Francesca Osnato IL SOGGETTO PRECIPITATO (NELLA RETE

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Francesca Osnato
IL SOGGETTO PRECIPITATO (NELLA RETE).
Comunicazione e relazioni nel network sociale.
Francesca Osnato
IL SOGGETTO PRECIPITATO (NELLA RETE).
Comunicazione e relazioni nel network sociale.
2
1. Premessa
2. Genesi del concetto di rete. Dal centro alla rete: la nuova
epistemologia.
2.1. Thomas Khun e il concetto di paradigma.
2.2. Il pensiero sistemico.
2.3. L’epistemologia di Bateson.
3. Effetti di connessione: l’esperienza relazionale nella definizione dei
soggetti.
3.1. La biologia al centro della vita.
3.2. Differenziazione e riconoscimento nella psicoanalisi postfreudiana.
3.3. La sociologia tra le reti della società: N. Elias, P. Bourdieu,
la Network Analysis, N. Luhmann.
4. Soggetti occidentali ricreati e dispersi.
4.1. L’evoluzione della personalizzazione in Occidente.
4.2. Il soggetto “decentrato”: l’identità come costruzione
sociale.
4.3. Autore e lettore: autorità ed interpretazione.
5. Il network sociale. L’esperienza della rete nella comunicazione
sociale.
5.1. L’identità bio-tecnologica nell’era di Internet.
5.2. The computer mediated communication.
5.3. Ambivalenza della rete: nuovi attori, nuove parti.
6. Conclusioni. L’Umanità squalificata: Teoria e politica di rete.
Riassunto (Summary)
Bibliografia
Francesca Osnato
IL SOGGETTO PRECIPITATO (NELLA RETE).
Comunicazione e relazioni nel network sociale.
3
A mio parere, il mondo è costituito da una rete (più che da una
catena) assai complessa di entità che hanno tra loro relazioni di
questo tipo, con una differenza: molte di queste entità hanno provviste
proprie di energia e forse anche idee proprie su dove vorrebbero
dirigersi.
Gregory Bateson, 19591
1. Premessa
Nei primi decenni del ventesimo secolo si è strutturata una
nuova capacità di pensiero, uno schema mentale multidisciplinare informato da una nuova logica. Si può forse parlare di un significativo
cambio di Paradigma, una perturbazione epistemologica (se non
proprio una rivoluzione copernicana) nel segno della complessità e
dell’attenzione sistemica.
Il pensiero analitico cartesiano ed il meccanicismo di Newton
viene sostituito dall’idea del mondo come insieme integrato, come un
campo di sviluppo di connessioni, relazioni, contesti e trame
semantiche.
Generatosi nella comunità scientifica dei biologi organicisti e
dei fisici quantistici, questo Zeitgeist olistico si è diffuso con esiti
importanti nelle varie discipline scientifiche e con approcci più o
meno strutturati nell’area umanistica. L’affermazione di conclusioni
condivise dall’ambiente scientifico e l’articolarsi di concetti, valori,
percezioni e comportamenti partecipi del sistema sociale hanno
generato una nuova visione della realtà.
Se la Scienza mantiene un certo distanziamento temporale e
concettuale rispetto allo spazio sociale, tra le due sfere permane
comunque uno scambio osmotico2. Così l’affermazione del nuovo
modello ha coinvolto successivamente anche la comunità sociale,
provocando un mutamento nell’organizzazione sociale “dalle
gerarchie alle reti”.
1
Bateson, 1972, 244 e seg.
Il rapporto fra scienza e società è oggetto di studio della sociologia della
conoscenza. Le analisi più recenti (e più contestate dalla scienza ufficiale)
coinvolgono sia i meccanismi di affermazione delle scoperte scientifiche sia
l’immaginazione scientifica. Cfr. Bloor (1994) e Latour (1986).
2
4
Il passaggio da una concezione meccanicistica ad una sistemica
è stato un cambiamento lento, discontinuo e certamente avversato da
tensioni contrarie, ma ha creato nel tempo un concetto (quello di rete),
forte ed organico. L’atto finale di questa creazione è stata
l’oggettivazione di un orientamento epistemologico in realtà
informatica.
Non è, forse, un caso la “fortuna di Internet”; qualcosa ne ha
creato le basi, le condizioni di esistenza. Questa struttura generativa ha
una consistenza scientifica secolare, ed Internet è solo l’ultimo
sviluppo di un pensiero integrato.
La rete è il simbolo di connessione tra i fenomeni della scienza,
parola d’accesso alla nuove tecnologie e sistema di comunicazione
sociale. Il nuovo interesse nei confronti di una realtà non più univoca,
ma intrecciata da fili multicolore, ha comportato un mutamento di
prospettiva nella ricerca delle singole discipline scientifiche ed
umanistiche, con consapevolezza e risultati molto diversi fra loro.
2. Genesi del concetto di rete. Dal centro alla rete: la nuova
epistemologia.
L’essere umano ha sempre dato forma al proprio sapere secondo
una struttura fortemente centripeta. Il sistema della conoscenza
rispecchia così temi, valori, simboli e tensioni generate dai “miti”
della società stessa; i miti organizzano il sapere in forme riconoscibili.
I grandi “Libri” che raccontano i fondamenti etici e gnoseologici
delle società caratterizzate da un principio di riferimento (un tempo
quasi esclusivamente religioso) erano il centro della conoscenza e
dell’azione3. Nelle società cristiane Dio era il riferimento privilegiato
mentre in quelle laiche ed atee il principio centripeto si esprimeva
attraverso i concetti di Ragione, Idea, Spirito, Materia.
Nell’ultimo secolo è emersa una nuova tendenza, a-centrata e
reticolare: la scienza ed il sapere si sviluppano secondo trame tessute
da più fili, ai centri si sono sostituiti nodi e collegamenti tra livelli. La
3
“Dire che nelle organizzazioni del sapere, fino ad ieri, si è avuto un forte contenuto
ideologico significa non soltanto criticare che il loro nucleo deriva da questo o quel
“Libro”quanto dal fatto che, appunto, esse hanno un nucleo, un centro. E’ dunque
inevitabile che la struttura organizzativa che ne deriva sia a sua volta anch’essa
centrata”, Romano, 1981, 2.
5
scienza ha sciolto le gerarchie tra le diverse discipline in percorsi
senza precedenze4.
Le categorie delle discipline non si riferiscono più ai concetti di
centro e di necessità (o non solo) ma parlano di caso e di strutture
decentrate. “Cercare di organizzare il sapere, oggi, non è altro che un
modo di partecipare all’evoluzione stessa del sapere”5,
l’organizzazione del sapere è diventata una fase euristica, è ricerca e
formazione.
Classificare significa, kantianamente, pensare. Quando le
classificazioni non si riferiscono più ad un solo elemento ma ad una
classe di relazioni fra elementi, allora classificare, ordinare, significa
auto-produrre sapere. Ogni nuova classificazione dis-organizza il
sapere precedente, esso diventa una “rete di modelli6. I modelli
riproducono solo alcuni aspetti della realtà. Le teorie scientifiche si
possono considerare come dei “generatori di modelli” perché
selezionano archetipi adatti alla teoria stessa. Così, ad esempio, la
meccanica newtoniana ha generato per due secoli solo modelli che
rispondevano ai suoi principi fondamentali.
La scienza7 è quindi da considerarsi come una “rete di modelli e
di nodi semantici”, i cui percorsi sono dei centri di collegamento tra
variabili e leggi specifiche (locali). Il nuovo concetto di sapere e di
scienza elimina quindi (o riduce) i concetti di: centralità, gerarchia,
prevedibilità. Secondo questo modello, quindi il sapere non procede
per “accumulazione stratificata”8, ma per strappi e lacerazioni
rivoluzionarie. Il sapere acquista la libertà di percorsi senza puntelli.
2.1. T. Kuhn ed il concetto di paradigma.
Platone descrive nel Timeo9 il Demiurgo che crea il cosmo
sensibile sulla base di un modello eterno, identico a se stesso; “la
nozione di modello viene allora applicata non più al riferimento che
4
Le gerarchie tra le varie discipline erano causate non tanto da “un’oggettiva
priorità di una sull’altra quanto -dalla- necessaria derivazione dell’idea di un centro,
poiché chi dice centro dice inevitabilmente periferia e dunque struttura arborea,
gerarchizzata”, Romano, cit., 3.
5
Romano, cit., 4.
6
Romano, cit., 5.
7
La scienza qui è intesa nella sua dimensione storica e sociale, ossia come una forma
di organizzazione del sapere che muta nella direzione della storia.
8
Romano, cit., 7.
9
Platone, 1994, 28 b 5-29 b 4.
6
viene copiato, ma al risultato di quest’azione di copia”10. Da tale
concetto deriva il “moderno” paradigma con il quale Kuhn identifica
quelle “conquiste scientifiche riconosciute, le quali, per un certo
periodo, forniscono un modello di problemi e soluzioni accettabili a
coloro che praticano un certo campo di ricerca”11.
I modelli o i paradigmi si sostituiscono nel tempo quando quello
in vigore non è più in grado di rispondere ai problemi della scienza.
La scoperta dell’invalidità di un paradigma genera nuove ricerche,
interpretazioni, e quindi nuovi paradigmi, ma il passaggio è ogni volta
una vera rivoluzione. La complessità dell’esperienza genera
l’imprevedibilità della conoscenza12: nelle teorie scientifiche non
esiste successione determinabile a priori.
Si può tuttavia accettare l’assunto kuhniano che ogni singola
scienza si sviluppi secondo fasi di continuità (o di “scienza normale”),
dove la conoscenza integra se stessa secondo un criterio cumulativo, e
fasi di rottura della continuità. Nelle prime fasi lo scienziato gestisce
le sue ricerche a partire da una “concezione del mondo” specifica
della disciplina stessa, egli si rifà ad un “paradigma scientifico” dotato
di assunti teorici di fondo, problemi e metodi ritenuti validi dalla
comunità scientifica (e formalizzati in testi e manuali).
I paradigmi si affermano per la loro funzionalità e capacità di
risoluzione dei problemi e l’inerzia che li accompagna nella storia
della scienza è dovuta alla fiducia in essi ed all’accettazione (più o
meno consapevole) della comunità scientifica. Così, quando si
verificano le "anomalie" (o contraddizioni) che il paradigma non
riesce a spiegare, allora si apre una fase di crisi. La sostituzione di un
paradigma non è, però, un’operazione indolore; la scienza normale
tenderà ad estendere e adattare il paradigma secondo un certo grado di
elasticità. La sostituzione teorica può non essere totale ma questa fase
di rottura è sicuramente un momento di discontinuità, al quale segue
una nuova fase di stabilità. Un classico esempio di rivoluzione
scientifica è la “rivoluzione copernicana”: il passaggio dalla visione
geocentrica a quella eliocentrica ha infranto un impianto logico
secolare13.
10
Platone, cit., 13.
Kuhn, 1978, 10.
12
Cfr. Popper, 1972.
13
La teoria del cambiamento scientifico si accompagna a quella
dell’incommensurabilità “secondo la quale i sostenitori di teorie scientifiche diverse,
esempio quella newtoniana e quella einsteniana, parlano lingue che abitano mondi
11
7
La possibilità di una scoperta scientifica14 è legata al pensiero
dominante all’interno della comunità di ricerca, esistono dei
presupposti (temporali, spaziali, teorici e pratici) che condizionano gli
sviluppi della ricerca stessa. Condividere lo stesso “sguardo
scientifico” sulla realtà significa riferirsi a rappresentazioni e stili
cognitivi comuni.
L’antropologa (neo-durkheimiana) Mary Douglas ha teorizzato15
l’esistenza di un processo cognitivo sovrapersonale a base di ogni
sistema sociale; questo pensiero sociale è organizzato come un
sistema di credenze che legittima le istituzioni e “controlla” il
pensiero individuale. Mary Douglas sostiene che “i concetti sono (..)
rappresentazioni collettive”16, ossia rispondono ad un sistema
cognitivo comune, socialmente condizionato ed a sostegno di tale
assunto riprende le posizioni di Fleck e di Kuhn. La verità della
scienza è contestuale, storica e sociale; ciò non toglie validità alla
scienza, ma ne conferma la dimensione storica.
La conoscenza “è l’attività dell’uomo sottoposta al massimo
condizionamento sociale e la conoscenza è la struttura sociale per
eccellenza”17. Non esiste realtà oggettiva assoluta, essa risponde agli
schemi concettuali di un collettivo di pensiero. Una volta stabilito il
carattere sociale della conoscenza, si può analizzare la storia della
scienza con occhi diversi, seguendo il corso dei paradigmi che in essa
si susseguono e ricercando in questi un valore sociale.
2.2. Il pensiero sistemico
Il Pensiero Sistemico esprime una concezione intellettuale
olistica, attenta al significato del contesto e del processo. Pensare in
modo sistemico significa comprendere un fenomeno inserendolo nel
contesto di un insieme più vasto.
concettualmente diversi e in parte intraducibili”, Massarenti, Sole 24 Ore”, 13
Giugno 1999, n°160, p.29.
14
Anteriormente a Kuhn, anche Fleck aveva ricostruito la storia delle teorie
scientifiche (tra XV e XX sec) facendo riferimento all’emergenza di un collettivo di
pensiero. L’esempio addotto è la scoperta della reazione Wasselman per combattere
la sifilide. Cfr. Fleck, 1935.
15
Cfr. Douglas, 1990.
16
Douglas, cit., 14.
17
Fleck, 1935, 101.
8
Le prime “riflessioni sistemiche” nacquero all’inizio del
Novecento dai biologi organicisti, che consideravano la loro scuola di
pensiero come una terza via alternativa al meccanicismo e al
vitalismo. Essi spiegavano l’organismo partendo dal concetto di
“rapporti organizzanti”, ossia considerando gli schemi di relazioni
insiti nella struttura fisica dell’organismo. Oggi si è perfezionato il
concetto di organizzazione e si preferisce parlare di autoorganizzazione come principio essenziale della vita.
Lawrence Henderson fu il primo ad utilizzare il termine
“sistema” per indicare sia gli organismi viventi sia i sistemi sociali,
mentre altri biologi sottolinearono la natura gerarchica dell’organismo
vivente, ossia la “tendenza a formare strutture a più livelli di sistemi
dentro sistemi. Ognuno di questi forma un tutto rispetto alle sue parti,
mentre allo stesso tempo è parte di un tutto più ampio”.18
Le concezioni sistemiche hanno innovato profondamente il
pensiero scientifico occidentale, mettendo in discussione la possibilità
di comprendere i sistemi per mezzo dell’analisi e sostenendo che le
proprietà delle parti possono essere decifrate solo analizzando quelle
del sistema.
La ricerca scientifica s’interroga sui principi di organizzazione
fondamentali, sul contesto dei fenomeni. La nuova consapevolezza
dei sistemi come “insiemi integrati” provocò una vera rivoluzione
anche nella fisica, dove negli anni Venti la teoria dei quanti dimostrò
che “a livello subatomico gli oggetti materiali solidi della fisica
classica si dissolvono in schemi ondulatori di probabilità”19.
Studiando gli atomi e le particelle subatomiche non troviamo parti
isolate, ma una trama complessa di interconnessioni20. Nella
meccanica quantistica il tutto determina il comportamento delle parti.
Nella Germania degli anni Venti, durante la Repubblica di
Weimar, sia la biologia organismica sia la recente psicologia della
forma teorizzarono nuovi sistemi interpretativi contro la crescente
frammentazione umana.
Nel campo della psicologia la restrutturazione epistemologica
comportò la teoria della Gestalt (o della “forma organica”,
contrapposta alla Form, che indica la foggia inanimata) e contribuì
18
Capra, 1998, 39.
Capra, cit., 41
20
Donde il pensiero di Werner Heisenberg: “Il mondo appare così come un
complicato tessuto di eventi, in cui rapporti di diversi tipi si alternano, si
sovrappongono o si combinano, determinando in tal modo la struttura del tutto”,
Capra, cit., 41.
19
9
così al dibattito fra i biologi organicisti sulla definizione della “forma
organica” stessa. Già alla fine dell’Ottocento il filosofo tedesco
Christian Von Ehrenfels aveva concepito per primo il termine Gestalt
ad intendere uno “schema non riducibile di percezione”21, ossia un
tutto che non si può ridurre alla somma delle parti. La
Gestaltpsychologie (o psicologia della forma) ribadisce, infatti, detta
impossibilità di ridurre il tutto alle sue parti. Max Werthaimer e
Wolfang Kohler sostennero che la percezione degli organismi viventi
identifica le cose come strutture (patterns) integrate e totalità
organizzate, essendo le singole parti prive delle qualità della struttura
nella sua interezza. Questa teoria ebbe sviluppi importanti nel campo
dell’apprendimento e nello studio delle associazioni22.
Sviluppi seguenti del pensiero sistemico si ebbero con la nascita
della scienza dell’Ecologia e con la Teoria Generale dei Sistemi.
L’Ecologia (dal greco oikos, dimora) nacque nel diciannovesimo
secolo dagli studi dei biologi organicisti sulle comunità di organismi.
Essa studia le relazioni che connettono fra loro gli abitanti della terra.
Fu il biologo tedesco Ernest Haekel a coniare nel 1866 il termine
appunto di Ecologia, definendola come “la scienza delle relazioni fra
l’organismo ed il mondo esterno circostante”23.
In seguito: vennero introdotti i concetti di catene e di cicli
alimentari, considerando l’alimentazione come il principio portante di
ogni organizzazione di comunità biologiche; l’inglese A. G. Tansley
parlò di “ecosistema” per descrivere le comunità animali e vegetali; il
geologo austriaco Eduard Suess coniò, alla fine del diciannovesimo
secolo, il termine “biosfera” per indicare lo strato di vita che circonda
la Terra; infine, negli anni settanta, James Lovelock e Lynn Margulis
svilupparono “l’ipotesi Gaia”, secondo la quale la terra è globalmente
un sistema vivente auto-organizzantesi24. Gli ecologi introdussero i
concetti di “comunità” e di “rete”. La scienza dell’ecologia pensò la
21
Capra, cit., 43.
Negli anni Sessanta dalla Gestalt derivò anche una scuola corrispondente di
psicoterapia che tende ad armonizzare le esperienze personali in un insieme
integrato.
23
Capra, cit., 44.
24
L’ipotesi Gaia, in altri termini, ha definito una nuova forma di adattamento
reciproco tra ambiente ed organismi, ritenendo l’ambiente stesso plasmato da una
rete di sistemi viventi capaci di adattamento e creatività.
22
10
comunità ecologica come “unione di organismi, legati in un tutto
funzionale dalle loro relazioni reciproche”25.
Il concetto di rete veniva così sviluppato nell’ecologia, mentre i
sistemici adoperarono modelli di rete nello studio di tutti i livelli del
sistema e per spiegare la natura stessa della vita. Se gli organismi sono
reti di cellule e di organi e di sistemi di organi, gli ecosistemi sono reti
di organismi individuali.
2.3. L’epistemologia di Bateson.
Questo spirito di connessione è ben rappresentato dalla figura di
Gregory Bateson26, uno scienziato che ha combattuto contro la
tendenza alla reificazione scientifica della realtà. Egli ha teorizzato il
concetto di “Ecologia della mente”27, un sistema interconnesso che
lega insieme il mondo creaturale sulla base di alcuni principi comuni
alle menti.
Bateson contesta l’assolutezza del sapere oggettivo della scienza
post-cartesiana28, dove “l’uomo, che si pensava come soggetto, aveva
di fronte a sé il mondo oggettivato, risolto cioè in ob-jectum in ciòche-sta-di-fronte al suo sguardo matematico”29; il sapere diventa un
sistema che si può indagare solo con uno sguardo “olistico”, ossia
attento al “tutto” (olos), alle relazioni (più che alle semplici
successioni di causa-effetto).
Le teorie di Bateson interpretano il senso della ricerca di una
connessione profonda nel mondo vivente, ossia l’osservazione di una
rete di strutture che danno significato all’esperienza dei soggetti.
La vita è descrivibile come un sistema di reti avviluppate fra di
loro, dove ogni creatura è un sistema organizzato in forma di rete che
si sviluppa secondo le direzioni complesse della coevoluzione. Questa
25
Lovelock, cit., 45. Oggi si considerano la maggioranza degli organismi come
ecosistemi complessi e non solo come membri di comunità ecologiche.
26
Per un profilo biografico completo di G. Bateson si può leggere il testo di
Brunello, 1998.
27
Cfr. Bateson, 1997. Quest’opera descrive una teoria generale unificata di mente,
materia e vita; un prinicio che verrà poi ripreso da altri pensatori sistemici come H.
Maturana, F. Varela, L. Margulis, B. Mandelbrot.
28
Un commento in questo senso è stato espresso da M. Cini: “..alla luce del
discorso di G.Bateson, la concezione cartesiana della scienza appare in tutta la sua
inadeguatezza fenomenologica e la sua ristrettezza concettuale”, 1994, 253.
29
Galimberti, in “La Repubblica”, Martedì 10 febbraio 1998.
11
nuova formulazione del concetto di vita posiziona diversamente la
dignità dell’essere umano, che in questo modo “non risedierebbe -piùnell’orgoglio della separatezza, ma nel riconoscersi umilmente
elemento della natura, all’interno di una trama di processi e
corrispondenze che lo accomuna ad altri esseri biologici, partecipe di
una mente diffusa, ben più estesa dell’io individuale”30.
L’attenzione dello scienziato si sposta dagli eventi alle relazioni,
in nome di quella “struttura che connette” tutti gli esseri viventi; la
“struttura che connette è una metastruttura, è una struttura di
strutture”31. Bateson utilizza il concetto di relazione come il fulcro di
ogni definizione, la legge profonda che struttura e conferisce
significato all’intero mondo vivente (ossia ad ogni forma biologica).
Il punto forte della teoria di Bateson è la condanna del dualismo32 così
descritto dalla tradizione cartesiana, non c’è scissione né
contrapposizione nel mondo, ma distinzione e unione fra la sfera
creaturale e quella pleromatica.
L’opera di Bateson è una riflessione sulle premesse
epistemologiche che orientano e danno forma alla conoscenza
dell’essere umano33; il principio di partenza è l’olismo intrinseco della
Natura, ossia la capacità di generare totalità complesse aventi
proprietà che mancano alle parti considerate singolarmente. Esiste una
struttura ricorsiva che assomma tutte le creature (una Metastruttura),
perciò una nuova e rigorosa definizione di epistemologia dovrà
considerare non “le cose in sé” ma le relazioni fra le creature ed i
rapporti simmetrici tra le relazioni stesse.
La conoscenza dell’essere umano si sviluppa in relazione ad una
sequenza di atti informativi, dove ogni informazione è un
trasferimento di notizie e di apprendimenti passati e questa capacità
di trasmissione è la funzione di crescita dell’”ecosistema-mondo”. La
scienza che indaga i processi di coevoluzione del mondo delle creature
30
Padiglione, 1996, 193.
Capra, cit., 25.
32
Questa descrizione complessa non implica però un principio spirituale
trascendentale. Il concetto di Sacro che emerge prepotentemente dal suo ultimo
scritto (incompiuto) è quel principio di bellezza e di armonia rappresentato dalla
struttura che connette. Il sacro è importante per l’essere umano in quanto
espressione di non-conoscenza, pura contemplazione. Cfr. Dal Lago in Manghi,
1998.
33
La domanda di partenza è: “Quale struttura connette il granchio con l’aragosta,
l’orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi?”, Bateson, 1976,
21.
31
12
è da considerarsi solo come un metodo di ricerca: “la scienza non
prova, esplora”34. L’essere umano può giungere ad una descrizione
attenta dei fenomeni che è in grado di cogliere (da qui l’importanza
dei sensi), ma non può dare una spiegazione dei fenomeni perché
impedito dall’inaccessibilità della “cosa in sé”; egli è impossibilitato
al raggiungimento della verità oggettiva35.
L’interazione tra il soggetto e la realtà è tale da impedire
un’osservazione neutra dei fenomeni naturali; la mente e l’osservatore
sono in un rapporto complesso. Bateson ha sviluppato il problema
della riflessività sia in riferimento all’epistemologia (dove
“l’osservatore è inscindibile dal sistema osservato”36) sia riguardo a
problemi teorici come l’osservazione che “gli uomini, come gli altri
esseri e come le forme sociali sono sistemi autocorrettivi che vivono
di relazioni”37. La scienza è ontologicamente riflessiva, l’osservatore è
inserito nel sistema osservato. Osservare un evento conduce ad una
modificazione dell’evento studiato ma apporta un cambiamento anche
nello stesso osservatore. Non possiamo riferirci al mondo che ci
circonda con aria di obiettività e distacco perché noi siamo in
relazione ad essa, il nostro esser-ci nel mondo è un essere interattivo,
un circuito di scambi e di coevoluzione.
3. Effetti di connessione: l’esperienza relazionale nella definizione
dei soggetti.
La storia del pensiero scientifico è un universo complesso, un
cielo di stelle, pianeti e meteore che si espande per collisioni
rivoluzionarie; è uno spazio di tempi incoerenti, prima contratti, poi
rilassati e di nuovo spasmodici. Le discipline della scienza inventano
nuovi ritmi e valorizzano l’oggetto del loro studio seguendo
prospettive variabili.
Questa nuova tendenza paradigmatica della scienza crea nuove
griglie di intelligibilità dell’essere umano, trasformandolo in oggettodi-studio, corpo e pensiero attraversato foucaultianamente dalle
34
Bateson, 1987, 47.
Questo principio-limite della conoscenza umana è un pensiero molto vicino
all’epistemologia kantiana: la “cosa in sé” (o “Ding an sich”) non è mai
raggiungibile, possiamo descrivere quello che ci circonda, ma non possiamo
spiegarlo.
36
Padiglione, 1996, 41.
37
Padiglione, cit. 41.
35
13
discipline e ricomposto attraverso le lenti della biologia, della teoria
psicoanalitica e della sociologia.
3.1. La biologia al centro della vita: l’essere vivente è uno
schema a rete
Attraverso la biologia emerge un nuovo concetto di vita, di
comunicazione e di mente: il soggetto nasce e vive in una situazione
relazionale, di interazione con l’ambiente, egli subisce e causa dei
mutamenti di portata prima locale, poi immediatamente globale; la
selezione delle dinamiche evolutive del “sistema natura” sono
condizionate dal rapporto tra l’ambiente e le sue creature. La
coevoluzione è il principio generativo della vita.
La ricerca biologica ha subito un’evoluzione teorica importante
dagli anni 50 ad oggi, poiché ha abbandonato progressivamente il
riferimento esclusivo alla fisiologia, che la costringeva ad ignorare
“tutto ciò che per gli esseri viventi è comunicazione, conoscenza,
intelligenza”38. Il mondo era immaginato come un sistema a tre piani
fra loro non-comunicanti: uomo-cultura, vita-natura, fisica-chimica.
Dagli anni cinquanta in poi, si sono aperte nuove brecce fra le
diverse discipline; Shannon, con la teoria dell’informazione e Wiener,
con gli studi sulla cibernetica, crearono i presupposti teorici per
collegare tra loro gli organismi biologici, le macchine artificiali, i
fenomeni psicologici e quelli sociologici. La biologia molecolare si
arricchì nel 1953 della scoperta della struttura chimica del codice
genetico (Watson e Crick), riportando l’attenzione alle strutture fisicochimiche, ma contemporaneamente portando un’“apertura verso
l’alto”39. Ossia, mentre la nuova scoperta dimostrava la natura
sistemica degli esseri viventi, (dotati cioè di una particolare
organizzazione fisico-chimica), la nuova biologia spiegava la vita solo
in base ai suoi “substrati nucleoproteici”40.
La vera novità era, però, l’introduzione di principi di
organizzazione solitamente non utilizzati dalla chimica e di concetti
provenienti dalla cibernetica41. Questi nozioni cibernetiche sono, in
38
Morin, 1994, 20.
Morin, cit., 23.
40
Morin, cit., 23.
41
I concetti più importanti introdotti dalla cibernetica sono: informazione, codice,
messaggio, comunicazione, inibizione.
39
14
realtà, concetti riferibili alle relazioni umane, la vita è
un’organizzazione complessa che si svolge a partire dal nucleo della
cellula fino alle dinamiche psicosociali. La logica dello sviluppo
dell’essere vivente è determinata anche dal caso e dal disordine.
Certamente la nuova teoria biologica ha modificato il concetto di
“vita” e la ricerca dei cileni Humberto Maturana e Francisco Varela
(studiosi di neuroscienze), ne ha ulteriormente definito gli sviluppi.
Questi scienziati hanno descritto una teoria degli esseri viventi che
risponde ai principi del pensiero sistemico.
Per Maturana l’organizzazione dell’essere vivente è uno schema
a rete, dove “ogni componente ha la funzione di aiutare a produrre e a
trasformare altri componenti mantenendo nel contempo la circolarità
globale della rete”42. La percezione e la cognizione specificano una
realtà esterna attraverso la circolarità del sistema nervoso; il processo
di organizzazione circolare si identifica così con quello della
cognizione. Il lavoro di collaborazione tra Maturana e Varela degli
anni Settanta portò, in seguito, al concetto di autopoiesi (“produzione
di sé”) come principio dell’organizzazione dei sistemi viventi. Nella
cosiddetta “Teoria di Santiago” (o teoria sistemica della cognizione) i
due autori identificano la cognizione con il processo della vita, il
nuovo concetto di cognizione è più vasto del concetto di pensiero. La
mente non è una sostanza ma un processo, mente e materia sono due
spetti diversi dello stesso fenomeno della vita. La rete (della vita) è sia
generata dai suoi componenti, sia essa stessa produttrice. Il sistema
vivente è autonomo e l’ambiente si limita ad innescare le modifiche
strutturali; i cambiamenti strutturali nel sistema sono atti cognitivi.
Questa prospettiva si può definire costruttivistica e della
codeterminazione, perché considera l’ambiente embrificato con
l’organismo in un processo di mutazione che ricorsivamente ritorna
all’ambiente e all’organismo. L’espressione “ciò che non è interdetto è
permesso”43 descrive la diversità come realizzazione di possibilità non
interdette. Autonomia e complessità si equilibrano in un gioco di
mosse imprevedibili.
L’essere vivente definisce la propria identità attraversando il
tempo e la storia come una virgola fra periodi, nel suo “essere-fra” le
parole determina il ritmo ed il senso del discorso. Se è vero che la
posizione da lui assunta è determinante nell’insieme di un senso più
vasto, come si costruisce il senso della sua singola identità?
42
43
Capra, 1998, 112.
Guerra, 1997, 150
15
La teoria psicoanalitica si è interrogata sulla definizione della
struttura cognitiva e comportamentale dei soggetti e, nel tempo, ha
trovato risposte diverse.
3.2. Differenziazione e riconoscimento nella
post-freudiana.
psicoanalisi
La psicoanalisi indaga i meccanismi di costruzione della
personalità dei soggetti, scoprendone le dinamiche mentali e
comportamentali. La vita, secondo la teoria psicoanalitica classica, è
un insieme di nuclei di soggettività in lotta fra loro; è una visione che
tende a dare spiegazioni inconsce ed individualistiche ai conflitti ed
all’identità dei soggetti. Le spiegazioni psicoanalitiche più recenti44
tendono a dare un quadro più complesso e connesso della psiche e dei
comportamenti dell’essere umano; esse considerano la formazione
della personalità del soggetto a partire dall’aspetto relazionale.
La psicoanalisi ha focalizzato l’analisi dei rapporti identitari a
partire da fasi sempre più precoci dell’infanzia; si è passati dalla teoria
edipica (dove il padre ha un ruolo centrale) ad una preedipica, dove la
diade madre-bambino coinvolge tutto lo sviluppo psichico. Questo
comporta anche un nuovo concetto di psiche, non più legato a pulsioni
e difese esclusivamente interne, ma interessato alle relazioni tra l’Io
ed i suoi oggetti45; La psiche si definisce attraverso un delicato
equilibrio tra l’affermazione ed il riconoscimento, un processo che
relaziona l’Io con i suoi oggetti interni. La relazione tra il Sé e l’Altro
sono determinanti soprattutto nei primi anni di vita, e le ultime
ricerche psicoanalitiche ne hanno evidenziato il significato ed il
carattere paradossale di alternanza tra fusione ed alterità. Il soggetto
diviene consapevole del proprio essere secondo un processo che viene
chiamato di “differenziazione”; egli è in grado di riconoscere se stesso
e contemporaneamente di distinguersi dagli altri. Questo ritrovarsi,
però, non è solo dell’individuo con se stesso, ma deriva soprattutto
dalle risposte dell’altro. Si crea così un paradosso dove il
riconoscimento del soggetto è una risposta complessa ad opera
44
La teoria freudiana classica ha subito, negli anni, nuove interpretazioni e sviluppi
divergenti soprattutto in relazione allo sviluppo dell’identità, della sessualità ed alle
relazioni di genere.
45
L’oggetto in psicoanalisi indica “la rappresentazione mentale degli altri”
Benjamin, 1991, 17.
16
dell’altro (che ci permette di controllare le nostre azioni-intenzioni)
ma quest’azione avviene solo se anche noi riconosciamo l’altro come
persona.
Il cambio di orientamento delle teorie psicoanalitiche deriva da
ricerche in altri ambiti, come la psicologia evolutiva di Piaget
(interessata all’interazione bambino-ambiente) e la ricerca etologica
(teorie sullo sviluppo dell’attaccamento e la creazione del legame
sociale). Attraverso queste ricerche si è valorizzato il riconoscimento
reciproco che coinvolge le prime interazioni tra la madre ed il
bambino e che definisce il carattere attivo del neonato (in contrasto
all’idea classica di passività).
Particolarmente importanti sono stati i lavori dei “teorici
dell’attaccamento” (l’Infant Observation) che alla fine degli anni
cinquanta, associarono la socievolezza alla prima fase di sviluppo del
soggetto46. Queste ricerche si affiancano a quelle contemporanee
britanniche che teorizzarono la “relazione d’oggetto”, introducendo,
così, una visione attiva ed interattiva del Sé.
Questo nuovo approccio si pone in contrasto anche con la
“psicologia dell’Io” (indirizzo psicoanalitico americano), dove la
formalizzazione più importante è quella dell’analista Margaret
Mahler. L’idea fondamentale è quella della separazione, della crescita
come un processo di distinzione; lo sviluppo infantile è spiegato come
una “graduale separazione del bambino a partire da un’iniziale unità
simbiotica con la madre”47. L’identità del soggetto parte da una
situazione di “unità duale” per arrivare ad una situazione di autonomia
del singolo. Questo approccio a prima vista opposto a quello
relazionale, ha contribuito molto, invece, alla teoria del Sé grazie sia
agli studi sui rapporti tra separazione-individuazione, sia a quelli
sull’interazione tra genitore e figlio48.
Questi studi creano una nuova dimensione d’indagine che
Jessica Benjamin, psicoanalista americana, definisce una “visione
intersoggettiva (…), per cui l’individuo cresce all’interno e per mezzo
46
Bolwby, (1976) descrive la relazione tra un contesto capace d’interazione e lo
sviluppo del senso dell’attaccamento tra bambini e genitori. Egli afferma che la
stimolazione sociale e affettiva è una condizione fondamentale di sviluppo nella vita
dell’individuo.
47
Benjamin, cit., 23.
48
La psicoanalisi si rivolse quindi ai conflitti preedipici ed alla creazione del senso
di Sé, mentre Heinz Kohut fondò la “psicologia del Sé”che “reinterpretava lo
sviluppo psichico sulla base del bisogno del Sé di trovare coesione e
rispecchiamento nell’altro”. Cfr.Winnicott, 1975.
17
della relazione con gli altri soggetti”49. Il mondo psichico diventa un
luogo d’incontro tra soggetti, tra il Sé e l’altro, al contrario della teoria
intrapsichica per la quale le persone sono entità monadiche, separate,
dotate di una struttura interna complessa.
Mentre quest’ultima si concentra sull’idea di inconscio, la teoria
intersoggettiva considera l’aspetto relazionale della creazione
dell’identità; per questo le due teorie acquistano una validità
complementare. Il bisogno di riconoscimento (riflessivo) motiva le
interazioni tra il Sé e l’altro: noi siamo in grado di riconoscerci negli
altri e nelle cose inanimate. Riuscire a vedere e saper accettare le
persone come distinte ma simili a noi è un traguardo della crescita
che non si ferma alla fase preedipica. Differenziazione e reciprocità
cercano costantemente un “sano” equilibrio; se, invece, fallisce la
reciprocità precoce, si crea nel bambino una barriera tra mondo
interno ed esterno50.
Mentre la psiconalisi classica parlava della differenziazione
come dell’“uscire da” una situazione omogenea, la teoria
intersoggettiva descrive l’equilibrio paradossale tra il riconoscimento
dell’altro e l’affermazione di sé. Il nuovo orientamento psicoanalitico
è passato dalla complementarietà alla reciprocità dell’interazione,
senza negare le occasioni di ostilità al riconoscimento altrui.
Questo processo di riconoscimento è la legge di sussistenza
della società, è il principio che lega i soggetti oltre la loro esistenza
determinata; possiamo considerare la società come “la rete” per
antonomasia, un intreccio di relazioni e di comunicazioni pacifiche o
conflittuali.
Alcuni autori della sociologia più recente hanno assunto il
concetto della rete sia come modello di rappresentazione della società
che come strumento di analisi.
3.3. La sociologia tra le reti della società
Una parte della sociologia, si affianca alle ricerche biologiche e
psicoanalitiche, introducendo il concetto di rete nelle sue analisi e
49
Kohut, 1980, 25.
Stern introduce un altro importante concetto, quello dell’intersoggettività: il
bambino dai sette ai nove mesi scopre l’esistenza di altre menti, di altre persone
capaci di sentimento e pensiero. Il riconoscimento reciproco è una forma di contatto,
di scambio dove la realtà può essere fonte positiva di piacere, il piacere dell’essere
nel mondo e parte di esso.
50
18
mettendo in discussione un’impostazione teorica classica a volte
eccessivamente legata a singoli settori di analisi. I legami tra le
persone vengono ora concettualizzati sulla base di nuove forme
d’interazione.
Nell’ambito della sociologia ci sono stati (quasi
paradossalmente, visto la natura della materia) sviluppi incoerenti in
merito, sia riguardo allo studio relazionale, sia in merito al concetto di
rete. In particolare il riferimento al concetto di rete è stato sviluppato
dai sociologi: Elias, Bourdieu e Luhmann, nonché dalla teoria
sociologica definita come “network analysis”.
Per Elias mentre il pensiero relazionale ha distinto la scienza
moderna, la sociologia non ha ancora sviluppato questa prospettiva
intra ed ultra-evenemenziale. Le ricerche in questo senso mantengono
ancora il loro “carattere pionieristico” nell’ambito di problemi che ora
necessiterebbero di ricerche combinate. In questo senso Elias critica
l’approccio analitico del sociologo Talcott Parsons e ne contesta la
teoria delle “variabili modello” (o pattern variables, componenti
elementari dei vari tipi di società).
Per Elias la “scomposizione di fenomeni sociali che in effetti si
possono osservare soltanto come in divenire e divenuti, con l’aiuto di
coppie concettuali che limitano l’analisi a due strati contrapposti
equivale ad un non necessario impoverimento della percezione
sociologica”51 ma le categorie fondamentali scelte da Parsons gli
sembrano arbitrarie. Riducendo sistematicamente i processi sociali a
“situazioni (Zustände) sociali”52 semplici (non composite), si creano
solo complicazioni.
La sociologia sembra fermarsi allo studio di processi di breve
durata, dimenticando le trasformazioni del lungo periodo (o del
“tempo lungo” come direbbe Braudel) e riducendo i fenomeni a fatti
isolati, elementari. Così l’idea parsoniana dell’esistenza separata
dell’individuo (Ego) e della società (System) non porterà mai a capire
che gli uomini sono parte di un mutamento strutturale. Bisogna
inserire il carattere di processo nello studio sociologico. I sociologi del
XIX secolo si interessarono ai processi sociali a lungo termine, mentre
nel XX secolo la sociologia è diventata una scienza della stabilità
(Zuständsoziologie). Questa perdita di interesse nei confronti dei
problemi del divenire sociale è dovuta, per Elias, ad un crescente
51
52
Elias, cit., 16
Elias, cit., 16.
19
sospetto riguardo al concetto di “sviluppo”. La paura di studiare la
realtà a partire da ideali politici legati ad una particolare
Weltanschauung, ha indotto gli studiosi a rifiutare gli “antichi”
modelli di sviluppo (Compte, Marx). Bisogna, invece, distinguere “tra
aspetti concettuali e aspetti concettuali ideologici del concetto di
sviluppo”53.
Il principio di sviluppo (non in senso ottimale) della società
esprime la connessione tra i processi sociali dell’individuo e della
comunità. All’immagine dell’uomo come “personalità chiusa” bisogna
sostituire quella di “personalità aperta”54. Elias nota, infatti, che “alla
sociologia non compete soltanto l’indagine e la spiegazione dei
vincoli ineluttabili specifici a cui gli uomini, inseriti in determinate
società e in gruppi empiricamente osservabili, oppure in società in
genere, si trovano sottoposti, ma anche l’eliminazione del legame fra
i modi di pensare e esprimere questi vincoli ineluttabili e i modelli
eteronomi”55.
I limiti di riorganizzazione del sistema di pensiero e di
linguaggio sono solide barriere anche per le comunità scientifiche (da
qui il concetto di paradigma di Khun), dove intervengono però altre
variabili di condizionamento. Il linguaggio tradizionale della scienza
(naturale e umana) si rivolge spesso all’uomo nei termini di
“individuo”, dimenticando che “l’uomo è un processo”56, è un essere
in movimento costante entro un processo senza soluzioni di continuità.
La sociologia deve porsi, quindi, l’obiettivo di dare valore ad
un’immagine diversa di uomo, un uomo “al plurale” e
interdipendente.
Anche per il sociologo francese Bourdieu “il modo relazionale
di pensare (meglio di quello“strutturalista” più angusto) è (..)
l’elemento distintivo della scienza moderna”57.
53
Elias, cit., 23.
Talvolta sono gli stessi strumenti linguistici a creare reificazioni laddove il
concetto esprimerebbe realtà condivise. Quando parliamo, ad esempio, della
famiglia, ci riferiamo ad un nucleo di rapporti tra persone legate da vincoli di
parentela, affettività, riconoscenza, rispetto, protezione(..) ma nei discorsi si perde la
capacità semantica del vocabolo, siamo portati a creare oggettivazioni nella lingua e
nel pensiero.
55
Elias, 1990, 16.
56
Elias, cit., 138.
57
Bourdieu, 1992, 67.
54
20
Egli modifica il principio hegeliano sostenendo che: “il reale è
relazionale”. Ciò che esiste nel mondo sociale è fatto di relazioni; non
interazioni o legami intersoggettivi tra agenti, ma relazioni oggettive
che esistono ‘indipendentemente dalle coscienze e dalle volontà
individuali’, come diceva Marx”58.
Bourdieu descrive il sistema sociale come un “campo” di forze,
“una rete o una configurazione di relazioni oggettive tra posizioni”59.
Le posizioni condizionano gli agenti o le istituzioni che le occupano e
creano situazioni di potere a seconda della struttura distributiva. Il
cosmo sociale delle società differenziate è costituito da “spazi di
relazioni oggettive in cui funzionano una logica e una necessità
specifiche, non riconducibili a quelle che regolano altri campi”60.
Bourdieu paragona il campo al gioco, dove le “poste in gioco
sono il prodotto della competizione fra giocatori”61. I giocatori
riconoscono al gioco ed alla relativa “posta” una convinzione (doxa)
condivisa ed indiscussa. I rapporti di forza tra i giocatori definiscono
continuamente la struttura del campo. Le strategie di un giocatore
“dipendono dal suo capitale nel momento considerato e dalle chances
nel gioco che quelle risorse gli consentono, ma anche dall’evoluzione
nel tempo, del volume e della struttura del suo capitale, cioè dalla
traiettoria sociale e dalle disposizioni (habitus) che si sono venute a
costituire nel rapporto prolungato con una certa situazione oggettiva di
chances”62.
Questa struttura sociale interattiva è stata analizzata anche dal
tedesco Luhmann. Egli identifica i processi sociali della rete
autopoietica con i processi di comunicazione: “I sistemi sociali
utilizzano la comunicazione come proprio peculiare metodo di
riproduzione autopoietica. I loro elementi sono comunicazioni di
comunicazioni che vengono prodotte e riprodotte da una rete di
comunicazioni e che non possono esistere al di fuori di tale rete.”63 La
58
Bourdieu, cit., 67.
Bourdieu, cit., 67. I limiti del campo sono posti dal campo stesso. I rapporti di
forza di un campo dipendono dalla sua particolare struttura e dalla distanza tra le
specifiche forze costituenti. Il campo è anche uno spazio per lotte di sopravvivenza,
in esso “si raccontano storie”.
60
Bourdieu, cit., 68.
61
Bourdieu, cit., 68
62
Bourdieu, cit., 69.
63
Luhmann, cit., 95.
59
21
famiglia come sistema64, ad esempio, si può concepire come una rete
di relazioni e conversazioni, dove hanno luogo fenomeni di circolarità
peculiare (i risultati delle conversazioni ne generano altre, formando
anelli di retroazione che si autoamplificano) all’interno di un contesto
semantico chiuso (valori condivisi,..etc.). I membri della famiglia
sono definiti dagli atti comunicativi della rete delle conversazioni. I
sistemi interpersonali sono circuiti di retroazione.
L’interazione umana è un sistema di comunicazione dotato delle
caratteristiche dei sistemi generali come il tempo (come variabile), i
rapporti sistema-sottosistema, le totalità, la retroazione e l’equifinalità.
Se è possibile arrivare ad una definizione della capacità relazionale
degli esseri umani, allora si può anche determinare l’evoluzione del
rapporto interattivo che lega i soggetti sociali.
La microsociologia pensa la società come il “prodotto di una
miriade di azioni di persone in interazione fra loro”65 e ne studia le
relazioni secondo la teoria della “network analysis”. L’analisi di rete è
stata utilizzata fondamentalmente come tecnica descrittiva più che
come teorizzazione compiuta, ma negli ultimi tempi, ha dimostrato
una propria autonomia teorica.
L’analisi di rete definisce le strutture come “modelli che si
formano tra individui”66, cercando così di studiare la società senza
creare reificazioni o astrazioni, nell’impegno di analizzare il
comportamento umano nella sua dimensione reale. Attributi come la
razza, il sesso, la classe sociale sono categorie che acquistano
significati particolari in relazione ad uno specifico modello di
connessione di rete.
Il concetto di “rete” della network analysis è diverso da quello di
ruolo: il secondo è “piuttosto un comportamento atteso socialmente e
prescritto nel suo contenuto fondamentale”67. Una rete è costituita
dagli scambi ripetuti tra le persone. Le reti vengono confrontate alle
teorie del mercato e dello scambio perché esprimono concezioni
diverse del legame che unisce gli uomini all’interno della struttura
sociale; ogni interazione si svolge all’interno di un’altra interazione, i
64
Il concetto di sistema è stato così definito da Hall e Fagen: “un sistema è un
insieme di oggetti e di relazioni tra gli oggetti tra i loro attributi dove i primi sono
parti del sistema, mentre gli attributi sono sia le proprietà degli oggetti che le
relazioni che uniscono il sistema ” in Hall e Fagen, 1956,1, 18.
65
Bagnasco, Barbagli, Cavalli, 1997, 93.
66
Cfr. Collins, 1992.
67
Cfr. Luhmann, 1990.
22
livelli locale e globale (o micro e macro) s’intrecciano. La dimensione
macro contiene le interazioni (definite nel tempo e nello spazio) di
attori oscillanti tra la libertà di azione e la costrizione generata dalle
interdipendenze.
Le reti sono state descritte utilizzando varie tecniche, una di
queste utilizza i modelli topologici 68basati sul concetto matematico di
equivalenza strutturale (per cui “due attori sono equivalenti nella
misura in cui i loro rapporti con altri attori sono identici”69).
Il mondo sociale visto attraverso la ‘teoria di rete’ mostra realmente i
rapporti di mercato e di scambio fra gli attori e attorno ad ogni singolo
individuo. Si analizza così la struttura del mercato di Ego, ossia il
grado di apertura delle scelte del soggetto.
La possibilità di interazione è sicuramente cresciuta negli ultimi
anni e questo mutamento ha comportato variazioni anche nella
rappresentazione della soggettività (occidentale-contemporanea).
4. Soggetti occidentali ricreati e dispersi.
Nel secolo ventesimo l’innovazione tecnologica ha creato una
nuova dimensione d’esistenza e di comunicazione, un campo di
rapporti dialogici che ha mutato profondamente la percezione del
soggetto nei confronti di sé stesso e della realtà circostante. La
tradizione individualistica occidentale si complica di nuove direzioni:
le parole, i pronomi e lo spazio acquistano nuovi significati,
policentrici e decentrati.
In questo senso è possibile un confronto tra la cultura europea e
quella giapponese, un modello teoricamente molto diverso da quello
europeo, ma di grande interesse per l’importanza attribuita dallo stesso
ai concetto di relazione e distanza. Il soggetto e la soggettività
occidentale- una volta tradizionalmente legato a dinamiche di
riconoscimento ed identificazione di tipo individualistico- viene ora
compreso in processi di riconoscimento collettivo.
Il sistema di personalizzazione occidentale muta e si avvicina al
principio orientale (ed in particolare giapponese) di una complessità
68
I modelli matematici tipici sono: la “riduzione omomorfica o many-to-one
mapping” (che crea un diagramma “a blocchi” dove ogni posizione occupa una
celletta), la “teoria dei grafi”, (che rappresenta i rapporti fra i soggetti come nodi
collegati da linee) e la misurazione della distanza sociale. Cfr. Collins, cit.
69
Collins, cit., 514.
23
più armoniosa, dove i pronomi personali cambiano in relazione ai
soggetti comunicanti e dove la distanza fra le persone è un campo di
forze in equilibrio.
Le distanze creano significati spaziali, distribuiscono i corpi nei
campi d’azione seguendo un sistema di segni culturali espliciti ed
impliciti. Lo spazio è il luogo dell’interazione complessa fra i pensieri
e le azioni dei soggetti, è sistema di norme e di abitudini sociali che
s’intersecano; lo spazio diviene materia di studio, argomento d’analisi
della “prossemica”, disciplina semiologica che ne rivela la costruzione
di senso. Il soggetto si sposta nei luoghi della realtà e
dell’immaginazione seguendo i fili di una cultura in continuo
cambiamento, nuove precedenze di significato investono sia il mondo
reale che quello dell’immaginazione.
La narrazione artistica e quella letteraria si lasciano interpretare
in modi diversi dal passato, le opere perdono la centralità dell’autore;
l’autorità che legava l’individuo al suo prodotto si dipana in uno
sfondo senza centro, un campo di luci con molte sorgenti. Parte della
critica letteraria ed artistica rinnega l’autore unico, acquisisce una
prospettiva d’indagine più articolata e si concentra sull’osservazione
del ruolo creativo del lettore. La centralità sembra così scomparire da
ogni campo, lasciando scie di percorsi incrociati in reti complesse.
4.1. L’evoluzione della personalizzazione in Occidente: un
confronto con la concezione relazionale giapponese.
La conquista dell’identità è un processo che attraversa dei
momenti di non-identità, ossia di forte identificazione con l’altro.
Il linguaggio definisce, nel tempo, la capacità di associazione tra il
soggetto parlante, l’oggetto del discorso e l’ascoltatore; le persone
acquistano un ruolo ed una posizione rispetto alle altre parti del
discorso. Il grado di “nominabilità”, ossia la capacità più o meno
estesa di -rispondere alla domanda “Chi parla?”70- è una variabile che
segue la struttura profonda della società71. Le lingue sono un sistema
di comunicazione “vivo”, capace di rispondere ai cambi di direzione
70
Waldenfels, “Il Manifesto”, Venerdì 21 Maggio 1999, 25.
Ci sono culture (come quelle africane) che utilizzano ancora oggi i nomi collettivi
per sottolinaere l’importanza della persona che parla, mentre in Europa tale
consuetudine (che era in uso nel medioevo), si è successivamente persa.
71
24
della cultura di appartenenza anche nel senso di un maggiore o minore
orientamento individualista (o pluralista).
Analizzando parallelamente il sistema linguistico giapponese e
quello europeo moderno, ci rendiamo conto del grado di
personalizzazione delle due lingue: mentre la prima intreccia il valore
dell’io (o proprio) con quello del tu (o straniero), la cultura
occidentale tende ad un maggiore individualismo ed egocentrismo.
L’uso occidentale dei pronomi e la preminenza del pronome personale
“Io” (v.“l’Ich” tedesco per indicare la forma sostantivata dell’io),
sembra indicare una tendenza all’oggettivazione della persona singola
e isolata72.
L’uso dei pronomi accomuna tutte le civiltà, lingue e società, ma
si differenzia per l’utilizzazione degli stessi nei termini nel discorso.
Elias sostiene che: “E’ caratteristico dell’aspetto relazionale e
funzionale dei pronomi personali il fatto che i medesimi pronomi,
quando la comunicazione fra più persone si fa incalzante, possono
indicare persone diverse, infatti ciò che esprimono è la posizione
relativa al parlante di volta in volta diverso, oppure, a seconda delle
circostanze, la posizione relativa all’intero gruppo impegnato nella
comunicazione”73. I pronomi personali sono un semplice modo di
esprimere la reciprocità tra gli individui.
L’uso dei pronomi non è standardizzato in tutte le società:
talvolta la differenza di posizione all’interno della rete dei rapporti è
meno pronunciata di quanto non avvenga nella nostra moderna
tradizione linguistica. La posizione del soggetto parlante (o dei
soggetti) si può esprimere utilizzando la prima e la terza persona in
modo meno rigido.
La tradizione giapponese attribuisce minore importanza alla
singolarità del soggetto parlante. Il giapponese non usa la divisione
tripartita dei pronomi personali (tipicamente occidentale), ma dispone
di una gamma maggiore e ulteriormente differenziata di pronomi;
questi variano all’interno del contesto secondo al tipo, alla natura e al
grado di rapporto.
La filosofia orientale rifiuta il principio occidentale della
personalità, mentre noi esasperiamo l’importanza e le conquiste
dell’Io, l’Oriente cerca di controllarlo, quasi di scioglierlo
nell’esperienza dell’altro; il fine principale dell’uomo è quello di
72
Per Elias il concetto di ‘Ego’ si è trasformato da simbolo di relazioni a concetto
di sostanza.
73
Elias, 1990, 144.
25
raggiungere un’armonia con il mondo che lo circonda, “l’esistenza di
sé -si deve stabilire- attraverso quest’unità universale che ingloba sé e
gli altri, i corpi, i gesti, ecc.”74 A ciò si accompagna una minore
importanza deputata alla personalizzazione dell’evento: nella lingua
giapponese manca una completa identificazione dell’Io con la prima
persona singolare, perché la personalizzazione segue il contesto della
comunicazione.
Il rapporto comunicativo fra due persone esprime il “primato di
un elemento intermedio”75: il Ki, (tra, fra..). La distanza che separa gli
attori parlanti ed interagenti è un principio molto importante nella
cultura giapponese, esso è rappresentato dalla condizione del maai,
concetto e regola del karate.
Il termine “maai” indica la distanza che separa i due
combattenti, esso è composto dalla parola ‘ma’ (che significa
‘distanza’ sia in senso temporale, che spaziale) e da ‘ai’ (verbo che
indica l’incontro tra persone o oggetti). Con ‘maai’ ci si riferisce,
quindi, ad “un’idea astratta di distanza e di intervallo, esprime un
movimento di avvicinamento e di allontanamento tra persone o
oggetti”76 .
La distanza77 diventa quindi uno spazio d’azione e di previsione,
un momento di riflessione relativa ai momenti di vulnerabilità (o di
vuoto) ed a quelli di pericolo. Bisogna avvertire la portata limite
(propria ed altrui) come se fosse stata interiorizzata e decifrare gli
istanti in cui la coscienza dell’avversario si separa rispetto ai suoi
movimenti. La distanza tra combattenti è quindi un esempio
dell’importanza che i giapponesi attribuiscono allo spazio.
Il rapporto che lega i giapponesi con gli oggetti e con le persone
è molto diverso da quello occidentale. Mentre noi consideriamo gli
oggetti in sé stessi e le persone come soggettività distinte e compiute
(visione “individualistica”), gli orientali adottano un livello di
oggettività e di personalizzazione più comunitaria, ma se
consideriamo entrambe come formalizzazioni complesse, evitando
pregiudizi culturali, notiamo qualità in entrambe.
74
Kenji, 1979, 8.
Kenji, cit., 10.
76
Kenji, cit., 68. I maestri di sciabola giapponesi consideravano il “maai” come un
elemento fondamentale nel combattimento, la distanza tra i due combattenti è
decisiva indipendentemente dalla lunghezza degli arti.
77
L’iniziativa del controllo della distanza è bilanciata in base alle portate limite dei
due avversari e risulta decisiva nel combattimento.
75
26
Il linguaggio ed il pensiero occidentale, forse per l’elevato grado
di contaminazione culturale, sta subendo un lento cambiamento verso
la ‘distruzione’ del soggetto unico, autonomo, ci stiamo avvicinando
(come sostiene Waldenfels) al concetto giapponese del “ki”, uno
spazio che “sta fra” gli attori sociali e che ne pervade entrambi. Il
soggetto non sparisce, ma tende a perdere la propria esasperata
individualità per generare un senso armonico d’insieme, di relazioni.
Lo spazio della comunicazione e dell’interazione sociale è un
luogo in continua evoluzione, un campo che si deforma seguendo le
svolte della cultura e della società stessa; lo spazio è popolato da segni
e significati particolari, la cultura lo colora di trame da indagare.
4.2. Il soggetto “decentrato”: l’identità come costruzione
sociale.
Il problema della “soggettività” -intesa come definizione
dell’identità e della responsabilità dell’azione dell’individuo- ha
subito negli ultimi decenni un mutamento di senso. Si è scoperta una
dimensione semantica più allargata, una partecipazione collettiva sia
alla creazione della personalità del soggetto che alle pratiche artistiche
e culturali: nessun “attore” sociale è per se stesso un’entità autonoma
e irriducibile al sistema di cui è parte. Una parte degli sviluppi della
teoria marxista dell’ideologia, ed in particolare gli studi di Althusser,
esaminano questo principio.
Per Althusser “l’uomo è un mito tipico dell’ideologia borghese:
il marxismo-leninismo non può partire dall’uomo (..) -ma- dai rapporti
sociali del modo di produzione esistente, dai rapporti di classe e dalla
lotta delle classi”78. Tale posizione anti-umanista (perché nega
un’essenza personale sovrastante ad ogni relazione con la realtà) non
cancella l’identità dell’uomo, ma definisce il rapporto tra i soggetti e
l’ideologia: “ogni ideologia interpella gli individui concreti in quanto
soggetti concreti”79, gli individui vivono nell’ideologia (un’ideologia
inscritta nelle pratiche materiali, non idealistica) della storia. Il
rapporto tra gli attori (sociali) e le strutture (sociali, economiche ed
ideologiche) viene ora indagato come il risultato complesso
78
79
Althusser, 1973, 41-42.
Cfr. Althusser, “Critica Marxista” n°5.
27
dell’esperienza, contrastando la concezione umanistica di
un’“essenza” umana originale.
Althusser80 ha il merito di aver decostruito quell’immagine
essenzialista che impediva di concepire il soggetto sociale come un
essere costruito; quello che non viene chiarito dallo stesso autore è il
processo e la modalità di costruzione dell’essere umano.
Anche la teoria psicoanalitica più recente, si è interessata alla
costruzione sociale della personalità dell’essere umano, in particolare
riferendosi ai rapporti tra la linguistica e la definizione identitaria del
soggetto.
Lo psicoanalista francese Lacan ha analizzato, a partire dalla
struttura familiare, la crescita del soggetto attraverso il linguaggio.
Dalla famiglia derivano (insieme ad altri aspetti più o meno
ideologici) una specifica caratterizzazione di genere e la costituzione
linguistica dell’identità del soggetto. Lacan ha compiuto
un’importante rilettura di Freud in merito alla definizione identitaria
del soggetto: il linguaggio (o Ordine Simbolico) forma l’inconscio e
regge il sistema di autorappresentazione dell’individuo. Il bambino
utilizza il linguaggio per definire un proprio ruolo all’interno della
famiglia, acquisendo una posizione “come soggetto nei rapporti
ideologici o simbolici”81 della famiglia e quindi della società. Il
linguaggio posiziona i soggetti dando loro una dimensione sessuale di
appartenenza ed il genere definisce i ruoli all’interno della società
patriarcale.
Per quanto la teoria lacaniana non sia esaustiva o definitiva in
questo settore, essa rappresenta il “momento più alto di cui
disponiamo per collegare il soggetto individuale alla formazione
ideologica e sociale, dimostrando la costituzione del primo all’interno
e nel contesto della seconda”82. La psicoanalisi lacaniana analizza il
soggetto con un duplice atto: ne ricostruisce la genesi a partire
dall’ideologia dominante e, contemporaneamente, decostruisce l’idea
di un soggetto monolitico dominato dall’istanza egoica.
Il nuovo concetto psicoanalitico è la scoperta di un soggetto
“decentrato”, incoerente, eterogeneo: “chi parla, dopo la scoperta di
Lacan, è l’altro”.83 La teoria lacaniana considera, così, l’ideologia e la
80
La teoria di Althusser è stata molto criticata, soprattutto in relazione al pericolo di
parlare di un “soggetto vuoto”, perso in definizioni eccessivamente strutturali e
lontane dalla realtà dell’individuo. Cfr. Coward-Ellis, 1977, 71.
81
Wolff, 1983, 187.
82
Wolff, cit., 187.
83
Foucault, 1971, xii.
28
struttura sociale come elementi fondamentali nella costruzione
dell’identità dell’uomo (dando giusto rilievo alla collocazione storica
e sociologica della teoria del soggetto), ma rischia di non riconoscere
che il linguaggio stesso è soggetto ad un processo costituito, non
autocreantesi. Il rapporto tra significato e significante non può
escludere la base reale (non rappresentativa) dell’esperienza. Anche
Giddens ha commentato questa teoria del soggetto riportandola in
ambito sociologico ed affermando che “il decentramento del soggetto
non deve diventare sinonimo della sua scomparsa”84. Il soggetto non
scompare dagli studi sociologici e psicoanalitici, ma si confronta con
maggiore intensità e frequenza con una realtà complessa, più visibile
nella sua poliedricità.
Anche nel mondo della critica artistica e letteraria decade l’idea
dell’autore come creatore compiuto ‘in sé e per sé’, distinto dal
mondo; si parla invece di un autore “costruito nel linguaggio,
nell’ideologia e nei rapporti sociali”85. L’autore non viene cancellato
ma ri-collocato in una posizione decentrata, cade il mito dell’autore
trascendentale.
4.3. Autore e lettore: autorità ed interpretazione.
La concezione romantica dell’arte come “creazione geniale” è
un’immagine ottocentesca generata dalla nascita dell’individualismo e
del capitalismo industriale e sostenuta dall’effettivo sganciamento
dell’artista dal gruppo sociale e dai rapporti di mecenatismo. La
funzione ed il ruolo dell’artista nella realtà sociale è stata ridefinita
dalla sociologia dell’arte, ed il “nuovo” principio che viene affermato
è che “l’arte è un prodotto sociale”,86 (ossia imprescindibile dal
contesto socio-culturale in cui viene generata).
Howard Becker esprime un’idea collettiva della produzione
artistica e definisce con il termine “Art Worlds” un concetto già
espresso da Thomas Kuhn per la ricerca scientifica, ossia “il collettivo
di pensiero” (“Denkkollettiv”). Parlare di arte come di un prodotto
collettivo significa considerare tutte le attività necessarie al
concepimento ed alla realizzazione dell’opera, come “il concepimento
dell’idea dell’opera, la produzione dei materiali necessari, la creazione
84
85
86
Giddens, 1979, 45.
Wolff, 1983, 190.
Wolff, cit., 9.
29
di un linguaggio di espressione convenzionale, la preparazione di un
personale artistico e di un pubblico all’uso di questo linguaggio
convenzionale per creare e farne esperienza; ed infine il necessario
rimescolamento di tutti questi ingredienti”87. Questi passaggi a più
mani (svolti nell’anonimato) valgono anche per quelle forme d’arte
che sembrano avvertire meno la presenza dell’elemento collettivo,
come la scrittura.
Partendo dalla tesi che : “le opere d’arte (..) non sono entità
chiuse, autonome e trascendenti, ma sono il prodotto di specifiche
pratiche storiche messe in atto da gruppi sociali identificabili ed in
condizioni particolari”88, possiamo arrivare al concetto della “morte
dell’autore”89, espresso dall’omonimo saggio di Roland Barthes. La
figura dell’autore come unico creatore del senso dell’opera è un’idea
moderna, storicamente determinata90.
La visione del mondo che emerge dall’opera dell’artista è
influenzata dall’ideologia (come sistema sociale ed economico) del
gruppo di appartenenza, pur conservando un livello di autonomia
relativo al codice estetico ed all’esperienza di vita vissuta dell’artista.
L’intenzione originaria dell’autore è difficilmente accessibile al
lettore ed al critico che, nella lettura, interpretano i testi in base ai loro
filtri di esperienza.
Michael Foucault afferma nel saggio “Qu’ est-ce-qu’un
auteur”91 che l’autore, che è “il punto forte dell’individualizzazione
nella storia delle idee, delle conoscenze, delle letterature, nonché della
storia della filosofia e in quella delle scienze”92, oggi sta per
‘scomparire’. Eppure non si può parlare di ‘sparizione’ definitiva per
via della resistenza della nozione di ‘scrittura’ che riproduce i principi
essenzialistici prima associati al concetto di autore. Foucault indaga, a
questo proposito, il ruolo del nome dell’autore in rapporto alla
ricezione del testo e ne scopre una funzione paradossale. Il nome
dell’autore non è un nome proprio come gli altri, esso svolge
molteplici funzioni all’interno dei discorsi: classifica, circoscrive e
87
Becker, “American Sociological Review”, 39, 6,1974, 767-768.
Becker, cit., 73.
89
Cfr. Barthes, 1968.
90
Anche Hadjinicolaou, nel campo della storia della pittura, ha criticato questo
erroneo accentramento, affermando che la toria dell’arte non deve essere considerata
come la storia degli artisti. Cfr. Hadjinicolau, 1975.
91
Cfr. Foucault, 1972.
92
Wolff, cit., 2.
88
30
permette di confrontare i testi fra loro; le sue funzioni sono sia
indicative che descrittive.
Un tempo i testi letterari non erano valorizzati dall’attribuizione
del nome dell’autore, mentre quelli scientifici acquisivano validità in
relazione ad esso. Nel secolo sedicesimo o diciassettesimo si sono
invertite le parti e, mentre i discorsi letterari si sono appropriati della
funzione-autore, la scienza si è livellata su una dimensione di
anonimità. Nel diciannovesimo secolo alcuni autori hanno assunto, per
Foucault una funzione “transdiscorsiva (sono diventati dei) fondatori
di discorsività”93; a partire dalle loro opere (es. quelle di Marx e di
Freud) hanno creato la possibilità di ulteriori analogie (continuando il
discorso intrapreso) o di significative differenze (ricavandone
svolgimenti diversi). Se consideriamo l’autore in rapporto alla storia
letteraria, allora possiamo finire un quadro della sua personalità, lo
stile che lo contraddistingue e la rilevanza di alcuni elementi a lui
intrinseci. Il nome dell’autore è un riferimento che supera ed unifica le
differenze particolari di ogni testo, spesso oscurando il valore
autonomo di ogni produzione. Questo approccio critico nei confronti
dell’autorità assoluta dell’autore, non nega l’individualità del soggetto
e la sua capacità creativa, ma ne ricostruisce il contesto e le ragione
della produzione.
L’autore costruisce il testo in condizione sociali ed ideologiche
determinate, la sua azione è inscritta nella struttura maggiore della vita
sociale. Questo nuovo ruolo assegnato all’autore, (ora considerato
come un attore sociale fra altri e per questo condizionato dalle
stimolazioni dell’ambiente) può essere letto come emblema della
realtà sociale a noi contemporanea.
Mai come ora il concetto d’individuo autonomo e contratto in un
sistema di stimolazioni inconsce viene contestato; l’essere umano vive
di nuovi contatti, di pensieri travolti nel traffico della comunicazione.
Quel concetto di rete che ha rivoluzionato il paradigma
meccanicistico e gli orientamenti della ricerca scientifica, adesso si
presenta (con aria di tempesta) anche nella realtà sociale.
5. Il network sociale. L’esperienza della rete nella comunicazione
sociale.
La rete invade l’evoluzione culturale dei soggetti e crea un
sistema di comunicazione senza frontiere; nuove abitudini sociali
93
Foucault, 1971, 14-15.
31
uniscono menti separate dallo spazio fisico e da retaggi ideologici
esclusivi. Si crea così il concetto di “network sociale” (ossia di
struttura sociale in forma di rete), un nuovo modo di considerare lo
spazio delle relazioni tra gli attori sociali, e si analizzano gli effetti
determinati dalla comunicazione mediata dai computer.
L’invenzione di Internet è l’immagine perfetta di questo processo di
connessione sociale, anche se non si può ancora stabilire se la portata
innovativa della comunicazione in rete sia effettivamente strutturale
(ovvero condizionante l’apparato cognitivo, concettuale e
comportamentale dei soggetti) o incapace di un interscambio
profondo.
Come siamo giunti a tale livello di comunicabilità e di
azzeramento delle distanze? Se è epistemologicamente possibile
ricostruire la genesi del concetto di rete, ovvero il verificarsi di
un’attenzione sempre più pressante rispetto alla portata relazionale
della realtà, manca, però, una risposta alla straordinaria accoglienza
rivolta dalla società alla comunicazione espansa.
La spiegazione non è univoca, e potrebbe essere un insieme di
situazioni come: una disposizione mentale progressivamente attratta
dalle relazioni (abitudine nata in campo scientifico),
il
condizionamento pervasivo della tecnologia (in particolare quella
informatica), ed una particolare attenzione culturale interessata ai
confronti ed alle differenze (anche se i molti casi d’intolleranza
vanificano queste aperture).
Il mondo connesso dai sistemi di comunicazione informatica e
digitale ha creato nuovi soggetti sociali, esseri ridondanti di tecnologia
e dispersi in essa, personaggi più che persone, interpreti più che
soggetti spontanei. L’interfaccia nasconde il volto e la voce dei suoi
interlocutori ed inventa dialoghi lontani come un’agorà senza luogo.
5.1. L’identità bio-tecnologica nell’era di Internet.
L’essere umano si è dotato, nella storia della sua evoluzione, di
strumenti d’interpretazione e di controllo dell’ambiente che si sono
rivelati utili ma estremamente condizionanti, tanto da poter affermare
che l’esperienza quotidiana è ormai inseparabile dall’uso di questi
strumenti. Il sapere tecnico-scientifico modella l’ambiente e
condiziona il pensiero e l’azione.
Il rapporto tra scienza e tecnica oggi è più stretto che mai, fino
al punto da dimenticare le differenze che separano i due ambiti.
32
Mentre la scienza descrive e cerca spiegazioni degli eventi sia del
mondo naturale che di quello sociale (si parla quindi di
“conoscenza”), la tecnica inventa soluzioni per problemi pratici. Oggi,
però, scienza e tecnica procedono parallelamente e questa direzione è
dovuta, forse, all’evoluzione della seconda sfera: la scienza si è
istituzionalizzata e specializzata all’interno delle università, mentre i
suoi laboratori di ricerca applicata sono stati finanziati e pilotati
dall’industria. La tecnica abbraccia la scienza e s’insinua nella
quotidianità dei soggetti, trasformandone l’identità e la capacità
relazionale.
L’identità nell’epoca di Internet è un connubio di cultura e di
tecnologia, di corpi dissolti in discorsi via cavo e di parole veloci
come fumetti. L’essere umano è coinvolto da una trasformazione
bioculturale “segnata da mutamenti sempre più rapidi e affannosi,
come se mancassero retroazioni negative equilibratrici a frenarne la
corsa: i lenti meccanismi della natura, che procede per tentativi ed
errori, sono qui circuitati da rapidi meccanismi di attuazione”94.
La società riconosce l’innovazione tecnologica e la introduce
con effetto immediato nella sua realtà strutturata, determinando un
piano evolutivo ‘catastrofico’95, ossia caratterizzato da perturbazioni
continue. L’adozione della tecnologia si manifesta con un carattere di
irreversibilità, non modifica solo la dimensione pratica della vita
dell’uomo ma anche l’abitudine mentale e la capacità cognitiva; la
tecnologia “modifica la nostra epistemologia e, attraverso di essa, la
nostra ontologia”96.La tecnologia si sviluppa coinvolgendo il soggetto
nello sfruttamento delle risorse e nella modificazione ambientale e
sociale, spesso ponendolo innanzi al ‘doppio vincolo’ dello sviluppo
senza cultura o della tradizione senza progresso.
Cresce il numero degli studi interessati al ruolo dei mezzi di
comunicazione nella storia delle trasformazioni culturali moderne e
contemporanee; il punto di partenza è il riconoscimento che “l’uso dei
mezzi di comunicazione implica la creazione di nuove forme di azione
e interazione nel mondo sociale, di nuovi tipi di relazioni, e di nuovi
modi di rapportarsi agli altri e a se stessi”97.
94
Longo, Aut- Aut n°289-290, gennaio- Aprile, 28.
S’intende ‘catastrofico’ nel senso di ontologicamente perturbante. La realtà si
sviluppa attraverso eventi che creano dis-ordine, ossia mettono in crisi l’ordine
precedente.
96
Longo, 1999, 31.
97
Thompson, 1998, 12.
95
33
Si è creata una modalità di relazione diversa per molti aspetti
dall’interazione faccia-a-faccia, perché i media collegano e creano
interazioni complesse tra persone fisicamente distanti. Tra i media più
utilizzati, quelli di natura informatica hanno un posto particolare nella
creazione di nuovi significati simbolici. Il mondo dell’informazione
tende ad inglobare ogni aspetto dell’esperienza dell’essere umano,
creando un circuito di comunicazione che è sempre più oggetto di
investimenti economici e di ricerca.
La tecnologia dell’informazione assume un carattere catalizzante
nei confronti delle altre discipline ma, paradossalmente anche verso se
stessa: lo sviluppo dell’informatica influenza il linguaggio,
l’immaginazione, la percezione del mondo e la capacità di
autodefinizione dell’essere umano98. I mutamenti creati dalla
crescente informatizzazione sono di tipo sia quantitativo che
qualitativo, questo porta a chiedersi se la civiltà attuale potrà evolversi
in un senso ulteriormente tecnologico o bio-tecnologico, ed in che
forma tale sviluppo influirà sulle pratiche sociali e sulle dinamiche di
riconoscimento identitario. L’innovazione si diffonde con sempre
maggiore velocità: si accorciano i tempi e le distanze che separano la
sperimentazione da laboratorio e la diffusione sul mercato dei
consumatori.
Il tempo è una variabile molto importante nello sviluppo della
tecnologia informatica, tanto da definire una nuova dimensione
temporale: un continuum di presente che supera se stesso, una serie di
progetti e realizzazioni che s’inseguono quasi senza spazio alla critica.
Il breve ed il temporaneo scandiscono parole come risposte a discorsi
accennati, troppo brevi, forse, per essere definiti come tempi del
dialogo. Con ciò non si vuole demonizzare la comunicazione mediata
dal computer, ma identificarne gli aspetti ricorrenti, per capire come la
“rete” che ci sorregge modifica la nostra realtà ed il modo di
percepirla99.
98
Il mondo dell’informazione ha cambiato il significato di alcuni termini (come
informazione, calcolo, intelligenza..etc.) e ne ha inventati altri ( come quelli di
simulazione, realtà virtuale, ciberspazio..etc.) “che si affiancano ai precedenti per
generare una costellazione metaforica e mitologica che non può non influire sulla
psicologia e sull’epistemologia del singolo e della comunità”; la nostra percezione
del mondo risente della rappresentazione virtuale della realtà. Longo, 1998, 5-6.
99
Se è vero, come sostiene Geertz (citando Weber), che “l’uomo è sospeso su una
rete di significati che lui stesso ha tessuto”, allora i mezzi di comunicazione sono
stati sia il supporto tecnologico di quest’operazione di significazione sia l’origine di
una nuova modalità di relazione, Cfr. Geerz, 1987.
34
5.2. The computer mediated
communication:
telecomunicazione digitale e le nuove reti.
la
I discorsi della scienza non sono del tutto slegati dalla realtà
sociale; rimane effettivamente uno scarto rilevante tra la ricerca e
l’accettazione-applicazione dei risultati ottenuti. Se le tecniche non
sono indifferenti agli ideali e ai modelli comunicativi da esse
dipendenti, un caso paradigmatico è certamente la “nascita” di
Internet.
La geografia di Internet è un incrocio di coordinate che superano
ogni controllo cartografico; la comunicazione si svolge in uno spazio
virtuale, senza definizione territoriale; nell’assurdità delle resistenze
xenofobe contemporanee s’intrecciano discorsi comuni tra persone
distanti, parole come “summit della pace”.
La memoria si mantiene nella continuità dei testi e delle
immagini, forse decontestualizzata, ma presente e “ruvida” (forte e
significativa come i ricordi della realtà). Il linguaggio si trasforma in
simboli e programmi auto-organizzantesi, le parole si citano a
vicenda. Il computer in rete non è uno strumento di mediazione
linguistica tra i soggetti, ma produce significati che veicolano le
ricerche in percorsi sotterranei.
La dimensione di rete appare in Internet in tutta la sua
consistenza epistemologica, ogni destrutturazione feconda labirinti di
significati intertestuali; la struttura a “network” si diffonde senza un
centro dominante e lascia al lettore il compito di ristrutturazione
cognitiva. Mentre l’autore determina i parametri della dimensione
dell’ipertesto (il numero dei nodi) e della “granularità”100 (la
grandezza delle singole parti o lessìe), il lettore determina il verso
della ricerca. Il sistema della navigazione in rete è una modalità di
comunicazione e di scambio simbolico che si basa sul principio
democratico della libertà di creazione-diffusione-lettura dei documenti
contenuti nella rete, nonché dell’accesso paritario alle discussioni fra
soggetti.
L’innovazione tecnologica ha creato un sistema di
comunicazione rivoluzionario sia nella capacità informativa (e
culturale) sia nella definizione di nuove esperienze sociali. Lo spazio
100
Carlini, cit., p.58.
35
si condensa di racconti e documenti legati da fili sottili ma continui,
una mappa di strade, vicoli e piazze virtuali. Lo schermo che ci rende
partecipi di questa dimensione “altra” (in quanto al linguaggio, alla
cultura ed alla rappresentazione di noi stessi e degli altri), è un gioco
di specchi tra realtà ed immaginazione; ma ciò che appare come testo
o come immagine è sempre il risultato di un occhio che ha visto o
sognato.
Il “grande Web” è uno spazio di comunicazione fra menti, un
luogo di scambio e di produzione collettiva di esperienze101. Il tempo
del pensiero e dell’azione si contrae in passaggi e collegamenti rapidi,
quasi accelerati; il tempo lento dei corpi che si muovono nello spazio
è preso nel vortice della percezione virtuale. Muoversi nel cyberspazio
significa seguire una nuova forma di orientamento, essere flessibili e
solleciti ai collegamenti, non lasciarsi stordire dai fili funamboleschi
che sorreggono la trame della rete102.
I mondi culturali contenuti ed esposti nella rete creano
un’amalgama di nuovi significati: segni e simboli si liberano dalla
struttura socio-culturale d’origine per assumere un nuovo senso, un
valore ricontestualizzato dalla consequenzialità casuale della rete. Gli
stimoli continuamente nuovi e diversificati sollecitano le abitudini
cognitive dell’individuo secondo modalità impreviste e forse
anestetizzanti. Il pericolo della sovrastimolazione è uno degli aspetti
contrastanti di Internet, ma deriva dal principio di offerta assoluta
della rete stessa; l’abilità del “navigatore” è quella di lasciarsi
avvolgere dall’infinità del Web senza lasciarsi stordire, condividere
senza dissolversi.
Il networking telematico crea un sistema di circolazione dei
documenti virtuali dal ritmo concitato, provocando nel soggetto
esperienze accelerate che stridono con i tempi lenti della realtà del
soggetto. Il tempo e lo spazio dell’essere umano hanno un ritmo ed
una densità “organica”, esprimono una sensibilità diversa da quella
avvertibile in rete.
La rete che tutto avvolge e controlla con aria di onniscienza,
lascia comunque l’essere umano nella limitatezza della sue capacità di
101
Per Pierre Levy “il cyberspazio è lo spazio virtuale prodotto dall’attività
simbolica degli esseri umani”, Berardi, 1997, 8.
102
A questo riguardo si parla di “cybernautica”, ossia “l’arte di orizzontarsi e di
muoversi in uno spazio che non è più riconducibile alle coordinate cartesiane, che
non è più percorribile in sequenza, che non si sviluppa linearmente, e che non può
essere perimetrato secondo le modalità della Prossemica tradizionale”, in Berardi,
cit., 5.
36
apprendimento, di memoria e di azione; per quanto la conoscenza
dell’era informatica possa essere connessa ed enciclopedica, il
soggetto che se ne appropria ha una limitata capacità di acquisizione;
il problema è forse nella capacità di scelta e di gestione
dell’informazione.
I cambiamenti dei parametri culturali si radicano nella società
con una velocità di adattamento ed una forza dirompente talmente
amplificata, da modificarne profondamente le dinamiche socioculturali103.
Lo scambio polifonico della comunicazione via Internet ricorda
l’intensità comunicativa dell’antica agorà, un luogo di appuntamenti
senza invito, lo “speak corner” di una città invisibile. La
comunicazione telematica è una forma di democrazia tecnologica, uno
spazio definito da aperture e collegamenti dove le culture possono
confrontarsi ed integrarsi ma, come ogni forma di democrazia,
nasconde verità di sofferenza sotto una falsa immagine di
egualitarismo e di libertà di espressione.
La politica in rete acquista nuova visibilità, ma reca con sé il
pericolo di dare spazio a forme di pensiero e di organizzazione
estremiste e criminali; il libero scambio di menti può essere deviato da
nuove forme di manipolazione ideologica. Esistono, inoltre, nuove
forme di isolamento ed esclusione causate dal computer: patologie di
una tecnologia senza manuale, creata dall’uomo ma difficilmente
controllabile.
5.3. L’ambivalenza della rete: nuovi attori, nuove parti.
La rete crea soggetti connessi da discorsi senza autori, curiosi
affacciati alle finestre dello schermo ed aggrappati alle metafore
dell’interfaccia virtuale. La realtà è un mosaico di forme “pescate” e
filtrate nella rete dei circuiti di Internet; una realtà che espone i suoi
esperimenti come “manufatti estetizzati, dotati cioè di un valore che
eccede la loro semplice funzione ”104, frammenti senza contesto
ricombinati in racconti brevi. Le reti coinvolgono le menti in
interazioni senza regia, creando un sistema di comunicazione che si
103
Un fenomeno interessante associato alla comunicazione via Internet è la
formazione di comunità virtuali: nuove forme di aggregazione umana basate sul
meccanismo della condivisione (di un campo d’interesse, di un sistema eticomorale..etc.) e nuove risorse per la cittadinanza reale (reti civiche).
104
Benedetti, Aut-Aut, Gennaio-Aprile1999, n°289-290, 39.
37
auto-alimenta e “nuove abitudini cognitive, sociali, personali che lo
sostengono”105.
La metafora della navigazione in rete suggerisce l’idea di un
peregrinare assoluto, libero e disincantato, ma può essere letta anche
come una gabbia di lacci per ‘pesci’ inesperti. Viaggiare non significa
solo spostarsi nel tempo e nello spazio, ma rimanda ad un cammino di
prove, incontri imprevisti e lingue da decifrare. Una vita vissuta
viaggiando è un territorio dai confini incerti, un percorso senza il
sostegno della comunità di appartenenza. L’esperienza si colora di
molti contatti d’occasione e di rari scambi completi, individui come
“flâneur dell’alta velocità”106, apparizioni-scomparse instabili; nuove
aggregazioni tra soggetti distanti.
I nuovi media elettronici (ed Internet in particolare) hanno
trasformato “il significato dello spazio e del tempo nell’interazione
sociale, hanno prodotto -o stanno producendo- quel cambiamento
degli scenari comportamentali che trova espressione nella nascita delle
comunità virtuali”107. Queste comunità sono territori scelti per
comunanza di interessi, sono i luoghi ‘eletti’ dal soggetto che parla per
una rappresentazione selezionata della sua stessa personalità. Il
concetto di comunità si slega dalla compresenza fisica e promuove
nuove tipologie relazionali improntate all’invisibiltà dello schermo:
muta la dinamica di riconoscimento reciproco, facendo anticipare la
conoscenza verbale a quella fisica. L’ambiente virtuale elimina i
rapporti faccia-a-faccia e crea rapporti di fiducia basati sulle maschere
di nuovi personaggi.
Uno dei fenomeni più rilevanti del mutamento bio-culturale
dell’era informatica è la progressiva “rimozione del, e astrazione dal,
corpo”108; i corpi e le menti distanti geograficamente e culturalmente
si connettono senza confini, ma la comunicazione che li unisce, pur
esprimendo efficienza comunicativa,
non comprende un vero
coinvolgimento emotivo. Il corpo è il primo strumento tecnologico di
cui dispone l’essere umano, un dispositivo di comunicazione e di
azione che connette il soggetto al mondo circostante; la tecnologia è
un’estensione del corpo che ne potenzia alcune capacità e ne modifica
105
De Kerchove, in Aut-Aut, Gennaio-Aprile, n°289-290, 48. L’interazione sociale
si complica di identità non-definite, voci senza nome e posizione, solo un numero di
riconoscimento e nominativi d’elezione; l’identità è fuori dalla geografia sociale e si
muove nello spazio dis-orientante.
106
Stone, 1997, 51.
107
Berto, cit., 57.
108
Longo, Aut-Aut, Gennaio-Aprile, n ° 289-290, 33.
38
la funzionalità. Il corpo si nasconde dietro l’interfaccia dello schermo
e si maschera con forme immaginate e sostituibili.
Il corpo reale si confronta con il corpo attraversato
dall’esperienza dello spazio virtuale, creando nuove esperienze di
frontiera, esperienze di passing109 mediate dal computer. Nuove scelte
identitarie definiscono soggettività mutanti, reinvenzioni virtuali della
personalità; cadono e si dissolvono quelle maschere che nella realtà
nascondono situazioni e scelte interpretate come tabù. L’identità si
frantuma nei personaggi della fantasia, per ognuno di noi esiste un Sé
multiplo, elettronico, immaginifico e caricaturale110. L’identità
nell’era di Internet è un problema di intepretazione111.
Il concetto di “presenza” cambia in relazione alla nuova
rappresentazione del corpo: così come il secondo non indica più solo
un contenitore di coscienza, ma diventa parte integrante e
problematica della persona (nonché luogo di manifestazione
dell’esperienza sociale), allora parlare di presenza significa riferirsi
all’intenzionalità agente e pensante.
Nello spazio della rete si sono prodotte e vivono nuove forme di
soggettività, il nostro sistema simbolico e cognitivo è influenzato dalle
esperienze di comunicazione mediate dal computer, la tecnologia
comunicazionale, come ogni tecnologia, non è un semplice strumento,
ma rappresenta una ristrutturazione della realtà; essa crea nuove forme
del senso del sé e, contemporaneamente, configura nuove situazioni
di isolamento.
Le tecnologie della comunicazione sono produzioni sociali
inserite in contesti storici, politici, sociali e culturali ben definiti, non
hanno vita autonoma e per questo risentono della problematicità delle
condizioni della vita. La comunicazione è scambio sincero di
esperienze ma è anche il massimo luogo della persuasione e
109
Berardi, cit., 7.
Goffman ha analizzato la dinamica del mascheramento ed il dispiegarsi del
sistema sociale come uno sviluppo complesso di azioni basate sulla fiducia
reciproca; nel rituale dell’interazione umana l’azione del soggetto è un evento
similare ad una rappresentazione teatrale, dove ogni attore ha una maschera per ogni
ruolo. Cfr. Goffman, 1988.
111
Gli interazionisti simbolici sostengono che “l’identità di fondo è soltanto
un’espressione momentanea delle negoziazioni in atto tra orde di sottoidentità, ma
che questo processo è invisibile sia per l’osservatore esterno sia per il soggetto che
lo vive in prima persona”. Questa prospettiva suggerisce di superare l’idea di una
vera ed unica identità di fondo (“root identity”), ma di iniziare a considerare la
soggettività di un soggetto come un’amalgama di identità differenti, instabili. Cfr.
Stone, 1997, 14-15.
110
39
dell’inganno. Un approccio critico alle potenzialità della rete
informatica non può escludere il dubbio di un esercizio di potere e di
controllo sugli utenti.
Tomàs Maldonado112 s’interroga sulle somiglianze tra la rete
informatica e la “ragnatela” più famosa in Natura, quella del ragno. Il
paragone s’instaura sulla base di uno studio sui rapporti di forza e
controllo. Considerando entrambe come creazioni immaginate e
realizzate de una “mente” generativa, si chiede chi mantenga il
controllo della rete virtuale. I sostenitori del cyberspazio, pur
accettando l’analogia della ragnatela, rifiutano il “ragno” come
metafora del controllo: essi affermano, invece, che la progettazione,
realizzazione e gestione della rete sia opera degli stessi “utenti”.
Maldonado si chiede se “all’eliminazione delle figure emblematiche
del Grande Fratello orwelliano, dell’Inspector benthamiano e del
ragno, corrisponda l’abolizione di ogni forma di controllo”113. Egli
sottolinea, inoltre, la necessità di distinguere il sapere individuale da
quello sociale che, nella sua espansione incontinente, determina del
primo la progressiva riduzione.
Il filosofo francese Pierre Lévy parla, invece, di un necessario
approdo all’intelligenza collettiva, ossia ad “un’intelligenza distribuita
ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, che
porta a una mobilitazione effettiva delle conoscenze”114. La
“cosmopedia” sarebbe un nuovo tipo di organizzazione del sapere,
dove le recenti possibilità offerte dall’informatica possono migliorare
la dinamica delle conoscenze.
6. Conclusioni. L’Umanità “squalificata”: teoria e politica di rete.
Dalla fine del settecento, ed in particolare negli ultimi due
secoli, sono stati teorizzati sistemi di partecipazione politica e di
gestione del sistema sociale ispirati a diverse realtà ideali. Il decennio
che si sta concludendo ha visto la nascita di un nuovo fenomeno
112
Cfr. Maldonado, 1997.
Maldonado, cit., 33.
114
Lévy, 1997, 34.
113
40
culturale di massa, Internet, uno straordinario mezzo di
comunicazione che ha creato nuove dinamiche di riconoscimento, di
scambio sociale e culturale.
Internet è una strana utopia: nata da un progetto militare,
accettata ed arricchita dalla scienza accademica viene poi applaudita
dalla comunità. Un progetto senza ostacoli, dunque, o una ragnatela
con nodi e frane di tessuto? C’è chi crede appassionatamente nella
capacità comunicativa delle sue reti senza frontiere né modelli, e c’è
chi s’interroga sui nuovi mostri da essa creati.
Esiste, infatti, una nuova tipologia di squalificazione dai
processi di sviluppo: è una ghettizzazione causata dall’assenza di
comunicazione virtuale. Poichè in un sistema di causalità connessa
ogni variabile conduce a delle modificazioni di difficile previsione, in
questa società dove la comunicazione (nelle sue diverse
manifestazioni multimediali) si è estesa fino a creare un complesso
sistema di interdipendenze, ogni fenomeno ha potenzialmente una
portata rivoluzionaria dell’equilibrio mondiale.
In questo quadro di indeterminatezza, risulta estremamente
difficile avanzare ipotesi di sviluppo, ma è possibile focalizzare
l’attenzione su alcuni fenomeni. In particolare, si devono considerare
quelle realtà (macro e micro-sociali) che, a prescindere dalla
comunicazione informatizzata, sono già in una posizione di
emarginazione rispetto allo sviluppo economico delle potenze
mondiali.
Il “cosiddetto” Terzo Mondo potrebbe essere ulteriormente
escluso da una serie di politiche fondamentali per lo sviluppo, ma
soprattutto potrebbe rischiare di essere tagliato fuori dalla
comunicazione aggiornata degli sviluppi della conoscenza e della
ricerca. Tutto passa per la rete, tranne chi è da essa fermato.
Parlando nei termini di una reale connessione fra soggetti che
pensano, agiscono e creano in previsione di un’ecologia della mente e
della società, non si può ignorare la tensione che separa oggi il
‘sistema-mondo’ (o “World- system”). La globalizzazione acuisce il
rapporto di causalità connessa fra le soluzioni politiche e gli effetti di
risposta diffusa fra realtà diverse: per questo si parla di “worldsystem”, espressione che indica l’immagine di una società mondiale
che “può essere intesa come -un- sistema fatto di parti tra loro
connesse115”. L’economia mondiale ha creato in questo secolo un
115
Bagnasco, Barbagli, Cavalli, 1997, 695.
41
sistema di legami fra le varie economie nazionali e locali che
complica l’attuazione di una seria politica di sviluppo.
Partendo dall’osservazione di questa interdipendenza
(economica, culturale, sociale) assai problematica, si può ipotizzare,
invece, la formazione di un soggetto sociale complesso e connesso.
Internet non è né una cura, né uno strumento facilmente indirizzabile,
ma può essere un mezzo importante in questo progetto di recupero
della dimensione integrale dell’umanità.
Riconoscere l’esistenza del punto di vista dell’altro è un
problema, ciò che “conta nell’interazione sociale non è -quello- che
Ego e Alter veramente pensano l’uno dell’altro, ma ciò che essi
veramente possono pensare come cosa condivisibile nell’osservazione
reciproca, cioè come qualcosa di compreso-in-comune”116.
Le modalità di squalificazione dell’altro dal processo di scambio
comunicativo potrebbero essere superate dalla situazione teoricamente
paritaria di Internet e dalla sua situazione di diffusione quasi
uniforme. Quell’ostilità che definisce l’Altro nella differenza e nella
condanna (oppure nell’indifferenza più umiliante) potrebbe essere
abbattuta (o incrinata) dallo spirito di unione e di condivisione che
lega la comunicazione via Internet.
Se è vero che i nuovi media hanno creato una rete comunicativa
che ha modificato (e sta modificando) sia la capacità di pensiero sia le
forme di interazione sociale, allora si può sperare che possano mutare
(in senso decrescente) anche quelle pratiche di esclusione che oggi
persistono.
Gli effetti della tecnologia sono, però, ambivalenti, si spostano
tra l’isolamento e la partecipazione democratica, tra il potenziamento
delle risorse e la discriminazione. Esistono pratiche di avvicinamento
all’altro che rifuggono dagli “interessi da colonialista”117 o dagli
“esotismi di moda”118, e tendono ad un vero arricchimento reciproco.
Uscire dal centro della propria cultura di riferimento per confrontarsi
con le altre non vuol dire praticare “l’estetizzazione dell’altro”119
(ossia neutralizzare tutto ciò che di eversivo e tragico è contenuto in
essa), ma affrontarne anche gli aspetti più problematici.
116
Addario, Quaderni di sociologia, Vol. XLII, n°18, 1998, 109.
Con l’espressione “interesse da colonialista” intendo quell’avvicinamento alla
diversità che avanza con spirito di superiorità e di cancellazione della diversità
stessa.
118
Con l’espressione “esotismi di moda” intendo proprio questa curiosità che non
si tramuta in un vero avvicinamento.
119
Cassano, 1989, 111.
117
42
Se l’intelligenza è una proprietà sistemica (comprendente
nell’essere umano sia il corpo che il cervello in relazione continua e
necessaria fra loro), allora si deve cercare di sfruttare la dimensione
sempre più stretta e relazionale dell’ecosistema- mondo, per creare un
incremento d’intelligenza.
Bateson dice : “Così è fatto il mondo in cui viviamo: un mondo
di strutture circuitali; e l’amore può sopravvivere solo se la saggezza
(cioè la capacità di sentire o riconoscere la realtà circuitale) sa
parlare con voce efficace (..) il problema della bellezza è
fondamentalmente un problema d’integrazione”120.
RIASSUNTO:
Il paper indaga il modo in cui concetti simili si inseguono in campi
differenti, e come sia sempre più forte la tendenza sistemica a
rintracciare strutture e processi ricorsivi nei fenomeni. Sembra trovare
120
Bateson, 1997, 182.
43
riscontro l’idea che il concetto di rete (e di configurazione di rete)
abbia percorso strade parallele - separate da ostinate barriere
disciplinari- per confluire in una direzione epistemologica comune.
Nelle varie applicazioni scientifiche i principi binari di strutturaprocesso, organismo-ambiente, mente-natura, logica-comunicazione
riprendono tutti un certo “Zeitgeist sistemico” di novecentesca
invenzione. In questa cornice cognitiva ed epistemologica si sono
generate le condizioni di possibilità (concettuale e materiale) per la
manifestazione del “fenomeno Internet”: esemplare realizzazione di
una comunicazione inter-connessa.
SUMMARY:
The paper analyses the genesis and the development of the concept of
the net. This notion has travelled parallel ways– separated by
disciplinary barriers – to flow in a common epistemological direction.
In the different scientific applications the binary principles of
structure-process, organism-environment, mind-nature, logiccommunication are related to the well-known concept of “systemic
Zeitgeist” from the last century. This cognitive and epistemologic
frame generated the conditions for the implementation of the Internet
phenomenon: exemplary realization of the interconnected
communication.
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Francesca Osnato
Dottorato di Ricerca in “Metodologia della Ricerca nelle Scienze Umane”
Facoltà di Scienze della Formazione
Università di Genova
Corso Montegrappa, 39
16137 Genova
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