Approfondimento 24.2 La riduzione delle imposte nel Regno Unito

Approfondimento 24.2
La riduzione delle imposte nel
Regno Unito
L’evidenza del passato prima della
riforma Thatcher
Una minore aliquota fiscale marginale
induce le persone a sostituire il tempo libero
con il lavoro. Ma una riduzione
dell’imposizione fiscale consente anche un
maggior reddito disponibile. L’effetto reddito
può provocare un aumento del consumo e/o
una riduzione del tempo da dedicare al
lavoro. L’effetto combinato sul numero di ore
di lavoro è piccolo per coloro che stanno già
lavorando. Più importante è la decisione per
coloro che devono scegliere se lavorare o se
non lavorare del tutto, cioè se fare parte o
meno della forza lavoro. Nel Capitolo 11 si è
mostrato che Un maggior reddito disponibile
netto, per esempio derivante da una
riduzione delle aliquote fiscali, incoraggerà
un certo numero di persone a entrare a far
parte della forza lavoro, riducendo il peso e i
costi fissi associati al lavoro (spostamenti,
baby-sitter, rinuncia a un sussidio di
disoccupazione).
L’esperienza inglese aveva mostrato che
una riduzione dell’imposizione fiscale ha un
effetto quasi nullo sull’offerta di lavoro della
componente familiare che “porta a casa il
pane” ovvero di coloro che costituiscono la
prima fonte di sostentamento del nucleo
familiare degli uomini e delle donne single.
Tuttavia, nei nuclei familiari in cui entrambi i
coniugi desiderano lavorare, Per le donne
sposate, un maggior reddito disponibile
aveva invece incoraggiato la partecipazione
alla forza lavoro, ma solo di poco della
seconda componente del nucleo familiare,
superando, quindi, i costi fissi associati al
lavoro.
Il programma di Margaret Thatcher
Durante gli anni Ottanta, il Governo di
Margaret Thatcher ha intrapreso un
importante programma di riduzione e di
riforma delle imposte. L’esperienza più
rilevante con cui si è verificata l’efficacia della
politica relativa alla riduzione delle tasse è il
programma intrapreso negli anni Ottanta dal
Governo Thatcher. La soglia minima al di
sopra della quale andavano pagate le tasse
salì del 25%. L’aliquota media si ridusse dal
33 al 25% e quella massima dall’83 al 40%.
Molti politici erano ottimisti circa un rilevante
aumento dell’offerta di lavoro, mentre la
maggior parte degli economisti era
pessimista per l’evidenza empirica derivata
dal passato.
Gli effetti di questa riforma sono riassunti
nello studio di C. V. Brown, “The 1988 Tax
Cut, Work Incentives and Revenue”, in Fiscal
Studies, 1988. Brown osservò che l’aumento
della soglia minima aveva provocato un
aumento inferiore allo 0,5% dell’offerta di
lavoro. La riduzione dell’aliquota fiscale
media non aveva avuto praticamente alcun
effetto. Il rilevante taglio nelle aliquote
marginali dei cittadini più ricchi aveva avuto
un piccolo effetto in termini di ore aggiuntive
di lavoro. L’evidenza del passato era stata
ben confermata anche da questa riforma
fiscale.
Le implicazioni per il programma
“New Labour”
Tra il 1997 e il 2001, Gordon Brown ha
intrapreso un programma di moderato
aumento delle tasse per aiutare le
classi sociali più povere e incrementare i
finanziamenti destinati ai servizi pubblici. Per
non spaventare eccessivamente la classe
media, tuttavia, il Governo ha effettuato
incrementi moderati delle tasse, questi
incrementi furono anche definiti “tasse
furtive”. Né la teoria né l’evidenza empirica
del passato suggeriscono che questa
manovra avrà un effetto rilevante in termini di
incentivazione dell’offerta di lavoro. La
questione dell’aumento delle tasse non è un
problema di natura economica, ma politica.
Come si è visto in Figura 24.4 l’equilibrio di
disoccupazione in seguito è rimasto
sostanzialmente basso.
Sarebbe interessante osservare se alcuni
aggiustamenti repentini del mercato del
lavoro resi necessari dalla crisi finanziaria e
dal successivo periodo di austerità,
comportino un incremento dell’equilibrio di
disoccupazione, per esempio a causa del
fatto che la composizione della domanda in
questa situazione economica richiede nuove
capacità professionali, come è accaduto nel
Regno Unito, in cui si è verificata una
riduzione delle attività che non richiedono
una specializzazione e la crescita della
domanda di nuove tipologie di servizi e di
nuove tipologie di competenze professionali.
È molto probabile che in conseguenza di
questo fatto si verificherebbero periodi di
disoccupazione strutturale.
Economia 4/ed David Begg, Gianluigi Vernasca, Stanley Fischer, Rudiger Dornbusch © 2011, McGraw-Hill
Approfondimento 24.3
La regolamentazione del mercato
del lavoro e la discussione della
Commissione dell’Unione Europea
Il Financial Times dell’8 novembre 1996 ha
riportato la notizia di una piccola spaccatura,
in seno alla Commissione dell’Unione
Europea, a proposito del ruolo della
regolamentazione nel mercato del lavoro e
della scelta di pubblicare i due grafici riportati
di seguito (e che allora non furono
pubblicati). Un gruppo di persone sosteneva
che una riduzione della regolamentazione nei
mercati del lavoro avrebbe giovato
all’occupazione in ambito UE. I sostenitori di
questa opinione desideravano che i due
grafici venissero pubblicati in un rapporto
della stessa Commissione. Un altro gruppo di
persone sosteneva, invece, che non fosse
pacifico il legame regolamentazione
occupazione e che perciò la pubblicazione di
questi due grafici potesse essere fuorviante.
Il primo grafico mostra, per 14 Paesi membri
della UE, la correlazione tra il grado
di regolamentazione del mercato del lavoro e
il tasso di occupazione (percentuale della
forza lavoro effettivamente occupata). Il
secondo grafico invece mostra, per alcuni
Paesi dell’OECD, la correlazione tra il tasso
di occupazione e il costo del licenziamento di
un lavoratore. I grafici mostrano che
un’elevata regolamentazione e un alto costo
associato ai licenziamenti sono entrambi
associati a un basso livello di occupazione.
Se la correlazione fosse accompagnata
anche da un legame di causalità, dovremmo
allora propendere per una maggior
deregolamentazione del mercato del lavoro.
Si supponga di volere continuare a
sostenere la necessità di una
regolamentazione nel mercato del lavoro.
Da dove si vuole cominciare? Si sa che, se il
mercato del lavoro funzionasse
perfettamente, non vi sarebbe alcun bisogno
di un intervento, e che una regolamentazione
si rivela efficace solo per compensare
fallimenti del mercato e ricondurre a una
maggiore efficienza. I Paesi con i maggiori
fallimenti dovrebbero essere quelli con il
minor tasso di occupazione e dunque per
questi sarebbe necessaria una maggior
regolamentazione. Naturalmente, per essere
convincenti, si dovrebbero identificare con
precisione di quali fallimenti si stia parlando
(potere di mercato delle grandi imprese,
esternalità nella formazione ecc.) e spiegare
il perché alcune regolamentazioni comportino
miglioramenti e non peggioramenti. Non è
detto che tutti possano essere in grado di
spiegare questo. Il dibattito sulla
regolamentazione del mercato del lavoro in
Europa continua…
Fonte: Financial Times, 8 novembre 1996.
Approfondimento 24.6
Economicamente inattivi
“Le economie c. d. ‘ricche’ del terzo millennio
stanno riprendendosi dall’ennesimo flop e il
tasso di disoccupazione sta
progressivamente aumentando...
Tuttavia, l’obiettivo delle politiche
economiche non è più soltanto quello di
ridurre la disoccupazione, bensì anche quello
di aumentare la ‘nuova’ occupazione.
I disoccupati desiderano appartenere alla
forza lavoro e cercano, attivamente, di farne
parte. Tuttavia, esistono persone, le c. d.
economicamente inattive, che non hanno un
lavoro e, talora, nemmeno lo cercano
– casalinghe, studenti, diversamente abili
ecc. – Le politiche per l’impiego cercano, tra
l’altro, di incrementare le opportunità di
lavoro per coloro che sono in età da lavoro,
incentivando gli ‘economicamente inattivi’!”
(The Economist, 18 settembre 2003).
I Paesi OCSE contano una serie di
politiche di incentivazione agli
“economicamente inattivi”: riduzione dei costi
per le imprese, con una serie di agevolazioni
come la riduzione dei contributi pensionistici;
aiuti familiari soprattutto con riferimento alla
flessibilità dei ruoli parentali; riduzione dei
sussidi alla disoccupazione come stimolo alla
ricerca di un lavoro.
Talune volte, tuttavia, tali politiche sono
poco sistemiche e non stimolano le
eccellenze a rimanere nella forza lavoro! Nel
Regno Unito molti professori si ritirano dal
lavoro con baby pensioni, diventando
economicamente inattivi. Forse, sarebbe
necessario adottare un approccio un po’ più
olistico nelle politiche per l’impiego.
Economia 4/ed David Begg, Gianluigi Vernasca, Stanley Fischer, Rudiger Dornbusch © 2011, McGraw-Hill
Economia 4/ed David Begg, Gianluigi Vernasca, Stanley Fischer, Rudiger Dornbusch © 2011, McGraw-Hill