Lawrence d`Arabia: il sogno di una nazione nuova

Lawrence d’Arabia: il sogno di una nazione
nuova dalle origini arcaiche
Lawrence d’Arabia: il sogno di una nazione nuova dalle origini arcaichedi Davide Bartoccini
del 25/06/2016
“Non tutti gli uomini sognano allo stesso modo, coloro che sognano di notte nei ripostigli
polverosi della loro mente, scoprono al risveglio la vanità di quelle immagini, ma quelli che
sognano di giorno sono uomini pericolosi perché può darsi che recitano i loro sogni ad occhi
aperti per attuarli…fu ciò che io feci … Io intendevo creare una Nazione nuova, ristabilire
un’influenza decaduta, dare a venti milioni di Semiti la base sulla quale costruire un ispirato
palazzo di sogni per il loro pensiero nazionale”.
Thomas Edward Lawrence, I sette pilastri della saggezza.
Se c’è un personaggio che mi ha sempre affascinato fin da bambino questo è Thomas Edward
Lawrence forse più noto come Lawrence d’Arabia.
L’ufficiale inglese che tra guerra, spionaggio, stravaganza e profondo rispetto del tribalismo
divenne leggenda. L’incarnazione antitetica di metà della romance anglosassone dedicata al
colonialismo, ignorò la tipica convenzione coloniale del “buon selvaggio” e grazie alla sua
pionieristica e stravagante apertura mentale e al suo indomabile coraggio, fu in grado di
guadagnarsi la stima e il rispetto delle tribù arabe che gli permisero di compiere audaci colpi
di mano sul fronte medio-orientale durante la seconda guerra mondiale.
Thomas E. Lawrence, classe 1888 nacque in una cittadina del Galles. Forgiò la sua
educazione a Oxford, dove compì studi linguistici e archeologici che in seguito perseguì
viaggiando in Siria, in Palestina, Egitto e in diverse altre parti del Medio Oriente, scoprendo
un innato amore e attaccamento per il deserto. Allo scoppiare della Prima guerra mondiale,
venne destinato al Cairo presso il Servizio cartografico dell’Intelligence dell’esercito
britannico con il grado di Maggiore. Investito del ruolo di agente segreto in seguito ricevette
l’incarico di occuparsi dei rapporti con le popolazioni Arabe per via della sua padronanza delle
lingue e della conoscenza del territorio maturata durante le sue spedizioni archeologiche. Il
suo ruolo crebbe enormemente di rilievo quando in veste di ufficiale di collegamento strinse
una profonda e rispettosa amicizia con principe arabo Faysal anch’esso impegnato nel
combattere i turchi. La fraternizzazione del maggiore Lawrence con la “situazione” araba
culminò nel 1916 quando, per idealismo prima e per incarico ufficiale, inizio a fomentare la
rivolta delle tribù nomadi della penisola araba contro gli occupanti turchi, alleati con i
Tedeschi nella Quadruplice Alleanza. La sue maggiore impresa di carattere militare fu
l’inattesa conquista dell’inespugnabile città di Aqaba, porto di rilevante importanza strategica
sul Mar Rosso. Vestendo i tipici abiti di sceriffo arabo, comandò la carica a dorso di
dromedario prendendo di sorpresa e alle spalle la guarnigione turca che occupava la città.
Dato il successo della sua impresa mantenne l’incarico di condurre le tribù turche per conto
di sua Maestà della ribellione che avrebbe sbloccato il fronte mediorientale a favore della
Triplice Intesa. Venne elevato al grado di Tenente Colonnello e nel dicembre del 1917
partecipò all’occupazione di Gerusalemme. Nel 1918 fece il suo ingresso trionfale a Damasco,
prima che l’esercito britannico regolare potesse insediarvisi ottenendo poi il congedo.
Sbloccata la situazione strategica in Medio Oriente il sogno d’Indipendenza arabo sciamò, non
più sostenuto dall’interesse britannico che ormai aveva raggiunto i suoi scopi. L’ambiguità
del compito di Lawrence ai comandi dello Stato Maggiore britannico lo leggenda, ma allo
stesso tempo lo turbarono particolarmente quando le aspettative dei suoi compagni d’armi
arabi vennero tradite.
Durante il dopoguerra Lawrence visse un periodo di profonda inquietudine. Prese servizio
come diplomatico prendendo parte, tra le altre, della delegazione britannica alla Conferenza
di pace di Parigi, dove assistette in prima persona alla politica intavolata da inglesi e francesi
mirante ad asservire ai propri interessi il Medio Oriente e le popolazioni arabe che avevano
servito con lui senza riuscire a rivendicare le ambizione del Principe Faysal, aspirante re della
Siria; vivendo un inguaribile senso di colpa. Da sempre spirito libero ed orgoglioso, dai modi
aristocratici e dall’immensa cultura (tradusse l’ Odissea in inglese ) si sentiva nettamente
superiore alla massa comune, e da ammirato eroe di guerra qual era intendeva alimentare e
diffondere il suo mito. Nel 1919 iniziò a scrivere le sue memorie che vennero poi pubblicate
nel 1926 con il titolo de I sette pilastri della saggezza.
Inquieto e ancora desideroso di avventura si ritirò mal servizio diplomatico nel 1922 e si
arruolò di nuovo sotto falso (Ross) nome nella Royal Air Force, e l’anno seguente nei reparti
corazzati con il falso nome di Shaw, per poi tornare nella RAF. Dall’esperienza in aviazione
estrapolò il racconto L’Aviere Ross , che venne pubblicato postumo. T.E. Lawrence morì a
causa di un grave incidente sulla sua amata motocicletta, una Brough Superior SS100, nel
1935 all’età di 47 anni. E questa, come tutte le premature morti della storia non fece che
alimentare la sua immortale leggenda.
Fonte: storiediguerra.com
Iraq 1916/2016. Dall’Accordo Sykes-Picot allo
Stato Islamico (1)
Iraq 1916/2016. Dall’Accordo Sykes-Picot allo Stato Islamico (1)di Gabriele Rèpaci del
20/06/2016Il 16 maggio del 1916 il diplomatico Sir Mark Sykes e il francese François GeorgesPicot firmavano l’Asia minor Agreement, anche conosciuto come Accordo Sykes-Picot, ovvero
il patto segreto che tracciava gli equilibri in Medio Oriente a partire dalla prima guerra
mondiale. Tale accordo benché poco conosciuto fra il grande pubblico occidentale è
all’origine del caos che sta sconvolgendo la Siria e l’Iraq. Per comprendere dunque gli
avvenimenti che hanno portato all’ascesa del sedicente Stato Islamico e alla sua rapida
espansione territoriale è necessario ricostruire in maniera sintetica gli avvenimenti che sono
scaturiti dalla firma di quel patto scellerato le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
L’ingerenza occidentale in Medio Oriente e più specificatamente in Iraq cominciò all’inizio del
secolo. All’epoca la regione era in gran parte sotto la dominazione turca. Secondo l’agente
speciale inglese Thomas E. Lawrence, meglio noto con il nome di Lawrence d’Arabia, durante
il primo conflitto mondiale i britannici promisero agli arabi che avrebbero sostenuto la
creazione di uno Stato indipendente a condizione che essi avessero preso le armi contro i
turchi.
Ma al contempo, nel 1916, i ministri degli Affari esteri britannico e francese firmarono in
segreto l’Accordo Sykes-Picot, che avrebbe ridisegnato la carta del Medio Oriente.
L’Accordo Sykes-Picot infatti, tradendo le promesse fatte ai capi arabi, stabilì che Libano e
Siria passassero sotto l’autorità di Parigi e che Palestina, Giordania e le due provincie
meridionali dell’Iraq, Baghdad e Bassora, venissero incorporate nell’impero britannico. Per
quanto riguarda la provincia di Mossul non si giunse ad alcun accordo. Secondo l’intesa
Sykes-Picot, la regione sarebbe dovuta entrare nell’area di influenza francese, ma gli inglesi
erano fortemente decisi ad aggiungere Mossul alla loro nuova colonia irachena. Per dare più
forza a tale esigenza, l’esercito britannico occupò la città nell’ottobre del 1918, quattro giorni
dopo la resa dei turchi. Da allora non se ne andarono più.
Dopo la Rivoluzione russa del 1917, il Partito comunista di Lenin rivelò l’esistenza di tale
accordo. In tutto il Medio Oriente scoppiarono proteste di massa quando arabi e turchi
scoprirono di essere stati beffati dai paesi “democratici”. La ribellione perdurò per tutto il
periodo coloniale, con alti e bassi, e la repressione fu spietata. Nel 1925, per esempio i
britannici lanciarono gas tossici sulla città curda di Sulaimaniya, in Iraq. Si trattò della
primissima volta in cui gas tossici vennero utilizzati da aerei di combattimento.
Soldati coloniali britannici 1925 nel sud dell’Iraq
Dal 1919, le forze aeree britanniche avevano chiesto a Churchill il permesso di poter
utilizzare in via sperimentale armi chimiche “contro gli arabi recalcitranti”.
Churchill, all’epoca ministro della Difesa, accettò subito: «Io sono favorevole all’impiego di
gas tossici contro le tribù barbare» disse il futuro primo ministro inglese.
Londra dovette, in realtà, affrontare una resistenza accanita. Essendo ancora l’Iraq un paese
feudale, la resistenza nazionale venne guidata dai capi tribù e dai leader religiosi. Costoro
compresero che questo nuovo progetto coloniale andava contro i loro interessi: la loro
autonomia infatti era maggiore al tempo dell’Impero Ottomano.
La repressione della rivolta costò ai britannici molti uomini e molto denaro. La colonizzazione
diretta era impossibile. Per ovviare a tale problema venne inventata una “soluzione araba”.
Nel marzo del 1921, le autorità britanniche installarono un Consiglio arabo e “importarono”
un re, Feisal, figlio di un notabile della Mecca in Arabia Saudita. Il fatto è degno di nota, tanto
più se si considera che, fino ad allora, nel mondo arabo non era mai esistita la figura del re. Il
suo compito principale non era regnare, ma tenere la situazione sotto controllo.
Delegazione di Emir Faisal a Versailles, nel corso della Conferenza di pace di Parigi del 1919.
Da sinistra a destra: Rustum Haidar, Nuri as-Said, il principe Faisal, il capitano Pisani (dietro
Faisal), Thomas Edward Lawrence, persona sconosciuta, capitano Tahsin Kadry.
Il Consiglio Arabo, che non aveva alcuna competenza di affari esteri, fu responsabile della
promulgazione di una legge elettorale e della instaurazione di un consiglio nazionale.
L’amministrazione coloniale fondamentalmente si appoggiò sulle forze aeree reali
britanniche.
Nel 1921, in solo due giorni, Sir Percy Cox, alto commissario di Londra disegnò una nuova
carta della regione. Egli presentò ai capi feudali i nuovi confini di tre paesi, l’Iraq, il Kuwait e
l’Arabia Saudita, così come vennero fissati da una decisione dell’impero britannico. Cox prese
una matita rossa e una carta geografica, con uno spazio bianco corrispondente alla zona che
allora veniva chiamata Arabia. Egli disse: «Signori, ecco le vostre frontiere». Lo specialista del
Medio Oriente Trevor Royle scrisse: «Cox tracciò qualche sommaria linea rossa e tali sono
oggi i confini dell’Iraq, del Kuwait e dell’Arabia Saudita».
Nel 1917, gli Stati Uniti entrarono nella Prima Guerra mondiale, nel momento in cui la Gran
Bretagna e la Francia erano sfinite. La condizione americana per partecipare era la seguente:
dopo la guerra si sarebbe dovuto tener conto dei loro obiettivi economici e politici. Uno di
questi obiettivi era l’accesso alle nuove materie prime e soprattutto al petrolio.
Nel febbraio 1919, Sir Arthur Hirtzel, un alto funzionario coloniale britannico, avvertì: «Non
dimentichiamo che la Standard Oil Company è pronta a intervenire per accaparrarsi l’Iraq».
Di fronte al predominio franco-britannico sulla regione, gli Stati Uniti esigevano una politica
della “porta aperta”. Le compagnie petrolifere degli Stati Uniti dovevano poter negoziare in
tutta libertà contratti con il nuovo regime del re Feisal.
La soluzione alla disputa tra gli alleati venne trovata nella spartizione del petrolio iracheno.
La torta fu divisa in cinque fette: la Gran Bretagna, la Francia, i Paesi Bassi e gli Stati Uniti ne
ricevettero ciascuno il 23,75% e il restante 5% venne assegnato al barone del petrolio
Calouste Gulbenkian, altrimenti noto come “mister 5%”, che aveva favorito i negoziati.
All’Iraq toccò lo zero percento del suo stesso petrolio.
La situazione rimase inalterata sino alla rivoluzione del 1958.
Nel 1927 vennero organizzate delle esplorazioni petrolifere su larga scala. Nella provincia di
Mossul vennero scoperti due importanti giacimenti. Due anni dopo venne fondata la Iraqi
Petroleum Co., dalla collaborazione tra l’Anglo-Iranian Petroleum (oggi BP), la Shell, la Mobil e
la Standard OU di New Jersey (oggi Exxon).
Qualche anno più tardi, questa compagnia internazionale giunse a monopolizzare tutta la
produzione petrolifera irachena. Nel 1932, dopo quindici anni di occupazione, le truppe
britanniche lasciarono ufficialmente l’Iraq. Malgrado l’indipendenza formale e un proprio
esercito, il paese restò una neocolonia, una nazione cioè dominata dagli inglesi e dagli
americani.
Fecero la loro comparsa anche nuove forme di resistenza. Gli sceicchi e gli imam, i notabili e
gli aristocratici non erano veramente interessati alla ricerca dell’indipendenza nazionale, che
non faceva parte della loro visione delle cose. Dopo la scomparsa del colonialismo britannico
diretto, essi accettarono la nuova situazione di un colonialismo indiretto.
A quest’epoca l’Iraq non era uno stato moderno e la resistenza non era ancora pronta a
scacciare completamente i colonialisti dal paese. La modernizzazione dell’Iraq cominciò solo
con la creazione di un esercito nazionale e l’introduzione di un sistema di istruzione da parte
degli inglesi negli anni ’20 e ’30. Per lavorare in queste istituzioni, polizia, esercito,
amministrazione e istruzione, i britannici reclutarono e formarono persone che faranno
penetrare nel paese idee nuove. Queste idee furono alla base di due movimenti quello
nazionalista e quello comunista.
Alla morte di re Feisal (1885 – 1933) gli succedette il figlio Ghazi, benvisto negli ambienti
dell’esercito perché vicino agli ideali nazionalisti; il suo regno sarà molto breve, appena sei
anni, ma caratterizzato da convulsi avvenimenti. Ci fu anzitutto nello stesso 1933 il massacro
della minoranza assira da parte dell’esercito, poi nel 1935-36 una rivolta tribale lungo
l’Eufrate rapidamente soffocata, e infine nell’ottobre del 1936 il colpo di stato del generale
Bakr Sidqi al Askari con l’avvento di un governo che possiamo definire “progressista”, o
quantomeno “riformista”, presieduto dal nazionalista Hykmet Suleiman.
L’esperimento tuttavia ebbe vita breve: nell’agosto del 1937 l’assassinio del generale Bakr
Sidqi provocò la caduta del nuovo governo.
Seguì un periodo di forte conflittualità, con ripetuti tentativi di colpo di stato, mentre crebbe
nel paese, e soprattutto nell’esercito e tra le masse popolari, la tensione con la Gran
Bretagna, anche a causa della politica di Londra in Palestina considerata filo-sionista.
Nel 1939 Re Ghazi morì in un misterioso incidente che coinvolse la sua vettura sportiva che
egli stesso guidava. Voci insistenti affermarono che era stato eliminato su disposizione di Nūrī
al-Saʿīd, longa manus della Gran Bretagna in Iraq. Suo figlio Feisal II, di appena 4 anni, gli
succedette, sotto la tutela dello zio ʿAbd al-Ilāh, anch’egli di sicuri sentimenti filo-britannici.
La seconda guerra mondiale, scoppiata di lì a pochi mesi, fornì ai circoli nazionalisti
l’occasione per tentare di svincolarsi dalla soggezione alla Gran Bretagna. Nel 1941 un
ennesimo colpo di Stato portò all’insediamento di un governo militare diretto da Rashid Ali alGaylani, che in base al vecchio principio secondo cui “il nemico dei miei nemici è mio amico”
non nascose le sue simpatie per la Germania hitleriana; tanto bastò per etichettare il nuovo
regime come filo-nazista e giustificare il massiccio intervento delle truppe britanniche, che
nel giro di un paio di mesi ripresero il controllo del paese. Nel 1943, con l’immancabile Nūrī
al-Saʿīd come primo ministro, l’Iraq dichiarò guerra alle potenze fasciste dell’Asse.
Il 4 marzo 1944, tre mesi prima dello sbarco in Normandia, Winston Churchill fece pervenire
al presidente Roosevelt una nota particolarmente aspra sia nella forma che nel contenuto:
“Mi sento estremamente sollevato al sentire che voi non fate gli occhi dolci ai nostri
giacimenti petroliferi in Iran e Iraq, ve ne ringrazio con tutto il cuore. Ma sono in grado a mia
volta di garantirvi che non abbiamo alcuna intenzione di immischiarci nei vostri interessi o
proprietà in Arabia Saudita. Il mio punto di vista è che la Gran Bretagna, in questa guerra,
non persegue alcun interesse né sul piano territoriale né su nessun altro piano.
D’altro canto, il nostro paese non si lascerà privare di ciò che gli spetta di sacrosanto diritto
dopo aver reso alla buona causa tutti i servizi possibili, almeno fino a quando il vostro umile
servitore ne avrà la direzione”.
La nota di Churchill mostrava che i dirigenti americani erano in quel momento talmente decisi
a impadronirsi dell’Iraq e dell’Iran che gli inglesi finirono per preoccuparsene. Malgrado le
dichiarazioni di Churchill, i britannici non riuscirono ad arrestare l’ascesa degli Stati Uniti.
Qualche anno dopo, la classe dirigente britannica dovrà rassegnarsi alla nuova realtà e
accettare il ruolo di partner secondario di Washington.
Nel 1953, dopo il colpo di Stato della CIA che depose il primo ministro iraniano Mossadeq, gli
Stati Uniti acquisirono il controllo sulla nuova Persia. Verso la metà degli anni ’50 l’Iraq era
dominato congiuntamente dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna. Nel 1955, Washington
impose il patto di Baghdad, firmato da Pakistan, Iran, Turchia, Iraq e dagli inglesi. Questo
patto (il CENTO o Central Treaty Organization) venne firmato allo scopo di contrastare i
movimenti di liberazione nella regione.
Dopo la Nato, l’Otase e l’Anzus, si trattava di un’ennesima alleanza militare destinata, in
questo periodo di guerra fredda, ad accerchiare il campo socialista costituito da Unione
Sovietica, Cina, Europa dell’Est, Corea del Nord e Vietnam del Nord. L’Iraq, nucleo del CENTO,
era indipendente soltanto di nome. Gli inglesi conservarono i loro campi di aviazione militare
in Iraq e, malgrado la ricchezza petrolifera, la popolazione viveva nella povertà e nella fame.
Più dell’80% degli abitanti erano analfabeti; il paese contava un medico ogni 6.000 e un
dentista ogni 500.000 abitanti.
L’Iraq era governato da una monarchia corrotta, da grandi proprietari terrieri e commercianti
feudali. Tuttavia, il 14 luglio 1958, un terremoto sconvolse il paese. La monarchia venne
rovesciata da un colpo di stato chiaramente guidato dai militari sotto la direzione dei giovani
ufficiali Abdul Karim Kassem e Abd as Salam Arif. Il re Feisal II venne ucciso insieme a gran
parte della famiglia reale.
La rivoluzione modificò da cima a fondo le strutture sociali irachene. Il potere degli sceicchi e
dei grandi proprietari terrieri venne annientato e la posizione dei lavoratori urbani, dei
contadini e della classe media ne uscì rafforzata. Una insurrezione militare sfociò così in una
rivoluzione nazionale. Le strade di Baghdad e delle altre città erano gremite di folla. I
corrispondenti parlavano con accenti lirici di “fiumi che straripano” e di “corrente
purificatrice”, di “onde che si frangono”. La popolarità della rivoluzione era incontestabile.
Washington e Wallstreet rimasero agghiacciati. Durante la settimana seguente le dieci prime
pagine del New York Times furono quasi interamente dedicate alla rivoluzione irachena. Il
Presidente Dwight D. Eisenhower dipinse l’avvenimento come «la crisi più profonda dopo la
guerra di Corea».
All’indomani della rivoluzione irachena, 20.000 marines americani sbarcarono in Libano. Il
giorno dopo 6.600 paracadutisti britannici vennero lanciati sulla Giordania. C’era il rischio
concreto, infatti che l’impulso degli avvenimenti iracheni spazzasse via i regimi di Beirut e
Amman. Gli Stati Uniti intervennero direttamente per impedire che la rivoluzione si
espandesse nel Medio Oriente, così impostante per loro. Verrà chiamata più tardi “la dottrina
Eisenhower”. Eisenhower, i suoi generali e il suo segretario degli affari esteri, John Foster
Dulles, avrebbero avuto l’intenzione di invadere l’Iraq e installare a Baghdad un governo
fantoccio. Tre fattori obbligarono tuttavia Washington ad abbandonare questo piano: la
popolarità della rivoluzione, la dichiarazione dell’Unione siro-egiziana, secondo la quale le sue
truppe avrebbero combattuto gli Stati Uniti in caso di attacco, e il sostegno accordato al
nuovo governo iracheno dalla Repubblica Popolare Cinese e dall’Unione Sovietica.
Quest’ultima cominciò a mobilitare delle truppe nelle sue repubbliche meridionali vicino
all’Iraq. I dirigenti americani furono costretti a riconoscere la rivoluzione irachena.
Gli ufficiali ribelli che si erano impadroniti del potere, ivi compreso Kassem, non erano
tuttavia membri di un partito politico. Malgrado la comune origine, molte divergenze
contrapponevano gli uni agli altri. Essi non avevano un’ideologia coerente e non disponevano
di un’efficace struttura organizzativa. Cosa li univa? Una vaga avversione per i grandi signori
terrieri, un’ostilità contro la monarchia corrotta e un odio profondo per l’Impero britannico e
gli Stati Uniti. La proposta di adesione all’Unione siro-egiziana, costituita nel 1958, dal
nazionalista egiziano Nasser e dal partito Baath siriano, contrappose a questo punto Kassem
e Arif in una lotta personale per il potere. Arif, con le sue simpatie nasseriane era sostenuto
dai baathisti, mentre Kassem, contrario all’unione, venne appoggiato dai comunisti.
Kassem ebbe il sopravvento e Arif venne arrestato. Ben presto il conflitto fra i due iniziò a
destabilizzare la giovane repubblica. Nel marzo 1959, i sostenitori di Arif scatenarono da
Mossul una rivolta contro Kassem. Allora i comunisti attaccarono gli insorti e, con le truppe di
Kassem e del capo curdo Barzani, contribuirono alla repressione della rivolta.
Nell’ottobre del 1959, venne compiuto un attentato contro Kassem da parte di un’unità del
Baath. Vi prese parte un giovane militante di Tikrit; il suo nome era Saddam Hussein.
Kassem, ferito, sopravvisse all’attentato.
Kassem era un centrista e voleva migliorare le condizioni dei poveri risparmiando tuttavia i
ceti privilegiati. Questa politica era la conseguenza del suo esiguo seguito popolare. Così si
mantenne al potere solo con un esercizio di equilibrio fra comunisti e panarabisti. Egli cercò
di compensare il panarabismo crescente fra i militari con il sostegno ai comunisti che
disponevano di una forte base popolare. Nel 1959 stabilì relazioni diplomatiche con Mosca.
Nacque un’estesa collaborazione economica e l’Unione Sovietica cominciò a consegnare armi
all’Iraq.
Kassem rimise in discussione gli accordi con le compagnie petrolifere. Nel 1961 espropriò il
99,5% all’Iraqi Petroleum Company. Egli limitò il campo di attività delle compagnie alle
regioni in cui esse estraevano già petrolio e fondò l’Iraqi National Oil Company (INOC) per
sfruttare i nuovi giacimenti. Nel 1960 e nel 1961, i comunisti continuarono a rafforzarsi.
Kassem, allora, decise di allontanarli dalle posizioni importanti in seno al governo e
intervenne pesantemente contro le organizzazioni contadine, i sindacati e la stampa
comunista. Nel 1961, la sua posizione si indebolì ulteriormente quando i curdi presero le armi
contro il governo centrale supportati dallo scià dell’Iran preoccupato per le simpatie di
Kassem verso i comunisti, nonché le sue pretese circa alcuni territori iraniani.
Nel 1961, Kassem urtò ulteriormente l’Occidente e i regimi pro-occidentali che lo
circondavano reclamando la sovranità irachena sul Kuwait, appena divenuto indipendente.
Quando la Lega araba accettò all’unanimità la filiazione del Kuwait, l’Iraq ruppe le relazioni
diplomatiche con i suoi vicini arabi. Sempre più isolato, sia all’interno che all’esterno,
l’equilibrista Kassem cominciò a vacillare.
Nel febbraio del 1963, una parte dell’esercito, insieme al partito Baath, effettuò un colpo di
stato. Il regime crollò e Kassem venne giustiziato. I dirigenti del Baath chiesero ad Arif di
assumere la presidenza. Il colonnello Ahmed Hassan al Bakr, un ufficiale membro del Baath,
venne nominato Primo ministro. Si costruì così un’alleanza tra le due tendenze nazionaliste: il
Baath e la corrente nasseriana sviluppatasi nell’esercito. Il presidente Arif, il cui potere era
stato limitato all’inizio dal partito Baath, si circondò di elementi militari. I dirigenti del Baath
vennero arrestati. Il 1963 fu un annata catastrofica anche per i comunisti. Essi decisero per
un cauto sostegno ad Arif ma, un anno dopo, furono costretti ad ammettere che «Arif ha
ucciso più comunisti in un anno che il passato regime in 25».
Proprio come Nasser in Egitto, Arif impose a tutti i partiti politici nazionali di unirsi in una
grande Unione araba socialista; cosa che scatenò subito le proteste di tutti i partiti politici. A
partire da questo momento l’Iraq iniziò a ad attraversare un periodo molto instabile. Dopo la
morte di Arif, prese il potere suo fratello maggiore. La disfatta arabo-israeliana del 1967 (la
guerra dei Sei giorni), durante la quale l’Iraq ebbe solo una presenza formale, sollevò una
profonda agitazione in tutto il paese. Il Baath reclamava la formazione di un governo senza
però ottenere alcun riscontro da parte del presidente Arif. Questa crisi fu alla base del colpo
di stato del luglio del 1968 che ha portato il partito Baath al potere per i successivi 35 anni.
Nel 1963 quando Arif si impadronì del potere , il partito Baath fu costretto a passare alla
clandestinità. Vennero attuate alcune radicali riforme all’interno del partito, sia sul piano
della direzione che della strategia. Ahmed Hassan al Bakr assunse la direzione. A
riorganizzare il Baath lo aiutò il giovane nipote Saddam Hussein, divenuto segretario
generale del partito. Il 17 luglio 1968, Arif venne rovesciato da un colpo di stato militare.
Saddam Hussein
Al Bakr divenne contemporaneamente primo ministro e presidente del paese. Questo partito
che ormai godeva di un organizzazione molto efficiente, iniziò ad esercitare il suo potere sulla
quasi totalità delle istituzioni nazionali. La borghesia nazionale emergente fu la prima a
trarne vantaggio, ma il Baath arrivò anche a stringere legami con la classe media e con una
parte degli operai e dei contadini. Questi ultimi furono attratti dai notevoli progressi realizzati
nel paese negli anni ’70.
Per approfondimenti:
_Gianfranco Lannutti, “Breve Storia dell’Iraq. Dalle origini ai nostri giorni”, Datanews,2002
_Paolo Barbieri, Maurizio Musolino, “Saddam Hussein. La vita del raìs di Baghdad” ,
Datanews, 2003
_Tariq Alì, “Bush in Babilonia. La ricolonizzazione dell’Iraq”, Fazi Editore, 2005
_Jean-Marie Benjamin, “Iraq. L’effetto Boomerang. Da Saddam Hussein allo Stato Islamico”,
Editori Riuniti, 2015
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