Monika Grycko si laurea in scultura presso l`Accademia di Belle Arti

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Monika Grycko si laurea in scultura presso l'Accademia di Belle Arti di Varsavia nel 1998. Vive e lavora a
Faenza.
Solo Show
2011
Performance 150 anni del tricolore - Brothers d'Italia, Rassegna Teatrale Peraspera, Bologna
Biancaneve, Art Stays 2011, 9° Festival d'Arte Contemporanea, Ptuj (Slovenia). Curatore: Bianca Maria
Rizzi e Matthias Ritter
2010
Dall'animale all'uomo: una storia incredibile, Galleria Bianca Maria Rizzi, Milano. Curatore: Cecilia Maria di
Bona
2009
Relikt, Rebecca Container Gallery, Genova. Curatore: Roberta Gucci Cantarini
2006
Kunstraum B Gallery, Kiel, Germania
2005
Movimento extremo, Circolo degli Artisti, Faenza
Movimento extremo, Rebecca Container Gallery, Genova. Curatore: Roberta Gucci Cantarini
1999
Attrazioni fatali, Centro d'Arte Contemporanea di Varsavia. Curatore: Stach Szablowski
Group Show
2012
You can tell me!, Factory-Art Gallery, Berlino
2011
CERAMISTES: UNEXPECTED VISIONS, Galerie Helenbeck, Nizza
Hybrids-duo show Monika Grycko / Sara Stites, Galerie Helenbeck, Nizza
STEP09, Museo Nazionale delle Scienze e della Tecnologia Leonardo da Vinci, Milano, Galleria Bianca
Maria Rizzi & Matthias Ritter
Lo stato dell'arte nel 150° dell'Unità d'Italia, 54° Esposizione Internazionale d'Arte, Biennale di Venezia,
Palazzo delle Esposizioni, Sala Nervi, Torino. Curatore: Vittorio Sgarbi.
2010
Premio Arte Laguna, Magazzini dell'Arsenale, Venezia
Premio Biennale Internazionale di Ceramica Contemporanea 2010, Vallauris (Francia)
Ceramica storia di donne, MIC-Museo, Faenza. Curatore: Jadranka Bentini
Partecipazione alla Biennale d´Architettura di Venezia, con sculture e pitture fotografate negli ambienti delle
Residenze “Fornace del Bersaglio” a Faenza, Lelli & Associati Architettura/Cristofani & Lelli Architetti.
C-ram-X, Galerie Helenbek, Parigi
2007
Artisti della Rebecca Container Gallery: Contemporary Ban”, Palazzo della Borsa Nuova, Genova. Curatore:
Roberta Gucci Cantarini
Dimensione Donna/Woman's Dimension, Museo di Roma - Palazzo Braschi. Curatore: Rosetta Gozzini
V.I.T.R.I.O.L., Galleria A+A, Centro Espositivo Pubblico Sloveno, Venezia. Curatore: Roberta Gucci
Cantarini
2006
Oltre Lilith, Scuderie Aldobrandini, Frascati (Roma). Curatore: Rosetta Gozzini
The best of Rebecca Container Vol.2, Rebecca Container Gallery, Genova
1° Exposition Internationale Peinture-Sculpture, Centro d'Arte La Coupole, Saint-Loubès, Bordeaux, France
2004
Alta temperatura, Palazzo dei Conti Botton, Castellamonte (TO). Curatore: Enzo Biffi Gentili
Corpi rituali, Centrale Enel di Nove e Galleria Comunale di Vittorio Veneto. Curatore: Fabrizio Boggiano
2003
The states of body and mind, Galleria “Performart”, La Spezia. Curatore: Enrico Formica
1996
The effects of consumerism, Wimbledon School of Art, Londra
PREMI
2010
Selezionata alla Biennale Internazionale di Ceramica contemporanea 2010, Vallauris (Francia)
Segnalata al Premio Combat 2010 Prize (pittura), Livorno
2009
Premio Arte Laguna 2009, Venezia (Premio Speciale Galleria Bianca Maria Rizzi e Galleria Fiorella Pieri
Dall’animale all’uomo: una storia incredibile, ancora leggibile nel volto dell’uomo
Di Cecilia Maria di Bona
“Sei ancora quella della pietra e della fionda, uomo del mio tempo”
(S.QUASIMODO, L´uomo della mia vita)
Nelle sue espressive sculture in levigata, lucente, opalescente ceramica, Monika Grycko sembra volerci narrare o forse,
più precisamente, porre sotto gli occhi le implicazioni inquietanti (per gli individui più fragili) degli sforzi spasmodici ed
eroici del genere umano, impegnato fin dalla sua comparsa sulla terra, e in tutto il corso della sua evoluzione,
nell’inesausta lotta per la sopravvivenza.
Nei volti di queste figure antropomorfe –a tratti commoventi, a tratti un po’ inquietanti– l’artista polacca ci mostra, con
penetrante sguardo psicologico, accanto a questo processo evolutivo (biologico) ancora in corso, il tentativo dell’uomo di
conquistare la capacità di rendersi conto di quanto gli stia accadendo e di esprimerlo in qualche modo, di dar voce al
proprio smarrimento e sconcerto di fronte a qualcosa che sembra trascendere le umane possibilità di comprensione.
Che cos’è l’uomo? Come si è evoluto nel corso dei millenni? Che cos’è la selezione naturale? Che cosa vi era prima
dell’uomo? Quanto dell’istintualità ferina dei suoi progenitori ancora vive ed opera in lui, sotto la fragile e relativamente
recente formazione della corteccia cerebrale?
Osservare le sculture di questa giovane polacca è quasi come entrare in un laboratorio di analisi etno-antropologiche
centrate sul percorso dell’evoluzione dell’uomo; ma, al tempo stesso, ci si accorge di come la sua fine sensibilità –
attraverso una forma di acuta intelligenza emotiva ed empatica– riesca a cogliere, oltre al dato puro scientifico, il vissuto
soggettivo di disorientamento e di estraniazione, sorto da scompensi e da lacerazioni interiori che la sovrastante
incomprensibilità del destino evolutivo dell’uomo ha ingenerato nell’individuo, e segnatamente nell’individuo più fragile e
sensibile.
Sono nate da quest’istanza empatica con il mondo umano e animale alcune delle figure, umanissime, essenzialmente,
virtualmente femminili, di Monika Grycko: nei loro sguardi, si avverte lo smarrimento, un senso di solitudine, una
percezione della propria fragilità e finitudine e una forma di ripiegamento su di sé che riportano alla memoria quelle
illuminanti osservazioni antropologiche sulla complessità dell’anima primitiva di Lucien Lévy-Bruhl, e quelle altrettanto
incisive –proprio poiché contribuirono ad approfondire la nostra consapevolezza delle difficoltà di comprendere il mondo
psicologico e mentale degli uomini primitivi, così come ad evidenziare l’impossibilità di idealizzare il loro mondo nel mito
del buon selvaggio– che furono espresse nei saggi di Claude Lévi-Strauss sull’infelicità dei primitivi.
Ora, naturalmente, l’interpretazione del processo evolutivo della specie umana, espressa nella teoria della selezione
naturale, nell’Origine dell’uomo da Charles Darwin, è stata suffragata da molte verifiche sperimentali e ha trovato anche
in tempi recenti un’ampia base di consenso scientifico (che, attraverso lo studio sempre più approfondito dell’archeologia
del DNA, ne ha esteso, più di quanto si credeva possibile, la portata, pervenendo al riconoscimento dell’esistenza di una
parentela della specie umana non unicamente con i primati, ma anche con tutto il genere animale).
Tuttavia, lo sguardo sull’evoluzione dell’uomo non è più quello di Charles Darwin, il quale era veramente orgoglioso di
discendere da quell’eroica scimmietta e credeva che il genere umano fosse destinato a progredire verso la perfezione.
La nostra, contemporanea visione dell’evoluzione, e più in generale del progresso dell’umanità, ha maturato una
prospettiva più consapevole e critica. Scriveva Charles Darwin:
“Se noi non possediamo né albero genealogico, né libro d’oro, né stemmi ereditari, abbiamo, per scoprire e seguire le
tracce delle numerose linee divergenti delle nostre genealogie naturali, l’eredità da lungo tempo conservata dei caratteri
d’ogni specie […] Noi possiamo concludere con qualche fiducia che ci è permesso di contare su un avvenire di
lunghezza incalcolabile. E come la selezione naturale agisce solamente per il bene di ciascun individuo, ogni dono fisico
o intellettuale tenderà a progredire verso la perfezione […] Chi abbia veduto un selvaggio nella sua terra nativa, non
sentirà molta vergogna se sarà obbligato a riconoscere che il sangue di qualche creatura più umile gli scorre nelle vene.
In quanto a me, vorrei tanto essere disceso da quell’eroica scimmietta che affrontò il suo terribile nemico per salvare la
vita al suo custode, o da quel vecchio babbuino che sceso dal monte strappò trionfante il suo giovane compagno a una
muta attonita di cani, quanto da un selvaggio che si compiace di torturare i suoi nemici, offre sacrifici di sangue, pratica
l’infanticidio senza rimorsi, tratta le sue mogli come schiave, non conosce che cosa sia la decenza ed è dominato da
grossolane superstizioni.”
Occhi, narici, orecchie e bocca di questi esseri antropomorfi modellati dalle mani di Monika Grycko sono ‘aperti’ alla
percezione sensoriale; l’intelligenza, ancora dominata dall’istinto, è racchiusa in un cranio nel quale un cerebro ancora
poco evoluto e immaturo si tende al limite delle sue possibilità nel tentativo, tragicomico e intimamente disperato, di
comprendere il proprio destino: impresa, quest’ultima, forse costitutivamente impossibile per ogni essere umano, ma
della cui complessità e probabile insolubilità questi esseri primitivi non potevano avere alcun sentore.
Solo un uomo che, molti millenni più tardi, abbia assistito alla nascita dentro di sé della coscienza può, infatti, avvertire
come anche per la mente scrutatrice più profonda, più acuta e pervicace, quest’ardua impresa di scoprire e rivelare il
senso della vita umana sulla terra sia sempre votata allo scacco, poiché strutturalmente troppo complessa e
costitutivamente al di là delle potenzialità umane, limitate dal corso del tempo: "Ognuno sta solo / sul cuore della terra /
trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera."
Guardando questi volti modellati dalla scultrice, particolarmente quelli disposti in una seriazione, incolonnati come in una
genealogia di individui tutti tratti dallo stesso stampo nonostante le piccole, ma significative sfumature individuali, si
avverte come non vi sia tempo per leccarsi le ferite né per lenire le sofferenze: il tempo che tutto trasforma e trasmuta
incombe, le poche albe date ad ogni individuo volgono già al termine; essi saranno tra breve morti e sepolti, e nuovi
esseri perpetueranno la specie, tramandando anch’essi alla prole questi apprendimenti necessari alla sopravvivenza,
costati tanti sforzi ai predecessori, senza che se ne possa afferrare il senso ultimo. Scriveva Claude Lévi-Strauss in Tristi
tropici, a voler evidenziare, nella storia del genere umano, quest’assoluta mancanza di senso e di centralità della
coscienza individuale, che in tal caso si configurerebbe veramente come una passione inutile: “Il mondo è cominciato
senza l’uomo e finirà senza di lui.”
Nell’opera, dal volto perlaceo riverso, con gli occhi stralunati rivolti in alto e un folle sorriso sulle labbra, forse la scultrice
vuole trasmetterci l’intuizione che l’uomo ha di se stesso, della sua transitorietà travolta dal vorticoso scorrere del tempo:
l’intuizione di essere egli stesso –intimamente– lucida follia, epifenomeno insorto per caso, senza alcun disegno o fine,
nonché forse effimera appendice del mondo animale.
Ecco emergere dalle sculture della giovane artista polacca i volti degli uomini preistorici e degli uomini primitivi, scimmie
antropomorfe con la tristezza nello sguardo, bambini già vecchi, gravati da una sorte incomprensibile per loro, e che
sembra travalicare non unicamente le loro facoltà cerebrali, ma anche quelle emotive e intuitive: ecco, forse, l’uomo tout
court, l’uomo dell’inconscio collettivo, così come esso è in fondo ancora oggi in ogni uomo che si riveli nella sua
istintualità primaria, e così come esso ci apparirebbe in tutta la sua preponderanza come motore segreto di quasi tutte le
nostre azioni, se solo avessimo la lucidità e il coraggio di vedere e di riconoscere la nostra vera sottesa natura.
Dolore e un senso di desolazione e solitudine, gli stessi emersi nei Tristi tropici di Lévi-Strauss –l’opera che Emmanuel
Lévinas definì essere il testo emblematico a comprendere l’ateismo contemporaneo in quanto non unicamente ateo, ma
dominato dall’indifferentismo– sono le percezioni soggettive di questa trasformazione in corso, che lascia dietro di sé
coloro che non ce la fanno, coloro che soccombono alle intemperie delle necessarie mutazioni comportamentali e
genetiche, alle spietate leggi della natura che perseguono solo la sopravvivenza della specie, incuranti del destino
dell’individuo. Scriveva nei Tristi tropici Claude Lévi-Strauss: ”Quanto alle creazioni dello spirito umano, il loro senso non
esiste che in rapporto all’uomo e si confonderanno nel disordine quando egli sarà scomparso.”
Ecco: forse, ponendoci di fronte a questi volti, che con la loro inespressa, muta espressione sembrano guardarci da un
mondo arcano e perduto, il fine e il merito di quest’opera artistica è quello di darci tra le mani uno specchio attraverso il
quale ci sia possibile vedere dietro al nostro volto, raffinato nei tratti somatici e razionale nell’espressione, tutto il mistero
inespresso dell’essere istintivo e irrazionale sempre minacciato d’estinzione che siamo stati agli albori del genere umano
e che dentro di noi, nelle viscere del nostro inconscio, un po’ siamo ancora; con la speranza, forse, che ciascuno di noi si
interroghi sul mistero e sul valore della sua umanità e sulla necessità che sia l’umanità a guidare le nostre azioni e non
unicamente la logica –una logica che abbia smarrito la consapevolezza di essere insorta come forma complessa e
articolata di un originario schema d’azione per difendere e riaffermare la vita. E, in questo senso, risulta significativo che
Darwin stesso volle sottolineare come la forma più evoluta dell’istinto di sopravvivenza, elaborata dalla specie umana nel
corso dei millenni, sia la solidarietà umana con i propri simili, espressione matura dell’istinto di protezione del maschio
verso la femmina e della femmina verso la prole.
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