1 Francesca Osnato IL SOGGETTO PRECIPITATO (NELLA RETE). Comunicazione e relazioni nel network sociale. Francesca Osnato IL SOGGETTO PRECIPITATO (NELLA RETE). Comunicazione e relazioni nel network sociale. 2 1. Premessa 2. Genesi del concetto di rete. Dal centro alla rete: la nuova epistemologia. 2.1. Thomas Khun e il concetto di paradigma. 2.2. Il pensiero sistemico. 2.3. L’epistemologia di Bateson. 3. Effetti di connessione: l’esperienza relazionale nella definizione dei soggetti. 3.1. La biologia al centro della vita. 3.2. Differenziazione e riconoscimento nella psicoanalisi postfreudiana. 3.3. La sociologia tra le reti della società: N. Elias, P. Bourdieu, la Network Analysis, N. Luhmann. 4. Soggetti occidentali ricreati e dispersi. 4.1. L’evoluzione della personalizzazione in Occidente. 4.2. Il soggetto “decentrato”: l’identità come costruzione sociale. 4.3. Autore e lettore: autorità ed interpretazione. 5. Il network sociale. L’esperienza della rete nella comunicazione sociale. 5.1. L’identità bio-tecnologica nell’era di Internet. 5.2. The computer mediated communication. 5.3. Ambivalenza della rete: nuovi attori, nuove parti. 6. Conclusioni. L’Umanità squalificata: Teoria e politica di rete. Riassunto (Summary) Bibliografia Francesca Osnato IL SOGGETTO PRECIPITATO (NELLA RETE). Comunicazione e relazioni nel network sociale. 3 A mio parere, il mondo è costituito da una rete (più che da una catena) assai complessa di entità che hanno tra loro relazioni di questo tipo, con una differenza: molte di queste entità hanno provviste proprie di energia e forse anche idee proprie su dove vorrebbero dirigersi. Gregory Bateson, 19591 1. Premessa Nei primi decenni del ventesimo secolo si è strutturata una nuova capacità di pensiero, uno schema mentale multidisciplinare informato da una nuova logica. Si può forse parlare di un significativo cambio di Paradigma, una perturbazione epistemologica (se non proprio una rivoluzione copernicana) nel segno della complessità e dell’attenzione sistemica. Il pensiero analitico cartesiano ed il meccanicismo di Newton viene sostituito dall’idea del mondo come insieme integrato, come un campo di sviluppo di connessioni, relazioni, contesti e trame semantiche. Generatosi nella comunità scientifica dei biologi organicisti e dei fisici quantistici, questo Zeitgeist olistico si è diffuso con esiti importanti nelle varie discipline scientifiche e con approcci più o meno strutturati nell’area umanistica. L’affermazione di conclusioni condivise dall’ambiente scientifico e l’articolarsi di concetti, valori, percezioni e comportamenti partecipi del sistema sociale hanno generato una nuova visione della realtà. Se la Scienza mantiene un certo distanziamento temporale e concettuale rispetto allo spazio sociale, tra le due sfere permane comunque uno scambio osmotico2. Così l’affermazione del nuovo modello ha coinvolto successivamente anche la comunità sociale, provocando un mutamento nell’organizzazione sociale “dalle gerarchie alle reti”. 1 Bateson, 1972, 244 e seg. Il rapporto fra scienza e società è oggetto di studio della sociologia della conoscenza. Le analisi più recenti (e più contestate dalla scienza ufficiale) coinvolgono sia i meccanismi di affermazione delle scoperte scientifiche sia l’immaginazione scientifica. Cfr. Bloor (1994) e Latour (1986). 2 4 Il passaggio da una concezione meccanicistica ad una sistemica è stato un cambiamento lento, discontinuo e certamente avversato da tensioni contrarie, ma ha creato nel tempo un concetto (quello di rete), forte ed organico. L’atto finale di questa creazione è stata l’oggettivazione di un orientamento epistemologico in realtà informatica. Non è, forse, un caso la “fortuna di Internet”; qualcosa ne ha creato le basi, le condizioni di esistenza. Questa struttura generativa ha una consistenza scientifica secolare, ed Internet è solo l’ultimo sviluppo di un pensiero integrato. La rete è il simbolo di connessione tra i fenomeni della scienza, parola d’accesso alla nuove tecnologie e sistema di comunicazione sociale. Il nuovo interesse nei confronti di una realtà non più univoca, ma intrecciata da fili multicolore, ha comportato un mutamento di prospettiva nella ricerca delle singole discipline scientifiche ed umanistiche, con consapevolezza e risultati molto diversi fra loro. 2. Genesi del concetto di rete. Dal centro alla rete: la nuova epistemologia. L’essere umano ha sempre dato forma al proprio sapere secondo una struttura fortemente centripeta. Il sistema della conoscenza rispecchia così temi, valori, simboli e tensioni generate dai “miti” della società stessa; i miti organizzano il sapere in forme riconoscibili. I grandi “Libri” che raccontano i fondamenti etici e gnoseologici delle società caratterizzate da un principio di riferimento (un tempo quasi esclusivamente religioso) erano il centro della conoscenza e dell’azione3. Nelle società cristiane Dio era il riferimento privilegiato mentre in quelle laiche ed atee il principio centripeto si esprimeva attraverso i concetti di Ragione, Idea, Spirito, Materia. Nell’ultimo secolo è emersa una nuova tendenza, a-centrata e reticolare: la scienza ed il sapere si sviluppano secondo trame tessute da più fili, ai centri si sono sostituiti nodi e collegamenti tra livelli. La 3 “Dire che nelle organizzazioni del sapere, fino ad ieri, si è avuto un forte contenuto ideologico significa non soltanto criticare che il loro nucleo deriva da questo o quel “Libro”quanto dal fatto che, appunto, esse hanno un nucleo, un centro. E’ dunque inevitabile che la struttura organizzativa che ne deriva sia a sua volta anch’essa centrata”, Romano, 1981, 2. 5 scienza ha sciolto le gerarchie tra le diverse discipline in percorsi senza precedenze4. Le categorie delle discipline non si riferiscono più ai concetti di centro e di necessità (o non solo) ma parlano di caso e di strutture decentrate. “Cercare di organizzare il sapere, oggi, non è altro che un modo di partecipare all’evoluzione stessa del sapere”5, l’organizzazione del sapere è diventata una fase euristica, è ricerca e formazione. Classificare significa, kantianamente, pensare. Quando le classificazioni non si riferiscono più ad un solo elemento ma ad una classe di relazioni fra elementi, allora classificare, ordinare, significa auto-produrre sapere. Ogni nuova classificazione dis-organizza il sapere precedente, esso diventa una “rete di modelli6. I modelli riproducono solo alcuni aspetti della realtà. Le teorie scientifiche si possono considerare come dei “generatori di modelli” perché selezionano archetipi adatti alla teoria stessa. Così, ad esempio, la meccanica newtoniana ha generato per due secoli solo modelli che rispondevano ai suoi principi fondamentali. La scienza7 è quindi da considerarsi come una “rete di modelli e di nodi semantici”, i cui percorsi sono dei centri di collegamento tra variabili e leggi specifiche (locali). Il nuovo concetto di sapere e di scienza elimina quindi (o riduce) i concetti di: centralità, gerarchia, prevedibilità. Secondo questo modello, quindi il sapere non procede per “accumulazione stratificata”8, ma per strappi e lacerazioni rivoluzionarie. Il sapere acquista la libertà di percorsi senza puntelli. 2.1. T. Kuhn ed il concetto di paradigma. Platone descrive nel Timeo9 il Demiurgo che crea il cosmo sensibile sulla base di un modello eterno, identico a se stesso; “la nozione di modello viene allora applicata non più al riferimento che 4 Le gerarchie tra le varie discipline erano causate non tanto da “un’oggettiva priorità di una sull’altra quanto -dalla- necessaria derivazione dell’idea di un centro, poiché chi dice centro dice inevitabilmente periferia e dunque struttura arborea, gerarchizzata”, Romano, cit., 3. 5 Romano, cit., 4. 6 Romano, cit., 5. 7 La scienza qui è intesa nella sua dimensione storica e sociale, ossia come una forma di organizzazione del sapere che muta nella direzione della storia. 8 Romano, cit., 7. 9 Platone, 1994, 28 b 5-29 b 4. 6 viene copiato, ma al risultato di quest’azione di copia”10. Da tale concetto deriva il “moderno” paradigma con il quale Kuhn identifica quelle “conquiste scientifiche riconosciute, le quali, per un certo periodo, forniscono un modello di problemi e soluzioni accettabili a coloro che praticano un certo campo di ricerca”11. I modelli o i paradigmi si sostituiscono nel tempo quando quello in vigore non è più in grado di rispondere ai problemi della scienza. La scoperta dell’invalidità di un paradigma genera nuove ricerche, interpretazioni, e quindi nuovi paradigmi, ma il passaggio è ogni volta una vera rivoluzione. La complessità dell’esperienza genera l’imprevedibilità della conoscenza12: nelle teorie scientifiche non esiste successione determinabile a priori. Si può tuttavia accettare l’assunto kuhniano che ogni singola scienza si sviluppi secondo fasi di continuità (o di “scienza normale”), dove la conoscenza integra se stessa secondo un criterio cumulativo, e fasi di rottura della continuità. Nelle prime fasi lo scienziato gestisce le sue ricerche a partire da una “concezione del mondo” specifica della disciplina stessa, egli si rifà ad un “paradigma scientifico” dotato di assunti teorici di fondo, problemi e metodi ritenuti validi dalla comunità scientifica (e formalizzati in testi e manuali). I paradigmi si affermano per la loro funzionalità e capacità di risoluzione dei problemi e l’inerzia che li accompagna nella storia della scienza è dovuta alla fiducia in essi ed all’accettazione (più o meno consapevole) della comunità scientifica. Così, quando si verificano le "anomalie" (o contraddizioni) che il paradigma non riesce a spiegare, allora si apre una fase di crisi. La sostituzione di un paradigma non è, però, un’operazione indolore; la scienza normale tenderà ad estendere e adattare il paradigma secondo un certo grado di elasticità. La sostituzione teorica può non essere totale ma questa fase di rottura è sicuramente un momento di discontinuità, al quale segue una nuova fase di stabilità. Un classico esempio di rivoluzione scientifica è la “rivoluzione copernicana”: il passaggio dalla visione geocentrica a quella eliocentrica ha infranto un impianto logico secolare13. 10 Platone, cit., 13. Kuhn, 1978, 10. 12 Cfr. Popper, 1972. 13 La teoria del cambiamento scientifico si accompagna a quella dell’incommensurabilità “secondo la quale i sostenitori di teorie scientifiche diverse, esempio quella newtoniana e quella einsteniana, parlano lingue che abitano mondi 11 7 La possibilità di una scoperta scientifica14 è legata al pensiero dominante all’interno della comunità di ricerca, esistono dei presupposti (temporali, spaziali, teorici e pratici) che condizionano gli sviluppi della ricerca stessa. Condividere lo stesso “sguardo scientifico” sulla realtà significa riferirsi a rappresentazioni e stili cognitivi comuni. L’antropologa (neo-durkheimiana) Mary Douglas ha teorizzato15 l’esistenza di un processo cognitivo sovrapersonale a base di ogni sistema sociale; questo pensiero sociale è organizzato come un sistema di credenze che legittima le istituzioni e “controlla” il pensiero individuale. Mary Douglas sostiene che “i concetti sono (..) rappresentazioni collettive”16, ossia rispondono ad un sistema cognitivo comune, socialmente condizionato ed a sostegno di tale assunto riprende le posizioni di Fleck e di Kuhn. La verità della scienza è contestuale, storica e sociale; ciò non toglie validità alla scienza, ma ne conferma la dimensione storica. La conoscenza “è l’attività dell’uomo sottoposta al massimo condizionamento sociale e la conoscenza è la struttura sociale per eccellenza”17. Non esiste realtà oggettiva assoluta, essa risponde agli schemi concettuali di un collettivo di pensiero. Una volta stabilito il carattere sociale della conoscenza, si può analizzare la storia della scienza con occhi diversi, seguendo il corso dei paradigmi che in essa si susseguono e ricercando in questi un valore sociale. 2.2. Il pensiero sistemico Il Pensiero Sistemico esprime una concezione intellettuale olistica, attenta al significato del contesto e del processo. Pensare in modo sistemico significa comprendere un fenomeno inserendolo nel contesto di un insieme più vasto. concettualmente diversi e in parte intraducibili”, Massarenti, Sole 24 Ore”, 13 Giugno 1999, n°160, p.29. 14 Anteriormente a Kuhn, anche Fleck aveva ricostruito la storia delle teorie scientifiche (tra XV e XX sec) facendo riferimento all’emergenza di un collettivo di pensiero. L’esempio addotto è la scoperta della reazione Wasselman per combattere la sifilide. Cfr. Fleck, 1935. 15 Cfr. Douglas, 1990. 16 Douglas, cit., 14. 17 Fleck, 1935, 101. 8 Le prime “riflessioni sistemiche” nacquero all’inizio del Novecento dai biologi organicisti, che consideravano la loro scuola di pensiero come una terza via alternativa al meccanicismo e al vitalismo. Essi spiegavano l’organismo partendo dal concetto di “rapporti organizzanti”, ossia considerando gli schemi di relazioni insiti nella struttura fisica dell’organismo. Oggi si è perfezionato il concetto di organizzazione e si preferisce parlare di autoorganizzazione come principio essenziale della vita. Lawrence Henderson fu il primo ad utilizzare il termine “sistema” per indicare sia gli organismi viventi sia i sistemi sociali, mentre altri biologi sottolinearono la natura gerarchica dell’organismo vivente, ossia la “tendenza a formare strutture a più livelli di sistemi dentro sistemi. Ognuno di questi forma un tutto rispetto alle sue parti, mentre allo stesso tempo è parte di un tutto più ampio”.18 Le concezioni sistemiche hanno innovato profondamente il pensiero scientifico occidentale, mettendo in discussione la possibilità di comprendere i sistemi per mezzo dell’analisi e sostenendo che le proprietà delle parti possono essere decifrate solo analizzando quelle del sistema. La ricerca scientifica s’interroga sui principi di organizzazione fondamentali, sul contesto dei fenomeni. La nuova consapevolezza dei sistemi come “insiemi integrati” provocò una vera rivoluzione anche nella fisica, dove negli anni Venti la teoria dei quanti dimostrò che “a livello subatomico gli oggetti materiali solidi della fisica classica si dissolvono in schemi ondulatori di probabilità”19. Studiando gli atomi e le particelle subatomiche non troviamo parti isolate, ma una trama complessa di interconnessioni20. Nella meccanica quantistica il tutto determina il comportamento delle parti. Nella Germania degli anni Venti, durante la Repubblica di Weimar, sia la biologia organismica sia la recente psicologia della forma teorizzarono nuovi sistemi interpretativi contro la crescente frammentazione umana. Nel campo della psicologia la restrutturazione epistemologica comportò la teoria della Gestalt (o della “forma organica”, contrapposta alla Form, che indica la foggia inanimata) e contribuì 18 Capra, 1998, 39. Capra, cit., 41 20 Donde il pensiero di Werner Heisenberg: “Il mondo appare così come un complicato tessuto di eventi, in cui rapporti di diversi tipi si alternano, si sovrappongono o si combinano, determinando in tal modo la struttura del tutto”, Capra, cit., 41. 19 9 così al dibattito fra i biologi organicisti sulla definizione della “forma organica” stessa. Già alla fine dell’Ottocento il filosofo tedesco Christian Von Ehrenfels aveva concepito per primo il termine Gestalt ad intendere uno “schema non riducibile di percezione”21, ossia un tutto che non si può ridurre alla somma delle parti. La Gestaltpsychologie (o psicologia della forma) ribadisce, infatti, detta impossibilità di ridurre il tutto alle sue parti. Max Werthaimer e Wolfang Kohler sostennero che la percezione degli organismi viventi identifica le cose come strutture (patterns) integrate e totalità organizzate, essendo le singole parti prive delle qualità della struttura nella sua interezza. Questa teoria ebbe sviluppi importanti nel campo dell’apprendimento e nello studio delle associazioni22. Sviluppi seguenti del pensiero sistemico si ebbero con la nascita della scienza dell’Ecologia e con la Teoria Generale dei Sistemi. L’Ecologia (dal greco oikos, dimora) nacque nel diciannovesimo secolo dagli studi dei biologi organicisti sulle comunità di organismi. Essa studia le relazioni che connettono fra loro gli abitanti della terra. Fu il biologo tedesco Ernest Haekel a coniare nel 1866 il termine appunto di Ecologia, definendola come “la scienza delle relazioni fra l’organismo ed il mondo esterno circostante”23. In seguito: vennero introdotti i concetti di catene e di cicli alimentari, considerando l’alimentazione come il principio portante di ogni organizzazione di comunità biologiche; l’inglese A. G. Tansley parlò di “ecosistema” per descrivere le comunità animali e vegetali; il geologo austriaco Eduard Suess coniò, alla fine del diciannovesimo secolo, il termine “biosfera” per indicare lo strato di vita che circonda la Terra; infine, negli anni settanta, James Lovelock e Lynn Margulis svilupparono “l’ipotesi Gaia”, secondo la quale la terra è globalmente un sistema vivente auto-organizzantesi24. Gli ecologi introdussero i concetti di “comunità” e di “rete”. La scienza dell’ecologia pensò la 21 Capra, cit., 43. Negli anni Sessanta dalla Gestalt derivò anche una scuola corrispondente di psicoterapia che tende ad armonizzare le esperienze personali in un insieme integrato. 23 Capra, cit., 44. 24 L’ipotesi Gaia, in altri termini, ha definito una nuova forma di adattamento reciproco tra ambiente ed organismi, ritenendo l’ambiente stesso plasmato da una rete di sistemi viventi capaci di adattamento e creatività. 22 10 comunità ecologica come “unione di organismi, legati in un tutto funzionale dalle loro relazioni reciproche”25. Il concetto di rete veniva così sviluppato nell’ecologia, mentre i sistemici adoperarono modelli di rete nello studio di tutti i livelli del sistema e per spiegare la natura stessa della vita. Se gli organismi sono reti di cellule e di organi e di sistemi di organi, gli ecosistemi sono reti di organismi individuali. 2.3. L’epistemologia di Bateson. Questo spirito di connessione è ben rappresentato dalla figura di Gregory Bateson26, uno scienziato che ha combattuto contro la tendenza alla reificazione scientifica della realtà. Egli ha teorizzato il concetto di “Ecologia della mente”27, un sistema interconnesso che lega insieme il mondo creaturale sulla base di alcuni principi comuni alle menti. Bateson contesta l’assolutezza del sapere oggettivo della scienza post-cartesiana28, dove “l’uomo, che si pensava come soggetto, aveva di fronte a sé il mondo oggettivato, risolto cioè in ob-jectum in ciòche-sta-di-fronte al suo sguardo matematico”29; il sapere diventa un sistema che si può indagare solo con uno sguardo “olistico”, ossia attento al “tutto” (olos), alle relazioni (più che alle semplici successioni di causa-effetto). Le teorie di Bateson interpretano il senso della ricerca di una connessione profonda nel mondo vivente, ossia l’osservazione di una rete di strutture che danno significato all’esperienza dei soggetti. La vita è descrivibile come un sistema di reti avviluppate fra di loro, dove ogni creatura è un sistema organizzato in forma di rete che si sviluppa secondo le direzioni complesse della coevoluzione. Questa 25 Lovelock, cit., 45. Oggi si considerano la maggioranza degli organismi come ecosistemi complessi e non solo come membri di comunità ecologiche. 26 Per un profilo biografico completo di G. Bateson si può leggere il testo di Brunello, 1998. 27 Cfr. Bateson, 1997. Quest’opera descrive una teoria generale unificata di mente, materia e vita; un prinicio che verrà poi ripreso da altri pensatori sistemici come H. Maturana, F. Varela, L. Margulis, B. Mandelbrot. 28 Un commento in questo senso è stato espresso da M. Cini: “..alla luce del discorso di G.Bateson, la concezione cartesiana della scienza appare in tutta la sua inadeguatezza fenomenologica e la sua ristrettezza concettuale”, 1994, 253. 29 Galimberti, in “La Repubblica”, Martedì 10 febbraio 1998. 11 nuova formulazione del concetto di vita posiziona diversamente la dignità dell’essere umano, che in questo modo “non risedierebbe -piùnell’orgoglio della separatezza, ma nel riconoscersi umilmente elemento della natura, all’interno di una trama di processi e corrispondenze che lo accomuna ad altri esseri biologici, partecipe di una mente diffusa, ben più estesa dell’io individuale”30. L’attenzione dello scienziato si sposta dagli eventi alle relazioni, in nome di quella “struttura che connette” tutti gli esseri viventi; la “struttura che connette è una metastruttura, è una struttura di strutture”31. Bateson utilizza il concetto di relazione come il fulcro di ogni definizione, la legge profonda che struttura e conferisce significato all’intero mondo vivente (ossia ad ogni forma biologica). Il punto forte della teoria di Bateson è la condanna del dualismo32 così descritto dalla tradizione cartesiana, non c’è scissione né contrapposizione nel mondo, ma distinzione e unione fra la sfera creaturale e quella pleromatica. L’opera di Bateson è una riflessione sulle premesse epistemologiche che orientano e danno forma alla conoscenza dell’essere umano33; il principio di partenza è l’olismo intrinseco della Natura, ossia la capacità di generare totalità complesse aventi proprietà che mancano alle parti considerate singolarmente. Esiste una struttura ricorsiva che assomma tutte le creature (una Metastruttura), perciò una nuova e rigorosa definizione di epistemologia dovrà considerare non “le cose in sé” ma le relazioni fra le creature ed i rapporti simmetrici tra le relazioni stesse. La conoscenza dell’essere umano si sviluppa in relazione ad una sequenza di atti informativi, dove ogni informazione è un trasferimento di notizie e di apprendimenti passati e questa capacità di trasmissione è la funzione di crescita dell’”ecosistema-mondo”. La scienza che indaga i processi di coevoluzione del mondo delle creature 30 Padiglione, 1996, 193. Capra, cit., 25. 32 Questa descrizione complessa non implica però un principio spirituale trascendentale. Il concetto di Sacro che emerge prepotentemente dal suo ultimo scritto (incompiuto) è quel principio di bellezza e di armonia rappresentato dalla struttura che connette. Il sacro è importante per l’essere umano in quanto espressione di non-conoscenza, pura contemplazione. Cfr. Dal Lago in Manghi, 1998. 33 La domanda di partenza è: “Quale struttura connette il granchio con l’aragosta, l’orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi?”, Bateson, 1976, 21. 31 12 è da considerarsi solo come un metodo di ricerca: “la scienza non prova, esplora”34. L’essere umano può giungere ad una descrizione attenta dei fenomeni che è in grado di cogliere (da qui l’importanza dei sensi), ma non può dare una spiegazione dei fenomeni perché impedito dall’inaccessibilità della “cosa in sé”; egli è impossibilitato al raggiungimento della verità oggettiva35. L’interazione tra il soggetto e la realtà è tale da impedire un’osservazione neutra dei fenomeni naturali; la mente e l’osservatore sono in un rapporto complesso. Bateson ha sviluppato il problema della riflessività sia in riferimento all’epistemologia (dove “l’osservatore è inscindibile dal sistema osservato”36) sia riguardo a problemi teorici come l’osservazione che “gli uomini, come gli altri esseri e come le forme sociali sono sistemi autocorrettivi che vivono di relazioni”37. La scienza è ontologicamente riflessiva, l’osservatore è inserito nel sistema osservato. Osservare un evento conduce ad una modificazione dell’evento studiato ma apporta un cambiamento anche nello stesso osservatore. Non possiamo riferirci al mondo che ci circonda con aria di obiettività e distacco perché noi siamo in relazione ad essa, il nostro esser-ci nel mondo è un essere interattivo, un circuito di scambi e di coevoluzione. 3. Effetti di connessione: l’esperienza relazionale nella definizione dei soggetti. La storia del pensiero scientifico è un universo complesso, un cielo di stelle, pianeti e meteore che si espande per collisioni rivoluzionarie; è uno spazio di tempi incoerenti, prima contratti, poi rilassati e di nuovo spasmodici. Le discipline della scienza inventano nuovi ritmi e valorizzano l’oggetto del loro studio seguendo prospettive variabili. Questa nuova tendenza paradigmatica della scienza crea nuove griglie di intelligibilità dell’essere umano, trasformandolo in oggettodi-studio, corpo e pensiero attraversato foucaultianamente dalle 34 Bateson, 1987, 47. Questo principio-limite della conoscenza umana è un pensiero molto vicino all’epistemologia kantiana: la “cosa in sé” (o “Ding an sich”) non è mai raggiungibile, possiamo descrivere quello che ci circonda, ma non possiamo spiegarlo. 36 Padiglione, 1996, 41. 37 Padiglione, cit. 41. 35 13 discipline e ricomposto attraverso le lenti della biologia, della teoria psicoanalitica e della sociologia. 3.1. La biologia al centro della vita: l’essere vivente è uno schema a rete Attraverso la biologia emerge un nuovo concetto di vita, di comunicazione e di mente: il soggetto nasce e vive in una situazione relazionale, di interazione con l’ambiente, egli subisce e causa dei mutamenti di portata prima locale, poi immediatamente globale; la selezione delle dinamiche evolutive del “sistema natura” sono condizionate dal rapporto tra l’ambiente e le sue creature. La coevoluzione è il principio generativo della vita. La ricerca biologica ha subito un’evoluzione teorica importante dagli anni 50 ad oggi, poiché ha abbandonato progressivamente il riferimento esclusivo alla fisiologia, che la costringeva ad ignorare “tutto ciò che per gli esseri viventi è comunicazione, conoscenza, intelligenza”38. Il mondo era immaginato come un sistema a tre piani fra loro non-comunicanti: uomo-cultura, vita-natura, fisica-chimica. Dagli anni cinquanta in poi, si sono aperte nuove brecce fra le diverse discipline; Shannon, con la teoria dell’informazione e Wiener, con gli studi sulla cibernetica, crearono i presupposti teorici per collegare tra loro gli organismi biologici, le macchine artificiali, i fenomeni psicologici e quelli sociologici. La biologia molecolare si arricchì nel 1953 della scoperta della struttura chimica del codice genetico (Watson e Crick), riportando l’attenzione alle strutture fisicochimiche, ma contemporaneamente portando un’“apertura verso l’alto”39. Ossia, mentre la nuova scoperta dimostrava la natura sistemica degli esseri viventi, (dotati cioè di una particolare organizzazione fisico-chimica), la nuova biologia spiegava la vita solo in base ai suoi “substrati nucleoproteici”40. La vera novità era, però, l’introduzione di principi di organizzazione solitamente non utilizzati dalla chimica e di concetti provenienti dalla cibernetica41. Questi nozioni cibernetiche sono, in 38 Morin, 1994, 20. Morin, cit., 23. 40 Morin, cit., 23. 41 I concetti più importanti introdotti dalla cibernetica sono: informazione, codice, messaggio, comunicazione, inibizione. 39 14 realtà, concetti riferibili alle relazioni umane, la vita è un’organizzazione complessa che si svolge a partire dal nucleo della cellula fino alle dinamiche psicosociali. La logica dello sviluppo dell’essere vivente è determinata anche dal caso e dal disordine. Certamente la nuova teoria biologica ha modificato il concetto di “vita” e la ricerca dei cileni Humberto Maturana e Francisco Varela (studiosi di neuroscienze), ne ha ulteriormente definito gli sviluppi. Questi scienziati hanno descritto una teoria degli esseri viventi che risponde ai principi del pensiero sistemico. Per Maturana l’organizzazione dell’essere vivente è uno schema a rete, dove “ogni componente ha la funzione di aiutare a produrre e a trasformare altri componenti mantenendo nel contempo la circolarità globale della rete”42. La percezione e la cognizione specificano una realtà esterna attraverso la circolarità del sistema nervoso; il processo di organizzazione circolare si identifica così con quello della cognizione. Il lavoro di collaborazione tra Maturana e Varela degli anni Settanta portò, in seguito, al concetto di autopoiesi (“produzione di sé”) come principio dell’organizzazione dei sistemi viventi. Nella cosiddetta “Teoria di Santiago” (o teoria sistemica della cognizione) i due autori identificano la cognizione con il processo della vita, il nuovo concetto di cognizione è più vasto del concetto di pensiero. La mente non è una sostanza ma un processo, mente e materia sono due spetti diversi dello stesso fenomeno della vita. La rete (della vita) è sia generata dai suoi componenti, sia essa stessa produttrice. Il sistema vivente è autonomo e l’ambiente si limita ad innescare le modifiche strutturali; i cambiamenti strutturali nel sistema sono atti cognitivi. Questa prospettiva si può definire costruttivistica e della codeterminazione, perché considera l’ambiente embrificato con l’organismo in un processo di mutazione che ricorsivamente ritorna all’ambiente e all’organismo. L’espressione “ciò che non è interdetto è permesso”43 descrive la diversità come realizzazione di possibilità non interdette. Autonomia e complessità si equilibrano in un gioco di mosse imprevedibili. L’essere vivente definisce la propria identità attraversando il tempo e la storia come una virgola fra periodi, nel suo “essere-fra” le parole determina il ritmo ed il senso del discorso. Se è vero che la posizione da lui assunta è determinante nell’insieme di un senso più vasto, come si costruisce il senso della sua singola identità? 42 43 Capra, 1998, 112. Guerra, 1997, 150 15 La teoria psicoanalitica si è interrogata sulla definizione della struttura cognitiva e comportamentale dei soggetti e, nel tempo, ha trovato risposte diverse. 3.2. Differenziazione e riconoscimento nella post-freudiana. psicoanalisi La psicoanalisi indaga i meccanismi di costruzione della personalità dei soggetti, scoprendone le dinamiche mentali e comportamentali. La vita, secondo la teoria psicoanalitica classica, è un insieme di nuclei di soggettività in lotta fra loro; è una visione che tende a dare spiegazioni inconsce ed individualistiche ai conflitti ed all’identità dei soggetti. Le spiegazioni psicoanalitiche più recenti44 tendono a dare un quadro più complesso e connesso della psiche e dei comportamenti dell’essere umano; esse considerano la formazione della personalità del soggetto a partire dall’aspetto relazionale. La psicoanalisi ha focalizzato l’analisi dei rapporti identitari a partire da fasi sempre più precoci dell’infanzia; si è passati dalla teoria edipica (dove il padre ha un ruolo centrale) ad una preedipica, dove la diade madre-bambino coinvolge tutto lo sviluppo psichico. Questo comporta anche un nuovo concetto di psiche, non più legato a pulsioni e difese esclusivamente interne, ma interessato alle relazioni tra l’Io ed i suoi oggetti45; La psiche si definisce attraverso un delicato equilibrio tra l’affermazione ed il riconoscimento, un processo che relaziona l’Io con i suoi oggetti interni. La relazione tra il Sé e l’Altro sono determinanti soprattutto nei primi anni di vita, e le ultime ricerche psicoanalitiche ne hanno evidenziato il significato ed il carattere paradossale di alternanza tra fusione ed alterità. Il soggetto diviene consapevole del proprio essere secondo un processo che viene chiamato di “differenziazione”; egli è in grado di riconoscere se stesso e contemporaneamente di distinguersi dagli altri. Questo ritrovarsi, però, non è solo dell’individuo con se stesso, ma deriva soprattutto dalle risposte dell’altro. Si crea così un paradosso dove il riconoscimento del soggetto è una risposta complessa ad opera 44 La teoria freudiana classica ha subito, negli anni, nuove interpretazioni e sviluppi divergenti soprattutto in relazione allo sviluppo dell’identità, della sessualità ed alle relazioni di genere. 45 L’oggetto in psicoanalisi indica “la rappresentazione mentale degli altri” Benjamin, 1991, 17. 16 dell’altro (che ci permette di controllare le nostre azioni-intenzioni) ma quest’azione avviene solo se anche noi riconosciamo l’altro come persona. Il cambio di orientamento delle teorie psicoanalitiche deriva da ricerche in altri ambiti, come la psicologia evolutiva di Piaget (interessata all’interazione bambino-ambiente) e la ricerca etologica (teorie sullo sviluppo dell’attaccamento e la creazione del legame sociale). Attraverso queste ricerche si è valorizzato il riconoscimento reciproco che coinvolge le prime interazioni tra la madre ed il bambino e che definisce il carattere attivo del neonato (in contrasto all’idea classica di passività). Particolarmente importanti sono stati i lavori dei “teorici dell’attaccamento” (l’Infant Observation) che alla fine degli anni cinquanta, associarono la socievolezza alla prima fase di sviluppo del soggetto46. Queste ricerche si affiancano a quelle contemporanee britanniche che teorizzarono la “relazione d’oggetto”, introducendo, così, una visione attiva ed interattiva del Sé. Questo nuovo approccio si pone in contrasto anche con la “psicologia dell’Io” (indirizzo psicoanalitico americano), dove la formalizzazione più importante è quella dell’analista Margaret Mahler. L’idea fondamentale è quella della separazione, della crescita come un processo di distinzione; lo sviluppo infantile è spiegato come una “graduale separazione del bambino a partire da un’iniziale unità simbiotica con la madre”47. L’identità del soggetto parte da una situazione di “unità duale” per arrivare ad una situazione di autonomia del singolo. Questo approccio a prima vista opposto a quello relazionale, ha contribuito molto, invece, alla teoria del Sé grazie sia agli studi sui rapporti tra separazione-individuazione, sia a quelli sull’interazione tra genitore e figlio48. Questi studi creano una nuova dimensione d’indagine che Jessica Benjamin, psicoanalista americana, definisce una “visione intersoggettiva (…), per cui l’individuo cresce all’interno e per mezzo 46 Bolwby, (1976) descrive la relazione tra un contesto capace d’interazione e lo sviluppo del senso dell’attaccamento tra bambini e genitori. Egli afferma che la stimolazione sociale e affettiva è una condizione fondamentale di sviluppo nella vita dell’individuo. 47 Benjamin, cit., 23. 48 La psicoanalisi si rivolse quindi ai conflitti preedipici ed alla creazione del senso di Sé, mentre Heinz Kohut fondò la “psicologia del Sé”che “reinterpretava lo sviluppo psichico sulla base del bisogno del Sé di trovare coesione e rispecchiamento nell’altro”. Cfr.Winnicott, 1975. 17 della relazione con gli altri soggetti”49. Il mondo psichico diventa un luogo d’incontro tra soggetti, tra il Sé e l’altro, al contrario della teoria intrapsichica per la quale le persone sono entità monadiche, separate, dotate di una struttura interna complessa. Mentre quest’ultima si concentra sull’idea di inconscio, la teoria intersoggettiva considera l’aspetto relazionale della creazione dell’identità; per questo le due teorie acquistano una validità complementare. Il bisogno di riconoscimento (riflessivo) motiva le interazioni tra il Sé e l’altro: noi siamo in grado di riconoscerci negli altri e nelle cose inanimate. Riuscire a vedere e saper accettare le persone come distinte ma simili a noi è un traguardo della crescita che non si ferma alla fase preedipica. Differenziazione e reciprocità cercano costantemente un “sano” equilibrio; se, invece, fallisce la reciprocità precoce, si crea nel bambino una barriera tra mondo interno ed esterno50. Mentre la psiconalisi classica parlava della differenziazione come dell’“uscire da” una situazione omogenea, la teoria intersoggettiva descrive l’equilibrio paradossale tra il riconoscimento dell’altro e l’affermazione di sé. Il nuovo orientamento psicoanalitico è passato dalla complementarietà alla reciprocità dell’interazione, senza negare le occasioni di ostilità al riconoscimento altrui. Questo processo di riconoscimento è la legge di sussistenza della società, è il principio che lega i soggetti oltre la loro esistenza determinata; possiamo considerare la società come “la rete” per antonomasia, un intreccio di relazioni e di comunicazioni pacifiche o conflittuali. Alcuni autori della sociologia più recente hanno assunto il concetto della rete sia come modello di rappresentazione della società che come strumento di analisi. 3.3. La sociologia tra le reti della società Una parte della sociologia, si affianca alle ricerche biologiche e psicoanalitiche, introducendo il concetto di rete nelle sue analisi e 49 Kohut, 1980, 25. Stern introduce un altro importante concetto, quello dell’intersoggettività: il bambino dai sette ai nove mesi scopre l’esistenza di altre menti, di altre persone capaci di sentimento e pensiero. Il riconoscimento reciproco è una forma di contatto, di scambio dove la realtà può essere fonte positiva di piacere, il piacere dell’essere nel mondo e parte di esso. 50 18 mettendo in discussione un’impostazione teorica classica a volte eccessivamente legata a singoli settori di analisi. I legami tra le persone vengono ora concettualizzati sulla base di nuove forme d’interazione. Nell’ambito della sociologia ci sono stati (quasi paradossalmente, visto la natura della materia) sviluppi incoerenti in merito, sia riguardo allo studio relazionale, sia in merito al concetto di rete. In particolare il riferimento al concetto di rete è stato sviluppato dai sociologi: Elias, Bourdieu e Luhmann, nonché dalla teoria sociologica definita come “network analysis”. Per Elias mentre il pensiero relazionale ha distinto la scienza moderna, la sociologia non ha ancora sviluppato questa prospettiva intra ed ultra-evenemenziale. Le ricerche in questo senso mantengono ancora il loro “carattere pionieristico” nell’ambito di problemi che ora necessiterebbero di ricerche combinate. In questo senso Elias critica l’approccio analitico del sociologo Talcott Parsons e ne contesta la teoria delle “variabili modello” (o pattern variables, componenti elementari dei vari tipi di società). Per Elias la “scomposizione di fenomeni sociali che in effetti si possono osservare soltanto come in divenire e divenuti, con l’aiuto di coppie concettuali che limitano l’analisi a due strati contrapposti equivale ad un non necessario impoverimento della percezione sociologica”51 ma le categorie fondamentali scelte da Parsons gli sembrano arbitrarie. Riducendo sistematicamente i processi sociali a “situazioni (Zustände) sociali”52 semplici (non composite), si creano solo complicazioni. La sociologia sembra fermarsi allo studio di processi di breve durata, dimenticando le trasformazioni del lungo periodo (o del “tempo lungo” come direbbe Braudel) e riducendo i fenomeni a fatti isolati, elementari. Così l’idea parsoniana dell’esistenza separata dell’individuo (Ego) e della società (System) non porterà mai a capire che gli uomini sono parte di un mutamento strutturale. Bisogna inserire il carattere di processo nello studio sociologico. I sociologi del XIX secolo si interessarono ai processi sociali a lungo termine, mentre nel XX secolo la sociologia è diventata una scienza della stabilità (Zuständsoziologie). Questa perdita di interesse nei confronti dei problemi del divenire sociale è dovuta, per Elias, ad un crescente 51 52 Elias, cit., 16 Elias, cit., 16. 19 sospetto riguardo al concetto di “sviluppo”. La paura di studiare la realtà a partire da ideali politici legati ad una particolare Weltanschauung, ha indotto gli studiosi a rifiutare gli “antichi” modelli di sviluppo (Compte, Marx). Bisogna, invece, distinguere “tra aspetti concettuali e aspetti concettuali ideologici del concetto di sviluppo”53. Il principio di sviluppo (non in senso ottimale) della società esprime la connessione tra i processi sociali dell’individuo e della comunità. All’immagine dell’uomo come “personalità chiusa” bisogna sostituire quella di “personalità aperta”54. Elias nota, infatti, che “alla sociologia non compete soltanto l’indagine e la spiegazione dei vincoli ineluttabili specifici a cui gli uomini, inseriti in determinate società e in gruppi empiricamente osservabili, oppure in società in genere, si trovano sottoposti, ma anche l’eliminazione del legame fra i modi di pensare e esprimere questi vincoli ineluttabili e i modelli eteronomi”55. I limiti di riorganizzazione del sistema di pensiero e di linguaggio sono solide barriere anche per le comunità scientifiche (da qui il concetto di paradigma di Khun), dove intervengono però altre variabili di condizionamento. Il linguaggio tradizionale della scienza (naturale e umana) si rivolge spesso all’uomo nei termini di “individuo”, dimenticando che “l’uomo è un processo”56, è un essere in movimento costante entro un processo senza soluzioni di continuità. La sociologia deve porsi, quindi, l’obiettivo di dare valore ad un’immagine diversa di uomo, un uomo “al plurale” e interdipendente. Anche per il sociologo francese Bourdieu “il modo relazionale di pensare (meglio di quello“strutturalista” più angusto) è (..) l’elemento distintivo della scienza moderna”57. 53 Elias, cit., 23. Talvolta sono gli stessi strumenti linguistici a creare reificazioni laddove il concetto esprimerebbe realtà condivise. Quando parliamo, ad esempio, della famiglia, ci riferiamo ad un nucleo di rapporti tra persone legate da vincoli di parentela, affettività, riconoscenza, rispetto, protezione(..) ma nei discorsi si perde la capacità semantica del vocabolo, siamo portati a creare oggettivazioni nella lingua e nel pensiero. 55 Elias, 1990, 16. 56 Elias, cit., 138. 57 Bourdieu, 1992, 67. 54 20 Egli modifica il principio hegeliano sostenendo che: “il reale è relazionale”. Ciò che esiste nel mondo sociale è fatto di relazioni; non interazioni o legami intersoggettivi tra agenti, ma relazioni oggettive che esistono ‘indipendentemente dalle coscienze e dalle volontà individuali’, come diceva Marx”58. Bourdieu descrive il sistema sociale come un “campo” di forze, “una rete o una configurazione di relazioni oggettive tra posizioni”59. Le posizioni condizionano gli agenti o le istituzioni che le occupano e creano situazioni di potere a seconda della struttura distributiva. Il cosmo sociale delle società differenziate è costituito da “spazi di relazioni oggettive in cui funzionano una logica e una necessità specifiche, non riconducibili a quelle che regolano altri campi”60. Bourdieu paragona il campo al gioco, dove le “poste in gioco sono il prodotto della competizione fra giocatori”61. I giocatori riconoscono al gioco ed alla relativa “posta” una convinzione (doxa) condivisa ed indiscussa. I rapporti di forza tra i giocatori definiscono continuamente la struttura del campo. Le strategie di un giocatore “dipendono dal suo capitale nel momento considerato e dalle chances nel gioco che quelle risorse gli consentono, ma anche dall’evoluzione nel tempo, del volume e della struttura del suo capitale, cioè dalla traiettoria sociale e dalle disposizioni (habitus) che si sono venute a costituire nel rapporto prolungato con una certa situazione oggettiva di chances”62. Questa struttura sociale interattiva è stata analizzata anche dal tedesco Luhmann. Egli identifica i processi sociali della rete autopoietica con i processi di comunicazione: “I sistemi sociali utilizzano la comunicazione come proprio peculiare metodo di riproduzione autopoietica. I loro elementi sono comunicazioni di comunicazioni che vengono prodotte e riprodotte da una rete di comunicazioni e che non possono esistere al di fuori di tale rete.”63 La 58 Bourdieu, cit., 67. Bourdieu, cit., 67. I limiti del campo sono posti dal campo stesso. I rapporti di forza di un campo dipendono dalla sua particolare struttura e dalla distanza tra le specifiche forze costituenti. Il campo è anche uno spazio per lotte di sopravvivenza, in esso “si raccontano storie”. 60 Bourdieu, cit., 68. 61 Bourdieu, cit., 68 62 Bourdieu, cit., 69. 63 Luhmann, cit., 95. 59 21 famiglia come sistema64, ad esempio, si può concepire come una rete di relazioni e conversazioni, dove hanno luogo fenomeni di circolarità peculiare (i risultati delle conversazioni ne generano altre, formando anelli di retroazione che si autoamplificano) all’interno di un contesto semantico chiuso (valori condivisi,..etc.). I membri della famiglia sono definiti dagli atti comunicativi della rete delle conversazioni. I sistemi interpersonali sono circuiti di retroazione. L’interazione umana è un sistema di comunicazione dotato delle caratteristiche dei sistemi generali come il tempo (come variabile), i rapporti sistema-sottosistema, le totalità, la retroazione e l’equifinalità. Se è possibile arrivare ad una definizione della capacità relazionale degli esseri umani, allora si può anche determinare l’evoluzione del rapporto interattivo che lega i soggetti sociali. La microsociologia pensa la società come il “prodotto di una miriade di azioni di persone in interazione fra loro”65 e ne studia le relazioni secondo la teoria della “network analysis”. L’analisi di rete è stata utilizzata fondamentalmente come tecnica descrittiva più che come teorizzazione compiuta, ma negli ultimi tempi, ha dimostrato una propria autonomia teorica. L’analisi di rete definisce le strutture come “modelli che si formano tra individui”66, cercando così di studiare la società senza creare reificazioni o astrazioni, nell’impegno di analizzare il comportamento umano nella sua dimensione reale. Attributi come la razza, il sesso, la classe sociale sono categorie che acquistano significati particolari in relazione ad uno specifico modello di connessione di rete. Il concetto di “rete” della network analysis è diverso da quello di ruolo: il secondo è “piuttosto un comportamento atteso socialmente e prescritto nel suo contenuto fondamentale”67. Una rete è costituita dagli scambi ripetuti tra le persone. Le reti vengono confrontate alle teorie del mercato e dello scambio perché esprimono concezioni diverse del legame che unisce gli uomini all’interno della struttura sociale; ogni interazione si svolge all’interno di un’altra interazione, i 64 Il concetto di sistema è stato così definito da Hall e Fagen: “un sistema è un insieme di oggetti e di relazioni tra gli oggetti tra i loro attributi dove i primi sono parti del sistema, mentre gli attributi sono sia le proprietà degli oggetti che le relazioni che uniscono il sistema ” in Hall e Fagen, 1956,1, 18. 65 Bagnasco, Barbagli, Cavalli, 1997, 93. 66 Cfr. Collins, 1992. 67 Cfr. Luhmann, 1990. 22 livelli locale e globale (o micro e macro) s’intrecciano. La dimensione macro contiene le interazioni (definite nel tempo e nello spazio) di attori oscillanti tra la libertà di azione e la costrizione generata dalle interdipendenze. Le reti sono state descritte utilizzando varie tecniche, una di queste utilizza i modelli topologici 68basati sul concetto matematico di equivalenza strutturale (per cui “due attori sono equivalenti nella misura in cui i loro rapporti con altri attori sono identici”69). Il mondo sociale visto attraverso la ‘teoria di rete’ mostra realmente i rapporti di mercato e di scambio fra gli attori e attorno ad ogni singolo individuo. Si analizza così la struttura del mercato di Ego, ossia il grado di apertura delle scelte del soggetto. La possibilità di interazione è sicuramente cresciuta negli ultimi anni e questo mutamento ha comportato variazioni anche nella rappresentazione della soggettività (occidentale-contemporanea). 4. Soggetti occidentali ricreati e dispersi. Nel secolo ventesimo l’innovazione tecnologica ha creato una nuova dimensione d’esistenza e di comunicazione, un campo di rapporti dialogici che ha mutato profondamente la percezione del soggetto nei confronti di sé stesso e della realtà circostante. La tradizione individualistica occidentale si complica di nuove direzioni: le parole, i pronomi e lo spazio acquistano nuovi significati, policentrici e decentrati. In questo senso è possibile un confronto tra la cultura europea e quella giapponese, un modello teoricamente molto diverso da quello europeo, ma di grande interesse per l’importanza attribuita dallo stesso ai concetto di relazione e distanza. Il soggetto e la soggettività occidentale- una volta tradizionalmente legato a dinamiche di riconoscimento ed identificazione di tipo individualistico- viene ora compreso in processi di riconoscimento collettivo. Il sistema di personalizzazione occidentale muta e si avvicina al principio orientale (ed in particolare giapponese) di una complessità 68 I modelli matematici tipici sono: la “riduzione omomorfica o many-to-one mapping” (che crea un diagramma “a blocchi” dove ogni posizione occupa una celletta), la “teoria dei grafi”, (che rappresenta i rapporti fra i soggetti come nodi collegati da linee) e la misurazione della distanza sociale. Cfr. Collins, cit. 69 Collins, cit., 514. 23 più armoniosa, dove i pronomi personali cambiano in relazione ai soggetti comunicanti e dove la distanza fra le persone è un campo di forze in equilibrio. Le distanze creano significati spaziali, distribuiscono i corpi nei campi d’azione seguendo un sistema di segni culturali espliciti ed impliciti. Lo spazio è il luogo dell’interazione complessa fra i pensieri e le azioni dei soggetti, è sistema di norme e di abitudini sociali che s’intersecano; lo spazio diviene materia di studio, argomento d’analisi della “prossemica”, disciplina semiologica che ne rivela la costruzione di senso. Il soggetto si sposta nei luoghi della realtà e dell’immaginazione seguendo i fili di una cultura in continuo cambiamento, nuove precedenze di significato investono sia il mondo reale che quello dell’immaginazione. La narrazione artistica e quella letteraria si lasciano interpretare in modi diversi dal passato, le opere perdono la centralità dell’autore; l’autorità che legava l’individuo al suo prodotto si dipana in uno sfondo senza centro, un campo di luci con molte sorgenti. Parte della critica letteraria ed artistica rinnega l’autore unico, acquisisce una prospettiva d’indagine più articolata e si concentra sull’osservazione del ruolo creativo del lettore. La centralità sembra così scomparire da ogni campo, lasciando scie di percorsi incrociati in reti complesse. 4.1. L’evoluzione della personalizzazione in Occidente: un confronto con la concezione relazionale giapponese. La conquista dell’identità è un processo che attraversa dei momenti di non-identità, ossia di forte identificazione con l’altro. Il linguaggio definisce, nel tempo, la capacità di associazione tra il soggetto parlante, l’oggetto del discorso e l’ascoltatore; le persone acquistano un ruolo ed una posizione rispetto alle altre parti del discorso. Il grado di “nominabilità”, ossia la capacità più o meno estesa di -rispondere alla domanda “Chi parla?”70- è una variabile che segue la struttura profonda della società71. Le lingue sono un sistema di comunicazione “vivo”, capace di rispondere ai cambi di direzione 70 Waldenfels, “Il Manifesto”, Venerdì 21 Maggio 1999, 25. Ci sono culture (come quelle africane) che utilizzano ancora oggi i nomi collettivi per sottolinaere l’importanza della persona che parla, mentre in Europa tale consuetudine (che era in uso nel medioevo), si è successivamente persa. 71 24 della cultura di appartenenza anche nel senso di un maggiore o minore orientamento individualista (o pluralista). Analizzando parallelamente il sistema linguistico giapponese e quello europeo moderno, ci rendiamo conto del grado di personalizzazione delle due lingue: mentre la prima intreccia il valore dell’io (o proprio) con quello del tu (o straniero), la cultura occidentale tende ad un maggiore individualismo ed egocentrismo. L’uso occidentale dei pronomi e la preminenza del pronome personale “Io” (v.“l’Ich” tedesco per indicare la forma sostantivata dell’io), sembra indicare una tendenza all’oggettivazione della persona singola e isolata72. L’uso dei pronomi accomuna tutte le civiltà, lingue e società, ma si differenzia per l’utilizzazione degli stessi nei termini nel discorso. Elias sostiene che: “E’ caratteristico dell’aspetto relazionale e funzionale dei pronomi personali il fatto che i medesimi pronomi, quando la comunicazione fra più persone si fa incalzante, possono indicare persone diverse, infatti ciò che esprimono è la posizione relativa al parlante di volta in volta diverso, oppure, a seconda delle circostanze, la posizione relativa all’intero gruppo impegnato nella comunicazione”73. I pronomi personali sono un semplice modo di esprimere la reciprocità tra gli individui. L’uso dei pronomi non è standardizzato in tutte le società: talvolta la differenza di posizione all’interno della rete dei rapporti è meno pronunciata di quanto non avvenga nella nostra moderna tradizione linguistica. La posizione del soggetto parlante (o dei soggetti) si può esprimere utilizzando la prima e la terza persona in modo meno rigido. La tradizione giapponese attribuisce minore importanza alla singolarità del soggetto parlante. Il giapponese non usa la divisione tripartita dei pronomi personali (tipicamente occidentale), ma dispone di una gamma maggiore e ulteriormente differenziata di pronomi; questi variano all’interno del contesto secondo al tipo, alla natura e al grado di rapporto. La filosofia orientale rifiuta il principio occidentale della personalità, mentre noi esasperiamo l’importanza e le conquiste dell’Io, l’Oriente cerca di controllarlo, quasi di scioglierlo nell’esperienza dell’altro; il fine principale dell’uomo è quello di 72 Per Elias il concetto di ‘Ego’ si è trasformato da simbolo di relazioni a concetto di sostanza. 73 Elias, 1990, 144. 25 raggiungere un’armonia con il mondo che lo circonda, “l’esistenza di sé -si deve stabilire- attraverso quest’unità universale che ingloba sé e gli altri, i corpi, i gesti, ecc.”74 A ciò si accompagna una minore importanza deputata alla personalizzazione dell’evento: nella lingua giapponese manca una completa identificazione dell’Io con la prima persona singolare, perché la personalizzazione segue il contesto della comunicazione. Il rapporto comunicativo fra due persone esprime il “primato di un elemento intermedio”75: il Ki, (tra, fra..). La distanza che separa gli attori parlanti ed interagenti è un principio molto importante nella cultura giapponese, esso è rappresentato dalla condizione del maai, concetto e regola del karate. Il termine “maai” indica la distanza che separa i due combattenti, esso è composto dalla parola ‘ma’ (che significa ‘distanza’ sia in senso temporale, che spaziale) e da ‘ai’ (verbo che indica l’incontro tra persone o oggetti). Con ‘maai’ ci si riferisce, quindi, ad “un’idea astratta di distanza e di intervallo, esprime un movimento di avvicinamento e di allontanamento tra persone o oggetti”76 . La distanza77 diventa quindi uno spazio d’azione e di previsione, un momento di riflessione relativa ai momenti di vulnerabilità (o di vuoto) ed a quelli di pericolo. Bisogna avvertire la portata limite (propria ed altrui) come se fosse stata interiorizzata e decifrare gli istanti in cui la coscienza dell’avversario si separa rispetto ai suoi movimenti. La distanza tra combattenti è quindi un esempio dell’importanza che i giapponesi attribuiscono allo spazio. Il rapporto che lega i giapponesi con gli oggetti e con le persone è molto diverso da quello occidentale. Mentre noi consideriamo gli oggetti in sé stessi e le persone come soggettività distinte e compiute (visione “individualistica”), gli orientali adottano un livello di oggettività e di personalizzazione più comunitaria, ma se consideriamo entrambe come formalizzazioni complesse, evitando pregiudizi culturali, notiamo qualità in entrambe. 74 Kenji, 1979, 8. Kenji, cit., 10. 76 Kenji, cit., 68. I maestri di sciabola giapponesi consideravano il “maai” come un elemento fondamentale nel combattimento, la distanza tra i due combattenti è decisiva indipendentemente dalla lunghezza degli arti. 77 L’iniziativa del controllo della distanza è bilanciata in base alle portate limite dei due avversari e risulta decisiva nel combattimento. 75 26 Il linguaggio ed il pensiero occidentale, forse per l’elevato grado di contaminazione culturale, sta subendo un lento cambiamento verso la ‘distruzione’ del soggetto unico, autonomo, ci stiamo avvicinando (come sostiene Waldenfels) al concetto giapponese del “ki”, uno spazio che “sta fra” gli attori sociali e che ne pervade entrambi. Il soggetto non sparisce, ma tende a perdere la propria esasperata individualità per generare un senso armonico d’insieme, di relazioni. Lo spazio della comunicazione e dell’interazione sociale è un luogo in continua evoluzione, un campo che si deforma seguendo le svolte della cultura e della società stessa; lo spazio è popolato da segni e significati particolari, la cultura lo colora di trame da indagare. 4.2. Il soggetto “decentrato”: l’identità come costruzione sociale. Il problema della “soggettività” -intesa come definizione dell’identità e della responsabilità dell’azione dell’individuo- ha subito negli ultimi decenni un mutamento di senso. Si è scoperta una dimensione semantica più allargata, una partecipazione collettiva sia alla creazione della personalità del soggetto che alle pratiche artistiche e culturali: nessun “attore” sociale è per se stesso un’entità autonoma e irriducibile al sistema di cui è parte. Una parte degli sviluppi della teoria marxista dell’ideologia, ed in particolare gli studi di Althusser, esaminano questo principio. Per Althusser “l’uomo è un mito tipico dell’ideologia borghese: il marxismo-leninismo non può partire dall’uomo (..) -ma- dai rapporti sociali del modo di produzione esistente, dai rapporti di classe e dalla lotta delle classi”78. Tale posizione anti-umanista (perché nega un’essenza personale sovrastante ad ogni relazione con la realtà) non cancella l’identità dell’uomo, ma definisce il rapporto tra i soggetti e l’ideologia: “ogni ideologia interpella gli individui concreti in quanto soggetti concreti”79, gli individui vivono nell’ideologia (un’ideologia inscritta nelle pratiche materiali, non idealistica) della storia. Il rapporto tra gli attori (sociali) e le strutture (sociali, economiche ed ideologiche) viene ora indagato come il risultato complesso 78 79 Althusser, 1973, 41-42. Cfr. Althusser, “Critica Marxista” n°5. 27 dell’esperienza, contrastando la concezione umanistica di un’“essenza” umana originale. Althusser80 ha il merito di aver decostruito quell’immagine essenzialista che impediva di concepire il soggetto sociale come un essere costruito; quello che non viene chiarito dallo stesso autore è il processo e la modalità di costruzione dell’essere umano. Anche la teoria psicoanalitica più recente, si è interessata alla costruzione sociale della personalità dell’essere umano, in particolare riferendosi ai rapporti tra la linguistica e la definizione identitaria del soggetto. Lo psicoanalista francese Lacan ha analizzato, a partire dalla struttura familiare, la crescita del soggetto attraverso il linguaggio. Dalla famiglia derivano (insieme ad altri aspetti più o meno ideologici) una specifica caratterizzazione di genere e la costituzione linguistica dell’identità del soggetto. Lacan ha compiuto un’importante rilettura di Freud in merito alla definizione identitaria del soggetto: il linguaggio (o Ordine Simbolico) forma l’inconscio e regge il sistema di autorappresentazione dell’individuo. Il bambino utilizza il linguaggio per definire un proprio ruolo all’interno della famiglia, acquisendo una posizione “come soggetto nei rapporti ideologici o simbolici”81 della famiglia e quindi della società. Il linguaggio posiziona i soggetti dando loro una dimensione sessuale di appartenenza ed il genere definisce i ruoli all’interno della società patriarcale. Per quanto la teoria lacaniana non sia esaustiva o definitiva in questo settore, essa rappresenta il “momento più alto di cui disponiamo per collegare il soggetto individuale alla formazione ideologica e sociale, dimostrando la costituzione del primo all’interno e nel contesto della seconda”82. La psicoanalisi lacaniana analizza il soggetto con un duplice atto: ne ricostruisce la genesi a partire dall’ideologia dominante e, contemporaneamente, decostruisce l’idea di un soggetto monolitico dominato dall’istanza egoica. Il nuovo concetto psicoanalitico è la scoperta di un soggetto “decentrato”, incoerente, eterogeneo: “chi parla, dopo la scoperta di Lacan, è l’altro”.83 La teoria lacaniana considera, così, l’ideologia e la 80 La teoria di Althusser è stata molto criticata, soprattutto in relazione al pericolo di parlare di un “soggetto vuoto”, perso in definizioni eccessivamente strutturali e lontane dalla realtà dell’individuo. Cfr. Coward-Ellis, 1977, 71. 81 Wolff, 1983, 187. 82 Wolff, cit., 187. 83 Foucault, 1971, xii. 28 struttura sociale come elementi fondamentali nella costruzione dell’identità dell’uomo (dando giusto rilievo alla collocazione storica e sociologica della teoria del soggetto), ma rischia di non riconoscere che il linguaggio stesso è soggetto ad un processo costituito, non autocreantesi. Il rapporto tra significato e significante non può escludere la base reale (non rappresentativa) dell’esperienza. Anche Giddens ha commentato questa teoria del soggetto riportandola in ambito sociologico ed affermando che “il decentramento del soggetto non deve diventare sinonimo della sua scomparsa”84. Il soggetto non scompare dagli studi sociologici e psicoanalitici, ma si confronta con maggiore intensità e frequenza con una realtà complessa, più visibile nella sua poliedricità. Anche nel mondo della critica artistica e letteraria decade l’idea dell’autore come creatore compiuto ‘in sé e per sé’, distinto dal mondo; si parla invece di un autore “costruito nel linguaggio, nell’ideologia e nei rapporti sociali”85. L’autore non viene cancellato ma ri-collocato in una posizione decentrata, cade il mito dell’autore trascendentale. 4.3. Autore e lettore: autorità ed interpretazione. La concezione romantica dell’arte come “creazione geniale” è un’immagine ottocentesca generata dalla nascita dell’individualismo e del capitalismo industriale e sostenuta dall’effettivo sganciamento dell’artista dal gruppo sociale e dai rapporti di mecenatismo. La funzione ed il ruolo dell’artista nella realtà sociale è stata ridefinita dalla sociologia dell’arte, ed il “nuovo” principio che viene affermato è che “l’arte è un prodotto sociale”,86 (ossia imprescindibile dal contesto socio-culturale in cui viene generata). Howard Becker esprime un’idea collettiva della produzione artistica e definisce con il termine “Art Worlds” un concetto già espresso da Thomas Kuhn per la ricerca scientifica, ossia “il collettivo di pensiero” (“Denkkollettiv”). Parlare di arte come di un prodotto collettivo significa considerare tutte le attività necessarie al concepimento ed alla realizzazione dell’opera, come “il concepimento dell’idea dell’opera, la produzione dei materiali necessari, la creazione 84 85 86 Giddens, 1979, 45. Wolff, 1983, 190. Wolff, cit., 9. 29 di un linguaggio di espressione convenzionale, la preparazione di un personale artistico e di un pubblico all’uso di questo linguaggio convenzionale per creare e farne esperienza; ed infine il necessario rimescolamento di tutti questi ingredienti”87. Questi passaggi a più mani (svolti nell’anonimato) valgono anche per quelle forme d’arte che sembrano avvertire meno la presenza dell’elemento collettivo, come la scrittura. Partendo dalla tesi che : “le opere d’arte (..) non sono entità chiuse, autonome e trascendenti, ma sono il prodotto di specifiche pratiche storiche messe in atto da gruppi sociali identificabili ed in condizioni particolari”88, possiamo arrivare al concetto della “morte dell’autore”89, espresso dall’omonimo saggio di Roland Barthes. La figura dell’autore come unico creatore del senso dell’opera è un’idea moderna, storicamente determinata90. La visione del mondo che emerge dall’opera dell’artista è influenzata dall’ideologia (come sistema sociale ed economico) del gruppo di appartenenza, pur conservando un livello di autonomia relativo al codice estetico ed all’esperienza di vita vissuta dell’artista. L’intenzione originaria dell’autore è difficilmente accessibile al lettore ed al critico che, nella lettura, interpretano i testi in base ai loro filtri di esperienza. Michael Foucault afferma nel saggio “Qu’ est-ce-qu’un auteur”91 che l’autore, che è “il punto forte dell’individualizzazione nella storia delle idee, delle conoscenze, delle letterature, nonché della storia della filosofia e in quella delle scienze”92, oggi sta per ‘scomparire’. Eppure non si può parlare di ‘sparizione’ definitiva per via della resistenza della nozione di ‘scrittura’ che riproduce i principi essenzialistici prima associati al concetto di autore. Foucault indaga, a questo proposito, il ruolo del nome dell’autore in rapporto alla ricezione del testo e ne scopre una funzione paradossale. Il nome dell’autore non è un nome proprio come gli altri, esso svolge molteplici funzioni all’interno dei discorsi: classifica, circoscrive e 87 Becker, “American Sociological Review”, 39, 6,1974, 767-768. Becker, cit., 73. 89 Cfr. Barthes, 1968. 90 Anche Hadjinicolaou, nel campo della storia della pittura, ha criticato questo erroneo accentramento, affermando che la toria dell’arte non deve essere considerata come la storia degli artisti. Cfr. Hadjinicolau, 1975. 91 Cfr. Foucault, 1972. 92 Wolff, cit., 2. 88 30 permette di confrontare i testi fra loro; le sue funzioni sono sia indicative che descrittive. Un tempo i testi letterari non erano valorizzati dall’attribuizione del nome dell’autore, mentre quelli scientifici acquisivano validità in relazione ad esso. Nel secolo sedicesimo o diciassettesimo si sono invertite le parti e, mentre i discorsi letterari si sono appropriati della funzione-autore, la scienza si è livellata su una dimensione di anonimità. Nel diciannovesimo secolo alcuni autori hanno assunto, per Foucault una funzione “transdiscorsiva (sono diventati dei) fondatori di discorsività”93; a partire dalle loro opere (es. quelle di Marx e di Freud) hanno creato la possibilità di ulteriori analogie (continuando il discorso intrapreso) o di significative differenze (ricavandone svolgimenti diversi). Se consideriamo l’autore in rapporto alla storia letteraria, allora possiamo finire un quadro della sua personalità, lo stile che lo contraddistingue e la rilevanza di alcuni elementi a lui intrinseci. Il nome dell’autore è un riferimento che supera ed unifica le differenze particolari di ogni testo, spesso oscurando il valore autonomo di ogni produzione. Questo approccio critico nei confronti dell’autorità assoluta dell’autore, non nega l’individualità del soggetto e la sua capacità creativa, ma ne ricostruisce il contesto e le ragione della produzione. L’autore costruisce il testo in condizione sociali ed ideologiche determinate, la sua azione è inscritta nella struttura maggiore della vita sociale. Questo nuovo ruolo assegnato all’autore, (ora considerato come un attore sociale fra altri e per questo condizionato dalle stimolazioni dell’ambiente) può essere letto come emblema della realtà sociale a noi contemporanea. Mai come ora il concetto d’individuo autonomo e contratto in un sistema di stimolazioni inconsce viene contestato; l’essere umano vive di nuovi contatti, di pensieri travolti nel traffico della comunicazione. Quel concetto di rete che ha rivoluzionato il paradigma meccanicistico e gli orientamenti della ricerca scientifica, adesso si presenta (con aria di tempesta) anche nella realtà sociale. 5. Il network sociale. L’esperienza della rete nella comunicazione sociale. La rete invade l’evoluzione culturale dei soggetti e crea un sistema di comunicazione senza frontiere; nuove abitudini sociali 93 Foucault, 1971, 14-15. 31 uniscono menti separate dallo spazio fisico e da retaggi ideologici esclusivi. Si crea così il concetto di “network sociale” (ossia di struttura sociale in forma di rete), un nuovo modo di considerare lo spazio delle relazioni tra gli attori sociali, e si analizzano gli effetti determinati dalla comunicazione mediata dai computer. L’invenzione di Internet è l’immagine perfetta di questo processo di connessione sociale, anche se non si può ancora stabilire se la portata innovativa della comunicazione in rete sia effettivamente strutturale (ovvero condizionante l’apparato cognitivo, concettuale e comportamentale dei soggetti) o incapace di un interscambio profondo. Come siamo giunti a tale livello di comunicabilità e di azzeramento delle distanze? Se è epistemologicamente possibile ricostruire la genesi del concetto di rete, ovvero il verificarsi di un’attenzione sempre più pressante rispetto alla portata relazionale della realtà, manca, però, una risposta alla straordinaria accoglienza rivolta dalla società alla comunicazione espansa. La spiegazione non è univoca, e potrebbe essere un insieme di situazioni come: una disposizione mentale progressivamente attratta dalle relazioni (abitudine nata in campo scientifico), il condizionamento pervasivo della tecnologia (in particolare quella informatica), ed una particolare attenzione culturale interessata ai confronti ed alle differenze (anche se i molti casi d’intolleranza vanificano queste aperture). Il mondo connesso dai sistemi di comunicazione informatica e digitale ha creato nuovi soggetti sociali, esseri ridondanti di tecnologia e dispersi in essa, personaggi più che persone, interpreti più che soggetti spontanei. L’interfaccia nasconde il volto e la voce dei suoi interlocutori ed inventa dialoghi lontani come un’agorà senza luogo. 5.1. L’identità bio-tecnologica nell’era di Internet. L’essere umano si è dotato, nella storia della sua evoluzione, di strumenti d’interpretazione e di controllo dell’ambiente che si sono rivelati utili ma estremamente condizionanti, tanto da poter affermare che l’esperienza quotidiana è ormai inseparabile dall’uso di questi strumenti. Il sapere tecnico-scientifico modella l’ambiente e condiziona il pensiero e l’azione. Il rapporto tra scienza e tecnica oggi è più stretto che mai, fino al punto da dimenticare le differenze che separano i due ambiti. 32 Mentre la scienza descrive e cerca spiegazioni degli eventi sia del mondo naturale che di quello sociale (si parla quindi di “conoscenza”), la tecnica inventa soluzioni per problemi pratici. Oggi, però, scienza e tecnica procedono parallelamente e questa direzione è dovuta, forse, all’evoluzione della seconda sfera: la scienza si è istituzionalizzata e specializzata all’interno delle università, mentre i suoi laboratori di ricerca applicata sono stati finanziati e pilotati dall’industria. La tecnica abbraccia la scienza e s’insinua nella quotidianità dei soggetti, trasformandone l’identità e la capacità relazionale. L’identità nell’epoca di Internet è un connubio di cultura e di tecnologia, di corpi dissolti in discorsi via cavo e di parole veloci come fumetti. L’essere umano è coinvolto da una trasformazione bioculturale “segnata da mutamenti sempre più rapidi e affannosi, come se mancassero retroazioni negative equilibratrici a frenarne la corsa: i lenti meccanismi della natura, che procede per tentativi ed errori, sono qui circuitati da rapidi meccanismi di attuazione”94. La società riconosce l’innovazione tecnologica e la introduce con effetto immediato nella sua realtà strutturata, determinando un piano evolutivo ‘catastrofico’95, ossia caratterizzato da perturbazioni continue. L’adozione della tecnologia si manifesta con un carattere di irreversibilità, non modifica solo la dimensione pratica della vita dell’uomo ma anche l’abitudine mentale e la capacità cognitiva; la tecnologia “modifica la nostra epistemologia e, attraverso di essa, la nostra ontologia”96.La tecnologia si sviluppa coinvolgendo il soggetto nello sfruttamento delle risorse e nella modificazione ambientale e sociale, spesso ponendolo innanzi al ‘doppio vincolo’ dello sviluppo senza cultura o della tradizione senza progresso. Cresce il numero degli studi interessati al ruolo dei mezzi di comunicazione nella storia delle trasformazioni culturali moderne e contemporanee; il punto di partenza è il riconoscimento che “l’uso dei mezzi di comunicazione implica la creazione di nuove forme di azione e interazione nel mondo sociale, di nuovi tipi di relazioni, e di nuovi modi di rapportarsi agli altri e a se stessi”97. 94 Longo, Aut- Aut n°289-290, gennaio- Aprile, 28. S’intende ‘catastrofico’ nel senso di ontologicamente perturbante. La realtà si sviluppa attraverso eventi che creano dis-ordine, ossia mettono in crisi l’ordine precedente. 96 Longo, 1999, 31. 97 Thompson, 1998, 12. 95 33 Si è creata una modalità di relazione diversa per molti aspetti dall’interazione faccia-a-faccia, perché i media collegano e creano interazioni complesse tra persone fisicamente distanti. Tra i media più utilizzati, quelli di natura informatica hanno un posto particolare nella creazione di nuovi significati simbolici. Il mondo dell’informazione tende ad inglobare ogni aspetto dell’esperienza dell’essere umano, creando un circuito di comunicazione che è sempre più oggetto di investimenti economici e di ricerca. La tecnologia dell’informazione assume un carattere catalizzante nei confronti delle altre discipline ma, paradossalmente anche verso se stessa: lo sviluppo dell’informatica influenza il linguaggio, l’immaginazione, la percezione del mondo e la capacità di autodefinizione dell’essere umano98. I mutamenti creati dalla crescente informatizzazione sono di tipo sia quantitativo che qualitativo, questo porta a chiedersi se la civiltà attuale potrà evolversi in un senso ulteriormente tecnologico o bio-tecnologico, ed in che forma tale sviluppo influirà sulle pratiche sociali e sulle dinamiche di riconoscimento identitario. L’innovazione si diffonde con sempre maggiore velocità: si accorciano i tempi e le distanze che separano la sperimentazione da laboratorio e la diffusione sul mercato dei consumatori. Il tempo è una variabile molto importante nello sviluppo della tecnologia informatica, tanto da definire una nuova dimensione temporale: un continuum di presente che supera se stesso, una serie di progetti e realizzazioni che s’inseguono quasi senza spazio alla critica. Il breve ed il temporaneo scandiscono parole come risposte a discorsi accennati, troppo brevi, forse, per essere definiti come tempi del dialogo. Con ciò non si vuole demonizzare la comunicazione mediata dal computer, ma identificarne gli aspetti ricorrenti, per capire come la “rete” che ci sorregge modifica la nostra realtà ed il modo di percepirla99. 98 Il mondo dell’informazione ha cambiato il significato di alcuni termini (come informazione, calcolo, intelligenza..etc.) e ne ha inventati altri ( come quelli di simulazione, realtà virtuale, ciberspazio..etc.) “che si affiancano ai precedenti per generare una costellazione metaforica e mitologica che non può non influire sulla psicologia e sull’epistemologia del singolo e della comunità”; la nostra percezione del mondo risente della rappresentazione virtuale della realtà. Longo, 1998, 5-6. 99 Se è vero, come sostiene Geertz (citando Weber), che “l’uomo è sospeso su una rete di significati che lui stesso ha tessuto”, allora i mezzi di comunicazione sono stati sia il supporto tecnologico di quest’operazione di significazione sia l’origine di una nuova modalità di relazione, Cfr. Geerz, 1987. 34 5.2. The computer mediated communication: telecomunicazione digitale e le nuove reti. la I discorsi della scienza non sono del tutto slegati dalla realtà sociale; rimane effettivamente uno scarto rilevante tra la ricerca e l’accettazione-applicazione dei risultati ottenuti. Se le tecniche non sono indifferenti agli ideali e ai modelli comunicativi da esse dipendenti, un caso paradigmatico è certamente la “nascita” di Internet. La geografia di Internet è un incrocio di coordinate che superano ogni controllo cartografico; la comunicazione si svolge in uno spazio virtuale, senza definizione territoriale; nell’assurdità delle resistenze xenofobe contemporanee s’intrecciano discorsi comuni tra persone distanti, parole come “summit della pace”. La memoria si mantiene nella continuità dei testi e delle immagini, forse decontestualizzata, ma presente e “ruvida” (forte e significativa come i ricordi della realtà). Il linguaggio si trasforma in simboli e programmi auto-organizzantesi, le parole si citano a vicenda. Il computer in rete non è uno strumento di mediazione linguistica tra i soggetti, ma produce significati che veicolano le ricerche in percorsi sotterranei. La dimensione di rete appare in Internet in tutta la sua consistenza epistemologica, ogni destrutturazione feconda labirinti di significati intertestuali; la struttura a “network” si diffonde senza un centro dominante e lascia al lettore il compito di ristrutturazione cognitiva. Mentre l’autore determina i parametri della dimensione dell’ipertesto (il numero dei nodi) e della “granularità”100 (la grandezza delle singole parti o lessìe), il lettore determina il verso della ricerca. Il sistema della navigazione in rete è una modalità di comunicazione e di scambio simbolico che si basa sul principio democratico della libertà di creazione-diffusione-lettura dei documenti contenuti nella rete, nonché dell’accesso paritario alle discussioni fra soggetti. L’innovazione tecnologica ha creato un sistema di comunicazione rivoluzionario sia nella capacità informativa (e culturale) sia nella definizione di nuove esperienze sociali. Lo spazio 100 Carlini, cit., p.58. 35 si condensa di racconti e documenti legati da fili sottili ma continui, una mappa di strade, vicoli e piazze virtuali. Lo schermo che ci rende partecipi di questa dimensione “altra” (in quanto al linguaggio, alla cultura ed alla rappresentazione di noi stessi e degli altri), è un gioco di specchi tra realtà ed immaginazione; ma ciò che appare come testo o come immagine è sempre il risultato di un occhio che ha visto o sognato. Il “grande Web” è uno spazio di comunicazione fra menti, un luogo di scambio e di produzione collettiva di esperienze101. Il tempo del pensiero e dell’azione si contrae in passaggi e collegamenti rapidi, quasi accelerati; il tempo lento dei corpi che si muovono nello spazio è preso nel vortice della percezione virtuale. Muoversi nel cyberspazio significa seguire una nuova forma di orientamento, essere flessibili e solleciti ai collegamenti, non lasciarsi stordire dai fili funamboleschi che sorreggono la trame della rete102. I mondi culturali contenuti ed esposti nella rete creano un’amalgama di nuovi significati: segni e simboli si liberano dalla struttura socio-culturale d’origine per assumere un nuovo senso, un valore ricontestualizzato dalla consequenzialità casuale della rete. Gli stimoli continuamente nuovi e diversificati sollecitano le abitudini cognitive dell’individuo secondo modalità impreviste e forse anestetizzanti. Il pericolo della sovrastimolazione è uno degli aspetti contrastanti di Internet, ma deriva dal principio di offerta assoluta della rete stessa; l’abilità del “navigatore” è quella di lasciarsi avvolgere dall’infinità del Web senza lasciarsi stordire, condividere senza dissolversi. Il networking telematico crea un sistema di circolazione dei documenti virtuali dal ritmo concitato, provocando nel soggetto esperienze accelerate che stridono con i tempi lenti della realtà del soggetto. Il tempo e lo spazio dell’essere umano hanno un ritmo ed una densità “organica”, esprimono una sensibilità diversa da quella avvertibile in rete. La rete che tutto avvolge e controlla con aria di onniscienza, lascia comunque l’essere umano nella limitatezza della sue capacità di 101 Per Pierre Levy “il cyberspazio è lo spazio virtuale prodotto dall’attività simbolica degli esseri umani”, Berardi, 1997, 8. 102 A questo riguardo si parla di “cybernautica”, ossia “l’arte di orizzontarsi e di muoversi in uno spazio che non è più riconducibile alle coordinate cartesiane, che non è più percorribile in sequenza, che non si sviluppa linearmente, e che non può essere perimetrato secondo le modalità della Prossemica tradizionale”, in Berardi, cit., 5. 36 apprendimento, di memoria e di azione; per quanto la conoscenza dell’era informatica possa essere connessa ed enciclopedica, il soggetto che se ne appropria ha una limitata capacità di acquisizione; il problema è forse nella capacità di scelta e di gestione dell’informazione. I cambiamenti dei parametri culturali si radicano nella società con una velocità di adattamento ed una forza dirompente talmente amplificata, da modificarne profondamente le dinamiche socioculturali103. Lo scambio polifonico della comunicazione via Internet ricorda l’intensità comunicativa dell’antica agorà, un luogo di appuntamenti senza invito, lo “speak corner” di una città invisibile. La comunicazione telematica è una forma di democrazia tecnologica, uno spazio definito da aperture e collegamenti dove le culture possono confrontarsi ed integrarsi ma, come ogni forma di democrazia, nasconde verità di sofferenza sotto una falsa immagine di egualitarismo e di libertà di espressione. La politica in rete acquista nuova visibilità, ma reca con sé il pericolo di dare spazio a forme di pensiero e di organizzazione estremiste e criminali; il libero scambio di menti può essere deviato da nuove forme di manipolazione ideologica. Esistono, inoltre, nuove forme di isolamento ed esclusione causate dal computer: patologie di una tecnologia senza manuale, creata dall’uomo ma difficilmente controllabile. 5.3. L’ambivalenza della rete: nuovi attori, nuove parti. La rete crea soggetti connessi da discorsi senza autori, curiosi affacciati alle finestre dello schermo ed aggrappati alle metafore dell’interfaccia virtuale. La realtà è un mosaico di forme “pescate” e filtrate nella rete dei circuiti di Internet; una realtà che espone i suoi esperimenti come “manufatti estetizzati, dotati cioè di un valore che eccede la loro semplice funzione ”104, frammenti senza contesto ricombinati in racconti brevi. Le reti coinvolgono le menti in interazioni senza regia, creando un sistema di comunicazione che si 103 Un fenomeno interessante associato alla comunicazione via Internet è la formazione di comunità virtuali: nuove forme di aggregazione umana basate sul meccanismo della condivisione (di un campo d’interesse, di un sistema eticomorale..etc.) e nuove risorse per la cittadinanza reale (reti civiche). 104 Benedetti, Aut-Aut, Gennaio-Aprile1999, n°289-290, 39. 37 auto-alimenta e “nuove abitudini cognitive, sociali, personali che lo sostengono”105. La metafora della navigazione in rete suggerisce l’idea di un peregrinare assoluto, libero e disincantato, ma può essere letta anche come una gabbia di lacci per ‘pesci’ inesperti. Viaggiare non significa solo spostarsi nel tempo e nello spazio, ma rimanda ad un cammino di prove, incontri imprevisti e lingue da decifrare. Una vita vissuta viaggiando è un territorio dai confini incerti, un percorso senza il sostegno della comunità di appartenenza. L’esperienza si colora di molti contatti d’occasione e di rari scambi completi, individui come “flâneur dell’alta velocità”106, apparizioni-scomparse instabili; nuove aggregazioni tra soggetti distanti. I nuovi media elettronici (ed Internet in particolare) hanno trasformato “il significato dello spazio e del tempo nell’interazione sociale, hanno prodotto -o stanno producendo- quel cambiamento degli scenari comportamentali che trova espressione nella nascita delle comunità virtuali”107. Queste comunità sono territori scelti per comunanza di interessi, sono i luoghi ‘eletti’ dal soggetto che parla per una rappresentazione selezionata della sua stessa personalità. Il concetto di comunità si slega dalla compresenza fisica e promuove nuove tipologie relazionali improntate all’invisibiltà dello schermo: muta la dinamica di riconoscimento reciproco, facendo anticipare la conoscenza verbale a quella fisica. L’ambiente virtuale elimina i rapporti faccia-a-faccia e crea rapporti di fiducia basati sulle maschere di nuovi personaggi. Uno dei fenomeni più rilevanti del mutamento bio-culturale dell’era informatica è la progressiva “rimozione del, e astrazione dal, corpo”108; i corpi e le menti distanti geograficamente e culturalmente si connettono senza confini, ma la comunicazione che li unisce, pur esprimendo efficienza comunicativa, non comprende un vero coinvolgimento emotivo. Il corpo è il primo strumento tecnologico di cui dispone l’essere umano, un dispositivo di comunicazione e di azione che connette il soggetto al mondo circostante; la tecnologia è un’estensione del corpo che ne potenzia alcune capacità e ne modifica 105 De Kerchove, in Aut-Aut, Gennaio-Aprile, n°289-290, 48. L’interazione sociale si complica di identità non-definite, voci senza nome e posizione, solo un numero di riconoscimento e nominativi d’elezione; l’identità è fuori dalla geografia sociale e si muove nello spazio dis-orientante. 106 Stone, 1997, 51. 107 Berto, cit., 57. 108 Longo, Aut-Aut, Gennaio-Aprile, n ° 289-290, 33. 38 la funzionalità. Il corpo si nasconde dietro l’interfaccia dello schermo e si maschera con forme immaginate e sostituibili. Il corpo reale si confronta con il corpo attraversato dall’esperienza dello spazio virtuale, creando nuove esperienze di frontiera, esperienze di passing109 mediate dal computer. Nuove scelte identitarie definiscono soggettività mutanti, reinvenzioni virtuali della personalità; cadono e si dissolvono quelle maschere che nella realtà nascondono situazioni e scelte interpretate come tabù. L’identità si frantuma nei personaggi della fantasia, per ognuno di noi esiste un Sé multiplo, elettronico, immaginifico e caricaturale110. L’identità nell’era di Internet è un problema di intepretazione111. Il concetto di “presenza” cambia in relazione alla nuova rappresentazione del corpo: così come il secondo non indica più solo un contenitore di coscienza, ma diventa parte integrante e problematica della persona (nonché luogo di manifestazione dell’esperienza sociale), allora parlare di presenza significa riferirsi all’intenzionalità agente e pensante. Nello spazio della rete si sono prodotte e vivono nuove forme di soggettività, il nostro sistema simbolico e cognitivo è influenzato dalle esperienze di comunicazione mediate dal computer, la tecnologia comunicazionale, come ogni tecnologia, non è un semplice strumento, ma rappresenta una ristrutturazione della realtà; essa crea nuove forme del senso del sé e, contemporaneamente, configura nuove situazioni di isolamento. Le tecnologie della comunicazione sono produzioni sociali inserite in contesti storici, politici, sociali e culturali ben definiti, non hanno vita autonoma e per questo risentono della problematicità delle condizioni della vita. La comunicazione è scambio sincero di esperienze ma è anche il massimo luogo della persuasione e 109 Berardi, cit., 7. Goffman ha analizzato la dinamica del mascheramento ed il dispiegarsi del sistema sociale come uno sviluppo complesso di azioni basate sulla fiducia reciproca; nel rituale dell’interazione umana l’azione del soggetto è un evento similare ad una rappresentazione teatrale, dove ogni attore ha una maschera per ogni ruolo. Cfr. Goffman, 1988. 111 Gli interazionisti simbolici sostengono che “l’identità di fondo è soltanto un’espressione momentanea delle negoziazioni in atto tra orde di sottoidentità, ma che questo processo è invisibile sia per l’osservatore esterno sia per il soggetto che lo vive in prima persona”. Questa prospettiva suggerisce di superare l’idea di una vera ed unica identità di fondo (“root identity”), ma di iniziare a considerare la soggettività di un soggetto come un’amalgama di identità differenti, instabili. Cfr. Stone, 1997, 14-15. 110 39 dell’inganno. Un approccio critico alle potenzialità della rete informatica non può escludere il dubbio di un esercizio di potere e di controllo sugli utenti. Tomàs Maldonado112 s’interroga sulle somiglianze tra la rete informatica e la “ragnatela” più famosa in Natura, quella del ragno. Il paragone s’instaura sulla base di uno studio sui rapporti di forza e controllo. Considerando entrambe come creazioni immaginate e realizzate de una “mente” generativa, si chiede chi mantenga il controllo della rete virtuale. I sostenitori del cyberspazio, pur accettando l’analogia della ragnatela, rifiutano il “ragno” come metafora del controllo: essi affermano, invece, che la progettazione, realizzazione e gestione della rete sia opera degli stessi “utenti”. Maldonado si chiede se “all’eliminazione delle figure emblematiche del Grande Fratello orwelliano, dell’Inspector benthamiano e del ragno, corrisponda l’abolizione di ogni forma di controllo”113. Egli sottolinea, inoltre, la necessità di distinguere il sapere individuale da quello sociale che, nella sua espansione incontinente, determina del primo la progressiva riduzione. Il filosofo francese Pierre Lévy parla, invece, di un necessario approdo all’intelligenza collettiva, ossia ad “un’intelligenza distribuita ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, che porta a una mobilitazione effettiva delle conoscenze”114. La “cosmopedia” sarebbe un nuovo tipo di organizzazione del sapere, dove le recenti possibilità offerte dall’informatica possono migliorare la dinamica delle conoscenze. 6. Conclusioni. L’Umanità “squalificata”: teoria e politica di rete. Dalla fine del settecento, ed in particolare negli ultimi due secoli, sono stati teorizzati sistemi di partecipazione politica e di gestione del sistema sociale ispirati a diverse realtà ideali. Il decennio che si sta concludendo ha visto la nascita di un nuovo fenomeno 112 Cfr. Maldonado, 1997. Maldonado, cit., 33. 114 Lévy, 1997, 34. 113 40 culturale di massa, Internet, uno straordinario mezzo di comunicazione che ha creato nuove dinamiche di riconoscimento, di scambio sociale e culturale. Internet è una strana utopia: nata da un progetto militare, accettata ed arricchita dalla scienza accademica viene poi applaudita dalla comunità. Un progetto senza ostacoli, dunque, o una ragnatela con nodi e frane di tessuto? C’è chi crede appassionatamente nella capacità comunicativa delle sue reti senza frontiere né modelli, e c’è chi s’interroga sui nuovi mostri da essa creati. Esiste, infatti, una nuova tipologia di squalificazione dai processi di sviluppo: è una ghettizzazione causata dall’assenza di comunicazione virtuale. Poichè in un sistema di causalità connessa ogni variabile conduce a delle modificazioni di difficile previsione, in questa società dove la comunicazione (nelle sue diverse manifestazioni multimediali) si è estesa fino a creare un complesso sistema di interdipendenze, ogni fenomeno ha potenzialmente una portata rivoluzionaria dell’equilibrio mondiale. In questo quadro di indeterminatezza, risulta estremamente difficile avanzare ipotesi di sviluppo, ma è possibile focalizzare l’attenzione su alcuni fenomeni. In particolare, si devono considerare quelle realtà (macro e micro-sociali) che, a prescindere dalla comunicazione informatizzata, sono già in una posizione di emarginazione rispetto allo sviluppo economico delle potenze mondiali. Il “cosiddetto” Terzo Mondo potrebbe essere ulteriormente escluso da una serie di politiche fondamentali per lo sviluppo, ma soprattutto potrebbe rischiare di essere tagliato fuori dalla comunicazione aggiornata degli sviluppi della conoscenza e della ricerca. Tutto passa per la rete, tranne chi è da essa fermato. Parlando nei termini di una reale connessione fra soggetti che pensano, agiscono e creano in previsione di un’ecologia della mente e della società, non si può ignorare la tensione che separa oggi il ‘sistema-mondo’ (o “World- system”). La globalizzazione acuisce il rapporto di causalità connessa fra le soluzioni politiche e gli effetti di risposta diffusa fra realtà diverse: per questo si parla di “worldsystem”, espressione che indica l’immagine di una società mondiale che “può essere intesa come -un- sistema fatto di parti tra loro connesse115”. L’economia mondiale ha creato in questo secolo un 115 Bagnasco, Barbagli, Cavalli, 1997, 695. 41 sistema di legami fra le varie economie nazionali e locali che complica l’attuazione di una seria politica di sviluppo. Partendo dall’osservazione di questa interdipendenza (economica, culturale, sociale) assai problematica, si può ipotizzare, invece, la formazione di un soggetto sociale complesso e connesso. Internet non è né una cura, né uno strumento facilmente indirizzabile, ma può essere un mezzo importante in questo progetto di recupero della dimensione integrale dell’umanità. Riconoscere l’esistenza del punto di vista dell’altro è un problema, ciò che “conta nell’interazione sociale non è -quello- che Ego e Alter veramente pensano l’uno dell’altro, ma ciò che essi veramente possono pensare come cosa condivisibile nell’osservazione reciproca, cioè come qualcosa di compreso-in-comune”116. Le modalità di squalificazione dell’altro dal processo di scambio comunicativo potrebbero essere superate dalla situazione teoricamente paritaria di Internet e dalla sua situazione di diffusione quasi uniforme. Quell’ostilità che definisce l’Altro nella differenza e nella condanna (oppure nell’indifferenza più umiliante) potrebbe essere abbattuta (o incrinata) dallo spirito di unione e di condivisione che lega la comunicazione via Internet. Se è vero che i nuovi media hanno creato una rete comunicativa che ha modificato (e sta modificando) sia la capacità di pensiero sia le forme di interazione sociale, allora si può sperare che possano mutare (in senso decrescente) anche quelle pratiche di esclusione che oggi persistono. Gli effetti della tecnologia sono, però, ambivalenti, si spostano tra l’isolamento e la partecipazione democratica, tra il potenziamento delle risorse e la discriminazione. Esistono pratiche di avvicinamento all’altro che rifuggono dagli “interessi da colonialista”117 o dagli “esotismi di moda”118, e tendono ad un vero arricchimento reciproco. Uscire dal centro della propria cultura di riferimento per confrontarsi con le altre non vuol dire praticare “l’estetizzazione dell’altro”119 (ossia neutralizzare tutto ciò che di eversivo e tragico è contenuto in essa), ma affrontarne anche gli aspetti più problematici. 116 Addario, Quaderni di sociologia, Vol. XLII, n°18, 1998, 109. Con l’espressione “interesse da colonialista” intendo quell’avvicinamento alla diversità che avanza con spirito di superiorità e di cancellazione della diversità stessa. 118 Con l’espressione “esotismi di moda” intendo proprio questa curiosità che non si tramuta in un vero avvicinamento. 119 Cassano, 1989, 111. 117 42 Se l’intelligenza è una proprietà sistemica (comprendente nell’essere umano sia il corpo che il cervello in relazione continua e necessaria fra loro), allora si deve cercare di sfruttare la dimensione sempre più stretta e relazionale dell’ecosistema- mondo, per creare un incremento d’intelligenza. Bateson dice : “Così è fatto il mondo in cui viviamo: un mondo di strutture circuitali; e l’amore può sopravvivere solo se la saggezza (cioè la capacità di sentire o riconoscere la realtà circuitale) sa parlare con voce efficace (..) il problema della bellezza è fondamentalmente un problema d’integrazione”120. RIASSUNTO: Il paper indaga il modo in cui concetti simili si inseguono in campi differenti, e come sia sempre più forte la tendenza sistemica a rintracciare strutture e processi ricorsivi nei fenomeni. Sembra trovare 120 Bateson, 1997, 182. 43 riscontro l’idea che il concetto di rete (e di configurazione di rete) abbia percorso strade parallele - separate da ostinate barriere disciplinari- per confluire in una direzione epistemologica comune. Nelle varie applicazioni scientifiche i principi binari di strutturaprocesso, organismo-ambiente, mente-natura, logica-comunicazione riprendono tutti un certo “Zeitgeist sistemico” di novecentesca invenzione. In questa cornice cognitiva ed epistemologica si sono generate le condizioni di possibilità (concettuale e materiale) per la manifestazione del “fenomeno Internet”: esemplare realizzazione di una comunicazione inter-connessa. SUMMARY: The paper analyses the genesis and the development of the concept of the net. This notion has travelled parallel ways– separated by disciplinary barriers – to flow in a common epistemological direction. In the different scientific applications the binary principles of structure-process, organism-environment, mind-nature, logiccommunication are related to the well-known concept of “systemic Zeitgeist” from the last century. This cognitive and epistemologic frame generated the conditions for the implementation of the Internet phenomenon: exemplary realization of the interconnected communication. Opere citate Althusser, L., Ideologia e apparati ideologici dello stato, 1970, in Critica Marxista n°5. 44 -Risposta a John Lewis, in Umanesimo e Stalinismo. I fondamenti teorici della devianza staliniana, De Donato, Bari 1973. Atzeni P, Ceri S., Paraboschi S., Torlone R., Basi di dati. Concetti, linguaggi e architetture, Mc Graw-Hill, Milano 1996. Aut-Aut, Gettare la rete. Parole e realtà nell’epoca di Internet, n° 289-290, gennaio-aprile 1999. 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