CAPITOLO PRIMO L’evoluzione storica dell’architettura industriale Durante i secoli precedenti alla ‘Prima Rivoluzione Industriale’1, caratterizzata da un grande cambiamento epocale segnato dall’invenzione della macchina a vapore e dall’introduzione di nuove fonti di energia e di nuovi metodi di produzione dei beni, l’economia dell’Italia era basata prevalentemente sull’agricoltura e sull’artigianato; in particolare, il territorio italiano appariva costellato da piccoli laboratori artigianali che si trovavano nei borghi e nelle campagne, posizionati, di solito, in corrispondenza di corsi d’acqua. Questa esigenza costituiva un vincolo non da poco poiché l’acqua, insieme al vento e alla forza animale, l’unica fonte rappresentava di energia utilizzabile dall’uomo, e ciò non permetteva ai laboratori artigianali di essere posizionati liberamente, magari là dove le infrastrutture rendevano più facile il trasporto del prodotto finito. Inoltre va sottolineato il fatto che Suggestiva veduta di un mulino l’economia artigianale si strutturava su una produzione manifatturiera fortemente condizionata dalla ‘richiesta’ di un numero definito di pezzi e dal ‘tempo’ in cui si voleva utilizzarli. Entrando nello specifico di ciò che ci interessa, dal punto di vista architettonico va rilevato che era l’attività artigianale a plasmare la forma dell’involucro edilizio, in altre parole, che era 1 Si registrò prima in Inghilterra tra il 1760 e il 1830 e poi, più tardi, in Europa e in Italia. 1 il ‘contenuto’ che stabiliva la forma del ‘contenitore’, permettendo di capire subito qual era l’attività insediata in un edificio. Nell’analisi degli edifici artigianali preindustriali che indussero gli studiosi delle forme architettoniche ad interessarsi di tali strutture, si deve prendere in considerazione anche il fatto che essi spesso proiettavano all’esterno dell’involucro edilizio parti di macchinari che servivano al funzionamento degli stessi, come nel caso dei «prototipi della fabbrica moderna2», i mulini e i magli che presentavano ruote idrauliche e canalizzazioni poste sulle facciate degli edifici. Anche il criterio con cui gli edifici artigianali venivano inseriti nel contesto urbano dei borghi non può essere ignorato: infatti essi erano costruiti con materiali e tecniche che ne riducevano l’impatto ambientale consentendone un inserimento assennato nel tessuto urbano. La scelta corretta dei materiali li rendeva anche capaci di durare nel tempo e ne faceva degli elementi architettonici unici all’interno del contesto in cui sorgevano. I materiali utilizzati erano, in genere, il legno, la pietra, i laterizi, quasi sempre Il maglio per la lavorazione di utensili in ferro provenienti dalle realtà locali, tipici delle diverse zone del territorio nazionale. Si può, quindi, asserire che ogni edificio avesse una sua ‘carta d’identità’ che serviva a distinguerlo e a caratterizzarlo all’interno della morfologia del contesto in cui sorgeva, dove spesso rappresentava un elemento portatore di innovazione e di sviluppo. Con la Rivoluzione industriale le nuove tipologie architettoniche confermano l’esistenza di un rapporto tra loro e le nuove tecnologie industriali, che spesso offrono l’occasione di sperimentare metodi di costruzione innovativi da impiegare non solo nell’edilizia dell’industria, ma anche in quella civile. 2 ANTONELLO NEGRI, Archeologia Industriale. Indagini sul territorio in Lombardia e Veneto, Milano, Unicopli, 1989, p. 16. 2 Si richiedono, infatti, ambienti sempre più vasti, privi di ingombranti strutture portanti, che ridurrebbero la flessibilità dell’interno degli edifici. Lo studioso Raffaele Raja3 sottolinea che frutto di questa evoluzione dell’industria è la nascita della nuova figura professionale dell’architetto molto simile a quella odierna, che, grazie ai progressi compiuti dalla geometria descrittiva4, poteva ormai rappresentare graficamente, in maniera precisa e verificabile, la costruzione che si voleva realizzare. Il sapere empirico veniva sostituito dalla scienza esatta5. Si deve comunque precisare che ai primi del Novecento l’architetto esauriva in senso estetico il suo intervento sul contenitore, dando dignità artistica ad una costruzione che rispondeva a criteri essenzialmente suggeriti dalla produttività. Oggi, poi, per esigenze dettate dai costi di costruzione, la figura dell’architetto, nell’ambito dell’edilizia industriale, ha subito una sorta di emarginazione, con la conseguenza di un appiattimento volgare dei ‘contenitori’ che si servono quasi solo di tecnologie costruttive standardizzate, seriali, prefabbricate, magari del tutto estranee all’ambiente6. Va dunque detto, a mio avviso, che si potrebbe mettere in atto un processo che vada controcorrente, poiché non sempre una progettazione architettonica comporta costi talmente elevati da rendersi insostenibile. Altra cosa che si può notare oggi è che la progettazione architettonica dell’industria diventa quasi solo progettazione del messaggio pubblicitario, poiché in essa predomina il logo della ditta posizionato su prospetti spogli di qualsiasi elemento caratterizzante. In ambito storico, mi sembra opportuno precisare che il linguaggio architettonico specifico dell’industria emerge abbastanza tardi e non può essere individuato prima della fine del secolo XIX. 3 RAFFAELE RAJA, Architettura industriale. Storia, significato e progetto, Bari, Ed. Dedalo, 1983, p. 5. «L’alfa e l’omega dell’evoluzione tecnologica nell’architettura industriale […] sono la filanda Philip & Lee con struttura in acciaio (colonne di ghisa e travi a doppio T) a sette piani, costruita a Salford, Manchester (GB) nel 1801 dalla fonderia Boulton & Watt; e dall’altro la cartiera Burgo, a Mantova, progettata e costruita nel 1961 da Pier Nuigi Nervi, con struttura sospesa e tiranti, in cui l’acciaio e il calcestruzzo raggiungono limiti ottimali di utilizzo». 4 LEONARDO BENEVOLO, Storia dell’architettura moderna, Bari, Laterza, 1992, p. 18. «Le regole della geometria descrittiva sono formulate da Gaspard Monge (1746-1818)». 5 GAIAMPIERO ALOI, Architetture industriali contemporanee, Seconda serie, Milano, U. Hoepli, 1966, p. VII. 6 In Italia predomina questo atteggiamento di annichilimento della funzione svolta dagli architetti. Sul nostro territorio sono, infatti, rari gli esempi di integrazione tra architettura e esigenze dettate dall’industria. 3 A questo proposito scrive l’Architetto Raffaele Raja: Fino a quel momento l’espressione più tipica della costruzione industriale è il capannone o la cascina rurale sommariamente ristrutturata: ‘un’architettura senza architetti’7 che, se non priva di sue valenze estetiche e simboliche significative, non costituisce linguaggio autonomo, derivando i suoi etimi dalla più schietta tradizione rurale8. Infatti, quelli che erano fienili, stalle, cascine etc, diventano capannoni industriali9, spesso con l’aggiunta di una ciminiera, dal forte significato simbolico, di dimensioni via via più monumentali, con parti strutturali in metallo; nessuno, però, pensò a dare all’industria una ‘casa propria’; sarà l’avvento sempre più massiccio delle macchine che imporrà un nuovo linguaggio architettonico che dovrà risolvere i nuovi problemi strutturali generati anche dallo sviluppo orizzontale della fabbrica. E solo quando la produttività delle imprese si espanderà e si qualificherà meglio, l’industria avvertirà il bisogno di una architettura più funzionale e identificativa dell’attività svolta: le costruzioni, allora, e siamo ormai alla fine dell’Ottocento, diverranno ben progettate, massicce, ‘visivamente eterne’, mentre la ricerca dei materiali si concentrerà sulla muratura10. A questa fase definita dagli studiosi paleoindustriale per quanto riguarda l’architettura, segue, nel secolo XX, un periodo in cui si va affermando il gusto per le forme essenziali, prive di ornamenti o di caratterizzazioni stilistiche e simboliche-concettuali (Razionalismo), anche se, fino agli anni trenta del secolo XX, permangono residui liberty ed espressionisti nelle costruzioni industriali. Questo accadde perché la committenza aspirava ad incrementare la produttività (affermazione del taylorismo e della catena di montaggio) ed esigeva spazi interni sempre più flessibili e capaci di assecondare la diversa organizzazione del lavoro, mentre affidava alla cartellonistica e alla stampa la pubblicizzazione dei suoi prodotti: il Funzionalismo va sostituendo sempre di più «l’architettura industriale significante11». 7 In merito a questa forma di ‘architettura spontanea’, fondata su un’esperienza che si tramandava di generazione in generazione, si deve sottolineare che finalità, economia e utilità erano i soli elementi guida della progettazione. Un esempio significativo furono i millwright in Inghilterra, carpentieri-meccanici itineranti che si occupavano della costruzione di mulini. 8 R.Raja, cit., p. 21 9 Termine da non confondere con i capannoni prefabbricati di oggi che hanno un aspetto e impatto diverso 10 Non si persiste nella ristrutturazione dei cascinali e nei riattamenti di vecchi mulini a vento o ad acqua, da un lato perché nuove fonti di energia (carbone) svincolano l’insediamento industriale dal condizionamento energetico dell’aria e dell’acqua; dall’altro perché quelle strutture sono obsolete per un sistema di produzione industriale in piena espansione e rapida evoluzione. Così spiega il fenomeno Raffaele Raja nell’opera citata, p. 104. 11 R. RAJA, cit., p. 23. 4 Nel corso dello sviluppo dell’architettura industriale, accanto ai materiali tradizionali, vengono introdotti la ghisa e il cemento armato12, mentre, per l’evolversi delle tecniche di lavorazione, l’uso del ferro13, del vetro14, del legno e della pietra in campo edilizio, spesso associati, viene fortemente esteso. Il ferro, ad esempio, è usato dapprima solo per compiti accessori: per catene, tiranti e per collegare tra loro i conci nelle costruzioni in pietra da taglio; poi esso viene usato per assolvere compiti più onerosi quali quelli di sostegno di strutture (travi15, pilastri), armature per calcestruzzo armato. Il ferro, nel 1890, era ormai diventato un materiale di largo uso in tutti i settori dell’architettura. Il bullone e il ribattino furono utilizzati sempre più diffusamente come elementi di giunzione e ammorsamento nelle parti metalliche delle costruzioni. La ghisa, materiale di facile lavorabilità, poiché si presta ad essere colata in stampi piuttosto complessi, si diffonde rapidamente e viene impiegata per la realizzazione di colonne16 e travi che vanno a costituire l’ossatura di molti edifici Il sistema di ammorsamento con bullone e ribattino industriali consentendo anche di coprire grandi spazi con strutture relativamente esili e non attaccabili dal fuoco17; in proposito, gli studiosi citano come esempio fortemente anticipatore delle esigenze 12 Tecnica costruttiva di cui fu fautore l’architetto Auguste Perret (1874-1954). Verso il 1845 vennero fatti i primi tentativi di associare il cemento al ferro, per conferirgli la resistenza di trazione che da solo non possedeva. Infatti, nella seconda metà del secolo XIX, di fronte ad una diffusione sempre più capillare delle strutture in ferro, si fece strada, non senza fatica, il cemento armato, le cui potenzialità plastiche ed espressive furono subito comprese dagli architetti più lungimiranti quali Garnier, Behrens, Poelzing, Mendelsohn, Berg. Il Novecento, che fu sinonimo di Razionalismo con la diffusione dell’uso combinato dell’acciaio e vetro (curtain wall) dell’ International Style e di Storicismo, utilizzerà il cemento armato in senso espressionista o, più grettamente, in senso monumentale. 13 Nell’ambito dell’evoluzione delle costruzioni in ferro vale la pena di segnalare, oltreoceano, la figura dell’architetto James Bogardus (1800-1874) che realizzò costruzioni con struttura metallica che spediva smontate in tutto il territorio degli Stati Uniti. 14 I produttori di vetro, a partire dalla seconda metà del Settecento, svilupparono nuove tecnologie produttive. Questo materiale fu utilizzato sempre più diffusamente nei serramenti e venne progressivamente impiegato per architetture complesse, associato spesso al ferro (coperture, lucernari). 15 «È dal 1836 che le officine siderurgiche iniziano a produrre [industrialmente] travi in ferro a doppio T». L. BENEVOLO, cit., p. 36. 16 Le colonne vengono prodotte in serie e si presentano vuote poiché soltanto il perimetro più esterno della colonna ha una funzione portante. Questo permette l’uso di sezioni minime. Via via i capitelli, anch’essi prodotti in serie, e le basi delle colonne perdono le loro decorazioni e diventano semplici nodi meccanici con funzioni strutturali. 17 La sostituzione delle travi e dei pilastri in legno con colonnine e putrelle di ghisa e ferro si registra a partire dal 1780 circa. Vedi A. NEGRI, cit., p. 25. 5 dell’industria moderna, la filanda di cotone Philip & Lee, a Manchester, costruita, nel 1801, da Boulton e Watt. Raffaele Raja scrive: Il motivo per cui [la filanda] viene citata dagli storici è duplice: da un lato, la fabbrica presentava indubbi segni di ‘architettonicità’, ovvero decorazioni e un certo gusto della composizione non comuni nella tipologia allora corrente; dall’altro, l’adozione della struttura metallica consentiva per la prima volta una grande flessibilità degli spazi interni e la riduzione consistente degli elementi portanti (di solito murature, che sottraevano parecchio spazio), oltre a essere di per sé una rilevante evoluzione tecnologica18. Particolari di una colonna in ghisa Ulteriori informazioni sulla filanda di Salford si possono reperire nei testi di Giampietro Aloi e Antonello Negri19, i quali rispettivamente precisano che in essa si arrivò ad un uso combinato L’interno di una filanda, da notare la struttura in legno facilmente infiammabile della ghisa con il ferro: alta sette piani, «lunga e stretta come si conveniva»,la struttura portante era in ghisa (due file di ventidue colonnine per piano), mentre quella orizzontale era in ferro a doppia T; le voltine realizzate in mattoni intonacati riducevano i rischi di incendio. Alle fabbriche sviluppatesi verticalmente si aggiunsero intorno al 1850 quelle a sviluppo orizzontale dove un Particolare di un solaio in ferro con voltini in mattoni pieni modulo di un unico piano, denominato shed, si ripeteva in serie arrivando a coprire superfici molto estese. 18 19 R.RAJA, cit. p. 101. GIAMPIERO ALOI, cit., p. X; ANTONELLO NEGRI, cit., p. 25. 6 Proseguendo nel tempo, il 1910 viene solitamente considerato l’anno di nascita dell’industria moderna che è caratterizzata da forme architettoniche suggerite dall’ideologia razionalista e da quella gropiusiana della tabula rasa dove «ogni gioco compositivo o partito decorativo» viene annullato, con «facciate glabre» e spazi interni estremamente flessibili. Ma il Razionalismo in architettura, ripiegando sempre più su stereotipi, ci riporta ancora una volta ad una «architettura Sezione di un capannone con shed senza architetti», «dettata però non dallo spontaneismo padronale, come nell’età della prima rivoluzione industriale, ma dall’acuirsi della divaricazione professionale tra ingegneri ed architetti20». Il salto di qualità, dal legno e dalla muratura al ferro, faceva scoprire che era possibile disporre facilmente di ampi spazi essendo diventati sottili gli elementi portanti e non definitivi quando fossero emerse esigenze costruttive diverse da quelle originarie. Se si esaminano, quindi, le principali innovazioni tecnologiche nel settore degli edifici industriali del secolo XX ne dobbiamo elencare almeno tre, e cioè: 1. la prefabbricazione per componenti, che assecondano l’esigenza di flessibilità 2. le strutture portanti per grandi luci senza sostegni intermedi 3. i sistemi di copertura in relazione ai problemi di illuminazione, ventilazione e impiantistica La ricerca continua di metodologie e materiali più idonei a soddisfare le nuove esigenze dell’industria ha portato, in un primo tempo, all’uso di materiali sempre più leggeri e di strutture perfabbricabili ‘fuori opera’, cioè al legno e all’accoppiamento del ferro con il vetro; in seguito , via via che si perfezionava la prefabbricazione ‘pesante’ si arrivò alla diffusione di molteplici materiali e di nuove forme strutturali. Intorno al 1970, l’uso integrale delle carpenterie metalliche agevola gli eventuali sviluppi in senso longitudinale o trasversale della fabbrica, per cui si può dire che essa è un assemblaggio di elementi modulari, prefabbricati, e rapidamente trasformabili21. 20 R. RAJA, cit, p. 32 7 Possiamo affermare senza ombra di dubbio che allo sviluppo del settore costruttivo in ambito industriale abbia contribuito moltissimo la ricerca scientifica e il progresso della lavorazione dei materiali, permettendo l’edificazione di strutture indipendenti dai sostegni in quanto scompaiono le Un esempio di opificio con copertura realizzata tramite l’assemblaggio di carpenterie metalliche pilastrature intermedie, mentre le luci, sempre più ampie, vengono coperte da un unico sistema strutturale. Già nella prima fase dello sviluppo dell’architettura industriale, impostata sull’uso del legno per travi e solai (1700 e metà 800), si poteva intuire che l’espansione dell’apparato industriale avrebbe richiesto un adeguato sviluppo delle strutture fisiche, ingigantendo gli spazi e, per conseguenza, dilatando le luci. Una delle conquiste acquisite dall’architettura industriale moderna è stata l’ampia diffusione della ‘media luce’, cioè di uno standard progressivamente sempre più elevato e giunto fino ai 14-15 metri senza sostegni intermedi. Le tendenze attuali prevedono per il prossimo futuro l’impiego sempre più diffuso delle tensostrutture, sospese o strallate, e ciò significa uso massiccio dell’acciaio, o le grandi strutture spaziali reticolari, mono o bidirezionali, mentre l’utilizzo del cemento armato per superare grandi luci ci riporta alle forme classiche dell’arco, cioè della volta e della cupola o delle superfici paraboloidali autoportanti. Le coperture furono, fin dai primi momenti oggetto di una attenta catalogazione: il modello più diffuso fu per molto tempo quello a sheds, con o senza vetrate verticali, cioè la caratteristica copertura a dente di sega, che tradizionalmente denota l’industria. Lo shed aveva il vantaggio di migliorare l’illuminazione che rimaneva pressoché costante lungo tutto l’arco della giornata; per ottenere questo risultato, gli spioventi della copertura avevano un’inclinazione diversa, forte in quello esposto a nord completamente vetrato, molto 21 Spesso le pareti sono costituite da pannelli monodimensionali in fiberglass o vetro che danno la possibilità di ampliare l’edificio industriale anche a breve scadenza, andando, però, a definire una certa durata dello stesso. 8 inferiore nell’altro, che formava con il primo un angolo retto. Dopo il 1850, lo shed si diffuse rapidamente, diventando uno dei connotati architettonici più tipici di un paesaggio industriale, ancora oggi sotto gli occhi di tutti. Attualmente, però, questo genere di copertura non è molto diffuso perché esso implica, nella versione originale, una distanza tra i pilastri abbastanza ridotta. Quello dell’illuminazione dell’edificio industriale non costituisce un problema di facile soluzione poiché la copertura è un elemento difficilmente modificabile o penetrabile senza che si incida pesantemente sulle altre componenti del progetto. Ma, come ho scritto in precedenza, in questi ultimi anni sono stati superati quasi tutti i problemi legati alle coperture e al loro rapporto con quelli strutturali, impiantistici e di illuminazione-ventilazione con l’introduzione delle cosiddette ‘strutture reticolari spaziali’ in acciaio22. La tipologia per attuale architettonica quanto riguarda l’edilizia industriale è quella del capannone realizzato con 23 elementi prefabbricati , prodotti in stabilimenti e, quindi, assemblati a secco; in questo modo vengono componenti eliminate tradizionali le quali sono le murature portanti in laterizio. Il ruolo, quindi, assegnato Un capannone industriale di oggi. all’architetto non è più quello dello studio dell’impatto ambientale o dell’estetica dell’edificio, ma si riduce ad un semplice assemblaggio di elementi in serie, ordinati alle ditte produttrici dopo aver consultato appositi cataloghi. 22 Vere e proprie griglie di travi reticolari tutte connesse tra loro in ogni direzione. Il sistema consente un’estrema semplicità di montaggio e di superare grandi luci con pochissimi punti di sostegno, molto distanziati tra di loro (anche 50-100 metri) senza appoggi intermedi. Inoltre esso è ‘permeabile’ da impianti e canalizzazioni di ogni tipo che possono insinuarsi all’interno sospesi ai nodi superiori della struttura; questo sistema consente anche che la copertura sia una sfoglia sottile di qualsiasi materiale, anche di plexiglass trasparente, che consente un’adeguata illuminazione naturale. 23 Gli elementi prefabbricati a cui accenno fanno parte della cosiddetta ‘prefabbricazione pesante’. 9 Questo modo di procedere smorza ogni fantasia compositiva fino alla creazione di semplici scatole, senza che l’elemento architettonico diventi significante e abbia una sua chiara identità. Spesso l’assemblaggio di questi edifici diviene un mix di tecnologie costruttive che vanno dall’uso di prefabbricati24 pesanti prodotti fuori dal cantiere alla realizzazione delle strutture a ‘piè d’opera’. I tamponamenti delle strutture portanti sono costituiti, nella maggior parte dei casi, da semplici pannelli multistrato (sandwich)25 o monostrato26, in lamiera o in calcestruzzo armato, rifiniti in vari modi; oppure con blocchi ‘splittati’ dalle diverse texture, che vanno a formare i tamponamenti esterni dell’edificio cercando di rendere meno banale e monotona la superficie muraria. Si tratta, comunque, di un’architettura standardizzata, in cui le strutture portanti sono disposte secondo maglie modulari di notevole luce27, che permettono di ripetere all’infinito un elemento di essa andando incontro alle esigenze dettate dalla flessibilità e dalla continua mutabilità della produzione di beni. Evidentemente la produzione seriale permette una significativa diminuzione dei costi e dei tempi di esecuzione dei lavori, ma crea problemi di impatto ambientale. Accanto ai materiali già noti da tempo nell’architettura se ne sono affiancati di nuovi come il cartongesso, per le partizioni interne, e le materie plastiche che spesso sono andate via via a sostituirsi a materiali come il vetro e l’alluminio. Il discorso della modularizzazione si è seguito anche nella costruzione degli impianti tecnologici che, a differenza di un tempo, sono soggetti a normative specifiche legate alla sicurezza negli ambienti di lavoro. Per quanto riguarda le coperture, in relazione alla forma delle falde si hanno: - Sistemi con travi a doppia pendenza: le travi sono di calcestruzzo armato semplice o precompresso o di legno lamellare e hanno luci che vanno da dieci metri a trenta metri. - Sistemi di copertura a shed (gia descritti in precedenza e poco usati oggi) . - Sistemi di copertura piana in cui le travi hanno sezioni caratteristiche a I, a T rovescia, a L, a V, a ω, etc. L’argomento relativo alle tecniche costruttive degli edifici industriali di moderna concezione verrà illustrato ampiamente nel terzo capitolo. 24 Travi e pilastri dalle più svariate forme. Rappresentano il tipo più comune di pannelli per pareti esterne formati da due strati di calcestruzzo armato con interposto dell’isolante. Questi pannelli sono collegati tra loro da staffe in modo da formare un corpo unico. 26 I pannelli monostrato vengono realizzati con calcestruzzo leggero. La funzione dell’isolamento in questi pannelli è affidata agli aggregati isolanti anziché all’isolante. 27 Lo scopo dell’impiego di notevoli luci è quello di vincolare il meno possibile la struttura interna. 25 10 A fianco dei sistemi di copertura prefabbricati in calcestruzzo vengono utilizzati solai in metallo (lamiera grecata) con o senza soletta collaborante. Altro aspetto che distingue l’architettura di ieri dalla ‘non architettura’ di oggi è che da circa una trentina di anni, in seguito alle prime crisi energetiche degli anni ’70, si è prestata maggiore attenzione ai consumi di energia e ai problemi connessi all’inquinamento ambientale, adeguandosi alle leggi promulgate in merito28 e alle norme U.N.I: è diventato obbligatorio l’uso di materiali isolanti e di altri particolari accorgimenti per ridurre gli sprechi. Se è vero che si è fatto parecchio, ma non abbastanza, in materia di inquinamento, è altrettanto vero che si sono trascurati i problemi relativi all’impatto ambientale delle costruzioni industriali, che, sempre di più, incidono sul territorio andando a rovinare splendidi panorami e a sottrarre, in maniera poco controllata, terreno all’agricoltura29. 28 Legge 373 del 30.04.1976 e relativo Regolamento d’applicazione D.P.R. 1052/77; Legge 10 del 9.01.1991 che rimanda al D.P.R. 412 DEL 26.08.1993. 29 Questo fenomeno ha ripercussioni molto gravi sul territorio italiano, gia carente di aree a vocazione agricola. 11 12