stili di vita e comportamenti errati_lepatopatia

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EPATOPATIA ALCOL-CORRELATA
Gianni Testino, Ornella Ancarani
Dipartimento Medicina Specialistica, Ospedale San Martino, Genova
L’alcol rappresenta in Europa il terzo fattore di rischio per morte e disabilita’ e la seconda
causa di epatopatia (circa il 20% dei casi). Si associa, inoltre, in circa il 40% dei casi ad epatite
HCV correlata (1).
Per Unita’ Alcolica (UA) si intende un bicchiere di vino da 125 ml a 12°, un bicchiere di aperitivo
da 80 ml a 18°, una lattina di birra da 33 cl a 5° o un bicchiere di superalcolico da 40 ml a 40°. La
quantita’ di alcol contenuta in una singola UA e’ di 12 g.
Dal punto di vista internistico la parola abuso e’ stata abolita dalla Organizzazione Mondiale della
Sanita’ e le patologie alcol correlate possono coinvolgere sia l’alcolista che il bevitore sociale. Sono
noti, infatti, numerosi polimorfismi genetici che predispongono all’insorgenza di problematiche
internistiche (epatiche in particolare) anche a dosaggi considerati moderati (2). Inoltre, l’uso di
alcol potenzia notevolmente l’evoluzione di alcune patologie croniche (per es. epatopatie virali o di
altra natura).
Un consumo considerato “a basso rischio” puo’ essere indicato entro il limite di 14 UA settimanali
per l’uomo e di 7 UA settimanali per la donna e per i soggetti con eta’ superiore ai 65 anni. Tali
quantita’ devono essere consumate durante i pasti e da parte di soggetti sani che non presentano
alcuna controindicazione organica (patologie croniche, familiarita’ per cancro, assunzione di altri
farmaci). Sino a 16 anni si consiglia l’astensione totale. Recentemente attraverso una valutazione
della letteratura sul rapporto rischio relativo di sviluppare una patologia e dosaggio, l’Istituto
Superiore di Sanita’ ha previsto rischio 0 con un consumo di 5 g/die fra i 35 ed i 65 anni.
I dosaggi consigliati diversificati in rapporto alla eta’ e al sesso sono da mettere in ralazione alle
variazioni metaboliche (3).
E’ noto, infatti, come la femmina per ragioni enzimatiche, ormonali e strutturali sviluppi a parita’ di
condizioni e di quantita’ di alcol assunti livelli di alcolemia superiori rispetto al maschio. In
particolare l’attivita’ dell’alcol deidrogenasi (ADH) in sede gastrica e’ decisamente inferiore. In
relazione all’eta’ l’ADH nel maschio oltre i 50 anni si riduce in modo significativo raggiungendo
valori sovrapponibili al sesso femminile. L’altro sistema enzimatico di metabolizzazione
dell’etanolo in acetaldeide il citocromo P450 (CYP2E1) si riduce con l’eta’ in entrambi i sessi (4).
Studi osservazionali hanno dimostrato un incrementato rischio di cirrosi con l’uso di oltre 10
g/die per la donna e di circa 20 g/die per l’uomo (5). La cascata di eventi e’ caratterizzata da steatosi
epatica (60-100% dei casi, reversibile in caso di astensione), il 20-40% puo’ evolvere a
steatoepatite, dall’8 al 20% vi e’ evoluzione in fibrosi direttamente da un quadro di steatosi, il 2040% di steatoepatiti puo’ evolvere in cirrosi ed un 4-5% in epatocarcinoma. In relazione all’assetto
genetico ed ai fattori di rischio e comorbidita’ associate (epatiti virali, diabete mellito,
dismetabolismi, ecc) tali passaggi possono verificarsi fra i 5 ed i 40 anni. E’ bene ricordare come,
anche in assenza di un quadro conclamato di cirrosi, si possa sviluppare epatite alcolica acuta
severa con una mortalita’ a 28 giorni particolarmente elevata (sino al 50% in caso di Maddrey
discriminant function > 32) (2, 6). L’associazione uso di alcol/ epatite virale C favorisce
l’evoluzione in cirrosi epatica. Un aspetto da sottolineare e’ l’influenza dell’alcol sulla risposta
antivirale con interferone e ribavirina in corso di epatite C. In passate esperienze e’ stata dimostrata
una maggiore percentuale di risposte sostenute in soggetti astemi. L’alcol favorisce anche a dosaggi
moderati la replicazione virale anche in corso di trattamento interferonico. E’ stato ipotizzato come
vi possa essere una azione diretta dell’etanolo nell’inibire l’azione antivirale dell’Interferone.
Recentemente Anand et al. (7) hanno dimostrato come nei soggetti con recente uso di alcol a che
sono riusciti a concludere il ciclo di terapia vi sia una percentuale di risposta virologica sostenuta
sovrapponibile al gruppo di controllo. E’ opportuno ed etico, quindi, offrire al paziente in
astensione e senza problematiche psichiatriche la terapia antivirale in associazione ad un supporto
multidisciplinare per il mantenimento dell’astensione.
In corso di cirrosi epatica compensata, se il soggetto sospende l’assunzione di alcol la
sopravvivenza a 5 anni e’ di circa il 90%, se invece continua a bere alcol la sopravvivenza scende al
di sotto del 70%. Nei casi di cirrosi epatica scompensa (sanguinamento da varici esofagee e/o
gastriche, ascite, peritonite batterica spontanea, sindrome epato-renale, encefalopatia portosistemica, sindrome epato o porto-polmonare) con l’astensione la sopravvivenza a 5 anni e’ del
50%, in caso contrario scende al di sotto del 30% (2).
Nei pazienti con eta’ superiore a 60 anni i sintomi sono piu’ severi e piu’ frequentemente vi e’
evoluzione verso la cirrosi scompensata. La sopravvivenza e’ decisamente influenzata dall’eta’:
oltre i 70 anni la mortalita’ ad un anno supera il 75% (4).
In caso di cirrosi epatica scompensata la terapia prevista e’ il trapianto di fegato. Tuttavia in caso di
cirrosi da alcol il soggetto e’ generalmente inserito in lista dopo un astensione alcolica di almeno 6
mesi. Vi sono casi clinici particolari come l’epatite alcolica acuta (caratterizzata da febbre, ittero,
complicanze come ascite, sindrome epato-renale, sanguinamento) che in caso di mancata risposta
alla terapia medica conducono a morte il paziente. In tal caso e’ stato proposto di trapiantare il
paziente anche dopo un periodo inferiore di astensione. Alcune esperienze riferiscono come
possano bastare 3 mesi di astensione senza un aumentato rischio di ricaduta alcolica post-trapianto
(8).
Recentemente l’Agenzia Internazionale per la Riceca sul Cancro ha inserito il “consumo di
bevande alcoliche” nel Gruppo 1 delle sostanze cancerogene. La correlazione e’ stata evidenziata
con queste neoplasie: cavita’ orale, faringe, laringe, esofago, colon-retto, mammella e fegato (9,
10).
L’insorgenza di carinoma epatocellulare e’ condizionato soprattutto dall’insorgenza di cirrosi
epatica. L’incremento dell’eta’ rappresenta di per se’ un fattore di rischio.
Numerosi meccanismi di cancerogenesi sono stati considerati: azione genotossica diretta
dell’etanolo e dell’acetaldeide attraverso la formazione di addotti, conversione di pre-cancerogeni in
cancerogeni attraverso l’attivazione del CYP2E1 (sostanze presenti nella dieta e nel fumo di
sigaretta), squilibri nutrizionali (in particolare alterazione dei gruppi metili), alterazioni del sistema
immunitario (10).
E’ stato ipotizzato un modello di cancerogenesi alcol indotto che prevede una prima fase di
iniziazione attraverso una azione genotossica diretta ed una seconda fase di promozione/
progressione. In questa seconda fase l’alcol favorisce fenomeni di desmoplasia, angiogenesi e
invasione tumorale (10).
Per quanto concerne l’azione diretta, e’ stata ben dimostrata, attraverso il test delle comete, la
frammentazione del DNA in linfociti periferici.
Per quanto concerne il rapporto alcol e cancro ad oggi non e’ possibile stabile un dosaggio sicuro,
per cui l’uso persistente di bevande alcoliche rimane un comportamento genericamente a rischio
(11).
Il dipartimento USA per la salute suggerisce come l’assunzione quotidiana di circa 28 g/die per
l’uomo e circa 14 g/die per la donna sia un comportamento a basso rischio.
BIBLIOGRAFIA
1) Testino G. Alcoholic diseases in hepato-gastroenterology: a point of view.
Hepatogastroenterology 2008; 55: 371-77
2) Salaspuro M. Acetaldehyde as a common denominator and cumulative carcinogen in
digestive tract cancers. Scand J Gastroenterol 2009; 44: 912-25
3) Meier P, Seitz HK. Age, alcohol metabolism and liver disease. Curr Opin Clin Nutr Metab
Care 2008; 11: 21-23
4) Seitz HK, Stickel F. Alcoholic liver disease in the elderly. Clin Geriatr Med 2007; 23: 90521
5) Amini M, Runyon BA. Alcoholic hepatitis 2010: a clinician’s guide to diagnosis and
therapy. World J Gastroenterol 2010; 16: 4905-12
6) O’Shea RS, Dasarathy S, McCullough AJ et al. Alcoholic liver disease. Hepatology 2010;
51: 307-28
7) Anand BS, Currie S, Dieperink GL et al. Alcohol use and treatment of hepatitis C virus:
results of a national multicenter study. Gastroenterology 2006; 130: 1607-16
8) Mathurin P. Is alcoholic hepatitis an indication for transplantation? Current management
and outcomes. Liver Transplantation 2005; 11: S21-S38
9) Secretan B, Straif K, Baan R et al. A review of human carcinogens-Part E: tobacco, areca
nut, alcohol, coal smoke, and salted fish. Lancet Oncology 2009; 10: 1033-34
10) Testino G, Borro P. Alcohol and gastrointestinal oncology. World J Gastrointest Oncol
2010; 15: 322-25
11) Grossi S, Sumbera A, Testino G et al. DNA damage in perpheral blood lymphocytes of
patients with cirrhosis related to alcohol abuse or to hepatitis B and C viruses. Eur J
Gastroenterol Hepatol 2008; 20: 22-25
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