SABATO 16 LUGLIO 2011 ggi Le idee LA SICILIA .29 L’INTERVISTA Per alcuni è il maggiore architetto vivente. Grande e complesso, eppure misurato e semplice A SALEMI. Nel 1982 Siza lavorò LE OPERE con Collovà al recupero e al riuso di spazi devastati dal terremoto del Belice «BONJOUR TRISTESSE». E’ la scritta sopra l’«occhio» nella facciata curva dell’edificio di Berlino, il primo lavoro di Siza fuori dal suo Portogallo Álvaro Siza il mostro sacro e la sua paura «Ho avuto dubbi terribili per il progetto dell’edificio di ricezione dell’Alhambra» CARLO ANASTASIO Á lvaro Siza è un architetto anche «banale»: nel senso che intende lui stesso, cioè «disponibile alla continuità». Perché una sedia, quando la disegna, deve innanzitutto sembrare una sedia, e una casa dev’essere innanzitutto una casa, senza pretese preventive di originalità. Ma Siza è innanzitutto Siza, per alcuni il maggiore architetto vivente. Anzi architetto cosmico, azzarda una studentessa, e lui: «Cosmico no, non ho costruito sulla Luna e su Marte». Insomma un mostro sacro suo malgrado, eccezionalmente grande e complesso, eppure straordinariamente misurato e semplice. Capace – dice lo storico dell’architettura Francesco Dal Co – di mettere in risalto nei luoghi ciò che sta dietro l’apparenza, ciò che l’evidenza del genius loci maschera e nasconde. «Muratore di opera grave», lo ha definito Fernando Távora, suo maestro degli esordi, utilizzando un’espressione del Seicento: grave per il peso dei materiali da costruzione e per la ponderatezza della riflessione, per la complessiva forza di gravità che tiene l’uomo in verticale facendone – secondo Aristotele – l’unico animale il cui asse incontra il centro della Terra. E il «grave, potente e portoghese» Álvaro Siza fa di Enna e dell’università Kore il centro del mondo dell’architettura, per due giorni, con la sua lectio magistralis e con l’inaugurazione della mostra a lui dedicata. Professore, circa trent’anni fa lei ha lavorato con Roberto Collovà qui in Sicilia, a Salemi, per il recupero della Chiesa Madre e la sistemazione della piazza antistante. Cosa ricorda di quell’esperienza? «La prima cosa a cui penso è la meraviglia per la bellezza di alcuni posti della Sicilia. Palermo è una città bellissima. Sono venuto diverse volte, per questo lavoro. E abbiamo preparato anche altri progetti: per l’Olimpiade dell’università, che però poi non si è fatta. Il lavoro di Salemi è cominciato con un workshop, è stato un mese molto intenso, di entusiasmo. Anche Salemi è una città bellissima. Ho avuto la possibilità di conoscere quei luoghi che erano stati devastati (dal terremoto del Belice, ndr). Un periodo molto interessante». Ora si spera di coinvolgerla nella sistemazione del museo di Aidone, per dare una cornice più importante alla Dea di Morgantina. «Me ne ha accennato il rettore Andò…». Lei ha detto che nell’architettura la impressiona molto lo spreco, il cattivo uso, che si fa della luce. «Mi impressiona principalmente il buon uso che se ne fa». E ha anche indicato l’Alhambra di Granada come grande esempio di un complesso in cui invece la luce è particolarmente ben modulata e animata. «Là è fantastico, ci sono tutte le variazioni dalla luce piena alla penombra: patio in piena luce, poi stanze con una luce più dolce, e altre con luce tenue fi- Da Porto al mondo Álvaro Joaquim Melo Siza Vieira è nato il 25 giugno 1933 a Matosinhos (Porto) in Portogallo. Dopo aver frequentato la Scuola di belle arti di Porto (19491955), si iscrive alla Facoltà di architettura nella stessa città, dove, conseguita la laurea, intraprende l’attività di insegnante. Lavora per un breve periodo con Fernando Távora (19551958) e, alla fine degli anni Cinquanta, apre il suo studio professionale a Porto. Ha insegnato in diverse università: negli Stati Uniti, in Svizzera e in Sud America. Ha partecipato, dalla fine degli anni Settanta, ad alcuni importanti concorsi internazionali e ha collaborato con l’Iba a Berlino. Ha realizzato moltissime opere prestigiose, in tutto il mondo, tra le quali il Padiglione portoghese dell’Expo di Lisbona ’98, il Museo d’Arte Contemporanea di Santiago di Compostela, il Museo di Porto Alegre. Ha ricevuto importanti riconoscimenti e premi internazionali, tra i quali il premio Mies van der Rohe, la medaglia d’oro della Fondazione Alvar Aalto, l’Arold W. Brunner Memorial Prize, il Pritzker Prize, il Praemium Imperiale. Molte università, fra cui quella di Palermo, gli hanno attribuito lauree ad honorem. no alla penombra. Sono ambienti preparati per usi diversi, per il riposo, per la vita sociale...». Adesso ha progettato l’edificio di ricezione dell’Alhambra: ha seguito la stessa gestione della luce? «Per quanto ho saputo farlo. Comunque l’edificio ha una funzione ben distinta, è destinato a ricevere le migliaia di visitatori che arrivano ogni giorno. E’ molto vicino all’accesso, alla torre d’accesso. Ha una comunicazione visuale. Pertanto è un progetto molto interessante e anche molto rischioso: è un rischio realizzare qualcosa vicino a una meraviglia come l’Alhambra». Ma lei è ormai da tempo una stella celebratissima dell’architettura, e nonostante questo avverte ancora il rischio di sbagliare il progetto? «All’inizio dell’impegno per l’Alhambra i giornalisti mi hanno chiesto cosa avrei fatto, e io ho risposto solo: è molto difficile. Poi è cominciato il lavoro di analisi: del paesaggio, della topografia… Avevo terribili dubbi, angoscianti». Si dice che lei abbia un approccio sempre molto «modesto», sommesso, inizialmente, al tema del progetto. «Non è propriamente modestia. E’ paura, in certi casi. Per questo edificio, ad esempio, sento una responsabilità enorme». Nei suoi lavori ci sono influenze di geni dell’architettura moderna come Alvar Aalto, Frank Lloyd Wright, Adolf Loos. A un giovane architetto, consiglierebbe di copiare, di «rubare» qualcosa dai grandi, magari proprio da Siza? «Non si tratta di rubare. Il nostro mestiere deve essere sempre basato sulla conoscenza della storia dell’architettura, di tutto il patrimonio che esiste, una conoscenza che serve ad appoggiare in continuità il lavoro dell’architetto. Quando cominciai a studiare io c’erano due o tre punti di riferimento. Poi se n’è aggiunto un altro, e un altro ancora, e un altro... Sono tantissimi. E anche nell’architettura vernacolare, nell’archi- “ IL «LENZUOLO». Il Padiglione del Portogallo all’Expo di Lisbona 1998 è costituito da due parti principali: il padiglione espositivo vero e proprio e l’ampia piazza (65x50 metri) per manifestazioni pubbliche, coperta da un «lenzuolo» di calcestruzzo sottilissimo tettura storica, scopri tante altre cose. E’ un’immensa ricchezza. Ma non si può parlare di copia, perché è come un magazzino di soluzioni che aiuta il nostro lavoro. Pertanto qualche volta uno scopre più tardi, spesso su indicazione di altre persone, che in un certo lavoro è stato influenzato da un certo architetto, in maniera inconsapevole. Là non si tratta di una copia, se è una copia è condannata a fallire: la copia viene sempre meno bene dell’originale. Quando ero studente c’erano poche riviste di architettura. Oggi l’informazione è immediata, difficile da assimilare completamente perché è come un bombardamento, ma ad ogni modo è un vantaggio». Lei sostiene che la sua architettura non segue un linguaggio prestabilito e non stabilisce un linguaggio. Perché? «E’ così diverso lavorare in Sicilia, o in Francia, o in Portogallo. Non si può applicare a priori un linguaggio. E quello che faccio io, per la stessa ragione, non stabilisce un linguaggio universale». Ma esiste ugualmente uno stile Siza? «Esiste se alcune cose si riconoscono come migliori di quella fatte da altri architetti. Non per un uso di elementi ripetuti, ma probabilmente per quello che è visibile, finalmente chiaro, nell’approccio che ho avuto al tema, all’architettura. Però non è un problema di stile». Di metodo allora? «Sì. Anche di metodo». Alcune sue opere, per esempio le famose Piscine delle maree a Leça da Palmeira, hanno un rapporto molto stretto con l’ambiente naturale. Le linee geometriche del manufatto, regolari, sono a contatto diretto con l’irregolarità della costa, delle rocce. In questi casi lei cerca l’integrazione tra naturale e artificiale oppure cerca di sottolineare i contrasti, i conflitti? «Tento di scoprire quali sono i punti giusti di contatto, punti essenziali, dove il costruito incontra il naturale, in questo caso. Ma non in molti posti si può fare questo tipo di lavoro. La costa sul mare è un posto privilegiato, perché il mare è una cosa che nessuno riesce a trasformare. Il mare resiste a tutto, non E’ stato un periodo di entusiasmo quello del mio lavoro in Sicilia. Non vorrei che le mie opere non invecchiassero: il tempo è un grande architetto, un grande critico, dice quello che non va bene. Ho il bisogno e il piacere di progettare su diversi temi, nella grande scala ma anche nella piccola è come il paesaggio, il paesaggio in periferia, dove tanti elementi possono col tempo creare un ambiente in cui è molto difficile trovare un ordine». Lei ha scritto, un po’ per divertimento, che ha una sorta di timore del funzionamento delle case, perché le case bisogna sempre ripararle: tubi che si rompono, piastrelle che si staccano, guaine d’impermeabilizzazione che cedono… «Quello è un pezzo che ho scritto in un momento in cui, dopo un incidente, sono stato ospitato in casa di amici. E osservavo come era faticoso il lavoro da fare per mantenere la casa funzionante. Veramente tremendo». Ma a parte i guasti del tempo nelle case, cosa pensa invece dei segni del tempo sulle sue opere? Preferirebbe che non invecchiassero mai? «Il tempo è un grande architetto, un grande critico. Quello che non va bene, il tempo lo dice». E lei col tempo ha trovato errori nelle sue opere? «E’ chiaro, tutti ne fanno». C’è qualcosa che cambierebbe? «No, perché è stato quel momento, e non si ripetono i momenti. Il lavoro dell’architetto d’altra parte dipende da tante cose, da tanta gente. L’elemento principale è il proprietario, il committente. Se il committente vuole la qualità, si lavora molto meglio. Se non è interessato alla qualità, ma vuole solo che si faccia presto, allora è più difficile. Poi c’è la capacità del costruttore, e il fatto che abbia un’équipe per i controlli ben organizzata oppure confusa. Il nostro lavoro ha molti condizionamenti. E anche il progetto, prima della realizzazione, è il risultato di un dialogo con i diversi interessi che non sempre coincidono, è una lunga avventura». La sua carriera professionale da un certo momento si è sviluppata parallelamente alla democrazia e all’economia del Portogallo dopo la dittatura. E lei ha anche lavorato nel suo Paese per programmi di edilizia popolare. C’è un legame tra queste due crescite, la sua e quella del Portogallo? «E’ stata una grande trasformazione per tutti. E in quei lavori ho fatto l’esperienza del dialogo non con singole persone ma con comunità che discutevano i progetti. In fondo, c’era il senso della discussione sulla città, sul vivere nelle città». Nel suo modo di progettare c’è qualcosa di prettamente portoghese? Oppure la sua architettura non è portoghese come quella di Aalto – diceva lui stesso – non è finlandese? «Posso dire lo stesso, perché quando lavoro fuori dal Portogallo tutta l’attenzione è nel contatto con un altra cultura. E anche quando lavoro in Portogallo, sebbene sia un piccolo Paese, ci sono molte differenze tra una zona e l’altra, e non può esserci un’architettura unica. Quella era l’ambizione del regime precedente». Lei ha progettato di tutto. Ma c’è qualche tema che ancora le manca, che vorrebbe affrontare? «Ho il bisogno e il piacere di lavorare in diversi temi, nella scala dei grandi edifici ma anche nella piccola scala, perché tutto questo esiste in complementarità nelle città. Noi dobbiamo avere l’esperienza di costruire in diverse scale e in diverse espressioni per capire, quando si sviluppa un certo tema, quello che c’è intorno, per trovare le continuità di incontro o anche di opposizione. Nella formazione dell’architetto questo è essenziale». LECTIO MAGISTRALIS E MOSTRA In 2.500 da tutt’Italia alla Kore di Enna per il maestro ENNA. Tifo da stadio e università Kore blindata per accogliere l’archistar Álvaro Siza Vieira, il più grande architetto del mondo, il «maestro», l’uomo dalla linee forti ed armoniche, che ha richiamato ad Enna più di 2.500 tra professori, studenti ed appassionati di architettura di tutta Italia. Ieri mattina, già quasi all’alba, tanti giovani studenti, poi docenti provenienti dalle università di Venezia, Roma, dal Politecnico di Milano, da Firenze, Napoli, oltre che da Catania e Palermo. Proprio la presenza di docenti e studenti provenienti da tutta Italia ha portato il vertice della Kore ad allestire diverse aule per ascoltare la «lectio magistralis», mentre per la presentazione della mostra degli studi dell’architetto portoghese e per un incontro con gli studenti è stata scelta la tribuna dell’autodromo, dove questa mattina, con inizio alle 10, ci sarà questo «nuovo contatto». Da parte di tutti la presenza di Alvaro Siza ad Enna viene considerato un avvenimento culturale straordinario, da lui stesso importante "perché volevo conoscere questa parte della Sicilia, ricca di storia, di accumulo di civiltà, vorrei conoscere Noto ed tanti altri siti che possono dare risposte ben precise sulla loro storia». Ad introdurre l’illustre ospite il rettore Salvo Andò, il preside della facoltà di Ingegneria Giovanni Teroriere e Maurizio Oddo, presidente del corso di laurea in Architettura, che è stato l’autore dell’invito all’architetto portoghese, poi la parola al professor Francesco Dal Co, direttore di «Casabella» che ha parlato della genialità di questo personaggio, ritenuto da molti il più grande architetto del mondo, che ha iniziato la sua attività ristrutturando la cucina della nonna .«Quello di Alvaro Siza - ha dichiarato Francesco Dal Co - è un messaggio aperto per i giovani studenti; il suo è un messaggio importante per la loro carriera, non certo per copiarlo, ma per essere stimolati nella loro crescita. L’architettura di Alvaro Siza è un’architettura felice, che si traduce nell’essenzialità delle linee, in questo lui è veramente un maestro». La «lectio magistralis» è stata improntata tutta sul progetto per la struttura di ricezione dell’Alhambra di Granada, attraverso la visione di diapositiva e le spiegazioni di Siza su quello che è stato fatto e dovrà essere fatto con qualche battuta simpatica che ha scatenato l’applauso della platea. La sua è stata una lezione semplice, efficace per gli addetti ai lavori, a volte ironica, ma non c’è dubbio che tutti si sono trovati davanti ad un grande dell’architettura. Stamani appuntamento tra Siza e gli studenti in una location insolita, l’autodromo di Pergusa. FLAVIO GUZZONE