Figli del rock. Una storia di famiglia
- Guido Mariani, 13.06.2015
Mondi/«Molti grandi cantanti hanno perso la mamma da giovani», parola degli U2. Padri e
madri che sollecitano la nascita di canzoni o interi album. Rapporti tesi, spesso al limite, altre volte
più aperti e distesi. Una sfilza di artisti parlano «dei loro problemi»
In un suo saggio Sigmund Freud scrisse «se un uomo è stato il beniamino della madre, conserva per
tutta la vita quel sentire da conquistatore, quella fiducia nel successo che non di rado trascina
davvero il successo con sé». Il rapporto con i genitori plasma la vita. Gli artisti spesso rielaborano
attraverso la propria opera i rapporti con madre e padre. La relazione può essere caratterizzata da
un’assenza, oppure è una ferita che non si è rimarginata o un conflitto mai sanato. A volte è invece
un legame vero e profondo che crea un’ispirazione. Nel mondo del pop e del rock la relazione con i
genitori è stata per molti protagonisti la chiave di lettura di un’intera carriera. E alle volte, in
contrasto a quanto ipotizzava Freud, il successo non nasce dall’affetto, ma dal desiderio di riscattate
uninfanzia solitaria in cui non ci si è sentiti amati.
Bono
«Il dolore nel mio cuore fa così tanto parte di chi sono». Bono ha ormai 55 anni, ma ancora oggi
ritorna ossessivamente su un trauma che gli ha segnato l’esistenza: la tragica scomparsa della
giovane madre Iris, morta improvvisamente al funerale del padre per un aneurisma celebrale,
davanti ai suoi occhi. Il futuro leader degli U2 aveva quattordici anni. Un trauma che ha segnato la
sua vita e tantissime canzoni a cominciare dalla dolorosa Tomorrow del 1981 (definita «un racconto
dettagliato del funerale di mia madre») per finire nei brani dell’ultimo album, l’autobiografico Songs
of Innocence, come Iris (Hold me close), Cedarwood Road e The Crystal Ballroom. «Improvvisamente
mi sono accorto che sono quarant’anni che non c’è più. La figura della madre è così importante per i
musicisti rock. Mostratemi un grande cantante e avrete uno che ha perso la mamma da giovane», ha
detto quest’anno in un’intervista. La mancanza della madre ha significato per Bono anche un
rapporto ruvido con il burbero padre Brendan a cui ha dedicato l’album How to dismantle an Atomic
Bomb (la bomba atomica del titolo era proprio il genitore). Il brano Sometimes You Cant Make It on
Your Own racconta la relazione tra i due, dura e segnata dal vuoto incolmabile della scomparsa di
Iris.
Kurt Cobain
Il recente documentario realizzato dalla Hbo Montage of Heck ricostruisce senza reticenze la vita
tormentata del leader dei Nirvana. I genitori di Kurt Cobain divorziarono quando aveva nove anni.
Per lui fu un colpo durissimo. «Avevo vergogna confesserà al giornalista John Savage -. Mi
vergognavo per i miei genitori. Non riuscivo ad affrontare i miei amici a scuola. Io volevo una
famiglia tradizionale». Il trauma divenne anche più profondo quando fu di fatto rifiutato sia dalla
madre che dalla nuova famiglia del padre. Cobain, bambino irrequieto e adolescente problematico, si
sentì perennemente inadeguato, concentrò la sua angoscia nella sua musica, divenne una star, ma
anche un adulto fragile (eroina, matrimonio turbolento).
Il successo convinse sua madre, Wendy O’Connor, a tornare sui suoi passi e a riavvicinarsi a lui. Una
«conversione» che ha sempre destato qualche perplessità. Dopo la morte del figlio, la donna ha
attaccato gli altri due membri dei Nirvana Krist Novoselic e Dave Grohl accusandoli di essere avidi e
affermando che Kurt in realtà li odiava. Due anni fa ha messo in vendita una casa prefabbricata dove
Kurt aveva passato con lei parte dell’infanzia (prima di essere messo alla porta) per mezzo milione di
dollari. Il valore commerciale dell’immobile era di circa 65mila dollari. «Non è mai stato nella mia
natura avere vantaggi dall’incredibile successo di mio figlio», ha dichiarato.
Tupac
La vita violenta di Tupac Shakur si concluse a Las Vegas nel settembre 2006 quando la sua auto
venne crivellata di colpi d’arma da fuoco. Il caso non è mai stato risolto anche se probabilmente la
sua esecuzione maturò all’interno di una faida nel mondo dell’hip hop. La sua vita fu scandita dalla
violenza sin dalla nascita. La madre Afeni lo partorì quando era in permesso dal carcere dove era
detenuta con l’accusa di aver partecipato a un attentato dinamitardo delle Black Panthers (fu poi
assolta). La storia del suo rapporto con la madre Tupac la raccontò nel brano-confessione Dear
Mama, uno dei suoi più grandi successi. Il rapper non ebbe mai una figura paterna di riferimento, il
vero padre rimase uno sconosciuto. Il marito della madre, Lumumba Shakur, abbandonò la famiglia
e qualche anno dopo morì in circostanze misteriose («Il codardo non c’è mai stato. Quando morì non
ho pianto, perché non potevo sentire niente per un estraneo» recita il brano). Il fratellastro di
Lumumba, Mutulu, divenne il nuovo compagno della madre e il suo patrigno. Accusato di una
sanguinosa rapina a un portavalori nel 1979, dovette fuggire dalla polizia e venne arrestato nel 1986
e condannato a 60 anni di carcere.
Tupac e la madre si trasferirono da Baltimora in California, lei divenne dipendente dal crack e i due
si trovarono poveri e senza casa. Il rap fu la via d’uscita dalla miseria, ma non dalla violenza e Tupac
venne coinvolto in diversi scontri a fuoco (uno dei quali gli lasciò 5 fori di proiettile nel corpo).
Il rapper però non dimenticò mai che la madre gli era stata sempre vicino anche nei momenti
peggiori. «Anche quando eri schiava del crack sei sempre stata una regina nera recita Dear Mama -.
Una madre povera affidata ai servizi sociali. Dimmi come sei riuscita a crescermi. Non c’è modo in
cui potrei ripagarti». Oggi Afeni guida la Tupac Amaru Shakur Foundation che finanzia con i diritti
che provengono dalla musica del rapper ucciso programmi di studio per i giovani disagiati.
Maynard James Keenan
Il leader dei Tool, Maynard James Keenan, ha messo in musica il rapporto con la madre in quello che
a oggi è l’ultimo album della band, 10,000 days uscito nel 2006. I 10mila giorni del titolo si
riferiscono ai 27 anni di agonia sofferta dalla madre Judith Marie rimasta paralizzata da un
aneurisma. Per il figlio la sua sofferenza è rimasta un’ossessione (cantata anche nel brano che porta
il suo nome firmato da Keenan con gli A Perfect Circe). La donna pur nel dolore non ha mai perso la
sua fede e la sua religiosità, né ha mai manifestato rabbia. Un coraggio e una determinazione che
per il cantante rimangono un mistero incomprensibile. E una lezione di vita. «Sei la luce e la strada»,
canta Kennan nelle canzoni dell’album: «Non hai avuto una tua vita. Ma ne hai salvato una».
Art Alexakis
Alcuni dei più grandi successi degli Everclear, band punk pop di riferimento della scena Usa anni ’90,
nascono dalla tragica giovinezza del leader della band Art Alexakis. Quando aveva cinque anni il
padre lasciò la famiglia che cadde in miseria e dovette trasferirsi in un quartiere di frontiera. Art
venne stuprato a otto anni, sia lui che il fratello divennero eroinomani in giovanissima età. Il fratello
morì di overdose. Poco dopo fece la stessa fine la fidanzata di Art. Il futuro rocker reagì tentando il
suicidio.
La rabbia nei confronti del padre (che dopo averlo abbandonato gli mandava per il suo compleanno
una banconota da cinque dollari) è espressa nel brano Father of Mine: «Dimmi come fai a dormire,
con i figli che hai abbandonato e una moglie che picchiavi». Nel brano Alexakis annuncia anche
l’unica rivincita possibile contro quanto ha passato: «Sono diventato un adulto, con una figlia mia. E
giuro che non le farò mai conoscere il dolore che io ho dovuto provare». I figli che hanno sofferto
rischiano di diventare a loro volta pessimi padri. Ma Alexakis ha deciso «invertire la tendenza»,
impegnandosi anche pubblicamente come testimonial di iniziative dedicate alla paternità
responsabile.
Ben Harper
L’eclettismo di Ben Harper è sempre stato frutto di un’alchimia unica, scaturita in una famiglia
multietnica in cui la musica era di casa. Il padre Leonard era un afro-americano con sangue
Cherokee che suonava il flauto e le percussioni e portò il figlio a sentire Bob Marley quando aveva 9
anni. La madre Helen era un’ebrea cantautrice i cui genitori avevano aperto in California il
negozio-museo Folk Music Center. È proprio qui che Ben crebbe, sotto l’occhio attento della madre e
frequentando musicisti quali Taj Mahal, Ry Cooder e Leonard Cohen. Diventato artista di successo,
Ben ha deciso di tornare alle radici e riconoscere il fondamentale ruolo della mamma nella sua
formazione musicale realizzando con lei un album Childhood Home, pubblicato l’anno scorso. «Era
un progetto che avevamo da anni, si potrebbe dire da una vita», ha detto Ben. L’album è composto
per metà da canzoni scritte da Helen e i due hanno anche tenuto dei concerti insieme suonando con
strumenti che fanno parte della famiglia da ormai tre generazioni.
Lennon & McCartney
Accomunati dal talento, ma anche dallo stesso dolore per la perdita della madre, Lennon e
McCartney divennero entrambi orfani molto giovani e questo fu senza dubbio un punto comune che
rese ancora più solida la loro amicizia. La mamma di Paul, Mary, era un’ostetrica che morì nel 1956
a 47 anni per un’embolia dopo un intervento chirurgico per rimuovere un tumore al seno. È lei la
Mother Mary di Let It Be. John, come raccontava lui stesso, perse la madre Julia due volte. Quando
aveva cinque anni andò a vivere con gli zii dopo la separazione dei genitori. A 17 anni, Julia venne
uccisa da un poliziotto fuori servizio ubriaco che la investì con la macchina. A lei è dedicata la
canzone Julia (che compare nel White Album), ma soprattutto la dolorosa Mother, pubblicata da
Lennon nel 1970. «Tu mi hai avuto, io non ho avuto te. Ti volevo, ma non mi hai voluto», cantava
John che in quel periodo stava affrontando la «terapia primaria» dello psicanalista Arthur Janov che
voleva far riemergere i traumi infantili. «Il dolore più grande è non essere desiderati», disse John nel
1971.
Marvin Gaye
Due colpi di pistola, uno al cuore e uno alla spalla, misero fine alla vita di Marvin Gaye, uno dei più
grandi talenti della black music il 1° aprile 1984. Il giorno dopo il cantante avrebbe compiuto 45
anni. A sparare fu suo padre Marvin Sr. Una fine tremenda per un rapporto che era sempre stato
difficile. Il padre era un predicatore evangelico cresciuto tra povertà e abusi e aveva educato i figli
sottoponendoli spesso a violenze e umiliazioni. Marvin Jr decise di cambiare il suo cognome da Gay a
Gaye anche per distanziarsi dalla famiglia con cui si riconciliò solo quando arrivò il successo.
All’inizio degli anni ’80 l’autore di What’s Going on aveva vissuto un periodo di declino: in difficoltà
finanziarie e dipendente dalla cocaina si era trasferito in Belgio e aveva lasciato la sua etichetta
storica, la Motown. Ma il successo commerciale gli aveva arriso ancora con il singolo Sexual Healing.
Tornato a vivere negli Usa, era però sempre più prigioniero della sua dipendenza dalla cocaina,
schiavo di manie ossessive e si ritrovò a vivere con i genitori. Ma i litigi e le reciproche minacce
erano quotidiani. Fino al tragico giorno della morte. Il padre disse di avere agito per legittima difesa.
«Se potessi riportarlo indietro lo farei. Avevo paura di lui», disse in tribunale. Fu condannato a sei
anni di carcere. «Tutto nella vita di Marvin fu il frutto della relazione con il padre ha detto il
biografo Steve Turner -. Il suo bisogno di avere successo, di essere amato, la sua fuga nelle droghe,
tutto è legato a quel rapporto. Non importa quello che era riuscito a creare con le sue canzoni. Tutto
quello che ottenne fu solo risentimento e critiche».
Bob Marley
«È una storia che rimanda alla schiavitù. Un bianco che si prende una donna nera e la mette
incinta». Bob Marley non parlò mai volentieri del padre, il capitano dell’esercito inglese Norval
Marley che lavorava come sovrintendente in una piantagione giamaicana e che all’età di quasi
sessant’anni intraprese una relazione con una ragazza diciannovenne chiamata Cedella Booker. I
due si sposarono. Nel febbraio del 1945 nacque Robert Nesta che il mondo conoscerà come Bob.
Norval ben presto tornò in patria abbandonando la famiglia e facendo perdere le sue tracce. Morì
pochi anni dopo. Per Bob questo padre coloniale, assente, di cui conservava un’unica foto a cavallo,
fu fonte del suo risentimento contro i bianchi e fu alla base della sua volontà di riscatto per i neri di
tutto il mondo. Ma da ragazzino il futuro re del reggae venne discriminato perché visto come un
«mezzo-sangue». «Non sto dalla parte dei neri o dalla parte dei bianchi disse -. Mi definiscono un
mezzo e mezzo. Io sto dalla parte di dio che mi ha creato bianco e nero e mi ha dato il talento».
Eddie Vedder
Quando i suoi genitori divorziarono, Eddie Mueller era un adolescente che frequentava la scuola
superiore. La famiglia si separò. La madre, Karen Vedder, e i fratelli andarono a Chicago, Eddie
scelse si rimanere dove aveva trascorso gran parte della sua vita, a San Diego con il padre Peter
Mueller. Scoprì però una verità che gli era sempre stata negata: quello che pensava fosse suo papà
in realtà aveva sposato sua madre due anni dopo la sua nascita. Il suo vero padre era una persona
che aveva conosciuto in passato e gli era stato presentato come un amico di famiglia, Edward
Severson. La notizia era arrivata troppo tardi. Edward era morto di sclerosi multipla. Eddie decise
così di allontanarsi e di andare a vivere da solo, prese il cognome della madre e rivolse la sua
angoscia alla musica. Anni dopo questo trauma divenne il testo di una canzone che Eddie spedì a un
gruppo di Seattle, i Mother Love Bone, che cercavano un cantante dopo la morte per overdose del
loro precedente frontman. Eddie si trasferì a Seattle e divenne il leader di quella band che si
ribattezzò Pearl Jam. La canzone, Alive divenne il loro primo successo internazionale. Eddie era
diventato un cantante. Proprio come il padre. «Avrei voluto sapere se mi amava ha confessato in
un’intervista del 2013 -. Avrei voluto avere una figura di riferimento che mi insegnasse a capire cosa
vuol dire diventare adulti. Di lui mi sono rimaste le registrazioni di 4 canzoni. Le ho sentite per la
prima volta solo un mese fa. Era bravo. Sono orgoglioso di lui. E se fosse ancora vivo mi piace
pensare che sarebbe orgoglioso di me».
Lou Reed
La difficile relazione che Lou Reed ebbe con i genitori nel corso dell’adolescenza è ben documentata
non solo dalle biografie, ma dalle stesse canzoni del rocker. In Kill Your Sons del 1974 raccontò la
crudele terapia dell’elettroshock a cui fu sottoposto. Questa procedura pare gli fosse stata imposta
anche per «curare» le sue tendenze omosessuali. Tuttavia lo scorso aprile, a un anno e mezzo dalla
morte del fratello, la sorella Merrill ha raccontato per la prima volta un’altra versione della storia,
prendendo le difese dei genitori. Non ci fu alcun tentativo di sopprimere l’omosessualità, ma solo di
aiutare un ragazzo che era sempre più disadattato ed era vittima delle droghe. La terapia non venne
scelta dai genitori, ma dai medici. Il padre era un burbero, ma non un violento. «Le storie che Lou
stesso raccontò su mio padre erano legate a quel periodo di rabbia ha detto la sorella -. Ma per me
sono sempre sembrate delle fantasie. Non ho mai visto mio padre alzare le mani contro nessuno. Mai
verso di noi, mai verso mia mamma. Mai ho visto una mancanza d’affetto nei confronti di suo figlio
che ha sempre amato e di cui è sempre stato orgoglioso».
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