Erman Di Rienzo
Le leggi di Keplero
F-1
LE LEGGI DI
KEPLERO
[edr - Aprile 2001]
www.matematicamente.it
1
...
Temp' era dal principio del mattino,
e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle
ch’eran con lui quando l'amor divino
mosse di prima quelle cose belle;
...
[Dante – Inferno: canto I° - versi 37-40]
In copertina: Ritratto di Giovanni Keplero [Joannes Kepler: Wiel (Germania) 1571 – 1630]
2
Premessa: Le tappe della cosmologia
L’uomo primitivo ebbe per lunghissimo tempo le più strane concezioni sulla
forma e sulle dimensioni della Terra, considerandola comunque come la parte
principale dell’Universo, anche se non si può escludere che qualcuno nel passato
abbia nutrito dubbi su tali concezioni o abbia intuito ipotesi più realistiche, per
non incorrere nel frequente errore di ritenere la genialità appannaggio solo della
modernità.
Già nel VI secolo presso la scuola Ionica, con Talete ed altri filosofi si era
affacciata l’ipotesi della sfericità della Terra, che però restava al centro
dell’Universo. L’idea fu accolta da Aristotele che nel suo De Caelo la suffragò
con ineccepibili argomentazioni, riferendo anche di tentativi precedenti di
misurazione senza alcun cenno ai metodi adottati e concludendo semplicemente
che alla fine la Terra non era neanche poi tanto grande. All’epoca il valore più
accreditato per il meridiano terrestre era di 400'000 stadi, un valore tra i 59
milioni di Km, per lo stadio delfico (148,6 m), ed oltre 73 milioni di Km per lo
stadio olimpico (184,4 m). In ogni caso le dimensioni della Terra erano
sopravalutate.
La prima misurazione della Terra su base scientifica fu effettuata da Eratostene
di Cirene intorno al 240 a.C.; vissuto tra il 280 (circa) ed il 196 a.C. fu una
grande figura della cultura dell’epoca, direttore per lunghissimo tempo della
Biblioteca di Alessandria.
Eratostene aveva osservato (o qualcuno gli aveva fatto osservare) che a Siene,
l’attuale Assuan, nel giorno del solstizio d’estate, quando il sole era allo zenit,
quando cioè le ombre avevano la minima lunghezza, i suoi raggi illuminavano il
fondo dei pozzi, quindi erano praticamente perpendicolari al suolo. Non era così
ad Alessandria, dove nello stesso giorno allo zenit i raggi avevano una
inclinazione di circa 7 gradi. Eratostene ne dedusse una ulteriore prova della
sfericità della Terra (se mai ve ne fosse ancora bisogno), forse la prova
dell’obliquità dell’eclittica sull’equatore, ma sopra tutto ne intuì una possibilità di
misurazione delle dimensioni; il risultato cui pervenne ha dell’incredibile alla luce
delle moderne conoscenze: la Terra aveva un diametro di 252'000 stadi, che, se
per stadio si intende quello egiziano dell’epoca di 157,6 m, corrisponde a 39'700
Km con un errore inferiore all’ 1%.
Ma veniamo al metodo utilizzato; si partì naturalmente da alcune ipotesi:
- che la Terra fosse perfettamente sferica,
3
-
che i raggi del sole fossero paralleli tra loro in ogni punto della Terra,
nell’ipotesi cioè che il Sole fosse molto distante dalla Terra e che le sue
dimensioni fossero molto inferiori a detta distanza,
- che le due località, Alessandria e Siene, fossero sullo stesso meridiano, ovvero
che Alessandria fosse esattamente a Nord di Siene.
In queste ipotesi la differenza di angolazione dei raggi nelle due località
corrispondeva alla differenza delle loro latitudini; conoscendone la distanza si
poteva risalire alla lunghezza
del diametro terrestre, essendo questo in proporzione a
detta distanza come la
differente angolazione dei
Alessandria
raggi solari sta ad un angolo
giro.
Ineccepibile
il
metodo,
anche se basato su ipotesi,
α
Siene
due delle quali all’epoca
α
erano solo congetture non
essendovi ancora alcuna
possibilità di verifica, e sulla
misura della distanza tra le
due località, sulla cui accuratezza sono stati avanzati molti dubbi.
Da più parti quindi si sostiene che la precisione del risultato sia stato piuttosto
frutto di coincidenze, con errori che si compensarono reciprocamente; in
particolare gli errori principali sarebbero:
- Siene (Assuan) non è sul tropico ma a circa 30’ a Nord di questo;
- Alessandria non è esattamente a Nord di Siene ma di circa 4° più ad Ovest;
- la distanza tra le due città sarebbe stata misurata in termini di giorni di
cammino.
Inoltre vi sarebbe incertezza sull’unità di misura utilizzata (lo stadio) e lo stesso
risultato (252'000 stadi) appare piuttosto come un numero comodo per successive
calcolazioni essendo divisibile per tutti i numeri da 1 a 10.
Per un giudizio obiettivo però occorrerebbe possedere l’opera originale dello
scienziato “Sulla misurazione della terra” che purtroppo è andata perduta. Si
ritiene invece che la storia del pozzo di Siene sia stato piuttosto uno spunto per
intraprendere un complesso sistema di rilevazioni e misurazioni che portò ad un
risultato molto preciso, anche in considerazione della lunga tradizione in materia
di misurazioni dei terreni dell’antico Egitto.
4
Ma per lungo tempo alla misura di Eratostene si preferì quella di Posidonio di
Apamea che circa 150 anni dopo aveva stabilito in circa 30'000 Km il diametro
terrestre. Sui motivi di tale preferenza ci sarebbe tanto da argomentare; ci
limitiamo a suggerire alcune ipotesi: che Posidonio apparteneva ad una cultura più
aderente a quella dominante di Roma, essendo stato tra l’altro amico di Cicerone e
di Pompeo. Inoltre il nuovo valore era più rassicurante in un’epoca in cui il
mondo conosciuto non superava alcune migliaia di Km. Ed infine più piccolo era
il mondo, maggiore era la percentuale dello stesso dominato da Roma.
Più o meno negli stessi anni di Eratostene, Aristarco di Samo procedette a
misurazioni più ambiziose: quella della distanza Terra-Luna e quella Terra-Sole,
quindi delle dimensioni di Sole e Luna, pervenendo a risultati azzeccati solo per
l’ordine di grandezza. Singolari i metodi adottati: ad esempio per determinare il
rapporto tra la distanza Terra-Luna e quella Terra-Sole, partì dalla considerazione
che quando la Luna ci appare illuminata esattamente a metà (primo o ultimo
quarto), ciò significa che l’asse visivo, S
L
dalla Terra al centro del disco lunare, è
perpendicolare all’asse di illuminazione dal centro del Sole al centro
della Luna. Basta allora misurare
T
l’angolo relativo tra i due corpi per
ottenere il rapporto tra le loro distanze con la Terra. Purtroppo a causa della
rifrazione dell’atmosfera (che probabilmente Aristarco non conosceva) la sua
misura di 87°, contro gli effettivi 89° e 50’ circa, lo portò ad un valore di tale
rapporto di 1/19, contro circa 1/400 effettivo.
Erano comunque risultati notevoli per l’epoca, ma più notevolmente ne dedusse
come fosse improbabile, nel caso del Sole, che un corpo molto più grande
ruotasse intorno ad uno molto più piccolo. Rimaneva la difficoltà di spiegare la
fissità delle stelle se fosse stata la Terra a girare intorno al Sole, a meno che non si
ipotizzasse una distanza delle stesse tale da annullare qualunque parallasse. Ne
sarebbe derivato un valore delle dimensioni dell’Universo grandissimo, nei cui
confronti “…per poco il cor non si spaura”. Ed infatti la teoria non fu accettata ed
anche per Aristarco scattò la solita accusa e condanna per empietà.
Un’altra importante tappa della cosmologia fu Ipparco di Nicea (125-187 a.C.),
forse il più grande astronomo dell’antichità. Visse per la maggior parte della vita a
Rodi ma trascorse qualche tempo ad Alessandria d’Egitto che all’epoca era un
centro di attrazione per la cultura richiamando letterati, artisti, scienziati e tecnici
da tutto il mondo allora conosciuto. Le sue opere non ci sono pervenute e tutto ciò
che sappiamo del suo pensiero lo dobbiamo a Tolomeo suo grande ammiratore e
5
seguace. Ipparco fu un osservatore attento e scrupoloso dei fenomeni celesti, per
lo scopo inventando numerosi strumenti come l’Astrolabio e la Diottra e mettendo
a punto tecniche matematiche raffinate, gettando le basi di quel ramo della
geometria che più tardi si chiamerà trigonometria. Per quanto ne sappiamo
compilò un catalogo delle stelle descrivendone oltre 800, determinò la durata
dell’anno solare in 365 giorni e 6 ore, scoprì con la precessione degli equinozi il
terzo movimento della Terra e calcolò la distanza Terra-Luna ricavandone un
valore di circa 390'000 Km straordinariamente vicina a quella attualmente nota.
Probabilmente pervenne a questo valore rilevando dapprima il diametro lunare
confrontato con quello terrestre, misurando il tempo nel quale la Luna percorre il
cono d’ombra della Terra durante una sua eclissi, quindi ricavando la distanza
dall’angolo, di circa 0,5°, sotto il quale la Luna stessa è vista dalla Terra.
Avrebbe però rifiutata ogni ipotesi eliocentrica, ma non sappiamo su quali basi.
Quindi Claudio Tolomeo, astronomo e matematico vissuto nel II secolo d.C. (100
– 178 circa), che nel suo Almagesto (il titolo originario “Magisté Syntaxis” fu
tradotto dagli arabi in Al majisti, e dall’arabo in latino in Almagestum) fece la più
grande sintesi di tutte le conoscenze astronomiche fino ai suoi tempi e, un po’
come in altri campi per le opere di Aristotele, costituì per molti secoli l’unico
riferimento per l’interpretazione dei fenomeni celesti. Quando un impianto teorico
è così vasto e dà spiegazioni di così tanti
Sole
Eccentrico
fenomeni, naufraga ogni tentativo di critica, anche
parziale.
Tolomeo presenta lo schema dell’Universo
mettendo la Terra al suo centro. Il Sole e la Luna si
Terra
muovono in modo uniforme su orbite circolari il
cui centro però non coincide con il centro della
Terra e per questo dette “eccentrici”. Con questo si
spiegavano alcune irregolarità del moto che in
alcuni periodi appariva più rapido, in altri meno.
I pianeti (all’epoca ne erano noti solo cinque:
Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno) si
Moto eccentrico
muovono
sempre in modo uniforme su orbite
circolari dette “epicicli” il cui centro a
sua volta si muove su un’orbita anch’essa
Pianeta
Terra
Equante
circolare detta “deferente”, ma non in
modo uniforme; il centro del deferente,
come per gli eccentrici, non coincide con
il centro della Terra ed uniforme è invece
Deferente
Epiciclo
Moto epiciclo con equante
6
il moto angolare della congiungente il centro dell’epiciclo con un punto
simmetrico al centro del deferente rispetto alla Terra detto “equante”. Così si dava
spiegazione alle varie irregolarità osservate rispetto ai moti perfettamente circolari
ed uniformi di Aristotele.
Come per Aristotele l’opera di Tolomeo è talvolta indicata come il principale
freno allo sviluppo della conoscenza in astronomia e, come per Aristotele, questo
è stato solo il frutto di una errata, troppo letterale interpretazione del suo pensiero;
in effetti Tolomeo era prima di tutto un matematico e quando descrive l’Universo
non intende dire che questo è fatto proprio così, ma che, se si ipotizza una serie di
movimenti dei corpi celesti come quella presentata, si ottiene come risultato
quello che osserviamo. Per il matematico è indifferente il riferimento nel quale
descrivere i movimenti, né si preoccupa di darne una giustificazione. All’epoca
inoltre non erano stati ancora definiti i riferimenti inerziali e dovendone sceglierne
uno, il migliore appariva quello solidale all’osservatore cioè alla Terra.
Per oltre 1500 anni null’altro, finché intorno al 1530 l’astronomo Nicolò
Copernico [Nikolaus Koppernigk da Thorn (Polonia): 1473-1534] poco prima di
morire pubblica la sua opera principale “De revolutionibus orbium coelestium”
(Sulle rivoluzioni delle sfere celesti) in cui ipotizza che la Terra ruoti intorno ad
un proprio asse con un periodo di un giorno ed intorno al Sole con un periodo di
un anno e che i pianeti ruotino come la Terra intorno al Sole. Come per gli epicicli
di Tolomeo le orbite restavano rigorosamente circolari e percorse con moto
uniforme. L’ipotesi spiegava le osservazioni astronomiche esattamente come la
teoria Tolemaica, ma restava un’ipotesi matematica sebbene molto più semplice.
E’ molto probabile che Copernico fosse convinto che l’Universo andasse come
diceva Lui, ma questo non lo si evince dal testo e con una certa ambiguità lascia
libera interpretazione al lettore. Egli era conscio delle difficoltà che avrebbe
incontrato la sua teoria e probabilmente fu solo il più coraggioso a pubblicare un
dubbio che era venuto anche ad altri (ricordiamo Aristarco di Samo); ed infatti
licenza l’opera solo in punto di morte e dedicandola al Papa.
Negli anni successivi il Copernicanesimo circola liberamente come ipotesi
matematica finché Giordano Bruno, prima, e Galileo poi, con approcci diversi ne
danno una interpretazione fisica; e qui scattano la note condanne. Le difficoltà ad
accettare l’idea di una Terra che gira intorno al Sole, primo passo verso la
concezione di un Universo enorme al confronto del piccolo satellite sul quale
viviamo, sono rese magistralmente da Pirandello in un brano del suo “Il fu Mattia
Pascal” riportato in appendice (vedi Appendice 1).
La teoria copernicana quindi circola liberamente nel XVI secolo, ufficialmente
non accettata, ma tollerata come ipotesi matematica. Intorno alla fine del secolo a
7
Praga un grande astronomo danese, Tycho Brahe, in parte accettando la teoria
copernicana, raccoglie una quantità impressionante di dati sulla posizione dei
corpi celesti, ma non ne deduce nulla. Nel 1600 gli viene affiancato un giovane
matematico tedesco Giovanni Keplero [Johannes Kepler nato a Wiel nel 1571],
che alla sua morte diventerà astronomo di corte.
Keplero non ha bisogno di ulteriori osservazioni, dispone di tutte le osservazioni
possibili già fatte dal maestro; deve solo ordinarle. In effetti le uniche cose che
all’epoca si potevano misurare erano gli angoli, con una certa precisione, ed i
tempi con precisione minore. Per le distanze restavano quelle poche misure note,
molte delle quali in contraddizione tra loro. Ma al matematico potevano anche
non interessare le dimensioni; era sufficiente conoscerne una per ricavarne le altre
con il sistema delle triangolazioni (oggi noto come teorema dei seni, probabilmente noto già dall’antichità). E non era neanche necessario che la prima misura
fosse precisa, le successive avrebbero avuto la stessa percentuale di errore. Ne
derivava un Universo simile a quello reale nel senso matematico. E ciò era
sufficiente per quello che ne dedusse:
- i pianeti girano intorno al Sole descrivendo orbite ellittiche di cui il Sole
occupa uno dei fuochi;
- la velocità con la quale le ellissi vengono descritte non è costante; costante è
l’area descritta dal raggio vettore nell’unità di tempo;
- i tempi di rivoluzione crescono con la distanza secondo una precisa relazione:
il loro quadrato è proporzionale al cubo dell’asse maggiore dell’ellissi.
L’elaborazione dei dati di Brahe comportarono un lavoro immenso durato 23 anni,
dei quali ben dieci trascorsi tra le enunciazioni delle prime due leggi (1609) e la
terza legge, in “Harmonices mundi” del 1618, nella quale tra l’altro metteva in
relazione le leggi armoniche dei suoni con i movimenti dei pianeti.
Morirà a Ratisbona in misere condizioni nel 1630.
L’opera di Keplero, suffragata dai dati raccolti da Brahe, fornisce la migliore
giustificazione al Copernicanesimo e dà lo spunto principale ad Isaac Newton per
formulare la Legge di Gravitazione Universale, che, come vedremo nel seguito,
insieme ai Suoi Princìpi della Meccanica sono oggi la base di spiegazione
matematica delle tre leggi.
Già dal 1666 Newton aveva intuito che i corpi si attraggono con una forza che
diminuisce con la distanza e che questa forza è responsabile tanto della caduta dei
gravi sulla Terra, quanto della tenuta dei sistemi planetari; occorreva una
descrizione qualitativa e quantitativa di questa forza. Era noto che un corpo in
rotazione subisce una forza centrifuga proporzionale alla sua massa ed al raggio
di curvatura ed inversamente proporzionale al quadrato del tempo di rivoluzione1
1
Oggi diremmo: Fc = m v2 / r
ma essendo:
v = 2 π r / T vale: Fc = 4 π2 m r / T2
8
(vedasi l’esperienza del pendolo conico di Hooke in appendice 2). Perché un
corpo resti in rotazione sulla sua orbita occorre che tale forza sia bilanciata da
un’altra uguale e contraria. La terza legge di Keplero suggerisce che il quadrato
del tempo di rivoluzione è a sua volta proporzionale al cubo della distanza. Ne
segue che la forza di attrazione dei corpi deve essere inversamente proporzionale
al quadrato della distanza. Successivamente attraverso la seconda legge dimostrò
che tale forza era diretta secondo la congiungente i centri dei due corpi ed infine
con l’ausilio del terzo principio della meccanica che tale forza doveva essere
proporzionale al prodotto delle due masse.
Per oltre 10 anni Newton abbandonò gli studi sulla gravità dedicandosi all’ottica
ed alla messa a punto di nuove tecniche matematiche tra le quali quella che
chiamò calcolo delle flussioni, che poi era l’anteprima del calcolo infinitesimale.
Intorno al 1679 riprese i suoi studi sulla gravità e con l’ausilio delle nuove
tecniche matematiche riuscì a dare una completa dimostrazione alle sue intuizioni.
Per restare sulle loro orbite pianeti e satelliti non avevano più bisogno di postulati
o interventi divini; una sola legge fisica dava spiegazione di ogni loro moto.
Tuttora, nonostante tutti i successivi sviluppi, la gravitazione universale di
Newton rimane uno dei pilastri della Fisica. La sua formulazione è stata resa
possibile, oltre che dal genio del suo formulatore, dall’opera dei suoi predecessori.
Si comprende quindi il profondo significato dell’affermazione dello stesso
Newton: “Se sono riuscito a guardare lontano è perché stavo sulle spalle di
giganti”.
Come spesso accade in Fisica la sequenza temporale è opposta a quella logica: le
leggi di Keplero avevano “indotto” quella della Gravitazione Universale con la
quale si dà di esse dimostrazione matematica.
9
La prima legge
La prima legge di Keplero descrive la forma delle traiettorie dei pianeti nel loro
moto di rivoluzione intorno al sole.
I pianeti nel loro moto di rivoluzione intorno al sole descrivono orbite ellittiche
delle quali il sole occupa uno dei fuochi.
Partiamo dalla legge di gravitazione universale: Due masse M ed m ad una
distanza r si attraggono con una forza proporzionale alle due masse ed
inversamente proporzionale al quadrato della distanza:
F=G
mM
r2
dove G è la costante di gravitazione universale. Per questa legge una massa
puntiforme M, fissa nello spazio, crea un campo di forze radiale centripeto, di
intensità dipendente solo dalla distanza r dal punto:
F=G
M
r2
Si dimostra che questo campo è conservativo, cioè il lavoro eseguito dalla forza su
un punto materiale P che si sposti dal punto A al punto B , pari all’integrale di
B
linea:
F×ds
L=
A
dipende solo dagli estremi ed è indipendente dal percorso.
Quindi è definibile a meno di una costante una funzione scalare, detta
“potenziale”, che in questo caso risulta dipendere solo dalla distanza r :
V(r) = – G
M
+ cost.
r
la costante è arbitraria e viene scelta nulla in modo che il potenziale sia sempre
negativo e nullo all’infinito, dove quindi ha il suo massimo. Ne segue che il
lavoro eseguito su una massa m che si sposta dal punto A (alla distanza rA,
quindi a potenziale VA = – GM/rA) al punto B (alla distanza rB, quindi a
potenziale VB = – GM/rB), secondo qualsiasi percorso è:
LAB = m (VA – VA) = G m M
1
rB
1
rA
10
Il lavoro sarà positivo, cioè la massa m avrà perso energia potenziale, se rA > rB.
Nel generico punto P, alla distanza r da una massa fissa M, una massa m con
velocità v avrà una energia potenziale U = m V(r) = – GmM/r ed una energia
cinetica C = ½ mv2 .
Ora per il principio di conservazione dell’energia il corpo di massa m muovendosi
nel campo gravitazionale della massa fissa M senza altre forze agenti segue una
traiettoria con una legge oraria tali che in ogni istante è costante la somma delle
energie cinetica e potenziale:
½ mv2 – G mM/r = Cost. = E
Inoltre scegliendo un riferimento con l’origine nel punto in cui è posta la massa
fissa M, per il secondo principio della dinamica resta costante il momento della
quantità di moto di m rispetto all’origine:
⎯p =⎯r ∧ m⎯v =⎯r ∧⎯q
dove con ⎯q si è indicata la quantità di moto di m. Infatti per ogni variazione
della velocità ⎯v, il momento della quantità di moto per una nota formula del
calcolo vettoriale varia secondo:
d⎯p d⎯r
d⎯q
d⎯q
=
∧⎯q +⎯r ∧
=⎯r ∧
dt
dt
dt
dt
essendo d⎯r / d t =⎯v sempre parallelo a⎯q quindi sempre nullo il loro prodotto
vettoriale. Siccome sulla massa m agisce una forza ⎯f con momento angolare
rispetto all’origine sempre nullo, essendo⎯r ed⎯f sempre paralleli, è:⎯r ∧⎯f = 0
Per il secondo principio della dinamica sarà:
⎯f =
d⎯p
d⎯q
d⎯q
quindi: ⎯r ∧⎯f =⎯r ∧
= dt =0
dt
dt
cioè:
⎯p = costante
Possiamo quindi limitare lo studio al piano individuato dal vettore⎯v e dalla
massa fissa puntiforme M giacché non agiscono forze fuori di questo piano. Su
di esso fissiamo un sistema di
coordinate polari con l’origine
v cos α
nella massa M. La velocità ha
m
α
due componenti, una radiale:
r
ϕ
M
11
v sen α
v
vr = v . cos α = dr/dt
ed una trasversale:
vϕ = v . sen α = r . dϕ /dt
con v2 = vr2 + vϕ2. Queste sostituite nell’equazione dell’energia danno:
2
2
dr + r . dϕ
dt
dt
½m
=E+G
mM
r
Abbiamo visto che il momento della quantità di moto è costante; costante sarà
quindi anche il suo modulo che vale:
dϕ
dt
p = r . m . v . sen α = r . m . r
da cui
p
dϕ
=
m r2
dt
che sostituita nella equazione precedente fornisce:
2
½m
p2
dr
+ m2 r2
dt
=E+G
mM
r
cioè:
dr
= ±
dt
p2
2E
2GM
+
–
m2 r2
m
r
Questa è l’equazione differenziale che, risolta, fornisce la legge oraria di
dϕ
p
=
dt
m r2
variazione del raggio r(t), quindi dell’argomento ϕ(t) integrando:
Ma ora siamo piuttosto interessati all’equazione della traiettoria r(ϕ) (o ϕ(r) ).
Dividendo membro a membro le due equazioni:
dr
= ±
dt
p2
2E
2GM
+
–
m2 r2
m
r
si ottiene:
dϕ
p .
=
dr
m r2
cioè:
dϕ =
dr .
r2
dϕ
p
=
dt
m r2
e
±1
p2
2E
2GM
+
– m2 r2
m
r
±b
b2
2a
–1 +
– 2
r
r
a=–
con
b=
GmM
2E
– p2
2Em
12
Osserviamo anzitutto che affinché questa equazione abbia coefficienti reali e finiti
è necessario che sia a > 0, cioè che l’energia totale E sia negativa, cioè che
l’energia cinetica iniziale ½mv2 non superi in valore assoluto l’energia
: 2 < GmM/r
potenziale iniziale GmM/r
½mv
v < 2GM/r
Questa è la cosiddetta “velocità di fuga” cioè il valore minimo di velocità che
qualunque massa deve possedere per sfuggire ad un campo gravitazionale. Si nota
che essa è indipendente dalla massa ma dipende da r cioè dalla posizione.
Supponiamo allora che la nostra massa m, inizialmente nel punto Po, abbia
velocità iniziale vo inferiore alla velocità di fuga; l’equazione può scriversi:
dϕ =
±b
– r2 + 2ar – b2
Questa ha campo di
definizione compreso tra le
due radici del radicando r1
ed r2, con:
r1
r1 = a + a2 – b2
a
M
dr .
r
r2
r2 = a – a2 – b2
Quindi la traiettoria sarà
compresa tra due cerchi
centrati in M e di raggio r1
ed r2 .
Risolviamo ora l’equazione
differenziale integrandola a
membro a membro. Il primo
membro vale (ϕ – ϕo); il secondo messo nella forma:
dr .
r2
±1
–
1
1
2a
– 2
2 +
2
r
b
br
con un primo cambio di variabile: s = 1/r, da cui ds = – dr/r2, diventa:
± ds
± ds
1
2as
– 2 +
–1
b
b2
13
=
a2 – b 2 – s – a
b2
b4
2
e ponendo ancora: u = s – a/b2, da cui du = ds , diventa:
± du
=
a2 – b 2
– u2
b4
± du
b2
a2 – b2
1 – u2
b4
a2 – b 2
nella quale ponendo infine:
z=u
.
b2
quindi:
b2
dz =
a2 – b2
du
dz
si ottiene:
a2 – b2
1 – z2
il cui integrale è arccos z. Ripercorrendo a ritroso le sostituzioni si ha la soluzione, che è:
u b2
arccos z = arcos
= arccos s – a 2
b
a2 – b2
= arccos
s b2 – a
2
a –b
= arccos
b2
2
a –b
=
2
b2 – ar
r a2 – b 2
2
Alla fine la soluzione della nostra equazione è:
cos (ϕ – ϕo) =
b2 – ar
r a2 – b 2
che con una opportuna scelta del riferimento di coordinate polari (tale che ϕο = 0)
può diventare:
r (a + a2 – b2 cos ϕ) = b2
Basta ora solo dimostrare che questa è l’equazione in coordinate polari di una
ellisse che ha asse maggiore a ed asse minore b . Allo scopo ci riferiamo alla
definizione di ellisse come luogo dei punti per i quali è costante la somma delle
distanze da due punti fissi detti fuochi.
Sia 2a tale distanza e 2c la distanza tra i fuochi (tale che c2 = a2 – b2);
fissiamo un sistema di coordinate polari con l’origine in un fuoco ed asse nella
congiungente i due fuochi. Il generico punto P della curva avrà la somma delle
distanze dai due fuochi: PO + PO’ = 2a, quindi:
14
P
PO+PO’=2a
O’
r
ϕ
O
b
a
r + (2c + r cos ϕ)2 + r2 sen2 ϕ = 2a
r2 + 4 c r cos ϕ + 4c2 = 2a – r
r2 + 4 c r cos ϕ + 4c2 = (2a – r) 2 = 4a2 – 4ar + r2
c r cos ϕ + c2 = a2 – ar
r (a + c cos ϕ ) = a2 – c2
r (a + a2 – b2 cos ϕ ) = b2
Come volevasi dimostrare; quindi: Una massa in un campo gravitazionale con
velocità iniziale inferiore alla velocità di fuga percorre un orbita ellittica, della
quale l’asse maggiore a dipende dall’energia E (a = – GmM/2E) e l’asse
minore b dal momento della quantità di moto p (b2 = – p2 /2Em).
La seconda e la terza legge
Le altre due leggi di Keplero si riferiscono al modo nel tempo in cui l’ellittica
viene percorsa; la seconda recita:
I raggi vettore “spazzano” aree uguali in tempi uguali.
La terza:
I quadrati degli assi maggiore sono proporzionali ai cubi dei periodi di
rivoluzione.
15
Anzitutto il significato di alcuni termini: per “raggio vettore” si intende la
congiungente le masse M ed m, che abbiamo indicato con⎯r. Il raggio vettore
si muove quindi insieme alla massa m; per “area spazzata” si intende l’area
coperta dal raggio vettore nel suo moto.
dr(t) Ora le due leggi possono essere dimostrate sulla base
della costanza del momento della quantità di moto⎯p.
dA
Consideriamo un intervallo di tempo elementare dt ;
r(t+dt)
geometricamente l’area spazzata dA sarà la metà del
r(t)
parallelogramma che ha per lati⎯r (t) e d⎯r =⎯v dt ;
quindi:
⎯p
p
M
dA = ½⎯r ∧⎯v dt =
dt da cui: dA =
2m
dt
2m
.
Nella versione integrale (A = p/2m t) questa è appunto la seconda legge di
Keplero: l’area spazzata dal raggio vettore è proporzionale al tempo.
Se integriamo su un intero periodo di rivoluzione T :
T
T
p
dA
dt =
2m
dt
dt
0
0
l’integrale a primo membro è evidentemente l’area dell’ellissi: a b π (vedasi
appendice 3); allora:
.
p
a b π =
T
2m
.
.
e ricordando i valori di a e b :
.
p2
2
da cui
a b π =
2 T
4m
GmM
GmM
cioè
a=–
2E = –
2E
a
2 .
b=
– p2
2Em
2 .
2
cioè
– p2
a p2
b =
=
GMm2
2Em
2
sostituendoli nell’uguaglianza si ha:
2 2
p2
2
a2 . a p π 2 =
2 T
4m
GMm
a3 =
GM 2
T
4 π2
E questa è la terza legge di Keplero: ogni satellite rivoluziona con periodi il cui
quadrato è proporzionale al cubo dell’asse maggiore dell’orbita ed il coefficiente
di proporzionalità dipende dalla massa del corpo maggiore.
16
Applicazioni
La più straordinaria applicazione delle Leggi di Keplero, la terza in particolare, è
la possibilità che offre di valutare per ogni sistema planetario la massa M del
corpo centrale, noti che siano gli assi maggiori delle orbite ed i tempi di
rivoluzione dei suoi pianeti/satelliti. Manca però un tassello al mosaico: Newton
non era riuscito a valutare il valore della costante di gravitazione universale G a
causa del valore molto piccolo della forza di gravitazione per le masse con le quali
si ha normalmente esperienza. Solo nel 1798, più di 100 anni dopo, Cavendish
con la sua bilancia a torsione la misurò in: G = 6,67 * 10-11 [m3 s2 Kg-1].
La massa terrestre può quindi essere valutata semplicemente dalla misura dell’
accelerazione di gravità (g = 9,81 m/s2) al livello del mare, dove la distanza dal
centro della Terra è pari al raggio terrestre, oggi valutato in 6,37 * 106 m. La
forza F che imprime l’accelerazione di gravità g ad ogni massa m è la forza
di gravitazione. Quindi: m g = G M m / r2
da cui: M = g r2 / G = (9.81 * 6,372 / 6.67) * 1012+11 = 5.97 1024 Kg
Si comprende così il senso dell’affermazione per la quale Cavendish nel suo
laboratorio, con la sua bilancia “pesava la Terra”.
Per la valutazione della massa solare riportiamo tabellati i rapporti tra i cubi degli
assi maggiori ed i quadrati dei tempi di rivoluzione per alcuni pianeti:
Pianeta
Asse Maggiore (a)
Tempo di rivoluzione (T)
Coefficiente (K=a3/T2)
Mercurio
Venere
Terra
Marte
Giove
Saturno
0,579 109 m
1,082 109 m
1,496 109 m
2,280 109 m
7,783 109 m
14,27 109 m
0,760 107 s
1.941 107 s
3,156 107 s
5,935 107 s
37,23 107 s
92,80 107 s
K = 3,36 1018 m3/s2
K = 3,36 1018 m3/s2
K = 3,36 1018 m3/s2
K = 3,36 1018 m3/s2
K = 3,39 1018 m3/s2
K = 3,37 1018 m3/s2
Sono confermate quindi le ipotesi teoriche della costanza di tale rapporto. Dalla
terza legge di Keplero la massa solare può quindi essere valutata in:
M = (2 π)2 K / G = (39.5 * 3.36 / 6.67) * 1018+11 = 1.99 * 1030 Kg
Per la valutazione della massa lunare occorre procedere diversamente. Dalle
misure delle distanze e dei tempi di rivoluzione del sistema planetario Terra-Luna
risulta: a = 3.84 * 108 m e T = 2.358 * 106 s. Ne deriverebbe un valore del
17
rapporto: K = a3 / T2 = 1.02 * 1013, al quale corrisponderebbe un valore per la
massa terrestre di M = (2 π)2 K / G = 6.04 * 1024 Kg , un valore un po’ più
alto di quello valutato in precedenza. In effetti occorre qualche correttivo; in detto
sistema infatti non può trascurarsi la massa minore (Luna) rispetto alla maggiore
(Terra). Questa è la ragione di alcune variazioni del coefficiente per Giove e
Saturno che si possono notare nella tabella sopra riportata. Quando in un sistema
planetario la massa dei corpi minori non è trascurabile rispetto al corpo maggiore,
questo non può essere considerato fisso; anch’esso orbita rispetto al centro di
massa (baricentro) dell’intero sistema. Nel caso Terra-Luna ciò significa che
entrambe orbitano intorno al centro di massa del sistema dei due corpi che è posto
sulla congiungente i centri delle due sfere a distanze dai centri (dT e dL risp.,
con dT + dL = a) inversamente proporzionali alle loro masse:
dL = M
m
dT
Orbita terrestre
Orbita lunare
Centro di massa
Che la Terra ruotasse intorno ad un centro di massa diverso dal suo centro era
stato notato fin dall’antichità osservando alcune fluttuazioni della longitudine
solare con lo stesso periodo di rivoluzione della Luna. Accurate misurazioni
hanno stimato in 4670 Km il raggio di questa piccola orbita terrestre, minore dello
stesso raggio terrestre, quindi con il centro interno alla Terra. Ne discende un
valore di dL pari a circa 3.79 * 108 m e quindi della massa lunare m di:
m = dT M / dL = (4.67 * 5.97 / 3.79) * 106+24-8 = 7.36 * 1022
In Appendice 4 è riporto un prospetto con il valore delle principali misure del
sistema solare.
18
Straordinarie coincidenze
Una straordinaria coincidenza vi è tra i periodi di rotazione e rivoluzione della
Luna che consente al nostro satellite di rivolgerci sempre la stessa faccia; ma
questo si può spiegare se si ipotizza che la Luna non sia stata sempre solida come
adesso. Supponiamo allora che un tempo la Luna fosse liquida, ad esempio perché
molto calda di tal che le sue rocce fossero fuse, e che ruotasse intorno al proprio
asse più velocemente di quanto ruoti oggi. Inevitabilmente allora nella roccia fusa
si formavano maree per effetto gravitazionale; per milioni di anni quindi la
rotazione della Luna sarebbe stata rallentata della resistenza di queste maree cioè
dalla dissipazione di energia conseguente al continuo rimodellamento della
superficie lunare. Il rallentamento sarebbe continuato fino a che la Luna non ha
assunto una velocità di rotazione che non comportasse il suo rimodellamento, cioè
un periodo di rotazione pari a quello di rivoluzione. A prova di questa teoria vi è
la forma leggermente ad ellissoide con l’asse principale orientato verso la Terra
nella quale il nostro satellite raffreddandosi si è solidificato.
Se questa ipotesi corrisponde alla realtà, essa comporta che un tempo la Luna era
più vicina alla Terra; rallentando nella rotazione, per conservare la quantità di
moto angolare, il raggio dell’orbita deve essere aumentato.
Restano da spiegare, oltre la semplice casualità, altre due straordinarie
coincidenze:
-
la distanza Terra - Luna è in proporzione con quella Terra - Sole come il
diametro lunare sta a quello solare, con ottima approssimazione, per la qual
cosa durante le eclissi solari la Luna copre quasi esattamente il Sole.
-
il prodotto dell’accelerazione di gravità sulla Terra (g = 9,8 m/s2) per la durata
della rivoluzione intorno al sole (365 giorni pari a 31.5 106 secondi) è con
ottima approssimazione pari alla velocità della luce 299 106 m/s.
Ai posteri la spiegazione di questi misteri (if any).
19
Appendice 1
Brano dal romanzo “Il fu Mattia Pascal”, capitolo II, di Luigi Pirandello, del
1904:
-
… io debbo ripetere il mio solito ritornello: Maledetto sia Copernico!
Oh oh oh, che c’entra Copernico! – esclama don Eligio, levandosi su la vita,
col volto infocato sotto il cappellaccio di paglia.
C’entra, don Eligio. Perché quando la Terra non girava …
E dalli! Ma se ha sempre girato!
Non è vero. L’uomo non lo sapeva, e dunque era come se non girasse. Per
tanti, anche adesso, non gira. L’ho detto l’altro giorno ad un contadino, e
sapete come m’ha risposto? ch’era una buona scusa per gli ubriachi. Del resto,
anche voi, scusate, non potete mettere in dubbio che Giosuè fermò il Sole. Ma
lasciamo star questo. Io dico che quando la Terra non girava, e l’uomo, vestito
da greco o da romano, vi faceva così bella figura e così altamente sentiva di sé
e tanto si compiaceva della propria dignità,… [omissis] … Siamo o non siamo
su un’invisibile trottolina, cui fa da ferza un fil di Sole, su un granellino di
sabbia impazzito che gira e gira e gira, senza saper perché, senza pervenir mai
a destino? Come se ci provasse gusto a girar così, per farci sentire ora un po’
caldo, ora un po’ freddo, e per farci morire – spesso con la coscienza d’aver
commesso una sequela di piccole sciocchezze – dopo cinquanta o sessanta
giri? Copernico, Copernico, don Eligio mio, ha rovinato l’umanità,
irrimediabilmente. Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova
concezione dell’infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente
nell’Universo, con tutte le nostre belle scoperte ed invenzioni …
20
Appendice 2: Esperienza del pendolo conico di Hooke
Hooke aveva osservato che in un pendolo conico (un peso puntiforme p, legato
con un filo inestendibile ad un punto fisso, non vincolato ad un piano, che
descrive un cerchio), fissata la lunghezza del
filo l, il periodo di rotazione T non dipende
dal raggio della traiettoria, quantomeno, con
α
riferimento alla figura, per piccoli valori
dell’angolo α, per i quali seno e tangente si
confondono. Imprimendo maggiore velocità
alla massa aumenta il raggio del cerchio
l
descritto ma resta costante il periodo di
rotazione.
Se invece si varia la lunghezza del filo, a
parità del raggio del cerchio descritto, varia
il periodo, essendo il suo quadrato proporFf
Fc
r
zionale a l:
T2 = K . l
p
Peraltro era noto che la forza con la quale il
peso è attratto verso il centro è (sempre per
piccoli valori dell’angolo α) proporzionale al raggio r:
Fc = p . tg α
p . r / l = K’ . r / T2
Una forza uguale e contraria deve consentire al peso di mantenersi sulla traiettoria
senza raggiungere il centro: la forza centrifuga Ff, che, per quanto osservato, deve
essere proporzionale al raggio ed inversamente proporzionale al quadrato del
tempo di rivoluzione.
21
Appendice 3
Una ellissi di asse maggiore a ed asse minore b ha equazione canonica:
x2 + y2 = 1
a2
b2
y
da cui:
+a
-a
2
y = b . 1 – x2
a
x
L’area dell’intera ellissi
per la simmetria della
figura è il doppio della
parte superiore che può
essere calcolata con l’integrale :
+a
+1
1 – t2 dt
A = 2 y dx = 2 a b
-a
-1
avendo posto t = x/a, da cui dx = a dt. Ponendo ancora: t = sen u, da cui
1 – t2 = cos u quindi dt = cos u du, l’integrale diventa :
+π/2
+1
+π/2
1 – t2 dt = cos2 u du =
-π/2
-1
-π/2
+π/2
=
1
2
du +
-π/2
1 + cos 2u du =
2
+π/2
1
2
cos 2u du =
-π/2
π
2
essendo nullo il secondo integrale perché esteso ad un intero periodo di una
funzione periodica. In definitiva:
A = abπ
22
Appendice 4: Prospetto riassuntivo del SISTEMA SOLARE
Masse
Dimensioni (medie)
Sole: 2 . 1030 Kg
R = 695 . 106 m
24
r = 6,37 . 106 m
22
ρ = 1,74 . 106 m
Terra: 5,97 10 Kg
Luna: 7,34 10 Kg
Tempi della Terra
Sole
TR = 3.156 . 107 s
Distanze (medie)
.
9
D = 149 10 m
.
Tr = 8.64 . 104 s
R
6
d = 384 10 m
Tempi della Luna
TR = Tr = 2.36 . 104 s
D
Luna
Angoli
α = 23° 26’ 32”
Terra
β = 5° 8’ 30”
r
d
Asse di rotazione terrestre
Piano dell’
orbita lunare
Piano dell’orbita terrestre
α
β
Kepler.doc
23