S.Gregorio Magno, papa di Roma detto il Dialogo – Cenobio

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S.Gregorio Magno, papa di Roma detto il Dialogo
Papa Gregorio I, detto papa Gregorio Magno ovvero il Grande (Roma, 540 circa – Roma,
12 marzo 604), è stato il 64º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica, dal 3 settembre
590 fino alla sua morte.
Sebbene il suo pontificato si sia svolto in uno dei periodi più bui della storia italiana, conservò
una incrollabile fiducia nella forza del Cristianesimo; una delle anime più luminose del
Medioevo europeo svolse il suo ministero racchiusa in un corpo minuto e sempre malato, ma
dotato di una grandissima forza morale[1].Dopo studi di elevato livello in grammatica e diritto,
entrò nella vita pubblica ricoprendo la prestigiosa carica di praefectus urbi Romae (prefetto
della città di Roma). In questa veste è citato in un documento databile all’anno 573[2][3]Devoto
ammiratore e biografo di Benedetto da Norcia (anch’egli appartenente alla Gens Anicia),
impegnò tutte le sue notevoli sostanze per l’assistenza ai bisognosi e per trasformare i suoi
possedimenti a Roma e in Sicilia in altrettanti monasteri. Egli stesso si fece monaco
rinunciando all’altissima carica pubblica; iniziò la vita cenobitica e si dedicò con assiduità alla
contemplazione dei misteri di Dio nella lettura della Bibbia. Non poté dimorare a lungo nel
suo convento del Celio perché, dopo essere stato ordinato diacono, verso il 579 papa Pelagio
II lo inviò come apocrisario presso la corte di Costantinopoli per chiedere aiuti contro
i Longobardi.Lì restò per sei anni e si guadagnò la stima della famiglia imperiale e dello
stesso imperatore Maurizio, salito al trono nel 582, di cui tenne a battesimo il figlio Teodosio.
Nel 584 ottenne per Roma l’aiuto che il papa aveva chiesto, ma fu di tale modesta entità che
non servì a risolvere i problemi per i quali era stato invocato; l’imperatore (a cui ormai la
sorte di Roma non sembrava interessare più tanto), non fece altro e il pontefice, ritenendo
Gregorio inadatto al compito affidatogli, lo richiamò a Roma e lo sostituì[4].Al rientro a Roma,
nel 586, tornò nel monastero sul Celio; vi rimase però per pochi anni, perché morto il 7
febbraio 590 papa Pelagio II, vittima di una pestilenza, fu chiamato al soglio pontificio
dall’entusiasmo dei credenti e dalle insistenze del clero e del senato di Roma, di cui era stato
segretario. Gregorio cercò di resistere alle insistenze del popolo, inviando una lettera
all’imperatore Maurizio in cui lo pregava di intervenire non ratificando l’elezione, ma
il praefectus urbi di Roma, di nome Germano, o forse il fratello di Gregorio[5], intercettò la
lettera e la sostituì con la petizione del popolo che chiedeva la ratifica della sua elezione a
pontefice. In attesa della risposta Gregorio si astenne da ogni attività propria del suo ruolo,
che venne svolta da una sorta di “triumvirato” ecclesiastico.L’inverno 589–590 fu
particolarmente funesto per la penisola italiana. Alle violenze perpetrate dai Longobardi si
aggiunse una stagione eccessivamente inclemente, con nubifragi e inondazioni che colpirono
particolarmente il settentrione, causando vittime e danni incalcolabili [6] . Ma anche
il Tevere subì una piena particolarmente violenta, che inondò gran parte della città
provocando vittime e danni ingenti; ne seguì un’epidemia di peste, che decimò la
popolazione e colpì anche il papa Pelagio II. Poiché ancora nell’estate del 590 la situazione
non accennava a tornare alla normalità, in una predica del 29 agosto Gregorio esortò i fedeli
alla penitenza, e per implorare l’aiuto divino organizzò una solenne processione per tre giorni
consecutivi alla basilica di Santa Maria Maggiore[7].Secondo la tradizione, mentre Gregorio
attraversava, alla testa della processione, il ponte che collegava l’area del Vaticano con il
resto della città (chiamato allora “Ponte Elio” o “Ponte di Adriano”, oggi Ponte Sant’Angelo),
ebbe la visione dell’Arcangelo Michele che, in cima alla Mole Adriana, rinfoderava la sua
spada. La visione (che secondo alcune fonti fu condivisa da tutti i partecipanti alla
processione) venne interpretata come un segno celeste preannunciante l’imminente fine
dell’epidemia, cosa che effettivamente avvenne. Da allora i romani cominciarono a chiamare
la Mole Adriana “Castel Sant’Angelo” e, a ricordo del prodigio, posero più tardi sullo spalto
più alto la statua di un angelo in atto di rinfoderare la spada [8] . Ancora oggi nel Museo
Capitolino è conservata una pietra circolare con impronte dei piedi che, secondo la
tradizione, sarebbero quelle lasciate dall’Arcangelo quando si fermò per annunciare la fine
della peste[9].Finalmente arrivò da Costantinopoli la ratifica all’elezione pontificale; sebbene
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Gregorio (che probabilmente non sapeva che la sua lettera era stata sostituita) rinnovasse le
sue reticenze alla missione a cui era chiamato[10], il 3 settembre 590 venne consacrato papa.
L’ascesa quasi “forzata” al soglio pontificio lo turbò profondamente e provocò in lui una
sincera contrarietà, che solo la fede incrollabile e la convinzione di poter svolgere un ruolo di
guida per la redenzione dell’umanità intera, riuscirono a fargli superare[11][12].Nonostante le
riserve all’accettazione del compito che lo attendeva, fu amministratore energico, sia nelle
questioni sociali e politiche per supportare i bisognosi di aiuto e protezione, sia nelle
questioni interne della Chiesa; sebbene fosse fisicamente piuttosto esile e cagionevole di
salute, si dimostrò uomo di azione, pratico e intraprendente. E infatti uno dei primi doveri che
si impose fu la moralizzazione ed epurazione della Curia romana, in cui erano presenti troppi
personaggi, laici ed ecclesiastici, che avevano interessi ben diversi da quelli spirituali e di
carità; molti incarichi furono dunque attribuiti a monaci benedettini. L’altro dovere primario
cui si dedicò fu quello insito nel ruolo di vescovo di Roma, utilizzando i beni propri e quelli
derivanti dalle donazioni dei privati, non a beneficio di vescovi e diaconi, ma in favore del
popolo della città di Roma che, come lamenta in una sua predica, è “oppressa da uno
smisurato dolore, si spopola di cittadini; assalita dal nemico, non è più che un cumulo di
macerie”[12].Molti furono i provvedimenti intesi ad un riordino dell’istituzione monastica e alla
regolamentazione dei rapporti di quella con l’organizzazione ecclesiastica ed i vescovi in
particolare. Assicurò una maggiore autonomia giuridica per i monasteri, la cui vita economica
non doveva in alcun modo subire l’ingerenza dei vescovi, chiamati a compiti spirituali;
regolamentò i rapporti tra scelta monacale e vita familiare, generalmente dando la priorità ai
diritti della seconda; sottrasse, quanto più possibile, gli ecclesiastici ai tribunali civili, non solo
in ossequio ad una tradizione radicata, ma soprattutto perché non aveva alcuna fiducia delle
autorità longobarde e bizantine, particolarmente corruttibili; molti vescovi forse non erano da
meno, ma su di loro poteva comunque esercitare la sua autorità[13].Ma compie anche mosse
politiche. Nonostante avesse più volte invocato invano l’aiuto militare dell’Impero,
i Longobardi continuavano a devastare l’Italia facendo fuggire il clero e catturando prigionieri
che dovette riscattare direttamente con le sue sostanze personali. Inoltre nel 591 il duca
longobardo di Spoleto Ariulfo intraprese una politica espansionistica ai danni dei Bizantini,
conquistando le città del corridoio che collegava Roma con Ravenna e assediando la stessa
Roma, da cui si ritirò solo dopo aver estorto un tributo.Nonostante le richieste, nessun aiuto
venne dall’esarca di Ravenna, che «…rifiuta di combattere i nostri nemici e vieta a noi di
concludere la pace» [14] . Papa Gregorio, infatti, premeva per una tregua tra Imperiali
e Longobardi affinché ritornasse la pace nella penisola e si ponesse fine alle devastazioni
belliche, ma Romano, l’esarca, non era d’accordo e fece di tutto per ostacolarlo[15], al punto
che l’anno successivo si mosse per rompere le trattative che Gregorio aveva intavolato con
il duca di Spoleto per una pace separata[16], riconquistando le città del corridoio umbro[17] e
rompendo le trattative di pace che Gregorio aveva avviato con i Longobardi.La campagna
di Romano provocò la reazione di re Agilulfo, che riprese Perugia e poi nel 593 pose l’assedio
a Roma. Gregorio si trovò a dover provvedere, a fronte di un inefficiente esercito imperiale
(oltretutto mal pagato) il cui aiuto latitava, alla difesa di Roma, e per evitare ulteriori
sofferenze e lutti alla città si vide costretto a convincere Agilulfo a levare l’assedio pagando
di tasca propria 5000 libbre d’oro e offrendo al re longobardo l’assicurazione del pagamento
annuo di un’ingente tributo[18][19]. In questo modo Gregorio si sostituiva, arbitrariamente,
all’autorità civile cittadina e al senato, che di fatto non avevano ormai più alcun ruolo politico
riconosciuto; e se al re longobardo interessava solo il denaro, il popolo romano riconobbe in
Gregorio l’unico salvatore[20].Questa, e le continue, successive, inutili insistenze per una pace,
subirono la disapprovazione dell’imperatore Maurizio che, concordando con la politica
dell’esarca, accusò il papa di infedeltà all’Impero e di stupidità per i suoi tentativi di
negoziazione. Gregorio scrisse all’imperatrice per ricordarle come dopo tanti anni di
oppressione da parte dei Longobardi, gli imperatori d’Oriente ben poco avevano fatto e speso
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in favore di Roma (e molto invece per Ravenna, loro ultimo avamposto in terra italiana),
mentre la città e la Chiesa avevano bisogno di sopravvivere in pace; ma scrisse anche
all’imperatore:
« …Mi è stato detto di essere stato ingannato da Ariulfo, e sono stato definito
“sempliciotto”,… che significa indubbiamente che sono uno sciocco. E io stesso debbo
confessare che avete ragione… Se non lo fossi, non avrei mai accettato di patire tutti i mali
che ho sofferto qui per le spade dei Longobardi.
Voi non credete a quello che dico riguardo ad Ariulfo, riguardo al fatto che sarebbe disposto a
passare dalla parte della Repubblica, accusandomi di dire menzogne. Dato che una delle
responsabilità di un prete è di servire la verità, è un grave insulto essere accusati di
menzogna. Sento, inoltre, che viene riposta più fiducia nelle asserzioni di Leone e Nordulfo,
invece che alle mie… Ma quello che mi affligge è che la stessa tempra che mi accusa di
falsità permette ai Longobardi di condurre giorno dopo giorno tutta l’Italia prigioniera sotto il
loro giogo, e mentre nessuna fiducia è riposta nelle mie asserzioni, le forze del nemico
crescono sempre di più… »
(Papa Gregorio Magno, Epistole, V,40.[21].)
E non risparmia le accuse all’esarca Romano, «la cui malizia è persino peggiore delle spade
dei Longobardi, tanto che i nemici che ci massacrano sembrano dolci in comparazione con i
giudici della Repubblica che ci consumano con la rapina…»[22]Le trattative con i Longobardi,
comunque, continuarono, e subirono un’accelerazione grazie anche all’aiuto del
nuovo esarca di RavennaCallinico. Alla fine del 598, Longobardi e Imperiali firmarono
finalmente una pace, che probabilmente però era solo una tregua armata che durò solo tre
anni, nonostante Paolo Diacono la definisca “fermissima”. Gregorio ne approfittò
immediatamente per estendere i suoi interventi in favore dei bisognosi anche a province
lontane da Roma che dunque, prive ormai di un vero potere centrale (a parte quello
longobardo che poco si curava di problemi economici e sociali delle popolazioni italiche),
erano sempre più portate a riconoscere come unica guida di riferimento quella del vescovo di
Roma, la cui azione “non è tuttavia indirizzata al rafforzamento dell’autorità politica della
Chiesa”, chiarisce Rosario Villari, in quanto “Gregorio non ha programmi di potere; aspira
anzi in conformità con la sua vocazione monacale al distacco dal mondo, a convertire il
maggior numero di non credenti, a riformare la Chiesa per renderla più attiva e capace di
svolgere in pieno questo compito urgente”[23].In coerenza con questa visione della missione
della Chiesa si pone il suo programma di evangelizzazione e conversione
dei Visigoti di Spagna di re Recaredo I, e dei Longobardi, coi quali, dopo la pace del 598,
riuscì a stabilire rapporti di buon vicinato avviando la loro conversione dall’eresia
ariana grazie anche all’influente sostegno della regina Teodolinda. Analogo sforzo missionario
svolse in favore dei Britanni, presso i quali Gregorio inviò dei monaci benedettini per
cristianizzare le popolazioni; fu infatti grazie all’aiuto dei re Franchi, con i quali Gregorio fu in
continui rapporti e in eccellente relazione, e in particolare della regina Brunechilde, che riuscì
ad ottenere la conversione della Britannia, affidandola ad Agostino, priore del convento di
Sant’Andrea, poi consacrato vescovo di Canterbury.Non sono chiari i motivi che spinsero
Gregorio all’opera di cristianizzazione di un paese tanto lontano (e da tanto tempo perso alla
romanità), quando c’erano altri popoli più vicini a Roma, e mentre era in corso l’emergenza
longobarda. Le fonti medievali hanno tentato di fornire una spiegazione ricorrendo alla
leggenda secondo la quale Gregorio, quand’era ancora monaco, si sarebbe convinto della
necessità di convertire la Britannia per aver visto alcuni giovani schiavi britannici esposti per
la vendita, bellissimi di aspetto e pagani, tanto da aver esclamato, rammaricato: “Non Angli,
ma Angeli dovrebbero esser chiamati…”. Comunque in meno di due anni diecimila Angli,
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compreso il re del Kent Ethelbert, si convertirono[24]. Era questo un grande successo della
politica di Gregorio, che mirava ad eliminare gli avversari della Chiesa e ad accrescere
l’autorità del papato con la conversione dei “barbari”.Oltre che per i problemi connessi alla
pace con i Longobardi, i rapporti con l’imperatore Maurizio non sempre furono cordiali per
vari altri motivi.Quando l’Imperatore, per fermare la fuga dei decurioni i quali, per sfuggire
alle loro responsabilità sicuramente onerose, entravano in monastero, promulgò un editto
con cui vietava ai funzionari pubblici e ai soldati privati di farsi monaci, Gregorio protestò: se
non aveva nulla da obiettare sulla prima parte della legge (quella riguardante i funzionari
pubblici), obiettò invece sulla proibizione ai soldati imperiali di diventare «soldati di Cristo»,
ovvero di entrare a far parte del clero[25].Dal 594 al 599 il motivo della disputa fu Massimo,
vescovo di Salona, accusato dal papa di simonia; Massimo, favorito dalla corte imperiale,
poté mantenere il seggio e arrivò addirittura ad accusare Gregorio di aver fatto uccidere il
vescovo dalmata Malco, inviato in Italia per rendere conto su una presunta cattiva
amministrazione del patrimonio papale e deceduto improvvisamente in esilio[26].Lo scontro
con l’imperatore divenne particolarmente aspro nel 595. quando il Patriarca di
Costantinopoli Giovanni IV Nesteutes si proclamò “Patriarca Ecumenico”, dichiarandosi di
autorità pari al papa. Di fronte alle proteste di Gregorio, il patriarca cercò il sostegno
dell’Imperatore, che scrisse al papa esortandolo a porre fine alla questione, avendo la Chiesa
bisogno di pace, e non di controversie religiose. Gregorio rispose lodando l’Imperatore per la
volontà di riportare la pace nella Chiesa, ma precisando, con toni decisi, che della contesa
era responsabile il Patriarca, che aveva usurpato un titolo non suo: ”Quando noi lasciamo la
posizione che ci spetta, e assumiamo noi stessi onori indecenti, alleiamo i nostri peccati con
le forze dei barbari… Maestri di umiltà e generali di superbia, noi nascondiamo i denti da lupo
dietro un volto da pecora. … Colui che ricevette le chiavi del Regno dei Cieli… non fu mai
chiamato Apostolo Universale; e ora il più Santo Uomo, il mio vescovo collega Giovanni
rivendica il titolo di Vescovo Universale. … Tutta l’Europa è nelle mani dei Barbari… e,
malgrado tutto, i preti … cercano ancora per sé stessi e fanno sfoggio di nuovi e profani titoli
di superbia!” [27] . Ma da Costantinopoli non giunse alcun segnale distensivo, e anzi il
successore di Giovanni Nesteute, Ciriaco, mantenne il titolo di “Patriarca Ecumenico” che i
patriarchi di Costantinopoli non abbandonarono più nonostante un decreto
dell’Imperatore Foca (successore di Maurizio) avesse riconosciuto il primato della Chiesa di
Roma. Gregorio reagì assumendo il titolo di “Servus Servorum Dei”, che da allora fu
mantenuto dai pontefici romani.Nei territori dell’Esarcato d’Italia che ricadevano sotto la
responsabilità amministrativa della Sede di Pietro, i cosiddetti Patrimonia, Gregorio seppe far
fronte, aiutato da una rete di funzionari, ai problemi di approvvigionamento alimentare che le
continue alluvioni, carestie e pestilenze rendevano particolarmente gravi; ebbe cura
degli acquedotti e favorì l’insediamento dei coloni eliminando ogni residuo di servitù della
gleba. Riuscì a intrattenere rapporti epistolari anche con il re della Barbagia, Ospitone, e
cercò di dissuadere quella popolazione dall’idolatria e dal paganesimo, convertendo Ospitone
stesso al Cristianesimo. L’interesse per le popolazioni delle isole
tirreniche, Sicilia, Sardegna e Corsica[28], lo indusse ad intercedere in loro favore presso
l’imperatrice Costantina affinché venisse ridotta l’elevata pressione fiscale e fosse posto un
freno alla rapacità dei funzionari, che costringevano i genitori a vendere i figli e molti ad
emigrare in territorio longobardo, mentre le proprietà venivano arbitrariamente
confiscate[29].Gregorio riorganizzò a fondo la liturgia romana, ordinando le fonti anteriori e
componendo nuovi testi. L’epistolario (ci sono pervenute 848 lettere) e le omelie al popolo
documentano ampiamente sulla sua molteplice attività e dimostrano la sua grande familiarità
con i Testi sacri. Promosse quella modalità di canto tipicamente liturgico che da lui prese il
nome di “gregoriano“: il canto rituale in lingua latina adottato dalla Chiesa cattolica, che
comportò, di conseguenza, l’ampliamento della Schola cantorum. Paolo Diacono e alcune
illustrazioni di manoscritti dal IX al XIII secolo tramandano una leggenda secondo la quale
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Gregorio avrebbe dettato i suoi canti ad un monaco, alternando la dettatura a lunghe pause;
il monaco, incuriosito, avrebbe scostato un lembo del paravento di stoffa che lo separava dal
pontefice, per vedere cosa egli facesse durante i lunghi silenzi, assistendo così al miracolo di
una colomba (che rappresenta naturalmente lo Spirito Santo), posata su una spalla del papa,
che gli dettava a sua volta i canti all’orecchio. In realtà i manoscritti più antichi contenenti i
canti del repertorio gregoriano risalgono al IX secolo e pertanto non si sa se lui stesso ne
abbia composto qualcuno.
Di Gregorio sono rimasti diversi scritti di vario genere:
Sacramentarium Gregorianum– con cui riformò il canone della messa, rendendola più
semplice ma più solenne;
Antiphonarius– la nuova redazione del libro dei canti liturgici;
Homiliae(40 omelie sui Vangeli (Homiliae in Evangelia), 22 su Ezechiele (Homiliae in
Hiezechihelem prophetam), 2 sul Cantico dei cantici);
Dialoghi– in 4 libri: il primo e il terzo su santi italiani a lui coevi, il secondo monografico su san
Benedetto da Norcia e il quarto riguarda in particolare il destino dell’anima dopo la morte e
narra di alcune profezie; è l’unica opera di Gregorio di livello veramente basso ed
intellettualmente povera;
Moralia in Job– 35 libri di esegesi del libro veterotestamentario di Giobbe;
Regula Pastoralis– manuale per la vita e l’opera dei vescovi e in generale di coloro che
ricoprono il ministero pastorale;
Commento al primo Libro dei Re;
Circa 850 lettere sopravvissute dal suoRegistro (Registrum Gregorii): inestimabile fonte
primaria, anche storica, sull’epoca di Gregorio[30];
Opera Omnia dal Migne patrologia Latina con indici analitici.
Il Liber Pontificalis, il testo ufficiale che ha riportato per secoli l’attività dei pontefici di Roma,
presenta Gregorio esclusivamente sotto l’aspetto dell’attività religiosa, stranamente tacendo
su tutti i contatti e le scelte politiche da lui effettuate, sia con i Longobardi che con i
Bizantini[31].Papa Gregorio I morì il 12 marzo 604 dopo aver sofferto per vari anni di gotta e fu
sepolto nella Basilica di San Pietro.
NOTE
^ G. Pepe, Il Medio Evo barbarico d’Italia, 1971, pag. 117.
^ Gregorio I santo, in Enciclopedia dei Papi, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2000. URL
consultato il 1/09/2015.
^ Gregorio scrisse di sé «ego quoque tunc urbanam praeturam gerens pariter subscripsi»,
ma poiché in una variante del testo praeturam è sostituita da praefecturam, dalle sue
epistole non è possibile sapere con esattezza se fu “prefetto dell’Urbe” o piuttosto “pretore
dell’Urbe”.
^ C. Rendina, I Papi. Storia e segreti, pagg. 157 e segg.
^ La fonte, Gregorio di Tours (X, 1), è ambigua: è incerto se “Germanus” vada interpretato
come il nome proprio del prefetto urbano, oppure in questo caso significhi “fratello”.
^ ”Dal tempo di Noè non si ricordava un diluvio simile”, commenterà Paolo Diacono (come
riportato in C. Rendina, op. cit., pag. 160).
^ La processione e le modalità di svolgimento sono riferite puntualmente dal Gregorovius in
base a quanto riportato nelle cronache di Gregorio di Tours e di Paolo Diacono (C. Rendina,
op. cit., pag. 160).
^ Willy Pocino, Le curiosità di Roma, Roma, Tradizioni italiane Newton, 2009, pp. 91-92. – C.
Rendina, op. cit., pagg. 160 e seg. – Indro Montanelli e Roberto Gervaso L’Italia dei secoli bui,
Rixxoli, 1965, pag. 235.
^ Castel Sant’Angelo, www.activitaly.it.
^ Secondo una tradizione leggendaria risalente all’XI secolo tentò anche la fuga,
nascondendosi nei boschi della Sabina, dove i Romani lo scovarono e lo riportarono indietro,
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accolto trionfalmente in città (C. Rendina, op. cit., pag. 162).
^ Lo storico tedesco Franz Xaver Seppelt rileva che nella sua “riluttanza ad accedere alla
sede di San Pietro non si dovrà però scorgere solamente quella modestia convenzionale, che
si ha modo di notare in innumerevoli elezioni di vescovi nel Medio Evo, non sempre sincera.
La tristezza di Gregorio e la sua scarsa condiscendenza ad accettare l’importantissima carica
erano dovute essenzialmente al dover abbandonare definitivamente la vita di solitudine del
monastero, …; i sentimenti di Gregorio erano senza dubbio radicati profondamente e
rispondevano alla natura del suo animo” (come riportato in C. Rendina, op. cit., pag. 162).
^ a b C. Rendina, op. cit., pag. 162.
^ G. Pepe, op. cit., pag. 127.
^ G. Ravegnani, I Bizantini in Italia, 2004, p. 95.
^ G. Ravegnani, op. cit., pp. 95-99.
^ Romano non poteva tollerare l’insubordinazione del Pontefice, sia perché stava trattando
con il nemico senza alcuna autorizzazione imperiale, sia perché la pace in quel momento
avrebbe riconosciuto il possesso longobardo del corridoio umbro
^ Paolo Diacono, Historia Langobardorum, IV, 8.
^ Nell’occasione scrisse poi all’imperatore Maurizio: «Con i miei stessi occhi, ho visto i romani
legati come cani da una corda al collo che venivano condotti via per essere venduti come
schiavi in Francia» (G. Ravegnani, op. cit., pag. 98).
^ I. Montanelli – R. Gervaso, op. cit., pagg. 238 e seg. – P. Brezzi, La civiltà del Medioevo
europeo, 1978, pag. 116.
^ G. Pepe, op. cit., pag. 137.
^ Come riportato in G. Ravegnani, op. cit., pag. 99.
^ Papa Gregorio Magno, Epistole, V, 42.
^ C. Rendina, op. cit., pagg. 162 e seg.
^ C. Azzara, Le invasioni barbariche, Il Mulino, 1999, pagg. 110 e segg.
^ Papa Gregorio Magno, Epistole, III, 66.
^ Papa Gregorio Magno, Epistole, IV, 47.
^ Papa Gregorio Magno, Epistole, V,20.
^ Queste ultime erano comprese nell’Esarcato d’Africa.
^ Papa Gregorio Magno, Epistole, V,41
^ edizione critica: Dag Norberg, S. Gregorii Magni registrum epistularum libri I-VII, Corpus
Christianorum Series Latina 140, Brepols, Turnhout, 1982 – Dag Norberg, S. Gregorii Magni
registrum epistularum libri VII-XIV, Corpus Christianorum Series Latina 140A, Brepols,
Turnhout, 1982
^ S. Gasperri, Italia longobarda, Laterza, 2012, pag. 76.
Da Wikipedia
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