Manuale di Chirurgia
Giorgio Pasquini, Rossella Campa, Maurizio D’Ambrosio, Giacomo Leonardo
© 2012 – The McGraw-Hill Companies srl
CAPITOLO 12 MALATTIE TROPICALI
A.M. Angelici
12.1 Introduzione
I Paesi della fascia tropicale, quella zona ampia di mondo compresa tra il Tropico del Cancro a
Nord e il tropico del Capricorno a Sud dell’Equatore, pur nella profonda differenza geografica,
sono accomunati da elementi di ordine climatico, sociale, economico e culturale che li rendono
peculiari e diversi dagli altri del globo.
Sono nella grande maggioranza Paesi a basso reddito, con grandi sacche di povertà che rendono
difficile la vita, soprattutto nelle aree rurali o comunque lontane dalle grandi città. La sanità
rappresenta certamente una discriminante importante, sia per il tipo di patologie esistenti che per
le ridotte risorse assistenziali; la povertà e la ridotta scolarità rappresentano ulteriori elementi di
disagio.
Non a caso la maggioranza dei Paesi di questa vasta area geografica sono definiti Paesi in via di
sviluppo (PVS) o più elegantemente Paesi a risorse limitate.
La percezione della malattia può essere fortemente influenzata da elementi sociali, culturali, talora
religiosi: il ricorso alla medicina tradizionale rappresenta per esempio una costante che, insieme
con le difficili comunicazioni con i centri di cura e le difficoltà economiche, causano gravi e talora
fatali ritardi nella diagnosi delle condizioni patologiche.
Il paziente che arriva in Ospedale ha spesso viaggiato a lungo su strade impervie, talora percorribili
solo a dorso di animale, dopo giorni di attesa di un improbabile miglioramento.
La rete ospedaliera dei PVS è dappertutto organizzata secondo lo stesso modello: piccoli centri di
sanità nei piccoli villaggi, ospedali rurali nei villaggi più grandi, ospedali di distretto nelle città,
ospedali di riferimento, in genere uno solo in capitale, talvolta anche nelle città più grandi o
politicamente rilevanti. A questa classificazione corrisponde una rigida attribuzione di compiti
assistenziali, condizionati anche dalla presenza del personale sanitario: nei villaggi sono infatti
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presenti solo “agenti sanitari”, non infermieri, istruiti a curare poche malattie fortemente incidenti:
la malaria, la diarrea, patologie respiratorie semplici. L’ospedale rurale è gestito da infermieri,
consente brevi periodi di ospedalizzazione per patologie semplici, esegue medicazioni e interventi
chirurgici di superficie, di tipo ambulatoriale. In genere è presente un’ostetrica per l’assistenza al
parto fisiologico. Nell’Ospedale di distretto compare la figura del medico che, in giorni stabiliti, è
presente per le consultazioni e per interventi chirurgici minori: il taglio cesareo, lo strozzamento
erniario, la riduzione di fratture; la continuità assistenziale viene garantita dalla presenza del medical
assistant figura professionale intermedia della quale non esiste l’equivalente nel nostro sistema
ospedaliero, in grado di gestire malattie di media gravità, anche con pazienti ospedalizzati, e una
attività chirurgica di base. I pazienti più gravi vengono invece inviati, o raggiungono direttamente,
l’Ospedale di riferimento, dove la struttura più grande e la presenza di reparti specialistici
consentono di curare anche le patologie maggiori.
Nei PVS la sanità non è gratuita e il paziente paga buona parte dei presidi farmaceutici e chirurgici:
non è raro osservare i parenti di un paziente che debba essere operato, che si recano in farmacia
ad acquistare gli antibiotici, le soluzioni da infondere, i guanti chirurgici.
Anche questa parcellizzazione delle competenze sanitarie, sparse su territori vasti e poco collegati,
la mancanza di campagne di sensibilizzazione sanitaria, sempre difficili, la cultura tradizionale
comunque prevalente, rappresentano un freno oggettivo allo sviluppo di una coscienza sanitaria da
parte della popolazione. Tutte le considerazioni fatte portano alla stessa conseguenza: drammatici
ritardi nella cura che trasformano malattie facilmente trattabili e curabili nei Paesi del Nord del
mondo, in disastri non gestibili e dalle conseguenze mortali o altamente invalidanti.
Si pensi per esempio quali gravi conseguenze abbia il ritardo della cura nelle patologie ostetriche,
causa non solo di elevata mortalità materna e neonatale, ma anche di grave o gravissima sofferenza
fetale e di danno altrettanto grave per l’apparato riproduttivo della donna (fistole vescica-vaginali).
Il clima tropicale caldo umido di per se facilita lo sviluppo e la crescita di parassiti e dei vettori di
malattie trasmissibili, anche all’interno delle stesse abitazioni (malaria, parassitosi intestinali); la
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malnutrizione causata dalla povertà e l’igiene spesso carente anche per la scarsa disponibilità di
acqua sono anch’esse elementi che facilitano l’insorgenza di malattie scomparse o comunque
controllabili in altre parti del mondo (tubercolosi, lebbra).
12.2 Le malattie tropicali chirurgiche
Le patologie chirurgiche peculiari all’ambiente tropicale sono in realtà poche; sono invece
numerose e sempre gravi le complicanze di patologie chirurgiche neglette, gestite con metodi
inappropriati o mal curate: le complicanze infettive ne sono la dimostrazione più grossolana con
conseguenze sempre devastanti.
Le perforazioni intestinali da tifo, i volvoli del colon da adenomesenteriti retraenti legate alle
parassitosi intestinali croniche, le grandi (spesso gigantesche) cisti parassitarie (echinococcosi), gli
ascessi e i flemmoni, le pelviperitoniti da malattie sessualmente trasmesse, gli ascessi tubercolari,
gli esiti della polio, le osteomieliti, sono tutte complicanze di malattie comuni, rese più gravi
dall’ambiente tropicale.
Esistono invece malattie di pertinenza chirurgica proprie dei Paesi tropicali: elencarle tutte sarebbe
di poca utilità e di competenza specialistica; ci limiteremo a citare alcune tra quelle di più frequente
riscontro.
12.2.1 Ulcera di Buruli
È un’infezione trasmessa dal mycobacterium Ulcerans, diffusa in modo prevalente in Africa
occidentale e centrale, in alcune aree del Sud America, in Australia, e nelle regioni della Cina
centro-meridionale. Considerata dall’OMS tra le tredici gravi malattie tropicali neglette,
rappresenta, insieme con la tubercolosi e la lebbra, la manifestazione clinica più grave dell’infezione
da micobatterio.
La malattia è trasmessa attraverso il morso di cimici d’acqua infettate dal micobatterio che
colonizza, con modalità ancora non completamente chiarite, le acque stagnanti. È possibile che
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molluschi acquatici svolgano il ruolo di ospiti intermedi. Le ghiandole salivari della cimice
rappresentano il serbatoio del batterio che viene inoculato con la saliva dall’insetto al momento
del morso.
Il tempo di incubazione della malattia può variare da 4/6 settimane a 1/2 anni dal momento
dell’infezione; esordisce con un nodulo molle, mobile, non dolente, più frequentemente a carico
degli arti inferiori. Il batterio inoculato vive alla temperatura di 30-32 °C, caratteristica
dell’ipoderma, dove si moltiplica e produce una proteina tossica per i tessuti circostanti, ad azione
immunosoppressiva locale. A questo livello inizia la necrosi tissutale, favorito dalle condizioni
generali scadute nelle quali spesso si trova il paziente (malnutrizione, patologie croniche, HIV);
compare un’ulcerazione che non tende a guarire, ma che anzi si diffonde nei tessuti circostanti
anche in strati profondi, raggiungendo talora il piano osseo. Per motivi vari, non comprensione
della gravità della malattia, difficoltà economiche, trascuratezza, ricorso alla medicina tradizionale, il
paziente viene osservato sempre con grande ritardo rispetto all’esordio della sintomatologia. Il
trattamento farmacologico richiede lungo tempo per ottenere risultati, ed è necessario il ricorso
alla chirurgia per l’escissione dei tessuti necrotici e per la copertura delle ferite con trapianti di
cute. Purtroppo gli esiti cicatriziali della lesione ulcerata e degli eventuali trattamenti chirurgici,
esitano spesso in retrazioni cicatriziali deturpanti, causa di gravi limitazioni funzionali. Non è
infrequente, soprattutto nelle localizzazioni a carico delle gambe, la necessità di ricorrere
all’amputazione, con le conseguenze immaginabili.
La diagnosi è prevalentemente clinica per la tipicità delle lesioni; quando possibile è opportuna la
ricerca del batterio con la cultura del tessuto prelevato con biopsia; dirimente l’amplificazione
genetica (PCR) del materiale prelevato dall’ulcera (tecnica complicata e costosa).
La terapia è rappresentata da medicazioni, courettage dell’ulcera, innesti cutanei, farmaci
antitubercolari, eventuale amputazione dell’arto, fisioterapia riabilitativa per gli esiti funzionali.
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12.2.2 Schistosomiasi intestinale
Il parassita che la causa è lo Schistosoma mansoni (meno frequentemente le altre specie di questo
elminta) diffuso in tutta la fascia tropicale, in alcuni Paesi addirittura endemico. Esiste una
localizzazione vescicale della malattia, provocata dallo Schistosoma haematobium.
La Schistosomiasi, nelle varie manifestazioni, è considerata l’elmintiasi maggiormente diffusa
nell’uomo: stime dell’OMS valutano a circa 200 milioni il numero di individui infestati.
Il parassita penetra nell’organismo dell’uomo attraverso piccole soluzioni di continuo della cute,
dall’acqua dolce nella quale si riproduce dando origine alla cercaria, dopo che le sue uova vi sono
giunte per inquinamento fecale, eliminate da soggetti già infetti, trasportate dagli uccelli acquatici
che li eliminano a loro volta con le deiezioni. L’ospite intermedio è un mollusco d’acqua dolce nel
quale gli Schistosomi si riproducono e originano appunto le cercarie.
A seconda del tipo di Schistosoma, le cercarie, trasportate dalla circolazione sistemica, attraverso
il cuore destro e il circolo polmonare giungono al fegato, si sviluppano in vermi adulti e, attraverso
il circolo portale arrivano ai vasi del mesentere dove depositano le uova. Queste ultime
raggiungono la mucosa del tenue e del colon, dando origine a granulomi e a pseudopolipi ulcerati,
responsabili di quadri clinici di dolore addominale tanto grave da simulare un addome acuto, di
enterorragie severe, perforazioni intestinali, appendiciti acute, volvoli da adenomesenteriti
retraenti il colon, pseudotumori infiammatori. Assai frequentemente, per l’esposizione ripetuta
all’infezione, la malattia si cronicizza determinando invalidità fino alla morte del paziente.
La diagnosi della malattia è basata sulla ricerca delle uova del parassita nelle feci, la terapia è
farmacologica (praziquantel); fondamentali le campagne d’informazione sanitaria per la prevenzione
dell’esposizione al parassita.
La terapia chirurgica è riservata alle complicanze della schistosomiasi intestinale: le fistole, le
stenosi postgranulomi, le emorragie non altrimenti controllabili, le appendiciti acute, i volvoli del
colon, gli pseudotumori infiammatori.
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12.2.3 Miositi tropicali
Causate nella stragrande maggioranza dei casi (95-98%) dallo Stafilococco aureo; l’ascesso del
muscolo scheletrico si manifesta solo in ambiente tropicale e in pazienti autoctoni. Sono i grandi
muscoli degli arti, del gluteo e dell’addome, compreso lo psoas, a essere più frequentemente
coinvolti. La raccolta purulenta è sempre compresa tra le aponeurosi, determinando dolore e
impotenza funzionale che, nel caso dei muscoli della parete addominale può addirittura simulare un
addome acuto. Caratteristica, nel caso della miosite dello psoas, la posizione in flessione della
gamba omolaterale; le lesioni dei muscoli della nuca, per altro non frequenti, possono simulare la
rigidità nucale caratteristica della meningite. La febbre e l’impotenza funzionale sono sempre
presenti.
La diagnosi è in genere semplice, basata sulla valutazione clinica del paziente, e, se possibile,
suffragata da un esame ecografico. La terapia è chirurgica, e consiste nella incisione della fascia per
il drenaggio della raccolta purulenta. Nel caso dell’ascesso dello psoas l’accesso chirurgico deve
essere rigorosamente extraperitoneale.
È opportuna la terapia antibiotica. Non infrequenti le recidiva.
12.2.4 Splenomegalie tropicali
Con questo termine si identifica una sindrome caratterizzata dall’aumento di volume della milza
che può raggiungere dimensioni tali da occupare praticamente tutta la cavità addominale. Quadro
clinico presente in tutta la fascia dei Paesi tropicali, esprime la risposta dell’organo alle più diverse
noxae patogene. Tralasciando le cause di ipersplenismo che ben conosciamo, legate a malattie
neoplastiche, ematologiche, da deposito, la splenomegalia tropicale è la conseguenza di una
esposizione cronica alle parassitosi, le più varie.
La causa più frequente tra tutte è la malaria: in particolare l’infestazione da Plasmodium falciparum,
che stimola in maniera abnorme la linfocitosi con iperplasia delle cellule di Kupfer nel fegato e nella
milza, dei reticolociti e della componente stromale. Condizioni associate quali la gravidanza, la
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malnutrizione e l’infezione da HIV facilitano lo sviluppo della splenomegalia; alcune patologie
ematologiche eterozigoti (l’anemia falciforme), riducendo il rischio di infezione malarica, riducono
anche la frequenza della splenomegalia.
Altre cause di splenomegalia in ambiente tropicale sono la leishmaniosi, la schistosomiasi, la
tubercolosi, la trypanosomiasi.
In tutte queste condizioni la milza assume una consistenza nettamente aumentata, con incisure
palpabili, non dolente. Come detto le dimensioni possono essere tali da occupare tutto l’addome,
provocando dolore, stipsi, difficoltà digestive e respiratorie per il sollevamento dell’emidiaframma
sinistro; la rottura spontanea dell’organo è descritta nelle malarie croniche, seppure non
frequentemente.
Per molti anni è stata proposta la splenectomia, con l’intento soprattutto di prevenire la rottura
spontanea o traumatica dell’organo; in realtà studi più accurati hanno dimostrato che, nonostante
le dimensioni dell’organo, la rottura è un evento raro, tanto da non giustificare l’exeresi chirurgica
dell’organo. Al contrario la splenectomia è gravata da un’alta percentuale di sepsi, sempre gravi,
talora mortali.
Quando l’intervento non è eludibile, o per trauma, oppure perché la splenomegalia gigantesca
provoca altri disturbi o addirittura diventa un limite per la vita del paziente, è necessario eseguire
una accurata profilassi antibiotica e, se disponibile, la vaccinazione antipneumococcica; da tentare
sempre il reimpianto intra-operatorio di frammenti di polpa splenica con l’obiettivo, spesso
fruttuoso, di far sviluppare milze accessorie che in qualche modo riducono le conseguenze della
splenectomia.
12.2.5 Altre patologie tropicali di interesse chirurgico
Numerose sono le malattie che, anche se non di pertinenza strettamente chirurgica, manifestano
complicanze risolvibili solo chirurgicamente.
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Le perforazioni intestinali da malattie (la febbre tifoide, la tubercolosi intestinale, l’amebiasi,
l’actinomicosi ecc.) che, se curate in tempi appropriati si risolverebbero con la sola terapia medica.
trascurate si trasformano in vere e proprie emergenze chirurgiche, tanto più drammatiche per
quanto più il paziente è in condizioni generali scadute per patologie croniche associate.
Le lesioni muscolari da entrapment dei nervi motori nei pazienti malati di lebbra: la neurolisi,
intervento semplice che non necessita di strumentario complesso, è in grado di risolvere per
molto tempo il problema. Anche in questo caso è però necessario che il paziente giunga alla
osservazione e sia trattato prima che le lesioni si stabilizzino.
Anche gli esiti della poliomielite possono richiedere un trattamento chirurgico, finalizzato
all’allungamento dei tendini per consentire la protesizzazione articolare dei pazienti
Le lesioni da parto ostruito per disproporzione materno fetale costituiscono un capitolo
drammatico della patologia chirurgica tropicale, per le conseguenze immediate e per quelle a
distanza, a carico della madre e del feto.
Capitolo ormai relegato alla storia della medicina nei nostri Paesi, rimane di grande attualità nei
Paesi in via di sviluppo, conseguenza della mancanza di un sistema di individuazione delle gravidanze
a rischio, distribuito capillarmente sul territorio.
Le conseguenze dell’obstructed labour sono sempre gravissime: la sofferenza fetale che nei casi di
sopravvivenza del bambino può essere causa di danno cerebrale ma che più spesso ne provoca la
morte, i danni all’apparato riproduttivo della madre, causa di sterilità o di lesioni altamente
invalidanti (fistole vescico-vaginali).
Ancora una volta patologie croniche (la più frequente è la malnutrizione), la difficoltà a raggiungere
i centri di sanità, e soprattutto la mancanza di una sia pur elementare forma di medicina
preventiva, causano questi veri e propri, disperanti “disastri” ostetrici.
Le patologie descritte sono solo una piccola parte, seppur rappresentativa, delle malattie
etichettate, con termine accattivante, ma un po’ banalizzante e certamente riduttivo, di tropicali; e
la consapevolezza della loro esistenza è necessaria per tutti gli operatori sanitari, infermieri e
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medici, che, ciascuno nei settori di competenza se ne dovranno interessare. L’educazione sanitaria
e la prevenzione sono forse più importanti ancora della cura, sempre costosa e spesso non
risolutiva. La globalizzazione dovrebbe aver portato la consapevolezza che i problemi sanitari dei
Paesi a risorse limitate saranno sempre più problemi anche dei Paesi industrializzati, e che la loro
soluzione riconosce una sola possibilità: la lotta alla povertà e all’ignoranza, vere madri di ogni
disagio.
Riepilogo
Esistono malattie di pertinenza chirurgica proprie dei Paesi Tropicali, tra quelle di più frequente
riscontro troviamo le seguenti.
•
L’Ulcera di Buruli: infezione trasmessa dal Mycobacterium Ulcerans; essa rappresenta, insieme
alla tubercolosi e alla lebbra la manifestazione clinica più grave dell’infezione da
micobatterio; è trasmessa attraverso il morso di cimici d’acqua infettate dal micobatterio
che colonizza le acque stagnanti. Il tempo d’incubazione della malattia può variare da 4-6
settimane a 1-2 anni dal momento dell’infezione, esordisce con un nodulo molle, mobile,
non dolente, più frequentemente a carico degli arti inferiori, il batterio si moltiplica nel
punto d’inoculazione e produce una proteina tossica per i tessuti circostanti, ad azione
immunosoppressiva locale, a questo livello inizia la necrosi tissutale fino ad arrivare a una
retrazione cicatriziale deturpante, causa di gravi limitazioni funzionali; è necessario il
ricorso alla chirurgia per l’escissione dei tessuti necrotici e per la copertura delle ferite con
trapianti di cute.
•
Schistosomiasi intestinale: il parassita che la causa è lo Schistosoma mansoni, esso penetra
nell’organismo dell’uomo attraverso piccole soluzioni di continuo della cute, dall’acqua
dolce nella quale si riproduce dando origine alla cercaria, dopo che le sue uova vi sono
giunte per inquinamento fecale, eliminate da soggetti già infetti, trasportate dagli uccelli
acquatici che li eliminano a loro volta con le deiezioni. L’ospite intermedio è un mollusco
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d’acqua dolce: si sviluppano in vermi adulti e, attraverso il circolo portale arrivano ai vasi
del mesentere dove depositano le uova. Queste ultime raggiungono la mucosa del tenue e
del colon, dando origine a granulomi e a pseudopolipi ulcerati, responsabili di quadri clinici
di dolore addominale tanto grave da simulare un addome acuto, enterorragie severe,
perforazioni intestinali, appendiciti acute, volvoli da adenomesenteriti retraenti il colon,
pseudotumori infiammatori.
•
Miositi tropicali, causate nel 95-98% dei casi dallo Stafilococco aureo, l’ascesso del muscolo
scheletrico si manifesta solo in ambiente tropicale e in pazienti autoctoni. Sono più
frequentemente coinvolti i grandi muscoli degli arti, del gluteo e dell’addome, compreso lo
psoas. Portano alla formazione di una raccolta purulenta che è sempre compresa tra le
aponeurosi, determinando dolore e impotenza funzionale che, nel caso dei muscoli della
parete addominale può addirittura simulare un addome acuto.
•
Splenomegalia tropicale: conseguenza di un’esposizione cronica alle parassitosi; la causa più
frequente tra tutte è la malaria: in particolare l’infestazione da Plasmodium falciparum, che
stimola in maniera abnorme la linfocitosi con iperplasia delle cellule di Kupfer nel fegato e
nella milza, dei reticolociti e della componente stromale.
Bibliografia
Beltrami V., Galvagno G., Meo G., Chirurgia tropicale e dei paesi in via di sviluppo, Centro Scientifico
Torinese 1988.
Rafat K., Lumley J., Textbook of Tropical Surgery, Westminster Publishing Limited, 2004.
Albonico M., Savioli L., Confalonieri V., “Malattie dimenticate”, in Oisg, Salute globale e aiuti allo
sviluppo, Edizioni ETS, Pisa, 2008, pp. 306-314.