Prodotti per terapia genica e cellulare

I prodotti per terapia cellulare e per terapia genica.
Introduzione
Prodotti medicinali con caratteristiche innovative, come l’insulina o ormone della crescita
ricombinanti, sono ormai nell’uso comune. Le tecniche dell’ingegneria molecolare e la loro
applicazione, come l’uso di animali modificati geneticamente per la produzione di proteine umane
nel siero o nel latte, hanno aperto nuove possibilità terapeutiche ma anche problemi di sicurezza.
Nel trasferimento della ricerca dal laboratorio al paziente si è arrivati a terapie basate sull’uso di
geni, o sequenze genetiche in grado di regolare l’espressione genica (terapia genica) e di cellule
(terapia cellulare), manipolate in vitro. Questa manipolazione in vitro, tesa a modificarne le funzioni
fisiologiche a scopo terapeutico, è stata resa possibile dalla disponibilità di fattori di crescita puri
prodotti con le tecniche dell’ingegneria molecolare.
La definizione dei rischi legati a queste nuove categorie di prodotti e la loro riduzione al
minimo accettabile per i pazienti, sia durante la fase sperimentale che nella pratica clinica, è lo
scopo delle regolamentazioni che vengono progressivamente implementate.
Definizione dei Prodotti per Terapia Genica o per Terapia Cellulare
Queste due categorie di Prodotti Medicinali Innovativi sono un diretto derivato della ricerca
funzionale sulla regolazione dei geni e delle funzioni cellulari. Un Prodotto per Terapia Genica per
definizione agisce attraverso l’espressione di materiale genico sia essa temporanea o definitiva
all’interno di una popolazione cellulare. I mezzi con cui il materiale genico, sia esso DNA o RNA, è
inserito all’interno della popolazione cellulare bersaglio possono variare moltissimo ma lo scopo
fondamentale rimane lo stesso. Nel caso in cui le cellule bersaglio sono trattate in vitro con
materiale genetico, il prodotto risultante è sia un prodotto per Terapia Cellulare che un Prodotto per
Terapia Genica 1,2.
I Prodotti per Terapia Cellulare vengono definiti come una soluzione di cellule, o frazioni
con membrana cellulare integra, che vengono utilizzate per uno scopo terapeutico, diagnostico o
preventivo. La separazione dalle procedure di trapianto è basata sulla presenza di alterazioni della
fisiologia o del patrimonio genetico delle cellule che fanno parte del prodotto stesso.
La differenza fra un prodotto per terapia cellulare ed un trapianto può essere sottile ed è stata
oggetto di lunghe discussioni. Una definizione pratica viene offerta dalle linee guida emesse
dall’Istituto superiore di Sanità 3. La presenza di modifiche allo stato fisiologico delle cellule
(manipolazione estensiva in vitro) o l’uso di cellule per una funzione non svolta normalmente in
vivo (uso non omologo) sono i criteri principali per la separazione fra le due categorie terapeutiche.
Principi funzionali dei Prodotti per Terapia Genica e Cellulare
La chimica farmaceutica ha conosciuto negli anni del dopoguerra uno dei periodi di
maggiore successo portando nelle case di tutti una pletora di sostanze con azione terapeutica. Nel
mondo occidentale si è giunti all’eccesso e si parla ormai di abuso di sostanze farmaceutiche. Un
breve raffronto con la situazione all’inizio del 1900 permette di comprendere la vastità del
cambiamento sociale e culturale con la scomparsa dall’immaginario collettivo delle referenze alle
malattie infettive che avevano caratterizzato i secoli passati come, solo per citarne alcune, il vaiolo,
la tubercolosi, la sifilide e la peste.
Tuttavia a fronte di questi successi con le malattie di origine infettiva o con patologie di
origine traumatica, ed in parte anche a causa del conseguente drammatico allungamento della vita
media, una serie di patologie degenerative, legate alla vecchiaia, o di origine oncologica sono
divenute sempre più diffuse. Inoltre, la riduzione dell’incidenza delle malattie infettive, ha reso più
evidenti patologie legate a difetti genetici come la talassemia o l’anemia falciforme.
Gli stessi meccanismi che permettono alle molecole chimiche di sintesi di agire contro una
patologia infettiva; come la dispersione sistemica e quindi la possibilità di raggiungere tutti i siti di
un organismo, sono un fattore negativo in malattie degenerative laddove esistano effetti collaterali o
dove la lesione è localizzata richiederebbe un intervento mirato solo contro un punto, un tessuto o
una sottopopolazione cellulare come nel caso dei tumori o nelle infiammazioni articolari.
Le tecniche di ingegneria molecolare e delle colture cellulari hanno dato origine ad una
prima generazione di prodotti con alta specificità nella forma di anticorpi ottenuti dapprima
mediante l’immunizzazione in animali ed espressione in linee cellulari con successiva purificazione.
Recentemente, gli anticorpi prodotti in animali venivano purificati, sequenziati e il relativo gene
espresso dopo umanizzazione della sequenza genetica. Le proteine venivano quindi prodotte in vitro
mediante colture cellulari 4. Tuttavia dalle prime sperimentazioni cliniche all’arrivo sul mercato di
questi prodotti sono stati necessari almeno dieci anni per la definizione dei rischi e dei controlli
necessari.
In teoria, sarebbe molto più semplice correggere direttamente il difetto di un singolo gene
anormale alla base delle malattie monogeniche, che affrontare malattie degenerative complesse a
base multigenica. Quindi per ragioni storiche e pratiche, le patologie di origine ereditaria a base
monogenica sono state le prime di cui si è suggerito una terapia genica. Tuttavia questo approccio è
stato fortemente limitato dalla necessità di esprimere dei geni in modo corretto sia per tipo
cellulare5 sia come livelli quantitativi di espressione6. E’ stato quindi necessario individuare le
sequenze regolatorie minime per ogni tipo di gene da inserire.
La necessità di avere una espressione genica continua nel tempo e quindi di evitare
l’inattivazione dei geni trasfettati ha rallentato l’applicazione clinica7,8. Inoltre l’uso di cellule
staminali come cellule bersaglio, in modo che il prodotto potesse essere espresso per tutta la vita
dell’individuo, ne ha richiesto l’identificazione, la purificazione e lo sviluppo di condizioni di
coltura adeguate. A fronte di alcuni successi9,12, la scoperta di un inserimento preferenziale dei
vettori retrovirali in zone geneticamente attive del genoma13,14 ha portato alla necessità di
sviluppare nuovi vettori15,20 e di prendere in considerazione l’identificazione dei punti di
inserimento dei geni trasfettati nel genoma.
Per la riduzione delle masse tumorali è stata tentata l’inoculazione diretta con vari sistemi di
DNA nudo o di vettori in grado di attivare i meccanismi di suicidio cellulare o di attirare cellule con
funzione antitumorale (NK) 16. Tuttavia questo tipo di approccio non riesce ad affrontare le malattie
diffuse o i tumori metastatizzati.
La caratteristica fondamentale che separa le nuove terapie cellulari da procedure come le
trasfusioni, i trapianti o le vaccinazioni, è nella ricerca di un trattamento che sia specifico e
selettivo, sia per un particolare tipo cellulare che per un singolo individuo. La specificità delle
cellule sia come espressione di antigeni che come azione biologica è stata quindi sfruttata per
ottenere una azione selettiva e localizzata evitando di colpire in modo indiscriminato tutti i tessuti.
Lo sviluppo delle tecnologie di coltura cellulare ha portato ad un insieme di applicazioni che
sono identificate con molti nomi. Si va dalla ingegneria tissutale, per le riparazioni di tessuti
complessi nel caso di malattie degenerative alle immunoterapie per le leucemie o tumori
metastatizzati.
Cellule staminali o cellule differenziate?
Il tipo di cellule che viene richiesto per ottenere un effetto clinico è estremamente variabile.
Nel caso di riparazioni tissutali si ricorre spesso a cellule staminali che grazie alla alta potenzialità
proliferativa permettono di ottenere un effetto prolungato nel tempo. In altri casi, come nelle
immunoterapie antitumorali si utilizzano cellule differenziate (cellule dendritiche o linfociti),
selezionate sulla base di una specificità antigenica e funzionale.
Uno dei principali problemi di questo tipo di terapie è nella identificazione di un donatore
per il tipo cellulare richiesto. Nel caso di immunoterapie antitumorali si tratta quasi sempre del
ricevente stesso di cui si raccolgono sia i precursori delle cellule dendritiche o i linfociti per indurne
l’attivazione in vitro dopo esposizione agli antigeni tumorali richiesti. Tuttavia, nel caso sia
necessario utilizzare un alto numero di cellule staminali, spesso l’età del paziente, i trattamenti
farmacologici a cui è stato sottoposto (chemioterapia, irradiazione) o la difficoltà di estrarre un
numero di cellule sufficiente (staminali neuronali), rende difficile l’applicazione di questo tipo di
terapie21. La possibilità di trovare donatori istocompatibili è limitata ed a volte eticamente
impossibile. La scoperta che le cellule staminali emopoietiche dopo trapianto sembrano colonizzare
e “trans-differenziare” anche in organi e tessuti non emopoietici ha portato a nuovi approcci
terapeutici21,22. Ad esempio, in pazienti di sesso maschile che hanno ricevuto un trapianto di cuore
da un donatore di sesso femminile dopo un periodo di tempo si possono trovare dei miociti con
nuclei contenenti il cromosoma Y e quindi chiaramente derivati dal ricevente. Lo stesso fenomeno è
stato riscontrato in soggetti femminili che in seguito a gravidanze di soggetti maschili continuano a
portare cellule del feto nei propri tessuti anche se a concentrazioni estremamente basse. Tuttavia in
alcuni casi, in seguito a traumi o infezioni come epatiti, nel corso della rigenerazione del fegato
sono comparse cellule derivate dal feto anche in numero rilevante indicando che cellule staminali di
origine fetale possono sopravvivere a lungo nella madre e possono contribuire al mantenimento dei
tessuti adulti.
In modelli animali è stato possibile dimostrare l’esistenza di questo processo in vivo come la
possibilità di impiantare cellule staminali in siti danneggiati ed ottenere una protezione o un
aumento della capacità rigenerativa del tessuto danneggiato23. Questo processo è tuttavia
quantitativamente limitato e non è ancora chiaro in quali condizioni avvenga o come sia possibile
indurlo.22
In alternativa, è stata proposta la via del “clonaggio terapeutico” dove nuclei derivati da
cellule somatiche del paziente vengono immessi in oociti denucleati e dalle blastocisti ottenute in
vitro vengono derivate linee cellulari embrionali la cui differenziazione dovrebbe dare origine a
tessuti ed organi completamente istocompatibili con il paziente24,26. Questo approccio ha incontrato
forti resistenze per ragioni etiche ed è ancora lontano dall’esserne confermata la possibilità pratica
sebbene la possibilità di ottenere tessuti di vario tipo da cellule embrionali umane in vitro sia
supportata da vari risultati sperimentali27.
Possibili applicazioni di prodotti per terapia cellulare e genica
Negli ultimi anni, lo sviluppo delle tecnologie ha portato ad un fiorire di sperimentazioni
cliniche che hanno come oggetto preparazioni di cellule normali o geneticamente modificate. Una
breve, e lontana dall’essere completa, panoramica può aiutare a comprendere la vastità delle
applicazioni che questi nuovi medicinali possono raggiungere.
Riparazione di danni del sistema nervoso
Recentemente è stato riconosciuto anche al sistema nervoso la capacità di ripararsi e
proliferare in età adulta28. Questo ha aperto la possibilità di avere terapie alternative a quelle
chimiche per il recupero delle funzioni sia del sistema nervoso centrale che periferico. L’uso di
cellule endoteliali o di cellule staminali in grado di secernere NGF o altri fattori di crescita dopo
terapia genica per indurre la proliferazione neuronale è una delle tante possibili alternative29. Il
trapianto di cellule di origine fetale o amplificate in vitro ha dato risultati incoraggianti per fermare
se non riparare i danni in malattie degenerative come il Parkinson30,32.
I traumi alla spina dorsale ed al midollo spinale spesso comportano la perdita sia dei segnali
dalla periferia (ascendenti) che quelli dal cervello (discendenti) senza una prospettiva di recupero
funzionale. Ulteriormente, la formazione di tessuto cicatriziale impedisce la riparazione del danno e
la ricostruzione delle connessioni nervose. Il possibile trapianto nel punto del trauma di cellule
staminali neuronali od emopoietiche o mesenchimali transfettate o meno con i geni di fattori di
crescita neurotrofici potrebbero essere un approccio efficace27,33.
Riparazione del miocardio dopo infarto
Dopo un infarto del miocardio, la zona in cui viene a mancare l’irrorazione sanguigna da
parte dei capillari ostruiti va incontro ad un rapido processo degenerativo ed il miocardio viene
sostituito da tessuto cicatriziale. Per evitare la formazione del tessuto cicatriziale è essenziale una
rapida rivascolarizzazione del tessuto e la proliferazione dei precursori per la ricostruzione del
miocardio. Per questo scopo sono necessari l’espressione di fattori angiogenici e proliferativi che
potrebbero essere ottenuti sia da geni transfettati che dalla diretta inoculazione di cellule34. Una
delle terapie proposte consiste nell’inserzione di nuovo tessuto muscolare prodotto in vitro a partire
dalle cellule staminali 34,35 o cellule coltivate in vitro36 del paziente. In seguito ai risultati in un
modello animale23,37, sono in corso molti protocolli clinici che prevedono il trapianto di cellule
derivate dal midollo osseo sia in toto che purificate come staminali emopoietiche o mesenchimali
per indurre la riparazione del miocardio infartuato. Sebbene vi siano dei risultati incoraggianti in
termini di sopravvivenza e recupero della funzionalità non vi sono ancora delle spiegazioni sul
meccanismo di azione o su quali siano le cellule 38,39 con maggiore efficacia terapeutica.
Riparazione di epitelio distrutto in seguito a trauma (ferite, bruciature)
La produzione di tessuti sostitutivi dell’autotrapianto di pelle ha permesso di trattare
soggetti che per l’estensione delle ferite o delle bruciature sarebbero deceduti40. In particolare la
disponibilità di tessuto epiteliale derivato dai frammenti di pelle scartati durante la circoncisione
permette di avere sempre disponibile una “pelle artificiale” che viene sostituita successivamente con
un tessuto autologo.
Trapianto della cornea
Per i pazienti che in seguito a traumi o a degenerazione avevano subito danni alla cornea non
esistevano trattamenti alternativi ad un trapianto. Oggi lo strato epiteliale può essere ricostruito in
vitro sia da cellule autologhe che da donatori eterologhi 41,44.
Cartilagini ed articolazioni
Danni alle articolazioni sia dovute a traumi che a fenomeni degenerativi sono una delle
principali cause di riduzione della qualità di vita ed indipendenza. Lo sviluppo di substrati
artificiali45 in cui includere i progenitori o i condrociti stessi, coltivarli in vitro e quindi impiantarli
in vivo per la ricostituzione del menisco danneggiato sta diventando una possibile alternativa alla
progressiva degenerazione e quindi alla sostituzione con articolazioni artificiali46,47.
La degenerazione del disco intervertebrale è una patologia in forte incremento, legata a stili
di lavoro non corretti ma anche alla aumentata età media. L’uso di vettori genetici per l’espressione
di fattori di crescita o di segnali che alterino il metabolismo della cartilagine stessa è una delle
terapie proposte che si trova nella fase di sperimentazione nei modelli animali48.
Ricostruzione di ossa distrutte da traumi o rimosse in seguito a tumori
Spesso in seguito ad incidenti o alla presenza di masse tumorali consistenti frazioni di ossa
sono rimosse. La terapia classica permetteva solo l’inserimento di sostegni artificiali. In alternativa
pezzi di osso prelevati dallo stesso individuo venivano trapiantati su una matrice artificiale45 allo
scopo di accelerare il processo di rigenerazione. La possibilità di coltivare in vitro i precursori degli
osteociti e lo sviluppo di nuove matrici ha reso possibile ottenere la ricrescita ossea con una forma
corretta ed in tempi abbreviati49. L’uso di cellule staminali sia emopoietiche che mesenchimali
transfettate in vitro in modo da produrre i fattori di crescita necessari per la rapida ricrescita è anche
possibile ed in corso di sperimentazione50,51.
Diabete di tipo I e pancreas
Il diabete di tipo I è causato da una reazione autoimmune contro le cellule beta del pancreas
ed è caratterizzato dalla mancanza di insulina. La natura monocellulare di questa malattia ne fa un
bersaglio ideale per una terapia cellulare basata sulla ricostituzione della popolazione mancante52.
L’uso di cellule eterologhe e la presenza di una reazione autoimmune ha suggerito di separare le
cellule ottenute da prelievi autoptici e di incapsularle53. Inoltre, da cellule staminali sia embrionali
che autologhe54 potrebbero essere ottenute in vitro cellule beta pancreatiche. Pancreas artificiali
contenenti cellule di origine eterologa o autologa potrebbero essere in futuro usati per curare o
alleviare i sintomi55.
Immunoterapie antitumorali
La presenza di metastasi o di cellule diffuse rende la prognosi molto povera per quasi tutte le
forme tumorali. Cellule in grado di sopravvivere ai trattamenti antitumorali classici (chemioterapia
o irradiazione) sono in genere all’origine delle ricadute neoplastiche. Si è quindi pensato di
utilizzare la capacità del sistema immunitario del paziente per identificare, e quindi eliminare, le
cellule tumorali residue.
I primi studi pionieristici effettuati stimolando la popolazione linfocitaria con Interleuchina
2 hanno avuto un successo limitato dalla estrema tossicità del trattamento. Per incrementare la
specificità, i linfociti associati al tumore sono stati estratti, amplificati in vitro e quindi inoculati56,57.
Tuttavia questo approccio è limitato dalla breve emivita dei linfociti T attivati in vivo in assenza
della stimolazione fornita dalle cellule che presentano gli antigeni58. Le cellule dendritiche possono
essere trattate con antigeni specifici per il tumore 59 e quindi iniettate in vivo, dove possono attivare
linfociti citotossici specifici per gli antigeni tumorali60.
Una alternativa all’uso di cellule dendritiche consiste nel trattamento con exosomi derivati
da cellule dendritiche trattate con il lisato di cellule tumorali61.
Inoltre, è stato proposto di utilizzare cellule staminali mesenchimali con cellule in grado di
presentare antigeni e stimolare una risposta immunitaria62. Infine, una ancora maggiore specificità
potrebbe essere ottenuta attraverso l’uso di cellule modificate geneticamente per esprimere specifici
anticorpi od antigeni63.
Tessuto muscolare
Le distrofie muscolari sono un gruppo eterogeneo di malattie che si manifestano con una
progressiva perdita del tessuto muscolare. Non esiste una cura farmacologica per questo tipo di
malattie degenerative che spesso porta alla morte del paziente. L’inoculazione in situ di cellule
staminali, progenitori o precursori delle fibre muscolari potrebbe essere una terapia avendo a
disposizione un numero di cellule sufficiente. A questo scopo la coltura in vitro dei progenitori
potrebbe portare ad una terapia efficace64.
Patologie con un alto impatto sulla qualità della vita come le disfunzioni erettili, potrebbero
essere trattate con una miscela di prodotti innovativi65.
Malattie, come la sclerosi laterale amiotrofica, che comportano la progressiva degenerazione
dei neuroni che innervano il tessuto muscolare, potrebbero essere trattate con il trapianto di cellule
staminali. Il differenziamento in cellule nervose o la presenza di segnali di sopravvivenza cellulare
potrebbe portare al recupero delle fibre scomparse e quindi al rallentamento della progressione di
questa malattia66.
I rischi dei Prodotti medicinali innovativi e la sperimentazione clinica
I prodotti per Terapia cellulare e genica sono definiti come prodotti medicinali innovativi e
trattati come tali per quanto riguarda gli aspetti normativi. Tuttavia l’inerente differenza di
composizione, metodo di azione e rischi connessi hanno creato alcune difficoltà nell’applicazione
delle norme consolidate. In effetti, essendo lo scopo delle normative quello di garantire la sicurezza
del prodotto per l’utente, la presenza di nuovi rischi legati alla natura del prodotto o alla procedura
di produzione, automaticamente, richiede nuovi tipi di controlli.
Un prodotto medicinale di origine chimica può essere analizzato nei suoi componenti alla
fine del processo di produzione e i rischi sono legati alla sua azione in vivo o alla presenza di
contaminanti nel prodotto finale. Una proteina non è caratterizzata dalla sua formula chimica ma
dalla sequenza degli aminoacidi che la compongono che ne definisce la struttura tridimensionale e
le funzioni biologiche. Sono quindi la sequenza di aminoacidi e l’attività biologica oltre che la
composizione chimica, l’oggetto dei controlli di purezza da applicare ai prodotti proteici da
ingegneria molecolare.
I prodotti ottenuti mediante ingegneria genetica inseriscono nel processo di produzione
cellule di origine spesso xenologa che non possono essere completamente caratterizzate come delle
sostanze chimiche. Tutto ciò ha richiesto l’applicazione di controlli funzionali sia sul prodotto che
sulle cellule utilizzate nel corso del processo di produzione. Un esempio è il controllo della stabilità
di geni inseriti in linee cellulari per la produzione di proteine ricombinanti.
Come per le proteine, l’attività biologica dei prodotti composti da acidi nucleici è definita
dalla sequenza piuttosto che dalla composizione chimica. In questo caso, a differenza della
maggioranza delle proteine, si viene ad aggiungere anche il rischio dovuto alla possibile
amplificazione in vivo, sia come sequenza inserita in un genoma sia come particella infettiva
rilasciata dopo una eventuale ricombinazione genetica.
La distinzione fra “attività biologica” e composizione chimica diventa ancora più complessa
nel caso di un prodotto composto da una soluzione di cellule. In questo caso, come criterio di
definizione della composizione del prodotto medicinale, si abbandona la composizione chimica e si
ricorre alla definizione mediante antigeni di superficie e funzioni svolte.
Infine, un prodotto medicinale classico ha una emivita ben definita, dato che nel corso del
tempo viene eliminato dal corpo del paziente. I prodotti per terapia genica e cellulare viceversa non
hanno una emivita definita in quanto per la loro stessa natura essi sono replicati in vivo e tendono a
rimanere, se non ad amplificarsi, per tutta la vita del paziente.
Questi problemi di definizione del rischio possono essere risolti ma richiedono una nuova
valutazione delle relative pratiche di controllo, rendendo il processo di autorizzazione alla
immissione sul mercato lungo e complesso.
Rischi specifici derivanti dall’uso di Prodotti per Terapia Genica
I Prodotti per terapia genica sono una soluzione di acidi nucleici sia “nudi” che racchiusi in
particelle lipoproteiche di origine virale o sintetica. Queste particelle sono in grado di infettare
cellule primarie in modo più o meno specifico. La sequenza di acidi nucleici è quindi destinata ad
esprimersi in modo tessuto / cellula specifico. In genere si tratta di un complesso di acidi nucleici
che vengono impacchettati (packaged) con proteine arrangiate in una configurazione spaziale in una
cellula (packaging line, PL) e secreti quindi nel liquido di coltura. Il complesso di proteine e lipidi
usati per la costruzione dell’involucro derivano da vettori virali di vario tipo e specificità. 15,20 I
relativi geni codificanti sono inseriti nel genoma della PL separatamente in modo da evitare che si
producano particelle virali infettive. Il gene con funzioni terapeutiche viene legato a sequenze virali
che sono riconosciute dalle proteine dell’involucro virale e ne permettono la ricomposizione ed
escrezione.
Questo processo avviene in una popolazione cellulare che attraversa una serie di cicli
cellulari per essere espansa ed è quindi soggetta ad una instabilità genetica intrinseca anche se con
una bassissima frequenza. Il caso più comune porta alla inattivazione delle sequenze virali inserite e
ad una progressiva riduzione del titolo virale rilasciato e quindi ad una diminuita efficacia del
prodotto. Esiste tuttavia la possibilità che in seguito ad un evento casuale una sequenza endogena si
inserisca al posto del gene desiderato e che si arrivi alla formazione di particelle virali contenenti
una sequenza nucleotidica diversa da quella desiderata. Data la natura apparentemente casuale di
questi eventi è molto improbabile che questo porti ad una sequenza in grado di esprimere un
prodotto biologicamente attivo all’interno della cellula trasfettata.
Tuttavia, se il messaggio genetico modifica il funzionamento di una cellula sensibile ed in
grado di proliferare questa si può espandere in modo incontrollato e portare alla formazione di una
popolazione cellulare precancerosa. Il meccanismo più comune con cui questa alterazione del
controllo proliferativo può avvenire si basa sulla inserzione del vettore in una regione attiva del
genoma portando alla mancanza di regolazione di un gene endogeno con funzioni regolatorie.
Recentemente un caso di questo tipo è stato riportato per tre pazienti affetti da XSCID13. Gli
studi successivi hanno portato alla rivalutazione della frequenza e del tropismo dei vettori retrovirali
per le regioni regolatrici attive nel genoma umano67,68. Questi nuovi rischi hanno portato da una
parte alla richiesta di analizzare i siti di integrazione dei vettori utilizzati e dall’altra alla ricerca di
nuovi vettori che non abbiano questo particolare tropismo. Infine, è ormai prassi richiedere una
analisi della stabilità della PL, mediante analisi dei siti di inserzione e della presenza di particelle
infettive sconosciute unitamente alla sequenza del materiale genetico contenuto nel vettore finale.
Rischi specifici derivanti dall’uso di Prodotti per Terapia Cellulare
E’ praticamente impossibile caratterizzare una sospensione cellulare con una formula
chimica, per cui si ricorre a caratteristiche alternative come la grandezza o la presenza di proteine
specifiche sulla superficie cellulare. L’identificazione di una popolazione cellulare avviene quindi
in base ad un modello gerarchico mediante l’identificazione progressiva della specie,
dell’individuo, del tessuto, del tipo cellulare e del suo stato fisiologico. L’uso di cellule di origine
autologa o eterologa risulta nella prima grande divisione per quanto riguarda una valutazione dei
possibili effetti avversi.
L’immunogenicità dei prodotti farmaceutici è legata alla complessità della molecola ed alla
forma di presentazione in vivo. In generale, il rischio di una reazione immunitaria del ricevente
aumenta progressivamente in rapporto alla dose e complessità degli antigeni presenti nel prodotto.
Tessuti e cellule sono chiaramente immunogeni se di origine eterologa e quindi possono dare
origine ad una reazione di rigetto che ne bloccherebbe l’uso ripetuto. Inoltre, le procedure di
produzione possono conferire immunogenicità anche a cellule autologhe per la presenza di sostanze
immunogene sulla superficie cellulare o nel terreno di sospensione/coltura/conservazione. Tuttavia,
una reazione immunitaria da parte delle cellule di un prodotto di origine eterologa contro le cellule
del ricevente può essere sia desiderata in trattamenti antitumorali che indesiderata quando attacca
tessuti normali. Quindi un prodotto cellulare di origine eterologa deve essere caratterizzato per gli
antigeni di istocompatibilità ed adeguate precauzioni nel suo uso devono essere previste.
La presenza di agenti infettivi nella soluzione da iniettare non è un motivo automatico di
rigetto per un prodotto per terapia cellulare. Infatti, l’agente infettivo potrebbe essere endemico
nella popolazione di origine. Oppure, il prodotto cellulare è di origine autologa e l’agente infettivo
deriva dal paziente stesso. In entrambi i casi la regola che viene applicata consiste nel non dare al
paziente nulla che non avesse già prima del trattamento o che non sia specificatamente richiesto dal
trattamento stesso. Data la natura dei prodotti per terapia cellulare e la loro labilità, si potrebbe in
futuro giungere a definire un valore soglia di contaminazione microbica piuttosto che richiedere
l’assoluta sterilità del prodotto finale come previsto dalle attuali regole generali di qualità per un
prodotto farmaceutico.
L’uso di materiali di coltura derivati da animali o la presenza, durante il processo di
produzione di linee cellulari sia umane che enologhe, introduce il rischio che agenti infettivi di
natura nota o sconosciuta possano passare al prodotto cellulare ed essere quindi espanse in vivo
dopo il trattamento. In particolare non è stata ancora individuata una metodologia che permetta di
valutare i rischi di infezione da particelle virali inserite in forma quiescente all’interno del genoma
di cellule xenologhe. Tale rischio ha portato alla richiesta da parte delle autorità competenti di
sospendere la ricerca clinica con prodotti xenologhi e di eliminare i materiali di coltura di origine
animale dai protocolli di produzione per quanto possibile.
Infine esiste un rischio di tipo proliferativo / oncogenetico. Per quanto raramente, si può
supporre che il processo di produzione dei prodotti per terapia cellulare possa essere associato ad
una trasformazione in senso oncogeno delle cellule utilizzate e che questo raro evento sia in seguito
amplificato in vivo dalla normale proliferazione cellulare. Infatti una delle caratteristiche
fondamentali dei prodotti per terapia cellulare è che questi siano in grado di aumentare il loro
“dosaggio” in vivo (tramite la proliferazione cellulare), fenomeno che non si verifica per prodotti
chimici o proteici.
Sommario
L’uso in vivo di cellule sia coltivate in vitro che trasformate mediate terapia genica
rappresenta un nuovo approccio terapeutico per malattie degenerative e oncologiche. Queste
tecnologie rappresentano un approccio mirato, e possibilmente individuale, a patologie altamente
eterogenee difficilmente trattabili. L’uso di cellule, come prodotto medicinale, è stato reso possibile
dallo sviluppo delle tecnologie di coltura e dalla progressiva identificazione dei segnali intra- ed
extracellulari che controllano la proliferazione ed il differenziamento.
Come ogni nuova metodologia, questi prodotti hanno introdotto nuove tipologie di rischio
cha a loro volta hanno richiesto nuove forme di controlli per la garanzia della sicurezza dei pazienti.
Con questo tipo di prodotti medicinali, la caratterizzazione a livello molecolare è divenuta meno
precisa, se non impossibile per i prodotti che consistono di soluzioni cellulari. Inoltre, il concetto di
sterilità del prodotto da inoculare potrebbe dover essere sostituito dal concetto di controllo
microbiologico.
L’applicazione clinica di questi medicinali innovativi è estremamente promettente, ma la
loro applicazione richiederà la definizione di standard di sicurezza e qualità adeguati.
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