SIMULAZIONE DI SECONDA PROVA • DIRITTO ED ECONOMIA

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SIMULAZIONE DI SECONDA PROVA • DIRITTO ED ECONOMIA POLITICA
La penisola italiana, prima dell’unificazione in un solo Stato, ha conosciuto una fase di crescita
economica nel periodo medievale che l’ha portata a essere una delle economie più ricche
d’Europa. La sua posizione nella graduatoria economica europea è però peggiorata a partire dal
Seicento e per secoli il tenore medio di vita è stato molto basso. Nel corso del Novecento si sono
verificate due forti accelerazioni della crescita economica, una all’inizio del secolo e un’altra negli
anni Cinquanta e Sessanta.
Il seguente brano, scritto da uno storico economico molto attento alla dimensione quantitativa
dei fenomeni analizzati, prende in esame non solo la dimensione economica dello sviluppo
economico italiano ma anche le dimensioni sociali e culturali che hanno accompagnato tale
processo.
MILLE ANNI DI STORIA ECONOMICA ITALIANA
Giovanni Federico
Bretagna).
Il grafico mette in risalto tre fatti
1) Il PIL per capita italiano è cresciuto
moltissimo nel lungo periodo. Al suo massimo
pre-industriale (verso la metà del 15° secolo
dopo la peste nera) era di circa 1700-1800
dollari, corrispondente ai livelli più alti
dell’Africa Sub-Sahariana attuale (Sud Africa
escluso). Da allora ad oggi è aumentato di oltre
dieci volte.
2) Anche se il livello assoluto era basso, l’Italia
Figura 1
Pil pro-capite Italia e Gran
Bretagna
50.000
35.000
25.000
15.000
10.000
5.000
3.500
2.500
1.500
Italia
1.000
500
1270
Gran Bretagna
1370
1470
1570
1670
1770
1
1870
1970
Prof. Giuseppe Bacceli
© Mondadori Education
L’Italia fu (relativamente) molto ricca, divenne
(relativamente) povera, si sviluppò e divenne
ricca, anche in termini assoluti. Se continua
così ritornerà povera, se non in termini assoluti,
almeno in rapporto ai paesi più avanzati.
Iniziamo dalla performance di lungo
periodo, misurata, secondo la consuetudine
internazionale, dal PIL pro-capite a dollari
costanti del 1990 in parità di potere d’acquisto.
La Figura 1 confronta il PIL dell’Italia del Centro
Nord (dell’intera penisola dopo il 1861) con
quello dell’Inghilterra e Galles (dal 1870 Gran
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del Centro-Nord nel Medioevo era il paese più
ricco d’Europa (e quindi forse del mondo). Solo
Belgio e Olanda (la provincia più ricca degli
attuali Paesi Bassi) avevano un PIL
pro-capite comparabile ed infatti l’Olanda
superò l’Italia dopo il 1550. L’Inghilterra, come
si vede dal grafico, rimase molto indietro fino
alla seconda metà del XVII secolo, per poi
divenire il paese leader dell’economia mondiale
con la Rivoluzione industriale.
3) Per cinquecento anni il reddito italiano, pur
variando molto da un anno all’altro, è rimasto
sostanzialmente stabile, ed è addirittura
diminuito. Tutta la crescita si è concentrata negli
ultimi 150 anni, e soprattutto nella seconda
metà del secolo scorso, come si vede dalla
Figura 2.
La vera differenza fra l’Italia del XV e quella
del XIX secolo era la situazione nel resto di
Europa (e del mondo). Nel XV secolo, l’Italia
era il paese più avanzato d’Europa ed era
circondata da aree più arretrate e stagnanti.
Nel XIX secolo, invece, la crescita economica
dei paesi dell’Europa Occidentale offriva grandi
opportunità di aumento delle esportazioni
italiane. Dopo l’Unità le esportazioni italiane di
prodotti primari (in primo luogo seta, ma anche
20.000
Figura 2
Il PIL italiano 1861-2010,
dollari 1990 PPP (scala
logaritmica)
10.000
8.000
6.000
© Mondadori Education
5.000
4.000
3.000
2.000
1.000
1861
1886
1911
1936
1961
agrumi, vino, olio, canapa etc.) sono aumentate
più del commercio mondiale. Pochi anni dopo
l’Unità, inoltre, l’Italia iniziò ad esportate braccia
e non più solo merci. In una trentina d’anni
sono emigrati circa 12 milioni di italiani, su una
popolazione di circa 35 nel 1913.L’emigrazione
di massa fu una tragedia umana, ma dal punto
di vista economico ha portato notevoli vantaggi
(Le rimesse degli emigranti hanno aumentato
il reddito di alcune delle zone più povere
della penisola, permettendo una modesta
accumulazione di capitali. Inoltre, la diminuzione
dell’offerta di lavoro ha fatto aumentare i salari,
stimolando l’adozione di tecniche agricole più
moderne, p.es. l’uso dei fertilizzanti).
1986
L’Italia, come molti paesi periferici, beneficiò
di consistenti flussi di capitale estero, sia per
investimenti di portafoglio (compreso l’acquisto
di titoli di stato) che per investimenti diretti.
Una misura parziale ma notevolmente indicativa
del livello di apertura di un paese all’economia
mondiale è il rapporto fra commercio estero
(importazioni più esportazioni) e reddito
nazionale (Figura 3).
È abbastanza evidente la coincidenza nel tempo
fra periodi di più rapida crescita economica
(p.es. il cosiddetto boom giolittiano o il
miracolo economico) e di apertura all’economia
internazionale.
Gli effetti positivi dell’apertura sono anche
2
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Figura 3
Il rapporto esportazioni/
PIL 1861-2011
5
4
3
2
1
0
1876
1891
1906
1921
1936
1951
1966
evidenti nelle fonti della crescita della
produzione per addetto, che in ultima analisi
determina anche la crescita del PIL pro-capite.
La produttività del lavoro può crescere grazie
all’aumento della quantità di capitale o grazie
all’uso più efficiente del capitale e del lavoro
(crescita della produttività aggregata dei fattori
o TFP). La figura 4 distingue queste due fonti di
crescita secondo una periodizzazione classica
della storia economica italiana dall’Unità in poi.
L’altezza delle barre indica il tasso di crescita
della produzione per addetto –in media il 2%
annuo nell’intero periodo, con un massimo
vicino al 5% nell’età dell’oro dell’economia
europea. La crescita della produttività
aggregata (parte rossa della barra) spiega la
maggior parte dell’aumento della produzione
per addetto nel lungo periodo ed anche nel
1951-1993, mentre ha avuto un ruolo minore
1981
1996
2011
nel 1881-1913. Spiega anche tutta la crescita
nel periodo 1911-1938, quando il capitale per
addetto è diminuito. Viceversa, prima del 1881
tutta la crescita è da attribuire all’incremento di
capitale mentre la produttività totale dei fattori
sarebbe addirittura diminuita. Il PIL è una
misura imperfetta del benessere. Infatti tiene conto solo dell’aumento delle
possibilità di consumo ma l’uomo non vive di
solo pane – contano anche altri fattori, come la
salute, l’istruzione etc. Le Nazioni Unite hanno
proposto di misurare il benessere complessivo
con l’HDI (Indice di sviluppo umano), una
media lievemente modificata fra benessere
materiale (il PIL per capite), condizioni sanitarie
(in genere l’aspettativa di vita alla nascita) e
livello di istruzione (misurato con il tasso di
alfabetizzazione o la percentuale di studenti di
vari livelli scolastici sul totale dei giovani della
Figura 4
Contributo del TFP e del capitale alla produttività
del lavoro
5.00
4.00
3.00
2.00
Crescita della produttività aggregata (TFP)
1.00
Intensificazione del capitale
0.00
61
18
-2
0
01
0
01
-2
93
19
3
99
-1
73
19
3
97
-1
51
19
1
95
-1
38
19
8
93
-1
11
19
11
81
8
-1
9
-1
81
18
61
18
-1.00
3
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1861
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diverse del benessere – il livello dei consumi
(PIL e calorie), l’equità (l’indice di Gini e
percentuale di poveri) e la salute ed istruzione
(speranza di vita, mortalità infantile, statura
e alfabetizzazione). Nella Figura 5, si calcola
la media geometrica degli indici appartenenti
a ciascuna componente, espressa come un
indice composto in base 1951=1.
Ciascuno di questi indici rispecchia uno
specifico insieme di preferenze sociali e implica
una diversa periodizzazione della crescita.
a) Per un ‘ameriKano’ (l’obiettivo principale
della vita è consumare di più), la performance
dell’economia italiana è stata quasi sempre
mediocre, con la luminosa eccezione degli anni
Cinquanta e Sessanta.
b) per un ‘indignado’ (la crescita è accettabile
solo se i suoi frutti sono equamente distribuiti)
il periodo d’oro sono gli anni Settanta, ma il
terreno guadagnato è stato perso nel decennio
Figura 5
Indici compositi di
benessere (1951=1), scala
logaritmica
4.00
3.2
2.8
2.4
2.0
1.6
1.2
Consumi
Equità
0.8
0.4
1861
Salute e istruzione
1881
1901
1921
1941
1961
successivo.
c) infine per un ‘gaudente’ (conta la qualità della
vita, non il benessere materiale), il progresso
è stato continuo ed abbastanza regolare – in
una prima fase soprattutto grazie alla diffusione
dell’alfabetizzazione e poi soprattutto grazie al
miglioramento della salute.
Questi sono esempi estremi: è probabile che le
preferenze collettive siano un misto delle tre,
ed è anche possibile che esse siano cambiate
1981
2001
nel tempo. Questo esercizio dimostra però che
qualsiasi esse siano o siano state, la situazione
italiani è migliorata moltissimo nel lungo periodo.
Purtroppo questa conclusione ottimistica
potrebbe non valere per il futuro. L’Italia è
ancora un paese relativamente ricco: il PIL
pro-capite nel 2013 è il doppio di quello del
Brasile e 2.5 volte quello della Cina, ed ancora
non troppo distante da quello della Francia o
della Gran Bretagna. Ma è un paese in affanno
4
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rispettiva classe di età).
È possibile approfondire l’analisi con il bel
volume di Giovanni Vecchi (2010) che presenta
indici annuali per otto misure di benessere.
Al PIL pro-capite, alla speranza di vita alla
nascita ed al tasso di alfabetizzazione (già
presenti nell’HDI) si aggiungono il numero
di calorie disponibili pro-capite, l’indice Gini
della distribuzione del reddito, la percentuale
della popolazione al di sotto della soglia di
povertà assoluta (tale da garantire un consumo
minimo), il tasso di mortalità infantile, e la
statura media, che dipende dal saldo calorico
fra nutrizione e perdite da lavoro e malattie.
Di nuovo, si pone la necessità di aggregare
questi indici. In teoria, l’aggregazione
dovrebbe rispecchiare il peso attribuito
a ciascuna componente dalle preferenze
collettive, che però non sono osservabili.
Gli otto indici rispecchiano tre dimensioni
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da almeno vent’anni. Dal 1993 al 2007 il PIL
pro-capite è aumentato del 20%, ma nella
crisi ha perso metà dei guadagni ritornando
ai livelli della fine anni Novanta. Come si
vede dalla Figura 4, il tasso di crescita della
produttività del lavoro nel 1993-2010 è stato il
più basso nella storia unitaria ed il contributo
dell’aumento di produttività aggregata è
stato quasi nullo. La produttività aggregata
è addirittura diminuita dal 2000 al 2010. Le
cause si questo affanno sono molteplici, ma
mi sembra convincente il riassunto di Toniolo
(2013): l’incapacità di ‘produttori, sindacalisti
e politici’ di rendersi conto del cambiamento
epocale della seconda globalizzazione (dopo
aver ben sfruttato la prima). Il problema è
comune a tutti i paesi europei, ma l’Italia
era sin dall’inizio il paese strutturalmente più
debole, per la combinazione di ‘mancanza
di fattori di crescita’ (il declino delle grandi
aziende, alto rapporto debito/PIL ed anche
sopravvalutazione del tasso di cambio) e
di ‘antiche debolezze’ (il divario Nord-Sud,
l’inefficienza del sistema finanziario, la limitata
dotazione di capitale umano). Inoltre l’Italia si è
rivelata il paese più renitente alle riforme, dopo
i primi successi degli anni Novanta. Già una volta, come detto all’inizio, l’Italia
si bloccò dopo un lungo periodo di crescita
economica. Allora la stagnazione durò
cinque secoli. Ovviamente ora la situazione
è completamente diversa, ma comunque
il precedente storico non è del tutto
rassicurante.
Dopo aver letto attentamente il brano ed avere analizzato i grafici rispondi alle seguenti
domande.
1. La prima figura riporta i valori del Pil pro-capite dal 1270 al 1970. Dopo aver chiarito cos’è il
Pil pro-capite, dividi l’asse delle ascisse in periodi individuando il medioevo, l’evo moderno e
l’evo contemporaneo.
2. Nel periodo medioevale, nell’evo moderno e nell’evo contemporaneo, cosa accade al Pil procapite in Italia e in Inghilterra?
3. Individua nella seconda figura le date relative all’unità d’Italia, alla prima guerra mondiale e
alla seconda guerra mondiale. Spiega cosa accade al Pil pro-capite in questi tre periodi.
4. Dalla figura 3 emerge un crollo del rapporto tra esportazioni e Pil negli anni Trenta del secolo
scorso. A cosa è dovuto questo crollo? Qual era la situazione dell’Italia in quel periodo?
5. Dalla figura 3 emerge che nel secondo dopoguerra ci sono state due fasi di forte
accelerazione del commercio internazionale: la prima negli anni Cinquanta e la seconda negli
anni Ottanta. Quali possono essere state le cause di tale accelerazione?
6. Il livello del Pil pro-capite di un Paese dipende da due variabili: la quantità di lavoro e la
quantità di capitale disponibili. Il capitale, infatti, aumenta la capacità dei lavoratori di
produrre più beni in un’ora, ossia aumenta la produttività oraria. C’è una terza variabile
molto importante che è costituita dalle conoscenze e competenze dei lavoratori e dal modo
in cui il capitale e il lavoro sono coordinati. Questa terza variabile è chiamata produttività
aggregata dei fattori ed è indicata con la sigla TFP. In pratica, con questa variabile si misura
quanta parte della crescita della produttività dei lavoratori dipende dalle conoscenze
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Prof. Giuseppe Bacceli
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http://noisefromamerika.org/articolo/mille-anni-storia-economica-italiana-3000-parole
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tecniche ed organizzative. Analizzando la figura 4, individua qual è stato il peso dell’aumento
del capitale e quale quello del TFP nella crescita del Pil italiano dall’Unità fino al 2010. Spiega
poi cosa è accaduto, a queste due variabili, nel secondo dopoguerra e come tale andamento
spieghi l’andamento del Pil evidenziato nella figura 2.
7. Nel testo vengono elencati otto indicatori di benessere di un Paese. Individuali e spiegali
brevemente. Spiega poi come vengono raggruppati questi otto indicatori.
8. Nel testo si fa riferimento alla distribuzione del reddito e al problema della eguaglianza.
Oltre che un concetto economico, quello di eguaglianza è uno dei principi fondamentali della
nostra Costituzione. Illustra tale principio soffermandoti, in particolare, sulla distinzione tra
eguaglianza formale ed eguaglianza sostanziale.
9. Nel testo si fa riferimento alle Nazioni unite. Spiega di cosa si tratta e quali sono i suoi
compiti.
10.Nel testo si chiarisce l’importanza che ha avuto, per il nostro Paese, l’apertura al commercio
internazionale. Dopo aver spiegato con quale indice viene misurata tale apertura, chiarisci
come gli artt. 10 e 11 della Costituzione disciplinano il rapporto tra la Repubblica italiana e la
comunità internazionale.
12.Nel testo vengono individuati tre “profili” in base ai quali valutare la storia economica
del nostro Paese. Dopo averli illustrati, spiega quale di questi ti sembra preferibile per
analizzare la storia economica di un Paese.
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11.Nel testo si fa riferimento al divario tra Nord e Sud della penisola italiana. La nostra
Costituzione, nell’art. 5, disciplina la distribuzione del potere politico nel territorio dello
Stato. Illustra il contenuto di questo articolo.
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