento del tributo, altri soggetti tenuti al pagamento dello stesso nonché ad altri adempimenti od obbligazioni. Con riguardo a quest’ultimo aspetto, vi sono dei soggetti che intervengono nel rapporto tributario affinché il prelievo si verifichi in modo semplice, nonostante non abbiano alcuna relazione diretta con la situazione da cui deriva l’obbligazione tributaria. Tali figure sono il sostituto e il responsabile d’imposta. Responsabile d’imposta è colui che, in base all’articolo 64 del D.P.R. 600 del 73, in forza di disposizione di legge è obbligato al pagamento dell’imposta insieme con altri, per fatti e situazioni esclusivamente riferibili a questi. Il fondamento di tale obbligazione deriva, come per quella principale, direttamente dalla legge. L’obbligazione del responsabile d’imposta è accessoria per il suo contenuto e ha per oggetto di solito il pagamento del tributo, talvolta l’adempimento di altri doveri formali. Questa fattispecie è un caso di coobligazione solidale ex legge. Il responsabile d’imposta ha ovviamente diritto di rivalsa. Invece, la figura del sostituto d’imposta si ha quando la legge tributaria sostituisce completamente al soggetto passivo una diversa persona. Nel dettaglio l’articolo 64 del D.P.R. 600 del 73 definisce sostituto d’imposta colui che in forza di disposizione di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri per fatti e situazioni a questi riferibili. La stessa norma prevede l’obbligo di rivalsa sul sostituto, salva diversa disposizione di legge. Il sostituto d’imposta è dunque un soggetto cui è imposto l’obbligo del pagamento del tributo indipendentemente dalla sua relazione con i presupposti del pagamento stesso. Peraltro egli è debitore di un debito proprio e non meramente responsabile di un debito altrui. Di conseguenza, il sostituto, a seguito del rapporto mediato con la situazione base del tributo, assume un debito tributario in proprio, per cui direttamente a suo carico possono essere comminate sanzioni amministrative ed, eventualmente, penali in caso di inadempimento. La verifica degli obblighi tributari Nell’ambito del rapporto tributario, particolare attenzione deve essere rivolta al controllo sull’operato dei contribuenti, perché questo adempimento costituisce per l’ente impositore un diritto - dovere. In concreto, il controllo è volto all’esame sia della veridicità delle dichiarazioni che dell’effettivo verificarsi del presupposto dell’obbligazione e si concretizza nella adozione di atti di imposizione, di liquidazione e di accertamento, di competenza del funzionario responsabile del tributo. In termini generali, l’attività di liquidazione consiste nella verifica della rispondenza fra il presupposto impositivo dichiarato e il versamento del tributo eseguito dal contribuente. L’attività di accertamento è, invece, in primo luogo diretta alla rilevazione degli evasori totali, cioè di coloro che, pur essendovi tenuti, non hanno presentato la denuncia relativa al tributo. In secondo luogo, l’attività di accertamento può concretizzarsi anche nella attività di rettifica che consiste nella evidenziazione della presenza di un’infedeltà nella denuncia presentata dal contribuente in rapporto a una situazione reale riscontrata dall’ufficio tributi (vedi schema 1). Quanto alle attività operative da svolgere ai fini del controllo, l’Ente impositore deve effettuare prima una liquidazione del tributo sulla base della denuncia presentata dal contribuente: liquidazione intesa come attività interna allo scopo di determinare l’importo del tributo, nonché di verificare la fondatezza di eventuali richieste di esenzioni, riduzioni o attenuazioni di imposta o di tariffa. Successivamente l’ufficio procederà alla verifica delle denunce infedeli e alla evidenziazione degli evasori totali. I termini da rispettare nelle attività di verifica Come anticipato, il procedimento di accertamento del tributo consiste nella serie di atti e operazioni necessarie per la constatazione e valutazione dei vari elementi che concretizzano l’obbligazione tributaria e quindi a titolo esemplificativo: la soggettività passiva; il presupposto impositivo; la destinazione d’uso; le aliquote e tariffe relative. Il procedimento di accertamento è quindi essenziale e consequenziale al fatto che la legge prevede in astratto e in via generale l’obbligazione tributaria. Di conseguenza, con il procedimento di accertamento la previsione normativa astratta si concretizza e, questo momento, è compiuto dall’ente impositore con la cooperazione del contribuente. A tal riguardo la legge n. 212 del 2000 di approvazione dello Statuto dei diritti del contribuente, in materia di informazione e conoscenza degli atti ha disciplinato che gli enti impositori devono assumere idonee garanzie volte a consentire la completa e agevole conoscenza delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, affinché anche i contribuenti sforniti di conoscenza in materia tributaria possano adempiere le obbligazioni tributarie con il minor numero di adempimenti e nelle forme meno costose e più agevoli. Inoltre, gli Enti impositori devono assicurare l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati, mediante comunicazione all’effettivo domicilio e devono informare lo stesso di ogni fatto o circostanza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti che impediscono il riconoscimento, seppure parziali, di un credito. Infine, viene altresì disciplinato che al contribuente non possono essere richiesti documenti e informazioni già in possesso dell’Ente impositore o di altre Amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente. A differenza dell’accertamento, la liquidazione avviene, invece, a cura dell’Ente impositore sulla base dei dati ed elementi forniti dal contribuente. Nell’ambito dei principi del diritto tributario, viene altresì disciplinato che l’Ente locale deve predisporre l’attività di liquidazione e di accertamento entro limiti di tempo predeterminati dalla legge. In altri termini, in base al principio generale della certezza del diritto e al fine di non lasciare il contribuente evasore o elusore alla mercé dell’eventuale negligenza degli organi preposti alla effettuazione dei controlli, l’azione impositrice dell’ente è legata a termini di decadenza e a termini di prescrizione specificati dalla singola legge che istituisce il tributo. Nello specifico, la decadenza è relativa ai termini entro i quali il soggetto attivo deve adottare e recapitare l’atto d’imposizione (liquidazione, rettifica, accertamento). Generalmente il termine di decadenza è minore per le liquidazioni, cresce per le rettifiche ed è massimo per gli accertamenti: la ragione di questa diversità nei termini di decadenza dipende dalla minore o maggiore difficoltà di definire correttamente le corrispondenti obbligazioni tributarie. Al riguardo si osserva che l’articolo 2, comma 32, della finanziaria 2004 ha, in deroga alle disposizioni di cui all’articolo 3, comma 3, della legge n. 212 del 2000, prorogato al 31-12- 2004 i termini per la liquidazione e l’accertamento dell’Imposta comunale sugli immobili che sono scaduti il 31-12-2003 e comunque limitatamente alle annualità d’imposta 1999 e successive. Il termine entro il quale il soggetto attivo deve richiedere al soggetto passivo il pagamento del tributo è, invece, prescrizionale. La predisposizione degli avvisi di liquidazione e di accertamento Gli avvisi di liquidazione e di accertamento, per omessa o in rettifica, presentano determinate peculiarità. Innanzitutto tutti gli atti d’imposizione, avendo natura pubblica, debbono essere emanati direttamente dal soggetto attivo del tributo, salvo che lo stesso possa essere affidato in concessione a terzi. Va poi evidenziato il principio dell’autonomia degli atti di imposizione, nel senso che a ogni annualità deve corrispondere uno specifico atto e a ogni atto un autonomo ricorso, nel caso che il contribuente intenda contestare la regolarità dell’azione impositiva. Infine, come per la generalità degli atti amministrativi, anche per quelli di carattere impositivo è imprescindibile la presenza della motivazione, il cui fine è quello di non pregiudicare il diritto di difesa previsto dall’articolo 24 della Costituzione. Questa, peraltro, trova nel nostro ordinamento giuridico una specifica graduazione nel senso che a seconda della tipologia dell’atto, è minima nella liquidazione ed è massima negli accertamenti. Al riguardo, l’articolo 7 dello Statuto dei diritti del contribuente ha enunciato il principio di chiarezza e di motivazione degli atti dell'amministrazione finanziaria, attraverso la previsione normativa che gli atti di natura tributaria devono essere motivati con l'indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto che hanno determinato l'adozione del provvedimento amministrativo. Qualora poi nella motivazione è fatto riferimento ad altro atto, quest'ultimo deve essere allegato all'atto che lo richiama (vedi schema 2 e 3). Relativamente alla struttura della motivazione, è opinione comune che si compone di due parti. Una prima parte comprende i motivi della fattispecie, ossia gli interessi coinvolti nel procedimento, considerati con riferimento all’oggetto (c.d. motivazione in senso stretto). Nella seconda parte sono invece indicati i presupposti, ossia i fatti permessivi o costitutivi il cui verificarsi permette l'adozione dell'atto. Tale parte del nucleo motivazionale viene tradizionalmente definita come giustificazione e, unitamente alla motivazione in senso stretto, va a formare la motivazione in senso ampio. Attraverso la motivazione, dunque, l’Ente dà conto dell’iter logico che ha portato all’adozione del provvedimento, così consentendo di comprendere e di controllare il modo in cui è stata svolta la funzione, al fine ultimo di soddisfare la fondamentale esigenza di trasparenza dell’azione amministrativa. A titolo esemplificativo, con riferimento agli atti impositivi, la motivazione deve evidenziare, oltre l'imponibile accertato, le aliquote o tariffe applicate, il tributo liquidato, i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato l'emissione dell'avviso di accertamento e di liquidazione. Inoltre, se la motivazione fa riferimento ad altri atti non conosciuti o ricevuti dal contribuente l'amministrazione è tenuta, a pena di nullità del provvedimento adottato, ad allegare l'atto richiamato o, in alternativa, a riprodurne il contenuto essenziale. Per contenuto essenziale deve intendersi l'indicazione degli elementi che assumono rilevanza ai fini dell’azione di controllo (accertamento e liquidazione). Naturalmente nel caso in cui i processi verbali di constatazione o gli altri atti procedimentali richiamati nella motivazione sono stati preventivamente notificati o comunicati al contribuente, per l’ufficio non ricorre l'obbligo di allegare gli stessi agli avvisi di verifica tributaria. Infine, in attuazione di quanto disciplinato dallo Statuto dei ditti del contribuente, gli atti tributari di verifica adottati dall'Amministrazione devono tassativamente indicare: a) l'ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all'atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento; b) l'autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di autotutela; c) le modalità, il termine, l'organo giurisdizionale o l'autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili. Schema 1 : Le attività di controllo I controlli in materia tributaria si distinguono in attività di liquidazione o di accertamento. La liquidazione consiste nella verifica della rispondenza fra il presupposto impositivo dichiarato e il versamento del tributo eseguito dal contribuente L’accertamento del tributo, invece, può essere di due tipi: 1. accertamento d’ufficio che consistente nella ricerca di una sostanza imponibile sfuggita al tributo e che prescinde dalla dichiarazione in caso, quindi, di omessa denuncia iniziale o di variazione. 2. accertamento in rettifica, in conseguenza di denunce tali da determinare un aumento del tributo, nell’ambito del quale sono riconducibili i seguenti casi: infedeltà che si concretizza nella non corrispondenza degli elementi risultanti dalla denuncia con quelli successivamente accertati e, di conseguenza, non coincidenza tra la tassa pagata e quella effettivamente dovuta; incompletezza che ha riguardo alla insufficienza degli elementi idonei alla esatta determinazione della tassa. Ai fini del controllo, il Decreto Legislativo n. 267 del 2000, delinea una profonda distinzione fra funzioni di indirizzo e quelle di gestione. Le prime competono agli organi istituzionali, mentre le seconde a quelli burocratici. Con riguardo agli atti a rilevanza tributaria, tre sono le tipologie per le quali è necessario definire l’organo competente alla loro adozione: 1. I Regolamenti tributari; 2. Gli atti deliberati di adozione delle tariffe e delle aliquote; 3. Gli atti di gestione. Quanto ai Regolamenti questi sono di competenza del Consiglio comunale, mentre la determinazione delle relative aliquote è di competenza della Giunta comunale (articolo 42 del Decreto Legislativo n. 267 del 2000). Infine, l’adozione degli atti di imposizione tributaria è di competenza del Funzionario Responsabile del tributo Schema 2 : Chiarezza e di motivazione degli atti amministrativi I principi di chiarezza e di motivazione degli atti amministrativi, sono stati per la prima volta codificati nell'ordinamento giuridico dalla legge 7 agosto1990, n. 241, recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi. In dettaglio, per effetto dell’articolo 3 della legge n. 241 del 1990, è stato sancito a chiare lettere che, eccezion fatta per gli atti normativi e per gli atti a contenuto generale, ogni provvedimento amministrativo deve essere congruamente motivato e che, nei casi di motivazione per relationem (ossia quando la motivazione non risulta dal corpo del provvedimento finale, ma dagli atti precedentemente compiuti nel corso dell’iter procedimentale, quali pareri, proposte e rapporti tecnici), l'atto da cui risulta le ragioni della decisione deve essere indicato e reso disponibile. Schema 3: Il ruolo della motivazione Attraverso l’esplicitazione della motivazione si consente: 1. Una più approfondita ponderazione degli atti; 2. Di facilitare l’individuazione del tipo di atto amministrativo adottato; 3. Di permettere una più completa valutazione dell’attività istruttoria; 4. Di accertare se l’amministrazione ha valutato adeguatamente tutti gli interessi che dovevano essere tenuti presenti nell'adozione dell'atto finale; 5. Di accertare i motivi in forza dei quali l’amministrazione ha ritenuto tale scelta più corrispondente all’interesse pubblico; 6. Una più efficace tutela giurisdizionale attraverso la possibilità, da parte dell’interessato, di motivare adeguatamente le ragioni del ricorso e da parte del giudice di valutare, con più facilità, la legittimità dell’atto impugnato. Le principali fonti e principi del diritto tributario Premessa Fonti del diritto sono tutti quei fatti o atti che producono norme giuridiche, ossia pongono in essere degli obblighi giuridici. Nel nostro ordinamento giuridico l’individuazione delle fonti del diritto è contenuta all’articolo 1 delle disposizioni preliminari al codice civile (cosiddette preleggi) che appunto statuisce che sono fonti del diritto: le leggi; i regolamenti; le norme corporative (ora abrogata); gli usi o consuetudini. A questa elencazione delle fonti del diritto, è necessario aggiungere la Costituzione e l’Ordinamento comunitario (vedi schema 1 e 2). Per quanto concerne il diritto tributario degli Enti locali si possono senz’altro confermare queste fonti del diritto ad accezione degli usi, delle consuetudini e delle circolari. Le circolari, in particolare, sono atti amministrativi con efficacia esclusivamente interna all’Amministrazione pubblica che le ha adottate. Senza dubbio seppur molto importanti nel settore tributario perché contengono l’interpretazione ministeriale o le modalità di applicazione di una legge o di una o di alcune sue norme, esse non hanno alcun valore cogente, sia per gli Enti locali, sia per i contribuenti, né tantomeno per i giudici (amministrativi o ordinari). L’Ordinamento della Comunità europea Come già anticipato, con la legge n. 80 del 2003 è stato tra l’altro disciplinato che le norme fiscali si adeguano ai principi fondamentali dell'ordinamento Comunitario e che le stesse non devono pregiudicare l'applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l'Italia; Ciò premesso, relativamente al diritto Comunitario, va osservato che l’articolo 249 del Trattato CE, dopo aver stabilito che gli organi Comunitari sono abilitati ad emanare regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni e pareri, precisa che solo le prime tre tipologie di atti hanno carattere vincolante. In dettaglio: i regolamenti che hanno una portata generale, essendo indirizzati a tutti gli stati membri e direttamente applicabili, senza la necessità di atti interni di adattamento e sono obbligatori in tutti i loro elementi; le decisioni che hanno una portata individuale, vale a dire sono indirizzati a singoli stati membri e sono obbligatori in tutti i loro elementi; le direttive che hanno una portata individuale o generale e non sono obbligatorie in tutti i loro elementi, in quanto vincolano i paesi membri al risultato da raggiungere e non alle modalità da utilizzare. Esse devono essere recepite da ciascuno Stato. Va peraltro osservato che l’Ordinamento Comunitario ha valore non più soltanto di fronte ai singoli Stati, come è tipico del diritto internazionale, bensì anche nei confronti diretti dei cittadini della Comunità. È ormai pacifico, infatti, che imprese e individui possono far valere di fronte ai giudici nazionali le norme Comunitarie, sia se contenute in regolamenti, quanto se contenute in direttive, e che il giudice nazionale deve disapplicare le norme interne che siano in conflitto con quelle Comunitarie, le quali, quindi, prevalgono sempre sul diritto interno. Le principali disposizioni costituzionali Con riferimento al diritto tributario degli Enti locali, gli articoli della Costituzione di riferimento sono i seguenti: l’articolo 3 dove è codificato il principio di eguaglianza; l’articolo 5 che sancisce il principio di unità e di indivisibilità della Repubblica; l’articolo 23 che sancisce la riserva di legge in materia tributaria, accogliendo il principio della legalità delle imposte; l’articolo 53 che contiene i due principi fondamentali dell’universalità dell’imposta e della progressività del sistema tributario; l’articolo 75 che disciplina che non è ammesso il referendum abrogativo per le legge tributarie in relazione al principio che il nostro ordinamento non può correre il rischio di vedere abrogate tutte le imposte; l’articolo 81 che al terzo comma dispone che con la legge di approvazione del bilancio dello Stato non è possibile stabilire nuovi tributi e nuove spese. In altri termini, la norma tende ad evitare che nello stesso atto siano contenute una legge formale (il bilancio) e una legge sostanziale, specie in considerazione del carattere politico dell’approvazione del bilancio; l’articolo 97 che disciplina il principio della legalità dell’azione amministrativa, nel senso che soltanto la legge può determinare i fini che l’azione amministrativa deve perseguire, nonché il contenuto tipico dei vari atti posti in essere dall’Autorità amministrativa. Il nuovo federalismo fiscale L’esigenza di realizzare un compiuto federalismo fiscale è conseguente, da un lato, dell’avvenuta ridistribuzione delle competenze legislative fra Stato e Regioni operata dall’articolo 117 della Costituzione e dall’altro lato, dell’avvenuta realizzazione, dopo il decentramento amministrativo già operato con la legge 15 marzo 1997, n. 59 e con il D.Lgs 31 marzo 1998, n. 112, di un radicale decentramento di funzioni amministrative a favore degli Enti locali sulla base del principio di sussidiarietà, previsto dall’articolo 118 della Costituzione, come modificato dall’articolo 4 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Tuttavia, se l’attribuzione di un adeguata autonomia finanziaria per le Regioni e gli altri Enti locali è apparsa, al Legislatore, come una condizione necessaria per la realizzazione di un vero e proprio federalismo, tale attribuzione non poteva prescindere dall’esigenza di essere coniugata con il principio di unità e di indivisibilità della Repubblica previsto dall’articolo 5 della Costituzione, nonché con il principio dell’effettiva capacità fiscale e contribuiva del cittadino previsto dall’articolo 53 della Costituzione e, infine, con il principio di solidarietà sociale e di eguaglianza sostanziale di cui all’articolo 3, secondo comma, della Costituzione. E, infatti, lo stesso Legislatore costituente del 2001, consapevole che a fronte della diversità delle potenzialità di crescita delle diverse aree del Paese, l’unico federalismo possibile in grado di conciliarsi con i principi sopra richiamati, era quello di tipo solidale, ha previsto, all’articolo 119 della Costituzione, l’istituzione di un fondo perequativo. Senza essere ripetitivi, lo scopo del Legislatore attraverso l’istituzione del fondo perequativo è stato quello di conciliare da un lato la piena realizzazione del concetto di federalismo sociale e di autonomia fiscale locale e dall’altro lato di salvaguardare, nel contempo, i citati principi di unità e di indivisibilità della Repubblica, dell’effettiva capacità fiscale e contributiva del cittadino e di solidarietà sociale e di eguaglianza (vedi schema 3). Il principio di eguaglianza Il principio costituzionale di eguaglianza assume due profili. Il primo è di carattere formale e comporta che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Si tratta di un vincolo dettato per il Legislatore ordinario, non già nel senso che tutte le norme di legge debbano sempre indirizzarsi in modo eguale a tutti i cittadini bensì nel senso che l’individuazione delle categorie di soggetti cui ciascuna norma è destinata deve avvenire con criteri che evitino di trattare situazioni omogenee in modo differenziato, ovvero situazioni disomogenee in modo eguale. In altri termini, a parità di condizioni deve corrispondere un trattamento eguale ed a condizioni diverse un trattamento differenziato. Il controllo del rispetto del principio di eguaglianza è affidato alla Corte costituzionale, la quale può dichiarare l’illegittimità di una norma avente forza di legge quando ritenga irragionevole o incongruente o contraddittoria o arbitraria una differenziazione normativa di situazioni che, in realtà sono omogenee, ovvero un’assimilazione di trattamento nei confronti di situazioni che, in realtà, sono diverse. Il secondo profilo del concetto di eguaglianza è di carattere sostanziale e impegna lo Stato a rimuovere, anche e soprattutto con una adeguata politica fiscale, gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Si tratta in questo caso di un programma per il Legislatore ordinario, sollecitato ad assumere misure idonee ad attenuare le differenze di fatto, economiche e sociali, che discriminano le condizioni di vita dei singoli. La generalità del tributo Tale principio implica che tutti coloro che risiedono nello Stato e quindi beneficiano dei suoi servizi, sono tenuti al pagamento delle imposte. Si tratta tuttavia di un principio che può essere derogato dal Legislatore, ad esempio con l’esenzione di quei cittadini che si trovino in determinate condizioni. Di particolare rilevanza sono, infatti, le deroghe accordate ai contribuenti titolari di redditi minimi. In questo caso, rispetto al principio dell’universalità dell’imposta, prevalgono motivazioni di giustizia sociale, per la circostanza che il reddito di alcune categorie di contribuenti è già di per sé tanto basso da non tollerare un prelievo d’imposta. La progressività del sistema tributario Tale principio comporta che sul reddito totale di ogni individuo l’aliquota fiscale sia crescente, nel senso che il totale delle imposte pagate da ciascuno deve aumentare più che proporzionalmente rispetto al reddito dell’individuo. La progressività trova fondamento nelle seguenti esigenze: a) limitare il divario economico tra le classi sociali; b) perseguire il massimo utile con il minimo sacrificio di ciascuno; c) operare una ridistribuzione dei redditi a favore delle categorie meno abbienti. La riserva di legge In base all’articolo 23 della Costituzione, nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. Va da subito chiarito che la suddetta riserva di legge deve intendersi come relativa e non assoluta. In altri termini, in questi casi, la legge non potendo disciplinare integralmente il rapporto tributario, demanda ad un regolamento o ad altra fonte subordinata la disciplina specifica degli elementi da essa fissati in termini generali. I caratteri della norma giuridica Secondo un’antica concezione, le norme giuridiche si caratterizzerebbero per il fatto di essere suscettibili di attuazione forzata (coercizione) poiché sarebbero comunque garantite dalla previsione, per ipotesi di trasgressione, di una conseguenza in danno del trasgressore, chiamata sanzione, la cui minaccia favorirebbe l’osservanza spontanea della norma, attraverso una forma di coazione psicologica volta a dissuadere dal tenere il comportamento antigiuridico chi fosse intenzionato a violare le regole dell’Ordinamento. Non vi è dubbio che effettivamente molto spesso, accanto a norme di condotta (dette primarie), il Legislatore prevede una risposta o reazione dell’Ordinamento (c.d. norme sanzionatorie o secondarie), da far scattare in caso di inosservanza del comportamento prescritto. Vi è peraltro da rilevare che la difesa dell’Ordinamento non viene perseguita soltanto attraverso misure repressive di una situazione preesistente illegittimamente violata, ma anche mediante misure preventive, di vigilanza e di dissuasione e perfino con l’ausilio di norme che si limitano ad affermazioni di principio che svolgono un’importante funzione esemplare indipendentemente dalla previsione di qualsiasi sanzione. Di recente, poi, vanno diventando molto frequenti anche norme che, lungi dal disporre reazioni dell’ordinamento, stabiliscono incentivi e premi a favore dei soggetti che si vengano a trovare in particolari situazioni. Ulteriori caratteri essenziali nella norma giuridica avente forza di legge solo la generalità e la astrattezza dei relativi precetti. Con il carattere della generalità si intende sottolineare che la legge non deve essere dettata per singoli individui bensì o per tutti i consociati o per classi generiche di soggetti ( ad esempio i commercianti, i proprietari di beni immobili, e così via). Con il carattere della astrattezza si intende sottolineare, invece, che la legge non deve essere dettata per specifiche situazioni concrete, bensì per fattispecie astratte, ossia per situazioni individuate ipoteticamente. Quale corollario di questi due principi, di caratterizzazione della norma avente valore di legge, è l’esigenza del rispetto del c.d. principio di eguaglianza che è solennemente proclamato da una tra le più importanti delle disposizioni della nostra Carta costituzionale. Naturalmente, dal principio di eguaglianza va tenuto distinto il principio per cui i pubblici uffici devono rispettare il criterio della imparzialità, ossia l’obbligo di applicare le legge in modo eguale, senza arbitrare differenziazioni di trattamento a favore o a danno dei singoli interessati. Quale ultimo carattere della norma giuridica da considerare, almeno per i riflessi che ha per il rapporto giuridico tributario, è l’equità È stato, infatti, evidenziato che la norma giuridica avente forza di legge contiene, in genere, la previsione astratta di una situazione tipo. In qualche ipotesi può avvenire che l’applicazione del comando al caso concreto dia luogo a conseguenze che urtano contro il sentimento di giustizia. Ciò perché nel caso concreto si è verificata qualche circostanza che il Legislatore non ha previsto o di cui non ha potuto o voluto tener conto al momento in cui la forma fu elaborata. L’equità è stata, pertanto, sinteticamente definita la giustizia del caso singolo. Tuttavia, non è da credere che il ricorso alla equità sia sempre consentito e tanto meno nell’ambito tributario. Di fatti l’Ordinamento giuridico sacrifica spesso la giustizia del caso singolo all’esigenza della certezza del diritto, in quanto ritiene pericoloso affidarsi alla valutazione soggettiva del giudice e preferisce che i singoli possano prevedere esattamente quali saranno le conseguenze dei loro comportamenti (principio della certezza del diritto). Ciò presuppone comprensibilità delle leggi, stabilità della giurisprudenza, irretroattività delle norme. L’interpretazione delle norme giuridiche Per consentire l’applicazione dei principi generali e astratti contenuti nelle norme giuridiche occorre porre in essere un’attività di interpretazione, ossia un attività mediante la quale si tende a definire l’esatto contenuto e l’esatta portata del precetto normativo. Al riguardo va evidenziato che l’interpretazione un testo normativo non vuol dire solo accertare quanto il testo in sé esprimerebbe, bensì decidere che cosa si ritiene che il testo effettivamente possa significare e, conseguentemente, come vadano risolti i conflitti che insorgono (o possono insorgere) nella sua applicazione. In altri termini, va respinta la vecchia idea secondo cui di ogni disposizione una sola sarebbe l’interpretazione esatta, essendo ogni altra erronea; al contrario di ogni disposizione normativa possono ammettersi letture plurime, in funzione del caso da risolvere, tra le quali l’interprete sceglie la soluzione più idonea in base a valutazione complesse. L’attività di valutazione non può mai, dunque, esaurirsi nel mero esame dei dati testuali. In primo luogo, infatti, non tutti i vocaboli contenuti nelle leggi possono essere definiti nelle leggi stesse: pertanto il significato che viene loro attribuito in ciascun contesto va ricavato da elementi extra-testuali, a condizione che non superino la normale tollerabilità. E difatti lo stesso Legislatore, nell’articolo 12 delle disposizioni preliminari, dopo aver prescritto di attribuire alle parole il loro significato proprio impone di tener conto, altresì, della intenzione del Legislatore, concetto oltremodo vago e che comunque l’interprete non può ricostruire se non avvalendosi di elementi extra-testuali. In secondo luogo, le leggi, nel disciplinare i rapporti sociali, si riferiscono in generale a classi di rapporto: spetterà all’interprete, di fronte a rapporti concreti, decidere se considerarli inclusi nella disciplina della singola norma, oppure no, e a tal fine l’interprete dovrà impiegare particolari tecniche di estensione o di integrazione delle disposizioni della legge, attingendo a criteri di decisione extra-legislativi. In terzo luogo, le formulazioni delle leggi sono spesso in conflitto fra loro: conflitti che si superano ricorrendo a criteri di gerarchia tra le fonti (ad esempio le norme costituzionali prevalgono su quelle ordinarie), o a criteri cronologici (la norma posteriore prevale sulla anteriore), ovvero a criteri di specialità. In quarto luogo, di fronte a ciascun caso singolo difficilmente si può applicare un’unica norma, ma occorre utilizzare un’ampia combinazione di disposizioni. In definitiva, nell’attività di interpretazione della legge rientra non soltanto l’attività interpretativa in senso stretto, ma pure varie altre operazioni, quali la ricerca e l’individuazione della norma da applicare al caso, l’integrazione della legge e perfino l’analisi dei comportamenti e delle situazioni da regolare, che, venendo questi descritti mediante vocaboli di qualificazione giuridica, è spesso inestricabilmente intrecciata con l’interpretazione della legge. Va infine evidenziato che per il caso in cui una controversia non possa essere decisa ricorrendo ad una specifica disposizione di legge, l’articolo 12 delle preleggi autorizza il giudice a ricorrere all’analogia: ossia al procedimento per cui, da disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe a quelle da decidere, si ricava una norma non scritta, idonea a risolvere il caso. Il ricorso alla analogia, peraltro, è ammissibile a condizione che non soltanto sussista un rapporto di somiglianza o affinità tra le due fattispecie, ma che vi sia, inoltre, una identità di ratio, nel senso che la giustificazione della soluzione data al caso disciplinato appaia tale da poter essere estesa anche alla fattispecie non regolata. Peraltro, l’articolo 12 citato autorizza non solo il ricorso alla analogia legis, ossia alla applicazione analogica di altre singole disposizioni, ma pure, se il caso rimane ancora dubbio, il ricorso alla analogia iuris, ossia ai principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato, vale a dire ricavando una norma (non scritta) non già da specifiche altre norme, bensì addirittura dai grandi orientamenti del sistema legislativo. Quanto appena rappresentato deve essere tuttavia relazionato con riferimento all’aspetto tributario. Al riguardo, nei principi generali dello Statuto dei diritti del contribuente, viene espressamente previsto che l’adozione delle norme interpretative può essere disposta solo in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica. Da ultimo, come peraltro già evidenziato, con la legge 7 aprile 2003, n. 80, con cui è stata conferita al Governo la delega per la riforma del sistema fiscale statale, è stato disciplinato che la parte generale del nuovo codice dei tributi erariali ordinerà il sistema fiscale in modo tale da vietare, tra l’altro, l'applicazione analogica delle norme fiscali che stabiliscono il presupposto e il soggetto passivo dell'imposta, le esenzioni e le agevolazioni. L’efficacia delle norme tributarie nel tempo e nello spazio Come è noto, la norma giuridica ricollega al verificarsi di una data fattispecie (ossia di un fatto o di una serie di fatti) una certa conseguenza giuridica, quale, ad esempio, l’acquisto o la perdita di un diritto, il sorgere o l’estinguersi di un obbligo, la soggezione ad una sanzione e così via. In altre parole, la fattispecie descritta in astratto dalla norma, determina la conseguenza giuridica ivi prevista quando si verificano in concreto i fatti astrattamente previsti da quella norma. È logico, quindi, che, quanto meno di regola, la norma si applichi alle fattispecie in essa descritte in astratto e che si verificano in concreto successivamente alla sua entrata in vigore. Al riguardo, l’articolo 11, comma 1°, delle preleggi stabilisce che la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo. Si dice, quindi, retroattiva una norma la quale attribuisca conseguenze giuridiche a fattispecie verificatesi in momenti anteriori alla sua data in vigore. Nel nostro Ordinamento soltanto la norma penale non può essere retroattiva. Ogni altra norma può essere anche retroattiva, ma, in linea di principio, non lo è, a meno che il Legislatore non la qualifichi tale con formulazione non equivoca. Efficacia retroattiva hanno, poi, le cosiddette leggi interpretative, ossia le leggi emanate per chiarire il significato di norme antecedenti e che, quindi, si applicano a tutti i fatti regolati da queste ultime, quand’anche anteriori alla emanazione della legge interpretativa. Tale principio valido per tutto l’ordinamento giuridico ha trovato, tuttavia, una specifica disciplina in campo tributario locale con l’emanazione della legge 27 luglio 2000, n. 212, di approvazione del citato Statuto dei diritti del contribuente, dove viene stabilito che salvo casi eccezionali e con legge ordinaria, mai pertanto con regolamenti, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Inoltre, viene disciplinato che: relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che lo prevedono; le disposizioni tributarie, anche quelle introdotte con regolamenti, non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dall’adozione dei provvedimenti espressamente previsti; i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti non possono essere prorogati. In materia di sanzioni, sia amministrative che penali, con l’articolo 3 del D.Lgs. n. 472 del 1997, è stato peraltro disciplinato che nessuno può essere assoggettato a sanzione se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione e che se la legge vigente al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi successive stabiliscono sanzioni di diversa entità, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo (principio dei favor rei). Analogo principio è previsto in materia penale tributaria. Per quanto concerne l’efficacia delle norme tributarie nello spazio si può affermare che le stesse producano effetto nell’ambito territoriale in cui lo Stato esercita la propria sovranità. In alcuni casi il Legislatore può configurare come presupposto di un’imposta da applicare in Italia, un fatto che è avvenuto all’estero, (come ad esempio il caso di un immobile posseduto all’estero che assume rilevanza ai fini Irpef) se il soggetto passivo del tributo è un soggetto residente. In tali ipotesi si pongono dei problemi di coordinamento con la normativa fiscale del Paese in cui si è realizzato il presupposto impositivo, anche al fine di evitare una doppia imposizione, ossia assoggettare a tassazione due volte la medesima ricchezza. Generalmente tali problematiche vengono risolte con la stipula di convenzioni. Schema 1: Le fonti del diritto Fonti del diritto sono quelli atti o fatti riconosciuti idonei a produrre norme giuridiche che, considerate nel loro complesso costituiscono l’ordinamento giuridico. In genere la dottrina tradizionale così classifica le fonti: fonti di produzione che identificano i soggetti e gli organi competenti a creare le forme giuridiche nell’ambito dell’ordinamento (Parlamento, Governo, Consiglio regionale); fonti di cognizioni che sono gli atti o i documenti in cui le forme giuridiche sono contenute (ad esempio le leggi e i regolamenti); fonti di elaborazione che riguardano i procedimenti di creazione, modificazione, estinzione delle norme giuridiche (ad esempio il procedimento per porre in essere le leggi ordinarie). Nel contesto delle fonti distinguiamo poi: fonti scritte che sono la Costituzione, le leggi, i regolamenti, gli atti giurisdizionali, i contratti, i testamenti, e così via; fonti non scritte, rappresentate dalla consuetudine che consiste in un comportamento idoneo a produrre conseguenze giuridiche. Schema 2: Rapporti tra le fonti del diritto Naturalmente, la pluralità di fonti esistente negli ordinamenti giuridici più progrediti presuppone delle regole che disciplinino i rapporti fra esse, per evitare che si intralciano a vicenda. I rapporti tra le fonti possono regolarsi secondo due principi: Gerarchia: per cui le fonti sono tra loro graduate in una fonte gerarchica, in cui la fonte di grado superiore condiziona la fonte di grado inferiore. Il rapporto di gerarchia implica le seguenti regole generali: 1. la norma di grado inferiore non può mai modificare la norma di grado superiore, né abrogarla; 2. la norma di grado superiore può sempre modificare o abrogare la norma di grado inferiore; 3. le norme di pari grado possono modificarsi reciprocamente, in base al criterio temporale: la norma successiva nel tempo può modificare o abrogare la norma anteriore di pari grado. Quest’ultima regola non si applica, però, alle leggi speciali ed eccezionali poiché, nei casi considerati, esse dettano una disciplina particolare che deroga alla legge generale. La legge generale successiva può prevalere solo se abroga espressamente la legge speciale anteriore. Competenza: per cui è riservata, è riservata, in via esclusiva, ad una fonte determinata la disciplina di alcune materie, escludendosi ogni intervento normativo da parte di fonti diverse. Schema 3: Il fondo perequativo Il terzo comma dell’articolo 119 rinvia alla legge dello Stato di istituire un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Si tratta di uno strumento che dovrebbe compensare eventuali squilibri fra le entrate tributarie delle Regioni e consentire a tali enti di erogare i servizi di loro competenza a livelli uniformi su tutti il territorio nazionale. La finalità immediata è quella di garantire che in tutte le Regioni, a prescindere dalla capacità di ricavare risorse fiscali dal loro territorio, siano rispettati gli stessi standard nella prestazione di determinati servizi, in particolare di quelli concernenti i servizi sociali, come opportunamente sottolineato nel successivo articolo 120, comma 2 della Costituzione. Le disposizioni dello Statuto dei diritti del contribuente; Premessa. Le disposizioni dello Statuto dei diritti del contribuente, contenute nella legge 27 luglio 2000, n. 212, sono entrate in vigore il 1° agosto 2000 e costituiscono già una pietra miliare del nostro Ordinamento tributario, perchè hanno determinato una vera svolta nell’attività comportamentale dell’Amministrazione finanziaria e delle Amministrazioni locali nei confronti dei contribuenti. Lo Statuto parte dal presupposto che i rapporti tra ente impositore e soggetto passivo del tributo devono correre necessariamente sui binari della trasparenza e della correttezza e considera l’obbligazione tributaria sempre più somigliante a quella dettata dal codice civile, con la conseguenza che le parti del rapporto giuridico divengono ora più paritarie e meno dominate da quella supremazia formale e sostanziale che la norma storicamente ha riconosciuto alla Pubblica amministrazione. In questa prospettiva, il cittadino è meno suddito e più punto di riferimento di diritti, così che la democrazia, anche nel rapporto tributario, diventa più concreta, potendo appunto trovare nello statuto la propria tutela e il proprio riconoscimento. Il recepimento dei principi dello Statuto Gli Enti locali avrebbero dovuto adeguare gli atti normativi interni (statuto e regolamenti) ai principi dettati dallo Statuto dei diritti del contribuente entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge in commento e quindi entro il termine del 1° febbraio 2001. Alle Province autonome di Trento e di Bolzano e alle Regioni a Statuto speciale, il comma 3 dell’articolo 1 della legge n. 212 del 2000 ha concesso, invece, un anno di tempo per svolgere la stessa attività di adattamento; nessun termine, invece, è stato fissato per le Regioni a statuto ordinario. La norma, altresì, non ha imposto alcuna sanzione in caso di mancata osservanza degli adempimenti citati, lasciando conseguentemente ampia autonomia alle Amministrazioni locali che spesso hanno condotto l’opera di adeguamento con molta superficialità. Tuttavia, al riguardo, sono possibili due osservazioni. La prima parte dal presupposto che le norme della legge n. 212 del 2000, proprio perché costituiscono principi generali dell’Ordinamento tributario (e in quanto tali inderogabili), non hanno bisogno di essere recepite in atti normativi dell’ente locale, ma trovano immediata applicazione. Pertanto, i predetti principi possono essere sempre invocati dal contribuente, indipendentemente dai comportamenti tenuti dagli Enti locali appunto nell’attività di recepimento dei principi fondamentali dello Statuto. Con la seconda osservazione, si evidenzia comunque l’opportunità dell’opera di adeguamento dei regolamenti locali ai principi dello Statuto, poiché tale adempimento non si presenta come un’operazione superflua, quanto, invece, come un ulteriore segnale di chiarezza e trasparenza che l’ente locale è tenuto a manifestare ai propri contribuenti che devono essere in grado di conoscere le norme che regolamentano i tributi e disciplinano i rapporti con l’ente impositore e dalle quali nascono diritti e doveri da entrambe le parti. Il principi generali dello Statuto Il comma 1 dell’articolo 1 della legge n. 212 del 2000, disciplina che i principi generali dell’ordinamento tributario trovano riscontro in quelli dettati dagli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione (schema 1). Queste disposizioni costituzionali in materia di sistema tributario, alle quali naturalmente deve essere confermata anche la fiscalità locale, da un lato richiamano all’obbligo contributivo tutti i cittadini, dall’altro prevedono la piena attuazione, anche a livello decentrato, dei principi di eguaglianza, legalità e capacità contributiva. Nell’esercizio dell’attività tributaria è, quindi, necessario che l’Amministrazione locale assicuri il rispetto e la tutela dei diritti del cittadino-contribuente, pur dovendo dare concreta attuazione all’autonomia impositiva statuita dall’articolo 149 dell’Ordinamento degli enti territoriali, approvato con il D.Lgs n. 267 del 2000. In ogni caso, dalle norme costituzionali sopra enunciate, si possono trarre le seguenti osservazioni: a) anche l’Ente impositore (Stato e altri Enti minori) è sottoposto alla legge tributaria. Da ciò si ricava il principio, mai sufficientemente ricordato, dell’impossibilità (a pena di nullità ) delle pattuizioni in tale materie (per esempio: nullità della clausola contrattuale che esenta il cittadino da ogni tributo). Come si è detto in precedenza, le esenzioni sono possibili solo per legge (ad esempio, l’articolo 21 della legge n. 460 del 1997 relativamente alle ONLUS) che da la facoltà ai Comuni di creare nei confronti dei contribuenti ulteriori esenzioni o agevolazioni, purché disciplinate con regolamento interno; b) l’uguaglianza tra cittadini è rapportata alla diversa capacità contributiva; c) il Comune (come lo Stato) trae il proprio potere impositivo dalla legge dello Stato. La derogabilità delle disposizioni contenute nello Statuto Il comma primo dell’articolo 1 relativo ai principi generali in materia di diritti del contribuente, disciplina che le disposizioni dello Statuto possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali. Conseguenza immediata e negativa della disposizione in commento è che una qualsiasi legge successiva può agevolmente vanificare ogni principio sancito nello Statuto. Tuttavia quanto sopra detto non può equivalere a considerare valida ogni modificazione dello Statuto disposta con legge successiva, in quanto occorre pur sempre tener conto del fatto che si tratta di principi fondamentali dell’Ordinamento tributario con la conseguenza che la norma successiva che contravvenga ai divieti posti nello Statuto resta paralizzata nella sua efficacia, potendo trovare applicazione solo nella parte in cui sia ad esso conforme. In questi casi, infatti, prevale l’esigenza di salvaguardare le disposizioni dello Statuto che reca da un lato i principi generali dell’Ordinamento tributario, e dall’altro lato, disciplina i limiti del potere pubblico nell’esercizio dell’attività impositiva. In altri termini, lo Statuto vuole costituire un primo passo verso una disciplina tributaria scritta per principi, stabile nel tempo, affidabile e trasparente e di conseguenza idonea ad agevolare, nella interpretazione, sia il contribuente e sia l’Amministrazione finanziaria riguardo ai loro comportamenti. Le disposizioni emanate sono così rivolte ad assicurare la migliore informazione e chiarezza delle norme fiscali, un’adeguata conoscenza delle conseguenze tributarie delle proprie azioni, la speditezza e tempestività dell’azione impositiva, la semplificazione degli adempimenti, ed un equo e regolare svolgimento delle procedure di accertamento. Il codice deontologico per la predisposizione dei regolamenti L’articolo 2 dello Statuto contiene ulteriori principi che impongono un codice deontologico al Legislatore, e quindi anche all’ente locale, nel momento in cui si accinge a predisporre i propri regolamenti. In particolare, il comma 1 del citato articolo, stabilisce che le leggi e gli altri atti aventi forza di legge che contengono disposizioni tributarie devono menzionare l’oggetto nel titolo, analogamente alla rubrica e alle partizioni interne e dei singoli articoli. E’ emersa, pertanto, la necessità di determinare una normativa chiara e trasparente, a cominciare dagli elementi più banali, quali quelli dell’indicazione nel titolo, dell’oggetto principale della disciplina normativa e della specificazione nel testo stesso dell’eventuale presenza di leggi di delega, indicando succintamente l’argomento e il contenuto degli articoli delle eventuali leggi richiamate. Nell’articolo 2, comma 2 si legge, invece, che le norme tributarie non possono essere contenute in leggi e atti aventi forza di legge che non hanno ad oggetto la materia tributaria, fatto salvo il caso in cui dette norme siano strettamente inerenti all’oggetto della legge medesima. Questo principio, trova ampia giustificazione nella circostanza che spesso intervengano disposizioni particolari a regolare una specifica materia che finiscono anche per incidere sul piano tributario. Al riguardo si può citare un esempio che è quello prodotto sul D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, in materia di Imposta comunale sugli immobili, dalla legge 9 dicembre 1998, n. 431, recante la disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili ad uso abitativo, che all’articolo 2, comma 4, consente ai Comuni di deliberare aliquote ICI più favorevoli per i proprietari che concedono in locazione a titolo di abitazione principale, immobili alle condizioni definite dagli accordi disciplinati dal comma 3 dello stesso articolo. Sempre con riguardo ai principi di deontologia sopra richiamati, l’articolo 2, comma 3 dello Statuto prescrive che i richiami di altre disposizioni contenuti in provvedimenti normativi in materia tributaria devono essere fatti indicando anche il contenuto sintetico della disposizione alla quale si opera il rinvio. Ancora una volta si deve rilevare che emergono le stesse pressanti esigenze di chiarezza e trasparenza già evidenziate. Infatti, è sin troppo evidente come il Legislatore intenda rifuggire da disposizioni che siano una mera elencazione di articoli e commi. Come corollario a questa serie di principi, l’articolo 2 dello Statuto, al comma 4, stabilisce che le disposizioni modificative di leggi tributarie devono essere introdotte riportando il testo conseguentemente modificato. Gli obblighi informativi Per effetto dell’articolo 5 dello Statuto dei diritti del contribuente, i Comuni, le Province e le Regioni sono tenuti ad una corretta e capillare informazione che deve essere predisposta attraverso i mezzi reputati più idonei a raggiungere il contribuente. La norma stabilisce, innanzitutto, che l’Amministrazione deve assumere idonee iniziative volte a consentire la completa e agevole conoscenza delle disposizioni legislative e amministrative vigenti in materia tributaria. A tal riguardo, la disposizione offre una serie di suggerimenti sulle tecniche da utilizzare per realizzare gli obbiettivi voluti dal Legislatore, quali: la predisposizione di testi coordinati, che devono essere messi a disposizione del contribuente presso ogni ufficio impositore, soprattutto in ragione della incessante proliferazione normativa a cui si assiste in materia fiscale; l’adozione di idonee iniziative di informazione elettronica che consentano aggiornamenti in tempo reale, ponendola a disposizione gratuita dei contribuenti. A tal proposito vanno sempre più crescendo i siti informatici dei Comuni dove si possono scaricare, ad esempio, i regolamenti che disciplinano i tributi, o anche la modulistica necessaria per adempire correttamente la propria obbligazione tributaria. Si deve comunque segnalare la necessità che vengano utilizzati altri strumenti informativi diversi da Internet, non essendo quest’ultimo, allo stato attuale, accessibile a chiunque; la messa a disposizione di circolari e risoluzioni che interessano la materia tributaria; la pubblicazione di ogni altro atto o decreto che dispone sull’organizzazione, sulle funzioni e sui procedimenti . Va, peraltro, evidenziato che gli obblighi informativi della Pubblica amministrazione sono stati già disciplinati dalla legge n. 241 del 1990. Nel dettaglio, l’articolo 1 disciplina espressamente che l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità di efficacia e di pubblicità. In particolare, la pubblicità, soprattutto in ambito tributario, costituisce il primo passo per poter costruire un valido rapporto con il contribuente, che deve innanzitutto esser messo al corrente di ciò che può in qualche modo influire sulla sua sfera patrimoniale. Quello che occorre essenzialmente garantire è la conoscenza delle disposizioni legislative e amministrative vigenti in materia tributaria, si da porre il contribuente nelle condizioni di conoscere i suoi diritti e i suoi obblighi nei confronti dell’ente impositore. Ma vi è di più. È solamente attraverso la conoscenza degli atti che il contribuente può essere in grado di partecipare attivamente al procedimento dell’Amministrazione, tanto da poter anche influire sul contenuto dello stesso. La modulistica Un altro punto su cui occorre polarizzare l’attenzione riguarda la modulistica che, da quando l’articolo 52 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, ha riconosciuto ai Comuni e alle Province ampia autonomia regolamentare (e ha quindi determinato la nascita di una miriade di modelli di dichiarazione soprattutto per tributi quali l’imposta comunale sugli immobili e la tassa di smaltimento rifiuti solidi ed urbani ), è divenuto uno dei punti di grave attrito nei rapporti con il contribuente, spesso costretto a ricorrere a moduli difficilmente reperibili o a districarsi in un mare di adempimenti diversi da Comune a Comune. A tal fine, il comma 3 dell’articolo 6 dello Statuto stabilisce che l’ente impositore deve assumere iniziative volte a garantire che i modelli di dichiarazione, le istruzioni e, in generale, ogni altra propria comunicazione: siano messi a disposizione del contribuente in tempi utili; siano comprensibili anche ai contribuenti sfornite di conoscenze in materia tributaria; permettano al contribuente di adempiere le obbligazioni tributarie con il minor numero di adempimenti e nelle forme meno costose ed agevoli. Si auspica, quindi, che di fronte a tali principi generali, venga posto il giusto accento sulle iniziative di semplificazione nel rispetto della esigenza di facilitare gli adempimenti dei contribuenti. Le disposizioni in materia di attività di controllo Le disposizioni dello Statuto dei diritti del contribuente in materia di attività di controllo, sono numerose e alcune di queste sono state già esaminate. Tuttavia per l’importanza dell’argomento è opportuno un breve richiamo, sintetizzando gli aspetti più rilevanti. In primo luogo, gli atti dell'amministrazione finanziaria debbono essere motivati secondo quanto prescritto dall'articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama. In secondo luogo, gli atti impositivi dell’Amministrazione locale devono tassativamente indicare: a) l’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all'atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento; b) l’autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede di autotutela; c) le modalità, il termine, l’organo giurisdizionale o l'autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili. In terzo luogo, viene imposto agli Enti impositori di assumere idonee garanzie volte a consentire la completa e agevole conoscenza delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, affinché anche i contribuenti sforniti di conoscenza in materia tributaria possano adempiere le obbligazioni tributarie con il minor numero di adempimenti e nelle forme meno costose e più agevoli. A tal fine, gli enti impositori devono anche assicurare l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati, mediante comunicazione all’effettivo domicilio e devono informare lo stesso di ogni fatto o circostanza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti che impediscono il riconoscimento, seppure parziali, di un credito. Inoltre, al contribuente non possono essere richiesti documenti e informazioni già in possesso dell’Ente impositore o di altre Amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente. In quarto luogo, viene disciplinato che i rapporti tra contribuente e gli Enti locali devono essere improntati sul principio della collaborazione e della buona fede. Non sono pertanto irrogabili sanzioni né richiedibili interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dall'ente impositore, ancorché successivamente modificati, o qualora il suo comportamento derivi da fatti direttamente conseguenti a ritardi dell’ente locale o dell’Amministrazione finanziaria. Le sanzioni non possono comunque essere irrogate dall’ente locale quando la violazione da parte del contribuente dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduca in una mera violazione formale, senza alcun debito d’imposta. In ultimo luogo, lo Statuto del contribuente disciplina con dovizia di particolari l’attività dell’Ente locale relativa agli accessi, alle ispezioni e alle verifiche fiscali nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali. Nel dettaglio, gli accessi devono essere effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e di controllo sul luogo e debbono essere svolti, salvo casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati, durante l’orario ordinario di esercizio delle attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività stesse. Quando viene iniziata la verifica, il contribuente ha diritto di essere informato: a) delle ragioni che l’abbiano giustificata e dell’oggetto che la riguarda; b) della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, c) dei diritti e degli obblighi che gli sono riconosciuti in occasione delle verifiche. Inoltre, va evidenziato che è consentito al contribuente, su richiesta, l’esame dei documenti amministrativi e contabili, che peraltro può essere effettuato nell’ufficio dei verificatori o presso il professionista che lo assiste o rappresenta. Come conseguenza di questo diritto è altresì previsto che le eventuali osservazioni e rilievi effettuati dal contribuente e dal professionista che eventualmente lo assista, deve darsi atto nel processo verbale delle operazioni di verifica. Infine, si osserva che la norma disciplina che la permanenza degli operatori civili o militari dell'Amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi e che nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio, i suddetti termini possono essere prorogati per ulteriori trenta giorni. Inoltre, è consentito agli operatori di ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell’ufficio, per specifiche ragioni. Naturalmente se il contribuente ritenga che i verificatori procedano con modalità non conformi alla legge, può rivolgersi anche al Garante del contribuente. Peraltro nel rispetto del principio di cooperazione tra Amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni le osservazioni e le richieste ritenute opportune che debbono poi essere valutate dagli uffici impositori, con la conseguenza che l’eventuale avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo i casi di particolare e motivata urgenza. Il garante del contribuente Presso ogni Direzione regionale delle entrate e Direzione delle entrate delle province autonome è istituito il Garante del contribuente, organo collegiale costituito da tre componenti. Il Garante del contribuente, anche sulla base di segnalazioni inoltrate per iscritto dal contribuente o da qualsiasi altro soggetto interessato che lamenti disfunzioni, irregolarità, scorrettezze, prassi amministrative anomale o irragionevoli o qualunque altro comportamento suscettibile di incrinare il rapporto di fiducia tra cittadini ed enti impositori, rivolge richieste di documenti o chiarimenti agli uffici competenti, i quali rispondono entro trenta giorni, e attiva le procedure di autotutela nei confronti di atti amministrativi di accertamento o di riscossione notificati al contribuente. Inoltre, il Garante del contribuente può rivolgere raccomandazioni ai dirigenti degli uffici ai fini della tutela del contribuente e della migliore organizzazione dei servizi. Il diritto di interpello Il diritto di interpello è disciplinato dall’articolo 11 dello Statuto dei diritti del contribuente. Si tratta di un istituto giuridico che deve essere applicato dagli enti comunali anche se non c’è stato il preventivo recepimento in apposito regolamento comunale. In altri termini, se l’ente locale ha disciplinato tale istituto, occorre far riferimento al regolamento di attuazione, mentre, in assenza, all’articolo 11 dello Statuto. Il citato articolo consente al contribuente che ritiene vi siano delle obiettive condizioni di incertezza nella normativa, di presentare direttamente all’Amministrazione competente un quesito, per giungere alla corretta interpretazione delle disposizioni tributarie. L’Amministrazione è tenuta a dare la risposta entro il termine di 120 giorni decorrenti dalla presentazione della relativa istanza; decorso tale termine è come se il comune accettasse la soluzione fornita dal contribuente, in quanto scatta il silenzio-assenso. In tale ipotesi qualsiasi atto che l’Ente locale emetta in maniera discordante da quanto il contribuente possa dedurre dall’applicazione del silenzio-assenso deve ritenersi affetto da nullità. Quanto ai termini di presentazione dell’istanza, si osserva che questa deve essere presentata prima dell’applicazione della norma per la quale si richiede una giusta interpretazione. Occorre precisare al riguardo che la questione per la quale è richiesto il chiarimento, deve avere ad oggetto delle norme primarie e secondarie e non delle risoluzioni o circolari. Inoltre, si segnala che l’eventuale presentazione della domanda non influisce sugli adempimenti del contribuente. In altre parole per il contribuente che presenta la richiesta non si realizzano le condizioni di proroga delle relative scadenze. Il contenuto della richiesta di interpello La richiesta di interpello, redatta in carta libera, deve contenere: i dati anagrafici del contribuente ed eventualmente del suo rappresentante legale; la fattispecie reale e personale per la quale si richiedono dei chiarimenti sulla normativa; la questione interpretativa che ha dato alla norma in esame. Se la richiesta è priva di uno degli elementi sopra citati è ritenuta non ammissibile, mentre, qualora la richiesta non rechi la firma del contribuente la stessa è da ritenersi valida a condizione che l’ufficio inviti il contribuente a regolarizzarla entro il termine di 30 giorni dalla ricezione della stessa. All’istanza va allegata tutta la documentazione necessaria ai fini della soluzione del quesito. Come anticipato, è concesso al contribuente di indicare nell’istanza il comportamento e la soluzione che intende adottare, specificando anche i motivi per i quali ritiene utilizzato il citato comportamento. Naturalmente, l’eventuale soluzione non fornita dal contribuente non rende invalida la relativa istanza. Infine, possono verificarsi altre due ipotesi: può capitare che l’istanza sia trasmessa ad un ufficio non competente. In tal caso spetta all’ufficio che ha ricevuto l’istanza inoltrarla a quello competente. inoltre, qualora la documentazione allegata alla domanda non sia sufficiente, l’Amministrazione ha la facoltà di richiedere al contribuente di integrare i documenti. L’integrazione può essere richiesta solo una volta e in tal caso i termini per la risposta si interrompono e la loro decorrenza si ha dal momento in cui si sono ricevuti tutti i documenti. Gli adempimenti imposti all’Ente locale Ricevuta l’istanza di interpello, la prima operazione che l’Ente locale deve effettuare è quella di verificare l’esistenza di una fattispecie reale e personale per la quale si richiedono dei chiarimenti sulla normativa in quanto la stessa presenta delle obiettive condizioni di incertezza al momento della sua interpretazione. L’ufficio ha l’obbligo di rispondere entro il termine di 120 giorni dalla data di ricevimento dell’istanza e la risposta deve essere notificata al contribuente oppure inviata mediante raccomandata ovvero tramite via telefax o e-mail. In ogni caso, è obbligatorio che l’Ente locale fornisca la risposta anche quando valuti che l’istanza sia da ritenere inammissibile. Nell’ipotesi in cui il quesito è posto da un maggior numero di persone, l’Ente potrà fornire la soluzione tramite una risoluzione o una circolare della quale gli estremi devono comunque essere comunicati per iscritto al contribuente che ha posto il quesito. La risposta fornita dall’Ente ha effetto solo per il contribuente che ha posto la tematica e la mancata risposta da parte dell’Ente entro il termine fissato dalla legge (vale a dire entro i successivi 120 giorni) legittima il contribuente ad adottare la soluzione prospettata nell’istanza in quanto scatta il silenzio-assenzo. Nell’ipotesi in cui l’Amministrazione provvede a fornire la soluzione entro il termine di 120 giorni e nonostante tale formulazione il contribuente si comporti in maniera difforme, l’Amministrazione potrà procedere al recupero delle imposte e degli interessi, senza l’irrogazione delle sanzioni. Può accadere, infine, che l’Ente ritorni sulla questione anche dopo il termine dei 120 giorni con la rettifica della risposta fornita al contribuente. In questi casi, si possono verificare tre ipotesi: a) il contribuente ha già applicato la disposizione e pertanto la rettifica non ha effetto sul comportamento. Tuttavia, in occasione di una successiva applicazione della disposizione il contribuente è tenuto ad osservare il nuovo parere; b) il contribuente non ha ancora applicato la norma. In questa ipotesi, l’ufficio potrà procedere al recupero dei tributi e degli interessi senza, tuttavia, applicare le sanzioni. Schema 1: I principi costituzionali richiamati dallo Statuto Il primo principio è quello codificato all’articolo 3 della Costituzione italiana ed ha riguardo al principio di uguaglianza che assume due profili. Il primo è di carattere formale e comporta che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Si tratta di un vincolo dettato per il Legislatore ordinario, non già nel senso che tutte le norme di legge debbano sempre indirizzarsi in modo eguale a tutti i cittadini bensì nel senso che l’individuazione delle categorie di soggetti cui ciascuna norma è destinata deve avvenire con criteri che evitino di trattare situazioni omogenee in modo differenziato, ovvero situazioni disomogenee in modo eguale. In altri termini, a parità di condizioni deve corrispondere un trattamento eguale ed a condizioni diverse un trattamento differenziato. Il secondo profilo del concetto di eguaglianza è di carattere sostanziale e impegna lo Stato a rimuovere, anche e soprattutto con una adeguata politica fiscale, gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Si tratta in questo caso di un programma per il Legislatore ordinario, sollecitato ad assumere misure idonee ad attenuare le differenze di fatto, economiche e sociali, che discriminano le condizioni di vita dei singoli. Il secondo principio è sancito dall’articolo 23 della Costituzione, di previsione della riserva di legge in materia tributaria, accogliendo in tal modo il principio della legalità delle imposte. Talché, in base all’articolo 23 della Costituzione, nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. Va peraltro osservato che tale riserva di legge deve essere intesa come relativa e non assoluta: da ciò deriva che la legge non può regolare integralmente il rapporto tributario, demandando ad un regolamento od altra fonte subordinata la disciplina specifica degli elementi fissati in generale dalla legge . Il terzo principio è previsto dall’articolo 53 della Costituzione . Questo contiene i due principi fondamentali dell’universalità dell’imposta e della progressività del sistema tributario. Il principio della generalità ed uguaglianza del tributo, implica che tutti coloro che risiedono nello Stato, e quindi beneficiano dei suoi servizi, sono tenuti al pagamento delle imposte. Il principio della progressività del sistema tributario, invece, comporta che sul reddito totale di ogni individuo l’aliquota fiscale sia crescente, nel senso che il totale delle imposte pagate da ciascuno deve aumentare più che proporzionalmente rispetto al reddito dell’individuo. Infine, il quarto principio è disciplinato all’articolo 97 della Costituzione ed è relativo al principio della legalità dell’azione amministrativa, nel senso che soltanto la legge può determinare i fini che l’azione amministrativa deve perseguire, nonché il contenuto tipico dei vari atti posti in essere dall’Autorità amministrativa L’autonomia dell’ente locale, con particolare riferimento a quella impositiva Premessa In senso lato autonomia significa libertà e indipendenza di un soggetto giuridico da un qualsiasi altro nella determinazione e nell’esercizio di determinate attività giuridiche. Al riguardo una prima fondamentale distinzione è tra autonomia politica e autonomia giuridica. Per autonomia politica s’intende la possibilità di determinare liberamente i fini che la comunità sociale intende perseguire (c.d. autodeterminazione delle scelte). Per autonomia giuridica s’intende, invece, la capacità di agire per il raggiungimento delle proprie finalità. Per le autonomie locali, tale autonomia può assumere varie forme: autonomia normativa: è relativa al potere di emanare disposizioni precettive generali, con forza cogente, nell’ambito del proprio territorio. L’autonomia normativa si concretizza nell’autonomia legislativa riconosciuta a tutte le Regioni e nella autonomia statutaria e regolamentare riconosciuta, oltre che alla Regioni, anche alle Province e ai Comuni. (articolo 117, 6° comma della Costituzione, relativamente all’autonomia regolamentare; articolo 114, 2° comma della Costituzione relativamente all’autonomia statutaria) (vedi schema 1). Quanto ai rapporti tra statuto e regolamenti dell’Ente locale rispetto alle altre fonti del diritto, sinteticamente è possibile evidenziare quanto segue: lo statuto rientra tra le fonti di rango secondario, giacché gli Enti locali restano in ogni caso privi di potestà legislativa. Tuttavia in considerazione che per la prima volta l’autonomia statutaria è disciplinata a livello costituzionale dall’articolo 114, 2° comma e in considerazione della equiparazione tra gli Enti della Repubblica (Comuni, Province, Città metropolitane Regioni), tutto questo comporta che gli statuti sono soggetti alla sola carta Costituzionale. Di conseguenza, gli statuti ponendosi quali fonti del diritto secondario, assoggettabili solo alla Costituzione, risulta difficile stabilire quale fonte prevale nel caso di scontro con le leggi di primo grado. Una possibile soluzione potrebbe consistere nella separazione per materia delle sfere di competenza fra potestà statutaria locale e quella legislativa statale. Relativamente ai regolamenti, per il fatto che questi sono soggetti ai principi fissati dalla Costituzione, dalle leggi ordinarie e regionali e allo statuto, ne comporta la collocazione tra le fonti del diritto terziarie o subsecondarie (vedi schema 2). autonomia organizzativa o amministrativa: è relativa alla possibilità attribuita all’ente di darsi una propria struttura organizzativa. Tale autonomia è sancita dall’articolo 118 della Costituzione, commi 1 e 2, dove viene sancito che i Comuni sono titolari della generalità delle funzioni amministrative, salvo che per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a province, città metropolitane, Regioni e stato; autonomia finanziaria: che consiste nella potestà di stabilire e gestire in modo autonomo le risorse finanziarie di cui necessitano per la realizzazione delle funzioni loro affidate. autonomia contabile: che si concretizza nell’adozione di un proprio bilancio che consente di realizzare la gestione finanziaria e amministrativa dell’ente. Tutto ciò premesso, nell’ambito dell’autonomia normativa è opportuno approfondire gli aspetti relativi alla potestà regolamentare degli Enti locali in materia tributaria. La potestà regolamentare in materia tributaria Premesse le disposizioni costituzionali, contenute nell’articolo 117 (per il quale gli enti hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite) e nell’articolo 119 (per il quale gli Enti locali stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri), la potestà regolamentare generale delle province e dei Comuni in materia tributaria è stata disciplinata compiutamente con gli articoli 52 e 53 del Decreto Legislativo 15 dicembre 1997 n. 446, quanto alla gestione delle entrate proprie, anche di natura tributaria e la istituzione, presso il Ministero delle Finanze, dell'albo dei soggetti privati abilitati a effettuare le attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi e delle altre entrate. Della generale potestà regolamentare degli Enti locali in materia tributaria, è possibile elencarne i seguenti caratteri: il suo esercizio può condurre alla emanazione di disposizioni non soltanto meramente esecutive delle norme primarie stabilite dal Legislatore nazionale, bensì anche derogatorie delle norme primarie stesse, nei limiti di cui si dirà più avanti; ha riguardo alla disciplina dell’accertamento, della riscossione, dell’organizzazione, dell’applicazione e della semplificazione degli adempimenti tributari dei contribuenti; trova il suo fondamento, oltre che nella Costituzione, nel Decreto Legislativo n. 267 del 18/08/00, che riconoscendo l’autonomia normativa degli Enti locali attraverso l’emanazione degli statuti e dei regolamenti, consente loro di poter decidere circa: 1. le entrate da attivare; 2. il livello di pressione fiscale; 3. la forma di gestione delle fasi di acquisizione delle entrate. Limiti alla potestà regolamentare in materia tributaria Un primo ordine di limiti si riscontra nell'articolo 52, primo comma, del Decreto Legislativo n. 446 del 1997, dove è previsto che le Province e i Comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, con la conseguente preclusione della possibilità di modificare, con norma regolamentare, gli elementi essenziali della prestazione impositiva. In altri termini, la potestà regolamentare trova i seguenti ostacoli: nell'individuazione del soggetto obbligato. Non solo il soggetto passivo non può essere identificato in persone diverse da quelle previste dalla legge dello Stato, ma l’ente locale non può nemmeno individuare altri soggetti obbligati in via sussidiaria; nella definizione del presupposto imponibile. Devono essere assolutamente osservate le norme dello Stato che definiscono in quali casi il tributo è dovuto e la sua base di commisurazione; nell'aliquota massima applicabile. Le aliquote e le tariffe dei tributi non devono eccedere le misure massime indicate dalla legge dello Stato. Un secondo ordine di limiti va ricercato nella Costituzione, nel senso che i regolamenti in oggetto non possono comunque invadere il campo d'azione riservato, dalle disposizioni costituzionali, agli atti di normazione primaria (casi di riserva di legge). Per cui non è possibile: introdurre prelievi aventi il carattere di imposta o tassa, non attribuiti dalla legge alla fiscalità locale, ostandovi l'articolo 23 della Costituzione, in forza del quale nessuna prestazione personale e patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge; modificare il nuovo sistema sanzionatorio recato dai decreti legislativi n. 471, n. 472 e n. 473 del 18 dicembre 1997, essendo questo sistema strutturato sulla base di criteri schiettamente penalistici, salvo restando il potere di intervento regolamentare, riconosciuto dall'articolo 50 della legge n. 449 del 27 dicembre 1997, in ordine all'introduzione di riduzioni delle sanzioni in conformità con i principi desumibili dalla lettera l) del comma 133 dell'articolo 3 della legge n. 662 del 23 dicembre 1996; modificare il sistema del contenzioso che, come è noto, è incentrato, ai sensi del Decreto Legislativo n. 546 del 31 dicembre 1992, sulla giurisdizione delle commissioni tributarie anche in materia di tributi locali. Un terzo ordine di limiti è correlato alla necessità del rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, fra cui quello diretto alla salvaguardia dei diritti e interessi tutelati dalla legge. Pertanto non è possibile: eliminare o modificare in senso peggiorativo per il contribuente le agevolazioni ( come ad esempio in tema di esenzioni, di riduzioni, di detrazioni, e così via) disposte dalla legge; modificare in senso peggiorativo per il contribuente i termini decadenziali e prescrizionali stabiliti dalla legge. In particolare non si può disporre l'ampliamento dei termini decadenziali entro i quali, in forza della legge, devono essere notificati gli avvisi di liquidazione sulla base delle dichiarazioni, gli avvisi di accertamento in rettifica o d'ufficio, i provvedimenti irrogatori delle sanzioni. Infine, un quarto ordine di limiti si pone laddove la legge stabilisca i criteri direttivi da seguire per la predisposizione dei regolamenti. Specificatamente, in materia di affidamento a terzi dell'attività di accertamento e/o di riscossione dei tributi, ciò si verifica in relazione ai regolamenti adottati ai sensi del quinto comma dell'articolo 52 del Decreto Legislativo n. 446 del 1997 (Vedi schema 3). I criteri per l’affidamento a terzi delle procedure di accertamento e riscossione dei tributi e delle altre entrate degli Enti locali Come già anticipato nel capoverso precedente, nell’ambito del concreto esercizio dell’autonomia tributaria, di particolare importanza è anche il comma 5 dell'articolo 52 del Decreto Legislativo n. 446 del 1997, perché contiene una serie di criteri direttivi che gli Enti locali devono seguire nella predisposizione delle norme in materia di affidamento a terzi delle procedure di accertamento e riscossione dei tributi e delle altre entrate. In modo specifico, le disposizioni inserite nelle lettere a), b), c) e d), riguardano le fasi dell'accertamento e della riscossione del tributo locale. L'accertamento del tributo può in primo luogo essere effettuato direttamente dagli Enti locali, ma è comunque fatta salva la possibilità di ricorrere alle forme associate previste negli articoli 27, 30, 31 e 32 del Decreto Legislativo n. 267 del 18 agosto 2000, vale a dire alle Comunità Montane, alle Convenzioni, ai Consorzi, alle Unioni di Comuni. Un'ulteriore alternativa, la cui adozione è possibile allorquando non comporti oneri aggiuntivi per il contribuente come espressamente previsto dalla lett. c), comma 5, dell'articolo 52 in commento, è quella di affidare a terzi, con apposita deliberazione, lo svolgimento delle attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi, congiuntamente o disgiuntamente. Per quel che attiene, invece, alla individuazione dei soggetti che possono sostituirsi all'ente locale nello svolgimento di tali compiti, soccorre la lettera b), del comma 5, dell'articolo 52, che elenca i diversi soggetti che possono essere presi in considerazione e precisamente: 1. le aziende speciali di cui all'articolo 113, comma 1, lettera c), del Decreto Legislativo n. 267 del 18 agosto 2000; 2. le società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale previste dall'articolo 113, comma 1, lettera e) del medesimo Decreto Legislativo n. 267 del 2000; 3. le società miste; 4. i concessionari del servizio di riscossione, di cui al d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43 (oggi Decreto Legislativo. 13 aprile 1999, n. 112); 5. i soggetti iscritti nell'albo di cui all'articolo 53 del Decreto Legislativo n. 446 del 1997. Per le società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale, è posto l'obbligo all'ente locale di operare la scelta dei soci tra i soggetti iscritti all’albo. L'ulteriore disposizione che dovrà informare il regolamento è prevista nella lettera d) del comma 5 dell'articolo 52 del Decreto Legislativo n. 446 del 1997, dove è stabilito che il visto di esecutività sui ruoli per la riscossione dei tributi e delle altre entrate è apposto, in ogni caso, dal funzionario designato quale responsabile della relativa gestione (Vedi schema 4) La competenza regolamentare L’esercizio della capacità regolamentare è affidato al consiglio comunale al quale compete, ai sensi dell’articolo 42, secondo comma, lettera f) del Tuel n. 267 del 2000, anche l’istituzione e l’ordinamento dei tributi. I regolamenti debbono essere adottati con deliberazione consiliare entro la data fissata da norme statali per l’approvazione del bilancio di previsione e hanno effetto non anteriormente al 1° gennaio dell’anno di riferimento in conformità al principio enunciato dall’articolo 3, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente. Soltanto i regolamenti sulle entrate tributarie ( e quindi ad esclusione regolamenti sulle entrate patrimoniali, quali il regolamento del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche e il regolamento del canone per l’installazione di mezzi pubblicitari) sono poi comunicati, unitamente alla relativa delibera comunale o provinciale al Dipartimento delle politiche fiscali presso il Ministero dell’economia e finanze, entro 30 giorni dalla data in cui sono divenuti esecutivi e sono resi pubblici mediante avviso nella Gazzetta Ufficiale. Schema 1: La potestà normativa locale La valorizzazione della potestà normativa locale, operata dalla legge 5 giugno 2003, n. 131, va correttamente inquadrata nel quadro della gerarchia delle fonti, pur sempre fissato dalla Costituzione. Sebbene i termini generali si possa affermare che l’assetto del rapporto tra le fonti vada sempre più verso l’abbandono del rigido criterio gerarchico, in favore del principio della competenza, a ben vedere la legge n. 131/2003 non modifica la posizione di statuti e regolamenti nella gerarchia delle fonti, in quanto è la stessa legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, a non aver prodotto, in realtà, una modifica di tale rapporto. È certamente rilevare che per effetto dell’art. 114 novellato della Costituzione la potestà normativa locale assume un ruolo ed una veste mai posseduta in precedenza. Infatti, sebbene il combinato disposto degli artt. 5 e 128 della Costituzione consentiva nella carta costituzionale la radice di una podestà normativa locale, essa era posta espressamente solo da Legislatore ordinari. In particolare, è stata la legge n. 1421990 ad introdurre la podestà statutaria e a ridefinire l’assetto della podestà regolamentare, già da molto conosciuta e regolata dalla legge. Con la riforma del titolo V della Costituzione, tuttavia, le tipiche fonti normative locali, statuti e regolamenti, trovano un espresso riconoscimento costituzionale. Secondo l’art. 114, secondo comma, della Costituzione, i Comuni, le province, le città metropolitane e le regione sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. L’articolo 117, sesto comma, inoltre, aggiunge che Comuni, province città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Per la prima volta la Costituzione, dunque, pone a disciplina la potestà normativa locale. La decisione del Legislatore costituente di disciplinare espressamente la potestà normativa locale, infatti, è direttamente connessa all’attuazione del principio della sussidiarietà verticale, che intende allocare presso gli enti più vicini ai bisogni di servizi espressi dalla popolazione, l’esercizio delle funzioni amministrative e normative. In presenza, allora, di una forte costituzionalizzazione della sussidiarietà non può che sussistere in capo agli Enti locali, per definizione quelli maggiormente prossimi alla popolazione amministrata, una correlata intensa normativa. Schema 2: Lo Statuto Gli statuti restano fonti normative secondarie. In primo luogo essi sono certamente subordinati alla Costituzione, con la quale non possono contrastare. Tale posizione di sottoposizione alla Costituzione è confermata dalla previsione contenuta nell’articolo 4, comma 2, della legge n. 131/2003, a mente del quale lo statuto, in armonia con la Costituzione e con i principi generali in materia di organizzazione pubblica, nel rispetto di quanto stabilito dalla legge statale in attuazione dell’articolo 117, secondo comma, lett. P), della Costituzione, stabilisce i principi di organizzazione e funzionamento dell’Ente, le forme di controllo, anche sostitutivo, nonché le garanzie delle minoranze e le forme di partecipazione popolare. Tal norma pone i seguenti criteri di regolazione dei rapporti tra statuto, Costituzione e leggi: a) dipendenza dalla Costituzione; b) armonia con la Costituzione; c) armonia con i principi di organizzazione pubblica (anche di fonte non costituzionale); d) rispetto della legge di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. p. ), della Costituzione. In particolare il quarto criterio è fondamentale per rilevare che lo statuto non dispone di un’area normativa a sé riservata per la disciplina dell’ordinamento interno. Al contrario, la Costituzione ha riservato alla legge dello Stato la potestà di disporre legislativamente in merito a materie importantissime per la disciplina ordinamentale, con la legislazione elettorale, la disciplina degli organi di governo e la disciplina delle funzioni fondamentali degli enti. Dunque la potestà normativa statuaria non corrisponde a quella legislativa. E, mancando una riserva di competenza espressa, allora non può che rimanere subordinata alla legge, sebbene la Costituzione indubbiamente ponga, in via indiretta, un principio di preferenza dello statuto rispetto alla legge nella disciplina dell’ordinamento interno di ciascun Ente. Un punto focale della legge n. 131/2003 è rappresentato dall’articolo 4, comma 3, a mente del quale l’organizzazione degli Enti locali è disciplinato dai regolamenti nel rispetto delle norme statutarie. Schema 3: I limiti alla potestà regolamentare dei Comuni Attraverso l’esercizio della potestà regolamentare il Comune non può disporre: L’individuazione del soggetto obbligato; La definizione del presupposto imponibile; La determinazione aliquota massima applicabile; L’introdurre di prelievi, aventi il carattere di imposta o tassa, non attribuiti dalla legge alla fiscalità locale; Di modificare il sistema sanzionatorio; Di modificare il sistema del contenzioso; Di eliminare o modificare in senso peggiorativo per il contribuente le agevolazioni (esenzioni, riduzioni, detrazioni, ecc.) disposte dalla legge; Di modificare in senso peggiorativo per il contribuente i termini decadenziali e prescrizionali stabiliti dalla legge; Di derogare ai criteri direttivi previsti per la predisposizione dei regolamenti. Schema 4: La gestione delle entrate tributarie gestione diretta; gestione in forma associata (convenzione, consorzio, unione di Comuni, Comunità montane); Le forme di gestione gestione a mezzo di azienda speciale; gestione a mezzo di società a prevalente capitale pubblico locale (s.p.a. o s.r.l.); gestione a mezzo di società miste; gestione tramite i concessionari della riscossione dei tributi; gestione affidata a soggetti privati iscritti nell’apposito albo ministeriale. Gli Enti locali potranno deliberare di affidare a terzi le attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi, anche disgiuntamente e purché tale affidamento non comporti oneri aggiuntivi per i contribuenti, utilizzando: Le tipologie di affidamento 1. lo strumento convenzionale nel caso di affidamento alle aziende speciali; 2. la gara pubblica nel caso di affidamento a società per azioni o a responsabilità limitate a prevalente capitale pubblico locale; 3. la gara pubblica nel caso di affidamento a società miste costituite per la gestione in ambiti sovracomunali, ai concessionari per la riscossione dei tributi di cui al d.P.R. n. 43/98, ai soggetti, iscritti all’albo, abilitati a svolgere attività di liquidazione, di accertamento e di riscossione dei tributi e di altre entrate dei Comuni e delle Province; Le entrate tributarie della Provincia Premessa Nell’ambito della Autonomie locali, l’Ordinamento della finanza viene riservato alla legge, pur riconoscendo alle Province e ai Comuni piena autonomia finanziaria fondata su certezza di risorse proprie e trasferite. Ai sensi del novellato articolo 119 della Costituzione agli Enti locali è, infatti, assicurata potestà impositiva autonoma nel campo delle imposte, tasse e tariffe. In verità già con l’articolo 3 del Tuel, è stata riconosciuta alle Province e ai Comuni autonomia impositiva e finanziaria nell’ambito dei propri statuti e regolamenti e delle leggi di coordinamento della finanza pubblica. Come conseguenza dell’autonomia finanziaria e tributaria riconosciuta agli Enti locali, questi sono sempre più chiamati, in piena autonomia, a produrre quasi integralmente le risorse da gestire per alimentare le loro attività e per la realizzazione dei compiti fondamentali loro attribuiti. In tale contesto, diventa di fondamentale importanza la programmazione del livello di pressione fiscale locale, per gli effetti che essa produce tanto nella gestione degli Enti quanto e soprattutto per l’impatto sociale. Pertanto, di seguito vengono analizzate le principali entrate tributarie delle Province e dei Comuni, al fine di offrire un quadro sintetico circa il loro attuale assetto. 1. Addizionale Provinciale all’IRPEF L’addizionale Provinciale all’Irpef, è stata istituita a decorrere da primo gennaio 1999. Soggetti passivi del tributo sono i soggetti titolari di redditi da lavoro e assimilati sui quali è dovuta l’Irpef. Sono soggetti attivi del tributo, invece, le Province e i Comuni nel quale il contribuente ha il domicilio fiscale alla data del 31 dicembre dell’anno a cui si riferisce l’addizionale. Quanto alle modalità di versamento, l’addizionale è trattenuta dal sostituto d’imposta all’atto dell’effettuazione delle operazioni di conguaglio di fine anno. La ripartizioni delle somme tra Comuni e Province viene poi effettuata dal Ministero dell’Interno a titolo di acconto entro lo stesso anno in cui è effettuato il versamento e a saldo, entro l’anno successivo, sulla base dei dati forniti dal Ministero delle Finanze. L’aliquota è calcolata sul reddito lordo al netto degli oneri deducibili (quali ad esempio i contributi previdenziali e assistenziali, i contributi per addetti ai servizi domestici, le erogazioni liberali a favore di enti religiosi, l’assegno al coniuge) e sull’imposta dovuta si applicano le detrazioni e i crediti d’imposta dovuti ( sono tali ad esempio le spese sanitarie, gli interessi su mutui, l’assicurazioni sulla vita o sugli infortuni, le spese di istruzione, le spese funebri, le spese di ristruttutazione). Quanto alle aliquote vigenti, l’articolo 2, comma 18 della legge finanziaria per il 2004, ha confermato la misura del 6,5% per i Comuni e dell’ 1% per le province e, al fine di non aumentare la pressione fiscale, per i Comuni ha esteso al 2004 il divieto di aumentare le aliquote delle addizionali (già previsto per il 2003). Al riguardo si rammenta che in precedenza è stato consentito ai Comuni la facoltà di variare l’aliquota della compartecipazione per un importo annuo dello 0,2% e complessivo, nell’arco di tre anni, dello 0,5%. Come precisato dal primo gennaio 2003 detti aumenti sono stati sospesi. 2. Tassa o Canone per l’occupazione di spazi ed aree Ponendo l’attenzione unicamente al canone di occupazione spazi ed aree pubbliche che, a norma dell’articolo 51 del D.lgs 446 del 1997, i Comuni e le Province possono, con apposita norma regolamentare, istituire in alternativa all’applicazione della tassa di occupazione di spazi ed aree pubbliche, va evidenziato che questo tributo è dovuto da tutti coloro che effettuano, anche se privi di autorizzazione, una o più delle seguenti tipologie di occupazioni, permanenti o temporanee: nelle strade, nei corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dell’Ente; negli spazi soprastanti (esclusi balconi, verande, bovindi e simili infissi di carattere stabile), o sottostanti il suolo pubblico; in aree di proprietà privata soggette a servitù di pubblico passaggio. Naturalmente, salvi i casi di occupazioni abusive, il presupposto impositivo nasce previo rilascio di un provvedimento espresso di concessione o di autorizzazione che generalmente è rilasciato dall’ente locale: senza pregiudizio dei diritti di terzi; con l’obbligo del concessionario di rispondere di tutti i danni derivanti dalle opere connesse all’occupazione; con facoltà da parte dell’ente di revocarla con atto motivato per sopravvenute esigenze pubbliche (vedi schema 1). Le formalità per ottenere la concessione all’occupazione Per il rilascio della concessione, il contribuente è tenuto ad inoltrare apposita istanza contenente: l’esatta denominazione del soggetto richiedente, il suo domicilio e il suo codice fiscale: il termine di inizio dell’occupazione richiesta; il termine finale, salvo il caso in cui non venga richiesta espressamente a tempo indeterminato nel caso di occupazione permanente; l’individuazione esatta della superficie o dello spazio di cui si chiede la concessione, allegando planimetria della strada e dell’area interessata, e il progetto dell’opera che si vuole realizzare redatto e sottoscritto da tecnici iscritti ai relativi ordini o collegi professionali e abilitati alla progettazione dell’opera stessa; una appropriata documentazione fotografica dalla quale risulti lo stato attuale degli elementi interessati dalla trasformazione e il risultato finale prodotto dalla stessa mediante fotomontaggio o schizzi prospettici tali da dimostrare l’inserimento dell’opera nell’ambiente architettonico o paesistico; l’entità dell’occupazione proposta espressa in metri quadrati o in metri lineari con arrotondamento dell’unità superiore degli eventuali decimali; le modalità dell’occupazione; la descrizione dell’attività a favore della quale è richiesta l’occupazione. Se necessario, l’istanza deve corredata da tutti i pareri favorevoli o autorizzazioni degli Enti preposti alla tutela del territorio o dei beni, nonché da tutte le documentazioni atte a dimostrare il rispetto delle norme vigenti in materia di sicurezza statica antinfortunistica e antincendio, di risparmio energetico, di eliminazione delle barriere architettoniche e di igiene e salute pubblica obbligatorie per legge o conseguenti ad una espressa richiesta motivata del tecnico responsabile dell’istruttoria. La determinazione della tariffa Il regolamento dell’ente deve contenere preliminarmente la suddivisione del territorio in categorie di strade in funzione dell’importanza delle stesse. Deve, quindi, prevedere una tariffa a sua volta differenziata a seconda: della categoria di area sulla quale insiste l’occupazione; della superficie occupata; del valore economico della disponibilità dell’area; del sacrificio imposto alla collettività per la sua sottrazione all’uso pubblico. Successivamente vengono individuati i moltiplicatori con riferimento alle diverse tipologie di attività, in modo da differenziare l’onere dell’occupazione in funzione del diverso grado di utilità ritratta dall’occupante. La determinazione del canone La tariffa così determinata costituisce la base per il calcolo del canone, che si ottiene moltiplicando la tariffa stessa per i giorni di occupazione e diversificando le occupazioni temporanee da quelle permanenti. Dalla misura complessiva del canone dovrà sottrarsi l’ammontare di altri canoni previsti da disposizioni di legge per la medesima occupazione, fatti salvi quelli connessi a prestazioni di servizi. Va altresì evidenziato che il canone può essere maggiorato di eventuali oneri di manutenzione derivanti dall’occupazione del suolo e del sottosuolo ovvero il regolamento dell’Ente può prevedere speciali agevolazioni per le occupazioni ritenute di particolare interesse pubblico e, in particolare, per quelli aventi finalità politiche o istituzionali. Le modalità di versamento Il canone deve essere versato in una unica soluzione entro il 30 aprile di ciascun anno. Il versamento è effettuato a mezzo di conto corrente postale intestato al Comune o alla Provincia, salvo diversa determinazione degli enti interessati, i quali possono prevedere termini e modalità diversi inviando, nel mese di gennaio di ciascun anno, apposita comunicazione alle aziende di erogazione di pubblici servizi, fissando i termini per i conseguenti adempimenti in non meno di novanta giorni dalla data di ricezione della comunicazione. 3. Imposta Provinciale di trascrizione Ai sensi dell’articolo 56 del D.Lgs n. 446 del 1997, le province possono con proprio regolamento istituire, limitamente alla loro competenza territoriale, questa imposta che è dovuta per ogni formalità di trascrizione, iscrizione e annotazione dei veicoli nel PRA. La tariffa è determinata per tipo e potenza dei veicoli, ed è aumentabile successivamente nel limite massimo del 20%, con apposita delibera adottata entro la data di approvazione del bilancio di previsione. 4. Tributi per l’esercizio delle funzioni di tutela, protezione e igiene dell’ambiente Il tributo è stato istituito a favore delle Province a fronte delle funzioni amministrative che debbono svolgere in tema di tutela ambientale e dei suoli e di smaltimento rifiuti. Il tributo è commisurato sulle superfici soggette alla tassa o tariffa rifiuti e l’aliquota che la Provincia può determinare varia da un minimo dell’1% ad un massimo del 5%. 5. Addizionale sul consumo di energia elettrica Per ogni KWh di consumo di energia elettrica si applica l’addizionale provinciale di lire 18 (con decorrenza dal primo gennaio 2000) per qualsiasi uso dei locali e in luoghi diversi dalle abitazioni, per tutte le utenze, fino al massimo di 200 mila KWh di consumo al mese. Con apposita delibera da adottare entro la data di approvazione del bilancio di previsione e da notificare all’ente che provvede alla riscossione entro 10 giorni, le province hanno la facoltà di incrementare detto importo fino ad un massimo di 22 lire per KWh.. Va evidenziato, tuttavia, che in conseguenza dei maggiori gettiti che le Province ricavano dalle nuove aliquote (18 minimo o 22 massimo) rispetto all’aliquota originaria di 11,5, sono stati ridotti di pari importo i trasferimenti erariali. Infine, va ulteriormente precisato che prima dell’entrata in vigore della legge finanziaria per il 2004 (articolo 39, c.2), erano esenti dall’applicazione dell’addizionale i consumi relativi all’esercizio delle attività di produzione, trasporto e distribuzione di energia elettrica. Tale esclusione non opera più a partire dal primo gennaio 2004, mentre continuano a restare esenti dall’applicazione dell’addizionale i consumi per illuminazione pubblica e, per le province, le utenze con potenza impegnata fino a 200 mila KWh di consumo al mese. Schema 1: Il contenuto dell’atto di concessione L’atto di concessione deve contenere, tra le altre, le indicazioni relative al: termine d’inizio dell’occupazione; termine finale dell’occupazione, salvo, per l’occupazione permanente, che non sia espressamente richiesta a tempo indeterminato; le modalità dell’occupazione; l’indicazione dell’attività a favore della quale è diretta l’occupazione; ammontare del canone, determinato secondo la tariffa di cui al vigente regolamento comunale, eventualmente maggiorato per il rimborso degli oneri di manutenzione gravanti sull’ente per l’occupazione; le modalità e il termine di pagamento del canone; le eventuali prescrizioni tecniche che il soggetto deve osservare nell’occupazione. Le entrate tributarie del Comune Premessa Le principali entrate tributarie del Comune sono rappresentate: dall’Imposta comunale sugli immobili; Tassa o Tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani e relative addizionali (Eca e Meca); dall’ Addizionale comunale all’IRPEF; dalla Tassa o Canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche; dal Canone o diritto per i servizi relativi alla raccolta, all’allontanamento, alla depurazione e allo scarico delle acque; dall’Addizionale al consumo dell’energia elettrica; dal Canone per l’installazione di mezzi pubblicitari sulla pubblicità e del diritto delle pubbliche affissioni; e, infine, dalla Tassa sulle concessioni comunali. In relazione all’importanza, sia al volume delle entrate che vengono riscosse che alla possibilità di poter incidere sul rapporto tributario attraverso l’esercizio della propria autonomia regolamentare, sono di seguito esaminate le sole entrate tributarie rappresentate dalla Tassa del servizio rifiuti solidi ed urbani (Tarsu) e dall’Imposta comunale sugli immobili (ICI). La Tassa del servizio rifiuti solidi ed urbani (Tarsu) La tassa rifiuti solidi e urbani è dovuta da tutti coloro che occupano o detengono locali o aree scoperte nel territorio comunale, a qualsiasi uso adibiti, dove è svolto il servizio di raccolta rifiuti con vincolo di solidarietà tra i componenti del nucleo familiare o tra coloro che usano in comune i locali o le aree stesse. I soggetti che occupano o detengono i locali o le aree scoperte, sono pertanto tenuti ai sensi dell’articolo 70 del D. Lgs. n. 507 del 1993, alla presentazione di apposita denuncia presso l’ufficio tributi, entro e non oltre il 20 gennaio successivo all’inizio dell’occupazione o della detenzione. La predetta denuncia ha effetto anche per anni successivi qualora le condizioni di tassabilità rimangano invariate. Va altresì evidenziato che entro lo stesso termine devono essere denunciate anche le modifiche apportate ai locali e alle aree servite e le variazioni dell’uso dei locali e delle aree stesse. In ogni caso, le denunce di cessazione e le denunce di variazione degli elementi imponibili che comportano una diminuzione della tassa, fatto salvo l'accertamento della veridicità dei fatti da parte del Comune, danno diritto allo sgravio o al rimborso della tassa stessa a favore del contribuente a decorrere dal primo giorno del bimestre solare successivo a quello di presentazione della relativa denuncia (vedi schema 1 e 2). Contenuto della denuncia La denuncia di inizio occupazione deve essere compilata utilizzando gli appositi modelli disponibili presso l’ufficio tributi o sul sito internet dell’ente locale, ovvero può essere trasmessa per posta, con l’indicazione di almeno i seguenti elementi: 1. codice fiscale per le persone fisiche o partita IVA nel caso di società o attività commerciali in genere; 2. cognome e nome nonché luogo e data di nascita delle persone fisiche componenti il nucleo familiare o la convivenza; 3. per gli enti, istituti, associazioni, società e altre organizzazioni devono essere indicati la denominazione, la sede e gli elementi identificativi dei rappresentanti legali; 4. ubicazione e superficie dei singoli locali e delle aree e l'uso cui sono destinati; 5. data di inizio della conduzione o dell’occupazione dei locali e delle aree; 6. ipotesi di esclusione dalla tassazione ovvero le condizioni per poter beneficiare di riduzioni particolari. 7. data e sottoscrizione di uno dei coobbligati o del rappresentante legale o negoziale. La determinazione dell’importo da versare La tassa è commisurata ad anno solare cui corrisponde un autonoma obbligazione tributaria e l’importo da versare è pari al prodotto tra la superficie occupata e la tariffa approvata dal Comune. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo che, salvo il caso di riscossione diretta a cura dell’ente impositore, una volta reso esecutivo è consegnato al concessionario della riscossione che ha il compito di recapitare gli avvisi di pagamento. Quanto all’obbligazione tributaria, questa decorre dal primo giorno del bimestre solare successivo a quello in cui ha inizio l’utenza e cessa dal primo giorno del bimestre solare successivo a quello di presentazione della denuncia di cessazione. Inoltre, la cessazione in corso dell’anno dell'occupazione o della detenzione dei locali dà diritto all'abbuono del tributo (c.d. discarico) a decorrere dal primo giorno del bimestre solare successivo a quello in cui è stata presentata la denuncia. Infine, nel caso di mancata presentazione della denuncia nel corso dell’anno di cessazione, il tributo non è dovuto per le annualità successive se l’utente cha ha prodotto la denuncia di cessazione dimostri di non avere continuato l’occupazione o la detenzione dei locali o delle aree ovvero se la tassa sia stata assolta dall’utente subentrante a seguito di denuncia ovvero se ci sia stata attività di recupero d’ufficio da parte del comune. In ogni caso, in relazione a quanto disciplinato nel regolamento comunale, le denunce di cessazioni tardive debbono essere adeguatamente documentate e a titolo esemplificativo possono essere corredate, alternativamente, da: 1. una dichiarazione del proprietario dell'immobile o dell'amministratore attestante la data di rilascio dei locali; 2. una copia delle ultime bollette dell' energia elettrica, del gas metano e dell’acquedotto. 3. un provvedimento di esecuzione di sfratto; 4. una comunicazione di cessione del fabbricato; 5. una copia del contratto di compravendita; 6. la disdetta del contratto di affitto con relativa ricevuta; 7. la fattura di trasloco; 8. nel caso di attività commerciali, da apposito certificato rilasciato dalla Camera di Commercio attestante la cessazione ovvero la variazione, o anche dal certificato rilasciato dall’ufficio IVA. Le riduzioni all’importo da versare In taluni casi sono previste a favore del contribuente delle riduzioni della tassa. Per l’Ente impositore, queste riduzioni possono essere obbligatorie oppure discrezionali. Nel dettaglio, rientrano tra le riduzioni obbligatorie: la riduzione in misura non superiore al 40 per cento della misura ordinaria nelle zone in cui non è effettuata la raccolta in regime di privativa; la riduzione nella misura massima del 40 per cento della tariffa ordinaria per l’effettuazione della raccolta in grave violazione delle norme del regolamento tecnico ovvero per mancato svolgimento della stessa dove è sito l’immobile; la riduzione nel limite massimo del 40 per cento della misura ordinaria in caso d’interruzione del servizio pubblico per prolungati periodi di tempo, a seguito di ordinanza sindacale emanata per circostanze eccezionali. Rientrano, invece, tra le riduzioni discrezionali quelle che consentono al Comune, se la loro applicabilità e la loro misura sono state introdotte nell’apposito regolamento, di ridurre la tariffa ordinaria di un importo: a) non superiore a un terzo nel caso di: abitazione con un unico occupante; abitazione tenute a disposizione per uso stagionale o altro uso limitato e discontinuo; locali diversi da abitazioni e aree scoperte adibiti ad uso stagionale o a so non continuativo, ma ricorrente, risultante da licenza o da autorizzazione; soggetto che risiede per più di sei mesi all’anno in località fuori dal territorio nazionale. b) non superiore al 30 per cento nei confronti di agricoltori occupanti la parte abitativa della costruzione rurale. Va evidenziato che tutte le riduzioni sono cumulabili tra loro. Si ritengono tuttavia legittime le norme regolamentari che prevedono un limite massimo al cumulo delle agevolazioni al fine di evitare l’eccessiva attenuazione del carico tributario. Oltre alle esclusioni e alle riduzioni delle tariffe gli Enti impositori possono prevedere, con apposita disposizione regolamentare, speciali agevolazioni, sotto forma di riduzioni e, in via eccezionale, di esenzioni. Le agevolazioni si distinguono dalle riduzioni in quanto, mentre queste ultime costituiscono situazioni tassativamente previste riferite all’uso ridotto dei locali, le agevolazioni rappresentano l’esercizio di un potere discrezionale che si fonda su presupposti di carattere extratributario, quali ad esempio la realizzazione di indirizzi di tipo sociale o perequativo. Inoltre, si osserva che nel caso di concessione di agevolazioni, il Comune è tenuto a iscrivere in bilancio, come spesa fiscale, l’ammontare delle stesse, escludendo il corrispondente importo dal costo della copertura della tassa. In questi casi, infatti, il costo del servizio pubblico rivolto a soggetti beneficiari non deve gravare sui soggetti passivi della tassa, ma deve trovare copertura nel complesso delle entrate comunali. Tassa giornaliera verificare con regolamento Per il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni o equiparati prodotti dagli utenti che occupano o detengono temporaneamente, con o senza autorizzazione, locali o aree pubbliche di uso pubblico o, aree gravate da servitù di pubblico passaggio, il D.Lgs n. 504 del 1993 ha istituito, anche, la tassa di smaltimento in base a tariffa giornaliera. Al riguardo si evidenzia che è temporaneo l'uso inferiore a 183 giorni di un anno solare anche se ricorrente. In questo caso, la misura tariffaria è determinata in base alla tariffa, rapportata a giorno, della tassa annuale di smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni attribuita alla categoria contenente voci corrispondenti di uso, maggiorata dell'importo percentuale del 50%. Inoltre, l'obbligo della denuncia d’uso temporaneo si intende assolto con il pagamento della tassa, da effettuare contestualmente alla tassa di occupazione temporanea di spazi ed aree pubbliche. L’accertamento In caso di denuncia infedele o incompleta, l'ufficio comunale, espletate le dovute verifiche circa la data di decorrenza dell’obbligazione tributaria, notifica l’avviso di accertamento. In caso di accertamento in rettifica, l’avviso deve essere recapitato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della denuncia stessa, mentre in caso di accertamento per omessa denuncia, l’avviso deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui la denuncia doveva essere presentata. Il potenziamento dell’azione di accertamento Ai fini del potenziamento dell'azione di accertamento, il comune, ove non sia in grado di provvedere autonomamente, può stipulare apposite convenzioni con soggetti privati o pubblici per l'individuazione delle superfici in tutto o in parte sottratte a tassazione. Il relativo capitolato deve contenere l'indicazione dei criteri e delle modalità di rilevazione della materia imponibile nonché dei requisiti di capacità e di affidabilità del personale impiegato dal contraente. Rapporti con i contribuenti Ai fini del controllo dei dati contenuti nelle denunce o acquisiti in sede di accertamento d'ufficio tramite rilevazione della misura e destinazione delle superfici imponibili, effettuata anche in base alle citate convenzioni, l'ufficio comunale può rivolgere al contribuente motivato invito a esibire o trasmettere atti e documenti, comprese le planimetrie dei locali e delle aree scoperte e a rispondere a questionari, relativi a dati e notizie specifici, da restituire debitamente sottoscritti. L’ufficio tributi può, inoltre, utilizzare dati legittimamente acquisiti ai fini di altro tributo ovvero richiedere a uffici pubblici o enti pubblici anche economici, in esenzione da spese e diritti, dati e notizie rilevanti nei confronti dei singoli contribuenti. In caso di mancato adempimento da parte del contribuente alle richieste di notizie da parte del comune e comunque nel termine concesso, gli agenti di polizia urbana o i dipendenti dell'ufficio comunale ovvero il personale incaricato della rilevazione della materia imponibile, muniti di autorizzazione del sindaco e previo avviso da comunicare almeno cinque giorni prima della verifica, possono accedere agli immobili soggetti alla tassa ai soli fini della rilevazione della destinazione e della misura delle superfici. In caso di mancata collaborazione del contribuente od altro impedimento alla diretta rilevazione, l'accertamento può essere effettuato in base a presunzioni semplici aventi i caratteri previsti dall'articolo 2729 del codice civile. Per i condomini e per i centri commerciali, l'ufficio comunale può richiedere al soggetto responsabile del pagamento, la presentazione dell'elenco degli occupanti o detentori dei locali e/o delle aree (vedi schema 3). L’imposta comunale sugli immobili L’imposta comunale sugli immobili (ICI) è dovuta dalla persone fisiche e dalle società di ogni tipo, società ed enti equiparati esteri, gruppi europei di interesse economico che risultino proprietari di immobili oggetto dell’imposta (fabbricati, terreni agricoli ed aree fabbricabili), o titolari sugli stessi di diritti reali di usufrutto, abitazione (anche quello spettante al coniuge superstite ai sensi dell’articolo 540 del codice civile a seguito di successione e al coniuge separato convenzionalmente o per sentenza), uso, enfiteusi, superficie. È soggetto passivo, altresì, il titolare del diritto di enfiteusi, di superficie, nonché il locatario dell’immobile concesso in locazione finanziaria (c.d. leasing). Infine, l’imposta è dovuta anche per i contribuenti che risiedono all’estero. Nel caso di concessione di aree demaniali, il soggetto passivo è, invece, il concessionario. In ogni caso, non devono pagare l’I.C.I. il nudo proprietario, il locatario, l’affittuario ed il comodatario. Quanto alla determinazione dell’imposta da versare, è necessario prima di tutto determinare la base imponibile che ai sensi dell’articolo 5 del D.Lgs n. 504 del 1992 è costituita dal valore dei fabbricati, delle aree fabbricabili e dei terreni agricoli (vedi schema 4) Una volta determinata al base imponibile, l’imposta si calcola applicando la stessa l’aliquota prevista per la fattispecie dell’immobile provvedendo, eventualmente, nel caso in cui se ne avesse diritto, ad operare la detrazione d’imposta. Sono altresì previste riduzioni particolari. A titolo esemplificativo, l’imposta è ridotta del 50% per i fabbricati dichiarati dal Comune inagibili o inabitabili e del tutto non utilizzabili limitatamente al periodo dell’anno in cui restano tali. Va infine evidenziato che c’imposta è corrisposta per anni solari, proporzionalmente alla quota e ai mesi nei quali si è protratto il possesso da parte di ciascun soggetto passivo, tenendo presente che il mese nel quale il possesso si è protratto per almeno 15 giorni è computato per intero. Il pagamento Il contribuente ICI è tenuto a pagare entro il 30 giugno di ogni anno il 50% dell’imposta dovuta calcolata sulla base dell’aliquota e delle detrazioni dei 12 mesi dell’anno precedente, mentre dal 1° al 20 dicembre deve versare il saldo dell’ICI dovuta per l’intero anno e l’eventuale conguaglio sulla prima rata, applicando le aliquote e le detrazioni vigenti nell’anno in corso. E’ ammesso anche il versamento in un’unica soluzione dell’intera imposta dovuta per l’anno n corso, entro il termine di scadenza della prima rata. Il contribuente che intenda avvalersi di tale facoltà dovrà applicare direttamente le aliquote e le detrazioni vigenti nell’anno in corso e barrare entrambe le caselle (acconto e saldo) predisposte nel bollettino. I soggetti obbligati alla presentazione della dichiarazione ICI I mutamenti di soggettività passiva nel corso dell’anno di riferimento, qualunque ne sia la causa ( ad esempio, a seguito di vendita, locazione finanziaria, donazione, successione ereditaria, costituzione o estinzione dei suddetti diritti reali di godimento) devono essere dichiarati, separatamente, sia da chi ha cessato di essere soggetto passivo e sia da chi ha iniziato ad esserlo. Le modificazioni strutturali o di destinazione dell’immobile determinanti un diverso debito di imposta, intervenute nel corso dell’anno di riferimento, devono essere dichiarate dal soggetto passivo, ovvero sia dal titolare del diritto di proprietà piena oppure, qualora l’immobile sia gravato da diritto reale di godimento o sia oggetto di locazione finanziaria, dall’usufruttuario, dall’enfiteuta, dal superficiario e dal locatario finanziario. Va peraltro precisato che il diritto di abitazione che fa scattare l’obbligo della presentazione della dichiarazione ICI, si configura quale diritto reale di godimento che non va confuso con il diritto di servirsi dell’immobile per effetto di un contratto di locazione, di affittato o di comodato. Infatti, il locatario, l’affittuario o il comodatario non hanno alcun obbligo per quanto riguarda l’ICI. Nel caso, invece, che più persone siano titolari di diritti reali sull’immobile (ad esempio, più proprietari; proprietà piena per una quota e usufrutto per la restante quota) ciascun contitolare è tenuto a dichiarare la quota ad esso spettante. Tuttavia, in questo caso è consentito ad uno qualsiasi dei titolari di presentare dichiarazione congiunta, purché comprensiva di tutti i contitolari. La dichiarazione deve essere altresì presentata anche dai residenti all’estero che posseggono gli immobili in Italia. In tutti i casi sopra evidenziati, la dichiarazione ICI deve essere presentata al Comune nel cui territorio sono ubicati gli immobili denunciati (vedi schema 5). La liquidazione e l’accertamento dell’imposta comunale sugli immobili Ai sensi dell’articolo 11 del Decreto Legislativo n. 504 del 1992, sono attribuite al comune le competenze richieste per l’esercizio delle attività di liquidazione e di accertamento dell’imposta comunale sugli immobili, con la precisazione che, nella fattispecie, la giunta comunale deve designare un funzionario cui sono conferiti, in concreto, le funzioni e i poteri per la gestione del tributo. Con la liquidazione, il comune controlla le dichiarazioni e le denunce presentate dai contribuenti e verifica i versamenti eseguiti in relazione alla scadenza e all’importo. Successivamente, sulla base dei dati ed elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni e dalle denunce stesse, nonché sulla base delle informazioni fornite dal sistema informativo dell’ufficio del territorio in ordine all'ammontare delle rendite risultanti in catasto e dei redditi dominicali, l’ente provvede anche a correggere gli errori materiali e di calcolo e liquida l'imposta. L'avviso di liquidazione deve essere notificato, anche a mezzo posta mediante raccomandata con avviso di ricevimento, al contribuente entro il termine di decadenza del 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione o la denuncia ovvero, per gli anni in cui queste non dovevano essere presentate, a quello nel corso del quale è stato o doveva essere eseguito il versamento dell'imposta. Al riguardo si evidenzia che con l’articolo 2, comma 32, della finanziaria 2004 sono stati prorogati al 31-12- 2004 i termini per la liquidazione e l’accertamento ICI relativi alle annualità d’imposta 1999 e successive. Il predetto avviso deve inoltre contenere l’indicazione della liquidazione dell’imposta o della maggiore imposta dovuta, delle sanzioni e degli interessi, la firma del funzionario responsabile, l’indicazione della Commissione tributaria a cui ricorrere e, infine, la motivazione in ordine ai criteri adottati per la liquidazione. A riguardo, merita precisate che, ai sensi dell’articolo 1, comma 87, della legge n. 549 del 1995 e cioè quando gli atti tributari sono prodotti con l’utilizzo di sistemi informativi automatizzati, la firma autografa prevista dalle norme che disciplinano i tributi regionali e locali sugli atti di liquidazione e di accertamento è sostituita dalla indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile. La liquidazione dei fabbricati con rendita provvisoria Un’annotazione particolare merita l’avviso di liquidazione per maggior imposta dovuta a seguito dell’attribuzione di rendita catastale ai fabbricati che ne sono privi. Se la dichiarazione è relativa ai fabbricati non iscritti in catasto, purché diversi da quelli con categoria catastale D, nonché a fabbricati per i quali sono intervenute variazioni permanenti, anche se dovute ad accorpamento di più unità immobiliari, il comune è tenuto alla trasmissione della copia della dichiarazione all'ufficio tecnico erariale competente il quale, entro un anno, deve attribuire la rendita, dandone poi comunicazione al contribuente e al comune. La notifica dell’atto con il quale i contribuenti sono informati dell’attribuzione della nuova rendita deve avvenire per posta raccomandata con ricevuta di ritorno. Entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello in cui è avvenuta la comunicazione, il comune, sulla base della rendita attribuita, ha il compito di procedere alla liquidazione della maggiore imposta dovuta, senza applicazione delle sanzioni e maggiorata degli interessi, ovvero provvede al rimborso delle somme versate in eccedenza, maggiorate degli interessi. Al riguardo si puntualizza che se la rendita attribuita supera di oltre il 30 per cento quella dichiarata, la maggiore imposta dovuta è maggiorata del 20 per cento. L’accertamento Il comune è tenuto, anche, alla rettifica delle dichiarazioni e delle denunce nel caso di infedeltà, incompletezza o inesattezza ovvero provvede all'accertamento d'ufficio nel caso di omessa presentazione della dichiarazione. A tal fine emette avviso di accertamento motivato con la liquidazione dell'imposta o della maggiore imposta dovuta e delle relative sanzioni e interessi. L'avviso deve essere notificato, anche a mezzo posta mediante raccomandata con avviso di ricevimento, al contribuente, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione o la denuncia ovvero, per gli anni in cui queste non dovevano essere presentate, a quello nel corso del quale è stato o doveva essere eseguito il versamento dell'imposta. Nel caso di omessa presentazione, l'avviso di accertamento deve essere notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o la denuncia avrebbero dovuto essere presentate ovvero a quello nel corso del quale è stato o doveva essere eseguito il versamento dell'imposta. Come già anticipato, al riguardo si puntualizza che l’articolo 2, comma 32, della finanziaria 2004 ha, in deroga alle disposizioni di cui all’articolo 3, comma 3, della legge n. 212 del 2000, prorogato al 31-12- 2004 i termini per la liquidazione e l’accertamento ICI che sono scaduti il 3112-2003 e comunque limitatamente alle annualità d’imposta 1999 e successive. Il potere di verifica. Ai fini dell'esercizio dell'attività di liquidazione e di accertamento i comuni possono invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a esibire o trasmettere atti e documenti. Gli enti locali possono altresì inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico, con invito a restituirli compilati e firmati. La semplificazione dell’azione di accertamento. Con l’articolo 59, comma 1, del Decreto Legislativo n. 446 del 1997, è stato, altresì, attribuito al comune il potere di semplificare e razionalizzare, con regolamento, il procedimento di accertamento, anche al fine di ridurre gli adempimenti dei contribuenti e di potenziare l’attività di controllo sostanziale, secondo i seguenti criteri direttivi: 1. eliminazione delle operazioni di controllo formale sulla base dei dati ed elementi dichiarati, con conseguente soppressione dell’obbligo di presentazione della dichiarazione o della denuncia e introduzione dell’obbligo della comunicazione, da parte del contribuente, degli acquisti, delle cessazioni e delle modificazioni di soggettività passiva, attraverso la sola individuazione dell’unità immobiliare interessata; 2. attribuzione alla giunta comunale dell’obbligo di decidere le azioni di controllo; 3. determinazione di un termine di decadenza, comunque non oltre il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello cui si riferisce l’imposizione, entro il quale deve essere motivato l’avviso di accertamento per omesso, parziale o tardivo versamento dell’imposta dovuta, delle sanzioni e degli interessi; previsione di una sanzione, non inferiore a € 103,29 (pari a 200.000 lire) né superiore a € 516,46 (pari a 1.000.000 di lire) per ciascuna unità immobiliare, per omessa comunicazione di cui al punto 1. La riscossione coattiva Quando le somme liquidate dal comune non sono versate entro il termine di 90 giorni dalla notifica dell’avviso di liquidazione e di accertamento, viene attivata la riscossione coattiva, salvo che non sia stato emesso provvedimento di sospensione. A questo proposito, l’articolo 12 del Decreto legislativo n. 504 del 1992 dispone che il ruolo deve essere formato e reso esecutivo dal funzionario responsabile designato dalla giunta non oltre il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l’avviso di liquidazione o di accertamento, è stato notificato al contribuente ovvero, in caso di sospensione della riscossione, non oltre il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di scadenza del periodo di sospensione. Schema 1: Esclusioni ed esenzioni obbligatorie della TARSU Sono escluse dal tributo: 1. le aree adibite a verde; 2. i locali e le aree che risultino in obiettive condizioni di inutilizzabilità, con allegata idonea documentazione qualora non siano obiettivamente riscontrabili; 3. i locali e le aree che per loro natura o per l’uso al quale sono stabilmente destinati non possono produrre rifiuti; 4. le superfici ove si formano di regola i rifiuti speciali non assimilati agli urbani, nonché i rifiuti tossici e nocivi; 5. le aree scoperte pertinenziali o accessorie a civili abitazioni o di locali purché, in quest’ultimo caso, non siano comunque operative e quindi strumentali ai locali stessi; 6. le aree Comuni del condominio, salvo che non siano detenute o occupate in via esclusiva; 7. i locali e le aree scoperte per le quali non sussiste l’obbligo dell’originario conferimento dei rifiuti al servizio svolto dal comune ( ad esempio per effetto di disposizioni legislative, regolamentari o ordinanze in materia ambientale, sanitaria eccetera) nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 62, comma 5 del D.L.gs 507/93 . Le ipotesi di esclusione dalla tassazione debbono comunque essere debitamente indicate nella denuncia originaria o di variazione. Schema 2: Esclusioni ed esenzioni facoltative della TARSU Con apposita disposizione regolamentare dell’ente, possono essere altresì esenti dal tributo 1. i locali per abitazioni privi di arredamento; 2. i locali ed aree a diversa destinazione privi di arredamenti, impianti, attrezzature e, comunque, quando non risulti rilasciata licenza o autorizzazione per l’esercizio di attività nei locali e nelle aree medesime; 3. gli edifici adibiti in via permanente all’esercizio di qualsiasi culto, escluse, in ogni caso, le eventuali abitazioni dei ministri di culto; 4. le abitazioni occupate da nuclei familiari che godono di solo reddito derivante da pensione sociale. Schema 3: I limiti alle verifiche fiscali Tutti gli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali sono effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo. Essi si svolgono, salvo casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati, durante l'orario ordinario di esercizio delle attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività stesse nonché alle relazioni commerciali o professionali del contribuente. Quando viene iniziata la verifica, il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l'abbiano giustificata e dell'oggetto che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, nonché dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche. Su richiesta del contribuente, l'esame dei documenti amministrativi e contabili può essere effettuato nell'ufficio dei verificatori o presso il professionista che lo assiste o rappresenta. Delle osservazioni e dei rilievi del contribuente e del professionista, che eventualmente lo assista, deve darsi atto nel processo verbale delle operazioni di verifica. La permanenza degli dell'amministrazione, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può comunque superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell'indagine individuati e motivati dal dirigente dell'ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell'ufficio, per specifiche ragioni. Il contribuente, nel caso ritenga che i verificatori procedano con modalità non conformi alla legge, può rivolgersi anche al Garante del contribuente. Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza. Schema 4: La individuazione della base imponibile dell’imposta comunale sugli immobili 1. Per i fabbricati iscritti al Catasto. La base imponibile è data dalla rendita risultante negli atti catastali al 1° gennaio dell’anno in corso, rivalutata del 5%, moltiplicata per i seguenti coefficienti: 2. 100 per le categorie, A,B,C (escluse A/10 e C/1) 50 per le categorie A/10 e D (eccetto fabbricati D privi di rendita definitiva posseduti da società o imprese) 34 per la categoria C/1; Per i fabbricati iscritti nella categoria catastale D. La base imponibile dei fabbricati appartenenti alla categoria D viene calcolata con le modalità diverse in funzione del soggetto passivo e dell’esistenza dell’iscrizione in Catasto. Infatti, se l’immobile è posseduto : a) Da soggetti privati: il valore dell’immobile si ottiene moltiplicando il coefficiente 50 alla rendita rivalutata del 5%, risultante in Catasto o a quella presunta; b) Da imprese: Se il fabbricato è iscritto al Catasto, il valore imponibile si ottiene moltiplicando la rendita attribuita, rivalutata del 5 per cento, per il coefficiente 50; Se il fabbricato è iscritto al Catasto, ma senza attribuzione di rendita, oppure ha subito variazioni permanenti che influiscono sull’ammontare della rendita, il valore è determinato con riferimento alla rendita presunta; Se il fabbricato è interamente posseduto da imprese e distintamente contabilizzato e senza attribuzione di rendita (compreso l’anno nel quale viene attribuita la rendita “effettiva” o “proposta”), la base imponibile è costituita dal valore contabile dell’immobile. 3. Fabbricati in costruzione, oggetto di interventi di recupero o demolizione Per i fabbricati in costruzione, per quelli oggetto di interventi di recupero, o di demolizione la base imponibile è costituita dal valore venale dell’area considerata fabbricabile, senza computare il valore del fabbricato in corso d’opera, fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione, ricostruzione o ristrutturazione, ovvero, se antecedente, fino alla data in cui il fabbricato è comunque utilizzato. 4. Rendite presunte Per i fabbricati non iscritti in Catasto e quindi privi di rendita catastale, o con rendita non definitiva, si deve utilizzare (eccetto i fabbricati D iscritti in Catasto e interamente posseduti da società o imprese) la rendita presunta, cioè quella relativa agli immobili similari situati nella stessa zona ed iscritti in Catasto. 5. Terreni agricoli. La base imponibile è costituita dal reddito domenicale risultante in Catasto al 1° gennaio dell’anno in corso, aumentato del 25%, moltiplicato per 75. 6. Aree fabbricabili La base imponibile è costituita dal valore venale in comune commercio al 1° gennaio dell’anno in corso, determinato con riguardo anche ai prezzi medi rilevati sul mercato per la vendita di aree aventi analoghe caratteristiche. Schema 5: I presupposti di imposizione ICI Ai fini dell'imposta comunale sugli immobili: 1. per fabbricato si intende l'unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano, considerandosi parte integrante del fabbricato l'area occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza. Il fabbricato di nuova costruzione è, invece, soggetto all'imposta a partire dalla data di ultimazione dei lavori di costruzione ovvero, se antecedente, dalla data in cui è comunque utilizzato; 2. per area fabbricabile si intende l'area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell'indennità di espropriazione per pubblica utilità. Sono considerati, tuttavia, non fabbricabili i terreni posseduti e condotti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli che espletano la loro attività a titolo principale, sui quali persiste l'utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l'esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura ed all'allevamento di animali. 3. per terreno codice civile. agricolo si intende il terreno adibito all'esercizio delle attività indicate nell'articolo 2135 del