LA VALUTAZIONE DELLE ARGOMENTAZIONI: CRITERI A. Un buon argomento giudiziale ha una struttura logica riconoscibile e che soddisfa uno schema di inferenza valido (deduttivo oppure no); è basato su premesse ovvero ragioni rilevanti e sufficientemente solide (almeno più solide di quelle che si possono addurre a favore dell'altra soluzione); ed è in grado di persuadere di fatto o dovrebbe persuadere un uditorio che soddisfi certe condizioni ideali: informazione sufficiente, attitudine imparziale e razionalità. Possiamo definire una risposta corretta in un caso giudiziale oppure dobbiamo accettare l'argomento scettico del carattere indeterminato del diritto? Qui l'oggettività è minore che nel campo della scienza, però è possibile quasi sempre escludere molte risposte e molte argomentazioni come non corrette. A proposito della tesi dell'unica risposta corretta nell'argomentazione giudiziale, ci sono molte posizioni, tra loro graduate. La posizione più nota è quella di Dworkin che sostiene che esista un'unica risposta corretta, perché quando il diritto positivo e il metodo giuridico non risultano sufficienti per determinare una risposta si può far riferimento ai principi e valori interni al diritto stesso. Allora l'unica risposta corretta è quella che, rispettando materiali giuridici adegua la miglior interpretazione possibile dei fini e valori che definiscono la pratica. B. Quali sono, allora, i criteri di valutazione che si possono adoperare rispetto all'argomentazione giudiziale? Lasciando da parte il requisito logico della non contraddizione (che difficilmente si può incontrare in una sentenza) i criteri di valutazione più importanti sono i seguenti: 1. Il requisito della universalità, è un requisito logico che implica come premessa generale del ragionamento un enunciato normativo universale che riguarda tutti gli appartenenti a una certa classe X e un enunciato fattuale che afferma che un individuo A appartiene alla classe degli X. Però l'universalità può ridursi anche alla regola formale di giustizia ovvero “trattare casi eguali in modo eguale”. In relazione ai problemi normativi la universalità si può tradurre come il criterio utilizzato per costruire la premessa normativa, la ratio decidendi, non può essere ad hoc: ciò significa che l'interpretazione di una certa norma deve essere mantenuta in casi futuri simili, ovvero l'utilizzazione della regola del precedente o lo stare decisis. 2. Il requisito della coerenza: è connesso a quello della consistenza logica, però differisce poiché si riferisce alla compatibilità di una decisione, norma o narrazione dei fatti in relazione a valori, principi e teorie. Ad esempio, la ragione per interpretare la norma N nel senso N’e non nel senso N’’ è che il primo risulta maggiormente coerente con i principi e valori del sistema, ovvero con i principi e valori interpretati in un certo modo più coerente con una certa filosofia morale e politica. La coerenza normativa è fondamentalmente un criterio contestuale, dato che i valori cambiano da ordinamento a ordinamento. La coerenza narrativa invece è quella che ci permette di considerare provato un determinato fatto, una ipotesi fattuale, perché è quello che si connette meglio con altri fatti probatori, con le leggi scientifiche, relazioni di causalità, massime di esperienza, etc. Questi ultimi aspetti ci consentono di notare che la nozione di coerenza non è puramente formale poiché fa riferimento anche a principi e valori con contenuti determinati. Infine, la coerenza giustifica le due forme di argomentazione più caratteristiche del diritto: la deduzione e l'analogia, laddove nelle premesse non abbiamo tutta l'informazione necessaria per giungere alla conclusione e dunque è necessario aggiungere informazioni. 3. Il requisito delle conseguenze si focalizza verso il futuro, mentre la coerenza guarda al passato. Nell'argomento del legislatore con quello degli avvocati quest'ultimo criterio gioca un ruolo più importante, mentre è minore per il ragionamento giudiziale. Il criterio delle conseguenze significa che nel ragionamento giudiziale le ragioni finaliste giocano un ruolo che può essere più o meno importante a seconda della tradizione giuridica. Una ragione finalista può essere quella della forza giustificativa che deriva dal fatto che una decisione ad essa ispirata potrà soddisfare qualche obbiettivo di valore sociale, come la salute pubblica, la sicurezza, la democrazia. Di contro, una ragione di correttezza è quella che una decisione si appoggia in una norma socio-morale. Una difficoltà con l'applicazione del criterio conseguenzialista si ha nella difficoltà di predire effetti esatti di cose del futuro. Una maniera ristretta di interpretare questo criterio consiste nella efficienza economica: una decisione giudiziale giustificata – rispettando certi limiti segnati dalle norme giuridiche – sarà quella che contribuisce di più a massimizzare la ricchezza sociale, intesa come soddisfazione delle preferenze degli individui. 4. Il criterio della morale sociale sostiene che nei casi difficili, quando si tratta di scegliere tra più interpretazioni a proposito di un certo concetto di valore – ovvero come intendere la libertà o i limiti della libertà, per esempio – i giudici devono seguire l'opinione maggioritaria e non quella che come individui considerano preferibile. Si deve considerare che criteri socialmente maggioritari sembrano essere strettamente connessi all'idea della democrazia: decidere come preferisce la maggioranza è un esercizio democratico soprattutto per coloro, come i giudici, che non sono stati eletti con procedimento democratico. Non è un criterio però del tutto soddisfacente per alcune ragioni: ad esempio, può non essere facile conoscere l'opinione maggioritaria rispetto ad una questione o può non esistere un'opinione maggioritaria; oppure le opinioni esistenti, pur essendo maggioritarie, sono espressioni di pregiudizi che vanno contro i valori del proprio ordinamento, ad esempio opinioni xenofobe o contrarie ai principi del garantismo penale; in ultimo ricordiamo che le costituzioni contemporanee incorporano un codice morale che non riflette semplicemente la morale convenzionale o sociale. 5. Il criterio della morale giustificata razionalmente sembra dunque necessario laddove il criterio precedente si presenti insufficiente. Lasciando da parte i problemi teorici legati alla separazione concettuale fra diritto e morale, va notato che spesso le frontiere tra il diritto alla morale sono molto fluide o impossibili da tracciare. Inoltre, quando si tratta di interpretare i concetti di valore o i concetti morali della costituzione non si può far altro che ricorrere a una filosofia morale e politica. Ciò non significa che nell'argomentazione giudiziale ci sia una componente di carattere irrazionale o arazionale, dato che esistono diverse proposte di teorie etiche normative che sostengono l'oggettivismo morale e che si basano su procedure idealizzate di consenso di tutti gli interessati. I criteri che derivano da queste procedure razionali hanno carattere oggettivo e incorporano una pretesa di correttezza ma rimangono aperti alla critica e alla discussione razionale, quindi non sono assoluti.