diritto processuale - Formazione e Sicurezza

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DIRITTO PROCESSUALE
PRINCIPI GENERALI
Il processo penale nasce per punire i reati.
I reati, sono dati da una norma incriminatrice che ha un tipo
particolare di sanzione.
L’esigenza che deve affrontare un processo penale è quella di
bilanciare due interessi che sono tra loro contrapposti:
⇒ l’interesse dello stato di reprimere i fatti previsti dalla legge
come reato;
⇒ l’interesse del singolo a non vedersi condannato per un fatto
che non ha commesso o vedersi condannato per un fatto più
grave rispetto a quello che ha commesso.
Tutti gli istituti del processo penale servono per bilanciare questi
due interessi contrapposti.
Storicamente il processo penale ha seguito due strade diverse:
⇒ la strada del modello inquisitorio;
⇒ la strada del modello accusatorio.
In nessuna parte del mondo esiste un processo inquisitorio puro o
un processo accusatorio puro; esistono sistemi misti che possono
essere prevalentemente accusatori o prevalentemente inquisitori.
Le democrazie liberali hanno tutte dei sistemi che sono
prevalentemente accusatori, perché si è dimostrato che è questo il
tipo di processo che permette di garantire maggiormente
l’imputato.
Il processo inquisitorio è così chiamato perché c’è una figura
centrale che è quella del Giudice istruttore che concentra in se tutta
una serie di poteri che vanno dalla ricerca della prova alla
valutazione della stessa.
⇒ Inquisitorio perché c’è un Giudice che istruisce e valuta la
prova;
⇒ Accusatorio perché c’è una accusa esercitata da un soggetto
distinto dal Giudice.
Il processo inquisitorio è fondato sul principio dell’autorità e l’idea di
fondo è che per reprimere i reati ci sia bisogno di un soggetto che
disponga del massimo dei poteri possibili, perché è solo in questo
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modo che i reati possono essere repressi in maniera tempestiva ed
efficace.
È fondato sul principio dell’iniziativa di ufficio, e cioè il Giudice può
⇒ attivarsi senza essere stimolato da nessun organo diverso;
⇒ ricercare le prove dove, la ricerca avviene nell’ambito di una
istruttoria che presenta generalmente i caratteri della
segretezza.
Il processo inquisitorio è un processo fondato sulla scrittura, una
scrittura che si forma prima della fase di valutazione della prova.
Nel processo inquisitorio non vi è tendenzialmente nessun limite
all’ammissibilità delle prove, perché prevale il fine sul metodo che
viene utilizzato.
Il Giudice in questo processo assume le prove e le ricerca.
Un sistema del genere non è solo di uno stato assoluto in quanto
l’esigenza che il Giudice possa intervenire nel momento di
formazione della prova, anche disponendola d’ufficio, è un’esigenza
sentita in tutti i sistemi.
Anche nel nostro processo che è un processo con modello
prevalentemente accusatorio, c’è una norma in evidentemente
contrasto con il modello tendenziale, che prevede che il Giudice
possa assumere d’ufficio delle prove.
Tale norma è stata più volte ritenuta costituzionalmente legittima
da parte della Corte Costituzionale ed è sempre stata salvata nel
nostro sistema sulla base della considerazione che il fine ultimo del
processo penale deve essere comunque quello dell’accertamento
della verità, perché il processo penale prende in gioco degli
interessi fondamentali dell’individuo quali quello della sua libertà
personale.
La libertà personale è un diritto irrinunciabile, quindi non si può risolvere il
processo penale partendo dal presupposto che sia una contesa dialettica tra
due parti poste sullo stesso piano con un Giudice esclusivamente come
arbitro terzo.
La giurisprudenza si è spinta fino al punto di ritenere che attraverso questa
norma, il Giudice possa decidere di assumere anche prove dalle quali le parti
siano decadute.
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All’inizio di un processo penale vi è infatti un momento di confronto tra le
parti, pubblico ministero, difensore e Giudice, nel quale si ammettono le
prove.
Il Giudice valuta quali sono le prove ammissibili ed esclude quelle che ritiene
contrarie alla legge, quelle che ritiene irrilevanti o sovrabbondanti.
Può capitare e capita sovente che alcune prove che pure sarebbero rilevanti,
non siano chieste tempestivamente.
Ora al termine dell’istruttoria dibattimentale, il Giudice può intervenire e,
qualora ritenga questa prova indispensabile, può disporla ad ufficio anche
se la parte è decaduta.
La tendenza del processo inquisitorio è quella che non vi sono limiti
all’ammissibilità delle prove, altra caratteristica è quella in un
sistema inquisitorio puro, che dopo la raccolta di sufficienti indizi, in
una fase preliminare, non valga la presunzione di innocenza e una
persona sia chiamata a discolparsi rispetto alle prove che sono
state raccolte dal Giudice istruttore nel segreto.
In linea teorica ciò significa che è ammissibile la carcerazione
preventiva, vista come un anticipo della pena che verrà scontata
alla fine del processo.
L’ultima caratteristica fondamentale di un sistema inquisitorio sta
nella molteplicità dei sistemi di impugnazione.ovvero:
⇒ inizialmente il sistema ritiene che il mezzo migliore per
arrivare a reprimere un reato, sia quello di concentrare il
massimo dei poteri in un unico soggetto;
⇒ una volta che si è pronunciata la sentenza, il sistema si ricorda
che il Giudice è un uomo e può anche sbagliare,
⇒ quindi predispone tutta una serie di mezzi di impugnazione
che attraverso diversi gradi, formano un sistema verticistico
che si avvicina all’organo che ha il controllo politico.
⇒ All’apice di questo sistema piramidale, vi è poi il potere di
concedere la grazia o l’indulto ovvero il sistema politico si
riserva la possibilità di intervenire in ultima istanza per evitare
l’applicazione della pena.
Quindi, per stabilire se un sistema sia accusatorio o inquisitorio,
occorre vedere se la prova tendenzialmente si forma oralmente
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nell’ambito del giudizio in senso stretto, nel confronto dialettico tra
due parti, oppure si forma in una fase precedente.
⇒ se si forma in una fase precedente deve essere
necessariamente una prova scritta,
⇒ se si forma all’interno del giudizio, nel confronto dialettico tra
le parti è tendenzialmente una prova orale.
Le caratteristiche base di un sistema accusatorio, sono
specularmene inverse a quelle del sistema inquisitorio:
⇒ al principio di autorità si contrappone il principio dialettico, con
la separazione delle funzioni del processo;
⇒ il processo si fonda sulla tecnica della tesi-antitesi e sintesi;
⇒ vi sono più parti e ciascuna parte ha un potere distinto.
Troviamo quindi:
⇒ un pubblico ministero, che esercita l’azione penale e ricerca le
prove a carico;
⇒ un difensore che ricerca le prove a discarico e queste prove le
deve poter ricercare anche prima del giudizio;
⇒ il Giudice che tendenzialmente non assume prove ma le
valuta.
Il principio che sta alla base di questa separazione è che nel
momento in cui una persona viene e assume una prova tende a
formare un pregiudizio, e quindi se il Giudice assume lui
direttamente le prove si formerebbe questo pregiudizio e non
farebbe altro che andare alla ricerca di conferme alla sua tesi.
Accanto al principio dialettico vi sono altri principi quali:
⇒ iniziativa di parte all’interno del processo, il che vuol dire, che
il Giudice non si attiva mai d’ufficio, ma viene attivato sempre
da un altro organo.
⇒ il Giudice non potrà applicare una misura cautelare più grave
rispetto a quella prevista dal pubblico ministero.
Alla scrittura si contrappone il modello dell’oralità, con limiti alla
ammissione delle prove, nel senso che il potere del Giudice non si
concentra nella ricerca della prova, ma nel vagliare le prove che
sono ammissibili all’interno del procedimento.
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Il momento di ammissione della prova è un momento importante, è
il momento di filtro per decidere quali siano le prove che poi
possono essere assunte nel corso dell’istruttoria.
Un’ altra caratteristica fondamentale del principio accusatorio è
quella della presunzione di innocenza.
Una persona non è considerata colpevole di un reato fino a che ciò
non sia stato stabilito con una sentenza definitiva, ossia una
sentenza passata in giudicato, che quindi abbia superato il vaglio
non solo del Giudice di primo grado, ma anche del Giudice
dell’impugnazione e il vaglio finale della corte di cassazione, quale
Giudice di controllo della legittimità del processo.
Gli ultimi due principi tipici del sistema accusatorio sono:
⇒ che la carcerazione preventiva in linea tendenziale non è
ammessa,
⇒ che vi è un limite alle impugnazioni
Ci sono dei casi particolari in cui la carcerazione preventiva può
essere ammessa, questi casi sono disciplinati nel nostro codice
nell’ambito delle misure cautelari personali, e i presupposti di
queste misure cautelari personali, non sono solo l’esistenza di gravi
indizi di reità, che ovviamente non vuol dire ancora che ci sia la
prova di un reato, ma sono anche l’esistenza di certe e specifiche
esigenze cautelari che possono essere il pericolo di inquinamento
delle prove, il pericolo di fuga della persona, il pericolo della
commissione da parte dell’indagato di altri gravi reati contro la
persona o reati della stessa indole di quello già commesso.
Visto che la logica del sistema è che la prova non si forma prima del
dibattimento, ma si forma nel dibattimento, nel confronto dialettico
delle parti, è durante il dibattimento e non in altri luoghi che la
prova debba essere valutata.
La tecnica con cui valutarla è quella dell’esame incrociato, quindi un
confronto tra domande del pubblico ministero e domande della
difesa.
Superata questa fase che si tiene davanti al Giudice che valuterà
quella prova e che ha assistito all’assunzione orale di quella prova,
potranno esserci dei mezzi di impugnazione, ma dovranno essere
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dei mezzi che sono di controllo dell’operato del Giudice non tanto di
formazione di una nuova prova in sede di impugnazione
I mezzi di impugnazione quindi non serviranno per assumere nuove
prove ma faranno leva su organi di controllo del comportamento
che ha avuto il Giudice nella fase di valutazione di quella prova
Il processo accusatorio è quello che garantisce di più la libertà e i
diritti fondamentali della persona ma ha un limite che è abbastanza
evidente, ovvero quello che si crea una eccessiva combattività
nell’ambito dell’esame incrociato tra le parti, (cross-examination)
visto che la prova fondamentale, la prova regina è una prova
dichiarativa di una persona (testimone, imputato, imputato di
procedimento connesso) che dichiara qualcosa all’interno del
processo; nell’ambito di questo esame incrociato la persona viene
esaminata e il pericolo è che questo esame incrociato si trasformi in
una sorta di tortura psicologica della persona, di linciaggio
morale della stessa.
La persona offesa che viene esaminata nel processo penale è
un testimone.
Ci sono inoltre figure, che si incontrano all’interno del processo, in
cui viene proprio posta in discussione la buona fede e questo può
essere un limite del processo accusatorio.
Un altro limite può essere che ci siano eccessivi ostacoli
all’accertamento di fatti complessi, il processo accusatorio infatti è
un processo che funziona in modo corretto quando siamo di fronte
ad un singolo imputato con un accusa anche molto grave, ma
semplice, e il confronto è su questa singola accusa.
Nei processi di criminalità organizzata, ci sono a volte moltissimi
reati da valutare, molti imputati, diverse persone che non hanno la
qualità semplicemente di teste o di imputato, ma sono delle figure
intermedie, quali quelle dell’ imputato di procedimento
connesso, o dell’ imputato di procedimento collegato, e con le
regole del sistema accusatorio è difficilissimo svolgere questi
dibattimenti.
Il nostro codice di procedura penale è stato emanato con il decreto
presidenziale 22 settembre 1988 numero 437, è stato pubblicato
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nella gazzetta ufficiale nell’ottobre dell’ 88, ed è entrato in vigore
l’anno successivo, dopo un periodo di un anno tra la pubblicazione
nella gazzetta ufficiale e l’entrata in vigore, per dare la possibilità
agli operatori di adeguarsi.
Quando si parla di codice di procedura penale attuale, si intende il
codice di procedura Vassalli, perché Vassalli era il ministro della
giustizia nel momento in cui è stato emanato.
L’attuale codice di procedura penale prevede quindi la separazione
delle funzioni e quindi troviamo:
⇒ un Giudice;
⇒ un difensore;
⇒ un pubblico ministero.
Nella fase delle indagini preliminari, non c’è un Giudice DELLE
indagini preliminari ma c’è un Giudice PER le indagini preliminari.
La differenza sta nel fatto che non esiste un Giudice che presiede
alla fase delle indagini preliminari, esiste un Giudice che controlla
le indagini preliminari che sono svolte da altri soggetti distinti ed
ecco il perché la preposizione corretta da usare non è “DELLE” ma è
“PER” le indagini preliminari.
Il pubblico ministero è il titolare esclusivo dell’azione penale; nella
fase delle indagini preliminari il pubblico ministero è un organo
pubblico che dispone della polizia giudiziaria, mentre il difensore è
un privato che esercita un servizio di pubblica necessità e che può
svolgere determinate indagini difensive, ma sicuramente non ha i
poteri coercitivi che può avere il pubblico ministero.
La completa parità tra le parti quindi non si può realizzare in
questa fase, ma si realizzerà nella fase successiva che è
quella del giudizio.
Struttura del procedimento penale:
inizio delle indagini: si ha nel momento in cui il pubblico ministero
viene a conoscenza di una notizia di reato.
Il pubblico ministero potrà conoscere fin
dall’inizio
l’esistenza
del
reato,
potrà
conoscere eventualmente anche la persona
che è sospettata di avere commesso questo
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reato e qualora conosca anche il nome della
persona, iscriverà nel registro delle notizie di
reato, non solo il fatto ma anche il nome di
questa persona; il pubblico ministero ha un
periodo di tempo limitato, per lo svolgimento
di queste indagini.
Svolte queste indagini il pubblico ministero si troverà di fronte ad
due possibilità:
⇒ esistono sufficienti elementi per sostenere l’accusa in giudizio
⇒ non esistono sufficienti elementi per sostenere l’accusa in
giudizio
Se non esistono, verrà chiesta l’archiviazione è non la disporrà
direttamente, perché il nostro codice vuole che alla fine del
procedimento ci sia sempre un controllo del Giudice sulla scelta
operata dal pubblico ministero.
Il controllo viene richiesto perché se uno dei principi costituzionali del nostro
sistema è che l’azione penale è obbligatoria, quindi il pubblico ministero non
può scegliere se esercitare l’azione penale ma è obbligato ad esercitarla se ve
ne siano i presupposti, occorre che un soggetto distinto dal pubblico
ministero controlli che lui abbia valutato correttamente l’esistenza di questi
presupposti.
Se esistono elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio,
chiederà il rinvio a giudizio della persona che è indagata.
In questo momento quello che in termini generali era definito come
procedimento penale, diventa processo penale ed il discrimine
tra questi due momenti è quello della formulazione della
imputazione.
Spesso, nel momento in cui arriva una notizia di reato ad una procura della
repubblica, già nella notizia di reato è indicato un addebito, a volte vi è
proprio la formulazione di una vera e propria imputazione da parte del
personale di Upg più esperto; quella non è una imputazione, ma è un
addebito provvisorio.
Solo al termine delle indagini preliminari, quando il pubblico ministero decide
che vi siano elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio, viene
formulata l’imputazione.
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L’imputazione allora è l’individuazione dell’addebito nei
confronti della persona che era sottoposta ad indagine
ovvero l’individuazione della norma penale che è stata
violata e indicazione del fatto concreto che è addebitato alla
persona.
Quando ci si trova davanti ad un’imputazione, esiste sempre un
riferimento normativo ad una norma del codice penale, o a più
norme del codice penale, unitamente ad una descrizione del fatto
che muove dalla norma incriminatrice, e poi la adegua al fatto
concreto.
Quindi per fattispecie astratta si intende l’ipotesi criminosa che è
prevista nel codice penale (ex. la fattispecie astratta del furto è
quella individuata all’articolo 624 del codice penale) mentre per
fattispecie concreta, si intende il fatto concreto che è stato
commesso dalla persona, contestualizzato nella descrizione del
fatto reale in un tempo e in un luogo.
⇒ fattispecie astratta è solo un modo di dire norma
incriminatrice, norma penale;
⇒ fattispecie concreta è il fatto storico che è accaduto.
Differenza tra procedimento penale e processo penale:
⇒ dicesi “procedimento penale” tutta la fase compresa tra il
momento in cui viene iscritta la notizia di reato ed il momento
in cui il pubblico ministero prende posizione sull’ipotesi di
reato decidendo se chiedere il rinvio a giudizio della persona o
chiedere l’archiviazione.
⇒ Dicesi “processo penale” la successiva fase che in termini
generali consiste
o nella valutazione, della fondatezza dell’ipotesi attraverso
l’udienza preliminare che è una sorta di primo filtro da
parte del Giudice dell’udienza preliminare;
o nel dibattimento davanti al Giudice di dibattimento (che
può essere lo stesso di quello dell’udienza preliminare).
Tale fase del processo potrà poi eventualmente continuare nei gradi
successivi, quindi nel giudizio di impugnazione che potrà essere
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un’impugnazione di merito davanti alla corte d’appello o di
legittimità davanti alla corte di cassazione.
Procedimento penale può voler dire anche tutto quello che si verifica tra il
momento in cui avviene l’iscrizione della notizia di reato, fino al momento in
cui viene pronunciata la sentenza definitiva.
Quindi:
⇒ in senso lato, procedimento penale è tutto il procedimento che si
estende dal momento del compimento del primo atto fino all’ultimo
della procedura;
⇒ in senso stretto è solo quella fase che riguarda le indagini preliminari
Il discrimine tra procedimento e processo sta nella formulazione
dell’imputazione che avviene tendenzialmente con la richiesta di
rinvio a giudizio.
Esiste quindi una distinzione tra:
⇒ la fase delle indagini preliminari;
⇒ la fase intermedia dell’udienza preliminare che comunque
avviene dopo la formulazione delle imputazioni;
⇒ la fase del giudizio vero e proprio.
L’ulteriore caratteristica del processo penale è quella di dare risalto,
nella logica di un sistema accusatorio, al dibattimento; qui sta la
separazione dei fascicoli, tra quello del pubblico ministero e quello
del Giudice detto anche fascicolo del dibattimento.
Le dichiarazioni raccolte nella fase delle indagini, il Giudice non le
conosce, perché in realtà le persone che vengono sentite, quelle
persone estranee ai fatti, non sono ancora dei testimoni, sono solo
degli eventuali futuri testimoni, sono degli informatori.
Chiunque svolga indagini, raccoglierà dichiarazioni, delle fonti di
prova, e queste fonti di prova rimarranno per sempre, salvo casi del
tutto particolari, nel fascicolo del pubblico ministero; quando e se il
processo arriverà al dibattimento, quindi supererà il vaglio
dell’udienza preliminare, il Giudice non conoscerà nulla di quello che
è successo nell’ambito delle indagini preliminari e non le potrà
nemmeno conoscere dai testi(moni) di polizia giudiziaria.
C’è una differenza enorme tra il fascicolo del pubblico ministero
e il fascicolo del dibattimento, tra quelle fonti di prova che sono
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raccolte all’interno del fascicolo del pubblico ministero e quanto
potrà diventare prova nel corso del dibattimento attraverso
l’assunzione delle prove nel contraddittorio dibattimentale.
Il processo accusatorio è un processo costosissimo, perché se la
prova deve essere acquisita al dibattimento nel contraddittorio delle
parti, e tendenzialmente non vi sono prove precostituite, il
dibattimento sarà complesso, lungo, bisognerà sentire tutti i
testimoni, occorrerà tendenzialmente utilizzare uno strumento che
si chiama stenotipia che riproduce in forma integrale il contenuto
delle dichiarazioni, e quindi comporterà il dispendio di risorse
umane ed economiche molto elevate.
Nella logica di un sistema accusatorio, i processi che arrivano al
dibattimento dovrebbero essere la minoranza, perché solo in questo
modo il sistema può reggere.
Sono previsti tutta una serie di riti semplificati, dove con
l’accordo delle parti, o per altre ragioni, non si applicano tutti i
principi fondamentali del sistema accusatorio, anche se c’è
comunque un contraddittorio.
Nella realtà storica italiana, i riti alternativi vengono seguiti da una
minoranza relativa dei procedimenti ed è questo il motivo per cui
nella realtà dei fatti a prescindere da chi può avere la responsabilità
di ciò, il rito processuale penale italiano non funziona, e le
conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
Un articolo fondamentale, è l’articolo 111 della costituzione, così
come è stato modificato con la legge costituzionale del 1999.
E’ quella norma costituzionale che consacra nel nostro ordinamento
i principi del giusto processo
Quindi nel ’99, viene modificato l’articolo 111 della Costituzione e
nel 2001, i principi del giusto processo, vengono calati nel codice di
procedura penale.
Qualsiasi norma del codice di procedura penale, va sempre
interpretata nell’ambito dei principi costituzionali.
Ci sono questioni che il Giudice penale però non può risolvere; una
di queste questioni è quella relativa alla legittimità costituzionale di
una legge.
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Se, nel corso di un processo penale, si pone il problema della
legittimità costituzionale di una norma il Giudice ha un vaglio
limitato sulla questione ovvero deve solo decidere se la questione
non è manifestamente infondata e se la questione è rilevante
rispetto al suo processo.
Una volta che il Giudice è arrivato alla conclusione che è rilevante
per il suo processo lo stabilire se quella norma sia costituzionale ed
abbia escluso che la tesi sostenuta dalla parte non sia
manifestamente infondata, non spetta a lui la decisione ma deve
rimettere questa decisione al cosiddetto Giudice delle Leggi.
⇒ Il Giudice delle leggi è la Corte Costituzionale che ha tra
le sue competenze specifiche quello di verificare che le leggi
ordinarie rispondano ai principi costituzionali
⇒ Il Giudice di legittimità è la Corte di cassazione, e
rappresenta l’ultimo grado di giudizio di un procedimento
ordinario.
L’articolo 111 esordisce, dopo la riforma del 1999, con questa
formula:
“La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla
legge”
Questo primo comma già evidenzia due principi:
⇒ dice innanzitutto che c’è una riserva di legge, il che significa
che non è possibile modificare una norma processuale penale
attraverso un regolamento ma solo attraverso una legge
ordinaria dello Stato;
⇒ poi parla di giusto processo ed al proposito due sono le
interpretazioni che vengono date a questo concetto:
o da un lato si dice che si tratta niente più che di una
formula di sintesi che rispecchia quello che viene spiegato
nei commi successivi dell’articolo 111;
o altri sostengono invece che, parlare di giusto processo,
significhi richiamare dei principi di diritto naturale, quindi
di rango superiore rispetto a quello che può essere anche
la stessa Costituzione, che non possono mai essere
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derogati; dei principi del diritto naturale che preesistono
alla legge e che devono trovare attuazione nella legge.
Sempre l’articolo 111 prosegue con:
“Ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti in condizioni
di parità davanti a un Giudice terzo e imparziale. La legge ne
assicura la ragionevole durata”.
Questi sono principi non esclusivi del codice di procedura penale,
che valgono per qualsiasi processo; esprimono l’idea che il Giudice
debba essere imparziale.
Imparziale vuol dire che il Giudice non deve avere legami né con le
parti del processo, né deve avere legami con quella che noi
chiamiamo “res judicanda” ovvero l’oggetto della controversia.
Le parti hanno a disposizione uno strumento che si chiama
ricusazione e possono ricusare il Giudice che ritengono non
imparziale; ci sarà un organo distinto da quel Giudice che deciderà
sulla causa di ricusazione.
Esiste dunque un sistema di controlli che permette di sindacare
l’imparzialità di un Giudice qualora questo ritenga, contrariamente a
quanto pensano le parti, di essere imparziale.
L’imparzialità di un Giudice, si risolve nel fatto che non deve avere
legami con le parti e con l’oggetto della controversia e, nello stesso
tempo, il non deve avere un pregiudizio rispetto a quel
procedimento penale e ciò vuol dire non avere già esercitato una
funzione di giudizio nell’ambito di quel procedimento.
Ad esempio un giudice, nel corso della carriera, avendo svolto la funzione di
GUP, non potrà svolgere la funzione di Giudice del dibattimento.
Il rito abbreviato, è un rito speciale e comporta l’acquisizione del
fascicolo del pubblico ministero, e soluzione del processo solo sulla
base degli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero.
Il vantaggio per l’imputato sta che in caso di condanna, la pena
sarò ridotta di un terzo.
Il Giudice non celebrerà il dibattimento perché, avendo giudicato
l’imputato che a quel punto diventa imputato di procedimento
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connesso con giudizio abbreviato e avendo espresso una
valutazione su quel caso, non è più un Giudice imparziale.
“Il Giudice deve essere terzo e imparziale”.
La ragionevole durata di un processo non può essere vista in
assoluto ma in senso assolutamente relativo in quanto rapportata
alla complessità della procedura.
Al terzo comma dell’articolo 111 della Costituzione troviamo:
“Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di
un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata
riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo
carico; disponga del tempo necessario e delle condizioni per
preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al Giudice di
interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni
a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di
persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e
l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita
da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata
nel processo”.
Il cuore del problema è il concetto di contraddittorio che, inteso in
senso soggettivo è:
⇒ diritto della persona accusata di potersi confrontare con
il proprio accusatore.
Questo diritto nasce in Inghilterra ed è un principio fondamentale del sistema
accusatorio tanto che nasce prima questo principio e poi nasce
successivamente il privilegio contro l’autoincriminazione.
Nasce prima l’affermazione che l’accusato ha diritto di confrontarsi con chi
l’accusa e poi il principio per cui l’imputato può avvalersi della facoltà di non
rispondere per evitare di rendere dichiarazioni utilizzabili contro di lui.
Il principio è che si ha il diritto di non parlare ma, nel momento in cui si
rinuncia a questo diritto e si rendono delle dichiarazioni in carico di una terza
persona, da quel momento in poi non ci si può più sottrarre a quello che è
stato detto precedentemente nel confrontarsi con questa persona.
La persona imputata, nel momento in cui rende dichiarazioni a carico di un
terzo, non potrà più sottrarsi al contraddittorio e nel momento in cui
l’imputato sceglie di parlare, da quel momento in poi diventa un testimone.
nella logica di un sistema accusatorio puro, il principio per cui la persona che
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è accusata ha il diritto di confrontarsi con il suo accusatore, è un principio che
viene ancora prima rispetto al principio per cui una persona non è tenuta a
rendere dichiarazioni contrasai (vuol dire indizianti).
Nel sistema italiano una persona non può mai essere
obbligata a rendere dichiarazioni che possono ritorcersi a
proprio svantaggio (dichiarazioni indizianti).
Può sempre avvalersi della facoltà di non rispondere.
È un principio basilare del nostro codice.
Il processo accusatorio, è nato in un sistema (Inghilterra) in cui
ancor prima di questo principio (facoltà di non rispondere) ce n’era
un altro (il diritto di confrontarsi).
Non è stata questa la scelta del legislatore italiano, perché
noi veniamo da una tradizione diversa.
Noi veniamo dalla tradizione di uno stato assoluto e questa
tradizione ha fatto sì che il primo principio che si affermasse nel
nostro processo penale fosse quello del diritto dell’imputato a non
rispondere alle domande, a resistere all’accusatore, al Giudice
istruttore.
Questo principio è stato sempre confermato successivamente anche
quando dallo stato assoluto siamo passati a uno stato liberale e
quando da uno stato liberale siamo arrivati alla Democrazia.
Il tener fermo questo principio ha comportato un problema, ovvero
che l’imputato può sempre avvalersi della facoltà di non rispondere.
Si è cercato quindi di conciliare il principio per cui l’imputato non è
tenuto a rendere dichiarazioni che possono ritorcersi a proprio
svantaggio con il principio del diritto di confrontarsi, da parte
dell’accusato, con il suo accusatore.
Da qui una disciplina estremamente complessa che inizia già con gli
avvisi che vengono dati alle persone sottoposte alle indagini quando
viene svolto l’interrogatorio.
Se si prende in considerazione l’articolo 64 del codice di procedura
penale, che indica le regole generali con cui si svolge
l’interrogatorio, trovate già l’applicazione concreta negli avvisi.
L’importante è ricordare e capire che il concetto di
contraddittorio ha una dimensione soggettiva.
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Sempre nel terzo comma dell’articolo 111, viene richiamato un altro
principio, quello secondo cui la persona accusata di un reato deve,
nel tempo più breve possibile, essere informata di essere accusata
di questo reato perché solo nel momento in cui sarà informata
dell’ipotesi accusatoria formulata nei suoi confronti, sarà in grado di
organizzare la propria difesa.
E sempre nel terzo comma dell’articolo 111, si fa riferimento anche
al fatto che la persona abbia diritto ad essere assistita da un
interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel
processo.
Quindi, una persona ha da un lato diritto ad essere assistita da un
interprete se non conosce la lingua italiana e dall’altro deve essere
però anche un diritto che gli vengano tradotti gli atti del processo.
La norma non dice nulla con riferimento agli atti scritti e questo è un tipico
esempio di diritto giurisprudenziale cioè di diritto non creato dalla norma, ma
creato dalla giurisprudenza, dall’interpretazione che della norma dà il
Giudice: si è affermato il principio per cui anche i principali atti scritti del
processo devono essere tradotti all’imputato che non conosce la lingua
italiana.
La Corte di Cassazione con una serie di sentenze ci permette di affermare
che la persona ha diritto, nonostante nel codice non sia espressamente
previsto, che gli vengano tradotti gli atti fondamentali come l’avviso di
conclusione delle indagini ed il decreto di citazione a giudizio; devono essere
tradotti alla persona che non conosce la lingua italiana, tutti quegli atti che
sono necessari perché lui possa correttamente esercitare il diritto di difesa
ovvero quegli atti del procedimento attraverso cui la persona viene informata
del fatto di poter esercitare determinati diritti, gli viene indicata qual è
l’imputazione (non l’ipotesi criminosa) formulata a suo carico; quegli atti che
sono decisivi ai fini della sua difesa e non tutti gli atti del procedimento.
Al quarto comma dell’articolo 111 troviamo:
“Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella
formazione della prova. La colpevolezza dell’imputato non può
essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera
scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da
parte dell’imputato o del suo difensore”.
Qui ci sono due principi:
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⇒ il principio del contraddittorio in senso oggettivo, contrapposto
a quello soggettivo;
⇒ una nuova enucleazione del principio del contraddittorio in
senso soggettivo.
Il contraddittorio in senso soggettivo è: diritto di confrontarsi
con l’accusatore.
Il contraddittorio inteso in senso oggettivo è determinato dai
metodi di conoscenza attraverso cui il Giudice può
conoscere i fatti rilevanti ai fini della sua decisione.
Un metodo di conoscenza che vuole che davanti a lui si presentino:
la parte che sostiene l’accusa, il difensore; che ci sia un confronto
dialettico e, sentita la tesi, sentita l’antitesi si elabori una sintesi, il
giudizio finale.
Questo è il contraddittorio inteso come metodo di conoscenza; vuol dire
confronto dialettico fra le parti.
Contraddittorio in senso soggettivo vuol dire diritto a
confrontarsi e la conseguenza di questo principio è che una
persona non può essere condannata se la chi lo accusa si è
sempre volontariamente sottratta al confronto.
Quindi, nel terzo e nel quarto comma dell’articolo 111 della
costituzione è espresso il principio del contraddittorio che ha due
dimensioni: una oggettiva e una soggettiva.
Molte volte è difficile stabilire se la persona si sia volontariamente
sottratta al contraddittorio in quanto ci si trova di fronte ad un dato
che, oggettivamente, è neutro: la persona non si trova.
La persona non si trova perché è voluta scappare, oppure non si
trova perché si è sottratta al principio del contraddittorio?
Esiste una norma nel codice di procedura penale, ed è l’articolo 512
(”Lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione”) che
dice:“Il Giudice, a richiesta di parte, dispone che sia data lettura
degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai
difensori delle parti private oppure del Giudice nel corso
dell’udienza preliminare quando, per fatti o circostanze
imprevedibili, ne è divenuta possibile la ripetizione”.
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Quindi il nocciolo sta nel fatto se era prevedibile o meno che la
persona non si trovasse.
Se era prevedibile che questa persona non venisse ritrovata, non è
un atto che è divenuto impossibile ripetere in maniera
imprevedibile, è un atto che è divenuto impossibile ripetere in
maniera più che prevedibile e quindi, il Giudice, risolvendo il
problema sotto questo profilo, non deve affrontare il problema nel
secondo senso e cioè dire: la persona si è sottratta o no
volontariamente?
Se la persona è sparita nei giorni precedenti all’udienza dopo aver
saputo di essere citata come testimone, non ci sarebbero dubbi nel
dire che si è volontariamente sottratta all’esame.
Se invece, questa persona è scomparsa ben prima e non si sa
assolutamente che cosa sia successo, si può sostenere la tesi
opposta cioè che si sia allontanata non per sottrarsi al
contraddittorio ma per altri motivi.
L’alternativa è un’alternativa costosa, l’alternativa è che il pubblico
ministero promuova un incidente in cui sentire in contraddittorio già
nelle indagini preliminari la persona.
Si chiama incidente probatorio, è uno strumento a disposizione
delle parti per anticipare il contraddittorio nella fase delle indagini
preliminari.
È il pubblico ministero e non gli organi di polizia giudiziaria che può
attivare l’incidente probatorio.
Il pubblico ministero qualora preveda la scomparsa della persona
può promuovere un incidente probatorio in modo da sentire la
persona nel giro di pochi giorni davanti a un Giudice nel
contraddittorio delle parti in modo che, a quel punto, le
dichiarazioni vengano consacrate nel verbale che il Giudice del
dibattimento potrà utilizzare liberamente.
In sostanza, l’incidente probatorio consiste nell’anticipare il
dibattimento alla fase delle indagini preliminari.
Ricapitolando c’è un contraddittorio in senso oggettivo e un
contraddittorio in senso soggettivo; questo principio del
contraddittorio
può
avere
delle
conseguenze
concrete
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estremamente
rilevanti,
nel
caso
in
cui
la
persona,
volontariamente, si sottragga al contraddittorio stesso e quindi
all’esame incrociato.
⇒ Il contraddittorio in senso oggettivo significa metodo di
conoscenza, metodo di conoscenza che si realizza
attraverso una tesi sostenuta dal pubblico ministero,
un’ antitesi sostenuta dalla difesa e il giudizio finale che
trae il Giudice. Vuol dire, in altre parole, confronto
dialettico.
⇒ Il contraddittorio in senso soggettivo, diritto della
persona che viene accusata a confrontarsi con il proprio
accusatore.
Gli atti che emergono dall’incidente probatorio vanno a far
parte del fascicolo del Giudice; nel momento in cui si attua il
contraddittorio in via anticipata, e cioè lo si attua nella fase delle
indagini preliminari, non ha più senso la distinzione tra il fascicolo
del pubblico ministero e il fascicolo del dibattimento, perché questa
distinzione serve proprio per aprire il contraddittorio che invece è
già stato garantito ed il Giudice potrà conoscerlo fin dall’inizio e
potrà utilizzarlo per valutare i fatti che gli si sono portati davanti.
Il problema della successione di leggi nel tempo è un problema
fondamentale con cui, soprattutto in procedura penale, ci si deve
confrontare; le norme di procedura cambiano velocissimamente,
cambiano molto più velocemente delle norme sostanziali.
L’articolo 2 del codice penale, dice quali sono i principi che regolano
la successione di leggi nel tempo nel diritto penale sostanziale:
⇒ il principio che la legge penale più favorevole si estende
retroattivamente,
⇒ il principio che la legge penale non favorevole ma che aggrava
la posizione, non si può estendere retroattivamente.
Questo secondo principio è addirittura consacrato nella
Costituzione:
⇒ nessuno può essere punito per un fatto che, al momento in cui
l’aveva commesso, non era previsto come reato
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Quindi, mentre è costituzionalizzato il principio per cui una legge
penale che aggrava una posizione di una persona non può essere
applicata anche per fatti commessi prima della sua entrata in
vigore, non è costituzionalizzato il principio opposto.
L’articolo 2 del codice penale, non regola il rapporto fra le norme
processuali-penali, il principio tendenziale che la legge più
favorevole si deve estendere retroattivamente deve valere come
principio in tutti i rami di diritto punitivo.
C’è quindi parte della dottrina che sostiene che sia un principio
generale e che si applica in tutti i rami del diritto punitivo, quindi
diritto penale, diritto anche amministrativo e diritto procedurale
penale ma non è questa la tesi che è sostenuta dalla
giurisprudenza.
La tesi che è sostenuta dalla giurisprudenza, per quanto riguarda il
diritto processuale penale è che esiste un principio, previsto
dall’articolo 11 delle disposizioni preliminari del codice civile, che
dice che la legge dispone per l’avvenire, non dispone per il
passato.
Ciò significa che una legge processuale penale può disporre, per
quello che è compiuto dopo il momento in cui è entrata in vigore;
non si applica retroattivamente e quindi se compare una norma
procedurale penale che entra in vigore e aumenta le garanzie per la
persona imputata, tendenzialmente, a meno che non sia previsto
diversamente e si applica solo per il futuro.
Questo è un principio generale dell’ordinamento che non vale nel
codice penale perché c’è la regola dell’articolo 2 ma che vale
tendenzialmente nel codice di procedura penale e per le leggi
processuali e vale tendenzialmente, se non è previsto
diversamente, per altri rami dell’ordinamento.
Nella procedura penale, la legge si applica per l’avvenire e
non per il passato.
Il processo di formazione della prova, è un processo complesso che si svolge
in più momenti e questi momenti possono essere separati tra loro
cronologicamente anche da lungo tempo; la prova viene indicata dalle parti
ed il Giudice decide sulla ammissione della prova che viene poi acquisita e
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successivamente valutata.
Accade quindi che una persona dica A, poi cambi versione e dica B, e gli
viene contestato che in precedenza aveva detto A, ma questa persona
continua a dire B; a quel punto, fino ad alcuni anni fa, la parte interessata
poteva chiedere al Giudice di acquisire quella dichiarazione ed in qualche
modo recuperare la dichiarazione A.
Ora se il soggetto cambiava la versione da A a B, non è più possibile
acquisire la dichiarazione A.
Il Giudice alla fine di questo ipotetico processo saprà che il soggetto dice B,
che in precedenza aveva detto A, e potrà affermare al massimo che il
soggetto non è credibile perché ha cambiato la sua versione ma non potrà
dire che sia possibilmente più vera la versione A.
Se la legge non dispone che per l’avvenire, nel caso ipotizzato cosa succede?
Nelle indagini preliminari la dichiarazione era stata resa con la vecchia legge,
al dibattimento la dichiarazione viene resa con la vecchia legge, quindi il
Giudice applicando la vecchia legge, acquisisce questa dichiarazione, quindi si
arriva al giorno del giudizio quando il Giudice non utilizzerà più quella
dichiarazione, perché nel frattempo è cambiata la legge.
E questo perchè e essendo il processo di formazione della prova un
processo complesso, la legge del tempo in cui è compiuto l’atto è
data dalla legge del tempo in cui il Giudice giudica quella prova, NON
del tempo in cui la prova è stata assunta all’interno del dibattimento.
Se il principio affermato nell’articolo 11 in linea generale è un principio
abbastanza facile da comprendere (la legge va applicata per il futuro, non
per il passato), molte volte diventa difficile applicarlo nei casi concreti perché
bisogna capire che cosa si intende per atto e l’esempio della prova è
emblematico per affermare che il momento rispetto a cui si valuta quale è la
legge da applicare non è il momento iniziale, non è il momento centrale in cui
la prova viene assunta nel dibattimento, ma è il momento finale in cui la
prova deve essere valutata dal Giudice.
Sarebbe bene che il legislatore di volta in volta, nel momento in cui
modifica una legge processuale, indicasse con una norma di diritto
intertemporale o una norma transitoria, come deve essere regolato
questo rapporto.
Molte volte succede, che il legislatore dica al Giudice come debba
affrontare i problemi di successione di leggi penali nel tempo in due
modi:
⇒ con una norma di diritto intertemporale che è una tipica
legge strumentale che si limita a stabilire quando applicare
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la vecchia legge e quando applicare la nuova indicando al
Giudice di applicare la vecchia legge fino a un certo punto da
un certo momento in avanti di applicare la nuova;
⇒ con una norma di diritto transitorio quale terza regola
che indica quale norma materiale sia da applicare in una fase
transitoria tra la vecchia e la nuova legge ed indichi di fatto al
Giudice di applicare una terza legge che non è né la vecchia
legge, né la nuova legge; a volte sarebbe estremamente
opportuno dire questo soprattutto quando si stanno
cambiando delle regole in materia della prova.
Ricapitolando il problema per risolvere la successione di leggi di
diritto processuale nel tempo è affrontabile in 3 modi diversi:
⇒ applicazione del principio generale enunciato dell’articolo 11
delle disposizioni preliminari del codice civile;
⇒ emanazione di una norma di diritto intertemporale quale
norma di carattere strumentale;
⇒ emanazione di una norma di diritto transitorio quale norma
materiale che individua una disciplina intermedia fra la
previgente e la futura.
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