Università degli Studi di Bologna Facoltà di Scienze Politiche _______________________________ Corso di D. U. in Operatore della Sicurezza e del Controllo Sociale “IL VALORE PROBATORIO DELLE INDAGINI TECNICHE IN TEMA DI CONFRONTO DI IMMAGINI” Candidato: Magda Zignani Relatore: Prof. Augusto Balloni 1 NOTA DI RINGRAZIAMENTO Un ringraziamento particolare per i preziosi consigli e le precisazioni tecniche che mi sono state fornite, al dr. Elio Graziano, al dr. Luigi Persico, al dr. Adalberto Biasiotti, all’ing. Mario Conedera, all’ing. Corrado Grandin ed al personale del nucleo di Polizia Scientifica di Bologna, in particolare al dr. Silio Bozzi, Giuseppe Fucetola, Lorenzo Garuti. 2 INDICE INTRODUZIONE Pag. 01 Capitolo 1 IDENTIFICAZIONE E IDENTITA’ 1.1. Identificazione Individuale 1.2. Metodo Antropometrico 1.3. Metodo Dattiloscopico 1.4. Metodo Radiologico 1.5. Identità Pag. 04 Pag. 05 Pag. 06 Pag.17 Pag.21 Pag.22 Capitolo 2 TECNICHE DI IDENTIFICAZIONE PERSONALE 2.1. Fotosegnalamento 2.2. Analisi delle impronte digitali 2.3. Tecnologie biometriche 2.4. Tecniche di analisi e di sovrapposizione delle immagini Capitolo 3 Capitolo 4 SISTEMI DI SICUREZZA NELLE BANCHE E PREVENZIONE DALLE RAPINE 3.1. Protezioni di sicurezza messa in atto da una banca 3.2. Sistemi televisivi a circuito chiuso 3.3. Check-list per il controllo del livello di sicurezza in un istituto di credito 3.4. Entità del fenomeno rapina negli istituti di credito COSA SUCCEDE DOPO UNA RAPINA IN BANCA? 4.1. Sopralluogo tecnico della Polizia Scientifica 4.2. Banca Dati Rapine 4.3. Analisi delle immagini videoregistrate: metodologia applicata dalla Polizia Scientifica 3 Pag. 25 Pag. 25 Pag. 27 Pag.31 Pag. 33 Pag.43 Pag.43 Pag.47 Pag.51 Pag.64 Pag. 69 Pag. 69 Pag. 72 Pag.74 Capitolo 5 Capitolo 6 PRIVACY NELL’AMBITO DELLA SICUREZZA 5.1. Sorveglianza tramite l’uso di telecamere e tutela della privacy 5.2. Videosorveglianza e sicurezza: esperienze europee 5.3. Il trattamento dei dati personali per ragioni di giustizia ASPETTI GIURIDICI DELLE INDAGINI TECNICHE 6.1. Le prove nel nuovo codice di procedura penale 6.2. Valore probatorio della prova dattiloscopia 6.3. Valore probatorio delle indagini tecniche in tema di confronto di immagini 6.4. Le registrazioni digitali nel processo penale Pag.78 Pag.80 Pag.96 Pag.104 Pag. 114 Pag. 114 Pag. 120 Pag. 123 Pag. 131 Appendice Pag. 138 CONCLUSIONI Pag. 141 BIBLIOGRAFIA Pag.143 4 INTRODUZIONE La criminalistica - come è noto - assume come postulato l’affermazione che non esiste il delitto perfetto poiché il suo autore lascia sempre la sua firma o una traccia che può essere interpretata mediante regole scientifiche o svelata mediante tecnologie1. L’antico postulato della dattiloscopia (è la stessa mano dell’assassino che lo tradisce firmandone il misfatto con le impronte papillari) oggi si arricchisce di nuovi e complessi temi, fino all’impronta genetica del DNA, altrettanto inconfondibile come quella papillare. Tuttavia la complessità, vastità ed eterogeneità del sapere, col quale affrontare l’analisi scientifica del crimine, fa sì che lo scienziato forense sia un nuovo tipo di professionista. Il nuovo codice di procedura penale e le profonde e crescenti variazioni della criminalità pongono in primo piano la maggiore rilevanza delle indagini preliminari che devono essere condotte secondo canoni metodologici ancora più rigorosi (ed è intuitivo il crescente peso della criminalistica) per poter reggere adeguatamente in sede dibattimentale2. Fino ad un passato relativamente recente, molte dinamiche criminose erano fondatamente ipotizzabili perché in genere il reato era epifenomenico di conflittualità o contrasti intersoggettivi, o comunque relazionali, mentre adesso compaiono frequentemente tipologie di reato “comprensibili” (c.d. “delitti senza movente”) o comunque più complessi, nei quali prevalgono nettamente gli aspetti motivazionali, perché non di rado epifenomenici di una conflittualità soggettiva intrapsichica. In questi casi è di tutta evidenza la necessità di un’ampia, corretta ed obiettiva raccolta di ogni elemento utile a definire meglio la “scena del delitto”, per i suggerimenti che possono scaturire per l’ulteriore corso delle indagini, specie se si terrà debito conto della tipologia generale cui quell’evento delittuoso è riconducibile. 1 L. PERSICO, Rilievo probatorio delle immagini provenienti dagli impianti di videoregistrazione, La Giustizia Penale, 1993 (Parte Terza: Procedura Penale), pag. 504 2 S. LUBERTO, Inserto a Polizia Moderna n. 1- gennaio 1998, p.29 5 Compito dell’investigatore scientifico di polizia non è trovare l’autore del reato, ma fornire tutta quella serie di notizie necessarie che contribuiscono a delimitarne la scena operativa ed a tracciare un profilo del responsabile attraverso un paziente lavoro di analisi delle informazioni, a partire comunque, da quelle relative all’esame della scena del crimine 3. La videoregistrazione e il trattamento delle immagini costituiscono indubbiamente, oggi, settori di attività privilegiati della Polizia Scientifica 4. I sistemi di videoripresa a circuito chiuso costituiscono sicuramente un efficace strumento di dissuasione, ma anche un supporto prezioso alle indagini, una volta che l’evento criminoso si è verificato. Infatti, a prescindere dalla possibilità di identificare gli autori di un reato attraverso l’esame del volto e delle altre caratteristiche somatiche, la tempestiva visione del filmato agevola la ricerca, in sede di sopralluogo tecnico, delle tracce dei malviventi e in particolare delle loro impronte digitali. L’acquisizione di dati oggettivi che possano costituire od integrare indizi o prove di reato attraverso l’analisi delle immagini, può conferire particolare forza ad un’ ipotesi accusatoria, ma nel contempo garantisce meglio i cittadini innocenti da possibili errori giudiziari. Gli impianti di videoripresa a circuito chiuso per adempiere in modo soddisfacente alla funzione di dissuasione e di ausilio all’investigazione devono possedere determinate caratteristiche tecniche. Il settore di intervento della Polizia Scientifica, nel quale più frequentemente e con ottimi risultati viene esercitata la gestione d’immagini provenienti da impianti di videoripresa a circuito chiuso, è quello delle rapine in banca, uffici postali, oreficerie, tabaccherie ed altri siti a rischio. Tutte le immagini di eventi criminosi riprese da sistemi TVCC, vengono archiviate presso il Sistema per l’analisi del Crimine Violento della Polizia Scientifica consentendo così la ricerca incrociata e l’analisi automatica di tutte le informazioni relative a casi di rapine, omicidi, ecc. 3 G. MADDALENA, Nuove tecnologie della Polizia Scientifica, Inserto a Polizia Moderna n. 1gennaio 1998, pag.6 4 E. GRAZIANO, Videoregistrazione e trattamento immagini a fini investigativi, Sicurezza n. 8 ottobre 1998, pag.74 6 e permette di individuare correlazioni intracaso o collegamenti tra casi differenti, utilizzando codici di calcolo molto simili a quelli basati su reti neurali per l’apprendimento 5. Le installazioni TVCC, con o senza archiviazione delle immagini, devono essere notificate al Garante della privacy, bisogna ottenere il consenso alla ripresa da parte dei cittadini/utenti, e le immagini acquisite devono essere osservate ai soli fini della sicurezza, con esplicita esclusione di ogni altro utilizzo 6. La presente trattazione, dopo aver delineato le fasi di sviluppo della Criminalistica, aver esposto le varie tecniche di identificazione personale, aver descritto l’utilizzo della videosorveglianza in generale compresi gli istituti di credito, quali sono le indagini che vengono effettuate dopo una rapina in una banca, l’istituzione della Banca Dati Rapine, l’applicazione della legge sulla privacy e la tutela della riservatezza, affrontera’ gli aspetti giuridici delle indagini tecniche che possono incidere sul libero convincimento del giudice. 5 L. POMPILI, Le Banche di Immagini. Come opera la Polizia Italiana, TVCC ZOOM n.1 aprile 1998, pag.26 6 A. BIASIOTTI, Ora si può conciliare privacy e videosorveglianza, Antifurto n.6 1999, pag.15 7 CAPITOLO 1 IDENTIFICAZIONE E IDENTITA’ Per identificazione si intende la procedura attraverso la quale si giunge a riconoscere od individuare una persona in base ad una sufficiente quantità di elementi probatori7. Nel campo del diritto, vi sono casi in cui la necessità del riconoscimento si pone nei confronti di soggetti viventi che hanno commesso un reato o che devono scontare una pena, o nei confronti di latitanti che non hanno interesse a svelare la propria identità. Altre situazioni, più rare, riguardanti il vivente sono rappresentate dalla sostituzione di infanti, dal rapimento e commercio di bambini, da soggetti che hanno perduto la memoria a causa di eventi traumatici o che si trovano in stato di coma, da scambi di persone in ambito assicurativo. Nell’ambito del vivente peraltro le eventualità più frequenti sono rappresentate dalla necessità di stabilire un singolo carattere della persona, come età o sesso. Più spesso si tratta di dare identità a persone decedute a causa di incidenti aerei, marittimi, ferroviari o catastrofi naturali o a cadaveri carbonizzati o comunque sottoposti a modificazioni tali da alterarne i tratti somatici. La necessità di pervenire all’attribuzione di identità, nasce non solo da esigenze di culto e da sentimenti di umana pietà verso i defunti, ma anche da ragioni di carattere giuridico ed amministrativo, che fanno derivare dalla dichiarazione di morte della persona deceduta importanti conseguenze in tema di successione, eredità, godimento di benefici previdenziali ed eventuale mutamento di stato civile del coniuge superstite. Normalmente l’identificazione di persona vivente è demandata agli organi di Polizia e per esigenze di riconoscimento a fini amministrativi e di ordine pubblico sono stati predisposti appositi documenti (carte di identità, passaporti, patenti, tessere personali). E. MARINELLI – S. ZAAMI, La identificazione personale, in L .MACCHIARELLI – T. FEOLA, Medicina Legale vol. II, Ed. Minerva Medica, Torino 1995, pag. 1079 7 8 L’identificazione costituisce altresì atto preliminare di ogni indagine su cadavere compiuta per ordine dell’Autorità Giudiziaria (art. 116 del D.Lgvo 28/7/1989 n. 271). L’identificazione generica si avvale di dati forniti dall’esame diretto, senza comparazione con altri dati precedentemente raccolti: così l’identificazione della razza, del sesso, dell’età, delle stigmate professionali; l’identificazione individuale è invece un riconoscimento della persona: si constata cioè se essa sia quella a cui corrispondono certi caratteri anatomici e funzionali 8. Analogamente, per le tracce si accerta se esse siano uguali a quelle lasciate da un dato soggetto con cui sono messe a confronto. L’identificazione personale dà luogo ad un duplice aspetto: identità preventiva e identità giudiziaria9. La prima si occupa dell’identificazione di una persona indipendentemente dalla commissione di un reato. La seconda, invece, entra in funzione al momento che un reato è stato commesso, contribuendo, dall’esame dei vari elementi (tracce, impronte,ecc.) a risalire alla persona cui gli stessi si riferiscono. 1.1. - IDENTIFICAZIONE INDIVIDUALE L’importanza dei metodi di identificazione del vivente deriva soprattutto dalla necessità di rintracciare e riconoscere rapidamente ed in modo esatto i delinquenti recidivi che nascondono il loro vero nome10 . Ma anche in molti altri casi possiamo essere dubbiosi di fronte a persone che non sono in grado di dare notizie precise di sé stesse, o per le quali sorge titubanza circa l’identità; l’intoppo sarebbe eliminato se esistesse un archivio con i dati segnaletici per tutti i cittadini, così come c’è l’archivio dello stato civile. Si pensò di possedere un valido mezzo per il riconoscimento delle persone nell’immagine fotografica. G. CANUTO – S. TOVO, Identificazione, Medicina Legale e delle Assicurazioni, Undicesima edizione completamente riveduta e aggiornata dal prof. S. Tovo, Ed. Piccin , pag. 378 9 R. PACERI, La Polizia Scientifica, Ed. Laurus Robuffo , Roma 1995,pag.215 10 G. CANUTO – S. TOVO, Identificazione , Medicina Legale e delle Assicurazioni, op. cit.,pag.379 8 9 Ma ben presto si osservò che essa era insufficiente, sia per le molte somiglianze fra i vari individui, sia per i mutamenti che intervengono col trascorrere degli anni. Inoltre un sistema d’ identificazione richiede soprattutto un sistema di classificazione: perché quando si posseggono i dati d’un soggetto da riconoscere non è possibile esaminare quelli di tutte le persone prima registrate, che sono decine o centinaia di migliaia, ma occorre una guida; così come per cercare un foglio in uno schedario abbiamo bisogno dell’ordine alfabetico o di un ordine numerico. 1.2 - METODO ANTROPOMETRICO Fu Alphonse Bertillon, impiegato della Polizia di Parigi, che concepì nel 1879 un sistema di classificazione fondato su misure di parti del corpo che venne detto appunto metodo antropometrico o dal nome dell’autore Bertillonage. I caratteri somatici del soggetto sconosciuto devono essere accuratamente raccolti e descritti secondo una metodologia scientifica di osservazione che eviti di trascurare particolari che potrebbero mostrarsi decisivi per un eventuale raffronto, tenuto conto che questo potrebbe realizzarsi anche a distanza di tempo dalla raccolta dei dati e che la comparazione potrà avvenire attraverso l’utilizzo di caratteri fisici attinti da fonti diverse, di natura testimoniale, fotografica, documentale e segnaletica11. Classicamente lo studio antropologico del corpo umano viene suddiviso per schematicità convenzionale in studio del capo e studio del resto del corpo12. Abbiamo quindi dal punto di vista della nomenclatura adottata: I- studio antropologico del capo: da un punto di vista metrico = Cefalometria da un punto di vista morfologico = Cefaloscopia E. MARINELLI – S. ZAAMI, La identificazione personale, in L. MACCHIARELLI – T. FEOLA, Medicina Legale vol. II, op.cit.,pag. 1096 11 10 II- studio antropologico del corpo: da un punto di vista metrico = Somatometria da un punto di vista morfologico = Somatoscopia Quindi vi sono caratteristiche misurabili e non misurabili. Le prime da un punto di vista matematico sono di tipo continuo, possono cioè assumere qualsiasi valore nell’ambito di un intervallo che definisce la variabilità della popolazione in relazione a quel carattere. Le caratteristiche morfologiche si riferiscono alla forma del corpo o di sue parti; hanno carattere di discontinuità e non sono soggette a misurazione. La loro codificazione avviene mediante il raffronto fra la morfologia in esame e tabelle di riferimento convenzionali nelle quali sono codificate morfologie ritenute tipiche. Cefalometria Le misure del capo nel vivente sono simili a quelle del cranio osseo. Le differenze sono dovute allo spessore della cute, del sottocutaneo e della muscolatura scheletrica e pellicciaia, dei capelli. I rapporti fra misure craniche e misure scheletriche sono stati studiati in dettaglio su vastissimi campioni di popolazione e sono codificati e standardizzati; gli standards relativi, calcolati da Rhine & Campbell (1980), da Rhine & Coll. (1982). Cefaloscopia I caratteri del capo rilevabili alla semplice osservazione sono numerosi e nel loro complesso offrono all’osservatore esperto la possibilità di dedurre le informazioni diagnostiche essenziali ai fini di definire il tipo fisionomico del soggetto studiato in riferimento a tipi fisionomici convenzionali. Ogni capo ha infatti una sua fisionomia che ne permette il riconoscimento attraverso una sintesi di caratteristiche. 12 Relazione di Perizia Antropologica Comparativa relativa al Procedimento Penale n. 366/97 R.G. Tribunale di Bologna 11 Queste caratteristiche, una volta rilevate, sono suscettibili di essere confrontate con schemi predisposti, o elaborate quantitativamente. Nella pratica corrente la fisionomia del capo viene scomposta in alcuni elementi ritenuti essenziali (es. forma del volto, dimensioni del naso, ecc.); ciascun elemento viene definito attraverso un processo di omologazione rispetto a categorie morfologiche empiriche ma codificate e, pertanto, comparabili. Ai fini dell’identificazione personale molti caratteri morfologici del capo e di sue parti sono stati presi in considerazione dai vari autori. La codificazione più diffusa è quella di Schwidetzky e Knussmann (1988) basata sulla rielaborazione di disegni dovuti al Martin. In questa codificazione vengono presi in considerazione dieci tipi fisionomici facciali: ellittica, ovale, ovale invertita, rotonda, rettangolare, quadrata, rombica, trapezoidale, trapezoidale invertita, pentagonoide. Sebbene molti autori abbiano caso per caso enfatizzato il significato segnaletico di alcune parti del volto rispetto ad altre, certamente la fronte, il naso, i padiglioni auricolari e gli occhi sono gli elementi di spicco nella fisionomia facciale e sul loro valore nella ricerca dell’identità personale non esistono dubbi. Nel Bertillonage si prendeva in considerazione forma e dimensione di questi organi. Modernamente nella formula segnaletica si conferisce maggiore importanza ai dettagli morfologici del padiglione auricolare e, soprattutto, alla forma del dorso del naso, alla sua base ed alle sue dimensioni, secondo quanto codificato da Reverte Coma (1991). Per quanto riguarda la morfologia del padiglione auricolare è stato dimostrato che essa è assai caratteristica e pressochè individuale. Meno indicativa è la morfologia delle labbra e quella del profilo palpebrale. Infine hanno importanza anche la forma, la direzione e la dimensione delle sopracciglia. Anche la morfologia della piramide nasale e della punta del naso è di grande importanza nel processo di identificazione personale. Una menzione particolare va riservata alla forma della fronte, sia per quanto attiene al suo profilo che per quanto attiene al prospetto. 12 Anche il mento può assumere rilevanza antropomorfica nel processo di identificazione. Alla fine della trattazione riguardante la cefaloscopia, bisogna affrontare la questione della tipizzazione dei capelli. I capelli indicano anche l’appartenenza a diverse etnie. Chiudono la tipizzazione fisionomica del capo, le informazioni riguardanti il colore della cute e l’abbondanza del pannicolo adiposo nel distretto cefalico. Entrambe queste caratteristiche possono però essere spesso invalidate nel procedimento di identificazione personale a causa del fatto che spesso i malviventi le travisano ponendo ad esempio nel vestibolo della bocca oggetti che alterano il profilo delle guance, simulando la presenza di un cuscinetto adiposo, ecc. Somatometria Il fine della somatometria è quello di descrivere in particolare i caratteri quantitativi del corpo umano rilevabili all’esterno e sul vivente. Le variabili antropometriche possono essere considerate caratteri poligenici sui quali i fattori ambientali (nutrizione, attività fisica, stato di salute, ecc.) producono variazioni più o meno elevate. Tali effetti ambientali sono molto sensibili quando la misura è riferita a parti del corpo costituite da tessuto muscolare e, ancor più, da tessuto adiposo, mentre saranno minori e prevalentemente legati alle sole fasi di accrescimento, quando prese su punti di repere sovrastanti parti ossee. L’impostazione di un sistema di misure, sarà quindi orientato verso questo secondo tipo di variabili quando si vorrà accentuare l’informazione sulle strutture stabili del corpo, ossia su quella che potremmo definire l’impalcatura, mentre le misure del primo tipo consentiranno di esprimere tutto il complesso della variabilità trofica. Questa distinzione è molto importante ai fini dell’antropologia forense, in quanto, come è ovvio, il maggiore valore identificato risiede nelle misure che prevedono il depistamento di punti di repere in cui il piano cutaneo è vicino a quello osseo; ciò consente anche di minimizzare l’effetto di eventuali variazioni antropometriche derivate da variazioni ponderali intercorse fra il momento dell’atto criminoso 13 (registrato su filmato) e quello dell’atto peritale (fotografato ad arte più tardi). Alphonse Bertillon nel 1879 fu il primo ad applicare l’antropometria somatica al campo dell’identificazione personale . Il metodo sviluppato da questo autore consisteva nell’ottenere una serie di misure dal soggetto adulto: statura in piedi, statura seduto, apertura braccia, diametro longitudinale del capo (misurata a partire dall’ attacco della radice del naso), diametro traverso del capo, altezza e larghezza delle orecchio destro, lunghezza del piede sinistro, lunghezza del medio e del mignolo della mano sinistra (con un piegamento ad angolo retto dell’articolazione alla base del dito viene misurato l’intero tratto piegato, quindi comprendendo la testa delle ossa metacarpali), lunghezza dell’avambraccio sinistro (l’intero tratto del braccio piegato ad angolo retto dall’articolazione del gomito, quindi dalla punta del dito medio alla punta dell’olecrano) . Queste undici misure, costituiscono un insieme di variabili antropometriche che consentivano di identificare un dato individuo . Si compiva una prima divisione in tre gruppi secondo la lunghezza della testa (piccola sino a 183 mm; media da 184 a 189 mm; grande da 190 mm in su), poi si facevano tre divisioni di ogni precedente gruppo secondo la larghezza della testa, poi secondo la lunghezza del dito medio, la lunghezza dell’avambraccio, il diametro bizigomatico 13. Si ottenevano così 5 successive divisioni ternarie, che portavano il numero dei gruppi alla 5° potenza di 3, cioè 243; per trovare l’eventuale scheda somigliante occorreva però esaminare tutte quelle del gruppo. Nella scheda stessa erano contenuti anche altri dati antropometrici, caratteri individuali, segni particolari (tatuaggi, cicatrici), la fotografia segnaletica (cioè presa di faccia e di profilo) ed il nome con cui la persona era registrata. Il sistema ebbe grande diffusione: vennero attrezzati appositi laboratori in molti posti di polizia in Europa ed in America. Esso consentì l’individuazione di migliaia di criminali, specialmente nel caso di recidive. Ma ben presto si vide che tale suddivisione era insufficiente: in certi gruppi le schede furono in breve parecchie centinaia. 14 Inoltre il sistema non si addiceva a tutti i casi (i criminali minorenni non potevano essere utilmente registrati); spesso poi le misure non risultavano identiche, se prese da funzionari diversi: e ne derivavano disguidi nelle ricerche. Ad ogni modo il metodo servì per diversi anni alla polizia francese e fu anche usato nelle segnalazioni internazionali. L’applicabilità del metodo antropometrico di Bertillon all’identificazione personale da filmati, però, è assai limitata dalla qualità delle immagini e dal fatto che ben raramente è possibile ottenere le dieci misure a partire da immagini filmiche, tanto da potere essere comparate con le misure stesse tratte su imputati e/o indagati. Un aspetto fondamentale del rilevamento antropometrico consiste nella definizione dei punti di riferimento delle misure. Anche per le applicazioni tecnologiche, la complessità interpretativa delle misure antropometriche, che sono l’espressione di caratteri polifattoriali, richiede che tali punti siano ben determinati ed esprimano le dimensioni di strutture anatomiche ben definite. In genere il riferimento dei singoli punti è scheletrico, a causa della relativa stabilità dimensionale delle ossa, anche se coperte dai tessuti molli. A volte, specialmente nel caso di misure generali d’ingombro, particolarmente interessanti sia dal punto di vista ergonomico che medico-legale, il riferimento è invece cutaneo. Per comodità di definizione si possono distinguere due categorie di punti antropometrici di riferimento: quelli esattamente definibili da un elemento anatomico, i punti reali, e quelli virtuali ( es. i punti di massima e di minima larghezza). Vengono riportati nella figura i punti definiti da Grieco e Masali (1973), che sono in gran parte quelli classici della tradizione antropologica. 13 G. CANUTO – S. TOVO, Identificazione, Medicina legale e delle Assicurazioni, op.cit., pag. 379 15 16 Fra le misure corporee, la statura o altezza corporea, è sempre stata considerata la misura principe di ogni sistema antropometrico. E’ evidente, infatti, che la statura esprime con un solo dato la sintesi di un gran numero di fattori auxologici, genetici, ambientali e posturali che concorrono a determinare le dimensioni corporee. La statura, tuttavia, non dice quanto dell’altezza sia da attribuire all’arto inferiore e quanto al tronco e alla testa. La statura ha inoltre il difetto di dipendere ampiamente da fattori posturali, che possono intervenire al momento stesso del rilevamento. Anche se sarebbe assurdo definire la statura esclusivamente come una variabile posturale, descrivibile solo nei suoi aspetti dinamici, esiste la possibilità di errori sia nella rilevazione sia nella lettura dei dati strutturali. Tutte queste considerazioni rendono, nel loro complesso scarsamente utile la statura presa isolatamente ai fini del riconoscimento personale. Di qui la necessità di adoperare indici, cioè rapporti fra le misure, in cui la statura è rapportata ad altre misure del soma facilmente prendibili anche su fotogrammi. Nella tabella sotto, sono riassunti gli indici ai quali tutti gli autori hanno riconosciuto un valido significato contraddistintivo nel processo di identificazione personale, fermo restando la difficoltà di applicare questi indici al processo identificativo da filmati, sia per l’interferenza di fattori “dinamici” che per la scarsità di fotogrammi generalmente a disposizione. 17 INDICI DI STRUTTURA E DI PROPORZIONE DEGLI ARTI - Indice cormico (o schelico) Statura in posizione assisa / Statura x 100 - Indice toracico Perimetro toracico / Statura x 100 - Indice traverso del tronco Larghezza spalle (biacromiale) / Larghezza bacino (bicrestiliaca) x 100 - Indice di grande apertura delle braccia Apertura arto sup. (bidactylion) / Statura x 100 - Indice brachiale Lunghezza avambraccio (acromion-radiale) x 100 - (radiale-stylion) / Lunghezza braccio Indice crurale Lunghezza gamba (tibiale-malleolare) / Lunghezza coscia (ileospinale ant.tibiale) x 100 Somatoscopia La combinazione di misure lineari (longitudinali e traverse) e del peso permette di valutare i soggetti mediante tre caratteristiche fondamentali : la grandezza del corpo o somia, le proporzioni corporee, o morfia e il peso o baria. 18 Un metodo di valutazione proposto da Correnti (1953) si basa sulla determinazione della statura e della correlazione con la somma dei diametri del tronco (traverso toracico + anteroposteriore toracico + bicrestiliaco + anteroposteriore ipocondriaco), oppure col perimetro toracico e/o col peso. Per quanto attiene al corpo nel suo insieme è universalmente accettata, sia in campo antropologico che identificativo, una codificazione del tipo somatico in tre categorie convenzionali: brachitipo, normotipo, longitipo. Essa pare l’unica applicabile credibilmente alla specie. Medesime limitazioni presenta la quantificazione del tessuto adiposo, con almeno tre possibili gradi (scarso, medio, abbondante); eventualmente ciascuna condizione può presentarsi in grado lieve o forte, così da costituirsi una scala a sette gradazioni, come proposto da Quitelet. Si tratta comunque, sia nella valutazione del tipo somatico che dell’adiposità, di codificazioni empiriche il cui valore nell’identificazione è limitato e può essere affidabile solo a patto che le categorie di riferimento restino ampie e conseguentemente empiricamente ben separabili. La morfologia del dorso dipende fondamentalmente dalle caratteristiche dello scheletro assiale e dello scheletro del cingolo scapolare. Nella visione di profilo il dorso può apparire più o meno incurvato, in dipendenza delle più o meno accentuate curvature fisiologiche della colonna vertebrale nel piano sagittale. Delmas ha codificato tre tipi morfologici: dorso piatto, dorso normale e dorso incavato. Rispetto alla distribuzione del pannicolo adiposo il dorso, visto posteriormente può essere lepsosomo o picnico. Per quanto attiene all’arto superiore sono importanti, ove visibili, la consistenza del pannicolo adiposo (abbondante, medio, scarso), la struttura muscolare, la conformazione dell’avambraccio e quella della mano, con particolare riguardo alla morfologia del primo raggio, specialmente in considerazione della variabilità del pollice che, se presente e quando riscontrabile, è un buon carattere identificativo. 19 Più in generale sulle estremità delle dita della mano si possono concentrare caratteri morfologici peculiari utilissimi nel processo di identificazione; la loro variabilità ed occasionalità, tuttavia ne impedisce anche solo l’enumerazione (es. la morfologia nota come “dita a bacchette di tamburo”). Infine la quantità e la distribuzione topografica dei peli sul dorso della mano può costituire un ulteriore utile carattere morfologico. Per quanto attiene all’arto inferiore, valgono le medesime considerazioni già fatte per quello superiore in merito alla consistenza e distribuzione dell’adipe sottocutaneo e alla struttura muscolare. Degni di nota possono essere l’angolo dell’articolazione del ginocchio (con possibilità di verificare condizioni di valgismo o varismo), l’assetto della caviglia e la morfologia del collo del piede. Al novero dei caratteri somatici non metrici devono essere ascritti anche caratteri peculiari di ciascun individuo che, nella nomenclatura specifica della procedura identificativa, vanno sotto il nome di contrassegni. Si tratta di morfologie o di strutture o patologie particolari, peculiari di quel soggetto o di pochi soggetti. La rarità di questi segni li rende assolutamente importanti, e spesso determinanti, ai fini dell’identificazione personale Grande rilevo nella identificazione personale rivestono anche i caratteri antropologici funzionali, cioè quelli che possono essere rilevati soltanto quando il soggetto è in movimento. Ad es., una andatura particolare, o claudicante, può assumere il carattere identificativo di connotato saliente o addirittura di contrassegno. La lateralità funzionale (ad esempio l’uso abituale della mano sinistra) è un segno identificativo di utile ausilio, così come il piede di battuta preferito nel salto. Al novero dei caratteri antropologici funzionali devono ricondursi anche le peculiari morfologie derivanti da atteggiamenti articolari, muscolari e tendinei. 20 1.3 - METODO DATTILOSCOPICO La dattiloscopia è il ramo della criminalistica che studia le creste cutanee papillari, principalmente dei polpastrelli delle dita, al fine di identificare l’autore di un reato, basandosi sulle impronte da questi lasciate nel luogo del delitto o sull’oggetto utilizzato per commetterlo ed è certamente la tecnica di polizia più diffusa nel mondo14 . Nel caso dell’ applicazione della dattiloscopia per l’identificazione dell’autore di un reato, ci si trova nella condizione di ricerca in forma indiretta della identità, che è ovviamente relativa e non assoluta. Quest’ultima precisazione è importante perché proprio per il fatto che due impronte lasciate da un medesimo individuo non saranno mai perfettamente sovrapponibili, si vuole così prevenire chiunque, faziosamente tenda ad escludere l’identità fra due impronte, sulla base soltanto della non perfetta sovrapponibilità delle stesse, sebbene esse, oltre a coincidere nella forma dei fasci papillari, abbiano in comune un numero alto di punti di dettaglio. Come si è detto, l’esame analitico-comparativo, come dice il nome si divide in due parti: nella prima parte si analizza a fondo ciascuna delle cose che debbono essere successivamente confrontate. L’analisi è di tipo segnaletico descrittivo. Per l’esame dattiloscopico il metodo è lo stesso: segnaleticodescrittivo e comparativo. La dattiloscopia fu inizialmente utilizzata come tecnica di segnalazione personale e non, invece, per identificare gli autori dei reati. Già in tempi antichissimi si ricorreva alle impronte digitali per marcare contratti, al posto della firma, perché era nota la variabilità fra i vari soggetti come pure l’immutabilità nella medesima persona dei disegni formati dai fasci papillari che costituiscono il derma dei polpastrelli, delle palme delle mani e dei piedi. Marcello Malpigli, dedicò gran parte della sua vita allo studio dell’anatomia e dell’istologia e le sue ricerche si dimostrarono talmente A. D’ ARIENZO, Raccolta di appunti di criminalistica, Sezione Identità Personale – Dattiloscopia, http://www.officeitalia.it/scicosi/datt.htm 14 21 importanti che lo strato basale dell’epidermide è denominato corpo mucoso del Malpigli. Accertò che lo strato corneo dell’epidermide allorché si desquama e cade, viene continuamente ricostruito dagli strati sottostanti conservando sempre le medesime caratteristiche e pertanto per tutta la vita le impronte papillari si manterranno immutate. Si potrebbero alterare con l’esposizione ai raggi X, oppure distrutte con l’asportazione dello strato basale, ma in tal caso la mancanza di impronte o le cicatrici costituirebbero un indice di sicuro valore identificativo. L’esigenza di trovare un sistema rapido e sicuro per distinguere gli individui traeva origine dal dilagare della criminalità: infatti, benché in passato la popolazione mondiale fosse di gran lunga inferiore a quella attuale, l’indice di criminalità era certamente più alto. Non esistevano i mezzi moderni di segnalazione come ad esempio la fotografia; gli uffici anagrafici ed i casellari erano incompleti; vi era inoltre un fortissimo analfabetismo, sicchè anche nella polizia risultava difficile ottenere una descrizione comprensibile delle caratteristiche dei criminali. La prima tecnica veramente scientifica di segnalazione attuata in Europa venne suggerita da Alphonse Bertillon: il segnalamento antropometrico. Essa si basava sulla duplice constatazione che l’ossatura umana, nel medesimo individuo, è invariabile dal ventesimo anno in poi e che i caratteri antropometrici variano da soggetto a soggetto. Il metodo antropometrico sebbene in linea di principio fosse esatto era tutt’altro che agevole: richiedeva tempo sia in fase di misurazione che in quella di consultazione delle schede. Inoltre il metodo era valido solo per i soggetti adulti, ma la criminalità del secolo scorso era prevalentemente minorile. E occorreva tener conto anche di eventuali errori di misura, che rischiavano di falsare tutti i dati raccolti. William Herschel, funzionario inglese della Old East India Companj of Bengala in India, fu probabilmente il primo vero ricercatore che ritenne di utilizzare le impronte delle palme delle mani e dei polpastrelli nel segnalamento personale. 22 Tuttavia chi per primo intuì che era vantaggioso ricorrere alle impronte digitali per identificare l’autore del reato fu Henry Faulds, medico presso l’ospedale Tsukiji di Tokio, poiché come egli stesso scrisse alla rivista inglese Nature, “se sul luogo del delitto si trovano impronte digitali, questo può portare alla scoperta del colpevole“. A Francis Galton va il merito di aver enunciato i principi fondamentali della dattiloscopia che si basano sulla immutabilità delle impronte: - non subiscono trasformazioni nell’arco della vita di un individuo; - le impronte sono variabili in quanto sono diverse da individuo a individuo (in un medesimo individuo inoltre le impronte lasciate dalle dieci dita sono tutte diverse da loro); - le impronte digitali sono classificabili e sono riconducibili ai quattro tipi fondamentali di figura: adelta, monodelta, bidelta, composta. I disegni papillari, infatti, non alterano la propria morfologia nel corso della vita dell’individuo cioè rimangono immutati dal momento della loro formazione, intorno al terzo mese di vita intrauterina, sino al subentrare dei fenomeni putrefattivi successivi alla morte, tranne in caso di effetti traumatici oppure a seguito di particolari malattie infettive della pelle. Quanto alla irripetibilità delle impronte, il matematico Balthazard, che si basava su una formula empirica di tipo esponenziale, ipotizzò che fra due impronte si sarebbero potuti riscontrare appena diciassette punti di corrispondenza su una serie di 17.179.869.184 esemplari. In pratica una possibilità su decine di miliardi che un frammento di impronta contenente 17 contrassegni caratteristici possa essere stato depositato da una persona diversa da quella a cui viene attribuito. Se si considera che la popolazione mondiale è soltanto di qualche miliardo di individui, peraltro distribuiti su tutta la superficie del globo, si può ragionevolmente ritenere tale evenienza quanto meno improbabile. 23 Vero è che, se un evento è statisticamente improbabile, non necessariamente esso deve ritenersi assolutamente impossibile. Tuttavia nel caso delle impronte gli elementi di differenziazione sono tali e tanti che un evento improbabile può in sostanza considerarsi impossibile. Il primo sistema di classificazione delle impronte europeo fu elaborato in Inghilterra e reso noto nel 1900 da Sir Edward Richard Henrj (1850-1931). Dalla classifica di Henrj, attualmente la più diffusa nel mondo, derivano tutti gli altri sistemi moderni di classificazione. In Italia, è stato elaborato dal Gasti, un funzionario di Polizia nel 1907, un sistema che va sotto il nome di “Classifica decadattiloscopica Gasti”, che divide le impronte digitali in dieci categorie, numerate da 0 a 9 15: 0 – impronta indecifrabile o manca il dito 1 – adelta 2 – monodelta radiale (verso il pollice) 3 – 4 – 5 - monodelta ulnare (verso il mignolo) a seconda del numero delle linee intercorrenti tra il delta ed il centro di figura 6 – 7 – 8 - bidelta a seconda della reciproca posizione dei due delta 9 - figura composta Una volta completata l’attività di classificazione, i simboli numerici attribuiti alle impronte delle dieci dita del soggetto segnalato andranno a costituire la formula dattiloscopia, in quest’ordine: - serie: indice, pollice ed anulare della mano sinistra; - sezione: indice, pollice ed anulare della mano destra; - numero: medio e mignolo della mano sinistra e medio e mignolo della mano destra. In base alla formula dattiloscopia così articolata, si procederà alla consultazione dei Casellari regionali e nazionali d’identità per accertare se siano già stati compilati cartellini segnaletici aventi i medesimi simboli. 15 E. GRAZIANO, Polizia Scientifica e Criminalistica, in Criminologia applicata per la investigazione e la sicurezza a cura di A. Balloni e R. Bisi, Editore F. Angeli, 1996, pag. 382 24 Per stabilire però in concreto se le impronte esaminate siano identiche a quelle apposte su un altro cartellino segnaletico ed il soggetto, quindi, sia stato precedentemente sottoposto a segnalamento, non basta la corrispondenza dei simboli numerici attribuiti alle une e alle altre, ma è necessario procedere ad una comparazione diretta tra le impronte delle singole dita. 1.4 - METODO RADIOLOGICO Un buon ausilio alle problematiche identificative individuali proviene anche dalle indagini radiologiche16 . Esse possono mettere in evidenza alterazioni scheletriche di origine malformativa, traumatica, patologica spontanea, corpi inclusi e reperti comunque suscettibili di comparazione con documentazione radiografica precedente. Tra gli elementi più significativi vanno annoverati esiti di vecchie fratture con deformità distrettuali, formazioni callose, deviazioni assiali, acromegalia, displasie ossee, calcificazioni ed ossificazioni tendinee, rilievo di protesi e mezzi di sintesi, suture metalliche. L’analisi radiologica del cranio è stata in passato utilizzata dal Sassoni a fini identificativi mediante la misurazione di alcuni indici cefalometrici da compararsi con materiale radiografico di raffronto. L’ autore riporta una corretta identificazione nel 97% dei casi allorché siano disponibili due set radiografici utili per la comparazione. Altri autori prendono in considerazione le caratteristiche anatomoradiologiche dell’osso sfenoide (forma e volume della fossa pituitaria, angolo craniometrico della sella turcica, ampiezza e forma del seno sferoidale, struttura e disposizione delle cavità pneumatiche intorno alla sella), oppure la variabilità dei seni frontali (profilo e dimensioni dei seni, presenza o meno di setti parziali). E. MARINELLI – S. ZAAMI, La identificazione personale, in L.MACCHIARELLI – T.FEOLA, Medicina Legale Vol. II, op.cit., pag. 1102 16 25 1.5 - IDENTITA’ L’identità è il rapporto di esatta uguaglianza o coincidenza . Il quesito sull’identità di una persona deve stabilire se un determinato individuo sia identico all’individuo di cui si hanno immagini precise (fotografie, impronte della pelle) oppure elementi materiali (tracce ematiche, capelli). Esistono due diversi modi per stabilire l’identità di una persona. Una via consiste nel riconoscimento in base ad un ricordo complesso. Occorre qualcuno che abbia conosciuto la persona che si suppone sia l’individuo in questione, oppure abbia osservato la persona di cui si hanno le immagini esattamente nel momento in cui tali immagini sono state realizzate (es. un impiegato di banca che era presente al momento della rapina). La prova del riconoscimento si basa solo sulla fiducia nell’affidabilità della coscienza intuitiva di chi ricorda. Questa via può portare a dei risultati giusti, in particolare se le dichiarazioni di più persone che ricordano concordano, tuttavia è un metodo che non può escludere errori, cioè scambi di persona (es. il fenomeno del sosia). In senso stretto il riconoscimento non è una prova, in quanto non è nuovamente eseguibile da terzi in un secondo tempo. La seconda via si basa sull’analisi morfologica comparativa cioè sul confronto tra le immagini e l’indagato a cui si suppone appartengano mediante dettagli descrivibili morfologicamente. La possibilità di deduzione dall’analisi morfologica comparativa sull’identità si basa sull’individualità di ogni persona, cioè l’immagine fotografica e l’individuo a cui si suppone questa appartenga devono risultare la stessa persona se concordano in tutte le caratteristiche, in quanto ognuno possiede una unicità. La prova certa dell’identità consiste nel mostrare possibilmente molte caratteristiche concordanti. 26 Teoricamente escludere un’eventuale identità è molto meno problematico che provarla. Quando anche si accertasse una sola discrepanza tra la fotografia e l’individuo presumibilmente raffiguratovi, si potrebbe già escludere con certezza l’identità. L’identificazione è l’attività tecnico-scientifica diretta a stabilire l’identità di una persona o di una qualsiasi materialità le quali saranno a loro volta differenziabili, in sede di confronti, con altre persone o materialità. L’identificazione personale rappresenta oltre che una esigenza della società, anche il mezzo a disposizione di ogni cittadino per dimostrare che è se stesso e non altri. Infatti i servizi di identità della Polizia Scientifica possono essere chiamati ad identificare un soggetto indipendentemente dalla consumazione di un reato, come quando si presenta il caso di identificare un demente, un cadavere o nei casi di calamità pubbliche come disastri aerei, terremoti, inondazioni, ecc. Nel primo caso il quesito si risolve nei seguenti termini: data la presenza fisica di un individuo, è possibile stabilire chi egli sia; nel secondo caso, rilevata una traccia o una impronta di una persona o di una cosa diremo se tale impronta, o traccia, appartenga a un determinato soggetto. In relazione alle due distinte ipotesi, presso la divisione identità del servizio di Polizia Scientifica sono state istituite la sezione identità preventiva e la sezione identità giudiziaria 17. La sezione identità preventiva comprende il Casellario Centrale di Identità, il più consistente archivio di dati personali della direzione Centrale di Polizia Criminale, al quale pervengono i cartellini fotosegnaletici redatti dagli uffici della polizia di stato, dall’arma dei carabinieri, dalla guardia di finanza e, tramite interpol dalle polizie straniere. Presso il casellario centrale d’identità i cartellini vengono classificati utilizzando il metodo decadattiloscopico “Gasti” ed archiviati. La Polizia Scientifica, Ministero dell’ Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza, gennaio 1998 17 27 Nel suo ambito vengono eseguite ricerche dattiloscopiche (mediante la compilazione computerizzata delle schedine) per la identificazione di persone precedentemente segnalate con medesime o con diverse generalità (alias). Per le esigenze del servizio centrale e degli uffici periferici, un apposito settore cura la realizzazione di programmi applicativi per la gestione dei cartellini e degli schedari. La sezione identità giudiziaria provvede alla identificazione degli autori di reato attraverso frammenti di impronte digitali o palmari rilevati sul luogo del delitto. Previo giudizio di utilità dei frammenti stessi, procede a confronti per esclusione e per sospetto a carico delle persone indicate dagli organi investigativi. Espleta infine un’attività di indagine di iniziativa eseguendo confronti a carico di soggetti che hanno precedenti specifici. La sezione per svolgere le proprie attività gestisce gli schedari delle impronte palmari e dei malfattori violenti (ove sono custodite le fotografie delle persone segnalate per rapina o per altri reati commessi mediante violenza) e dei pregiudicati classificati per modus operandi (dove sono raccolte le schede nelle quali è descritta la tecnica criminosa usata dal segnalato). 28 CAPITOLO 2 TECNICHE DI IDENTIFICAZIONE PERSONALE Le tecniche di identificazione individuale si fondano su metodi di confronto/comparazione fra i dati rilevabili dall’esame del soggetto e quelli desumibili da documenti fotografici o deposizioni testimoniali. La tecnica del fotosegnalamento è basata sul rilievo dei caratteri dell’individuo: l’insieme di dati viene raccolto su un apposito cartellino fotosegnaletico. Insieme al rilievo ed analisi di impronte digitali è la tecnica di identificazione più usata. La tecnica di sovrapposizione di immagine presuppone che siano disponibili fotografie o immagini filmate (registrate dal circuito televisivo di sorveglianza nel caso di rapinatori). Si tratta di una metodica già utilizzata in passato in antropologia che ha ricevuto recentemente nuovo impulso in relazione alla messa a punto di sistemi di elaborazione matematica computerizzata delle immagini. 2.1 - FOTOSEGNALAMENTO Il segnalamento fotografico veniva eseguito in modo piuttosto empirico e soggetto all’estro e alla bizzarria dell’operatore18. Fu solo con Bertillon che essa trovò quelli che dovevano rimanere, per lungo tempo, suoi canoni fondamentali: la ripresa di perfetto fronte e profilo destro con riduzione costante a 1/7 (ora 1/5 della grandezza naturale). Il motivo delle due assunzioni è giustificato dal fatto che il profilo offre meglio la possibilità per rilevare la forma caratteristica di alcuni 18 R. PACERI, Il segnalamento della persona e i relativi apparati tecnici, in La Polizia scientifica op.cit., pag. 111 29 connotati (dell’occhio, del naso, e particolarmente dell’orecchio) che sono indici di identificazione di persone non conosciute e che devono pertanto essere studiate; mentre la fotografia di fronte offre le caratteristiche più fisionomiche ed appariscenti al primo sguardo ed agevola così la identificazione immediata di persone conosciute. Le riprese venivano effettuate da Bertillon in due momenti successivi, mediante un particolare apparecchio fotografico. Lo stesso Bertillon raccomandava di ottenere dal soggetto l’espressione fisionomica più abituale e più tranquilla, ma ciò non era possibile in pratica, perché il segnalando, scorgendo nella fotografia un’arma contro se stesso, cercava di renderla meno efficace possibile e, pertanto, contraffaceva le sue abituali caratteristiche fisionomiche, sformando la bocca, per esempio, o chiudendo gli occhi o corrugando la fronte. Di conseguenza, veniva falsato anche il profilo, sicchè l’immagine non poteva divenire affatto utilizzabile ai fini del riconoscimento. In seguito a tali inconvenienti, fu presa in considerazione la possibilità di eseguire le prese del fronte e del profilo nello stesso istante, in modo che esse, integrandosi, rivelassero ogni più lieve artificio usato dal soggetto per alterare la sua espressione. Il primo apparato di tal genere, costruito e sperimentato in Italia presso la Scuola Superiore di Polizia fu l’apparato “Gemelle Ellero”, così chiamato dal nome del suo ideatore. Questo apparecchio è stato utilizzato per parecchi anni in modo valido sino a quando non è stato realizzato un nuovo apparecchio fotografico denominato “A.P.S.” Apparato Per Segnalamento, che differisce completamente sia per la struttura che per le possibilità e le prestazioni. Infatti mentre l’apparato Gemelle Ellero consisteva in due macchine fotografiche sincronizzate che riprendevano le due immagini del soggetto su due lastre distinte, nel nuovo apparato è un solo apparecchio fotografico che raccoglie contemporaneamente il fronte ed il profilo. I vantaggi pratici conseguiti a seguito dell’introduzione dell’A.P.S. sono: assoluta semplicità di ripresa fotografica con garanzia di contemporaneità, identità di espressioni del volto del segnalando, 30 brevissima durata del tempo di esposizione, perfetta inquadratura del soggetto, economia di tempo e di materiali, agevole archiviazione dei negativi, simultaneità delle due immagini su un unico fotogramma, rapidità nelle manipolazioni di sviluppo e stampa. Il segnalando viene in tal modo fotografato a capo scoperto e con il profilo perfettamente visibile, per consentire che tanto il naso che l’orecchio (elementi di primaria importanza per l’identificazione) vengano ripresi nel migliore dei modi. E’ assolutamente vietato il ritocco della fotografia segnaletica. A volte se il profilo sinistro può avere qualche peculiarità di rilievo, si procede anche all’assunzione di detto rilievo. La fotografia segnaletica del soggetto in piedi non è più in uso, risultando la stessa poco utile ai fini di un’indagine di confronto per la scarsità di caratteri particolari. E’ di prossima realizzazione la fotografia segnaletica a colori che sarà di notevole ausilio per una più obiettiva caratterizzazione del soggetto 2.2 – ANALISI DELLE IMPRONTE DIGITALI Le impronte papillari, oltre che a fini di identificazione personale, possono essere utilizzate per scoprire l’autore di un reato19 . A tale scopo devono essere rilevate e poste a confronto con quelle dei sospettati. Il rilevamento delle impronte viene eseguito generalmente sul luogo del reato o, comunque, dell’intervento. Se il supporto dell’impronta è trasportabile, il rilevamento può anche essere eseguito in laboratorio. Esso non si esplica su impronte nella loro interezza, bensì su frammenti, dal momento che il contatto con una certa superficie, sia nell’appoggiarsi che in funzione prensile, non produce l’impressione del disegno complessivo dello strato papillare. E. GRAZIANO, Cenni di Criminalistica, Ministero dell’Interno – Dipartimento di Pubblica Sicurezza, 1998 19 31 Tale ultimo risultato è conseguito, infatti, soltanto in sede di segnalamento di una persona o, comunque, di assunzione delle sue impronte digitali e palmari per confronti, facendole compiere su appositi moduli la rotazione del polpastrello e la pressione uniforme della palma della mano, previa idonea inchiostrazione. L’impronta si può produrre per asportazione di polvere o di altre sostanze, per affondamento delle creste papillari in sostanze malleabili oppure per sovrapposizione di sostanze colorate (inchiostro, sangue, vernice, ecc.) o incolori (tra queste assumono un rilievo particolare le secrezioni naturali). Le impronte per asportazione sono visibili, quelle per affondamento sono normalmente poco visibili. Le impronte per sovrapposizione possono essere visibili, poco visibili o latenti. Le impronte per asportazione e quelle per affondamento sono di solito rilevate fotograficamente, con particolari obiettivi, utilizzando per lo più la luce radente e la “striscetta metrica”, per poterle riprodurre a grandezza naturale (salvo poi eseguire gli opportuni ingrandimenti). Le impronte per sovrapposizione risultano evidenti quando sono prodotte con sostanze colorate ed in tal caso vengono rilevate, anch’esse, con procedimento fotografico. Le impronte per sovrapposizione, sono poco visibili o latenti quando sono prodotte da sostanze incolori ed in particolare dal sudore e dalle sostanze sebacee che si trovano sulle creste papillari. Tale insieme è costituito dalle secrezioni superficiali, trasportate dal derma, delle ghiandole eccrine, apocrife e sebacee : le ghiandole eccrine secernono acqua, sali e aminoacidi, quelle apocrife ferro, acqua, ormoni, proteine e zuccheri e quelle sebacee lipidi e zuccheri. La deposizione dell’essudato riproduce fedelmente i disegni papillari, ma le impronte necessitano di una preventiva esaltazione che può essere realizzata con polveri di diversa composizione e diverso colore a seconda delle superfici da cospargere oppure con prodotti chimici, a volte usati in abbinamento con il laser o con la metallizzazione in alto vuoto, per una migliore visualizzazione. 32 Il cospargimento con polveri è la tecnica principale tradizionale, impiegata da tutte le polizie del mondo soprattutto su superfici lisce e levigate e sulla carta. La polvere normalmente più efficace e maggiormente utilizzata è l’argentoratum o polvere di alluminio. La polvere aderisce alla sostanza umida, collante e grassa delle impronte latenti. Queste vengono poi asportate con appositi adesivi che sono fotografati con particolari procedimenti. Tale tecnica ha però un campo di applicazione limitato e non sempre fornisce risultati ottimali. Essa infatti risulta pienamente soddisfacente solo con impronte relativamente “fresche” ossia di pochi giorni, che siano state lasciate su reperti caratterizzati da superfici levigate. L’identificazione o la non identificazione delle impronte papillari si basa sulla corrispondenza o meno di caratteri generali (cioè, lo specifico andamento delle linee o fasci papillari e dei relativi disegni da queste variamente formati) e di caratteri particolari (con specifico riferimento a tipici contrassegni percettibili a forte ingrandimento sulle impronte, che verranno indicati più oltre). I caratteri generali variano a seconda che si tratti di impronte digitali, palmari o plantari. Le più indagate sono le digitali. Se si tratta di impronte digitali, cioè riferite ai polpastrelli, si considerano tre sistemi di linee: le basilari, le marginali e le centrali, corrispondenti ad altrettante zone del polpastrello. Sulla base dell’andamento delle linee del sistema centrale, le impronte digitali si valutano in relazione ai quattro tipi di impronte esistenti: adelta (o ad archi), monodelta (o aperta con delta a destra o a sinistra), bidelta (o chiusa) e composta. I caratteri particolari vengono rappresentati dal tipo e dalla posizione dei contrassegni caratteristici, i cosiddetti punti di identità, che comprendono: estremi (inizi o termini di linee), interruzioni (in linee), uncini (in estremi di linee), interlinee (rilievi con soluzioni di continuità, fra due linee parallele), incroci (fra due linee), tratti (piccoli frammenti di linee fra altre linee parallele), punti (come il precedente con la differenza che si tratta di un punto e non di un segmento), isolotti (tratti 33 o punti contenuti in figure chiuse), occhielli o occhi (figure chiuse come gli isolotti, ma vuote) e intrecci (linee che si intersecano formando serie di occhielli). Il numero minimo di punti di identità utili per l’identificazione di una persona, attraverso le impronte digitali, varia da stato a stato: in Italia, l’orientamento è di considerare necessarie sedici corrispondenze di dettaglio, sebbene la Corte di Cassazione abbia sancito che sono sufficienti anche quattordici o quindici punti soltanto. Il numero è comunque superiore a sedici: per taluni ricercatori sono sufficienti venti punti, per altri ventiquattro, ecc. Questo aumento di numeri minimi richiesti si basa sul presupposto che, essendo le impronte digitali caratterizzate da figure note (adelta, monodelta, bidelta e composta), la ricerca identificativa di una impronta digitale sia più semplice di quella relativa ad una palmare (dove non esistono figure di fasci papillari classificate) e che, quindi, la palmare, che manca di tale classificazione necessiti, per la sua identificazione certa, di un maggior numero di corrispondenze di dettagli. La polizia scientifica italiana ha di recente acquistato un sistema AFIS per la memorizzazione e la ricerca automatica di impronte digitali che le consentirà entro breve tempo di utilizzare in pieno tutte le impronte digitali acquisite in sede di fotosegnalamento, anche per l’identificazione degli autori di azioni criminose oltre che a fini di identità preventiva. Attualmente, le impronte trovate sul luogo del reato, sono confrontate con quelle di soggetti “sospettati” in base ai risultati dell’attività investigativa svolta da altri uffici. Spesso però sono gli stessi operatori della polizia scientifica ad individuare per l’esecuzione dei confronti dattiloscopici, gruppi di soggetti “sospettabili” tenendo conto del tipo di reato preso in considerazione, della tecnica criminale dispiegata e della località ove il reato stesso è stato compiuto. Prima di procedere al confronto tra frammenti di impronte papillari rilevate in sede di sopralluogo tecnico ed impronte del soggetto assunte su appositi moduli è necessario stabilire se i primi siano o meno utili per risalire alle persone dalle quali vennero lasciate. 34 A tal fine si opera una valutazione quali-quantitativa, nel senso che un frammento d’impronta viene utilizzato per confronti solo se in esso sia possibile reperire particolarità dattiloscopiche tali per numero e qualità che lo rendano idoneo a risalire al soggetto dal quale proviene. Completato questo esame preliminare, se il frammento viene ritenuto utile, si procede a mettere a confronto i due termini (impronta rilevata sul luogo del reato e quella dell’imputato) per accertare se sussistono analogie per ciò che riguarda la morfologia generale e se esistono corrispondenze relativamente ai caratteri di dettaglio. Una volta individuata una comune morfologia generale si può passare al confronto di dettaglio, iniziando col ricercare nell’impronta rilevata sul luogo del reato, un punto di riferimento di interesse dattiloscopico che abbia facile corrispondenza in un punto analogo dell’impronta del soggetto; si procede quindi all’esame analitico delle linee papillari delle due impronte in modo da localizzare un numero sufficiente di caratteristiche comuni. 2.3 - TECNOLOGIE BIOMETRICHE Un dispositivo di riconoscimento biometrico è, in generale, un apparecchio che permette di autenticare in modo automatico l’identità di un essere umano vivente attraverso l’analisi di una caratteristica fisiologica o particolarità del comportamento20 . Si tratta in altre parole, di rilevare sul momento un’impronta caratteristica dell’individuo e di confrontarla con l’immagine corrispondente acquisita in precedenza al fine di verificarne i punti di coincidenza. Le parti del corpo umano che più si prestano a questo scopo sono: il volto (tratti caratteristici, configurazione dei vasi sanguigni,…), l’occhio (retina ed iride), la mano (geometria, configurazione dei vasi sanguigni,…), le dita (impronte digitali, forma,..). Le particolarità del comportamento più considerate sono la scrittura (firma, ritmo della digitazione), il parlato, il battito cardiaco. 20 T. GAUDIO, Speciale Sicurezza-Le Tecnologie Biometriche in Banca,www.privacy.it/tecbio.html 35 Le prime in genere sono caratteristiche uniche ed immutabili; le altre invece sono suscettibili di cambiamenti in relazione alle condizioni personali ed ambientali. Assai promettenti appaiono anche l’orecchio, le labbra e persino l’odore che emana il corpo umano. Tre sono i compiti essenziali di un dispositivo biometrico: l’apprendimento dell’impronta, il confronto sul momento, l’interazione verso l’esterno. La generazione (una tantum) dell’impronta individuale comprende l’acquisizione dell’immagine relativa alla caratteristica fisiologica o comportamentale, la sua elaborazione, compressione e memorizzazione. Il riconoscimento vero e proprio avviene confrontando l’impronta rilevata al momento sull’individuo da identificare con la corrispondente registrata in precedenza. L’interfaccia verso il mondo esterno riguarda sia l’aspetto operativo sia la connessione fisica ed elettrica con il resto del sistema. L’impronta è acquisita tramite speciali sensori (ottici, ultrasonici, termici,…) presenti nel dispositivo stesso oppure mediante l’analisi di alcuni fattori legati al comportamento individuale (attività, pause,..) o, ancora, sfruttando entrambe le tecniche. L’immagine catturata è poi elaborata e compressa con l’ausilio di particolari algoritmi dando così origine al template (in chiaro o crittografato). La dimensione può variare da poche decine di bit a migliaia di byte. L’impronta di riferimento è memorizzata nel database del dispositivo per le successive comparazioni oppure è registrata sulla tessera di identificazione (in genere una carta con microchip) per il raffronto diretto in fase di riconoscimento. Se l’apparecchio dispone di un archivio impronte, l’accertamento dell’identità può avvenire secondo due differenti modi: per verifica diretta o attraverso il processo di identificazione. Le apparecchiature che non dispongono di un archivio impronte (per la quantità dei soggetti in gioco o per altre ragioni) possono effettuare il riconoscimento paragonando l’immagine rilevata al 36 momento con l’impronta memorizzata sulla carta di identificazione personale. 2 .4 – TECNICHE DI ANALISI E DI SOVRAPPOSIZIONE DELLE IMMAGINI Anche se sono passati molti decenni da quando si sono evidenziati i molteplici vizi della tecnica fotografica, perché possono modificare i connotati di luce, la posa, lo sviluppo, la stampa, la posizione dell’obiettivo che determinano un contrasto tra le parti più sporgenti e quelle depresse del viso e anche se sono innegabili i progressi dei mezzi e dei metodi fotografici, è indubbio che il documento fotografico è una rappresentazione compiuta della realtà 21. Quando una azione criminosa viene registrata da un sistema di videosorveglianza su un supporto magnetico o digitale, la prima attività che compie l’inquirente appena entra in possesso della registrazione è quella di rivedere l’evento nel tentativo di individuarne gli autori sulla base della propria memoria visiva basata sulle fotografie di individui sospetti che presentino fisionomie o caratteristiche somatiche compatibili con gli autori del reato 22. E’ questa una procedura orientativa, che non consente la formulazione di giudizi identificativi in quanto, basandosi su valutazioni soggettive di qualità, non consentono l’applicazione di metodi statisticomatematici volti a verificare il grado di approssimazione delle eventuali corrispondenze. Fra l’altro accade costantemente che fra le immagini poste a confronto (soggetti da identificare ripresi nel corso del reato – soggetti sospetti con identità nota, ripresi in foto segnaletiche o ambientali) sussistano comunque differenze dimensionali e di orientamento, il che 21 L. CECCAROLI, Tesi: I caratteri antroposcopici e le moderne tecniche di investigazione criminale: aspetti medico legali, corso di laurea Giurisprudenza, 1999, Università di Bologna 22 F. INTRONA Jr., Identificazione personale attraverso le tecniche di analisi e sovrapposizione delle immagini,,in Trattato di Medicina Legale e Scienze Affini diretto da G.Giusti,vol.II,CEDAM, 1998, pag. 1137 37 complica l’attendibilità anche del semplice giudizio soggettivo; non è infatti corretto effettuare alcun confronto identificativo tra immagini di soggetti ripresi in diversi atteggiamenti, ingrandimenti, posizioni, magari con tecniche e mezzi e substrati diversi. Una ulteriore operazione che solitamente compie la polizia giudiziaria quando vi sono testimoni oculari è la ricognizione fotografica prevista dall’art. 213 del c.p.p.; il riconoscimento fotografico può essere però fonte di errore per una ragione di indole psicologica e cioè il testimone, il quale ha assistito ad un delitto e deve riconoscere l’autore, è influenzato da una molteplicità di fattori, quali la labilità del ricordo, la tensione emotiva della rievocazione, il dramma giudiziario23. L’accertamento fotografico eseguito dalla P.G. o dai testimoni, è inquadrabile nella categoria degli indizi, suscettibile di libera valutazione da parte del giudice il quale si avvarrà di tecnici specializzati per consolidare il proprio convincimento. L’identificazione dei soggetti, attraverso la comparazione di immagini, veniva già utilizzata in passato in antropologia, ma è in tempi recenti che le metodiche hanno ricevuto nuovo impulso in relazione alla messa a punto di sistemi di elaborazione matematica computerizzata delle immagini. Il primo approccio con l’utilizzo di sistemi informatici si ha nel 1971 quando gli statunitensi Goldstain e Harmon iniziarono una loro fondamentale pubblicazione sul riconoscimento di volti, con una affermazione che suonava “così come non sono state trovate due identiche impronte digitali, allo stesso modo due volti umani possono differire persino in due gemelli identici”. I volti un po’ come le impronte digitali o i fiocchi di neve, si possono presentare in una varietà infinita di forme; esistono pertanto ben poche probabilità di imbatterci in due facce così uguali da non poter essere distinte. Secondo Balossino, titolare della cattedra di informatica di Torino, a differenza dei fiocchi di neve o delle impronte digitali, i volti umani presentano delle caratteristiche qualitative e quantitative tali da poter essere distinte. 23 L. CECCAROLI, Tesi, op. cit. 38 Attualmente la tecnica di indagine maggiormente utilizzata e consolidata dagli specialisti (antropologi, medici legali, informatici, tecnici specializzati della polizia scientifica) consiste nella c.d. sovrapposizione parametrizzata, fra le immagini normalizzate degli autori del reato ripresi durante l’espletamento dell’attività criminosa e quelle degli indagati posti nelle stesse posizioni e negli stessi luoghi ove furono ripresi gli attori. Emerge quindi la necessità di ricreare le stesse condizioni in cui l’autore del reato fu filmato o fotografato, così da ottenere immagini confrontabili mediante un’analisi morfometrica. Sulla scorta di tali indicazioni è stata messa a punto una tecnica identificativa modulabile oggettiva che consente ove esperita in tutte le sue fasi, un certo giudizio di identità o un sicuro giudizio di esclusione.24 Si tratta di una tecnica prevalentemente utilizzata per l’identificazione degli autori di rapine effettuate in ambienti dotati di sistemi TVCC. Il confronto di due soggetti, al fine di asserirne l’eventuale identità, deve basarsi sulla definizione di parametri discriminatori che possono essere sia fisionomici sia metrici25. I primi sono di tipo qualitativo eidetico, cioè mediante espressioni linguistiche che spiegano e classificano elementi fisionomici (per esempio colore della pelle, pettinatura, forma del naso e della bocca, andamento della fronte) oppure per mezzo di elementi facciali rappresentati per immagini e posti a confronto sfruttando sovrapposizione o giustapposizione, in modo tale da permettere un notevole apprezzamento visivo delle eventuali concomitanze strutturali del volto; i secondi sono quantitativi, cioè con misurazione diretta delle strutture anatomiche (per esempio statura, altezza e larghezza del volto). Nella pratica le due forme si integrano, creando così un intreccio di possibilità di metodi di confronto, la cui scelta è dettata dal particolare caso in esame; la metodologia quantitativa, qualora sia possibile la sua 24 M. COLONNA, V: PESCE DELFINO, F. INTRONA Jr., Identificazione mediante sovrapposizione cranio-foto del viso a mezzo circuito televisivo : applicazione di una nuova metodica, Boll. Soc. It. Biol. Sperim. 56, 2271, 1980 25 N. BALOSSINO – S. SIRACUSA, Parametri discriminatori nel riconoscimento di volti, Inserto a Polizia Moderna n. 1 – 1998. op.cit. pag. 18 39 applicazione, deve comunque essere necessariamente preceduta da quella qualitativa eidetica (dal gr. Eidos = immagine). Qualunque sia la metodologia utilizzata, accade sovente che l’identificazione dei soggetti in esame utilizza immagini videofotografiche; ne consegue che le caratteristiche dei fotogrammi influiscono pesantemente sull’analisi identificativa. Quando le riprese sono nitide, presentano ricchezza di dettagli inequivocabili e saranno per lo più sufficienti confronti fisionomici qualitativi eidetici, per formulare un giudizio di identità. In caso dubbio, è opportuno procedere con metodologie metriche in modo da introdurre un’ulteriore valenza nel procedimento di identificazione. Può capitare che parametri qualitativi eidetici assurgano a discriminatori; ne sono esempio connotazioni esclusive di inequivocabile apprezzamento visivo, costituite per esempio da deturpazioni, espressioni facciali, cicatrici, nevi estesi. Ai parametri metrici è richiesto invece che posseggano la fondamentale caratteristica di essere invarianti a fronte di eventuali trasformazioni operate sulle immagini e cioè: scolamento (ingrandimento o rimpicciolimento del soggetto nell’ambito di una scena), traslazione (spostamento del soggetto nell’area della scena), rotazione nello spazio tridimensionale per adattare la postura degli individui a confronto. Per avvalorare eventuali concordanze fisionomiche è opportuno sottoporre le immagini all’attenzione di più persone (antropologi, medici legali, informatici, ecc.) al fine di verificare statisticamente l’eventuale asserzione di somiglianza26. Per poter realizzare quanto sopraddetto è opportuno utilizzare tecniche informatiche; queste, infatti, permettono di enfatizzare ed estrarre caratteristiche non immediatamente visibili, nonché di rendere possibili in modo interattivo elaborazioni eidetiche e valutazioni metriche27. C. CIPOLLA D’ABRUZZO, Tecniche della perizia antropometrica a fine di identificazione, Atti della Giornata di Criminologia e Criminalistica, Pescara 22/3/1997, pag. 80 27 N. BALOSSINO – S.SIRACUSA, Parametri discriminatori nel riconoscimento di volti,op.cit., pag.19 26 40 Al fine di semplificare l’esposizione della tecnica definiremo “rapinatori” i soggetti da identificare ed “indagati” i soggetti noti posti a confronto . La metodica consente, al termine di un procedimento “step by step” e nelle migliori delle ipotesi, l’identificazione personale mediante confronto numerico computerizzato fra le immagini del volto dei rapinatori e le immagini degli indagati ripresi negli stessi luoghi, atteggiamenti e posizioni spaziali che caratterizzavano i rapinatori al momento della rapina. La tecnica per poter essere esperita necessita dei seguenti presupposti28: che vi siano immagini del volto dei rapinatori utilizzabili ai fini di una sovrapposizione (immagini ben definite e nitide); che possano essere ripetute con la collaborazione degli indagati alcune scene della rapina (esperimento giudiziario); che la ripetizione degli eventi possa essere effettuata negli stessi luoghi in cui si svolse l’azione criminosa, utilizzando gli stessi sistemi di ripresa che ne registrarono le varie fasi. Il mancato soddisfacimento del primo dei pre-requisiti (assenza di immagini nitide del volto dei rapinatori), non consentendo l’attuazione della tecnica nella sua completezza, non permetterà la formulazione di un certo giudizio identificativo. Il mancato soddisfacimento del secondo e terzo pre-requisito inficerà sul nascere l’attendibilità dei risultati. I momenti procedurali della tecnica identificativa per sovrapposizione di immagini possono essere così schematizzati: A. FASE PREPARATORIA 1. analisi del materiale oggetto di esame (nastri VHS su cui è registrata la rapina); 28 F. INTRONA Jr., Identificazione personale attraverso le tecniche di analisi e sovrapposizione delle immagini,,op.cit., pag.1137 41 2. scelta dei videogrammi ritenuti più utili per la successiva sovrapposizione parametrizzata; 3. individuazione e marcamento su ciascun fotogramma dei “punti di posizionamento”; B. FASE DELLA SOVRAPPOSIZIONE PARAMETRIZZATA (da effettuare sul luogo in cui fu ripresa l’azione criminosa) 4. riposizionamento delle telecamere da cui furono filmati i videogrammi selezionati nella prima fase di indagine; 5. sovrapposizione dei videogrammi elaborati nella fase preparatoria con le immagini degli indagati riprese in estemporanea; 6. registrazione dei risultati ottenuti; C. ANALISI METRICA DELLE IMMAGINI 7. confronto statistico-matematico fra valori numerici estrapolati dalle immagini degli indagati e dei rapinatori, al termine della migliore sovrapposizione parametrizzata. 1.1. Fase Preparatoria La prima fase dell’indagine implica un vero e proprio restauro oggettivo dei videogrammi dell’azione criminosa. In genere, sulla videocassetta vi sono immagini riprese in maniera temporizzata da più telecamere, si tratta per lo più di nastri che non possono essere visionati mediante comuni videoregistratori. Il segnale video deve pertanto essere scomposto e rimontato in successione, in modo da ottenere la corretta sequenza delle immagini ripresa da ciascuna telecamera. I videogrammi che ritraggono il rapinatore sono quindi inizialmente esaminati per la ricerca di caratteristiche individualizzanti (cicatrici deturpanti, tatuaggi, mutilazioni, anchilosi, mancinismo, tic nervosi, particolare conformazione somatica, deambulazione, 42 atteggiamenti posturali,…) il cui riscontro nell’indagato potrebbe essere considerato un primo indirizzo identificativo. Sono quindi scelti i “frames” ritenuti più utili, quelli cioè che consentono contemporaneamente sia di individuare la precisa localizzazione del rapinatore nell’ambiente in cui fu perpetrata la rapina, sia di visualizzare le caratteristiche del volto. Ovviamente sono preferiti i videogrammi che consentono la localizzazione spaziale del rapinatore in funzione di precise strutture fisse di riferimento: ottime sono ad esempio le immagini ove si riesce a definire il posizionamento dei piedi del rapinatore, o lo si vede appoggiato ad un bancone, ad uno spigolo o mentre varca la soglia di una porta, o mentre è su uno specifico gradino di una scala, (sono questi i cosiddetti posizionamenti spaziali assoluti). Con procedure analogiche e digitali specializzate si eseguono quindi opportuni filtraggi tesi all’esaltazione dei contrasti (“crispening”), all’estrazione di alcuni contorni (“ edge detection”) e alla equalizzazione del segnale (“cleaning”) per la migliore visualizzazione del volto del rapinatore, magari in falso colore. Si posiziona quindi, su ciascuna immagine scelta, via software, un reticolo luminoso a passo variabile facendo coincidere uno o più punti di intersezione fra ascisse ed ordinate con rilievi ben visibili del volto del rapinatore (gabella, punta naso, nasion,..). Preparato e memorizzato per ciascuna immagine il reticolo luminoso, si pongono, sempre via software, dei punti luminosi sulle principali strutture o siti anatomici del volto (punti di posizionamento). In genere sono preferite strutture anatomiche non suscettibili di modificazione della mimica facciale quali la punta del naso, il nasino, il meato acustico esterno, l’attaccatura del lobulo auricolare, il canto esterno dell’occhio e la gabella. E’ ovvio che i punti di posizionamento luminosi potranno essere apposti solo se l’immagine del volto del rapinatore è sufficientemente nitida, ripresa in primo piano o comunque tale da consentire il rilievo delle peculiari caratteristiche del volto. Elaborati quindi i videogrammi della rapina ritenuti più utili a fini identificativi, si passa alla successiva fase di indagine, da effettuare nei luoghi in cui la stessa fu attuata. 43 Per l’espletamento di questa prima fase di indagine occorre essere forniti di videoregistratore VHS con moviola “frame by frame”, di almeno un videoregistratore professionale, di un mixer video connesso con un computer dotato di scheda grafica e di software per l’acquisizione e l’elaborazione delle immagini, oltre che di un package software dedicato, specificatamente implementato, volto all’ingrandimento di particolari dell’immagine con minimo decremento del segnale. 1.2. Fase della sovrapposizione Lo scopo della seconda fase di indagine è quello di osservare e registrare se sussista una corrispondenza somatica fra l’immagine del rapinatore e quella dell’indagato nel rispetto dei precisi vincoli spaziali precedentemente descritti. Per tale motivo occorre filmare l’indagato in estemporanea negli stessi luoghi, atteggiamenti e posizioni assunte dal rapinatore al momento della rapina. Per tale fase è necessario integrare i sistemi fissi di ripresa già presenti nel luogo della rapina con una strumentazione che consenta di effettuare in loco una sovrapposizione di immagini con dissolvenza. Inizialmente è indispensabile posizionare le telecamere nello stesso orientamento spaziale che avevano al momento della rapina. Soddisfatto tale pre-requisito si potrà procedere alla fase della sovrapposizione che si definisce “parametrizzata” in quanto il posizionamento dell’indagato è vincolato a precisi riferimenti spaziali. In pratica occorre porre l’indagato nello stesso sito e nella stessa postura assunta dal rapinatore nel videogramma in esame. Per facilitare tale compito si è messo a punto un sistema televisivo interno a circuito chiuso che termina in viewfinder di esclusivo appannaggio dell’operatore (strumento che viene definito “il Gobbo” dai ricercatori), che facilita il fine posizionamento del capo dell’indagato e non consente a questi di rendersi conto della congruità raggiunta nella fase di sovrapposizione, lasciando tale informazione solo ed esclusivamente all’operatore che ne cura il posizionamento. 44 Ottimi per le valutazioni identificative sono i “posizionamenti spaziali assoluti” in quanto consentono di posizionare esattamente l’indagato nello stesso sito occupato dal rapinatore. In tale opportunità è quindi possibile rilevare subito anche modeste differenze di altezza fra rapinatore ed indagato consentendo pertanto un certo giudizio di esclusione, o in caso di piena corrispondenza, un convincimento per la prosecuzione delle indagini. Il procedimento identificativo può essere considerato concluso con giudizio di esclusione allorché, nel rispetto dei vincoli spaziali, la corrispondenza somato-fisica fra l’immagine dell’indagato e quella del rapinatore non sia soddisfatta. Qualora invece vi sia una corrispondenza, si può passare alla fase successiva, dedicata al fine posizionamento del volto dell’indagato mediante l’impiego dei punti luminosi di posizionamento precedentemente preparati sull’immagine del rapinatore posta a confronto. Mediante fini movimenti passivi si cerca di far assumere al volto dell’indagato lo stesso orientamento spaziale che caratterizza il volto del rapinatore nel frame in esame. La corrispondenza può considerarsi soddisfatta quando sussista una attendibile sovrapponibilità fra i punti luminosi fissati sul volto del rapinatore e le corrispettive strutture anatomiche del volto dell’indagato, ripreso in estemporanea e posto a confronto mediante mixage e dissolvenza. L’esito positivo di tale fase, nel rispetto di tutti i vincoli spaziali precedentemente illustrati, consente il riconoscimento di una corrispondenza parametrizzata fra le caratteristiche somato-fisiche del rapinatore e quelle dell’indagato. E’ questo un riscontro utile a fini identificativi ma non ancora confortato da una comparazione metrica che possa consentire la formulazione di certi giudizi di identità su base oggettiva. Terminata la fase della sovrapposizione parametrizzata, si procede al terzo ed ultimo momento dell’indagine identificativa, volta al confronto statistico-matematico dell’immagine del rapinatore con quella dell’indagato così ottenuta. 45 1.3. Analisi metrica delle immagini Inizialmente sull’ immagine del rapinatore, eventualmente anche ingrandita, si proietta un reticolo a passo variabile generato via software, con ascissa ed ordinate regolabili, che consente di ottenere una visione armonica e proporzionale del volto del soggetto. Le ascisse e le ordinate del reticolo sono regolate in maniera da intersecare precisi punti di riferimento. Il reticolo così stabilito è quindi sovrapposto all’immagine dell’indagato ottenuta al termine della fase della sovrapposizione, eventualmente ingrandita al pari di quella del rapinatore. Tale procedura consente di evidenziare coincidenze morfologiche, analogie proporzionali o eventuali disarmonie dei due volti posti a confronto. Quindi, su ciascuno dei due volti (rapinatore-indagato), sono individuati e marcati via software almeno quattro punti di repere corrispondenti. Si ottengono così, via software mediante un “package” dedicato, i valori delle distanze assolute, delle distanze relative nonché i valori dei perimetri e delle aree dei triangoli comunque ottenibili dalla congiunzione dei punti considerati (da quattro punti di repere si potranno ottenere quattro triangoli, da cinque punti di repere dieci triangoli e così via). Sui valori ottenuti (valori assoluti, relativi, aree e perimetri dei triangoli) potranno essere applicati idonei test statistici oltre che algoritmi propri dell’analisi morfometrica (analisi dei momenti, determinazione degli indici di compattezza, applicazione dei coefficienti di autocorrelazione) che consentiranno di formulare un giudizio di identificazione su base matematica o, viceversa, un sicuro giudizio di esclusione. 46 CAPITOLO 3 SISTEMI DI SICUREZZA NELLE BANCHE E PREVENZIONE DALLE RAPINE La sicurezza è una esigenza importante della vita attuale, dagli ambiti privati ai grandi complessi comunitari, agli istituti di credito e, sicurezza vuol dire innanzi tutto avere costantemente sotto controllo ciò di cui si vuol essere sicuri. La TVCC è uno degli ingredienti base di impianti di sicurezza, perché è un occhio sempre vigile su ciò che si vuole proteggere. Oltre ai sistemi TVCC, vi sono delle difese attive e passive messe in atto dalle banche per le misure antirapina . Nonostante gli accorgimenti messi in atto dalle banche per evitare l’ingresso ai rapinatori, la tendenza all’aumento delle rapine non è stata fermata : in alcuni casi è cresciuta. E’ possibile, tramite personale esperto in security, progettare e gestire un sistema di sicurezza specifico per ogni ambiente bancario, oppure analizzare la validità di quello esistente, valutare se ci sono delle criticità e se sono eliminabili. 3.1 - PROTEZIONI DI SICUREZZA MESSE IN ATTO DA UN ISTITUTO DI CREDITO Un gran numero di istituti di credito ha adottato una protezione degli ingressi delle proprie agenzie di tipo misto, basata cioè sulla 47 contemporanea presenza di difese passive (bussole blindate) ed attive come il presidio umano costituito da una guardia armata che risiede, durante il periodo di servizio diurno, in un apposito vano protetto, ricavato all’interno delle stesse bussole29. Tale soluzione richiede però la disponibilità di spazi che non sempre è possibile avere, soprattutto quando si tratta di piccole agenzie. La guardia, in tal caso può operare in piena sicurezza ed attuare un più accurato controllo sulle persone che chiedono di accedere in banca, anche laddove esistano validi sistemi di controllo d’accesso dotati di metal detector ad alta sensibilità. Tra le misure antirapina che è possibile adottare per la protezione delle agenzie bancarie, vi sono i cosiddetti contenitori a scomparsa o di custodia del contante di cassa. Di norma vengono installati direttamente sotto il bancone, in ciascuno sportello cassa. Si tratta di speciali contenitori dotati di cassetto con feritoie di versamento del denaro eccedente attrezzati, in alcuni casi, con particolari sistemi elettronici automatici in grado di consentire al cassiere terminalista il versamento-prelevamento automatico, anche contemporaneo, con un elevato numero di transazioni e con rischio di errore praticamente nullo; il sistema stesso può essere interfacciato al sistema informativo della banca. Il contenitore in cui è inserito tale sistema è costruito in lamiera di acciaio molto resistente. La giacenza di cassa rimane costantemente sotto controllo, consentendo una migliore gestione del contante allo sportello, una maggiore velocità ed escludendo così qualsiasi irregolarità. L’operazione di apertura del contenitore per il carico, lo scarico e la manutenzione è temporizzata e l’accesso al sistema è subordinato all’uso di prestabilite password personali. Per la protezione del denaro contante è altresì possibile installare particolari sistemi di trasferimento, all’interno dell’agenzia bancaria, da uno o più uffici cassa remoti agli sportelli e viceversa, di bussolotti contenenti una predeterminata quantità di denaro. 29 M. MESSINA, Le metodologie di prevenzione della rapina nelle agenzie bancarie, Banca Sicurezza, supplemento a Bancamatica 11/12 1998, p.91 48 Il principio di funzionamento di tali sistemi è quello della posta pneumatica, di facile installazione e di costo relativamente contenuto. Alcuni grandi magazzini ed ipermercati hanno adottato, con successo, questa misura di protezione per trasferire da ciascuna cassa verso appositi uffici bunker, preposti alla conta ed al successivo trasferimento in banca del denaro, l’eccedenza di contante in cassa. L’installazione di un sistema di televisione a circuito chiuso (TVCC) può servire di ausilio, nel caso venga adottata la predetta soluzione. La presenza di un sistema di TVCC collegato con una centrale di telesorveglianza, oltre che offrire l’indubbio vantaggio di visualizzare la scena della rapina nei minimi particolari, consentirebbe di organizzare meglio e più rapidamente l’intervento delle forze dell’ordine. La registrazione delle immagini, effettuata direttamente dalla centrale, permetterebbe di ottenere una più fedele ricostruzione della dinamica della rapina, con la possibilità di identificare i colpevoli. Il sistema di TVCC ha dimostrato inoltre di possedere un forte effetto deterrente. Viene utilizzato anche il dispositivo biometrico per il controllo accessi, sia per quello fisico che per quello logico. Per accesso fisico si intende l’atto compiuto da una persona per passare da un’area ad un’altra. Accesso logico, invece è la procedura con la quale si accede all’uso di un sistema o di un programma di elaborazione, oppure alle informazioni contenute in una banca dati. In generale l’impiego delle tecnologie biometriche in un sistema di controllo accessi, sia fisico che logico, migliora sensibilmente il livello complessivo della sicurezza. Il riconoscimento tuttavia, anche se riveste un ruolo importante è solo uno degli aspetti che caratterizzano un accesso sicuro. L’introduzione di un apparato biometrico in luogo del tradizionale badge, comporta una serie di problemi di cui è bene tener conto. Sono aspetti che riguardano il coinvolgimento dell’utente (grado di accettazione della privacy,..), l’operatività (competenza richiesta, tempi di riconoscimento,…), l’affidabilità (tasso di errore, condizioni ambientali,..) ed altro ancora. 49 A volte è opportuno (o necessario) impiegare un mix di tecnologie sullo stesso impianto, affidando agli apparati biometrici il compito di controllare gli accessi a rischio più elevato. Da alcuni anni, per prevenire il fenomeno della rapina, le banche adottano con successo speciali mazzette civetta custodite insieme alle normali mazzette di denaro nelle casseforti. Le mazzette in questione sono dotate di un particolare dispositivo elettronico che si attiva quando esse vengono portate fuori dai locali della banca dai rapinatori, insieme al denaro rapinato. Nel momento in cui il sacco, all’interno del quale vi sono i soldi e la mazzetta civetta, attraversa la porta di uscita, un’unità trasmittente ivi installata genera un campo magnetico, che aziona il dispositivo inserito nella mazzetta. Trascorso un prestabilito tempo, in genere pochi secondi, fuoriesce un denso ed acre fumo di colore rosso che, oltre a macchiare completamente tutte le banconote presenti nel sacco, non consente ai rapinatori di trasportare lo stesso all’interno dell’auto, costringendoli ad abbandonarlo in strada. Il denaro macchiato potrà essere così recuperato e successivamente fatto sostituire, secondo prestabilite procedure amministrative. In sintesi, la gamma dei sistemi difensivi di volta in volta utilizzati in funzione antirapina dagli istituti di credito comprende30: Le protezioni degli accessi e perimetrali. Vi figurano: bussole motorizzate con o senza metaldetector, porte interbloccate, sistemi di controllo accessi biometrici, uscite di emergenza con o senza magnete e/o segnalazione di allarme, finestre e vetrine, dissuasori antisfondamento, rinforzi alle opere murarie. Le misure che puntano a disincentivare il rapinatore. Mezziforti con timer, timebination, timedelay, sistemi di frazionamento del denaro, cash in- cash out, posta pneumatica, sistemi di colorazione delle banconote. 30 M. DEL FATTI, Rapine in banca: da UniCredito Italiano un segnale positivo, Sicurezza n. 2 febbraio 2000, p. 12 50 Le misure di segnalazione di evento. Allarme antirapina, videosorveglianza, all’esterno. Le misure di ricostruzione degli eventi. Impianti TVCC analogici o digitali. I servizi di vigilanza. Piantonamento antirapina, guardia multibanca, videosorveglianza. 3.2. – SISTEMI sensibilità itinerante, guardia TELEVISIVI A CIRCUITO CHIUSO Gli impianti di televisione a circuito chiuso (TVCC) sono impianti costituiti da unità di ripresa, monitor ed apparati associati per trasmettere e controllare quanto può essere necessario per la sorveglianza di una determinata area di sicurezza31. L’impianto nella sua generalità, è costituito da una serie di telecamere poste sia all’esterno dell’area da proteggere e sia all’interno dell’edificio. Le unità di ripresa a loro volta fanno capo ad una centrale video, che provvede alla gestione delle funzioni video e di quanto altro programmato. Le immagini riprese vengono riportate su apparati di visualizzazione costituiti da monitor di 12” montati in appositi contenitori metallici e vengono registrate tramite l’ausilio di un’apposita unità di videoregistrazione, sempre sotto il controllo della centrale video e secondo quanto in quest’ultima programmato. Nella configurazione tipica di un sistema TVCC si può distinguere l’unità di ripresa (telecamera, obiettivo ed accessori elettromeccanici), il sistema di trasmissione, l’unità di visualizzazione (monitor), il sistema di gestione (selettore ciclico, matrice, multiplexer, ecc.), il sistema di videoregistrazione (analogico o digitale). 31 Norma CEI EN 50132-7 79-10 51 I sistemi televisivi a circuito chiuso nella pianificazione del concetto di sicurezza globale, hanno la duplice funzione di fornire in tempo reale al personale preposto alla sorveglianza immagini dell’evento criminoso e di consentirne successivamente la ricostruzione32. Si tratta di una loro caratteristica peculiare che permette da un lato di organizzare un intervento adeguato alla gravità di quanto si sta verificando, dall’altro di fornire validi elementi per l’identificazione degli intrusi e per l’analisi di come si è svolto il fatto. Diventa pertanto indispensabile una loro interazione con impianti di sorveglianza elettronica, che devono provvedere ad inviare i comandi d’intervento per avere specificatamente le immagini dell’area da cui è partito l’allarme. La videoregistrazione rappresenta una componente essenziale nella videosorveglianza e viene applicata come strumento di sicurezza e di controllo. La disponibilità di una documentazione certa dell’evento verificatosi è uno strumento indispensabile d’indagine e pertanto svolge una forte azione deterrente nei confronti di eventuali malintenzionati. L’evoluzione tecnologica consente di realizzare apparecchiature molto sofisticate e capaci di offrire una vasta gamma di prestazioni. La telecamera è costituita da un dispositivo che converte un’immagine ottica in un segnale video. La telecamera deve essere di buona qualità, possedere ottiche ed accessori adatti all’ambiente (per esempio illuminatore all’infrarosso per compensare l’insufficienza di luce) e siano sistemate convenientemente all’interno dei locali e delle aree presidiate33. Se le telecamere sono collegate ad un videoregistratore in timelapse è opportuno che il VCR abbia caratteristiche tecniche tali da assicurare registrazioni di buon livello (SVHS), venga custodito in armadi blindati ad apertura a tempo per evitare la sottrazione delle videocassette, non venga regolato ad una velocità inferiore a quella occorrente per far girare in 12 ore una E 180 VHS e sia collegato ad F. DATWYLER – G. PORAZZI – G. SICA, Ingegneria dei sistemi di sicurezza antintrusione, EPC, 1993, pag. 137 33 E. GRAZIANO, Videoregistrazione e trattamento immagini a fini investigativi, Sicurezza n.8 ottobre 1998, pag.74 32 52 una centrale ciclica dotata di clock in uscita in modo da evitare la perdita di fotogrammi utili: il VCR deve registrare non meno di 3-4 fotogrammi al secondo. Le videocassette devono essere sostituite frequentemente per evitare il degrado delle immagini in esse registrate. La gestione del VCR comporta una serie di problemi organizzativi e tecnici non facilmente risolvibili. Si pensi alla sostituzione periodica della videocassetta e ad operazioni tecniche tutt’altro che banali, quali la regolazione della velocità e della periodicità della registrazione e la pulizia e il riallineamento delle testine. Troppo spesso queste operazioni non vengono eseguite alle scadenze previste o non vengono eseguite affatto. E’ auspicabile pertanto che i VCR siano progressivamente sostituiti dai sistemi di videoregistrazione digitale (DVR). I DVR sono in grado di fornire oggigiorno: la migliore risoluzione possibile rendendo circa il 30% di risoluzione in più rispetto ad un S-VHS34; una qualità dell’immagine migliore in termini di rumore e fermo immagine; un accesso alle immagini registrate più veloce con ricerca per data e ora, nome impianto e nome telecamera; un passaggio istantaneo tra immagini “live” e immagini “registrate”; una registrazione senza fine cioè con possibilità di sovrascrittura della memoria video e scomparsa del problema del cambio cassetta; parametri di registrazione individuali per telecamera ed evento (tempo di registrazione, risoluzione dell’immagine, fattore di compressione video, frame/rate, activity detector, allarmi esterni, ecc.); perfetta integrazione con funzioni multiplexer, selezione singola telecamera, multiscreen configurabile in termini di 34 C. GRANDIN, Videoregistrazione digitale. Tecnica, funzioni, vantaggi, IPS n.1 maggio 2000, p.22 53 numero di telecamere e di presentazione video, funzione di testo integrabile nell’immagine, funzione di matrice video; copia delle immagini senza perdita di definizione, trasportabilità in altri sistemi tipo PC e possibilità di un numero di copie illimitato delle immagini; possibilità di controllo remoto e della trasmissione delle immagini, ovvero poter trasmettere immagini a distanza attraverso linee telefoniche (ISDN, GMS,...) o reti dati (Ethernet, Token Ring,…); anche in questo caso il videoregistratore digitale può essere pensato sempre più come concentratore video periferico; basso rischio di errori dei punti deboli (nastro sbagliato,…); nessun costo di manutenzione ordinaria; sistema molto sicuro; gestione della registrazione integrata con eventi di allarme, Activity Detector; transazione codici,…); multitasking, ovvero la possibilità di registrare, fare il back-up dei dati, visionare le immagini e trasmettere nello stesso tempo; possibilità di registrazione dell’audio; questa è una delle novità di quest’ultimo periodo che permette di integrare un certo numero di canali audio nel videoregistratore; possibilità di controllare remotamente telecamere brandeggiabili. Probabilmente l’uso di un videoregistratore digitale potrà spaventare gli installatori poco abituati all’ambiente digitale, ma gli enormi vantaggi di un DVR rispetto ad un videoregistratore analogico e la direzione sulla quale tutta la tecnologia odierna (TVCC compresa) si sta orientando, portano a considerare l’uso di un videoregistratore digitale una scelta ormai naturale oltre che molto spesso obbligata. Certo, nell’ipotesi di sola registrazione di un singolo segnale video, la registrazione analogica è disponibile ad un costo minore. 54 Tuttavia le ulteriori caratteristiche precedentemente citate tipiche della DVR non sarebbero in questo caso disponibili. In ordine all’impiego degli apparati DVR, sono stati sollevati alcuni dubbi sulla utilizzabilità nel processo penale delle immagini da essi registrati. 3.3. - CHECK LIST PER IL CONTROLLO DEL LIVELLO DI SICUREZZA IN UN ISTITUTO DI CREDITO La soluzione razionale di ogni problema, compreso quello della sicurezza, richiede, oltre alla disponibilità di informazioni corrette ed esaurienti, la capacità di interpretare correttamente queste ultime alla luce di una teoria e secondo un metodo35. La teoria si propone lo scopo di individuare le componenti fondamentali di un problema di sicurezza, definirne le caratteristiche ed analizzare le relazioni che le governano. Il metodo, che tiene conto della teoria ed è ad essa coerente, vuole fornire uno schema ragionativo utile al processo decisionale ed uno schema applicativo utile al processo organizzativo, tali da consentire decisioni razionali e coerenti al problema da affrontare. Il contesto di sicurezza può essere considerato come il risultato (o stato di fatto) di una data situazione protettiva, che nasce da tre presupposti: - l’esistenza di un bene (B); - l’ipotesi che questo bene possa subire un danno per effetto di una minaccia (M); - e la necessità o volontà di protezione (P) del bene stesso. S = f (B, M, P) Un approccio conveniente per valutare il livello di sicurezza di un istituto bancario, consiste nell’utilizzare una serie di domande 35 G. MANUNTA, Teoria e metodologie di sicurezza, in Criminologi applicata per la investigazione e la sicurezza a cura di A. Balloni e R. Bisi, pag.88, Ed. F.Angeli 55 prestabilite (check list), composte ad hoc a seconda della natura del problema (meccanico, elettrico, comportamentale, relazionale,…). La check list più elementare è composta dalle classiche domande: CHI, CHE COSA, QUANDO, DOVE, COME, PERCHE’? ed integrata da una serie di quesiti di questo tipo: - cosa c’è che non va? - perché rappresenta il problema? - qual è la reale sostanza del problema? - in quali elementi potrebbe essere scomposto? - quale potrebbe esserne la causa? - cosa voglio ottenere? - dove voglio arrivare? La valutazione del livello di sicurezza deve essere fatta da personale esperto in security, che è in grado di applicare la metodologia analitico – valutativa, di stimare il valore da proteggere e di confrontarsi poi con i responsabili aziendali per impostare la politica di sicurezza. Parte prima - I rilievi impiantistici36 - Rilievo delle difese antifurto esistenti: 1. L'accesso all'insediamento è protetto da porte blindate o da altre chiusure di sicurezza, poste su tutte le vie di possibile penetrazione, incluse le finestre (grate, serrande, ecc.)? 2. Esiste un sistema di protezione antintrusione, in grado di rivelare tentativi di effrazione notturni od impedire i movimenti di malintenzionati, che siano riusciti a farsi richiudere od a penetrare in un ambiente qualsiasi dell'insediamento? 36 A. BIASIOTTI, Traccia di check list per il controllo del livello di sicurezza delle dipendenze bancarie, con o senza caveau, www.securcomp.com 56 3. Esiste un sistema di protezione antieffrazione del caveau, in grado di proteggere tutta la zona circostante e le pareti in muratura? 4. Esiste un rilevatore di effrazione sulla cassa continua e/o sul Cash Dispenser od altro dispositivo automatico, contenente valori? 5. In caso di attivazione dell'impianto di allarme, esistono altri mezzi, oltre la sirena, per far giungere l'allarme alle forze dell'ordine? 6. I mezzi forti (Porta forte del caveau, cassa continua, Cash Dispenser, cassaforte di agenzia) sono dotati di Timelock? - Rilievo delle misure di sicurezza degli apparati informatici di dipendenza: 1. Il server di dipendenza è esposto a rischi di origine naturale, come allagamenti, smottamenti e simili? 2. Il server è soggetto ad infiltrazioni di acqua dai piani superiori (tubazioni con acque chiare o scure)? 3. Il server è ubicato in locali chiusi a chiave, ed isolati nottetempo, se non presidiati? 4. Esiste un filtro per l'accesso al server (ad esempio una porta con serratura)? 5. L'alimentazione elettrica al server è assicurata da un gruppo di continuità? 6. Il server è protetto da un impianto di rivelazione incendi, sempre in funzione? 7. L'accesso ai dati ed ai programmi è basato su un sistema di controllo accessi, ad esempio basato su parole chiave (password)? 57 8. Vengono realizzate automaticamente regolarmente delle copie di back up di dati e programmi? e/o 9. Le copie di back up vengono conservate in altro insediamento in modo sicuro? 10. Esiste una procedura di gestione delle squadrature contabili, che permette di chiudere la contabilità elettronica, al termine della giornata di negoziazione? 11. Esiste e viene rispettata una procedura per la distruzione degli stampati obsoleti e contenenti dati riservati? Parte Seconda - Le Valutazioni Procedurali e di Comportamento - Valutazioni all'esterno della dipendenza: 1. Verificare che tutte le finestre e porte, che possono rappresentare un rischio per la sicurezza, siano rifermate dall'interno (si potrebbe introdurre una pistola da un vasistas socchiuso). Verificare in particolare le finestre dei gabinetti; verificare che le condizioni di manutenzione e funzionamento di serrande avvolgibili; verificare la condizione delle grate metalliche fisse. 2. Verificare l'esistenza di difese antisfondamento ed il rispetto di specifiche disposizioni in merito (ad esempio la raccomandazione che i dipendenti parcheggino la loro vettura davanti alle vetrine, a protezione delle stesse). 3. Se è previsto il presidio di una guardia particolare giurata, verificare l'ora del suo arrivo e confrontarla con l'orario eventualmente stabilito. Verificare anche l'esistenza di un regolare contratto con l’ indicazione delle modalità di resa del servizio. 4. Osservare attentamente il comportamento della guardia giurata durante il giorno, e confrontare le proprie 58 valutazioni con quelle richieste al responsabile dell'insediamento, onde accertare il suo grado di sensibilità al problema specifico. 5. Verificare che tutte le aperture potenzialmente a rischio siano protette e, se no, verificare quali iniziative ha preso in merito il responsabile dell'insediamento. 6. Controllare lo stato di cerniere, serrature, catenacci lucchetti di ogni tipo, sul perimetro dell'agenzia. Dovranno essere tutti in buono stato, senza segni di ruggine e senza segni apparenti di sollecitazione anormale (indici di scarsa manutenzione e di tentativi di forzamento non rilevati in precedenza). 7. Verificare che tutti i dipendenti entrino ed escano attraverso i varchi autorizzati, rispettando le procedure di sicurezza anti-imboscata e che nessuno utilizzi varchi non sufficientemente protetti e/o non autorizzati. - L’area di ingresso: 1. Verificare il corretto funzionamento della porta, in particolare accertarsi che il chiudiporta funzioni con dolcezza e con sicurezza. 2. Verificare il funzionamento di tutti gli interblocchi tra le porte. 3. Verificate con gli appositi strumenti di prova la taratura del rilevatore di metalli (N.B. Usare un test go-no go per verificare la correttezza della taratura). 4. Verificare le condizioni della cassettiera e dei porta ombrelli (tutte le chiavi presenti e funzionanti). 5. Intervistare uno o più dipendenti addetti alla gestione dell'ingresso, verificando la loro preparazione in merito al comportamento da tenere in caso di: 59 richiesta d'ingresso di persona in uniforme delle Forze dell'Ordine, che fa scattare il rivelatore di metalli; o richiesta d'ingresso di persona con stampelle od altri palesi oggetti metallici; o richiesta d'ingresso di persona che fa mostra di non capire la lingua italiana. o 6. Verificare il funzionamento della porta di emergenza (sbarra antipanico ed eventuali chiavi di sicurezza). - Gli impianti self service: 1. Verificare il corretto funzionamento del lettore di tessera, sulla porta, e delle segnalazioni ottiche. 2. Verificare lo stato di pulizia dell'ambiente. 3. Verificare le condizioni di leggibilità del monitor dell'ATM (polvere che si accumula sotto lo schermo produttivo), le condizioni della tastiera e l'apparenza generale del dispositivo (eventuali segni di attacchi vandalici). 4. Verificare il regolare funzionamento della Cassa Continua, l'apparenza generale del dispositivo (segni di atti vandalici). 5. Verificare come sopra eventuali altri apparati self service presenti. - L'area di negoziazione: 1. Verificare la buona visibilità di ogni angolo della sala, dai posti operativi e l'assenza di pannelli, mobili od altri ostacoli, onde evitare che qualcuno si possa celare dietro. 60 2. Verificare il funzionamento e le condizioni di manutenzione della separazione tra aree pubbliche ed aree impiegati. 3. Verificare la possibilità di osservazione dei movimenti dei dipendenti da e per la cassaforte, da parte di persone che stazionino in sala di negoziazione. 4. Verificare le modalità di conservazione di titoli di qualsiasi tipo e di contanti (sui tavoli, in cassetti aperti), visibili dalla sala. 5. Verificare la possibilità di fuga dei rapinatori da uscite secondarie, visibili dalla sala di negoziazione o facilmente osservabili dall'esterno. 6. Verificare il posizionamento delle telecamere, che non devono poter essere riorientate e coperte da malintenzionati. - Le aree interne bancarie: 1. a rischio. Verificare dall'interno la chiusura di tutte le aperture 2. Verificare le modalità di conservazione di titoli di qualsiasi tipo e di contanti (sui tavoli, in cassetti aperti), non visibili dalla sala, ma visibili da visitatori che abbiano accesso al back office. 3. Verificare l'isolamento acustico delle aree destinate alla negoziazione riservate. 4. Verificare che nessuna chiave di porta od ambiente uso archivio sia legata alla sua copia ed infilata nella toppa. 5. Verificare che i gabinetti siano chiudibili dall'interno solo con catenaccio e non con chiavi (rischio di segregazione). 61 - La gestione dell'impianto antintrusione, antirapina e di video registrazione: 1. Verificare l'esistenza del manuale di istruzione, verificare che i dipendenti incaricati conoscano bene la manovra del centralino (ad esempio indicare un segnalatore ottico od un tasto e chiedere che funzioni svolge). 2. Verificare che il responsabile dell'insediamento disponga di copia del contratto di manutenzione, che abbia copia delle bolle di intervento (chiedere di esaminare le ultime due bolle) e che conosca a perfezione l’ ubicazione di tutti i sensori ed i circuiti di allarme (ad esempio, per quanto tempo resta in funzione la sirena?). Se l'allarme è inviato su selezionatore telefonico, chiedere quali numeri sono impostati. 3. Effettuare una prova di funzionamento dell'impianto antirapina antintrusione (opzione). 4. Verificare che i dipendenti conoscano l'ubicazione dei pulsanti antirapina (attenzione: almeno uno deve essere nell'ufficio del direttore). 5. Verificare che tutti i dipendenti abbiano ad immediata portata di mano il questionario di riconoscimento di persone sospette e sappiano come comportarsi in caso di pericolo. 6. In caso di ronda notturna, verificare che il responsabile dell'insediamento effettui un controllo sulla ronda (ritiro bigliettino e controllo di orologio punzonatore). 7. Verificare che il responsabile sappia leggere correttamente le indicazioni dell'orologio timbratore e che i dischi siano archiviati in modo ordinato. 8. Verificare che il responsabile allestisca "trappole" atte a controllare la efficacia della ronda notturna e mattutina, se prevista (scatoloni in mezzo al corridoio, lampade svitate, pezzi di nastro adesivo sulle porte, ecc.). 62 9. Verificare la completezza della copertura delle aree di rischio, riprese dalle telecamere dell'impianto TVCC. 10. Verificare la qualità dell'immagine dell'impianto TVCC (se non si riconosce nessuno, non serve a nulla!) sia in osservazione diretta che in osservazione di riprese precedenti (qualità della registrazione - mettersi nei panni di un poliziotto che debba cercare di identificare dei malviventi). 11. Verificare le modalità di conservazione dei nastri nei 15 giorni precedenti (disposizioni antirapina dell'ANIE). - La gestione dei mezzi forti: 1. Verificare la temporizzazione casseforti antirapina di ogni singola cassa. impostata sulle 2. Verificare la temporizzazione impostata su altri mezzi forti. 3. Verificare le condizioni in cui viene tenuta la cassaforte, durante la normale attività di negoziazione (tesoretto racchiuso a chiave? Sportello chiuso a chiave, ma non combinazione?). 4. Verificare le condizioni della chiave o delle chiavi (denti piegati e/o usurati). 5. Verificare come vengono custodite le chiavi durante la negoziazione. 6. Verificare come vengono custodite le chiavi alla fine della giornata di negoziazione. 7. Verificare la esistenza e la chiara leggibilità degli adesivi che mettono in guardia sulla presenza di dispositivi a tempo (all'ingresso, sui posti di lavoro, su ogni singola cassa continua). 63 8. Nel caso di uso di serratura a chiavi cambiabili verificare da quanto tempo sono state cambiate le chiavi. 9. Nel caso di uso di serratura a combinazione verificare da quanto tempo sono stati cambiati i codici. - La gestione del caveau (dei caveau): 1. Verificare che durante la negoziazione la porta forte sia aperta, i catenacci espansi, le chiavi asportate, come misura anti segregazione. 2. a chiave. Verificare che il cancelletto sia sempre tenuto chiuso 3. Verificare l'esistenza ed il rispetto delle procedure di accesso per i clienti. 4. Verificare il rispetto delle procedure di accesso per i dipendenti. 5. Verificare, all'interno del caveau, che le cassette utilizzate come deposito per i cassieri e di valori della banca non siano riconoscibili da particolari segni di usura (se del caso cambiare le cassette a rotazione). 6. Far chiudere la porta forte in propria presenza e far riaprire utilizzando la sola combinazione, per verificare che il responsabile dell'insediamento non l'abbia scritta su un pezzo di carta, ma la ricordi a memoria. 7. Si accerti che il Timelock venga sempre caricato da due persone diverse (vale per tutti i Timelock). 8. Verificare che i dipendenti, nella scelta della combinazione, abbiano seguito le raccomandazioni impartite onde evitare sequenze omogenee ecc. 9. Verificare da quanto tempo è stata cambiata la combinazione dei mezzi forti. 64 10. Ove il tesoro banca ed il caveau siano separati, verificare gli orari di chiusura del secondo (in genere, appena possibile). - La gestione del contante: 1. Verificare l'esistenza, il grado di conoscenza ed il rispetto delle modalità impartite dalla direzione, attinenti la gestione del contante. 2. Verificare se la giacenza nei cassetti di pronto impiego supera il limite stabilito, anche in relazione alla specifica giornata di negoziazione, in cui si svolge l’ispezione. 3. Verificare se la giacenza nel ripostiglio ad accesso temporizzato della cassaforte antirapina supera il limite stabilito, anche in relazione alla specifica giornata di negoziazione, in cui si svolge l’ispezione. 4. Verificare se la giacenza nel Bancomat supera l'importo ragionevolmente necessario fino alla prossima ricarica. - La difesa antincendio ed antinfortunistica: 1. Verificare il numero e la distribuzione degli estintori. Verificare l'aggiornamento del controllo (ogni 6 mesi). Verificare se i dipendenti conoscono le modalità di uso e sanno indicare dove si trovano gli estintori. Verificare che siano al posto giusto (e non usati come fermaporta). 2. Verificare che non vi siano accumuli di materiali infiammabili nel sottoscala o in ripostigli (cartoni, fogli di plastica, detriti in genere). 3. Verificare che vi sia una cassetta di pronto soccorso, che i dipendenti sappiano dov'è e che i presidi sanitari siano completi. 65 - I rapporti con le forze dell'ordine e i direttori di agenzie sulla piazza: 1. Verificare che il responsabile dell'insediamento abbia sottomano tutti i numeri telefonici di emergenza (PS, CC, VV FF, Pronto Soccorso). 2. Verificare che il responsabile dell'insediamento conosca il nome dei responsabili delle Forze dell'Ordine ed abbia con essi dimestichezza diretta (chiedere quando l'ha incontrato l'ultima volta). 3. Verificare che il responsabile dell'insediamento conosce il cronista del giornale locale e quali sono i suoi rapporti con lui (può "ammorbidire" i servizi giornalistici in caso di atto criminoso). 4. Verificare che il responsabile dell'insediamento abbia concordato con le Forze dell'Ordine un piano di intervento, in caso di aggressione (ha consegnato le piantine dell'insediamento? Ha già indicato quali sono le vie di fuga?). 5. Verificare che il responsabile dell'insediamento abbia concordato con le Forze dell'Ordine una parola d'ordine, in caso debba essere costretto a parlare sotto coercizione. 6. Verificare il grado di conoscenza del responsabile dell'insediamento nei confronti delle difese delle agenzie bancarie sulla piazza e verificare il tipo di rapporto che egli ha con i direttori, per quanto riguarda la sicurezza (includere anche il Direttore dell'Ufficio Postale). - Le procedure elettroniche: 1. Chiedere ad un paio di dipendenti da quanto tempo hanno cambiato le parole chiave loro assegnate e se hanno ricevuto istruzioni su come sceglierle. 66 2. Chiedere ad un dipendente qualsiasi di indicare l'ubicazione di un estintore, se ha mai avuto occasione di usarlo e se no, se ritiene di esser capace di usarlo, in caso di necessità. 3. Verificare se esiste un regolare contratto di manutenzione per i sistemi di prevenzione incendio e di sicurezza del server, e chiedere quando è stata fatta l'ultima ispezione. 4. Chiedere quando è stata fatta l'ultima copia completa di back up dei dati e dei programmi del server. 5. Chiedere quando è stata compiuta l'ultima distruzione di documenti obsoleti e riservati. - Varie: 1. Verificare che almeno il responsabile dell'insediamento conosca le modalità di comportamento in caso di ricezione di telefonate minatorie (minacce di bombe) o estorsive. Verificare che i dipendenti conoscano le modalità di trasporto dei valori sia a piedi che in vettura normale. 2. Verificare l'esistenza, ed il rispetto di procedure specifiche durante la fase di movimentazione dei valori in proprio o a mezzi di servizio di istituti di vigilanza. 3. Verificare le modalità di accesso del personale addetto alle pulizie, se esso accede fuori dell'orario di lavoro. 4. Esaminare l'ubicazione dell'archivio e le modalità di controllo dell'accesso. 5. Chiedere se esiste un funzionario, individuato come responsabile della sicurezza e chiedere quando è stata fatta l'ultima riunione, in cui sono stati affrontati temi di sicurezza. 6. Chiedere se i dipendenti hanno ricevuto specifiche istruzioni di comportamento in caso di rapina o minacce, e verificare se ciò è avvenuto per iscritto od a voce. 67 Questo questionario è una traccia molto utile e può essere utilizzato, oltre che per progettare un sistema di sicurezza, anche per valutare il livello di sicurezza dell’istituto bancario, ad es. attribuendo un giudizio ad ogni domanda alla fine si avrà un punteggio significativo che potrà andare da insufficiente a ottimo. 3.4 - ENTITA’ DEL FENOMENO RAPINA NEGLI ISTITUTI DI CREDITO Le perdite economiche conseguenti al fenomeno della rapina risultano ogni anno piuttosto rilevanti37. La rapina continua a rappresentare, in tema di security, il tipo di rischio più elevato per le aziende di credito38. Numerosi i fattori che contribuiscono a creare questo scenario: la frequenza elevata di accadimento; il danno economico diretto; il danno di immagine che l’azienda di credito subisce nei confronti della clientela in relazione alla presunta incapacità di fornire sicurezza nelle proprie sedi; il danno che scaturisce dalla conflittualità sindacale derivante dalla recrudescenza del fenomeno; l’eventuale contenzioso derivante dai fatti di sangue; l’eventuale danno psicologico a cui vanno incontro sia gli addetti agli istituti di credito che gli utenti che ne rimangono coinvolti. 37 M. MESSINA, Le metodologie di prevenzione della rapina nelle agenzie bancarie, op.cit. 68 Le statistiche evidenziano chiaramente come la rapina rappresenta, tra i reati contro il patrimonio, quello che nell’ultimo decennio ha subito la crescita più alta. Nell’ 87% dei casi l’obiettivo del rapinatore è il denaro contante e soltanto il 3% delle rapine interessa attività commerciali di preziosi e pellicce. Negli anni ’70 l’esplosione del fenomeno delle rapine ad opera della criminalità organizzata trova impreparati sia gli istituti di credito che lo stato, tanto che le forze dell’ordine furono impiegate a massa nella vigilanza delle banche39. Nell’ultimo decennio il fenomeno delle rapine ha subito sostanziali modificazioni tanto che oggi il fenomeno non è più attribuibile come nel passato alla criminalità organizzata, ma alla criminalità comune. Non più gruppi organizzati dotati di armi e disposti a uccidere, ma azioni di singoli individui che utilizzano di solito armi improprie o addirittura armi giocattolo. Da sempre le banche sono impegnate in un’ attività di contrasto al fenomeno criminoso delle rapine; attività che le ha portate nel corso degli anni ad investire con continuità in misure di protezione che, di volta in volta, sembravano essere in grado di assicurare il maggior effetto deterrente possibile. Il confronto con la criminalità è, però, anche in questo campo caratterizzato dalla necessità di affinare continuamente tecniche e metodologie in modo da riuscire a contrastare efficacemente le evoluzioni del fenomeno criminoso. E’ così accaduto che per un certo periodo, le bussole con metal detector sembravano essere in qualche misura riuscite a contrastare il fenomeno rapina, le statistiche abbiano ricominciato a registrare un netto incremento sia nel numero degli attacchi portati a termine che nell’entità del bottino asportato, a seguito del diffondersi delle armi realizzate in leghe non metalliche o del moltiplicarsi delle rapine fatte con armi improprie quali ad esempio, coltelli, siringhe, bastoni, ecc.. 38 39 M. DEL FATTI, Rapine in banca: da UniCredito Italiano un segnale positivo, op.cit. A. GIANNI, Saluto del Questore di Bologna , Inserto a Polizia Moderna n.1 – 1998, p.5 69 La situazione si è andata aggravando fino a che nel 1996 all’Italia è toccato il poco invidiabile ruolo di primo paese in Europa sia per il numero delle rapine in banca che per l’ammontare del bottino medio: Rapine consumate in Italia nel periodo ‘90/’99 (dati ABI) 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 1.161 1.869 1.722 1.856 1.723 1.846 2.141 2.201 2.958 2.906 + 61% - 7,9% + 7,8% - 7,2% + 7,1% + 16% + 2,8% + 34,4 % - 1,8% Basti pensare che nel ’96 nel nostro paese è avvenuto oltre il 30% di tutte le rapine a sportelli bancari registrate in Europa, durante le quali è stato asportato circa il 40% del bottino complessivo di tutti gli attacchi registrati. La gravità della situazione diventa ancora più evidente, se si considera che solo il 10% degli sportelli bancari attivi in Europa operava sul territorio italiano. Il ’98 è stato l’ “annus horribilis” per gli istituti di credito che hanno subito circa tremila rapine su tutto il territorio nazionale, con un incremento del 34%. Nel ’99 si è avuta una flessione del fenomeno rapine a livello nazionale. Per quanto riguarda i dati riferiti alle regioni, in Emilia Romagna nel periodo ’97-’99, il fenomeno rapine ha fatto un balzo in avanti: 70 Rapine consumate in Emilia- Romagna nel periodo ’97-’99 (dati forniti dall’ ABI) 1999 1998 1997 EMILIA – ROMAGNA Province di: Bologna Ferrara Forlì – Cesena Modena Parma Piacenza Ravenna Reggio – Emilia Rimini 305 305 221 101 12 32 33 22 16 35 22 32 104 16 27 52 18 15 28 22 23 83 8 23 30 9 4 21 12 31 Anche nella città di Forlì si sta registrando un aumento delle rapine agli istituti di credito : 5 rapine nel ’97, 8 nel ’98, 9 nel ’99 (dati ABI). In ogni modo, gli istituti di credito non sono rimasti spettatori passivi e il confronto sulle contromisure da adottare si è fatto sempre più serrato. Quali le metodologie da loro generalmente seguite nell’approccio al problema? Presupposto di partenza, condiviso in modo pressoché unanime dai responsabili della security di istituti di credito, è la convinzione che l’attività di contrasto al fenomeno criminoso delle rapine richieda un approccio globale al rischio e risposte integrate in cui siano presenti sia componenti “hard” di organizzazione, che componenti “soft” di una costante sensibilizzazione del personale. La soluzione di volta in volta individuata, punta a costituire un insieme coordinato ed omogeneo di misure di protezione di tipo fisico, logico e organizzativo. Per tutelarsi l’azienda banca deve innanzi tutto provvedere a dotarsi di una “filosofia” antirapina intesa come insieme di sistemi di difesa e di norme volti a limitare gli effetti dannosi del fenomeno. 71 Una filosofia che, in genere, è rappresentata da un quadro di standards frutto di una precedente analisi dei rischi basata su un esame storico del fenomeno e sulla valutazione delle sue possibili evoluzioni. Tra i requisiti essenziali della filosofia prescelta, la flessibilità in quanto “conditio sine qua non” per consentire un costante adeguamento degli strumenti individuati all’evoluzione del fenomeno da cui si intende proteggersi. Il tutto nella consapevolezza che, essendo impossibile eliminare completamente il rischio rapina, è necessario operare preventivamente scelte precise per quanto si riferisce al danno che tali rischi possono causare ed alla loro presunta frequenza. In un corretto approccio al problema della protezione antirapina di un istituto di credito, la scelta della filosofia rappresenta soltanto la prima tappa di un processo che deve inoltre prevedere: la redazione di una normativa complessiva nella specifica materia; la formazione del personale; la collaborazione alla progettazione degli sportelli bancari; la scelta dei sistemi difensivi da adottare; le attività di collaudo e controllo. Da un’ indagine effettuata dall’ABI sui sistemi di ripresa presenti negli sportelli bancari in Italia, è emerso che sono presenti presso il 69% degli sportelli e sono i sistemi più diffusi. 72 Sistemi di Ripresa (dati forniti dall’ABI) Numero sportelli Numero impianti Abruzzi 123 132 Basilicata 50 52 Calabria 141 156 Campania 918 969 Emilia – Romagna 1160 1205 Friuli – Venezia – Giulia 315 337 Lazio 1054 1132 Liguria 427 513 Lombardia 2347 2715 Marche 246 268 Molise 53 58 Piemonte 940 1061 Puglia 641 684 Sardegna 131 147 Sicilia 690 761 Toscana 1038 1094 Trentino – Alto – Adige 39 47 Umbria 153 172 Valle D’Aosta 29 32 Veneto 942 12 ______________________________________________________ Totali 11.437 12.547 73 CAPITOLO 4 COSA SUCCEDE DOPO UNA RAPINA IN BANCA? Dopo che è successa una rapina in un istituto di credito, intervengono le forze dell’ordine per effettuare i rilievi tecnici necessari per acquisire elementi e risalire alla identificazione dei rapinatori. La Polizia Scientifica sequestra la videocassetta presente nell’impianto di videoregistrazione e la analizza, secondo una propria metodologia. Alcuni fotogrammi delle immagini degli autori della rapina vengono estrapolati e si crea una “scheda rapina”, con tipo e dinamica dell’evento, orario, foto dei rapinatori e se sono stati identificati. Con queste immagini, è stata creata sin dal 1991 presso il Gabinetto di Polizia Scientifica dell’Emilia Romagna una Banca Dati Rapine che ha lo scopo di agevolare l’identificazione dei rapinatori (di banche prevalentemente) attraverso l’analisi e la circolazione delle loro immagini. 4.1 - SOPRALLUOGO TECNICO DELLA POLIZIA SCIENTIFICA I rilievi tecnici sono atti tipici della polizia scientifica disciplinati dall’art. 354 c.p.p. e finalizzati alla fissazione dello stato di luoghi ed all’acquisizione di tracce e cose pertinenti il reato40. Sono ricompresi, generalmente, nel complesso organico di attività che costituiscono il sopralluogo tecnico che si esegue nel luogo ove è stato commesso il reato, sul percorso di fuga o in altri posti comunque interessati dalla dinamica criminosa. Se necessario, però, i rilievi possono essere realizzati in laboratorio (ad esempio la ricerca di impronte digitali su oggetti trasportabili, con 40 E. GRAZIANO, Polizia Scientifica e criminalistica, in Criminologia applicata per la investigazione e la sicurezza a cura di A. Balloni e R. Bisi,op.cit., p. 369, 74 tecniche chimiche o il prelievo di residui dello sparo su superfici cutanee o su indumenti). Il sopralluogo tecnico, che si effettua dopo una rapina in banca, deve seguire precise regole dettate dall’esperienza e dalla tecnica per rilevare gli elementi utili alla ricostruzione del fatto criminoso ed all’identificazione dei colpevoli e per evitare la dispersione delle tracce. In via preventiva si dovrà impedire che venga toccato, spostato o modificato alcunché sino a che non siano esaurite le operazioni previste. La salvaguardia delle tracce dovrà essere curata, se del caso, anche all’esterno dei locali. Premesso che dovrà essere rapidamente ispezionato il percorso di fuga alla ricerca di ogni elemento utile, sarà opportuno delimitare, comunque, con apposito nastro l’area immediatamente adiacente all’ingresso per evitare manipolazioni delle superfici esterne delle porte d’accesso ove potrebbero rilevarsi impronte digitali. La zona di salvaguardia delle tracce dovrà essere ampliata nel caso di scontri a fuoco o colluttazioni all’esterno della banca. I rilievi veri e propri inizieranno con le riprese fotografiche e con videocamera degli ambienti, con particolare riguardo alla porta di ingresso ed alle zone in prossimità del bancone, delle casse, della cassaforte, del bancomat, zone più frequentemente percorse da rapinatori, fissando così il quadro materiale complessivo dell’azione criminosa, prima che venga modificato dalle successive operazioni per la repertazione di oggetti e tracce. Se l’istituto rapinato è presidiato da un impianto di videoripresa a circuito chiuso, il tempestivo esame della videocassetta può agevolare gli operatori della polizia scientifica nella ricerca di elementi utili. Si possono rilevare anzitutto dati preziosi sulla fisionomia e gli indumenti indossati dai rapinatori, nonché sulla localizzazione delle tracce; potrà essere inoltre calcolata, sia pure approssimativamente, la statura dei rapinatori stilizzando come parametri punti di riferimento presenti nell’ambiente. La videocassetta sarà poi sequestrata per i successivi riversamenti ed estrapolazioni di immagini. Se la banca non ha un impianto di videoripresa i dati somatici dei rapinatori potranno essere desunti dalle informazioni fornite da clienti 75 ed impiegati e visualizzati nell’identikit, che sarà realizzato con l’ausilio di apposite apparecchiature elettroniche. Le informazioni di clienti ed impiegati, insieme alle eventuali immagini registrate, potranno essere utilizzate, inoltre, per orientare meglio la ricerca delle tracce. Sulla scorta di tali indicazioni, si concentrerà l’attenzione sulle superfici che risulteranno essere state toccate dai malviventi, le quali verranno cosparse di polveri per la rivelazione di impronti digitali latenti che saranno poi asportate con appositi adesivi. La rivelazione di impronti digitali su oggetti trasportabili potrà essere più efficacemente eseguita in laboratorio con reagenti chimici. Dovranno essere fotografate eventuali impronte di calzature e si dovranno ricercare ed acquisire per successivi esami di laboratorio, oggetti e tracce di ogni tipo: capelli, pezzi di stoffa, frammenti di carta e qualsiasi cosa proveniente dai rapinatori. Saranno repertate con particolari cautele, per evitarne l’alterazione, eventuali tracce di sangue o di altre sostanze organiche. Se sono state utilizzate armi da fuoco si procederà alla ricerca e alla repertazione di bossoli e proiettili ed al calcolo delle traiettorie in base ai punti di impatto dei proiettili. I rilievi tecnici vanno estesi all’auto utilizzata per la fuga se recuperata: dovrà essere acquisita ogni traccia utile e si eseguirà all’interno dell’abitacolo un’accurata ricerca di impronti latenti, preferibilmente con vapori di cianoacrilato e, per questo, di solito, l’auto viene spostata con un carro attrezzi in un luogo idoneo; è quindi opportuno effettuale sul posto la rilevazione di impronte latenti sulle superfici esterne, in particolare sui vetri con la tradizionale polvere Argentoratum, poiché nelle fasi di caricamento dell’auto sul carro attrezzi le impronti potrebbero essere cancellate. Particolare cura dovrà essere prestata all’osservazione ed alla documentazione della modalità di sottrazione dell’auto: una lunga serie di rapine perpetrate in Emilia Romagna negli anni scorsi sono state collegate tra di loro in base alla circostanza che le auto usate dai malviventi risultavano rubate con un sistemi in edito che consentiva nell’avviare il commutatore di accensione con una scheda SIP opportunamente ritagliata. 76 Le operazioni di repertazione devono essere precedute da accurate riprese fotografiche, anche macro, dei singoli oggetti e delle singole tracce, così come si rinvengono, e dalla misurazione della loro distanza da punti fissi significativi in modo da consentire la ricostruzione quanto più precisa possibile della dinamica del crimine. Tutte le operazioni eseguite dovranno essere annotate minuziosamente e i luoghi, le cose e le tracce dovranno essere oggetto di ampia descrizione. Il verbale di rilievi tecnici, eseguiti in sede di sopralluogo, normalmente non viene redatto sul posto ma successivamente in ufficio, sulla base delle annotazioni relative alle singole operazioni. Tale prassi, che trova legittimazione nell’art. 373 comma 4 del c.p.p., è giustificata dall’esigenza di raccordare organicamente la parte descrittiva con la documentazione fotografica; il verbale di sopralluogo tecnico non deve limitarsi ad una elencazione delle operazioni eseguite, ma costituire un resoconto ragionato dell’attività svolta. I dati tecnici acquisiti vanno classificati e sistemati in modo da renderli facilmente fruibili. Per conseguire quest’ obiettivo è decisiva la disponibilità di apparecchiature informatiche e di software appropriato. 4.2 - BANCA DATI RAPINE Per utilizzare in modo ottimale i dati acquisiti nel corso delle indagini tecniche svolte per singole vicende criminose è stata costituita presso il Gabinetto regionale di polizia Scientifica dell’Emilia Romagna la Banca Dati Rapine41. I rapinatori di banche in Emilia Romagna provengono spesso da altre regioni e tendono a reiterare le loro imprese criminose in più località, con l’ovvia conseguenza che l’azione investigativa volta a identificarli, per essere veramente efficace, deve basarsi sulla condivisione dei dati acquisiti nel corso delle indagini svolte per le singole rapine. 41 E. GRAZIANO, Una Banca dati contro le Rapine, Polizia Moderna n.8/9 – 1999, p.58 77 Muovendo da tali considerazioni è stata istituita nel 1991, presso il Gabinetto regionale di Polizia Scientifica dell’Emilia Romagna una Banca Dati Rapine per agevolare, attraverso l’analisi e la circolazione delle loro immagini, l’identificazione dei rapinatori, all’interno di un piano organico di contrasto che prevede interventi di uffici investigativi diversi. La banca dati rapine contiene, sia pure in numero molto esiguo, anche le immagini relative a rapine in danno di uffici postali, gioiellerie, supermarket ed altri esercizi presidiati da telecamere. Le immagini degli autori delle singole rapine sono digitalizzate e memorizzate nel computer, con un apposito programma che prevede anche la contestuale memorizzazione dei loro dati somatici rilevabili dalle immagini stesse o dalle dichiarazioni testimoniali, nonché dei dati relativi al “modus operandi” e ai mezzi utilizzati. Oltre alle immagini dei rapinatori non identificati vengono digitalizzate e memorizzate, anche queste insieme ai dati somatici, le fotosegnaletiche dei soggetti che sono già stati identificati come autori di rapine. I due archivi elettronici, correlati tra di loro, consentono sulla scorta di un certo numero di dati somatici di un rapinatore non identificato, di richiamare le immagini dei soggetti noti che potrebbero identificarsi con lui. Per assicurare un’adeguata circolazione dei dati acquisiti ed elaborati è stata compilata una raccolta fotografica che contiene le immagini in cui i rapinatori sono meglio riconoscibili. Per quanto riguarda i sospettati , non ci si limiterà alle fotosegnaletiche ma se è possibile essi saranno sottoposti a “fotosegnalamento mirato”, in modo da acquisire ed utilizzare per i confronti immagini fotografiche che siano quanto più omogenee possibile rispetto ai fotogrammi dei rapinatori. Inoltre, un’attenta osservazione diretta dei sospettati permetterà di individuare in essi dettagli somatici e fisionomici nonché caratteristiche funzionali che possano costituire oggetto di confronto. Se i dati acquisiti trovano corrispondenza nei rapinatori e negli indagati, sarà necessario procedere ad un confronto diretto nei dettagli morfologici, attraverso particolari ingranditi ed elaborati. 78 Copie di queste raccolte sono state trasmesse ai principali uffici investigativi dell’Emilia Romagna, delle regioni contigue, nonché delle altre regioni da cui statisticamente provengono con più frequenza i rapinatori. Gli organi investigativi destinatari della raccolta possono così concorrere all’ identificazione degli autori delle rapine riconoscendo malviventi ad esse già noti. Va inoltre sottolineato che se si riesce a stabilire attraverso il confronto di immagini che le medesime persone hanno compiuto più azioni criminose, si consente agli investigatori di utilizzare tutti gli elementi emersi dalle indagini sulle singole rapine (auto, armi impiegate, modus operandi,…), con il risultato che la loro identificazione, anche se non è possibile nell’immediato, può essere conseguita successivamente in base al complesso di dati raccolti e memorizzati. A questi uffici investigativi vengono inviati periodici aggiornamenti, costituiti dalle fotografie tratte da sequenze di rapine perpetrate successivamente e dalle generalità degli autori delle rapine a mano a mano che vengono scoperti. 4.3 - ANALISI DELLE IMMAGINI VIDEOREGISTRATE: METODOLOGIA APPLICATA DALLA POLIZIA SCIENTIFICA Per questo tipo di indagine i termini in comparazione sono costituti da immagini fotografiche. Si utilizzano i fotogrammi della rapina estrapolati dalla videocassetta in sequestro. Questi fotogrammi saranno attentamente analizzati con particolare riguardo alle caratteristiche somatiche e fisionomiche del rapinatore che entra in banca. Tali caratteristiche saranno descritte utilizzando i modelli classificatori adottati dalla Polizia Scientifica Italiana, integrati per la descrizione di dettagli fisionomici, di particolare rilievo sul piano identificativo da altri schemi classificatori riconosciuti dalla letteratura internazionale. 79 Per poter confrontare i dati ricavati dalle operazioni sopra descritte con quelli corrispondenti dell’indagato, questo dovrà essere attentamente esaminato e fotografato in pose quanto più vicine possibili alle posizioni del rapinatore. Pertanto l’indagato, dovrà essere sottoposto a rilievi descrittivi e antropometrici nonché a fotosegnalamento “mirato”. Tali operazioni saranno compiute, se possibile, presso i Gabinetti di Polizia Scientifica, che sono adeguatamente attrezzati. Se i dati di tipo classificatorio troveranno corrispondenza, bisognerà procedere ad un confronto diretto dei dettagli morfologici dei due soggetti, attraverso loro ingrandimenti ed elaborazioni. Tale confronto sortirà risultati più incisivi, sul piano probatorio, se sarà effettuato su materiale fotografico ad alto grado di omogeneità. Per ottenere immagini dell’indagato del tutto omogenee rispetto a quelle del rapinatore è necessario che l’indagato venga ripreso all’interno dello sportello bancario, dalle telecamere in dotazione all’Istituto, in posizioni coincidenti con quelle del rapinatore. Questo complesso di attività consentirà di dare una risposta ai quesiti basata non solo sull’analisi qualitativa degli elementi fisionomici confrontati, ma anche su dati di tipo quantitativo, ottenuti via software, quali ad esempio le distanze fra alcuni punti di repere o gli indici somatici e fisionomici, calcolati in base ai rapporti percentuali tra le suddette distanze. Per un ottimale espletamento dell’indagine tecnica richiesta sarebbe pertanto auspicabile poter eseguire tutte le operazioni che si elencano42: 1- Esame della videocassetta in sequestro ed estrapolazione dei fotogrammi nei quali compare l’autore della rapina. 2- Analisi dei dati relativi all’azione criminosa e, in particolare, delle caratteristiche somatiche e fisionomiche del rapinatore, come si desume dalle immagini estrapolate. 42 E. GRAZIANO, Progetto per un’efficace azione di contrasto…,op.cit.,pag.11 80 3- Sopralluogo nell’Istituto rapinato al fine di effettuare alcune misurazioni, che possano costituire utili parametri comparativi e di verificare che i sistemi di video-ripresa siano rimasti immutati rispetto al momento dell’evento, provvedendo, se del caso, a far eseguire i necessari interventi di ripristino. 4- Sottoposizione dell’indagato a rilievi fotografici “mirati” e a rilievi descrittivi e antropometrici. 5- Confronto preliminare delle caratteristiche somatiche e fisionomiche del rapinatore sospettato con quelle dell’indagato al fine di stabilire, in base a un giudizio di compatibilità, se i due soggetti possano identificarsi tra di loro. Nel caso che si registrasse un’assoluta ed evidente dissomiglianza tra il rapinatore e l’indagato, l’indagine si concluderebbe con un giudizio di non identità e non si procederebbe alle operazioni successive. 6- Videoripresa registrata dell’indagato all’interno della banca, con le telecamere in dotazione, nelle medesime posizioni e negli stessi siti spaziali occupati dal rapinatore . A tal fine sarà utilizzato un mixervideo, collegato a due videoregistratori, che sovrapponga, in dissolvenza, le immagini dell’indagato, ripreso in diretta, a quelle del rapinatore. Se vi è corrispondenza negli elementi somatici e fisionomici fondamentali (statura e corporatura in particolare), sarà possibile mediante spostamenti “fini” dell’indagato, far coincidere in dissolvenza la sua immagine con quella del rapinatore in modo da poter meglio confrontare i rispettivi dettagli fisionomici. Bisognerà, comunque, tenere conto dello spessore del tacco delle scarpe e della lunghezza dei capelli che per la loro variabilità potrebbero provocare lievi scarti tra la statura dell’indagato e quella del rapinatore. 7- Esame della videocassetta nella quale sono registrate le operazioni di cui al paragrafo precedente ed estrapolazione delle immagini utili per confronti. 81 8- Comparazione delle immagini più significative del rapinatore con quelle dell’indagato acquisite nelle fasi precedenti o comunque disponibili, con l’ausilio di apparecchiature informatiche. Se le immagini del rapinatore sono di qualità soddisfacente, per definizione e dettagli, e permettono l’individuazione di un congruo numero di caratteri salienti della sua fisionomia, il confronto di esse con immagini omogenee dell’indagato, acquisite al compimento della procedura sopra descritta, consentirà di stabilire, in termini di certezza o di probabilità più o meno elevata, a seconda del numero e della significatività delle corrispondenze rilevate, se le persone si identifichino tra di loro. E’ possibile però che pur non esaurendo tutte le fasi della procedura sopra descritta, si pervenga comunque ad un giudizio di probabilità o di certezza circa la suddetta identificazione. Infatti, se non si riuscisse, per qualsiasi motivo a realizzare la documentazione fotografica di confronto con le modalità di cui sopra, potranno essere utilizzate, in alternativa, per le comparazioni tutte le immagini dell’indagato e in primo luogo il suo cartellino fotosegnaletico con i relativi dati descrittivi. Ora non può escludersi che vengano individuati nell’indagato (pur ripreso in pose non perfettamente coincidenti con quelle del rapinatore con il quale è confrontato) connotati salienti e contrassegni, che nel loro complesso abbiano elevato valore identificativo e trovino corrispondenza nel rapinatore. Inoltre, è possibile, anche in presenza di immagini diverse sotto il profilo dimensionale e di differenti rotazioni e inclinazioni del corpo e del capo dei soggetti in comparazione, confrontare indici somatici e facciali calcolati in base ai rapporti percentuali delle distanze tra punti di repere, la cui corrispondenza può corroborare un giudizio di identità. Molto più frequentemente, invece, si può pervenire anche in base al confronto di pochi dati fisionomici, che posseggano sufficiente significatività, ad un giudizio certo di non identità. 82 CAPITOLO 5 PRIVACY NELL’AMBITO DELLA SICUREZZA Quello della sorveglianza tramite l’uso di telecamere è un tema che sta guadagnando dignità in Italia solo recentemente, sia a causa della maggior diffusione degli apparecchi, sia per l’interessamento mostrato dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali.43 Le esigenze superiori della sicurezza e dell’ordine sociale, operano da contrappeso quasi necessitato all’effettiva crescita della criminalità nelle città ad elevata concentrazione abitativa. L’alibi per l’uso di mezzi di videosorveglianza è astrattamente impeccabile e, forse, umanamente condivisibile: da una parte il settore pubblico, in assolvimento di compiti istituzionali, tra cui rientra la tutela della sicurezza e dell’ordine, si avvale in larga misura di sistemi video supportati anche da risorse satellitari; dall’altra il settore privato (banche, esercizi commerciali, ecc.) si sente legittimato ad usarli per la tutela delle proprie attività e del proprio patrimonio. Su tutto cala il rassegnato placet del cittadino comune nel quale cresce spontaneo il bisogno di sentirsi protetto per via dei sempre più frequenti episodi di violenza e criminalità diffusa e dalla risonanza senzazionalistica che essi ricevono tramite i mezzi di comunicazione di massa. In questo senso non è superfluo notare come il tutto si presti a pericolose distorsioni favorite dal sistema giusprivatistico che accelera il processo di diffusione delle tecnologie in esame: molte imprese assicuratrici sono disposte ad offrire riduzioni dei premi ai clienti che pagano un contributo per l’installazione di sistemi TVCC, data la correlativa riduzione del rischio che ne deriva. Le stesse agevolazioni sono accordate a chi installa un antifurto satellitare sulla propria automobile. Si assiste così alla sempre più intensa utilizzazione di sistemi di sorveglianza video a circuito chiuso in aree pubbliche o aperte al 43 M. PROSPERI, Sorveglianza tramite l’uso di telecamere, www.jei.it/infogiuridica/archivio/art 83 pubblico principalmente per il supposto scopo di prevenire o ridurre atti di criminalità. Le pressanti spinte sociali verso garanzie di sicurezza sono sostenute e accompagnate dal rapido progresso tecnologico del settore, stimolato a sua volta dalle allettanti prospettive economiche frutto di una crescente domanda di mercato di questi apparecchi. Sotto l’aspetto tecnico le telecamere impiegate stanno diventando sempre più piccole e difficili da notare: possono agevolmente essere installate in cabine telefoniche, casse automatiche, autobus, treni, stanze, ascensori, ospedali, orologi. Per comprendere la potenza basti pensare che, anche in condizioni di scarsissima illuminazione, esse possono leggere la marca di un pacchetto di sigarette a centinaia di metri di distanza. Come spesso avviene per temi affini basta volgere lo sguardo oltre frontiera per constatare immediatamente come il problema sia già da tempo molto sentito, in particolare in paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Viste le cause, la situazione e la dimensione del fenomeno, il giurista è spinto a questo punto a domandarsi se l’uso delle tecnologie di sorveglianza abbia realmente a che fare con la preservazione di interessi di dignità sufficiente a giustificare la violazione di diritti umani o sia meramente finalizzato al controllo su comportamenti antisociali o su atti di microcriminalità, cause di offese minori come l’imbrattamento di edifici o le violazioni delle norme sulla circolazione stradale. Nella materia della videosorveglianza appare corretto muoversi, come è stato in passato, sul terreno della individuazione dei valori da una parte lesi e dall’altra tutelati, al fine di correttamente valutare la giustizia sostanziale o perlomeno la tollerabilità del fenomeno. Inoltre, bisogna precisare che vi possono essere delle situazioni che espongono i cittadini al rischio di possibili violazioni della loro riservatezza. In linea generale, le esigenze connesse all’interesse della giustizia sono prioritarie rispetto a qualunque altro interesse. Per questo motivo il diritto alla privacy incontra delle specifiche limitazioni sia in ambito processuale, sia in relazione all’attività svolta per la prevenzione, l’accertamento o la repressione dei reati. 84 Il Garante ha contribuito al chiarimento di molti punti controversi stabilendo, per esempio, che i principi di pertinenza e non eccedenza nel trattamento dei dati valgono anche nei confronti di un ufficio giudiziario quando negli atti di un’indagine penale compaiono anche i dati anagrafici di persone diverse dall’indagato e soprattutto se queste informazioni riguardano la salute, le opinioni politiche, religiose o sindacali di un individuo. 5.1 - SORVEGLIANZA TRAMITE L’USO DI TELECAMERE E TUTELA DELLA PRIVACY Al momento della sua nascita, alla fine del 1800, il right of privacy si configurava come diritto di essere lasciato in pace (right to be let alone), di non subire intrusioni indesiderate nella sfera della propria vita privata, in una società caratterizzata da una circolazione delle informazioni sempre più vasta e veloce, grazie alla diffusione della stampa44. Oggi, a più di un secolo di distanza da quella prima riflessione giuridica, il diritto alla privacy – riconosciuto e tutelato finalmente anche in Italia con la Legge 31 dicembre 1996 n. 675 (la fonte è la direttiva comunitaria n. 95/46/CE del 1995 e la Convenzione n. 108/1981 del Consiglio d’Europa) ha subito una notevole trasformazione riconducibile a diversi fattori che trovano la loro matrice comune nell’evoluzione storico-politica della società e, in particolare nel progresso tecnologico e delle forme di comunicazione di massa. Con l’espressione “dalla segretezza al controllo” alcuni autori indicano proprio tale processo di evoluzione che ha caratterizzato la vicenda della “privacy” sulla base, in particolare, del contenuto delle normative in materia, che si sono susseguite dagli anni ’70 ad oggi. In tale evoluzione, si è passati da una visione statica e negativa della “privacy”, intesa come strumento atto ad impedire la conoscenza da parte di estranei delle informazioni personali, ad una visione dinamica e attiva della stessa, intesa come strumento che il singolo ha a 44 M. MASSIMI, Diritto al segreto e diritto alla riservatezza- Differenze ed omogeneità alla luce della legge 675/96, www.privacy.it/massimi02.html 85 sua disposizione per controllare la raccolta, la classificazione e l’uso di quelle informazioni da parte di chi gestisce le banche dati, nelle quali le stesse sono inserite e conservate (soggetti pubblici o privati che siano). A tal riguardo si possono richiamare i diritti riconosciuti all’interessato dall’art. 13 della L.675/96, tra i quali quelli di conoscere l’esistenza di trattamenti che lo riguardano, di essere informato circa le finalità del trattamento, di ottenere dal titolare o dal responsabile la comunicazione dei dati che gli appartengono, la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, l’aggiornamento, la rettifica, l’integrazione dei dati inesatti o incompleti, l’attestazione che tali modifiche siano state rese note a coloro ai quali i dati erano stati comunicati. Pertanto, la legge prevede che chiunque tratti dati personali, il titolare, notifichi al Garante questo fatto e chieda ed ottenga dall’interessato, cui i dati si riferiscono, un consenso al trattamento 45. Inoltre, poiché il titolare potrebbe non trattare in prima persona i dati, è consentita la delega ad un altro personaggio, chiamato responsabile del trattamento dei dati, per l’effettuazione delle operazioni di trattamento. Infine i dati debbono essere custoditi con diligenza e conservati solo per il tempo strettamente necessario a soddisfare le finalità, per le quali i dati vennero in prima istanza raccolti e trattati. In particolare è previsto che i dati vengano distrutti quando non più necessario e che l’interessato abbia la possibilità a semplice richiesta, di esaminare i dati trattati che lo riguardano e chiedere modifiche o persino sospensione del trattamento 46. Riferito alle riprese effettuate in ambito bancario, si precisa che l’installazione del sistema di ripresa televisiva, con o senza archiviazione delle immagini, deve essere notificata al Garante, almeno in teoria. Il Garante ha già dato molte deroghe a questa disposizione di legge e con ogni probabilità la notificazione al Garante non sarà necessaria, anche se tuttavia sarà necessario preparare un documento, nel quale A. BIASIOTTI, Ora si può conciliare privacy e videosorveglianza, Antifurto n.6 – 1999, p.15 A. BIASIOTTI, Guida alla tutela della privacy: il cittadino, Guida al Diritto – Il Sole 24 Ore, dicembre 1997,pag.55 45 46 86 viene illustrata la composizione dell’impianto, le modalità di gestione ed i soggetti che possono accedere alle immagini registrate. Si tratta di una elementare forma di notificazione, che può essere tenuta nel cassetto ed esibita a richiesta. Il consenso alla ripresa, e quindi al trattamento da parte di un interessato, è stato brillantemente risolto con l’affissione di un cartello che informa il soggetto circa il fatto che sta entrando in un’area ripresa da telecamera. Il fatto stesso che egli entri rappresenta un consenso implicito alla ripresa. Ottenuto così il consenso dell’interessato, occorre accertarsi che le immagini acquisite vengano osservate ai soli fini di sicurezza, con esplicita esclusione di ogni altro utilizzo. A tal fine è necessario che il titolare del trattamento dia chiare istruzioni ai responsabili ed agli operatori, informandoli circa il fatto che qualunque informazione essi vengano a conoscere, mentre osservano il comportamento di un soggetto ripreso, debba essere ignorata se non direttamente afferente alla sicurezza. Vi è un obbligo esplicito di riservatezza da parte degli operatori e vi è un obbligo altrettanto esplicito di diligente custodia delle immagini. Non sarà consentito far osservare le immagini a terzi od estranei e le cassette registrate dovranno essere custodite in modo tale che un terzo non possa accidentalmente entrarne in possesso. Ad esempio se l’istituto bancario è dotato di un sistema a circuito chiuso senza la videoregistrazione e viene affidato alla guardia giurata la gestione della “videoronda”, questa non dovrà rimanere spettatore passivo per lunghi periodi47. Quando si stabilisce un collegamento video, la guardia osserva innanzitutto la scena che gli si presenta, poi passa in rassegna tutte le altre telecamere del sito. Alcune di queste sono brandeggiabili e la guardia le deve far ruotare di 180°, in modo da vedere ciò che succede in tutta l’agenzia. Nel momento in cui il collegamento si attiva, in periferia vi è un duplice sistema di avviso: B. SEBASTIANI, Videosorveglianza antirapina – Esperimento pilota in una grande banca, TVCC ZOOM, n.1 marzo 1999, p.38 47 87 alcune gemme luminose si accendono per informare il personale della dipendenza che è iniziata l’osservazione remota da parte della guardia; un pannello luminoso informa il pubblico che vi è video sorveglianza in corso. Bisogna anche precisare che lo Statuto dei Lavoratori (L. 300/70) all’art. 4 prevede che “gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali”. Pertanto o trovare l’accordo con le organizzazioni sindacali o posizionare le telecamere in modo da non avere la possibilità di controllare i posti di lavoro dei cassieri e degli altri dipendenti. Da parte delle organizzazioni sindacali, soprattutto su queste tematiche, si trova sempre disponibilità ed apertura. L’ obbligo di diligenza si manifesta anche nell’istruzione di cancellare le cassette, ove debbano essere cedute all’esterno della banca. Monitori e registratori protetti, cassette sicure e cancellazione delle stesse: sono questi i pilastri per un idoneo trattamento delle immagini video. Come accennato in precedenza, la legge impone che quando i dati personali hanno terminato la loro ragione di essere, essi debbano essere cancellati. In questo caso è sufficiente attenersi, ad esempio alle raccomandazioni degli assicuratori, che ritengono che quindici giorni di archiviazione delle registrazioni video siano un tempo più che accettabile per gli obiettivi fissati. Ad esempio, dopo quindici giorni si dovranno cancellare i dati archiviati o perché le cassette sono nuovamente utilizzate o perché vengono cancellate. 88 Pertanto in sintesi48: in Italia non esiste ancora una normativa specifica in materia e ci si riconduce alla legge base cioè alla 675/96 ed è necessario rifarsi ai dispositivi in essa contenuti; se si attua ex-novo un servizio siffatto è opportuno darne notizia al Garante; informare i cittadini o i potenziali interessati che dovessero entrare nel campo controllato dalle installazioni che in quel luogo si effettua videosorveglianza (ad esempio dandone notizia sui giornali cittadini o attraverso manifesti o cartelli nelle zone controllate per le installazioni in luoghi pubblici, o attraverso semplici cartelli o vetrofanie all’ingresso di uffici e ambienti privati se l’accesso è aperto al pubblico); è opportuno predisporre un accurato regolamento in caso di videoregistrazione che limiti e garantisca le modalità di registrazione, di conservazione e di riutilizzo dei nastri. Con questo regolamento si dovranno individuare con precisione le persone (pochi fiduciari) che avranno accesso ai filmati e le motivazioni di accesso, predisporre un protocollo di accesso, cartaceo o computerizzato, e le sue modalità di aggiornamento, impartire accurate disposizioni sulle modalità e meccanismi di cancellazione per un successivo riutilizzo delle cassette; predisporre un periodo per la conservazione dei nastri (ad es. non superiore a 15 giorni), anche se sarebbe più opportuno contrarre il tempo in funzione degli avvenimenti che interessano gli ambienti sorvegliati : ad esempio i sistemi informativi di una filiale bancaria sono ormai in grado di individuare inconvenienti contabili nell’arco di 24-48 ore, quindi la conservazione non dovrebbe superare di molto questo arco temporale; ovviamente la 48 C. MANGANELLI, Occhi Elettronici, Relazione presentata al Seminario del Garante su “Videosorveglianza tra Sicurezza e Riservatezza” Roma 12/7/2000 , www.garanteprivacy.it 89 denuncia alle forze dell’ordine o alla magistratura di un fatto indesiderato comporta di conseguenza la necessaria conservazione dell’ eventuale videoregistrazione correlata all’evento per tutto il tempo necessario alla soluzione del caso; il rispetto delle norme di utilizzo e di conservazione deve essere verificato dall’ufficio addetto al rispetto della privacy e/o dal security manager con la stessa considerazione che si pone nella protezione del sistema informativo in quanto potrebbero scattare le sanzioni previste dalla 675/96, sia in caso di inadeguate misure di sicurezza che per un inopportuno o non pertinente utilizzo delle immagini videoregistrate di persone. Il Collegio del Garante ha più volte avuto occasione di intervenire con i suoi provvedimenti in casi di installazione di sistemi di telesorveglianza mediante telecamere e videoregistratori, in attesa che il Governo promulghi una legge su queste applicazioni, analizzando i casi in base alle previsioni e prescrizioni della 675/96. Alcuni esempi di pareri specifici degli ultimi mesi. 1. COMUNE di RIOMAGGIORE : Realizzazione di un sistema di videosorveglianza nella zona B di Punta Montenegro della Riserva Marina delle Cinque Terre 49. Il Comune di Riomaggiore vuole promuovere un’efficace sorveglianza della Riserva Marina delle Cinque Terre (la cui Commissione è istituita presso la Capitaneria di Porto della Spezia) attraverso la realizzazione di un sistema sperimentale di videosorveglianza per facilitare e migliorare la tempestività di intervento dei mezzi della capitaneria rispetto all’evidenzarsi di infrazioni e di eventuali altre situazioni di emergenza. Ha precisato che gli strumenti di videosorveglianza, dislocati nella suddetta area, sono programmati in modo tale che le immagini registrate non permettono di riconoscere eventuali persone che si trovino nel loro raggio visuale e che pertanto il trattamento dei dati non rientra 49 Parere del Garante del 21 ottobre 1999 90 nell’ambito di applicazione della 675/96 in quanto non sarebbe possibile procedere ad una identificazione delle persone eventualmente coinvolte. Il Garante precisa al Sindaco che la direttiva comunitaria 95/46/CE del 1995 e la Convenzione 108/1981 del Consiglio d’Europa rendono obbligatoria l’applicazione della disciplina sul trattamento dei dati personali anche ai suoni e alle immagini (quali quelle registrate nei controlli video), qualora permettano di identificare un soggetto anche in via indiretta (attraverso cioè il collegamento con altre informazioni). La legge 675/96 che ha attuato la Convenzione 108 e ha recepito la direttiva europea in buona parte, considera anch’essa come “dato personale” qualunque informazione che permetta l’identificazione anche in via indiretta dei soggetti interessati, sebbene derivante da suoni o da immagini anziché da dati alfanumerici. Tale legge è senz’altro applicabile anche ai trattamenti di immagini effettuati attraverso i sistemi di videosorveglianza dislocati nel territorio locale del Comune, a prescindere dalla circostanza che tali informazioni siano eventualmente registrate in un archivio elettronico o comunicate a terzi, dopo il loro temporaneo monitoraggio in un circuito di controllo. Per quanto riguarda la premessa del Sindaco che le immagini registrate non permettono di focalizzare e riconoscere eventuali persone fisiche , il Garante fa presente che le registrazioni effettuate mediante l’uso di telecamere non contengono sempre e necessariamente dati di carattere personale, in quanto la distanza, l’ampiezza dell’angolo visuale, la qualità degli strumenti, ecc. possono non rendere identificabili le persone inquadrate. La legge 675/96 definisce dato personale qualunque informazione relativa a persone identificate o identificabili anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione. Pertanto, non è necessario che le persone siano identificate in maniera chiara ed univoca, essendo sufficiente che i soggetti possano essere identificabili attraverso, ad esempio, il collegamento con altre fonti conoscitive quali foto segnaletiche, identikit o archivi di polizia contenenti immagini. Il Garante ritiene che l’iniziativa adottata nella Riserva Marina delle Cinque Terre meriti un’ attenta riflessione volta ad appurare: 91 l’esistenza di una fonte normativa che legittimi l’installazione di tali sistemi di videosorveglianza e che indichi le relative finalità, e cioè se tale iniziativa risponda alle funzioni istituzionali demandate all’ente, in particolare dalla legge 8/6/90 n. 142, dal DPR 24/7/77 n. 616, dalla legge 7/3/86 n. 65 sull’ordinamento della polizia municipale, nonché dagli statuti e dai regolamenti comunali (v. art. 27 legge 675/96). A tal fine è necessario che venga precisato come si configurano dal punto di vista della legge 675/96 le posizioni dei soggetti coinvolti nell’iniziativa (Capitaneria di Porto di La Spezia e Comune di Riomaggiore), anche alla luce degli scopi dagli stessi perseguiti; la precisa localizzazione delle telecamere e le modalità di ripresa delle immagini (memorizzazione, conservazione, angolo visuale delle telecamere e limite della possibilità di avvicinamento dell’immagine), anche al fine di assicurare il rispetto dei principi fondamentali fissati dall’art. 9 della legge 675/96, specie in ordine alla pertinenza e non eccedenza dei dati rispetto agli scopi perseguiti; l’individuazione di idonee ed appropriate misure per assicurare un utilizzo corretto dei dati da parte dei soggetti legittimati (art. 15 della legge 675/96); le procedure e le modalità volte a fornire agli interessati le informazioni previste dall’art. 10 della legge 675/96. Inoltre il Garante è perplesso sull’attivazione di un sistema di videosorveglianza privo di un insieme articolato di garanzie, che dovrebbero riguardare, in modo particolare, l’eventuale intenzione di conservare le immagini in un apposito archivio, l’individuazione dei soggetti legittimati ad accedere alle registrazioni anche all’interno dell’ente, e l’eventuale messa a disposizione delle registrazioni in favore di altri soggetti pubblici. Riguardo a quest’ultimo aspetto si fa presente che la divulgazione di dati tra soggetti pubblici richiede l’esistenza di una puntuale norma di legge o di regolamento ed è possibile, in via del tutto residuale, anche quando non sia prevista da una norma, purchè sia necessaria per lo 92 svolgimento di alcune funzioni istituzionali e sia effettuata una comunicazione preventiva al Garante. Pertanto si segnala, qualora nel frattempo non siano intervenute spontaneamente modifiche al sistema di videosorveglianza realizzato, la necessità di apportarvi le opportune modificazioni al fine di renderlo conforme a quanto rilevato con la presente nota. 2. OSPEDALE LUIGI SACCO – AZIENDA OSPEDALIERA / POLO UNIVERSITARIO – MILANO: installazione di un sistema di videosorveglianza nel nuovo monoblocco 50. La richiesta di parere riguarda il progetto di installazione di apparecchiature di videosorveglianza presso il nuovo monoblocco di pronto soccorso e rianimazione dell’azienda ospedaliera. In particolare viene prevista l’installazione di telecamere sia per effettuare un controllo di sicurezza dei corridoi e delle sale di attesa del pronto soccorso sia per consentire il monitoraggio continuo dei pazienti ricoverati nel reparto rianimazione. Il Garante precisa che non esiste ancora in Italia una disciplina specifica in materia di videosorveglianza e che sia la direttiva comunitaria 95/46/CE che la Convenzione 108/81 rendono obbligatoria l’applicazione della disciplina sul trattamento dei dati personali anche a suoni e immagini quali quelle registrate nei controlli video e che la legge 675/96 considera dato personale qualunque informazione che permetta l’identificazione, anche in via indiretta, dei soggetti interessati ivi compresi i suoni e le immagini. Inoltre precisa che i dati personali che si rilevano nel caso di specie sono in massima parte dati sensibili (art. 22 legge 675/96). Infatti le telecamere da istallare riprenderanno essenzialmente immagini di persone ammalate. Come noto i soggetti pubblici (fra questi le Aziende Ospedaliere) possono trattare i dati personali sensibili solo in presenza di una espressa previsione di legge. 50 Parere del Garante del 31 dicembre 1998 93 Nell’ipotesi di specie, il trattamento è ovviamente connesso all’assistenza e cura dei pazienti ricoverati che rientra nelle finalità istituzionali proprie degli organismi sanitari pubblici (legge 833/78 e successive integrazioni e modificazioni). Tale generale compito di assistenza si specifica, nei reparti in questione, in un’attenzione continua ai ricoverati in rianimazione e in un doveroso controllo di sicurezza all’interno del pronto occorso. Si tratta di operazioni che condotte da sempre con modalità tradizionali (controllo degli accessi, vigilanza dei locali, ecc.) verranno ora svolte con l’ausilio del sistema di videosorveglianza. Ricorrono pertanto i citati requisiti previsti dal combinato disposto degli artt. 22 comma 3 e 41 comma 5 che legittimano l’Azienda ospedaliera ad installare le telecamere in questione ed a trattare i relativi dati sensibili. Pertanto prima di attivare le nuove apparecchiature di ripresa, a Direzione dell’Azienda dovrà opportunamente regolamentare i seguenti profili: determinare con precisione la localizzazione delle telecamere e le modalità di ripresa in aderenza alle finalità che hanno suggerito l’installazione del sistema di videosorveglianza, nel rispetto dei principi fondamentali issati dall’at. 9 della legge 675/96, specie in ordine alla pertinenza e on eccedenza dei dati rispetto agli scopi perseguiti; definire con precisione i soggetti legittimati a trattare i dati personali in oggetto, individuando, eventualmente, un soggetto responsabile, ai sensi dell’art. 8 della legge, del sistema di videosorveglianza, nonché gli incaricati del trattamento (personale infermieristico, addetti alla vigilanza, ecc.); stabilire idonee misure di sicurezza (art. 15 legge 675/96) al fine di assicurare un corretto uso dei dati, evitando il rischio che gli stessi possano finire nella disponibilità di persone estranee alla struttura o comunque non autorizzate. In questo senso particolare attenzione andrà riservata alle modalità di accesso alle riprese video da parte dei familiari dei ricoverati in rianimazione 94 ai quali andrà consentita, ove tecnologicamente possibile, la visione delle sole immagini del loro congiunto; fissare i parametri precisi per quanto riguarda l’eventuale necessità di conservazione delle immagini registrate, secondo il dettato dell’art. 9 comma 1 lettera e) della legge, che prescrive che i dati siano conservati per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati; prevedere forme e modalità volte a fornire agli interessati le informazioni previste dall’art. 10 della legge 675/96. 3. COMUNE di MANTOVA: Realizzazione di un impianto di tele-sorveglianza51. Il Sindaco del Comune di Mantova ha sottoposto al Garante un progetto per l’installazione di un sistema di tele-sorveglianza in alcune zone della città, al momento basato su dodici telecamere. Alcune telecamere (quattro) effettuerebbero rilevazioni a fini statistici e di studio degli accessi dei veicoli al centro storico e nelle zone a traffico limitato, mentre altre otto telecamere verrebbero utilizzate per finalità di controllo a distanza “con funzioni di prevenzione e repressione di attività illecite”. Per gli aspetti riguardanti l’installazione e l’esercizio di impianti per la rilevazione degli accessi di veicoli al centro storico e alle zone a traffico limitato, è stata introdotta una recente disciplina che prevede tra l’altro l’obbligo per i comuni interessati di munirsi di un’autorizzazione rilasciata dal Ministero dei lavori pubblici-Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale ( DPR 22/6/1999 n.250). Tale regolamento prevede inoltre che gli impianti debbano essere utilizzati per raccogliere dati riguardanti il luogo, il tempo e l’identificazione dei veicoli che accedono al centro storico o nelle zone a traffico limitato, rilevando immagini solamente in caso di infrazione. Il regolamento prevede altresì che la documentazione con immagini sia utilizzata per le sole finalità di applicazione del 51 Parere del Garante del 17 febbraio 2000 95 regolamento medesimo e sia conservata solo per il periodo necessario alla contestazione dell’infrazione, all’applicazione della sanzione ed alla definizione dell’eventuale contenzioso, salva l’eventuale ulteriore utilizzazione dei dati per esclusive finalità di polizia giudiziaria o di indagine penale. Il Comune di Mantova ipotizza una rilevazione sistematica di tutte le targhe dei veicoli transitati, con una verifica a posteriori per redigere una lista dei soggetti “sanzionabili” e una rilevazione anonima prevista solo in una fase successiva, per fini statistici e di studio. Come già ricordato in altri pareri, la legge 657/96 si applica ai trattamenti di immagini effettuati attraverso i sistemi di videosorveglianza, a prescindere dalla circostanza che le informazioni siano registrate in un archivio elettronico o eventualmente comunicate a terzi dopo la loro temporanea raccolta e conservazione attraverso circuiti di controllo. Per il rispetto degli obblighi e delle garanzie previste dalla legge 675/96 non è necessario, come già ricordato, che le persone vengano identificate in maniera chiara ed univoca, ma è sufficiente che i soggetti possano essere identificabili attraverso il collegamento, ad esempio, con altre fonti conoscitive quali foto segnaletiche, identikit o archivi di polizia contenenti immagini. Pertanto il Garante ribadisce : la necessità di individuare misure di sicurezza idonee ad assicurare un uso corretto dei dati da parte dei soggetti legittimati (art. 15 675/96 e DRP 318/99), nonché modalità volte a fornire agli interessati l’informativa prevista dall’art. 10 della 675/96; una limitazione delle modalità di ripresa delle immagini (memorizzazione, conservazione, angolo visuale delle telecamere e limitazione della possibilità di ingrandimento dell’immagine), anche al fine di assicurare il rispetto dei principi fondamentali fissati dall’art. 9 della legge 675/96, specie in ordine alla pertinenza e non eccedenza dei dati rispetto agli scopi perseguiti. Si segnala in particolare la necessità di una nuova verifica sulla liceità e pertinenza della raccolta di informazioni che sembrano prevedere un elevato livello di precisione e di dettaglio della 96 ripresa dei tratti somatici delle persone (sono infatti previsti “zoom e/o brandeggio motorizzato, con la conseguente possibilità di gestire al meglio l’inquadratura”), nonché sulla necessità di evitare riprese di persone presso gli impianti volti unicamente a prevenire le violazioni alle norme sulla circolazione stradale. Devono altresì essere ricordati i precisi limiti posti all’installazione di impianti audiovisivi dall’art. 4 della legge 20/3/70 n.300 (c.d. Statuto dei Lavoratori), nonché la necessità di evitare la ripresa sistematica di luoghi privati; l’individuazione dei soggetti legittimati all’accesso, alla custodia ed all’utilizzazione alle registrazioni anche all’interno dell’ente, escludendo dall’accesso le persone diverse dai responsabili e dagli incaricati. In proposito deve essere chiaramente esplicitato che, l’utilizzo dei dati personali da parte del Comune nell’attività di videosorveglianza, si colloca nella cornice normativa relativa allo svolgimento delle funzioni istituzionali e non è pertanto orientato alla raccolta e al trattamento di dati sensibili; una puntuale verifica e disciplina per quanto riguarda l’eventuale messa a disposizione delle registrazioni in favore di altri soggetti pubblici; l’indicazione del soggetto o della struttura cui il cittadino può rivolgersi per esercitare i diritti di cui all’art. 13 della legge 675/96; le modalità dell’eventuale riutilizzazione dei supporti magnetici una volta cancellate le registrazioni; la precisazione che ai fini dell’analisi dei flussi di traffico il trattamento è effettuato con modalità volta a salvaguardare l’anonimato, ma solo successivamente alla fase della raccolta giacchè le immagini registrate possono contenere dati di carattere personale. 97 Il 12 luglio 2000 si è svolto a Roma presso la Sala del Cenacolo il seminario organizzato dal Garante per la protezione dei dati personali dedicato a “Videosorveglianza tra sicurezza e riservatezza”52 . Il seminario ha permesso di operare una prima riflessione sullo sviluppo in Italia di tecniche e apparecchiature di videosorveglianza, e di richiamare l’attenzione sull’esigenza di individuare alcune regole che, aggiungendosi a quelle già previste dalla legge 675/96 applicate dal Garante in numerose occasioni, permettano di trovare un più preciso equilibrio tra esigenze di sicurezza pubblica e privata e il diritto alla riservatezza dei cittadini. Aprendo i lavori del seminario Giuseppe Santaniello, vicepresidente del Garante per la protezione dei dati personali, ha affermato che “assicurare un’ adeguata protezione della riservatezza dei cittadini non è solo una questione legata all’emanazione di norme a forte connotazione democratica e sociale, quanto alla creazione di un clima giuridico complessivo, alla piena consapevolezza dei diritti dei cittadini, in una parola è una questione di cultura”. Santaniello ha posto l’attenzione sulla necessità di trovare un corretto bilanciamento tra esigenze di sicurezza e di controllo anticrimine con il diritto dei cittadini a difendere la loro sfera privata e la loro libertà. Per raggiungere questo obiettivo, occorre definire una “cornice di norme non cristallizzate, ma poste al passo con la continua innovazione tecnologica e legate ai sistemi legislativi di matrice anglosassone che integrano forme flessibili di autoregolamentazione. Nel seminario sono stati presentati i risultati di una prima indagine realizzata dal Garante per la protezione dei dati personali in collaborazione con un’ agenzia specializzata, sul fenomeno della videosorveglianza in Italia. Occorre ricordare che per dati personali la legge 675/96 intende non solo l’immagine e la registrazione della voce, ma anche quelle informazioni che consentono di individuare con certezza la persona, 52 www.privacy.it newsletter del 18/7/2000 98 quindi anche le caratteristiche biometriche quali le impronte digitali, la geometria del viso o della mano, il disegno dell’iride 53. L’indagine condotta tra il 20 marzo ed il 20 maggio 2000, ha avuto lo scopo di fornire una valutazione preliminare circa la presenza dei sistemi di videosorveglianza visibile esterna, nei luoghi pubblici di alcune città italiane : Milano, Verona, Roma, Napoli.54 Più specificatamente, si è trattato di uno studio pilota volto a fornire, attraverso i dati raccolti, alcune indicazioni sulla presenza di tali strumenti nel nostro paese e, quindi le basi per una ricerca successiva, di più ampio respiro, destinata alla misurazione esaustiva del fenomeno ed alla valutazione del suo impatto ambientale. Il campo dell’indagine è costituito dalle zone centrali e semicentrali di Milano, Roma, Napoli e Verona. Le prime tre città sono state scelte in rappresentanza del Nord, del Centro e del Sud, mentre Verona è stata eletta rappresentante della ricca provincia italiana del nord-est, in quanto ritenuta una spia indicativa della tendenza, in atto in quell’area, all’uso della videosorveglianza come mezzo per tutelare l’ordine pubblico. Data la dimensione esplorativa della ricerca, nell’ambito di ciascuna città, si è optato per un campionamento a scelta ragionata; in altri termini, sono stati selezionati alcuni itinerari in qualità di “casi tipici” del centro commerciale, storico, politico (nel caso di Roma) e residenziale di ciascun ambito cittadino, all’interno dei quali è stato rilevato il numero di videocamere presenti, che sono state assunte ad unità di analisi. Sono state oggetto d’ indagine tutte le videocamere esterne e visibili che riprendevano le strade e le piazze campionate. Pertanto, anche nei casi di videocamere interne a recinzioni, ma rivolte verso l’esterno, o presenti nelle strade adiacenti a quelle percorse, ma rivolte verso queste ultime, si è proceduto alla rilevazione. I dati emersi dalla ricerca, pur rappresentando una prima stima a carattere esplorativo, mostrano in maniera inequivocabile il grado di massiccia diffusione di installazione di telecamere in luoghi pubblici, 53 C. MANGANELLI, Occhi Elettronici, relazione presentata al Seminario del Garante il 12/7/2000, già citato 54 La videosorveglianza esterna visibile: una panoramica su quattro città- Indagine esplorativa, presentata al Seminario del Garante il 12/7/2000 a Roma, www.garanteprivacy.it 99 abitazioni, amministrazioni pubbliche, esercizi commerciali, banche con differenti dimensioni, diverso grado di visibilità e di collocazione dal suolo. Tra zone centrali e semi centrali rilevate, a Roma sono state individuate 726 telecamere, 213 a Milano, 89 a Napoli e 67 a Verona per un totale di 1095 installazioni. Le zone più telesorvegliate, e cioè con la maggiore concentrazione di videocamere, sono risultate essere, anche in ragione delle differenti esigenze di protezione rispetto ai luoghi e agli edifici presenti: a Roma, la zona intorno alla stazione Termini con 106 telecamere, pari al 14,6% del totale rilevato nel campione: in particolare, via XX Settembre (43), via Marsala (39), Piazza dei Cinquecento (31); a Milano, Corso Sempione (19), Corso di Porta Vittoria (12),Corso di Porta Romana (10); a Napoli, Piazza del Plebiscito (10), e Piazza Garibaldi (8); a Verona, Corso Cavour (8), Stradone di Porta Palio (7), via Carmelitani Scalzi (6). I luoghi più vigilati, oltre agli istituti di credito e finanziari, sono risultati essere a Roma le istituzioni pubbliche, a Milano le aziende private, a Napoli i commissariati ed i comandi di polizia, a Verona le caserme. Ad eccezione di Milano, dove le telecamere sono equamente distribuite tra zone centrali e semicentrali, si è riscontrata una maggiore concentrazione di meccanismi di controllo video nelle aree poste al centro delle città. La posizione delle telecamere risulta essere nella maggioranza dei casi ad altezza portone e di visibilità alta. Non sono mancati durante la rilevazione casi originali di dissimulazione, quali la telecamera inserita in un foro nel muro di una caserma a Napoli, oppure, due telecamere simili ai faretti, poste all’entrata di un hotel a Roma e, sempre nella capitale, una telecamera su una recinzione, nascosta sotto le foglie di una pianta rampicante o, 100 ancora, una telecamera su un palazzo d’epoca a Verona, apparentemente di marmo, per mimetizzarsi meglio sulla facciata dello stesso. Queste osservazioni, unite ai dati illustrati precedentemente, mettono in risalto la totale mancanza di regole al riguardo: i casi in cui è giustificata la presenza di un impianto di videosorveglianza; la quantità e tipologia di telecamere che si possono installare; la necessità di avvisare della presenza di sistemi di videosorveglianza; la necessità del rispetto di canoni estetici nell’installazione di tali dispositivi. Occorre pertanto da parte dello stato predisporre un corpo di norme quadro che fissi degli standard in quanto con la crescente domanda di sicurezza e giustizia da parte dei cittadini servono delle norme adeguate e flessibili in grado di essere aggiornate al variare della innovazione tecnologica. 5.2. - VIDEOSORVEGLIANZA E SICUREZZA: ESPERIENZE EUROPEE In Europa, l’interesse ad installare sistemi TVCC è mosso dal bisogno di sicurezza e prevenzione, del traffico come della criminalità55. Negli Stati Uniti questi strumenti sono usati sempre di più negli spazi privati, anche bagni e docce, per spiare i propri dipendenti, con la scusa che i bagni sono gli spazi in cui si assumono droghe, diminuendo così l’efficienza sul lavoro. Né possiamo altresì ignorare che sta diffondendosi sempre più liberamente l’uso della Webcams, spesso installate senza la consapevolezza dei soggetti inquadrati e l’ultima moda sembra essere la diffusione in Internet di inquadrature delle spiagge alla moda. 55 C. MANGANELLI, Occhi Elettronici, op. citato 101 La miniaturizzazione sempre crescente delle videocamere, la loro capacità di operare anche in condizioni di scarsa illuminazione o giovarsi di sistemi di illuminazione ad infrarossi, rendono sempre più interessanti queste tecnologie ai fini della prevenzione del crimine e all’individuazione dei colpevoli. All’estero, noi ci troviamo con paesi privi di regolamenti es. l’Inghilterra, ed altri fortemente regolamentati, come ad esempio la Francia56. La situazione inglese In Inghilterra, il Data Protection Act è entrato in vigore nel 1984. In Inghilterra gli impianti di ripresa televisiva sono sempre più diffusi, ed una recente statistica permette di classificare l'Inghilterra come paese europeo con il più alto numero di impianti televisivi istallati a copertura di luoghi pubblici, dalle stazioni ferroviarie, agli aeroporti, alle stazioni della metropolitana, ai grandi centri commerciali ed ad aree urbane in generale. L'entusiasmo dei pubblici amministratori locali inglesi è tale che sono perfino sorte delle voci preoccupate su questi occhi elettronici, che tutto vedono e registrano. D'altro canto, le statistiche hanno confermato in modo inoppugnabile che l'installazione di impianti di video sorveglianza ha un benefico effetto sulla riduzione degli indici di criminalità ed in più casi ha permesso di ricostruire eventi delittuosi. Si ricorda, tra gli altri, la tragica vicenda di un bimbo a Coventry che per mano di due piccoli amici è stato ucciso. I più grandicelli vennero inquadrati e riconosciuti grazie alle telecamere di sorveglianza del centro commerciale, ove si è verificato l'atto criminoso. Il pubblico è in generale in favore di questi impianti, che gli offrono più un senso di tranquillità, che un timore di veder violata la propria privacy. 56 A. BIASIOTTI, La privacy nelle registrazioni audio e video: la esperienza francese ed ipotesi per quella italiana, Convegno Tecnobanca ’98, www.securcomp.com 102 La situazione francese I francesi hanno la più antica legge europea a tutela della privacy, la legge n. 78-17 del 6 gennaio 1978. Questa legge è gestita dalla Commission Nationale informatique et libertè (CNIL), che è quanto mai diligente nella sua applicazione. Essa tuttavia non si è mai occupata di tali impianti, sinché non è stata pubblicata la legge di orientamento e programmazione relativa alla sicurezza (legge di programmazione n. 95-73, il cui testo è stato pubblicato sul Journal Officiel del 21 gennaio 1995). L'articolo 10 del capitolo II° del titolo III° tratta specificamente di videosorveglianza, che per la prima volta viene inquadrata nei meccanismi di controllo che meglio garantiscono il rispetto dei diritti degli individui. La CNIL è stato coinvolto sin dall'inizio nella elaborazione di questa legge. E' però in caso di ricordare che nella sua annuale relazione al parlamento, la commissione ha fatto presente i gravi problemi che si pongono con le registrazioni audio e video, che certamente potrebbero violare la privacy degli individui, ove il loro utilizzo non fosse governato per legge. La legge di cui prima si è parlato è una legge tecnica, che esplicitamente esclude il fatto che gli impianti di ripresa e sorveglianza televisiva possano ricadere nell'ambito del campo di intervento della CNIL. Tuttavia, a leggere attentamente le disposizioni di legge, si ha la netta sensazione che questa prescrizione sia stata introdotta per evitare di rendere troppo impegnativa la gestione di questi impianti, mentre in realtà molte delle prescrizioni di legge sono talmente vicine a quelle caratteristiche di una legge sulla tutela della privacy, che sembra quasi incidentale il fatto che questi impianti non ricadono appunto sotto la legge della privacy, anziché sotto la legge che mira a tutelare la sicurezza dei luoghi pubblici. Come si vedrà in prosieguo di relazione, e meglio ancora dalla attenta lettura della circolare del 22 ottobre 1996, relativa alla applicazione dell'articolo 10 della legge numero 95-73 del 21 gennaio 103 1995, le prescrizioni sono talmente simili da far trovare l'unica significativa differenza nel fatto che incaricata della applicazione della legge è una commissione apposita costituita presso la prefettura, anziché la già menzionata CNIL. Questa legge non è propriamente un testo di regolamentazione ad uso dei professionisti della video sorveglianza, perché interessa in primo luogo le forze dell'ordine. Ma gli operatori di telesorveglianza devono tenerne conto, perché essa inquadra in modo ufficiale una pratica già largamente diffusa nel settore pubblico e nel privato. Questo testo analizza la messa in opera dello videosorveglianza da parte delle autorità pubbliche e private al fine di garantire specificamente: "la protezione degli edifici e delle installazioni pubbliche e della difesa nazionale, la regolazione del traffico stradale, la constatazione di infrazioni alle regole della circolazione stradale, la prevenzione di attacchi alla sicurezza di persone e di beni". La videosorveglianza è pertanto autorizzata in aree aperte al pubblico, ma l'installatore e l'utilizzatore sono obbligati ad applicare alcune regole di diritto, per inquadrarsi perfettamente nei dettati di legge. Le operazioni di videosorveglianza non possono visualizzare. Infine, l'installazione deve ricevere un'autorizzazione prefettizia. I sistemi esistenti attualmente dovranno essere assoggettati ad una dichiarazione equivalente ad una domanda di autorizzazione57. La situazione in Francia è ora sotto controllo, anche se gli adempimenti relativi sono risultati piuttosto fastidiosi per gli enti coinvolti. Gli esercenti si sono adeguati, le banche hanno messo in bella mostra il cartello richiesto dalla legge ed hanno modificato le modalità di conservazione dei nastri o dei supporti magnetici registrati. Il posizionamento delle telecamere è stato modificato in modo da rispettare il dettato di legge. 57 In APPENDICE pag. 138 il testo di legge 104 Una banca inglese, la National Building Society, ha aperto il primo sportello automatico dotato di un sistema d’identificazione dei clienti basato sul riconoscimento dell’ iride. Malgrado l’accuratezza nel riconoscimento, la diffusione dell’ applicazione soffre di poco gradimento da parte della clientela, che teme per l’incolumità di una parte molto sensibile come gli occhi: per questo è in atto uno sviluppo tecnologico che sia in grado di leggere e individuare il tracciato dell’iride da distanze sino a tre metri. Ma occorre riflettere sui rischi connessi alla diffusione di queste tecnologie: l’abitudine a ricorrervi potrebbe generare, nei gestori che le utilizzano il desiderio a conseguire qualche risultato in più dalle informazioni così raccolte e trattate. Se si indaga tra le ipotesi di utilizzo che la NCR, uno dei leader mondiali degli sportelli automatici, che sta sperimentando questa tecnologia per accrescere la sicurezza delle transazioni e combattere le frodi, si rileva l’intenzione di accrescere ulteriormente i plus della nuova generazione di sportelli intelligenti che collegandosi ai grandi database centrali delle banche, dovranno essere in grado d’inviare informazioni personalizzate ai clienti. Ad esempio, riconoscendo con certezza una persona che deposita abitualmente la stessa cifra e rilevando in un certo giorno un deposito più consistente, lo sportello intelligente potrebbe proporgli forme d’investimento o assicurazioni; ancora, considerando che applicazioni di lettura e analisi dell’iride si stanno conducendo in medicina, al fine di individuare predisposizioni a determinate patologie e prevenirle, potrebbe nascere presso le imprese finanziarie o assicurative che adottano rilevatori biometrici dell’iride per riconoscere senza errore la propria clientela, il desiderio di interpretare anche i segnali di natura sensibile per risalire a stati sanitari o consentire la valutazione di predisposizioni patologiche: i dispositivi di riconoscimento biometrico non possono divenire occasione per una raccolta eccedente e non pertinente con le funzioni che si intendono assolvere con la loro installazione. Non è certo pertinente un eventuale trattamento che, partendo dalle caratteristiche biometriche possa far risalire a stati sanitari o consentire la valutazione di predisposizioni patologiche per una eventuale analisi 105 dei rischi da erogazione del credito, sconfinando così pericolosamente nel campo del trattamento dei dati sensibili. Ciò, se attuato, equivarrebbe ad una forzosa schedatura dei cittadini. In molte nazioni che stanno conducendo progetti basati su queste tecnologie, sono nate ragionevoli preoccupazioni sui rischi alla riservatezza che ne possono derivare: innanzi tutto la preoccupazione che si stia procedendo sempre più verso una sorta di disumanizzazione dell’individuo ed una sua riduzione a sequenze di informazioni digitali; poi il timore che soluzioni tecnologiche di questo genere contribuiscano ad accrescere il potere di controllo, da parte dello Stato e dei grandi gruppi finanziari, sui singoli infine che l’evoluzione verso una società in cui la burocrazia è assistita e pilotata dalle tecnologie piuttosto che da un governo di rappresentanti eletti dai cittadini, consentirà vie di fuga dal controllo solo alle classi più ricche e più potenti, squilibrando i rapporti sociali e rafforzando le occasioni di frodi e crimini informatici. In Germania, Spagna e Francia esiste una normativa apposita per le installazioni nei luoghi pubblici: ad esempio in Francia i progetti di installazione debbono essere presentati ad appositi uffici, completi delle informazioni relative al numero di telecamere da installare, gli angoli di brandeggio e i valori di zoom, la tipologia di raccolta delle registrazioni e la durata di conservazione delle immagini; in funzione delle motivazioni di registrazione gli uffici competenti, a livello di prefetture , rilasceranno le autorizzazioni o suggeriranno le modifiche da apportare. La 59ma Conferenza delle Autorità tedesche per la protezione dei dati a livello federale e regionale si è tenuta ad Hannover il 14 e 15/3/200058. Burckhard Nedden, presidente in carica della Conferenza, ha dichiarato che “le autorità di protezione dati della Germania vedono rischi per la tutela dei dati personali soprattutto nell’impiego sempre più diffuso di videocamere in luoghi pubblici, ed in considerazione delle molteplici forme di sorveglianza del libero flusso di telecomunicazioni”. 58 Rischi e limiti della videosorveglianza: la risoluzione approvata dalla 59ma conferenza delle autorità tedesche per la protezione dei dati, www.privacy.it 106 Lo sviluppo tecnologico rappresenta una grande sfida, ma anche una grande occasione per la protezione dei dati. La diffusione di Internet sta creando in misura crescente la figura dell’utente “di vetro”, e fra i consumatori c’è una forte sensibilizzazione rispetto agli strumenti per tutelarsi contro gli abusi dei propri dati su internet. Nella conferenza è stato trattato anche il tema della videosorveglianza, i cui rischi e limiti sono stati evidenziati dalle autorità di protezione dei dati attraverso un’apposita risoluzione. In essa si rileva che l’utilizzo di videocamere per scopi di sorveglianza è sempre più frequente. In aeroporti, stazioni, gallerie commerciali, grandi magazzini o presso sportelli bancari o in altri luoghi accessibili al pubblico, dovunque il cittadino è costretto a fare i conti con la presenza di una videocamera che ne riprende ogni passo, di nascosto o meno. La Conferenza ha nuovamente sollecitato il ricorso su base diffusa alla videosorveglianza dei centri storici delle città nell’ambito della lotta alle attività criminali. Le autorità per la protezione dei dati dubitano che ciò consenta effettivamente una riduzione apprezzabile del numero di reati, anziché dar luogo più semplicemente allo spostamento delle attività criminali in altre aree. Ad ogni modo, non si tiene sufficiente conto del fatto che alla videosorveglianza sono legati rischi particolari per il diritto all’autodeterminazione informazionale e alla libera circolazione nei luoghi pubblici. Le autorità per la protezione dei dati giudicano che sia necessario definire rapidamente per legge i requisiti giuridici e tecnici applicabili alla videosorveglianza. In Gran Bretagna l’utilizzo della videocamera per sorvegliare le strade è molto diffuso: il 95% delle città inglesi utilizza videocamere nascoste per sorvegliare interi tratti stradali59. E gli inglesi non ci vedono niente di male. Tutt’altro: secondo alcuni sondaggi, fra il 70 e il 90% dei cittadini britannici è favorevole alla videosorveglianza. 107 Il consenso viene promosso attraverso trionfalistici annunci sulla riduzione del numero dei reati dopo l’installazione di videocamere. In alcune città sembra che il numero dei reati sia sceso del 74%, mentre la percentuale di casi risolti è aumentata di un terzo. Si tratta di dati che appaiono un po’ esagerati; secondo una ricerca, il numero dei reati è sceso di appena il 20%. In Germania non sembrano essere disponibili studi approfonditi sull’utilizzazione di videocamere nell’ambito della prevenzione e repressione di attività criminali. Uno studio relativo all’utilizzo di videocamere sul piazzale antistante la stazione di Lipsia segnala una diminuzione dei reati che cadono sotto l’occhio della videocamera, ma il tasso di criminalità nel suo complesso è rimasto identico. Soprattutto a Lipsia non si è riusciti a porre fine allo spaccio di stupefacenti con l’ausilio della videosorveglianza, quando proprio questa era la finalità per cui si è deciso di installare videocamere sul piazzale della stazione. E’ vero che lo spaccio non avviene più sul piazzale, ma si è semplicemente spostato in altre zone della città non sottoposte a sorveglianza. L’obiezione che i tutori della privacy muovono all’impiego della videosorveglianza di strade e luoghi pubblici su base diffusa e permanente è che essa costituisce una sorta di pedinamento continuo con effetti psicologicamente devianti, tali da trasformare cittadini consapevoli e autonomi in altrettanti ipocriti che vivono nel conformismo e nel terrore costanti. Questi rischi sussistono soprattutto qualora non sia possibile prevedere chi sia sorvegliato e per quanto tempo vengano conservate le immagini registrate. La polizia è favorevole alla videosorveglianza, con alcune limitazioni. Secondo il capo della Polizia di Wiesbaden, le videocamere da sole non sono in grado di arginare la criminalità. Né sarebbe utile avere telecamere nascoste dappertutto, perché non ci sarebbe un numero sufficiente di poliziotti per controllare le riprese e 59 La Telecamera da sola non serve a nulla, www.privacy.it 108 intervenire sul posto qualora le immagini mostrassero atti vandalici compiuti da adolescenti, aggressioni o spaccio di stupefacenti. Per dirla con il capo della polizia, videocamere non sorvegliate garantiscono solo finta sicurezza. Incurante di questi moniti, la maggioranza dei tedeschi si dice favorevole all’impiego di videocamere su strade e piazze pubbliche. 5.3 - IL TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI PER RAGIONI DI GIUSTIZIA Giuseppe Santaniello, vicepresidente del Garante per la protezione dei dati personali, è intervenuto al convegno su “Privacy e Giustizia” Forum P.A. 2000, trattando il tema sul trattamento dei dati personali per ragioni di giustizia60. Il nucleo tematico del convegno va collocato nel quadro dei rapporti di bilanciamento intercorrenti tra la tutela della riservatezza e altri diritti costituzionalmente protetti. La legge base 675/96 prevede molteplici situazioni in cui viene in rilievo il raccordo fra valori concorrenti che convergono verso un comune punto di intersezione. Ciò si verifica ad esempio in relazione all'esigenza di bilanciare il diritto alla vita privata con la libertà di manifestazione del pensiero, diffuso attraverso i mezzi di informazione, o di armonizzare l'attività sanitaria, rivolta alla tutela della salute, con l'osservanza dei limiti connessi alla protezione della privacy, o di coordinare la ricerca storica e scientifica con determinati fattori di protezione della sfera privata. Ed una delle situazioni più rilevanti, data l'importanza dei valori giuridici in gioco, riguarda la ricerca del giusto equilibrio fra i trattamenti di dati rivolti a finalità di giustizia e i principi basilari di tutela della sfera privata. È da notare che tale specifica esigenza di raccordo connessa all'ambito funzionale della privacy ha trovato risalto nel documento conclusivo della recente indagine conoscitiva, svolta dalla Commissione 60 G. SANTANIELLO, Il Trattamento dei dati personali per ragioni di giustizia, www.privacy.it 109 affari costituzionali della Camera dei Deputati in tema di autorità indipendenti. Da questa relazione emerge che la tutela della riservatezza non é a carattere settoriale (come avviene in altri campi quali, ad es. quello dei servizi di pubblica utilità o della libertà di mercato), ma si connota con carattere trasversale, in quanto non riguarda una cerchia di categorie di soggetti bensì si estende in relazione alla generalità dei cittadini e alla moltitudine delle aree di attività economico-sociale. Anzi la Commissione affari costituzionali distingue fra autorità di garanzia con vocazione monista, cioè rivolte alla salvaguardia di una delimitata area di interessi giuridici, ed autorità con vocazione intersettoriale, tra cui quella di garanzia della riservatezza. Inoltre, tornando al punto specifico del raccordo tra i valori concorrenti, va osservato come il contemperamento tra riservatezza e altre situazioni costituzionalmente garantite si configuri non secondo uno stampo giuridico unitario, bensì composito e articolato, in guisa da influenzare la misura e le modalità del bilanciamento stesso. Dal testo della legge 675/96 si ricava una nozione del diritto alla riservatezza multiforme, in quanto esso si conforma come un diritto a consistenza concentrica, al cui centro si colloca la categoria dei dati sensibili, che costituiscono il nucleo duro del diritto alla privacy. Tale configurazione geometrica comporta una graduazione di tutela offerta a seconda del contenuto dei dati con la conseguente variabilità di strumenti e di livelli di intervento. Sicché in rapporto al diverso grado di riservatezza dei dati (se ordinari o sensibili) bisogna verificare se sussistano altri diritti o interessi meritevoli di pari o superiore tutela. Secondo una formula dottrinale, non vi é una sola categoria di privacy, ma una costellazione di diverse categorie della riservatezza. In siffatto polimorfismo, ad esempio si diversifica la tutela della riservatezza, sia a seconda che i trattamenti provengano da soggetti privati o da soggetti pubblici e sia in relazione ad una vasta tipologia dei dati personali, in base alla quale si differenzia la privacy inerente ai dati sanitari da quelli giornalistici o da quelli del settore bancario, od assicurativo, o del settore della ricerca storica e scientifica. 110 Ciò premesso, non vi é dubbio che al trattamento dei dati personali per finalità di giustizia spetti un regime giuridico particolare, così come é stabilito dal legislatore della 675/96. La quale si pone in sintonia con le leggi di altri paesi europei, spirate al principio di riservare regole particolari al trattamento di dati personali per ragioni di giustizia o per finalità della lotta Anticrimine. Va ricordato che le basi della legislazione tedesca in materia, si ritrovano nella legge federale per la protezione dei dati personali, nonché nelle leggi emanate dai Lander federali per quanto di loro competenza. In tali normative sono previsti limiti al diritto all’informazione nei confronti delle attività delle autorità preposte a compiti di lotta contro la criminalità. In riferimento alla Gran Bretagna, il Data Protection Act emanato nel 1984 esclude dal diritto di accesso i dati relativi alla prevenzione e alla punizione di crimini. La legge spagnola dichiara inapplicabili le norme generali inerenti alla raccolta dei dati personali, quando l’informazione agli interessati riguarda la sicurezza pubblica o il perseguimento di infrazioni penali. La legge francese del gennaio 1978, nel ribadire i principi costituzionali di salvaguardia dei diritti umani, della vita privata e delle libertà individuali, riserva tuttavia esclusivamente ai servizi pubblici competenti i dati relativi a infrazioni di carattere penale e concede agli interessati solo un accesso indiretto (tramite CNIL) ai dati relativi alla pubblica sicurezza. Ed ora, tornando alla nostra legge 675/96, si osserva che la regola base, racchiusa nella lettera d) dell'art.4, fa esplicito riferimento al trattamento di dati effettuato "per ragioni di giustizia nell'ambito di uffici giudiziari del Cons. Sup. della Magistratura e del Ministero di Grazia e Giustizia". Su tale norma si sono delineati anzitutto gli indirizzi interpretativi di carattere dottrinale, i quali su taluni profili hanno registrato una convergenza e su altri invece hanno manifestato posizioni di dubbio e di incertezza. Sicché può affermarsi che in proposito vi siano punti fermi e punti controversi. 111 Tuttavia si è formata una confluenza di opinioni sui seguenti profili: a) l'art.4 lett. d), esclude l'applicabilità di questa legge ai trattamenti effettuati per ragioni di giustizia nell'ambito di uffici giudiziari, del C.S.M. e del Ministero della Giustizia; e la successiva lettera e) estende l'esclusione medesima anche ad "altri soggetti pubblici per finalità di difesa e di sicurezza dello Stato o di prevenzione, accertamento o repressione di reati". E' da notare che gli uffici giudiziari sono richiamati in connessione col C.S.M. e il Ministero della Giustizia, che costituiscono rispettivamente l'organo di autogoverno e l'autorità politicoamministrativa dotata di poteri della azione disciplinare, e di organizzazione e funzionamento dei servizi relativi alla magistratura ordinaria. In tale ambito, l'espresso riferimento alle ragioni di giustizia restringe l'operatività della norma alle attività di carattere propriamente giudiziale o a queste strumentalmente e strettamente connesse, con conseguente esclusione di quelle di tipo amministrativo dagli stessi organismi pure svolte; b) inoltre, quanto agli uffici giudiziari, si è posto il problema se con tale locuzione il legislatore abbia inteso fare riferimento agli uffici della giurisdizione ordinaria ovvero anche agli organi di giustizia amministrativa, contabile, tributaria etc. Un'interpretazione non meramente letterale, ma sistematica induce a privilegiare una lettura della norma, comprensiva di ogni giurisdizione; c) l'esigenza di evitare l'indiscriminato ampliamento del campo precettivo della lettera e) legittima la conclusione che tale disciplina particolare non é suscettibile di applicazioni per analogia o per interpretazione estensiva, sicché va riferita soltanto ai reati e non anche agli illeciti amministrativi; d) inoltre é opinione ampiamente condivisa (cfr. S. Pardini, Losano-Zeno Zencovich, G. Conte) che le disposizioni sulla sicurezza 112 dei dati, enunciate nell'art. 15 della legge n. 675, siano valevoli anche per i trattamenti pubblici in materia di giustizia, nonché di polizia e di difesa e sicurezza dello Stato. Invero le misure di sicurezza sono coessenziali a qualsiasi tipo di trattamento di dati, in quanto sono finalizzate ad evitare il rischio della loro distruzione o perdita, anche accidentale nonché il pericolo di accessi non autorizzati. Dunque può affermarsi che in linea generale le esigenze connesse alla tutela dell'interesse della giustizia sono ritenute, dall'ordinamento, meritevoli di una tutela prioritaria rispetto a qualunque altro interesse. E in tale prospettiva problemi di compressione del diritto alla riservatezza si ravvisano tanto in relazione al processo penale quanto in area extrapenale, anche se ovviamente nel primo ambito la preminenza degli interessi giustiziali é assai più evidente e più consistente. Tuttavia anche nel processo civile emergono, pur se con minore rilievo, alcuni nodi problematici. La dottrina si é occupata poco di tale questione; tuttavia va segnalato un accurato studio di Maria Panetta, avente ad oggetto il processo civile, che pone in risalto come la fase in cui legittimamente si verifica tale compressione é rappresentata in generale dall'istruzione probatoria. E in particolare l'autrice rileva, in riferimento alla produzione di documenti nel giudizio civile, che mentre non si pone alcun problema di violazione della privacy in relazione alle scritture pubbliche, questioni di lesione della altrui riservatezza possono sorgere qualora siano prodotte in giudizio scritture private o altre prove documentali. Non solo le elaborazioni della dottrina sono valse a sciogliere taluni nodi problematici, ma anche le decisioni del Garante hanno contribuito alla chiarificazione di punti controversi. L'organo di garanzia non é intervenuto ex officio, ma a seguito di quesiti oppure di istanze formulate sia da soggetti pubblici che privati. Nel rispondere a una serie di quesiti proposti dal C.S.M., esso ha rilevato l'esigenza di individuare la tipologia dei molteplici trattamenti effettuati dal Consiglio, poiché si impone una suddivisione tra le strutture connaturate strettamente all'attività giudiziaria e quelle solo indirettamente funzionali a quest'ultima. 113 Sicché i trattamenti riconducibili al secondo tipo devono osservare le prescrizioni applicabili alle comuni attività poste in essere dalle pubbliche amministrazioni. E per quanto concerne l'adozione delle misure di sicurezza dei dati, il C.S.M. é tenuto al rispetto degli obblighi di cui all'art. 15 della legge 675. Di notevole rilievo é la fattispecie di un interessato che ha prodotto ricorso ai sensi dell'art. 29 della legge 675, lamentando che alcuni dati relativi alla sua abitazione e ai soggiorni alberghieri suoi e di familiari, figuravano agli atti di un'indagine penale alla quale essi erano estranei, e che erano stati, poi, pubblicati su organi di stampa. Al riguardo il Garante ha osservato che anche agli uffici giudiziari sono applicabili, in base all'art. 9 della legge 675, i principi di pertinenza e di non eccedenza dei dati trattati. Particolare attenzione ha destato nell'opinione pubblica un'altra vicenda, nella quale erano state diffuse dalla polizia giudiziaria alcune informazioni (dati anagrafici, fotografie e ospedale di ricovero) relative ad una prostituta risultata sieropositiva. L'organo di garanzia ha deciso, anche con riferimento alle norme della legge 135/1990 (le quali esigono una particolare cautela per le informazioni relative ai casi di AIDS), che nella specie gli organi investigativi avrebbero dovuto individuare modalità più consone ai principi di pertinenza e di non eccedenza dei dati trattati. Nel rispondere ad un quesito posto dal Consiglio di Stato, si é avuta occasione di precisare che, fra le disposizioni non abrogate dalla legge 675 vanno ricomprese anche le norme riguardanti la conoscibilità del calendario dei processi, della pubblicità delle udienze e degli esiti dei giudizi, nonché quelle concernenti l'accesso ai registri giudiziari e l'estrazione di copia degli atti processuali, vertendosi in una materia che resta prevalentemente regolata dai codici e da altre normative processuali. E inoltre é stato chiarito che sono da ritenere applicabili anche al processo amministrativo e a quello contabile le cautele richieste nella notifica degli atti del processo a garanzia della riservatezza della persona interessata. Ed ora un profilo conclusivo. 114 In base alle considerazioni svolte, il nucleo tematico dei trattamenti per ragioni di giustizia presenta molti punti chiari, ma residuano anche molti nodi problematici da sciogliere. È auspicabile che, nella prospettiva di ulteriori interventi normativi rivolti a integrare la legge-base 675/96, vi sia una ricognizione puntuale dei trattamenti medesimi. In una materia in continua evoluzione ed espansione, nel ritmo incessante delle nuove generazioni di diritti, vi é l'esigenza di produrre norme capaci di corrispondere alle istanze della società e ai valori dell'ordinamento. Esempio di richiesta di parere al Garante da parte della Società Alitalia SpA per chiarimenti in ordine alla applicabilità della legge 675/96 ad alcune richieste di informazioni sui dati dei passeggeri dei voli aerei, formulate in relazione a indagini penali o ad altre attività di accertamento amministrative o tributarie61. Il Garante al riguardo scompone le richieste in quanto per alcune non è chiara la base giuridica, mentre per altre vi è l’obbligo: a) richieste relative ad attività di indagine di polizia giudiziaria Le richieste di dati personali per esigenze di polizia giudiziaria, sono riconducibili ai trattamenti disciplinati dall’art. 4 della legge n. 675/1996 ("Particolari trattamenti in ambito pubblico"). A tali trattamenti, che riguardano alcuni rilevanti interessi pubblici in materia di giustizia, sicurezza nazionale, sicurezza pubblica, ecc., il legislatore ha riservato una disciplina particolare; norme specifiche dovevano essere peraltro dettate da un decreto legislativo previsto, in materia, dalle leggi di delega nn. 676/1996 e 344/1998, e potrebbero essere introdotte ove tale delega sia nuovamente conferita dal Parlamento. Le richieste cui fa riferimento codesta Società si collegano a trattamenti effettuati "per ragioni di giustizia, nell’ambito di uffici giudiziari", quando siano formulate nell’ambito di attività delegate dall’autorità giudiziaria (art. 4, comma 1, lett. d) l. 675/1996 e art. 370 del codice di procedura penale); possono invece riguardare trattamenti 61 Parere del Garante del 6 ottobre 1999 115 "per finalità di prevenzione, accertamento o repressione dei reati, in base ad espresse disposizioni di legge che prevedano specificamente il trattamento", quando derivino da un’attività investigativa o d’indagine di iniziativa degli organi di polizia (art. 4, comma 1, lett. e) e artt. 347 e ss. cpp). Per quanto riguarda la protezione dei dati, ai trattamenti in questione si applicano, al momento, solo le disposizioni della legge n. 675/1996 indicate al comma 2 del medesimo articolo 4, fra le quali non è ricompreso l’articolo 20 (requisiti per la comunicazione di dati da parte di soggetti privati) cui fa riferimento codesta Società. Ne consegue che, in presenza di richieste motivate da esigenze di indagine di polizia giudiziaria, ad esse deve darsi corso in base alle richiamate norme del codice di procedura penale, non ostandovi l’applicabilità della legge n. 657/96. Pertanto, con riferimento ai casi sottoposti all’attenzione di questa Autorità le richieste dei Comandi dei Carabinieri, del Nucleo regionale polizia Tributaria e della Questura appaiono legittime. Non risultano invece del tutto chiare le finalità per le quali sono state avanzate le richieste dalla Direzione regionale delle entrate per la Sardegna e dal Ministero delle Finanze. Va inoltre precisato che in base al medesimo comma 2 dell’art. 4, il principio di pertinenza dei dati (art. 9 della legge 675/96) trova applicazione anche ai trattamenti per finalità di polizia giudiziaria, sicchè, sotto questo aspetto, le richieste di informazioni (ferma restando la loro riconducibilità ad un’indagine in corso) dovranno, nei limiti del possibile, essere circostanziate sotto il profilo quanto meno oggettivo e, soprattutto, temporale (ad es.: circostanze di luogo, linee e numero dei voli). È invece opportuno che le richieste evidenzino meglio il loro riferimento ad una attività di polizia giudiziaria. b) richieste relative ad altre finalità istituzionali. Laddove non siano invece riconducibili all’esercizio di poteri di polizia giudiziaria (o, beninteso, alle altre funzioni indicate nell’articolo 4), alle richieste avanzate da pubbliche autorità per finalità istituzionali 116 si applica la disciplina generale prevista per i flussi informativi fra soggetti pubblici e privati (artt. 27 e 20, l. 675/96). In base al combinato disposto di tali norme, se da un lato i soggetti pubblici effettuano i trattamenti di dati necessari "per lo svolgimento delle funzioni istituzionali, nei limiti stabiliti dalla legge e dai regolamenti" (art. 27, comma 1), la comunicazione ad essi dei dati, da parte di privati, è consentita con il consenso dell’interessato, ovvero in presenza di alcuni presupposti equipollenti fra i quali il legislatore ha ricompreso "l’adempimento di un obbligo previsto dalla legge, da un regolamento o dalla normativa comunitaria" (art. 20, comma 1, lett. c). Le richieste avanzate dalla Direzione regionale delle entrate per la Sardegna e dal Ministero delle finanze, vanno esaminate alla stregua di tali disposizioni, in quanto in esse non è esplicitato se esse siano riconducibili ad attività di polizia giudiziaria. Ove si accerti la loro finalizzazione all’acquisizione di elementi utili per l’accertamento di violazioni di carattere penale, ad esse si applicherebbe la disciplina di cui all’articolo 4. Diversamente, ove si colleghino al perseguimento di violazioni a carattere amministrativo, poiché tale finalità non è ricompresa fra quelle elencate nella lettera e) del ripetuto articolo 4, si applicherebbe la disciplina generale della legge n. 675 alla quale si è fatto poc’anzi cenno. Pertanto, alle richieste in questione codesta Società è tenuta a dar corso, senza che si considerino ostative le disposizioni della legge n. 675 sulla tutela della riservatezza dei propri clienti, ove l’Amministrazione indichi nelle richieste disposizioni normative che prevedano l’obbligo di riferire all’ufficio o all’organo richiedente dati e notizie di terzi (art. 20, comma 1, lett. c), legge n. 675). Si fa riferimento, a titolo d’esempio, al potere dell’amministrazione finanziaria di "inviare ai soggetti che esercitano imprese….questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini dell’accertamento, anche nei confronti di loro clienti e fornitori" (art. 52, dPR 26 settembre 1972, n. 633, in materia di IVA), nonché al potere di "invitare ogni altro soggetto ad esibire atti o documenti fiscalmente rilevanti concernenti specifici rapporti intrattenuti con il contribuente e a fornire i chiarimenti relativi" (art. 32, dPR 29 settembre 1973, n. 600, in 117 materia di imposte dirette) e al relativo potere sanzionatorio (art. 11, comma 1, lett. a), d.lg. 18 dicembre 1997, n. 471). Quanto al rispetto del principio di pertinenza dei dati nei casi di specie, la documentazione inviata a questa Autorità non consente al Garante di verificare la correttezza della richiesta della Direzione regionale delle entrate; non è, invece, sicuramente, in linea con il medesimo principio di pertinenza la richiesta del Ministero delle finanze, in quanto essa contiene un generico riferimento "alle liste dei passeggeri in arrivo e partenza con voli Alitalia, Aeroporto C. Colombo". Va infine precisato che l’applicabilità della disciplina generale della legge n. 675/96 (fuori dei casi di cui al precedente punto a), può comportare l’obbligo dell’Amministrazione richiedente di fornire alla Vs. Società l’informativa in ordine al trattamento dei dati raccolti, ai sensi dell’articolo 10, comma 1, della stessa legge n. 675/96. Si tratta in questo caso dell’informativa alla persona presso cui i dati sono raccolti, che potrà essere peraltro "depurata" degli eventuali elementi "la cui conoscenza può ostacolare l’espletamento di funzioni pubbliche ispettive o di controllo" (art. 10, commi 1 e 2), ma dovrà contenere il riferimento alle finalità cui il trattamento è destinato; il che risponde ad un’esigenza di trasparenza anche sulla fonte normativa del potere esercitato. Nessuna informativa è, invece, dovuta al terzo interessato (il passeggero) ove per codesta Società sussista l’obbligo di ottemperare alla richiesta (art. 10, comma 3). Nel rimanere a disposizione per ogni eventuale chiarimento, questa Autorità invita le Amministrazioni in indirizzo a valutare l’opportunità di una diffusione della presente nota agli uffici ed organi interessati e alle forze di polizia per un utile orientamento sulle prassi da adottare, anche al fine di consentire ai destinatari delle richieste di informazioni di desumere più agevolmente la finalità istituzionale perseguita e (in modo particolare per le istruttorie amministrative o tributarie) il riferimento normativo che giustifica la richiesta. 118 CAPITOLO 6 ASPETTI GIURIDICI DELLE INDAGINI TECNICHE 6.1 LE PROVE NEL NUOVO CODICE DI PROCEDURA PENALE Nel procedimento penale la prova si concreta in qualsiasi mezzo utile per la decisione 62. Non vi è alcuna limitazione data la particolare necessità di interesse pubblico della ricerca della verità. Alle prove il nostro C.p.p. dedica il libro terzo (artt. 187-271). Le prove possono avere natura generica o specifica. Sono generiche quelle dirette all'accertamento dell'esistenza del reato, per indagare, per esempio, se la morte è avvenuta per fatto naturale o per un fatto dell'uomo; specifiche quelle dirette all'individuazione dell'autore del reato. Si è discusso a lungo e si discute ancora, nella dottrina processualistica ed in quella medico- legale, sul concetto di "prova", la quale può essere indifferentemente intesa sia come "mezzo di ricerca della prova" (ispezione, perquisizione, sequestro, intercettazione telefonica) e sia come "mezzo di prova" vero e proprio (perizie e consulenze tecniche, esperimenti giudiziali, ricognizioni, confronti, testimonianze, documenti, esami delle parti)63 . Altresì si disserta pure, sulla natura delle prove medesime, generalmente suddivise in prove generiche ed in prove specifiche, in prove dirette od immediate ed indirette o mediate, in prove attuali ed in prove storiche. Senza nulla togliere a mezzi istruttori rilevanti quali la testimonianza, la ricognizione, il confronto, si ritiene che ai fini del giudizio, il risultato della perizia tecnica (medico legale, balistica, immunoematologica, dattiloscopia, ecc.) assume un valore processuale molto più incisivo e determinante e soprattutto molto più affidante: 62 A. FAVATA, Dizionario dei termini giuridici, Ed. La Tribuna, 1990, p.346 P. ZANGANI, Le Prove nel Nuovo Codice di Procedure Penale Italiano, in Medicina Legale e delle Assicurazioni, Ed. Morano 1990, p.1220 63 119 basti pensare alla ben diversa capacità probatoria tra il riconoscimento del presunto assassino o del presunto rapinatore derivante da una ricognizione personale e, per converso, desumibile invece dalla perfetta corrispondenza delle impronte digitali, od anche dell'impronta genetica (DNA finger-print) fra le tracce biologiche repertate sul luogo del delitto o sul corpo della vittima e l'analogo materiale biologico prelevato all'indiziato o all'imputato. Certo, se la prova specifica e la prova generica concorrono ed armonicamente convergono, allora è chiaro che non sorgono situazioni processuali di dubbio o di particolare riflessione; ma quando si rilevi, invece, lo stridente contrasto tra l'uno e l'altro mezzo istruttorio, e comunque quando questi non risultano precisi e concordanti, non vi possono essere incertezze di sorta sulla maggiore o massima affidabilità dell'indagine tecnica, rispetto a quella "specifica". Fino a venti-trent'anni fa, le scienze forensi potevano dare un contributo solo relativamente modesto all'investigazione criminale ed all'indagine giudiziaria in genere: ed allora si può capire e giustificare una certa procedura forse troppo "inquisitoria" del passato, tendente a valorizzare i mezzi istruttori della prova specifica, le segnalazioni dei confidenti, degli informatori, dei pentiti, la ricerca protratta dei testimoni veri o presunti del fatto, la ricognizione, il confronto, ecc. Oggi le cose sono profondamente mutate: i progressi delle scienze criminalistiche, della polizia scientifica in genere e del laboratorio medico legale in specie, consentono non di rado un contributo determinante, in particolare nei delitti contro la vita e l'incolumità individuale e contro la libertà sessuale, con prove oggettive dirette ed immediate della colpevolezza o viceversa dell'innocenza. Nel processo accusatorio il tema della prova è tra i più impegnativi, per la grande importanza che la disciplina dei modi e degli strumenti di convincimento del Giudice assume nel sistema del nuovo processo penale. E ciò con peculiare riguardo pure alle prove generiche (e dunque anche tecnico-peritali), rispetto a quelle specifiche (ossia rispetto alle prove che sorgono da elementi oggettivi e richiedono l'altrui percezione, l'attività psichica altrui). 120 Non si tratta di contrapporre una verità tecnico-scientifico assoluta, dogmatica ed incontrovertibile, alla fallibilità, all'incertezza ed all'aleatorietà del principio relativo al libero convincimento del Giudice, qualora scarsamente vincolato alle regole sulla prova oppure basato esclusivamente o prevalentemente sugli elementi di prova specifica. Si tratta soltanto di affermare un principio ormai pacifico ossia che al cosiddetto "diritto alla prova" spetta forse il posto centrale, nella pratica quotidiana del processo penale; e che fra tutti gli elementi di prova, i dati tecnici sono certamente quelli meno incerti, meno fallaci e meno soggettivi. La cultura delle prove "generiche", oggettive, d'apprezzamento diretto ed immediato, comporta necessariamente la valorizzazione di quel formidabile "mezzo di prova" che è la perizia tecnico-scientifica; ma che quest'ultima, per risultare compiutamente "affidante" e processualmente rilevante, deve essere espletata nel rigoroso rispetto della più ortodossa metodologia medico-legale, sia cartesiana che sperimentale, e da periti veramente al di sopra d'ogni sospetto, per professionalità e deontologia. Spesso la scienza entra nelle aule di tribunale contribuendo al libero convincimento del Giudice; va però notato che spesso manca un controllo critico di queste prove scientifiche poiché le stesse vengono valutate da persone senza una specifica formazione tecnica (giudici, avvocati). Infatti non di rado i giuristi non sono al corrente delle potenziali imperfezioni di un metodo o di argomentazione scientifica specifica della criminalistica e non sono in grado di muovere obiezioni64. Altre volte le parti in un processo presentano perizie diametralmente opposte e lasciano ad una giuria di profani il compito di decidere la validità di argomentazioni scientifiche 65. Certo a dover decidere alla fine è il Giudice, che opera con il libero convincimento, ma sarebbe per lo meno discutibile respingere a priori tale genere di prove, perché non sono catalogate dal legislatore o in quanto potrebbero in teoria dar luogo a costruzioni artificiali, sicchè 64 F. TARONI, C. CHAMPOD, Riflessioni sulla valutazione della prova scientifica, in Giustizia Penale, III, 1993, p.249 65 L. CECCAROLI, Tesi di Laurea, op. cit., Tutti i riferimenti giuridici, da questo punto in avanti, sono stati desunti dalla tesi citata 121 occorre che tutti i magistrati, così come tutti gli altri operatori assumano un atteggiamento di grande umiltà, di grande disponibilità a ristudiare o meglio a scoprire dei nuovi settori. I magistrati sono entrati in Magistratura in una determinata epoca e devono passare da questa epoca ad un'altra in cui la conoscenza dell'informatica e della medicina legale tradizionale diventerà indispensabile nella prospettiva di realizzare un linguaggio comune, una intesa nel porsi gli obiettivi con gli operatori dei vari corpi di polizia66. La prova documentale è collocabile nel punto di frizione tra due opposti principi che regolano il processo penale e cioè il principio di immediatezza ed il principio di non dispersione degli elementi di prova. Da un lato il principio di immediatezza vorrebbe che la prova fosse formata soltanto in dibattimento e cioè con il pieno rispetto del contraddittorio e dell'oralità. Da un altro lato, vi sono pressanti esigenze pratiche che hanno imposto al legislatore di non perdere quegli elementi di prova che, raccolti prima del dibattimento, non possono più essere acquisiti in quest'ultimo in modo genuino. Il conflitto tra gli opposti principi è risolto dal codice configurando l'immediatezza come regola (art. 526 c.p.p.), rispetto alla quale si pongono come eccezioni le ipotesi di uso di prove precostituite, e cioè formate prima o fuori del dibattimento67. Ebbene i documenti si qualificano appunto come prove precostituite e pertanto si pongono come eccezioni alla regola dell'immediatezza. Ogni volta un impianto di videosorveglianza riprende un’ azione criminosa la Polizia Giudiziaria, che compie l'attività investigativa, sequestra la videocassetta quale documento costituente corpo del reato e la invia al giudice tramite il P.M. Spetterà a questo punto al Giudice verificare il grado di rassomiglianza tra il sospettato-indagato e il protagonista del filmato per trarne conseguentemente un risultato positivo che porterà alla condanna o uno negativo che porterà all'assoluzione; la questione sarà ancora più L. PERSICO, Profili processuali dell’identificazione di rapinatori ripresi da impianti televisivi a circuito chiuso,p.26, in Polizia Moderna suppl. n.1 -1998 67 P. TONINI, La prova Penale, III, Ed. CEDAM,1999,p.90 66 122 complessa se si constaterà che gli unici elementi raccolti a carico dell'indagato sono appunto le immagini videoregistrate68. Certo che se il rapinatore si presenta allo sportello con zoccoli caprini, la coda, odorante di zolfo e con le orecchie a punta come il dr. "Spock" della famosa serie televisiva, probabilmente anche il giudice con il libero convincimento può enunciare un'identificazione sicura, ma in pratica è necessario arrivare a dei criteri scientifici di identificazione -antropometria-informatica- poiché purtroppo le identificazioni fatte personalmente dal giudice69 in base al libero convincimento, rarissimamente possono convincere70. Nei capitoli precedenti sono state illustrate le metodologie utilizzate dalla Polizia Scientifica (organo istituzionalmente deputato a compiere indagini tecniche), che collabora col Giudice, per consentire allo stesso di giungere ad un giudizio di rassomiglianza71 in modo utile, concludente, oggettivamente riscontrabile, tale da consentirgli di esporre nella motivazione della sentenza di condanna le ragioni per cui è giunto a ritenere che l'imputato sia proprio colui che venne ripreso nel corso del reato. Va precisato che trattandosi di metodiche entrate di recente nella criminalistica di laboratorio (l'identificazione antropometrica era già utilizzata a inizio secolo ma solo ora con l'utilizzo dell'informatica se ne è riscoperta l'importanza), non si è ancora formata una letteratura sulla tecnica o sul metodo di comparazione caratteristiche essenziali su cui si basa ad es. l'identità dattiloscopia consolidata da una pratica giudiziaria costante e secolare. Dal punto di vista giurisprudenziale la crescente disponibilità di registrazioni su nastro magnetico di immagini relative alla dinamica di eventi criminosi e la incalzante richiesta da parte dell'Autorità Giudiziaria di accertare l'identità degli autori del reato, testimoniano l'ammissibilità di questo mezzo di prova nella pratica giudiziaria dando luogo a una giurisprudenza copiosa. 68 Cass. Sez. II, del 22 giugno 1992, sent. N. 02282, imp. Bozzo Cass. Penale, Sez.II, 10 febbraio 1998, n.01545 imp. Stratigopaulos; Cass. Penale 24 giugno 1986, in Riv.Pen.1987, 889 70 L. PERSICO, Profili Processuali….., op. cit. 71 Cass. Pen., Sez. II, 16 aprile 1997, n.2751 69 123 L'antropometria informatica, come tutti i nuovi mezzi di indagine creati dal progresso tecnico che servono all'accertamento dei fatti nel processo, non permettono di raggiungere il risultato dell'accertamento in modo autonomo, ma richiedono il supporto della perizia per l'acquisizione al processo dei relativi risultati. Ciò comporta il vantaggio di offrire la garanzia dello svolgimento dell'intera indagine nel pieno rispetto del contraddittorio e delle garanzie difensive tipiche della perizia. L'accertamento antropometrico appare, quindi, inquadrabile nella categoria dei mezzi di prova, suscettibili di libero apprezzamento da parte del Giudice per il principio di non tassatività dei mezzi di prova e per quello del libero convincimento, che consente di ricorrere non soltanto a prove legali o a mezzi tipici di prova, ma altresì ad elementi di giudizio diversi e comunque acquisiti agli atti, purchè non in violazione di specifici divieti72; il Giudice dovrà comunque compiere rigorosi controlli73, mediante riferimento ad altri elementi di riscontro74 e il libero convincimento dovrà comunque ancorarsi all'obbligo di rigorosa motivazione con riferimento a riscontri oggettivi e tecnici75. Quanto alla validità probatoria della metodica in esame, la dottrina più moderna sostiene la piena ammissibilità in conformità del principio di libertà di prova, inquadrando però la comparazione antropometrica come mezzo di indagine non dotato di efficacia autonoma, ma un coadiuvante della ricognizione e del riconoscimento fotografico che sono possibili fonti di prova. L'apprezzamento del risultato delle indagini antropometriche in termini meramente probabilistici come qualche autore sostiene, affermando che nel caso di specie non può aversi la certezza caratteristica ad esempio del raffronto fra le impronte digitali, è affermazione che non può essere condivisa, giacchè il tutto dipende dal modo in cui è svolta l'indagine tecnica nel caso specifico. Sarà il ragionamento del perito ad essere determinante del grado di convincimento che l'esito dell'operazione può avere sulla libera valutazione del Giudice: grado di convinzione che potrà essere alto nel 72 73 74 75 Cass. 23 novembre 1984, imp. Fenoglio, in Giust. Pen., 1985, III, 630 Cass. Pen., Sez. I, 16 gennaio 1976, ric. Fricano, in Mass. Uff. dec. Pen., 1977, m. 136923 Cass. Sez. fer., 23 agosto 1990, ric. Millici, in Cass. Pen., 1992,p.380,m.241 Cass. Pen., Sez. I, 23 novembre 1988, Giust.Pen.,1989,III,766 124 caso che il ragionamento dell'esperto sia motivato in modo convincente, mentre potrà essere dotato di scarsa attendibilità, allorché tale motivazione lasci margini di dubbio. Nelle esperienze straniere, particolare attenzione al problema del valore probatorio del documento informatico in campo penale è stata data dalla normativa anglosassone la quale prevede che qualora il computer, al pari di qualsiasi altro strumento elettronico, venga usato in modo meccanico, esso debba essere considerato come fonte di prova diretta. 6.2 - VALORE PROBATORIO DELLA PROVA DATTILOSCOPICA L’efficacia probatoria delle impronte papillari, dal Bertillon al Codice di Procedura Penale vigente, che all’art. 349 (-1° comma- La polizia giudiziaria procede alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti. -2° comma- Alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini può procedersi anche eseguendo, ove occorra, rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici nonché altri accertamenti.), la consacra quale mezzo certo per l’identificazione della persona, è andata acquistando sempre maggiore importanza. Mentre l’indirizzo giurisprudenziale meno recente sosteneva che il valore probatorio dei rilievi dattiloscopici doveva essere confortato da ulteriori elementi di prova, la dottrina ed alcune sentenze della Cassazione andavano affermando che le risultanze delle indagini dattiloscopiche avevano pieno valore probatorio considerata l’obiettività e l’inconfutabilità del dato tecnico acquisito. La sentenza 9051 della sezione 2° del 12/10/1982 udienza del 29/3/1982 riv. 15551576, dice che i risultati di un’indagine dattiloscopia possono essere assunti dal giudice come prova dell’identificazione della persona cui l’indagine si riferisce se non vi siano dubbi sulla correttezza A. D’ARIENZO, Raccolta di appunti di criminalistica, Sezione identità personale – Dattiloscopia, http://www.officeitalia.it/scicosi/datt.htm 76 125 dei metodi di rilevazione, se la rilevazione stessa e il confronto siano stati eseguiti con criteri scientifica e se si sia stata rilevata una corrispondenza di almeno 14-15 punti di identità. La sentenza 4252 della sezione 4° del 22/3/1989 udienza del 2/2/89 riv.180856 precisa che le risultanze delle indagini dattiloscopiche offrono piena garanzia di attendibilità senza bisogno di ulteriori elementi sussidiari di conferma, se riflettano una sola impronta, purchè evidenzino la sussistenza di almeno sedici punti caratteristici, uguali per forma e per posizione. La Suprema Corte di Cassazione ha riconosciuto valore scientifico assoluto alla prova dattiloscopia, sottolineando che il giudizio di responsabilità può fondarsi anche sui soli risultati di detto accertamento (Cass. 8 maggio 1986, Faraone, in Rep. Giust. Civ. 1988, voce Prova penale n.59 la quale ha ribadito il principio per cui in presenza di 16-17 punti di convergenza fra le impronte del sospettato e quelle rinvenute nel luogo in cui è stato commesso il delitto, le indagini dattiloscopiche offrono piena garanzia di attendibilità. In tal senso pare orientato anche il Ramajoli, che considera gli accertamenti dattiloscopici dotati di valore probatorio, più che semplicemente indiziario). In ogni caso è bene precisare che l’indagine dattiloscopia può assumere valore determinante, tecnico, scientifico e pratico soltanto quando gli elementi di identità fra le due impronte siano chiaramente valutabili, oggettivamente dimostrabili e non interpretabili soggettivamente; quando oltre alla corrispondenza quantitativa dei 1617 punti (Cass. Pen. Sez. II 23 ottobre 1986, Faraone “le risultanze delle indagini dattiloscopiche offrono piena garanzia di attendibilità, senza bisogno di elementi sussidiari di conferma, purchè evidenzino la sussistenza di almeno 16-17 punti caratteristici uguali per forma e posizione fra le impronte digitali dell’imputato e quelle rilevate sul luogo in cui è stato commesso il reato”), concorrono valutazioni qualitative delle corrispondenze stesse; quando non vi siano dubbi sulla certezza dei metodi di rilevazione, di esame e di studio. In alcuni casi si sono ritenuti sufficienti anche solo dodici punti perché, in tale eventualità, il rischio dell’errore sarebbe nella proporzione di un caso rispetto a più di sei milioni e mezzo di casi mentre, seppure isolatamente, una decisione non recente del Supremo 126 Collegio ha qualificato come sufficiente la corrispondenza di almeno quattordici o quindici punti di identità. Un riscontro di un numero adeguato di punti caratteristici sembra orientare più verso la configurabilità di un elemento di prova che di un dato puramente indiziario77, senza che ricorra la necessità di disporre una perizia, spettando se mai alla persona cui le impronte si riferiscono una eventuale contraria dimostrazione. Se vengono denunciate irregolarità nelle operazioni di rilevamento delle impronte da parte della polizia giudiziaria, ovvero sono esposte concrete, apprezzabili ragioni di perplessità sulla correttezza delle operazioni, il Giudice è tenuto a disporre una indagine a livello peritale, al fine di controllare l’esistenza di vizi dedotti. In tal caso, le nuove indagini devono svolgersi con l’osservanza delle norme garantistiche previste dalla legge, a tutela della facoltà di assistenza tecnica delle parti. L’identificazione dattiloscopia assurge quindi a strumento autonomo d’indagine. Esso è previsto dall’art. 349 comma 2° del c.p.p. ma tale richiamo è stato previsto per l’identificazione della persona contro cui si procede e non per scoprire l’autore del delitto. Resta il fatto che la legge prevede espressamente tale tipo di indagine ma non significa con ciò che ne riconosca la tipicità quale prova, giacchè la previsione del semplice nomen non significa molto, dovendosi invece considerare che nonostante si tratti di una metodica complessa, non è affatto descritto dalla legge il metodo tecnico attraverso il quale va effettuata l’operazione. Si potrebbe quindi profilare il problema di una atipicità che riguarda il modo di acquisizione di un mezzo di prova, di per sè tipico. Ma sotto questo profilo, una affermazione di tipicità del mezzo di prova non sarebbe propriamente esatta, poiché l’indagine dattiloscopia è dalla legge enunciata solo come attività di polizia giudiziaria, ma non è inserita tra i mezzi di prova. Un ulteriore aspetto della questione riguarda il modo di ingresso nel processo di tali risultanze; giurisprudenza e dottrina valutano il problema in modo diverso. 127 Secondo la dottrina più recente78 l’indagine dattiloscopia consta di due momenti di natura diversa: il rilievo dell’impronta dall’oggetto e la successiva comparazione con le impronte dei soggetti indiziati. Si intuisce immediatamente la non omogeneità delle due attività, in quanto se la prima può ritenersi ricompressa fra gli atti di polizia giudiziaria, lo stesso non può dirsi per l’attività di comparazione, che richiede non un semplice accertamento, ma una valutazione e che non dovrebbe essere espletata se non nelle forme della perizia o quanto meno in quella delle operazioni tecniche di cui agli artt. 359-360 del c.p.p. Tale diversificazione non sempre è stata compresa appieno dalla giurisprudenza, che tende a considerare gli accertamenti dattiloscopici, in entrambe le fasi del rilevamento delle impronte e del successivo raffronto con quelle già in possesso della polizia, come frutto di una attività di polizia giudiziaria, e ciò poiché si tratterebbe esclusivamente di un accertamento di dati obiettivi, che non danno luogo ad alcun giudizio tecnico: per cui dovrebbe escludersi tanto l’aspetto formale, quanto quello sostanziale della perizia. 6.3 - VALORE PROBATORIO DELLE IMMAGINI PROVENIENTI DAGLI IMPIANTI DI VIDEOREGISTRAZIONE L’antico principio sul quale si fonda la criminalistica, intesa come disciplina scientifica ausiliaria del processo penale per la individuazione dei responsabili dei crimini, e richiamabile con il detto “è la stessa mano che tradisce il delinquente” va oggi completato con il principio che è il volto, la figura e il gesto che tradisce il rapinatore di banca, nel senso che nelle indagini in tema di rapine in istituti bancari, assumono fondamentale rilievo investigativo e probatorio processuale gli elementi che documentano visivamente la condotta degli autori del reato79. Compito attuale della criminalistica, è stabilire forme e criteri di utilizzazione delle moderne tecnologie di videoregistrazione magnetica 77 78 S. RAMAJOLI, La prova nel processo penale, p.35. Ed. CEDAM 1995 G. F. RICCI, Le prove atipiche, Ed. Giuffrè,1999 128 mediante telecamere a circuito chiuso e di trattamento digitale delle immagini, ed evidenziare le esigenze di particolari accorgimenti tecnici che si impongono per attribuire e conservare valore probatorio processuale alle immagini registrate durante la commissione del reato. Dette esigenze sono ben comprensibili, se si riflette sulla circostanza che il diritto positivo e l’interpretazione giurisprudenziale sono destinati, per la loro stessa natura, ad inseguire con un certo ritardo l’incessante evoluzione tecnologica che, nell’ambito elettronico ed informatico, assume ritmi incredibili, sotto l’impulso della ricerca e dell’industria. Quale incredibile percorso di progresso, dalla prima applicazione della telegrafia senza fili marconiana alla repressione del crimine (il famoso radiotelegramma di Scotland Yard per far arrestare a New York un criminale che viaggiava su un transatlantico) alle moderne tecnologie dell’archiviazione elettronica codificata delle impronte digitali o alla memorizzazione delle notizie sui terroristi nel computer di Wiersbaden del B.K.A. o, per restare alle cose di casa nostra, al complesso archivio elettronico del Ministero dell’Interno! Non v’è dunque ragione di stupirsi se nel nuovo C.p.p. il solo implicito riferimento che si rinviene alle riprese televisive è collocato all’art. 24, n.3, laddove è previsto che, per documentare lo svolgimento di una ricognizione, il Giudice può disporre l’impiego di rilevazioni fotografiche e cinematografiche o di “altri strumenti o procedimenti”, tra i quali senza dubbio vanno ricomprese le videoregistrazioni a meno che le stesse non si considerino come moderno sinonimo e sostituto delle riprese cinematografiche, stante la diffusione, economicità e flessibilità della videoregistrazione rispetto alla tradizionale cinematografia su pellicola. ° La norma fondamentale dell’art. 361 C.p.p. L’utilizzo della immagine del sospettato autore del delitto, che sarà poi indagato e quindi imputato, è previsto dall’art. 361 n.2 C.p.p. che recita: 79 L. PERSICO, Rilievo probatorio delle immagini provenienti dagli impianti di videoregistrazione, La Giustizia Penale 1993, p.504 129 “le persone, le cose e gli altri oggetti sono … sottoposti in immagine a chi deve eseguire l’individuazione”. Trattasi come è noto di atto tipico rientrante tra le funzioni primarie della Polizia Giudiziaria, al quale non si applicano garanzie e limiti, poiché la più recente giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione hanno affermato che trattasi di attività investigativa, non diretta a formare la prova, con ciò superando i molti interrogativi sulla applicabilità a tale nuovo istituto dell’individuazione delle regole faticosamente elaborate sulle garanzie in tema di ricognizione fotografica. In particolare, è stato di recente negato dalla Suprema corte, riformando una pronunzia bolognese in merito a rapina in una farmacia, che l’esibizione ai testi di una sola immagine fotografica o delle immagini di una sola persona (senza ricorrere all’album ormai tradizionale , racchiudente molte foto anonime) possa pregiudicare la ritualità dell’atto, in quanto – in sede investigativa – lo stesso non è diretto a formare la prova, e quindi è stata affermata la piena concludenza dell’affermazione dibattimentale del teste (cui fu mostrata quella sola fotografia) di riconoscere l’imputato. La prima conclusione alla quale si può pervenire è la seguente: 1) in fase investigativa (dall’ignoto al noto) la polizia giudiziaria è facoltizzata ad esibire alle persone che assistettero al delitto (in questo caso agli impiegati e clienti della banca o passanti all’esterno) e ad altre persone, ovvero investigatori, le immagini videoregistrate nei locali della banca, tramite circuito chiuso, che ritraggono i rapinatori, al fine di identificarli, cioè di stabilire se corrispondono come fisionomia del volto, e più spesso come statura, corporatura , abbigliamento e movenze a persone già identificate in altra sede ed altra occasione. 2) tali incombenti di Polizia Giudiziaria non incontrano limiti procedurali e non comportano intervento difensivo, in quanto l’ignoto non può essere affidato ad un difensore di ufficio, né tale atto di per sé forma una prova. (Non ci si nasconde la problematica che insorge, se quell’ignoto è raggiunto da indizi e sospetti di altra origine, tuttavia). 130 In pratica, se -sulla base di tale attività investigativa – l’ignoto o gli ignoti vengono identificati, poi trovati e fermati, e rendono confessione, ovvero sono raggiunti dalla schiacciante concludenza di altri elementi reali (ad es. in casa di costoro si trovano le mazzette di banconote sottratte, con le fascette controfirmate dal cassiere rapinato), non sorgerà nessun problema sulla utilizzazione processuale delle videoregistrazioni, in quanto non saranno utilizzate come fondamento della decisione giudiziaria, ma avranno esaurito la loro valenza in sede di polizia , ed in dibattimento potranno avere solo significato di conforto. Il tema è invece assai più complesso se, ad indagini concluse, si dovrà constatare che gli unici elementi raccolti, a carico dei sospettatiindagati, sono appunto le immagini videoregistrate, dalle quali la Polizia e il Pubblico Ministero traggono l’affermazione di rassomiglianza ed identità, tra la persona ripresa e la persona fisica dell’imputato. Spetta a questo punto al giudice procedere alla verifica della somiglianza e trarne o il risultato positivo che porta alla condanna o quello negativo che porta all’assoluzione, giudizio che in pratica sarà tanto più arduo, quanto più spesso l’imputato eccepirà una dichiarazione di alibi non oggettivamente confermata o smentita o dedurrà un teste a difesa di limitata attendibilità, come un familiare che gli fornisce l’alibi. Su questo tema ci soccorre l’unico precedente giurisprudenziale finora rinvenuto nell’archivio del CED della Corte di Cassazione, e cioè la Cass. 2 (Pres. De Nictolis. Est. Altieri), 22 giugno 1992, n.2282 (rv.190692), imp. Bozzo, secondo la quale: “ La rassomiglianza tra le fotografie dell’indiziato di una rapina e i fotogrammi ricavati da una registrazione effettuata da TV a circuito chiuso, durante la rapina stessa, verificata direttamente dal Giudice, può costituire indizio utilizzabile ai fini dell’adozione di misure cautelari personali: invero per la validità del giudizio di rassomiglianza compiuto dal giudice non rileva la mancata osservanza delle forme stabilite per le ricognizioni, sia perché trattasi di giudizio compiuto per diretta percezione del Giudice , sia perché il sistema processuale non impedisce che un riconoscimento, comunque effettuato, possa valere come indizio“. 131 La situazione dunque è la seguente: la Polizia Giudiziaria porta al giudice, tramite il P.M., la cassetta della videoregistrazione, sulla quale appare il sospettato-imputato e delle fotografie che lo ritraggono (ad esempio il cartellino di un recente segnalamento) ovvero altra registrazione che sicuramente ritrae detta persona, che potrà essere presente al processo, in quanto arrestato, ovvero latitante. Spetta al giudice stabilire: 1) se la persona ripresa dalla telecamera corrisponde alla persona fisica dell’imputato, in ipotesi presente in aula, (e questo sarebbe , in un certo senso, un “riconoscere” la persona) ovvero; 2) se la persona ripresa dalla telecamera corrisponde a quella, già identificata, ripresa in altra occasione ed indicata – in una fotografia o nei fotogrammi di una videoregistrazione stampati su carta – come l’imputato non presente al giudizio. La ricordata sentenza della Cassazione definisce “riconoscimento” anche tale secondo raffronto, ma sembra più esatto, in entrambe le occorrenze, impiegare la locuzione “giudizio concludente di rassomiglianza” che porta all’affermazione della identità tra persona ripresa e imputato. Siamo così pervenuti al cuore del tema : con quali mezzi ed in quali modi la Polizia Scientifica può collaborare col Giudice, per consentire allo stesso di condurre il “giudizio di rassomiglianza” in modo utile, concludente, oggettivamente riscontrabile, tale da poter poi esporre nella motivazione della sentenza di condanna le ragioni per cui si è giunti a ritenere che l’imputato è proprio colui che fu visto compiere la rapina sul video, durante la proiezione? Innanzi tutto si evidenzia intuibilmente l’utilità che: il sistema di ripresa a circuito chiuso, nei locali dell’istituto bancario, possa utilizzare un sufficiente numero di telecamere con angolazioni diverse di ripresa; che le riprese siano a colori (per l’utilità dei raffronti dei capi di abbigliamento dei rapinatori con quelli eventualmente 132 sequestrati presso i sospettati , o da costoro in altra occasione indossati); con continua sovrastampa dell’ora; con ingrandimento dei particolari (orologio indossato, monili, ecc.); l’estrema utilità che potrebbe dimostrare anche la ripresa sonora delle intimazioni di minaccia (le quali potrebbero essere raccolte da microfoni collocati nella sala degli sportelli, con un congegno automatico di interruttore a livello sonoro, in modo tale da registrare solo le grida dei rapinatori, e non le normali conversazioni a basso livello dei clienti con gli impiegati). ° La perizia sulle immagini Non ci si nasconde, tuttavia, che per ancorare il giudizio di rassomiglianza a dati tecnici obiettivi, occorrerà sviluppare la nozione e la tecnica di una vera e propria “perizia sulle immagini”, che consenta, attraverso ingrandimenti, ricostruzione digitalizzata del colore, stampe a colori dei singoli fotogrammi, rotazione degli stessi, sovrapposizione o giustapposizione della figura e volto della persona ripresa con altre già note, (raffronto dimensionale antropometrico). Possiamo infatti ritenere – allo stato attuale della giurisprudenza – che valga tuttora il principio della non tassatività dei mezzi di prova, ma che il principio correlativo del libero convincimento del giudice debba ancorarsi all’obbligo di rigorosa motivazione con riferimento a riscontri oggettivi e tecnici. Quel che più conta sarà la formazione di una specifica cultura del giudice, che lo renda edotto delle risorse della moderna tecnologia, e che consenta sia al GIP nell’incidente probatorio, sia al Giudice nel dibattimento, di non rinunciare mai a richiedere e disporre quegli approfondimenti tecnici che oggi sono possibili, prima di affermare affrettatamente che le poche figure che si muovono sullo schermo non bastano a sostenere un verdetto di condanna. 133 Nel CED della Cassazione sono presenti solo due sentenze che si sono basate su di una registrazione videomagnetica per arrivare ad un verdetto di condanna del rapinatore così identificato. Sono sentenze datate 1994 e 1995. - Sez. 2 ; Sent. 04860 del 29/4/1994 (UD. 27/1/1994) PRES. Martinelli ; REL. Dapelo ; IMP. Nardozzi ; PM. (Conf.) Frangini (Rigetta, App. Torino, 25/6/93) : l’accertamento peritale ha la sua ragione d’essere nella necessità di apportare al giudice gli elementi indispensabili per la valutazione dell’elemento probatorio, sicchè è consentito al decidente, nell’ambito del suo potere di controllo e supervisione, di pervenire ad un convincimento che, pur non trovando precisa aderenza al delimitato campo dell’indagine tecnica, trovi comunque giustificazione nella medesima e ne rappresenti il logico sviluppo. (Siffatto principio è stato affermato con riferimento a fattispecie nella quale due perizie su filmati di due diverse rapine, riprese a circuito chiuso in istituti bancari in tempi diversi, avevano concluso separatamente con un giudizio di probabilità sulla identificazione dell’imputato con uno dei rapinatori: i Giudici di merito, confrontando le due perizie ed il materiale utilizzato, avevano concluso, a loro volta, per l’identità del rapinatore in entrambi i casi, traendo ulteriore elemento di prova a carico). In questa sentenza si parla di “duplice filmato di due rapine” e pertanto video immagini su nastro. - Sez. 2, Sent. 01710 del 5/4/1995 (CC. 28/3/1995) ; PRES. Callà ; REL. D’Asaro ; IMP . P.G. in proc. Lo Cascio; PM.(conf.) (Annulla con rinvio,GIP Trib. Palermo, 26/4/1994): la motivazione della sentenza pronunciata ex art. 444 cod. proc. pen., può essere non specifica ed estremamente sintetica solo in relazione al giudizio negativo sulla insussistenza delle ipotesi previste dall’art. 129 cod. proc. pen. Qualora, invece, si pervenga all’applicazione della pena in concreto richiesta dalle parti attraverso un giudizio positivo, quale la concessione delle attenuanti generiche prevalenti, la motivazione della sentenza necessariamente deve essere specifica. 134 (Nella fattispecie, relativa a rapina a mano armata ai danni di un istituto bancario, nel corso della quale era stato preso ostaggio uno dei presenti, il GIP aveva giustificato la concessione di attenuanti generiche prevalenti con l’ultimo comportamento processuale dell’imputato non identificabile nella confessione, in quanto necessitata dall’esito della videoregistrazione che aveva ripreso l’imputato stesso. La Corte di Cassazione, su ricorso del P.G. ha annullato la sentenza di applicazione della pena, ritenendo la motivazione generica quanto alla concessione delle attenuanti generiche e, comunque, mancante in ordine alla dichiarazione di prevalenza delle stesse). Il fatto per cui ci sono poche sentenze nel CED può dipendere da due motivi: o la memorizzazione nel cervellone della Cassazione va a rilento oppure non arrivano in Cassazione dei casi interpretativi sul tema del valore probatorio di queste procedure d’identificazione80. Si tratta di questioni di fatto, che vengono trattate dai Giudici di merito di primo e secondo grado e quindi non arrivano in Cassazione. Una volta che un indagato per rapina è identificato con queste tecniche, si “becca” la sua condanna e se la tiene, o la patteggia, o fa l’abbreviato giudizio e così via. Sarebbe interessante avere delle statistiche per vedere quante volte si risolve un processo, o di rapina o anche di altri accadimenti, con l’utilizzo di tecniche digitali di trattamento e valutazione dell’immagine, poiché avremmo allora un dato sull’incidenza concreta di queste nuove tecnologie. Sono stata autorizzata a cercare presso l’archivio del Tribunale di Forlì, nelle sentenze per rapina (art. 628 C.P.) per gli anni dal 1990 al 1999 (n. 85 sentenze), se erano state utilizzate come prove delle immagini tratte da videoregistrazioni. L. PERSICO, Profili processuali dell’identificazione di rapinatori ripresi da impianti TVCC, Inserto a Poliza Moderna, p.25,op.cit. 80 135 Anno n° sentenze 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 1 7 7 13 10 12 7 11 10 7 Totale 85 Per due sentenze sono stati esaminati i fotogrammi ripresi da TVCC. Da una sentenza: ……" Nella videoregistrazione dell' istituto di credito, appare visibile buona parte del volto del rapinatore, che indossa occhiali da sole ed un berretto con visiera. La piena compatibilità tra le caratteristiche fisiche del prevenuto e quelle dell'uomo ritratto dalla documentazione videoregistrata, appare evidente, per le richiamate inusuali peculiarità morfologiche del soggetto ("la stazza dell'uomo che si trova in transito nella bussola è di tale dimensione da rendere difficoltoso il passaggio); vieppiù la parte visibile del volto corrisponde appieno alle caratteristiche somatiche dell'uomo presente in aula……..". 6.4 - LE REGISTRAZIONI DIGITALI NEL PROCESSO PENALE Mentre la videocassetta proveniente da videoregistrazione analogica ha una identità fisica bene individuata ed è quindi idonea a garantire l’integrità delle immagini, che possono assumere il valore di “prova” nei confronti dell’autore del reato, i supporti digitali non 136 possiedono i medesimi requisiti di sicurezza, non potendosi escludere manomissioni delle immagini in essi registrate81 . Secondo il punto di vista di E. Graziano, questa obiezione è facilmente superabile se si parte dalla considerazione che gli apparati di videoregistrazione digitale attualmente in commercio non consentono la rielaborazione delle immagini registrate, ma soltanto la loro ottimizzazione se si adottano alcune cautele di ordine tecnico e di ordine procedurale. La differenza sostanziale tra la videoregistrazione analogica e quella digitale è che nel primo caso viene utilizzato per l’investigazione e trasmesso all’Autorità Giudiziaria il supporto nel quale originariamente sono state impresse le immagini, mentre nel secondo caso – non essendo pensabile prelevare l’apparato di videoregistrazione – viene utilizzata e trasmessa all’Autorità Giudiziaria una copia delle immagini registrate. Per assicurare la genuinità della prova è necessario che: le immagini che documentino un’attività criminosa siano al più presto trasferite dall’unità principale ad un supporto affidabile e capiente (possibilmente un CD-ROM); l’algoritmo di compressione non ne provochi il degrado. A queste cautele di ordine tecnico ne va aggiunta una di ordine procedurale: le operazioni di riversamento delle immagini devono essere eseguite alla presenza di un ufficiale di polizia giudiziaria che ne attesti l’autenticità in un apposito verbale, che segua il supporto in sede di trasmissione all’ Autorità Giudiziaria. D’altra parte la medesima cautela è normalmente adottata dagli Ufficiali di Polizia Giudiziaria anche quando prelevano una videocassetta che, potrebbe teoricamente anch’essa essere integralmente o parzialmente reimpressionata. 81 E. GRAZIANO, Videoregistrazioni e trattamento delle immagini a fini investigativi, Sicurezza n.8 ottobre 1998, p.74 137 Poco tempo fa è apparso un articolo su una rivista specializzata che prendeva in considerazione la videoregistrazione digitale come prova in un processo penale82. L’autore dell’articolo era stato contattato da un avvocato che chiedeva la sua consulenza in un processo penale. L'assistito di questo avvocato, era stato accusato di rapina in banca e la pubblica accusa sosteneva questa imputazione con il supporto di una registrazione video, effettuata dagli apparati di ripresa installati nella agenzia bancaria. Per varie ragioni, non ultima il fatto che l'imputato avesse numerosi precedenti per rapine in banca, non è stato possibile portare a buon fine la consulenza, ma è rimasto comunque vivo il problema, legato alla possibilità di utilizzare le video registrazioni come prova nel processo penale, e certamente anche nel corso del processo civile. Sino ad oggi, l’autore non ha notizia del fatto che una video registrazione sia stata utilizzata con successo ed una recente traccia di direttiva europea sottolinea, in modo esplicito, il fatto che non è possibile condannare un individuo sulla sola base di una video registrazione. Per contro, essa può certamente essere utilizzata come strumento sussidiario di prova dei fatti. In Inghilterra, dove il diritto penale ha sempre avuto un taglio estremamente pratico, ponendo in carico alla pubblica accusa l'intero onere della prova, l'argomento ha destato tale interesse, che la camera dei Lord ha istituito un’ apposita commissione, con lo specifico incarico di valutare la ammissibilità nel giudizio penale di una evidenza video registrata. Poco tempo fa questa commissione ha pubblicato le proprie conclusioni, che erano attese con grande impazienza dal mondo degli esperti di legge e tecnologie. Non dimentichiamo che in questo paese è proprio grazie ad immagini video registrate che sono stati già individuati e condannati, in più occasioni, i responsabili di efferati delitti. 82 M. RIZZI, Le registrazioni digitali applicate nel processo penale, Antifurto 11-99, p.51 138 Una limitazione di questo rapporto riguarda il fatto che prende in considerazione le sole video registrazioni digitali e non le più diffuse video registrazioni analogiche. La differenza tra queste due forme di registrazione è notevole, perché nel caso della registrazione analogica una copia ha un qualità sempre inferiore, ed alla fine, dopo alcune copie, la registrazione non è in pratica più utilizzabile. Una registrazione digitale, per contro, mantiene inalterata la sua qualità al variare del numero delle copie. Se l'originale è stato riversato su un CD-ROM, da esso possono essere tratte copie in numero illimitato, senza poter capire quale è la registrazione originale e quali sono le copie. Il primo aspetto L'originale è il dato che viene registrato per la prima volta nella memoria. Ogni immagine stampata o visualizzata, derivata da questo originale, è una copia. La tecnologia di registrazione digitale non offre un originale che possa essere prodotto come prova. Infatti, la prima registrazione, certamente temporanea, avviene nel chip del sensore di ripresa e questa dovrebbe essere presentata come prova. Se ciò non è possibile, il peso di questa prova dipende da una procedura di autentica ed altri fattori. Se prendiamo in esame una macchina fotografica digitale, l'originale è probabilmente il file digitale che rappresenta la immagine ripresa, che viene riversato nella memoria locale o su altri supporti di memoria, come ad esempio un floppy disk. Ciò non rappresenta un problema, perché secondo la legge se non esiste più un originale di un documento, anche le copie sono ammissibili in giudizio, e non è rilevante il fatto che l'originale sia stato distrutto proprio dalla persona che lo voleva esibire come prova. 139 Non è però detto che se viene presentato un documento, che è copia un originale, esso possa essere automaticamente accettato come prova in giudizio. Perché ciò avvenga, deve essere offerta ampia prova che le procedure utilizzate per generare, trattare e memorizzare le immagini digitali sono tali da garantire che la immagine prodotta in giudizio è una accurata copia dell'originale. In generale, pertanto, la magistratura è favorevole ad ammettere queste prove in giudizio, se sono offerte sufficienti garanzie. Le possibilità di modifica di una immagine digitale Oggi sono disponibili degli applicativi, di basso costo e di elevata qualità, che consentono di intervenire in modo significativo sulle immagini video registrate. Questi applicativi possono essere usati per varie ragioni, che vanno dal miglioramento delle immagini registrate ad una alterazione dolosa. Non vi è una differenza di fondo tra le due categorie di intervento, che devono essere valutate solo nel merito. Con le moderne tecniche di elaborazione delle immagini, anche una immagine che sembra avere origine analogica, potrebbe avere una origine digitale. Ad esempio, è possibile che un’ immagine memorizzata in forma digitale possa essere stata generata da una telecamera analogica, con successiva conversione del segnale in formato digitale, a fini di trasmissione a distanza, e successivamente convertita in immagine analogica per la visualizzazione su un monitor. La facilità con cui le immagini digitali possono essere copiate o modificate conferma la stretta attenzione da porre, quando una immagine è utilizzata in termini probatori. Tutte le immagini, analogiche o digitali, debbono essere valutate con attenzione. La commissione della camera di Lord è giunta alla conclusione che la esistenza degli applicativi che permettono di modificare le immagini non deve di per sé essere un elemento di sospetto, in quanto la 140 attenzione del magistrato deve spostarsi sulla garanzia di correttezza trafila di conservazione delle immagini stesse. La legge che riguarda l’ ammissibilità in giudizio di file di computer prevede che una persona responsabile dichiari sotto giuramento che il sistema di elaborazione che ha trattato il file ha sempre funzionato correttamente ed ogni possibile modifica del file non era tale da modificare la accuratezza ed integrità del file stesso. Il rapporto della commissione sottolinea più volte l’ assoluta esigenza di comprovare, con una documentazione inoppugnabile, la sequenza di custodia ed elaborazione dalla immagine iniziale fino alla copia esibita in giudizio; la parte che desidera utilizzare questa prova deve essere pronta ad offrire ogni ragionevole garanzia in merito. Il valore probatorio Il prezioso rapporto dei Lord continua ad analizzare gli aspetti probatori di un immagine. Un aspetto che non ha mancato di sorprendere i Lord è il fatto che sino ad oggi nessun avvocato abbia cercato di contestare in giudizio la integrità ed accuratezza della sequenza di custodia di un immagine, in modo da avanzare il dubbio che tale immagine possa essere stata alterata. E' del tutto probabile che tra breve gli avvocati difensori potranno mettere al punto delle tecniche di contestazione, che dovranno obbligare la pubblica accusa ad utilizzare delle tecniche di cifratura o di contrassegno, che permettano di autenticare le registrazioni digitali. Tuttavia la commissione non ha indicato alcuna tecnologia di autentica delle immagini per varie ragioni: è molto difficile indicare una tecnologia che non possa essere rapidamente superata da nuovi sviluppi; i fabbricanti di tecnologie per la digitalizzazione delle immagini potrebbero aver bisogno di lungo tempo per incorporare queste tecnologie nei loro prodotti e per utilizzarle su larga scala; in funzione del progresso della tecnologia, i magistrati potrebbero trovarsi a confrontare situazioni nelle quali una immagine, che in precedenza era stata ritenuta ammissibile, 141 potrebbe non esserlo più, perché non autenticata con evolute procedure; la tendenza generale del legislatore è quella di non esigere prove certe di validità di un immagine video, quanto di lasciare alla magistratura stessa la decisione circa la affidabilità della immagine stessa. Inoltre, la commissione ha vivamente raccomandato che l’ assenza di tecnologie di autentica delle immagini non costituisca, di per sé, ragione per escludere un elemento probatorio. Ciò non toglie che il rapporto della commissione non sia affatto contrario alla adozione di tecnologie di autentica, ma anzi auspichi in ogni modo che gli organi tecnici e normativi mettano a punto delle appropriate procedure di autentica delle immagini. Il governo dovrebbe produrre delle linee guida che possano comprovare l’ affidabilità delle prove, facendo riferimento a normative messe a punto da enti pubblici ed associazioni di categoria. In sintesi, il rapporto conferma che le immagini digitali sono utilizzabili come prova in giudizio, indipendentemente dal fatto che siano state o meno manipolate. Il loro peso probatorio verrà deciso dal tipo di autentica applicata, ad esempio la cifratura del file e la dimostrazione che l'immagine ripresa è stata gestita in tutte le fasi di indagine e di giudizio con le appropriate cautele e garanzie. 142 APPENDICE Ecco specificamente il testo di legge (art. 10 del capitolo II del titolo II). 1. Le videoregistrazioni e la videosorveglianza non sono considerate informazioni nominative ai sensi della legge n. 78-17 del 6 gennaio 1978 e relativa all'informatica, ai dati, alle libertà, a meno che esse non vengano utilizzate per costruire un archivio nominativo. 2. La trasmissione e la registrazione di immagini prese sulla pubblica via per mezzo di sistemi di videosorveglianza possono essere effettuate dalle autorità pubbliche e competenti, al fine di assicurare la protezione degli edifici e di installazioni pubbliche e loro dintorni, la salvaguardia delle installazioni connesse alla difesa nazionale, la regolazione del traffico stradale, la constatazione di infrazione alle regole del traffico e la prevenzione di attacchi alla sicurezza di persone e di beni, in luoghi particolarmente esposti ai rischi di rapina o furto. Si può ugualmente procedere a queste operazioni nei luoghi e negli esercizi aperti al pubblico, se particolarmente esposti ai rischi di rapina e di furto per assicurare la sicurezza di persone e beni. Le operazioni di videosorveglianza sulla pubblica via sono effettuate in modo da non visualizzare immagini all'interno di edifici abitati od in modo specifico quello dei portoni di ingresso. Il pubblico è informato in maniera chiara e permanente dell'esistenza di un sistema di videosorveglianza e delle autorità o della persona che ne risponde. 3.L'installazione di un sistema di videosorveglianza nel quadro del presente articolo è subordinato ad una autorizzazione del rappresentante dello stato nel dipartimento ed, a Parigi, del Prefetto di Polizia. Questa autorizzazione viene data, salvo nei casi di difesa nazionale, dopo aver ricevuto il parere di una commissione dipartimentale presieduta da un magistrato effettivo od onorario. L'autorizzazione prefettizia prescrive tutte le precauzioni utili, in particolare per quanto riguardano la qualifica delle persone incaricate 143 della gestione del sistema e delle videosorveglianza o che osservano queste immagini, e sulle misure da prendere per assicurare il rispetto delle disposizioni di legge. L'autorizzazione sollecitata si ritiene acquisita in mancanza di risposta dopo l'intervallo di quattro mesi. I dispositivi di videosorveglianza esistenti alla data d'entrata in vigore del presente articolo devono essere oggetto di una dichiarazione equivalente ad una richiesta di autorizzazione e devono essere messi in conformità con il presente articolo entro sei mesi. 4.Salvo un caso di un inchiesta in caso di delitto, di un inchiesta preliminare o di un informativa giudiziaria, le registrazioni sono distrutte entro un periodo massimo fissato dall'autorizzazione. Questo periodo non può superare un mese. 5. Ogni persona interessata può rivolgersi al responsabile di un sistema di videosorveglianza per ottenere un accesso alle registrazioni che lo possono riguardare o per verificare la distruzione nella scadenza prevista; questo accesso è di diritto. Il rifiuto di accesso può essere tuttavia consentito per motivi connessi alla sicurezza dello stato, alla difesa, sicurezza pubblica ed allo sviluppo di procedure giudiziarie in corso o di operazioni preliminari a tali procedure per non violare i diritti di terzi. Ogni persona interessata può ricorrere alla Commissione Dipartimentale menzionata al punto 3 per qualsiasi rimostranza legata al funzionamento di un sistema di videosorveglianza. Le disposizioni del comma precedente non limitano in alcun modo il diritto della persona interessata di rivolgersi ad un ente giurisdizionale competente. Il fatto di effettuare registrazioni di videosorveglianza senza autorizzazione e di non distruggerli nel termine previsto, di falsificarli, di intralciare l'azione della commissione dipartimentale, di fare accedere persone non abilitate all'immagine od utilizzare questa immagine ad altri fini, rispetto a quelli per i quali esse sono state autorizzate, è punito con tre anni di reclusione e 300 mila franchi di multa, senza pregiudizio di 144 applicazione delle disposizioni dell'articolo 226/1 del codice penale ed L120-2, L121-8, L431.2 del codice del lavoro. Questa legge è stata accompagnata da un regolamento pubblicato in una circolare del 22 ottobre 1996, pubblicata sul Journal Officiel del 7 dicembre 1996, e tale regolamento si applica a tutti gli impianti pubblici di videosorveglianza, in presenza o meno di videoregistrazioni o trasmissione a distanza delle immagini. Gli impianti di videosorveglianza già operativi alla data di pubblicazione di questo documento devono essere dichiarati prima del 20 agosto 1997. Ogni nuova installazione deve essere oggetto di domanda di autorizzazione presso una commissione dipartimentale (equivalente alla nostra regione) composta da 5 membri qualificati che dipendono dalla prefettura presente nel luogo pubblico, ove verrà istallato l'impianto. 145 CONCLUSIONI Tecnici e legislatori, sempre più spesso in futuro dovranno far riferimento ad immagini televisive per provare fatti e situazioni. Tecnologia e diligenza dovranno unirsi per conferire alle immagini video quella certezza probatoria, che meritano, se appunto tecnologia e diligenza ne consentono la convalida. Dal punto di vista tecnico fino a poco tempo fa l’unica tecnologia disponibile era basata sull’utilizzo delle normali videocassette VHS o S-VHS83. Negli ultimi due o tre anni si sono andati diffondendo i nuovi videoregistratori digitali che si caratterizzano per la maggiore quantità e qualità delle immagini memorizzate e per la semplificazione delle modalità di ricerca dei fotogrammi di maggiore interesse. L’ambito però è suscettibile di veloci cambiamenti, in quanto la ricerca dedicata alla messa a punto di nuovi e più potenti supporti ottici di memorizzazione dei dati è in grande fermento. Basti pensare che il DVD, non ancora pienamente e largamente diffuso nel mercato consumer, sta per essere soppiantato da nuovi supporti estremamente più potenti. In questo momento cominciano a concretizzarsi i primi tentativi di presentare applicazioni di DVD ai sistemi di sicurezza. L’introduzione di questi mezzi accentuerebbe la capacità dei sistemi TVCC di agire come deterrente nei confronti dei rapinatori. La maggiore capacità di memoria renderebbe più agevole la diffusione dei sistemi TVCC in applicazioni particolari quali, ad esempio il monitoraggio di aree urbane. Sembra comunque che la spinta all’ innovazione sia lungi dall’arrestarsi, perché altre e più ancora clamorose novità si affacciano all’orizzonte84 . La diffusione crescente di Internet e la possibilità di sfruttare quest’economica rete mondiale anche per la trasmissione di segnali R. ARCHINA’, Videoregistrazione: gli orizzonti presenti e futuri, Sicurezza n. 6 giugno 1999, p.74 84 A. BIASIOTTI, La rivoluzione dei sistemi TVCC è in pieno sviluppo, Antifurto 8-99, p.15 83 146 video vengono esaminate da alcune aziende di avanzata tecnologia, per vedere se e come sia possibile compiere nuovi balzi in avanti. La rete Internet è ormai capillare e la crescente diffusione dei collegamenti a media velocità, come l’ISDN, accresce la possibilità di trasferire immagini televisive via filo ad una platea di utenti praticamente illimitata. Le applicazioni nel mondo della sicurezza saranno innumerevoli. Dal punto di vista dell’operatività della Polizia Scientifica, si auspica la messa in funzione, dal punto di vista operativo, del fotosegnalamento antropometrico, che darà la possibilità immediatamente di avere le misure del corpo delle persone fotosegnalate. Inoltre i giudici del dibattimento dovranno accettare come strumento normale nei giudizi sui delitti di rapina, la proiezione dibattimentale su video delle registrazioni e la produzione dei fascicoli fotografici ricavati per stampa elettronica, senza opporre ragioni di tempo o di difficoltà organizzative, che occorrerà una buona volta superare85. In questa prospettiva la netta separazione tra regole dell’ azione investigativa e regole del dibattimento in tema di formazione della prova porteranno, in prosieguo, ad una valorizzazione del concetto di “evidence”, cioè della pregnanza dell’indizio materiale e documentale rispetto alla deduzione ed argomentazioni, sulle quali si è prevalentemente fondata la tradizione forense. La rilevante utilità ai fini repressivi, e quindi anche per la prevenzione generale del crimine, del sistema di registrazione video impone che il legislatore introduca nella disciplina dell’attività bancaria l’obbligo di dotare gli istituti di mezzi tecnici adeguati, superando con espressa previsione sia eventuali carenze organizzative , sia perplessità di ordine sindacale, che sono ben note, ma che sono attribuibili in gran parte ad imprecisa informazione sul punto, e che potranno essere rimosse con opportune previsioni normative. 85 L. PERSICO, Rilievo probatorio delle immagini provenienti dagli impianti di videoregistrazione, op.cit. 147 BIBLIOGRAFIA ARCHINA’ R., Videoregistrazione: gli orizzonti presenti e futuri, Sicurezza n. 6 giugno 1999 BALLONI A. (a cura di), Criminologia e sicurezza, Ed. F.Angeli, 1998 BALLONI A.- R. BISI (a cura di), Criminologia applicata per la investigazione e la sicurezza, Ed.F. Angeli, 1996 BALOSSINO N. – S. SIRACUSA, Parametri discriminatori nel riconoscimento di volti, Inserto a Polizia Moderna n. 1 – gennaio 1998. BIASIOTTI A., Ora si può conciliare privacy e videosorveglianza, Antifurto n.6 1999 BIASIOTTI A., Guida alla tutela della privacy: il cittadino, Guida al Diritto – Il Sole 24 Ore, dicembre 1997 BIASIOTTI A., La privacy nelle registrazioni audio e video: la esperienza francese ed ipotesi per quella italiana, Convegno Tecnobanca ’98, www.securcomp.com BIASIOTTI A., La rivoluzione dei sistemi TVCC è in pieno sviluppo, Antifurto 8-99 CANUTO G. – S. 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