52 — cantiere regia
Sulla messinscena
di «Orfeo»
fatta da Bob Wilson
alla Scala
corpi raggelati, «disegnati», inerti dei personaggi, scolpiti in una gestualità innaturale e spigolosa, a tutta prima sembrano dire il contrario, che quel che conta è il simbolo, l’idea che sovrasta il sentimento.
Ma poi, a riveder quelle immagini, a «sentirle» nel flusso d’emozione della musica monteverdiana, si vede come la geografia di quei gesti, il loro essere parte di una galleria di quadri viventi dica di volta in
volta la gioia, la felicità, lo sgomento, la paura, l’ansia, la desolazione,
la consolazione. Dica cioè esattamente gli stessi «affetti» che avevano dato vita alla stupenda partitura del «divino Claudio». Nella quadi Enrico Girardi
le i moti dell’anima non generano azione né narrazione ma appunto contemplazione. Nella quale la musica è oggetto, anziché strumento, della contemplazione stessa.
l sipario si apre su un giardino rinascimentaNei teatri d’opera, soprattutto in quelli italiale all’italiana, citazione esplicita del «quaIl «Cantiere Regia», che ha accolto nel
ni dove il maggior peso della tradizione pone
dro-sfondo» della Venere con Eros e organista
nostro ventottesimo numero una cinquantina di
più freni alla libera sperimentazione, la didi Tiziano, quella tela in cui l’organista fissa il
interventi su questo spinoso e attualissimo tema, era
scussione sulla filosofia della messinscena
sesso di Venere distratta da Eros, mentre le
stato introdotto a marzo da una riflessione di Sandro
è molto attuale. Si discute di regie moderne
canne dell’organo si proiettano nell’infilaCappelletto sull’Aida allestita da Robert Wilson per
e di regie tradizionali, di progresso e conta di cipressi del quadro. Una scelta scenografica tanto netta, esplicita, come questa l’Opera di Roma (cfr. VMeD 27, p. 19). Al grande artista servazione, di teatri aperti o di teatri mutexano torniamo ora con un altro importante contributo,
seo. È abbastanza inevitabile, anche perdi Robert Wilson per L’Orfeo di Monteverfirmato da Enrico Girardi, che ci illustra il lavoro registico
ché nei periodi di crisi – e quella dei teatri
di alla Scala, dice che lo spettacolo, prima
sull’Orfeo di Monteverdi, andato in scena alla Scala
d’opera
in questi ultimi anni è reale – è da irancora che il mito in quanto tale, intende
in settembre. A seguire, Daniele Abbado, uno dei
responsabili
farsi promotori di politiche rasottolineare la percezione che se ne poteva
protagonisti del teatro musicale italiano, narra
dicali scontentando, a seconda dei casi, abboavere in una corte rinascimentale come queluna sua incursione nella prosa con Cyrano,
nati, esperti, giovani ascoltatori e qualunque alla di Mantova al principio del Seicento. Non i
accompagnato in quest’impresa da un
tra categoria di pubblico. Ma quel che più latita,
perché e i per come di quel racconto – il privilemostro sacro come Massimo
nella discussione tra un modello e l’altro, è la considegio della discesa nell’Averno, il divieto, l’infrazione,
Popolizio.
razione se l’idea sia effettivamente il riflesso di uno stula punizione e/o il perdono – quindi, ma gli stati d’animo
dio sulla drammaturgia (ovvero il rapporto tra una forma dramche esso poteva suscitare (e dunque ancora suscita). Poca filosomatica e il suo contenuto musicale) dell’opera che si mette in scena.
fia, molta psicologia. E la natura (il giardino, ma anche gli anima-
cantiere regia
I
li che lo attraversano) che vive/partecipa/riflette quei moti. Gli atti
«infernali» perciò eccoli rappresentati dietro, davanti o attorno a un
muro che determina uno spazio di confinamento, di isolamento, di
privazione appunto di quei moti. Cioè ancora psicologia, nulla che
dica che luogo, veramente, quello sia, o come sia giusto chiamarlo.
La premessa è d’obbligo per intendere l’ultima fatica registica (anche scenografica, architettonica, coreografica) di Robert Wilson. I
L’Orfeo di Wilson alla Scala, sia piaciuto tanto o poco, lo è stato.
Se Poppea avrà un impianto scenico simile a questo, si dirà probabilmente che no. Poi, una volta stabilita la maggiore o minore legittimità di una messinscena, si può dire della sua realizzazione. E a proposito di realizzazione, si ricorderà questa di Orfeo come impeccabile. ◼
Sotto: L’Orfeo di Monteverdi secondo Robert Wilson,
Teatro alla Scala, 2009 (foto di Lelli & Masotti, Archivio fotografico del Teatro alla Scala).
cantiere regia — 53
«Cyrano de Bergerac»
secondo Daniele Abbado
Il lavoro del regista
dal teatro di musica a quello di parola
I
nterpretato da Massimo Popolizio, arriva al Rossetti di Trieste in dicembre il Cyrano de Bergerac di Daniele Abbado. Abbiamo incontrato il regista, che ci ha illustrato, fra le altre cose, le differenze del suo lavoro dal teatro di musica
a quello di parola.
cantiere regia
Sarebbe un discorso davvero lungo, che avrebbe bisogno di molto tempo per essere sviscerato a
fondo. Cercherò di fare una sorta di sintesi, dicendo
che se una differenza c’è, tra la regia musicale e quella di prosa, si tratta di qualcosa che non va tanto a interessare la sfera linguistica, quanto piuttosto quella tecnica. Dal punto di vista linguistico, infatti, credo
che il tema sia sempre quello della
comunicazione, della chiarezza e
quindi della semplificazione narrativa e degli strumenti. Dal punto di vista tecnico, invece, le cose prendono una piega differente: sia l’attore che il cantante, infatti, hanno delle
ecco allora che nei recitativi lo sforzo sarà quello di nascondere, di
non far sentire il canto, così come voleva lo stesso Mozart, per trovare invece una naturalezza vicina al parlato; invece se il cantante ha
«fra le mani» un’opera di Verdi o di Wagner, ecco che allora si dovrà
realizzare un altro tipo di sistesi espressiva, nella quale, come diceva
Verdi, quel che conta di più è il gesto sonoro, che diventa quello del
personaggio: una sintesi di musica, di suono e di drammaturgia. Quindi in questo caso siamo agli antipodi
rispetto alla concretezza del lavoro di un attore, che
non disgiunge la fisicità globale del corpo dall’emissione della voce.
Che idea registica ha sviluppato in questo lavoro e chi è il
suo Cyrano?
Dal punto di vista linguistico, con Massimo
Popolizio abbiamo accettato la sfida del verso:
si tratta quindi di un teatro dove le parole sono
al centro di tutto. Abbiamo lavorato molto sulla
traduzione di Mario Giobbe, cercandone una
nostra edizione che, pur mantenendo
invariato il doppio settenario, avvicinasse linguaggio e parole alla sensibilità di oggi e non rimanesse chiusa nelle sacche del
passato di un linguaggio primo-Novecento. Il Cyrano
che abbiamo messo in scena è un acrobata della parola e del pensiero più che
non della spada e del pennacchio. Abbiamo tolto
tutto quello che c’è di eroico per arrivare invece a una commedia di
pensiero, a una commedia morale. Cyrano non ha una spada con sé,
ma ha un bastone. Di spada in scena ce n’è una sola, il minimo indispensabile, giusto per il duello del primo atto.
Le scene sono di Graziano Gregori e, oltre a Popolizio, sul palco ci sono molti altri interpreti.
Trovo che il lavoro di Gregori esprima molto bene il tipo di pensiero cui facevo riferimento poc’anzi: si tratta di una scena fissa,
molto sintetica e astratta al tempo stesso.
Sul palco, è vero, ci sono ben sedici attori, tutti molto bene intonati fra loro nella recitazione del verso, cosa che in Italia credo sia inusuale poter sentire. E d’altra parte questa è la modernità della sfida:
il verso è nemico di un teatro genericamente naturalistico, nessuno quasi lo sa più recitare né lo recita più; il verso è già di per sé sintesi di stati d’animo, di pensieri e va aperto per far risultare l’articolazione di senso e delle parole, richiedendo inoltre una notevole musicalità nell’esecuzione. Questo è il tipo di lavoro che ci interessava
fare: il verso è Cyrano, il personaggio è tutto chiuso nell’invenzione
continua di parole, di pensieri e di loro spostamenti. Ne parla molto beTrieste – Politeama Rossetti
ne Italo Calvino nella prima delle sue
1, 3, 4, 5 dicembre, ore 20.30
Lezioni Americane, quella sulla «Leg2, 6 dicembre, ore 16.00
gerezza», che parla del Cyrano de BerCyrano de Bergerac
di Edmond Rostand
gerac originale, quello del 1600, della
scene Graziano Gregori
sua forza poetica e di come diventi il
costumi Graziano Gregori, Carla Teti
primo poeta in epoca moderna, che
regia Daniele Abbado
produzione Teatro di Roma
ha un sentimento cosmico tutto porinterpreti Massimo Popolizio e con Stefano Alessandroni, Roberto Baldassari,
tato verso la leggerezza, verso l’evaLuca Bastianello, Giovanni Battaglia, Luca Campanella, Dario Cantarelli,
dere le leggi gravitazionali, sfondare
Simone Ciampi, Andrea Gherpelli, Marco Maccieri, Elisabetta Piccolomini,
Mauro Santopietro, Gabriella Riva, Carlotta Viscovo
l’azzurro e viaggiare sulla luna. (i.p.) ◼
esigenze espressive ben precise. Se è dunque vero che è
possibile ravvisare dei punti di contatto, è vero anche
che poi il modo di lavorare è diverso: sicuramente
più concreto quello dell’attore, diversamente concreto
quello del cantante, per il quale ci sono grossissime differenze di realizzazione sonora a seconda del repertorio che viene portato
in scena. Se ad esempio si sta lavorando a un’opera di Mozart,
Cyrano de Bergerac
(foto di Serafino Amato)