I Cani di Pompei Menade “Mi chiamo Menade, ho appena compiuto un anno, e come ogni sacerdotessa del dio del vino vivo davanti alla casa del mio unico sposo: Bacco. Sono nera e lucida come la notte. Quando danzo alle stelle per lui piena del suo nettare . Quando la mia coda sia allunga nell’aria come una cometa ebbra. Poi, dopo aver ululato la mia passione alla luna, eccolo apparire. E lui, il mio Dio, mi fa danzare e mi sussurra nelle orecchie pelose tutto il suo ardire. Per questo ho imparato la fedeltà assoluta, l’allegria. Per questo posso dare la felicità e la mia passione ad ogni umano che la chiederà. Odone Mi hanno trovato nei granai del Foro mentre divoravo una bella pizza gonfiata dal grano d’oro delle nostre messi campane. Sono Odone, commercio in essenze e belletti. La mia mamma, Setterina Patrizia macchiata di nero e bianco, ci allattava in mezzo ai prati di Pompei, dove fiori e campanule deliziavano il nostro olfatto di cuccioli. E il profumo è entrato nelle nostre vite. Per questo il mio manto, lucido e setoso, sarà la gioia di chi vorrà tenermi per sempre con lui. Polibia A Pompei nel quartiere delle Terme antiche dove mi aggiro liberamente mi chiamano Polibia. Ho due anni e, come i Polibii che si rispettano, sono una schiava liberta, e quando posso prediligo quest’area di caldi umidi e di acque che gonfiano il mio pelo e rilassano le mie povere zampe stanche di lavoro. I miei amici canini a Pompei dicono che sono magica perché, d’improvviso una mattina, la mia coda si è svegliata con una spennellatura bianca. Non sanno la verità. Una notte alle terme ero immersa caldamente nelle vasche, quando, sul cocchio di porporina avvolto da una nuvola di fumo, si è palesato Apollo Bellissimo, impennato e grande fusto. Ma anche molto arrabbiato di trovare una schiava liberta e pelosa nelle sue acque preferite. Così, furioso, mi ha acchiappato per la coda scaraventandomi fuori dalla vasca. E l’incontro con quella mano divina mi ha riempito di luce il pizzo della coda. Palutus Ero un cucciolo timido. Avevo paura di stare in società nella moltitudine canifera di Pompei. Pensavo che gli amici pelosi trovassero goffa la mia andatura un po’ dondolante e troppo femminile il candore della mia tunica. Pardon della mia pelliccia. Allora ho deciso che mi sarei chiamato Plautus (plotus nel vecchio lessico umbro vuol dire non a caso “dalle grandi orecchie”) e che sarei stato io a divertirmi, conquistando il favore di tutti i quadrupedi pulciosi del sito. Così, ispirandomi al grande scrittore che porto nel nome, ho scritto una commedia su misura per i cani di Pompei. Due cortigiane chiamate Bacchidi, bellissime, chiome di seta, ingioiellate come imperatrici, arrivano a Pompei e incontrano davanti alla mensa ponderaria un certo Plautus (il sottoscritto). Innamorate del suo manto bianco, delle grandi orecchie e del naso signorile a tartufo, decidono di adottarlo e di prenderlo con loro nel loro palazzo di Napoli con fontane, meraviglie e 100 ettari di parco. Quando stanno per caricarlo sulla loro littorina, Plautus abbaia tre volte e subito, da ogni vicolo della Pompei perduta, ecco schizzare code festose, nasi e musi felici. Tutti vogliosi di partire per Napoli (ma anche per Roma, Firenze o Milano) per cercare e trovare nuovi padroni da amare. Per cominciare una nuova vita. Non dimenticate i cani di Pompei A cura di Stella Pende, scrittrice, giornalista e animalista