l`IDEALISMO TEDESCO - Pagine di filosofia e storia

L’IDEALISMO TEDESCO
Una sinossi
Antologia di brani, versi poetici, aforismi di alcuni autori romantici
Transizione all’idealismo. Da Kant ad Hegel
Fichte, Schelling ed Hegel
La filosofia della storia di Hegel
A cura di Antonio Lionello
Sito web: antoniolionello.wordpress.com
Pagine di filosofia e storia
ANTOLOGIA DI BRANI, VERSI POETICI, AFORISMI DI ALCUNI AUTORI
ROMANTICI
ATTEGGIAMENTI CARATTERISTICI DEL ROMANTICISMO TEDESCO
L'esaltazione del sentimento, è qualcosa di più profondo ed "intellettuale" del sentimento
comunemente inteso ed è nutrito e potenziato di "riflessione" e di "filosofia". Si può esprimere
come "sentimento spirituale". Esprime anche un'ebbrezza indefinita di emozioni, in cui palpita la
vita stessa al di là delle strettoie della ragione, che nei suoi confronti scade a pallido riflesso:
«II pensiero è soltanto un sogno del sentimento» (Novalis)
II poeta Holderlin, racchiudendo nel giro di una frase felice la vena antirazionalistica che
serpeggia nel nascente movimento romantico, nell’Iperione esclama:
«Un Dio è l'uomo quando sogna, un mendicante quando pensa».
Al poeta si conferiscono delle doti quasi sovra-umane e profetiche che fanno di lui un "esploratore
dell'invisibile", con poteri di intuizione superiori a quelli degli uomini comuni e della ragione
logica. Tipiche, in questo senso, alcune affermazioni dei Frammenti di Novalis o di Schlegel:
«Soltanto un artista può indovinare il senso della vita» (Novalis)
«II poeta comprende la natura meglio che lo scienziato» (Novalis)
«II filosofo poeta, il poeta filosofo, è un poeta» (Schlegel)
L'ESTETICA ROMANTICA
Questo concetto dell'arte come meta-filosofica intuizione capace di attingere le profondità
originarie della vita e di possedere l'infinito, trova la sua più nota concettualizzazione in Schelling,
che in esso individua l'organo tramite cui avviene la rivelazione dell'Assoluto a se medesimo.
Schelling arriva a dire che l'universo è nient'altro che un'immensa opera d'arte generata da quel
"poeta cosmico" che è l'Assoluto (di cui il poeta umano è il riflesso). Egli porta alla sua massima
espressione metafisica un pensiero che circola sin dall'inizio fra i romantici, i quali scoprono
nell'arte gli attributi stessi di Dio: l'infinità e la creatività.
Ripudiato il principio di imitazione e le regole classicistiche, l'estetica romantica si
configura in modo esplicito ed impegnato come un'estetica della creazione, poiché se all'uomo
morale si riconosce ancora la necessità di un limite, di un ostacolo, al poeta è attribuita una libertà
sconfinata e all'arte una spontaneità assoluta, che ne fa un'attività in perenne divenire, ossia dotata
di inesauribile dinamicità creativa.
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«La poesia romantica è ancora in divenire... essa sola è infinita, come essa sola è libera, e
riconosce come sua legge prima questa: che l'arbitrio del poeta non soffre legge alc una» (F.
Schlegel)
Per quanto riguarda la musica, il primo a celebrarne i miracoli troviamo Wackenroder:
«La musica mi appare come l'araba fenice, che, leggera e ardita, s'innalza a volo... e con lo
slancio delle ali rallegra gli dei e gli uomini.... Ora l 'arte dei suoni è per me proprio come il
simbolo della nostra vita: una commovente breve gioia, che s'alza e s'inabissa, non sia sa perché;
un'isola piccola, lieta, verde, con splendore di sole, con canti e suoni...»
Nei romantici successivi la musica diviene la regina delle arti, l'arte romantica per
eccellenza, poiché sprofondando l'ascoltatore in un flusso indeterminato di emozioni e di
immagini gli fa vivere l'esperienza stessa dell'infinito.
«La musica è la più romantica di tutte le arti, il suo tema è l'infinito, essa è il misterioso
sanscrito della natura espresso in suoni, che riempie di infinito desiderio il petto dell'uomo, il quale
solo in essa intende il sublime canto degli alberi, dei fiori, degli animali, delle pietre, delle acque!»
«La musica è la più romantica di tutte le arti, si potrebbe quasi dire che essa sola è
romantica, poiché solo l'infinito è il suo tema».
«La musica di Beethoven... risveglia quel desiderio infinito che è l'essenza del
romanticismo (E.T. A. Hoffmann)».
Idee analoghe troviamo anche in Schopenhauer, o in Leopardi secondo cui, grazie alla musica:
Per mar delizioso, arcano / erra lo spirito umano (Leopardi, Sopra il ritratto di una bella
donna).
INFINITIZZAZIONE DELL'ARTE ED ESTETISMO
Brano tratto dall’Iperione di Hòlderlin
«O voi che cercate il sommo bene nella profondità della scienza, nel tumulto dell'azione,
nell'oscurità del passato, nel labirinto del futuro, nelle fosse e sopra le stelle, sapete voi il suo
nome? Il suo nome è bellezza!».
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LA VITA COME INQUIETUDINE E DESIDERIO: la sehnsucht, l'ironia, il titanismo.
L'espressione germanica Sehnsucht può essere tradotta in italiano con "desiderio",
"aspirazione struggente", "brama appassionata". Costituisce la più caratteristica parola del
romanticismo tedesco poiché sintetizza l'interpretazione dell'uomo come desiderio e mancanza,
ossia come desiderio frustrato verso qualcosa che sempre sfugge... desiderio di avere l'impossibile,
desiderio di conoscere il non conoscibile, di sentire il soprasensibile.
Il verbo Sehnen vuoi dire desiderare; il sostantivo Sucht significa pure desiderio. Il termine
sehnsucht finisce per configurarsi come un "desiderio innalzato alla seconda potenza, un desiderio
del desiderio". (Cfr. L. Mittner, Ambivalenze romantiche).
INFINITA' E CREATIVITÀ' DELL'UOMO NEI FILOSOFI E NEI POETI
L'uomo come spirito, ovvero come attività infinita ed inesauribile che si autocostituisce od
autocrea liberamente, superando di continuo i propri ostacoli; o ancora come soggetto in funzione di
cui esiste e trova un senso l'oggetto, e quindi la natura. Questa teoria dell'uomo come attività
incessante e ragion d'essere d'ogni cosa, che mette capo all'equazione Io= Dio si trova per la prima
volta in Fichte nella Dottrina della scienza che rappresenta lo scopritore del concetto romantico
dell'infinito e dello Spirito. Tant'è vero che Schlegel lo proclama esplicitamente l'iniziatore del
romanticismo tedesco. Tuttavia, l'infinito fichtiano è ancora un'attività che suppone un limite e che
si esercita attraverso un infinito superamento del finito. Infatti l'io fichtiano è fondamentalmente
compito morale e la moralità (secondo il concetto kantiano) implica uno sforzo e perciò la presenza
del limite.
L'AMORE COME ANELITO DI FUSIONE TOTALE E CIFRA DELL'INFINITO
«Vita e amore significano la stessa cosa... C'è tutto nell'amore: amicizia, cordialità,
sensualità e anche passione... e l'un elemento lenisce e rinforza, anima ed accresce l'altro, viviamo
ed amiamo fino all'annientamento. Soltanto l'amore ci rende uomini veri e perfetti, esso solo è la
vita della vita (Schlegel).
«La vera vita è l'amore: come amore ha e possiede la cosa che ama, l'abbraccia, la penetra, è
unita e fusa in essa» (Fichte).
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«L'amore è Io scopo finale della storia del mondo, l'amen dell'universo» (Novalis,
Frammenti)
L'amore è identificazione del soggetto con un'altra persona", è il sentimento per cui due
esseri non esistono che in un'unità perfetta e pongono in questa identità tutta la loro anima e
il mondo intero"; "questa rinuncia a se stesso per identificarsi con un altro, quest'abbandono
nel quale il soggetto ritrova tuttavia la pienezza del suo essere, costituisce il carattere infinito
dell'amore" (Hegel, Lezioni di estetica).
LA NUOVA CONCEZIONE DELLA NATURA
Citiamo un noto passo dell'Iperione di Hölderlin fra i più belli di tutta la letteratura
romantica:
«Ma tu ancora risplendi o sole del ciclo e tu ancora sei verde o santa terra; ancora scorrono i
fiumi verso il mare e nel meriggio frusciano gli alberi ombrosi.
Il canto voluttuoso della primavera invita al sonno i miei pensieri mortali. La pienezza del
mondo vibrante di vita nutre e sazia di ebbrezza il mio povero essere.
O natura santa! Io non so cosa mi avvenga quando alzo i miei occhi dinnanzi alla tua
bellezza, ma tutta la gioia del ciclo è nelle lacrime che piango innanzi a te, come l'amante alla
presenza dell'amata
Tutto il mio essere ammutolisce e si tende, quando il soffio delicato dell'aria gioca sul mio
petto. Perduto nell'azzurro sconfinato, io volgo spesso il mio sguardo in alto, verso l'etere e in
basso nel sacro mare ed è come se uno spirito affine mi aprisse le braccia, come se il dolore
della solitudine si dissolvesse nella vita degli dei.
Essere uno col tutto, questa è la vita degli dei, questo è il ciclo dell'uomo.
Essere uno con tutto ciò che ha vita, fare ritorno, in una beata dimenticanza di sé, nel tutto
della natura: ecco il vertice dei pensieri e delle gioie, la sacra vetta del monte, il luogo
della quiete perenne, dove il meriggio perde la calura e il tuono perde la sua voce; dove il
mare ribollente somiglia all'ondeggiare di un campo di spighe».
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TRANSIZIONE ALL'IDEALISMO: DA KANT AD HEGEL
La filosofia antica e quella medievale affermano che la realtà (la verità) è conoscibile dal
pensiero dell'uomo; affermano anche che la realtà è esterna al pensiero e indipendente da esso:
affermazione immediata dell'identità di certezza e verità.
La filosofia moderna (fino a Kant compreso) continua a tener fermo il principio che la realtà
vera e propria esiste esternamente e indipendentemente dal pensiero, ma a cominciare da Cartesio
mette in rilievo che il contenuto del pensiero -ossia tutto ciò che il pensiero pensa, e quindi l'intera
realtà che ci sta davanti, che sperimentiamo e in cui viviamo - è un pensato, cioè idea,
rappresentazione umana. Il contenuto del pensiero pertanto non è la realtà vera e propria che esiste
esternamente e indipendentemente dal pensiero.
Con Kant l’episteme è nelle sue fondamenta la consapevolezza che la cosa in sé ossia ciò
che esiste esternamente e indipendentemente dalla conoscenza umana, è destinata a restare
inconoscibile perché qualsiasi presunta conoscenza di essa non potrebbe portarsi al di fuori del
conoscere e cogliere la cosa come è in se stessa. Il contenuto della conoscenza umana può essere
soltanto "fenomeno", realtà che appare a noi (fenomenismo).
D'altra parte, se quest'ultime - le cose in sé- non esistessero, non si potrebbe nemmeno
affermare che esse sono inconoscibili.
L'essenza dell'idealismo riguarda il fatto che il concetto di cosa in sé è contraddittorio.
a) La cosa in sé è infatti la cosa come essa è al di fuori e indipendentemente dal suo essere
conosciuta: è la cosa chiusa in sé e chiusa al conoscere
b) Ma nel concetto di cosa in sé la cosa in sé è, appunto, concepita, cioè conosciuta e, in quanto
concepita e conosciuta, essa non è chiusa in sé e chiusa al conoscere, ma aperta al conoscere
e) Proprio perché è concepita, la cosa in sé non può essere in sé
d) Comprendere che il concetto di cosa in sé è contraddittorio significa comprendere che al di
là del pensiero non può esistere alcuna cosa in sé esterna e indipendente da esso
L'idealismo è oltrepassamento del realismo. In questo senso, l'idealismo è una rivoluzione più
profonda di quella costituita dal criticismo kantiano. E tuttavia esso è la coerenza della filosofia
kantiana, come quest'ultima è la coerenza del modo di pensare inaugurato dalla filosofia moderna
La filosofia moderna intendeva l'idea come rappresentazione (immagine, quadro) e quindi
come rappresentazione della realtà esterna alla mente; e cioè presupponeva, come il realismo
tradizionale che la realtà vera e propria esistesse esternamente e indipendentemente dalla mente e
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quindi traeva la conclusione che la realtà in sé differisse dalla realtà pensata, ossia che "la certezza si
oppone alla verità". Se non si cade in quel presupposto, allora la realtà che appare nella coscienza è la
stessa realtà in se stessa.
Cartesio presuppone che l'idea, quanto al suo contenuto rappresentativo, sia un effetto, l'effetto
di quell'attività causatrice che è costituita dalla realtà in sé di cui l'idea è idea, sì che la dimostrazione
cartesiana dell'esistenza della realtà in sé, esistente al di là dell'idea è soltanto apparente, un circolo
vizioso (presuppone come vero, sin dall'inizio, ciò che si presume dimostrare).
Questo presupposto è presente anche in Kant: "fenomeno" significa ciò che appare nel nostro modo di
rappresentare, e quindi significa qualcosa cui deve corrispondere qualcos'altro che non può essere a
sua volta fenomeno (altrimenti si avrebbe un rinvio senza fine).
Se (e poiché) al di là di ciò che appare nel pensiero non c'è nulla, questo qualcosa sarebbe pur sempre
un che di pensato e dunque non starebbe al di là del pensiero, allora ciò che appare nel pensiero è la
vera realtà, il vero essere.
Proprio perché al di là del contenuto del pensiero non c'è nulla, l'idealismo mette in rilievo che
nessuna realtà può essere esterna, indipendente e indifferente rispetto al pensiero. Nell'idealismo
l'identità di certezza e verità non è immediata, ma è mediata dalla negazione
assoluta di ogni realtà trascendente il pensiero.
Il ritorno alla metafìsica
Stare nel pensiero non è chiudersi in qualcosa, ma aprirsi al tutto e che non ha nulla al di fuori
di sé. Non è il pensiero a essere tra le cose, bensì sono le cose tutte a costituirsi e a svolgersi all'interno
del pensiero.
N.B. L'infinita apertura del pensiero, per la quale il pensiero coincide col tutto, è la stessa essenza
più profonda dell'uomo. Ma proprio perché il pensiero è il tutto, esso è insieme la stessa Realtà assoluta
e divina. Nel loro significato più profondo Dio e uomo coincidono. Nel dogma cristiano
dell'Incarnazione del Verbo, Hegel ravvisa l'immagine religiosa nella quale resta adombrata la più
profonda verità filosofica: l'identità di Dio e Uomo.
Il pensiero non è un atto dell'individuo umano: l'idealismo giunge a mostrare che la sostanza
(ossia ciò che è in sé e per sé, e che per esistere non ha bisogno di altro cui inerire) è il pensiero e che
gli individui umani, come ogni altra forma particolare della realtà, sono individuazioni accidentali
e provvisorie della sostanza.
Proprio perché non può esistere un essere al di là del pensiero, il pensiero è la stessa
produzione dell'essere. Pensiero ed essere si implicano reciprocamente. Il pensiero produce l'essere
nel senso che solo all'interno del pensiero è possibile la Storia dell'Essere. L'assoluto è autoproduzione
e l'autoproduzione assoluta è il processo stesso in cui l'Assoluto va rivelando sé a se stesso.
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INTRODUZIONE AD HEGEL
Appunti tratti da H. U. Von Balthasar. Gloria. Nello spazio della metafisica. L'epoca
moderna (vol.IV)
Mentre Kant e Schiller si attengono alla finitezza dello spirito umano, i tre titani
Fichte, Schelling, Hegel vogliono pensare l'uomo nel totale dell'assoluto quale suo centro.
Questo postula espressamente che tutta la filosofia, soprattutto quella antica, venga
ripresa in un'interpretazione che culmina, mediante l'appropriazione filosofica della rivelazione
cristiana, in una concezione secondo cui l'Assoluto non esiste altrove che in questo mondo,
ossia nella realtà dell'esperienza, nella realtà che è il contenuto del pensiero.
Fichte parte dal principio dell'io in quanto perfetto libero autopossesso nell'azione
effettiva (e questo è un chiaro punto di partenza cristiano -giacché solo nella Bibbia Dio divenne
finalmente un io, e l'uomo divenne il suo tu). Ma poiché si tratta di filosofia e di sapere (e non di
teologia e di fede) non può più sussistere tra "natura" e "grazia" nessuna differenza: la rivelazione
storica (biblica) di Dio coincide con la rivelazione dell'essere, in tal modo il finito diventa
rivelazione dell'infinito. Il mondo è "espressione" di Dio, ma la totalità è sviluppata a
partire dalla soggettività. Il ripiegamento al centro-uomo non viene ritrattato, ma solo ora
davvero titanicamente mantenuto.
Il punto di partenza di Fichte è l'io, il quale nella presa della sua libertà (nel dovere) è
autopossesso (autonomia) e autointuizione semplicemente. Fichte radicalizza in tal modo il
punto di appercezione e l'autonomia di Kant (e il cogito di Cartesio).
Ma se ci si chiede chi sia quest'io identico a se stesso, da cui Fichte parte, la risposta suona:
né Dio, né l'uomo. L'io è in questa forma solo per i filosofi: un punto così costruito affinché da esso
come da presupposto si possa procedere a una reale autocoscienza. Per essere realtà esso ha bisogno
del mondo in quanto op-posto (non -io). Appoggiandosi ad esso si riflette facendosi autocoscienza
ed attivamente si effettua facendosi libertà. Perciò la schietta aporia: come può un «irreale» presup-porre alla coscienza un mondo reale affinché nel processo della coscienza esso si realizzi? Qui
Dio non è in nessun modo da invocare, perché egli né è persona, né creatore.
Schelling ha contribuito ulteriormente a costruire il "ponte mai compiuto" intendendo la
rivelazione come forma superiore del mito; ma là dove si sarebbe dovuto inserire la pietra finale,
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egli fu insicuro, gli sfuggì la misura delle distanze. La mano di Hegel invece non trema,
tranquillamente egli conclude l’arco, vi passa per primo sopra e lo consacra ai tempi futuri. Hegel
si sa incaricato dal Weltgeist ad aprire i tempi futuri. Il risoluto trasferimento di tutta intera la
credenza cristiana in gnosi definitiva è dunque nella coscienza di Hegel una strada che si apre
all'avvenire. Hegel ha a lungo lottato dapprima a riguardo di Cristo e al senso della sua vita e della
sua fondazione, per poi, decisamente inserire nel suo sistema quanto del cristianesimo gli risultava
filosoficamente utilizzabile e per respingere i residui indigesti. Scrive Hegel: "L'oggetto della
religione come della filosofia è Dio e l'esplicazione di Dio [...] La filosofìa ha lo scopo di conoscere
la verità, di conoscere Dio, poiché egli è l'assoluta verità, e da questo punto di vista non vale la pena
di occuparsi di nient'altro contro Dio e la sua spiegazione".
Scrive Emanuele Severino (La filosofia moderna): II pensiero di cui parla l'idealismo è pensiero
umano (nel senso che non si tratta di un pensiero trascendente, posseduto da un Dio separato
dall'uomo). L'infinita apertura del pensiero, per la quale il pensiero coincide col Tutto, è la stessa
essenza più profonda dell'uomo. Ma proprio perché il pensiero è il tutto, esso è insieme la stessa Realtà
assoluta e divina -anzi è la forma più rigorosa in cui Dio viene presentato lungo la storia dell'episteme.
Nel loro significato più profondo, Dio e l'uomo coincidono. Nel dogma cristiano dell'Incarnazione del
Verbo, Hegel ravvisa l'immagine religiosa nella quale resta adombrata la più profonda verità
filosofica: l'identità di Dio e Uomo.
SCHELLING
L’interesse dominante di Schelling è rivolto alla natura e all'arte e, in seguito, al
problema metafisico religioso. Situata tra il soggettivismo assoluto di Fichte e il razionalismo
assoluto di Hegel, la speculazione di Schelling ha dovuto combattere su due fronti e, accettando
lo stesso principio dell’infinità che è alla base dell'uno e dell'altro- ha dovuto garantire a
questo principio un carattere di oggettività o di realtà capace di renderlo adatto a spiegare il mondo
della natura e del Parte.
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Fasi del pensiero di Schelling
1.
1795-96 Inizi fichtiani
2.
1797-99 filosofia della natura
3.
1800 periodo dell'idealismo trascendentale
4.
1801 -04 filosofia dell’identità
5.
1804-11 periodo teosofico e della filosofia della libertà
6.
1815-54 fase della filosofia positiva e della filosofia della religione
L'ASSOLUTO COME INDIFFERENZA DI SPIRITO E NATURA. LE CRITICHE A
FICHTE
Schelling riporta l’io assoluto di Fichte alla sostanza di Spinoza: la sostanza di Spinoza è il
principio dell'infinità oggettiva, l'Io di Fichte è il principio dell'infinità soggettiva. Shelling unifica le
due infinità nel concetto di un Assoluto che non è riducibile né al soggetto né all'oggetto, perché
deve essere il fondamento di entrambi.
Ben presto egli si accorge che una pura attività soggettiva (l’io di Fichte) non potrebbe
spiegare la nascita del mondo naturale, e che un principio puramente oggettivo (la sostanza
spinoziana) non potrebbe spiegare l'origine dell'intelligenza e dello Spirito. Le potenze e le
epoche di cui parla Schelling non sono dei gradi temporalmente successivi dell'Universo,
ma dei momenti ideali attraverso cui l’io giunge progressivamente a prendere coscienza di sé e
a porsi come attività produttrice e come intelligenza che determina se stessa. Analogamente, la
natura e l'uomo non rappresentano due tempi successivi della storia del mondo, ma due momenti
ideali di un'unità originaria (l'Assoluto) che è da sempre natura e spirito.
Il rilievo dei critici e degli scienziati a Schelling è di essersi allontanato dalla metodologia
galileiano-newtoniana e di aver costruito una sorta di '"romanzo della natura".
L’IDEALISMO TRASCENDENTALE
Se è vero che la natura è un processo infinito che va dall'oggetto verso il soggetto, è
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anche vero l'opposto: che la vita dello spirito procede verso la natura. L'io percepisce il non io, sente, in qualche misura, l'oggetto della rappresentazione come qualcosa di estraneo, di
condizionante e limitante per la libertà dello spirito, ma riflettendo riconosce in esso un suo
prodotto inconsapevole, vede se stesso nell'oggetto. In Schelling non c'è più il problema di
giustificare come il pensiero possa giungere alla realtà, poiché vi è un'unica realtà, quella dello
spirito, il mondo esterno è come un libro aperto nel quale è possibile ritrovare la storia del
nostro spirito. La conoscenza deve solo descrivere come essa si manifesti e si dispieghi, nelle
diverse forme ed a vari livelli.
LA TEORIA DELL'ARTE
Inserendosi nel quadro dell'estetismo romantico Schelling ritiene che l'arte si configuri
come l'organo di rivelazione dell'Assoluto nei suoi caratteri di infinità, consapevolezza e
inconsapevolezza al tempo stesso, Infatti nella creazione estetica l'artista risulta in preda ad una
forza inconscia che lo ispira ed entusiasma, facendo sì che la sua opera si presenti come sintesi
di un momento inconscio e spontaneo (l'ispirazione) e di un momento conscio e meditato
(l'esecuzione cosciente).Inoltre il "genio" concretizza la sua vocazione formativa in forme
finite, le quali, essendo rivelazione dell’infinitezza dell’ispirazione, hanno infiniti significati,
che il poeta stesso non riesce a penetrare pienamente, e che sono suscettibili di una lettura senza
line. L'intero fenomeno dell'arte che è un produrre spirituale in modo naturale o un produrre
naturale in modo spirituale, rappresenta la miglior chiave per infondere la struttura dell'Assoluto
come sintesi differenziata di natura e spinto: "l’arte è per il filosofo quanto vi ha di più alto, poiché
essa gli apre quasi il santuario, dove in eterna ed originaria unione arde come in una fiamma quello
che nella natura e nella storia è separato". Se l’Assoluto è una sorta di poeta cosmico che genera le
cose del mondo in maniera inconsapevole e consapevole ai tempo stesso, il poeta nella prospettiva
schellinghiana si configura come colui che incarna e concretizza meglio il modo d'essere
dell'Assoluto. Nella creazione estetica si ripete il mistero stesso della creazione del mondo da
parte dell’Assoluto.
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HEGEL: LEZIONI SULLA FILOSOFIA DELLLA STORIA
La filosofia della storia non è altro che la sua considerazione pensante: e il pensiero è appunto
ciò che non possiamo omettere mai. La storia ha da comprendere schiettamente solo ciò che è, ciò che è
stato, gli eventi e i fatti. Essa è tanto più vera quanto più si attiene al dato.
Ora, si rimprovera alla filosofia di accostarsi alla storia con pensieri e di considerarla secondo
pensieri. Ma l'unico pensiero che essa porta con sé e il semplice pensiero della ragione: che la ragione
governi il mondo e che quindi anche la storia universale debba essersi svolta razionalmente.
Per Hegel la ragione è la sostanza, così come l'infinita potenza, ciò per mezzo di cui e in cui ogni
realtà sussiste; infinita potenza perché la ragione non è così impotente da giungere solo al grado
dell'idealità, del dover essere e da esistere solo al di fuori del reale, chissà dove.
Come essa è rispetto a sé l'unico proprio presupposto, per il suo fine è il fine assoluto, così
con la sua natura coincide la sua attuazione ed estrinsecazione da ciò che è in terra verso ciò che è
manifesto, non solo nell'universo materiale ma anche in quello spirituale nella storia del mondo.
La considerazione filosofica non ha altro intento che quello di eliminare l'accidentale.
Accidentalità è lo stesso che necessità esteriore, cioè necessità che risale a cause le quali non sono esse
stesse che circostanze esteriori. Dobbiamo ricercare nella storia un fine universale, il fine ultimo del
mondo, e non uno scopo particolare dello spirito soggettivo o del sentimento. Bisogna portare nella
storia la fede e il pensiero che il mondo del volere non è rimesso nelle mani del caso. Che vi sia una
ragione è una verità che presupponiamo. Sua prova è la trattazione stessa della storia: essa è
l'immagine e l'atto della ragione. Più propriamente, poi la prova sta nella conoscenza della ragione
stessa, la storia non ne è che la riprova. La storia del mondo è solo la manifestazione di questa unica ragione,
una della particolari forme in cui essa si rivela una copia dell'archetipo raffigurata in un elemento
speciale, in quello dei popoli. La ragione riposa in sé e ha in sé il suo fine; essa porta se stessa
all’esistenza e realizza il suo sviluppo. Il pensiero deve acquistare consapevolezza di questo
fine della ragione.
Ciò che provvisoriamente ho detto non è da considerare co me semplice presupposto
ma come quadro generale del tutto, come risultato della considerazione che dobbiamo imprendere,
risultato che è noto a me in quanto mi è noto il tutto. Solo dalla considerazione stessa della storia
è risultato e risulterà che tutto vi è proceduto secondo ragione, che essa è stata il corso razionale
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e necessario dello spirito del mondo la cui natura è sempre una e medesima, e che nell'esistenza del
mondo dispiega tale sua natura, il grande contenuta della storia del mondo è razionale e razionale
deve essere: una volontà divina domina poderosa nel mondo, e non è così impotente da non saperne
determinare il gran contenuto. Nostro scopo deve essere il riconoscimento di questa realtà
sostanziale; e per raggiungerlo bisogna portar con sé la coscienza della ragione: non occhi fisici, non
un intelletto finito, ma l’occhio del concetto, della ragione che penetra la superficie ed
energicamente si apre la via attraverso il molteplice e variopinto groviglio della contingenza.
Non si dirà che nella storia si introdurranno così elementi prettamente aprioristici? La filosofia
opera bensì anche a priori, in quanto presuppone l'idea. Ma questa sussiste certamente, tale è il
convincimento della ragione, il punto di vista della storia filosofica non è dunque uno fra molti
punti di vista, astrattamente prescelto in modo perché in esso si prescinda dagli altri, il suo
principio spirituale è la totalità di tutti i punti di vista. Essa esamina il principio concreto,
spirituale dei popoli e la sua storia e non si occupa di situazioni singole, ma di un pensiero
universale che permea il tutto. La storia ha innanzi a sé l'oggetto più concreto, che comprende
in sé tutti i diversi lati dell'esistenza, il suo individuo è lo spirito del mondo.
Indichiamo le categorie nelle quali si presenta universalmente al pensiero la considerazione
della storia:
1) Mutamento
il lato negativo di quest'idea del mutamento ci arreca dolore. Ciò che può deprimerci è il fatto che
la formazione più ricca, la vita più bella, trovino nella storia il loro tramonto, che noi ci aggiriamo
fra le rovine di ciò che fu eccellente.
2) a questa categoria del mutamento è connesso l'altro motivo che dalla morte sorge nuova vita.
E' questo un pensiero che hanno concepito gli orientali: forse il loro pensiero più grande e certo
il più elevato della loro metafisica, generalmente detta è l'immagine della fenice questa però,
dice Hegel conviene al corpo non allo spirito. L'idea occidentale è invece q u e l l o c he l o s pi ri t o
a p pa i a n o n s ol o ri n gi o va ni t o, i n na l z a t o c o me t r a s fi g u r a t o , i l r i n g i o v a n i re d e l l o s p i r i t o
n o n è s e m p l i c e ri t o r n o a l l a medesima forma, catarsi, rielaborazione di sé. il suo lavoro ha
l'unico risultato di aumentare di nuovo la sua attività e di consumarsi di nuovo.
3) La ricerca di uno scopo finale in sé e per sé conduce alla ragione stessa. Essa esiste nella coscienza
come fede nella ragione dominante nel mondo (Anassagora e il suo nous , l'idea cristiana di
Provvidenza). Anassagora non potè ancora applicare il suo principio universale al completo,
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conoscere questo attraverso quello. Un passo avanti fu compiuto da Socrate nel suo concetto di una
forma di pianificazione del concreto con l'universale, la quale peraltro restava ristretta
all'universalità soggettiva.
Nel caso della provvidenza divina (o l'individuo che riceva aiuto, per es.) il fine in sé resta in
natura limitata; il suo contenuto non è che la finalità particolare di un dato individuo. Nella storia
universale abbiamo invece da fare con individualità che sono Popoli e con complessi che sono S tati.
Non possiamo quindi fermarci a tale commercio (per così dire) al minuto della fede nella
provvidenza.
La fede comanda di amare Dio e di conoscerlo e nello stesso tempo l'impossibilità a conoscerlo
[...] Hegel rileva una contraddizione perché è proprio lo spirito che guida alla verità , che conosce
tutte le cose che penetra anche la profondità del divino, si può sentire spesso tacciare di
presunzione il desiderio di conoscere il piano della provvidenza, in ciò il portato dell'idea,
ormai quasi universalmente passata in assioma che non si possa conoscere Dio. E se è la teologia
stessa che è giunta a disperare così, è necessario rifugiarsi proprio nella filosofia quando si
voglia conoscere Dio, certo viene imputato alla superbia della ragione il voler sapere qualcosa
in proposito. Ma piuttosto si deve dire che la vera umiltà consiste appunto nel riconoscere il
dio in tutto, nel tributargli onore ovunque e principalmente nel teatro della storia universale.
Critica del sentimento dell'esistenza di Dio.
Quando non c'è che la forma indeterminata del sentimento e non esiste scienza di
dio e del suo contenuto, non resta altro che il mio gusto: quel che vale e domina è il finito. Ora
che cos'è il piano della provvidenza nella storia? È venuto il tempo di riconoscerlo?
L'eccellenza della religione cristiana -> in cui è divenuto manifesto quel che sia la natura di
Dio. i cristiani sono così iniziati ai misteri di Dio e in tal modo ci è data anche la chiave per
intendere la storia del mondo.
Sapere significa avere alcunché come oggetto innanzi alla propria coscienza ed esserne certi,
e precisamente la stessa cosa è anche la fede. La differenza è solo nel fatto che il conoscere vede
insieme le ragioni, la necessità del suo contenuto e quindi anche quello della fede, prescindendo
da un lato dall'autorità della chiesa, che è qualcosa di immediato, e sviluppando dall'altro quel
contenuto nelle sue ulteriori determinazioni. La natura della realtà spirituale è quella di non
essere qualcosa di astratto, bensì una realtà vivente, un individuo universale, soggettivo. Perciò la
natura di Dio è veramente conosciuta solo quando si conoscono le sue determinazioni.
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In questo senso la nostra considerazione è una teodicea, una giustificazione di Dio, quale
Leibniz ha tentato a modo suo metafisicamente, in categorie indeterminate e astratte. La
giustificazione mira a rendere intelligibile il male di fronte all'assoluta potenza della ragione,
il problema è quello della categoria del negativo e ci fa vedere come nella storia del mondo
anche le cose più nobili e belle vengano sacrificate sul suo altare. Questo elemento negativo viene
rigettato dalla ragione pensante, che vuole in sua vece un fine positivo.
G.F. Hegel, Introduzione alla storia della filosofiaL’attualità di questo testo, che è un classico, può essere espressa dalla frase di Hegel: "Ciò che
è formato diventa sempre nuovamente materia", ovvero, "gli eventi della storia della filosofìa sono
dotati di una particolare forza produttiva".
I testi che essa ci presenta sono i mattoni con cui vanno edificati le prossime tappe di quella
storia. Del passato la filosofia costituisce il "non perduto", in quanto è ciò di cui si nutre il pensiero
del presente. La storia della filosofia interessa a Hegel soltanto in quanto è una rivisitazione di teorie
e problemi.
Nella Prefazione alla Filosofia del diritto Hegel polemizza contro chi sostiene che le opinioni
sono di ostacolo alla sicurezza della conoscenza: "quelli che sollevano queste difficoltà sono come
coloro che sostengono di non poter vedere il bosco per colpa degli alberi". Così come senza gli alberi
non potrebbe neppure esistere il bosco, altrettanto senza le opinioni non potrebbe esistere conoscenza.
Per Hegel, in realtà, non esistono opinioni filosofiche, perché ogni idea filosofica implica
insieme una teoria su che cosa dev'essere la filosofia e una tale teoria presuppone necessariamente
che già siano esistite altre filosofie, ciascuna con la propria teoria intorno a se stessa. Ne risulta il flusso
di un pensiero che si svolge a "puntate", nel quale non c'è spazio per l’accidentalità di opinioni sorte a
caso.
Come il Faust di Goethe percorre tutte le più disparate esperienze di vita per poter alfine dare
l'anima al diavolo allorché sarà costretto a dire "Fermati, attimo, sei così bello!", altrettanto per
Hegel accade della storia della filosofia "Fermati, pensiero, questa filosofia è la vera!".
Per Hegel "la filosofia comincia al tramonto di un mondo reale: quando essa si presenta, con le
sue astrazioni, dipingendo tutto a tinte gravi, la freschezza e vivacità della gioventù è ormai tramontata".
Che idea aveva Hegel della sua filosofia? La sua sarebbe stata superata? Spesso egli lascia
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intendere di essere contrario all'idea di un'infinita perfettibilità della storia "Ma la perfettibilità è in sé
tanto indeterminata quanto la mutabilità in genere: è senza fine e scopo, giacché quel meglio e quel più
perfetto verso cui dovrebbe tendere è totalmente indeterminato".
Per indicare il procedere del pensiero nella storia Hegel si serve della metafora della talpa. Il
pensiero procede in gran parte nascostamente e tuttavia è capace di determinare sotterraneamente quel
che avviene nel mondo della vita pubblica.
Nella Filosofia del diritto Hegel afferma: "La filosofia è il proprio tempo appreso col pensiero.
E' altrettanto folle pensare che una qualche filosofia vada oltre il mondo attuale, quanto che ogni
individuo si lasci indietro il suo tempo". Perciò non ha senso parlare di una grande influenza di una
filosofia, sulla sua epoca, o viceversa di un'epoca sulla filosofia ad essa contemporanea. Sarebbe
come parlare dell'influsso della personalità di un uomo su di lui stesso o viceversa dell'influsso
di un uomo sulla sua personalità: sono due aspetti della stessa entità, e l’uno è inseparabile senza
l'altro.
Tesi fondamentale: "Se si spogliano i concetti fondamentali dei sistemi che apparvero nella
storia della filosofia di tutto ciò che riguarda la loro funzione, la loro applicazione al particolare, si
ottengono i diversi gradi della determinazione dell'Idea nel suo concetto logico". Il suo presupposto è
che lo scopo della filosofia è la ricerca della verità; la verità è una sola anche se le filosofie sono
molte e fra loro diverse. Hegel concepisce la verità come una realtà in divenire. La conoscenza
non è un acquisto additivo di nozioni vere, ma il raggiungimento progressivo di una visione globale
che le racchiude tutte.
La proposta geniale di Hegel è quella di intendere il succedersi della storia della filosofia
come sviluppo finalizzato che rende via attuali le potenzialità precedenti. La concezione di Hegel
della storia della filosofia è una concezione "figurativa".
Per Hegel l'aspetto divino che opera nella storia è dato dal modo in cui quella sorta di
divinità laica che è l'Idea razionale prende forma nelle progressive realizzazioni dell'umanità.
A tale realtà storica Hegel da il nome di spirito. Per Hegel il vero Dio è la ragione filosofica, per cui
se v'è un aspetto religioso del suo storicismo, esso può esser visto soltanto in una realizzazione del
biblico "eritis sicut Deus". Ma è una realizzazione del tutto laica, razionale e quindi
sostanzialmente, irreligiosa.
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