NEURORADIOLOGIA TERAPEUTICA ED INTERVENTISTICA Marco Leonardi, Massimo Dall’Olio, Luigi Simonetti Servizio di Neuroradiologia, Ospedale Bellaria, Università di Bologna; Bologna, Italy Introduzione Non rientra nell’obiettivo di questo capitolo trattare, nemmeno a grandi linee, la complessa e ricca storia della Neuroradiologia terapeutica ed interventistica. Sembra però importante ricordare come le procedure terapeutiche abbiano sempre affiancato quelle più strettamente diagnostiche rappresentandone spesso un completamento o l’estensione. I campi della Neuroradiologia interventistica sono identificabili, dal punto di vista tecnico, come riferibili a procedure intravascolari o a procedure percutanee. Le indicazioni che considereremo sono: la patologia tumorale, vascolare malformativa, le fistole, gli aneurismi, le biopsie, la vertebroplastica, i trattamenti dell’ernia discale lombare e cervicale. Le procedure intravascolari Si intende per procedura intravascolare tutto ciò che può essere effettuato dall’interno del vaso, sia esso venoso o arterioso: 1. occlusione vasale, 2. ricanalizzazione vasale, 3. applicazione di endoprotesi (stent), 4. infusione di farmaci. Base fondamentale di ogni procedura di questo tipo è l’effettuazione dell’angiografia diagnostica che precede sempre la procedura terapeutica. L’accesso vascolare più usato è quello femorale. E’ però possibile usare anche l’accesso radiale o omerale o succlavio come pure l’accesso diretto alle arterie carotide comune, o interna, o vertebrale al collo. Le tecniche si rifanno al cateterismo di Seldinger o sue modificazioni. Le procedure terapeutiche richiedono in generale l’uso di microcateteri coassiali, di calibro finissimo, adatti al cateterismo endocranico o comunque ad un cateterismo il più distale possibile che permetta di accedere, nel modo più preciso e selettivo possibile, al vaso oggetto del trattamento. Le cateterizzazioni coassiali ed endocraniche richiedono l’uso di tecniche che non è il caso di descrivere qui in dettaglio. Vogliamo però ricordare l’enorme importanza di una immensa delicatezza e prudenza indispensabili all’effettuazione in piena sicurezza di tali procedure. In linea generale i rischi di complicanze alla chirurgia sono note e sostanzialmente accettate dai pazienti, mentre tutto ciò che viene fatto in una “sala raggi” non è percepito come vero e proprio intervento e le relative eventuali complicanze sono di più difficile comprensione ed accettazione. Il consenso informato è un momento di particolare importanza e sostanziale difficoltà nel rapporto col paziente con i parenti e va ricercato ed ottenuto con molta cura ed attenzione. A seconda del tipo di procedura e delle sue esigenze, il paziente può essere in narcosi o in sedazione o anche completamente sveglio, la scelta dipenderà anche dalle condizioni cliniche del paziente stesso e dalla sua capacità di cooperazione. Il linea generale l’embolizzazione degli aneurismi viene effettuata in narcosi. I pazienti, specie in urgenza, sono sofferenti e difficilmente sopportano l’indispensabile immobilità protratta per tutta la durata dell’intervento. In altri casi la cooperazione del paziente è indispensabile, come nelle occlusioni arteriose temporanee effettuate proprio al fine di valutare la tollerabilità di un’occlusione definitiva. Nelle procedure più prolungate, embolizzazione di aneurismi, MAV, ed in generale nel corso di cateterizzazioni endocraniche coassiali si procede alla scoagulazione del paziente con eparina e lisina dell’acido acetilsalicilico, a livelli più o meno marcati a seconda del tipo di procedura e della sua durata. Inoltre nel caso dell’embolizzazione degli aneurismi si procede a prolungare la scoagulazione per almeno 48 ore associando la somministrazione di antiaggreganti per almeno un mese o per sei mesi nel caso di posizionamento di stent intracranico. Questa metodologia tende ad evitare complicanze tromboemboliche anche tardive e la chiusura dello stent. Il rischio viene considerato superato una volta passato il tempo necessario alla completa occlusione dell’aneurisma ed all’endotelizzazione della matassa di spirali e delle maglie dello stent. Si tratta di trattamenti farmacologici molto delicati che vanno controllati continuamente monitorando il livello di coagulazione del sangue a scadenze regolari, ogni 30’ durante la procedura e ogni quattro ore successivamente. 1) L’occlusione vasale, o embolizzazione: può riguardare un vaso normale afferente una lesione, un vaso neoformato o comunque patologico, afferente o parte di una malformazione artero-venosa o fistola; oppure può riguardare l’occlusione di un aneurisma della parete vasale stessa. Rientra in questo ambito anche l’occlusione temporanea, effettuata con palloncini non staccabili, al fine di valutare la tollerabilità di un’eventuale occlusione definitiva. I materiali utilizzati per l’occlusione vasale sono molto vari: 1. particelle riassorbibili 2. particelle non riassorbibili 3. palloncini staccabili 4. spirali staccabili 5. spirali libere 6. colle 7. Onyx 8. stent 9. palloncini non staccabili (occlusione temporanea) Ogni materiale ha particolari e specifiche caratteristiche; il loro impiego da soli o in varie associazioni, va calibrato dal neuroradiologo in relazione alla patologia da trattare e non esiste reale possibilità di standardizzazione tranne che a veramente grandi linee. L’embolizzazione può rappresentare l’unica forma di trattamento o essere preliminare alla chirurgia o alla radioterapia stereotassica. I settori di impiego delle tecniche di embolizzazione sono sostanzialmente i seguenti: 1. 2. 3. 4. 5. Aneurismi arteriosi Fistole artero-venose Malformazioni Artero-Venose o angiomi Tumori molto vascolarizzati Emorragie ed epistassi Gli aneurismi arteriosi sia endo che extracranici possono essere trattati in tre modi fondamentali: 1. mediante l’occlusione di tutta la cavità aneurismatica, 2. mediante l’occlusione dell’accesso: occlusione del vaso portante oppure occlusione del foro di accesso (stent), 3. mediante diversione del flusso: nel caso di impossibilità all’occlusione dell’aneurisma, come, ad esempio, spesso accade negli aneurismi giganti del territorio vertebro-basilare, è possibile occludere una od entrambe le arterie vertebrali per ottenere l’inversione del flusso nella basilare con significativa riduzione della pressione sanguigna nella cavità aneurismatica che successivamente può andare incontro a spontanea coagulazione. La scelta della tecnica di embolizzazione da impiegare dipende dalla sede e dalla morfologia dell’aneurisma da trattare. In particolare se le dimensioni del colletto aneurismatico sono < a 4 mm oppure se il rapporto tra i diametri del fondo e del colletto è > di 2 l’occlusione della cavità aneurismatica viene effettuata con l’inserimento in successione di un numero adeguato di spirali metalliche. L’obiettivo della procedura è quello di zaffare completamente la cavità costruendovi all’interno una matassa metallica (Figure 1, 2A, B). Figura 1 ricostruzione 3D, presenza di aneurisma bilobato all’apice della arteria basilare. Figura 2A Figura 2B Figura 2 Stesso paziente, angiografia digitale proiezione antero-posteriore A) pre-embolizzazione, B) il controllo finale, dopo embolizzazione con spirali, evidenzia completa esclusione dal circolo dell’aneurisma. Le più diffuse sono le spirali in platino progettate dal ricercatore italiano Guido Guglielmi. Esistono comunque sul mercato diversi tipi di spirali con caratteristiche produttive e di impiego differenti. Negli anni 2000 sono state realizzate spirali bioattive già disponibili per la attività clinica. Si tratta di spirali in platino associate a materiale bioattivo costituito principalmente dal copolimero acido poliglicolico e acido polilattico (rapporto 90:10) o dal monomero dell’acido poliglicolico. Il materiale bioattivo favorisce la fibrosi all’interno dell’aneurisma e la produzione neointimale, come rilevato nella sperimentazione animale. Negli aneurismi a colletto largo utilizzare esclusivamente le spirali è particolarmente rischioso per la possibilità che possano protrudere all’esterno della sacca aneurismatica favorendo complicanze trombo-emboliche. In tali casi pertanto vengono impiegate tecniche più complesse quali il remodelling e lo stenting. Il remodelling consiste nel posizionere un microcatetere nel fondo dell’aneurisma ed un palloncino gonfiabile al davanti del colletto. Il palloncino viene gonfiato durante il rilascio delle spirali “modellandole” evitando così la loro fuoriuscita dall’aneurisma. Lo stenting consiste nel posizionamento di uno stent intracranico al davanti del colletto dell’aneurisma che successivamente verrà riempito con spirali attraverso le maglie dello stent (Figure 3, 4°, B). La proprietà dello stent di ridurre il flusso ematico all’interno dell’aneurisma ne favorisce la trombosi. Pertanto il posizionamento dello stent, senza rilascio di spirali, può essere sufficiente ad escludere un aneurisma dalla circolazione. Per sfruttare meglio questa proprietà degli stent dall’inizio 2008 sono disponibili stent intracranici a maglie molto strette che non prevedono il successivo rilascio di spirali nell’aneurisma. Figura 3 Ricostruzione 3D, presenza di aneurisma gigante sifone carotideo sinistro. Figura 4A Figura 4B Figura 4 Stesso paziente, angiografia digitale A) proiezione obliqua, si evidenzia il marker dello stent intracranico LEO posizionato nel sifone carotideo sinistro al davanti del colletto dell’aneurisma; B) proiezione antero-posteriore, controllo finale dopo embolizzazione con spirali, è apprezzabile completa esclusione dal circolo dell’aneurisma. La selezione dei pazienti da trattare con le tecniche sopra menzionate va effettuata con cura, tenendo conto delle possibilità neuroradiologiche e di quelle neurochirurgiche con l’obiettivo di proporre al paziente la soluzione più adatta al caso, che può variare secondo le condizioni anatomiche, cliniche generali, di sede, di età del paziente eccetera. Vanno inoltre tenuti presente altri fattori fondamentali: il trattamento dell’aneurisma entro le 72 ore dal sanguinamento è di particolare delicatezza per la possibilità di risanguinamento in corso di embolizzazione. Diverso il caso di un aneurisma reperto occasionale, che non ha sanguinato, come pure diverse le situazioni relative all’età ed al sesso per le diverse condizioni fisiopatologiche di cui si deve tener conto sia nel progettare che nell’effettuare queste terapie. L’occlusione del vaso portante viene effettuata con vari metodi: inserimento di spirali, palloncini o iniezione di colla. Prima di procedere alla chiusura del vaso portante si eseguono test di occlusione per verificare la presenza di circoli di compenso in grado di mantenere la normale per fusione encefalica. La diversione del flusso, proposta dal Moret, ha come obiettivo il trattamento degli aneurismi giganti, specie del circolo vertebro-basilare, riducendo il flusso al punto da ottenerne la spontanea coagulazione o almeno la significativa riduzione del rischio di sanguinamento o di crescita. Si effettua l’occlusione delle due vertebrali a monte dell’origine delle PICA, a poligono di Willis pervio o compensato da un by-pass, determina l’inversione del flusso sanguigno nell’arteria basilare con “direzione” PICA. L’embolizzazione delle due arterie può avvenire in una o due sedute con l’inserimento di palloncini staccabili o spirali a distacco controllato. L’occlusione vasale nel caso di fistole artero-venose ha successo nel momento in cui ottiene la precisa occlusione del punto o dei punti di fistola, in caso contrario l’embolizzazione può ottenere effetti nulli o addirittura controproducenti. Le sedi principali delle fistole arterovenose sono: il seno cavernoso (fistole carotido-cavernose), i seni durali in generale, la meninge radicolare spinale (fistole spinali). In questi casi è indispensabile la fine cateterizzazione dei rami arteriosi afferenti la fistola e la loro occlusione. A volte ciò può risultare impossibile, si ricercherà quindi l’occlusione della o delle fistole raggiungendole per via venosa e procedendo alla chiusura della vena in corrispondenza della fistola stessa. La scelta del mezzo varierà a seconda dei casi: colla od Onyx generalmente per l’occlusione dei vasi arteriosi, palloncini o spirali per l’occlusione del versante venoso. L’embolizzazione delle malformazioni artero-venose (MAV o angiomi) può proporsi per l’occlusione completa della malformazione, risultato possibile in una percentuale non elevata di casi ( Figure 5-8), o come trattamento preliminare ad un successivo intervento chirurgico o di radioterapia stereotassica. L'occlusione completa di una MAV può essere ottenuta, in una o più sedute, con la cateterizzazione dei vari vasi afferenti e l’iniezione di una colla acrilica oppure di Onyx che determini l’occlusione, per calco, di tutto il nidus della malformazione. La occlusione di un solo vaso afferente o di parte del nidus non è sufficiente e predispone il rifornimento da altri vasi reclutabili successivamente. Le tecniche di embolizzazione con colla o con Onyx sono estremamente differenti. La colla deve essere iniettata velocemente ed altrettanto rapidamente deve essere estratto il microcatetere per evitare che rimanga incollato nella lesione. La iniezione dell’Onyx è al contrario estremamente lenta e non richiede il rapido ritiro del microcatetere. E’assolutamente necessario evitare il reflusso dell’Onyx, oltre una certa distanza consentita, per non bloccare il microcatetere all’interno della lesione. L’Onyx infatti è una specie di “gomma” che non incolla i vasi ma li riempie, occludendoli. L’iniezione della colla o dell’Onyx, il calcolo dell’esatta posizione del microcatetere, la scelta dell’esatta diluizione e del tempo di polimerizzazione non sono standardizzabili né facilmente descrivibili. Prevale in questa attività l’esigenza di una notevole esperienza di difficile acquisizione. Più semplici le embolizzazioni preoperatorie, effettuabili generalmente con Onyx ed attualmente sempre con meno frequenza con spirali a flusso libero o con particelle. Meno utilizzata in questo caso la colla per le difficoltà aggiuntive che determina all’intervento. La colla acrilica infatti vetrifica i vasi e rende difficile l’emostasi, a differenza dell’Onyx che è più morbido. L’embolizzazione parziale con colla, per la sua stabilità, è invece utilizzata per ridurre le MAV alle dimensioni ed alle forme adatte ai trattamenti di radioterapia stereotassica. Figura 5A Figura 5B Figura 5 Angiografia digitale proiezione antero-posteriore A) e laterale B), si evidenzia piccola malformazione artero-venosa irrorata da un unico ramo afferente originatesi da P2 destra. Nel caso dei tumori molto vascolarizzati l’embolizzazione è da considerarsi preliminare alla chirurgia e si propone appunto la riduzione del rischio di sanguinamento per-operatorio. I casi affrontati più frequentemente sono i meningiomi endocranici, i rinofibromi (territorio della carotide esterna) ed i tumori vertebrali (territori metamerici spinali). L’embolizzazione può essere effettuata con colla o particelle. La cateterizzazione coassiale con microcatetere non è sempre indispensabile. L’embolizzazione può anche essere utilizzata nel trattamento delle epistassi irrefrenabili, a volte sostenute da alterazioni vascolari evidenti a volte invece non dimostrabili. L’occlusione dei rami etmoidali è ottenuta con l’iniezione di particelle di calibro adeguato. La ricanalizzazione vasale, o comunque il tentativo di riaprire un vaso occluso, viene generalmente effettuata come trattamento trombolitico sia nel caso di ictus ischemico che nelle complicanze tromboemboliche di procedure angiografiche diagnostiche o terapeutiche. In questo campo rientra anche la dilatazione vasale, con palloncino gonfiabile (PTA) che mira alla ricostituzione del calibro vasale interno sia delle carotidi al collo che dei principali vasi endocranici. Le indicazioni sono generalmente riconducibili a stenosi ateromasiche, ma anche il grave spasmo arterioso endocranico dell’emorragia subaracnoidea può essere affrontato così. Figura 6 Stesso paziente, iniezione superselettiva con microcatetere nel ramo afferente con evidenza del nidus e di collettore venoso che scarica nel seno retto. Figura 7 Atesso paziente, ricostruzione 3D della MAV. Figura 8A Figura 8B Figura 8 Stesso paziente, angiografia digitale proiezione antero-posteriore A) e laterale B), il controllo finale dopo embolizzazione con colla (GLUBRAN 2) evidenzia completa esclusione dal circolo della MAV. La ricanalizzazione nel caso dell’ictus ischemico cerebrale non ha ancora raggiunto una diffusione adeguata, né vi è accordo fra i vari autori circa la sua reale efficacia. Purtroppo i limiti organizzativi pongono difficoltà a volte non superabili e la loro mancata precisa osservazione inficia il significato dei risultati ottenuti. Il trattamento trombolitico infatti appare utile solo se effettuato in tempi brevissimi, tra le tre e le sei ore, dopo l’ictus, in caso contrario può essere pesantemente controproducente per la determinazione di emorragie cerebrali nel territorio ischemico. Restare in questi limiti temporali non è oggi facile: si deve infatti considerare il tempo di pronto soccorso, di diagnosi e di trattamento. Probabilmente il miglioramento della organizzazione delle cosiddette “stroke unit” e la loro diffusione, permetterà di superare queste difficoltà, come a suo tempo per il trattamento dell’infarto miocardico. La tecnica prevede la microcateterizzazione del vaso occluso e l’infusione di enzimi trombolitici (urokinasi o rTPA) o di antiaggreganti (reopro) in dosi rilevanti. Il reopro oltre alla infusione intraarteria può essere contemporaneamente somministrato con pompa per via endovenosa. Questa tecnica viene anche usata per il trattamento di complicanze trombo-emboliche in corso di procedure angiografiche diagnostiche o terapeutiche, con le stesse modalità. Molto diversa la ricostituzione del lume vasale ricercata con la dilatazione con palloncino gonfiabile (PTA) sia delle carotidi al collo che dei principali vasi endocranici. Le indicazioni sono generalmente riconducibili a stenosi ateromasiche, ma anche il grave spasmo arterioso endocranico dell’emorragia subaracnoidea può essere affrontato in questo modo. Da tener presente, a livello carotideo, la possibilità di una ristenosi e, a livello endocranico, il rischio gravissimo di rottura del vaso in corso di dilatazione. I benefici ottenuti con la angioplastica hanno breve durata nel tempo. Pertanto, ad eccezione dei rari casi di trattamento endovascolare del vasospasmo, si associa il posizionamento di uno stent sia in sede extra- che intra- cranica per dare quella stabilità di risultato che è difficile da ottenere con la semplice PTA. L’applicazione di endoprotesi vascolari, o stent, mira alla ricostituzione ed al mantenimento del calibro vascolare interno, ridotto per fenomeni ateromasici o altro; nella maggior parte dei casi riguarda i vasi epiaortici all’origine e nel tratto cervicale. Meno frequentemente vengono impiegati stent dedicati per il trattamento di stenosi di arterie endocraniche. Ampia diffusione hanno invece gli stent intracranici dedicati alla occlusione di aneurismi dal colletto ampio, come sopra indicato. Gli stent impiegati sono diversi a seconda della sede di utilizzo (intra- o extra-cranica) e della indicazione terapeutica ( stenosi arteriosa o trattamento di aneurisma a colletto largo in sede intracranica). Tutti comunque sono in possesso del marchio CE. L’infusione di farmaci, in questo caso non è obiettivo della procedura né la ricanalizzazione né l’occlusione del vaso, ma solo la somministrazione del farmaco, è generalmente riservata alla patologia neoplastica con la somministrazione locoregionale di farmaci antiblastici ad alte dosi. Usata sia nel territorio della carotide esterna per le neoplasie del massiccio facciale, che nei territori carotidei endocranici, specie nel caso di tumori nel territorio della cerebrale media. E’ una tecnica relativamente semplice che permette la somministrazione di alte dosi di farmaci antiblastici, con ottima tollerabilità. Le procedure percutanee Si intende per procedura percutanea tutto ciò che può essere fatto per accesso diretto mediante puntura percutanea, senza “intermediazione” intra-vascolare. Le principali procedure di questo tipo sono 1. Il trattamento dell’ernia discale 2. Le biopsie 3. La vertebroplastica 4. L’embolizzazione di lesioni vascolarizzate malformative o neoplastiche sottocutanee Il trattamento percutaneo dell’ernia discale, rappresenta probabilmente la procedura percutanea più ampiamente diffusa. Efficace pressoché esclusivamente sull’ernia molle viene utilizzata soprattutto a livello lombo-sacrale. Può analogamente essere utilizzata a livello cervicale, molto più raramente però per la sostanziale rarità a livello cervicale delle ernie esclusivamente molli, le barre osteofitosiche frequentissime in questo tratto di colonna vanificano le possibilità di trattamento percutaneo. La procedura prevede la puntura del nucleo polposo del disco inter-vertebrale, con accesso postero-laterale a livello lombo-sacrale e antero-laterale a quello cervicale. La centratura può essere fluoroscopica o TC. La riduzione della compressione erniaria può essere ottenuta meccanicamente con l’asportazione di parte del nucleo polposo, nucleotomia percutanea, o chimicamente, chemonucleolisi, con l’iniezione di enzimi (papaina), gel di alcool o gas (miscela di ossigeno ozono). Non è sempre indispensabile eseguire preliminarmente una discografia, specialmente nel trattamento dell’ernia con miscela di ossigeno ozono. Nessuna di queste procedure è realmente alternativa alla chirurgia, cui vanno comunque riservate le ernie voluminose, estruse o migrate, alla cui identificazione la discografia dà un significativo contributo. Sono quindi indicate nelle ernie medio-piccole con continuità tra nucleo polposo e parte erniata indispensabile alla diffusione dell’enzima, del gas, o comunque alla significatività dell’asportazione meccanica. Non vi sono effetti negativi su un eventuale intervento chirurgico successivo. Le biopsie, di interesse neuroradiologico sono soprattutto le biopsie vertebrali, paravertebrali e discali. Effettuabili con attrezzatura adeguata (aghi, sonda di Onik, ecc.), con centratura TC o fluoroscopica. La vertebroplastica, si propone il consolidamento del corpo vertebrale, nel caso di grave osteoporosi dolorosa, fratture patologiche, angiomi vertebrali, ecc. Viene effettuata con l’iniezione nella spongiosa somatica, via peduncolo vertebrale o con accesso postero-laterale , di uno speciale cemento plastico (metil-metacrilato). E’ indispensabile che il muro posteriore del corpo vertebrale sia conservato per evitare la diffusione del cemento nel canale vertebrale, con possibili gravissime conseguenze. Si tratta di una procedura effettuabile con centratura fluoroscopica o TC. L’embolizzazione di lesioni vascolarizzate malformative o neoplastiche sottocutanee, effettuata generalmente con colla o con prodotti a base di etanolamina oleato, viene utilizzata nel caso di lesioni anche voluminose, di accesso percutaneo pressoché diretto, quando le afferenze arteriose siano impossibili da cateterizzare in modo adeguato. Si prevede la puntura diretta della lesione con un ago metallico, che permette l’iniezione anche a più riprese. Preliminarmente si effettua una iniezione di contrasto tesa a evidenziare le modalità di diffusione per tarare dosi e modalità di iniezione. L’accesso diretto percutaneo è stato proposto anche nelle fistole artero-venose durali quando non direttamente raggiungibili. L’acceso percutaneo viene permesso da un foro craniotomico preliminare. La fistola venosa può quindi essere occlusa con l’inserimento di spirali. Conclusione Le possibilità terapeutiche della Neuroradiologia interventistica sono ampie e spaziano in molti campi anche molto diversi fra loro. Le tecnologie utilizzate sono in continua espansione ed è facile prevedere ulteriori sviluppi in un campo che sempre più si caratterizza come similchirurgico mininvasivo. La caratteristica però del controllo radiologico, sia esso in fluoroscopia o sotto TC, rende indispensabile una formazione radiologica ed una conoscenza dell’anatomia non solo nello specifico dell’organo bersaglio, ma anche nello specifico della sua estrinsecazione radiologica. Solo così queste procedure, sempre delicate e spesso molto rischiose, possono essere effettuate in piena sicurezza e con buone probabilità di successo. Prof. Marco Leonardi Servizio di Neuroradiologia Via Altura, 3 40139 Bologna, Italy Tel.:+39.051.6225520 +39.348.8714153 Fax: +39.051.6225785 E mail: [email protected]