DIRITTO DELLA REGOLAZIONE DEI MERCATI E DELLA CONCORRENZA Appunti delle lezioni A.A. 2011/2012 1 \27/02/12 Primo giorno di lezione di diritto di regolazione dei mercati e della concorrenza, nuovo corso che fal‟esordio nell‟ambito dell‟offerta formativa della facoltà. Negli anni precedenti il corso era diritto dell‟economia, corso opzionale. La materia che si trattava era anche ricompresa anche nell‟ambito del corso di diritto delle operazioni straordinarie della concorrenza, che però era un corso della specialistica. Si è posto un primo problema. Quello di cercare di rendere il corso fruibile nell‟ambito della triennale. Devo dire che la mia intenzione è quella di, per i frequentanti, basarmi su sicuramente un manuale di riferimento, evidentemente diventa complicato gestire il corso basato sulla base di materiali distribuiti dal docente di volta in volta, abbiamo un manuale su cui ci si può riferire per la preparazione dell‟esame. Volevo portare a lezione alcuni materiali per quel che concerne la seconda parte del corso, dedicata all‟analisi di determinati settori oggetto di regolamentazione. Tutto ciò può sembrare teorico se prima non vi spiego quali sono i contenuti del corso. Innanzi tutto corso di diritto, parliamo di esame di disposizioni normative di legge che hanno diversa collocazione nell‟ambito della gerarchia delle fonti. In primo luogo ci dobbiamo porre il problema di quali sono i fondamenti normativi dell’intervento dello stato in economia. La prima parte del coro sarà diretta ad analizzare queste fonti normative dell‟intervento dello stato. In primo luogo la nostra Costituzione ha alcune disposizioni che sono dedicate ai rapporti economici. Disciplinano i compiti dello stato rispetto a determinati fenomeni economici. Vedremo come vanno lette queste disposizioni. In secondo luogo vi è una altra fonte importante: il diritto comunitario. Il trattato della unione europea, modificato in seguito al Trattato di Lisbona, è una fonte normativa importantissima, fondamentale, quasi sovraordinata rispetto al nostro dettato costituzionale. Da questo punto di vista la normativa comunitaria va letta in modo articolato. Perché? Da un lato abbiamo un trattato, la fonte normativa principale, ma poi abbiamo anche il diritto comunitario cosiddetto derivato, le direttive del Consiglio, del Parlamento Europeo, i regolamenti comunitari. Questo non è un corso di diritto comunitario, per cu ci soffermeremo sugli aspetti del comunitario che più specificamente ci interessano e condizionano le modalità con cui il nostro legislatore interno può intervenire sulla materia economica, sull‟economia. Tenendo conto anche di un fatto. In alcuni settori, per alcune materie è lo stesso legislatore comunitario che detta la disciplina. Ormai sempre di più, per effetto dell‟integrazione europea, si è demandato al legislatore comunitario di dettare una disciplina onnicomprensiva rispetto ad un determinato fenomeno economico. Assistiamo in certi casi ad un fenomeno di sostituzione dal legislatore comunitario al legislatore interno, nazionale. Prima parte del corso dedicata all‟analisi delle fonti, si basa molto su quello che è scritto nel manuale di cui parlerò fra breve. 2 Seconda parte del corso è dedicata più specificamente alla regolamentazione di alcuni settorieconomici. Quelli in cui tradizionalmente si manifesta in modo più incisivo l‟intervento dello Stato in economia. Parliamo sostanzialmente dei cosiddetti servizi pubblici: quelli che vengono generalmente almeno nella qualificazione tradizionale, considerati servizi pubblici. Facciamo degli esempi: gestione servizi idrici, la distribuzione dell‟ acqua, fornitura, depurazione, la gestione del servizio idrico integrato; servizi ambientali, la gestione dei rifiuti; servizi che hanno a che fare con la distribuzione del gas, energia elettrica, servizi di trasporto. Gli esempi possono essere molteplici. Non possiamo considerare tutti quelli che vengono tradizionalmente intesi come servizi pubblici, ma sicuramente mi soffermerò sull‟analisi di alcuni servizi. In cosa consiste l‟analisi di questi servizi? L‟analisi si deve svolgere su un doppio livello. In primo luogo bisogna capire perché lo Stato ritiene necessario condizionare così pesantemente, regolamentare in modo pervasivo lo svolgimento di queste attività di servizio pubblico. Nell‟ambito di queste attività che non vengono sviluppate, la scelta legislativa fondamentale non è quella di abbandonare lo svolgimento dell‟attività alle libere forze del mercato, bensì abbiamo il legislatore che interviene per dettare una disciplina molto specifica, dettagliata, per lo svolgimento dell‟attività economica. In primo luogo dobbiamo capire perché vi è questa scelta di fondo. Questo Particolare assetto industriale di questi mercati e anche motivazioni di ordine sociale, in secondo luogo si tratta di capire qual è il quadro normativo di riferimento con cui si attua la regolazione dei mercati dei servizi pubblici. Su questo specifico aspetto, la ricostruzione del quadro normativo, nell‟ambito del corso potrò dire poche cose, su questo conto anche di portare alcuni materiali.Posso dire poche cose perché la regolamentazione di ciascun servizio pubblico è molto complessa, articolata. Facciamo un esempio, per quel che riguarda il servizio di distribuzione dell‟energia elettrica, abbiamo l‟Autorità di regolazione del settore, l‟Autorità per l‟energia elettrica e il gas, che detta una disciplina molto complessa per lo svolgimento di questa specifica attività economica. Se volessimo ricostruire il quadro, dovremmo fare riferimento a tutte le norme legislative e anche alle modifiche che sono intervenuteda parte dell‟Autorità per l‟energia elettrica e il gas, e il discorso diventerebbe complicato. Si tratta di tratteggiare, ricordiamo gli assi portanti su cui è impostato il quadro costitutivo. Infine abbiamo una parte del corso che è dedicata alla disciplina della concorrenza, la disciplina antitrust. Abbiamo una fase di regolazione del mercato, ma ha una finalità diversa rispetto a quella tipica della regolazione dei servizi pubblici. Anche qua abbiamo una autorità di regolazione, di riferimento, l‟Autorità Garante per la concorrenza e il mercatoche ha finalità diverse rispetto alle autorità di 3 regolazione preposte ai diversi settori dei servizi pubblici. Dobbiamo capire quali sono gli scopi, le finalità nel settore della concorrenza e così via. Il manuale. È il libro “La nuova costituzione economica”. L‟autore originario è Cassese, adesso ha il contributo di vari autori. Editore è Laterza, l‟edizione è quella di quest‟anno, 2012. Problema delle edizioni. Dal 2007 in poi possono andare relativamente bene. Non so, c‟è tutta una serie di parti, non è un libro in cui si parla di testi modificati nel corso degli ultimi anni. Si parla di interventi di Stato in economia, sono esposti gli oggetti generali. Sarebbe meglio una edizione recente, non so il risultato ai fini dell‟esame se uno si basa su un vecchio testo. Volendo sintetizzare i contenuti del corso. Una prima parte riguarda l‟analisi delle fonti, Cassese cerca di assumere anche una prospettiva storica. Poi abbiamo una seconda parte dedicata alla disciplina della concorrenza, poi parleremo delle varie discipline, servizi pubblici, analizzando in particolare alcuni settori. A questo punto vale la pena entrare subito nell‟argomento. Parliamo di costituzione economica. Cosa vuol dire costituzione economica? Come ricorda lo stesso Cassese ci sono tre modi per interpretarla. Il primomodo, più formale,tradizionale. Costituzione economica ha un significato tecnico giuridico. Norme costituzione che hanno ad oggetto rapporti economici. Facciamo un esempio: articolo 41 iniziativa economica privata, articolo 43 in materia di proprietà, articolo 47 in materia di risparmio, viene riconosciuto come un bene tutelato a livello costituzionale. Poi l‟articolo 3, dove viene enunciato il principio di eguaglianza formale e sostanziale dei cittadini. Chi ha fatto già diritto privato e pubblico, sono norme già citate nell‟ambito del corso. L‟articolo 3 enuncia il cosiddetto principio di eguaglianza sostanziale, è alla base dell‟intervento dello Stato in economia. Lo Stato ha lo scopo positivo, di eliminare gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento della situazione di eguaglianza sostanziale. Non soltanto sono rilevanti alcuni articoli della costituzione, ma sono rilevanti anche determinate leggi ordinarie che hanno rilevanza costituzionale, per esempio in primis la legge in materia antitrust,287 1990. Legge di rilievo costituzionale. Legge che parla di concorrenza. In secondo luogo, parlando di costituzione economica ci riferiamo ad una accezione più ampia. Ci si riferisce ad istituti non soltanto descritti positivamente in titoli della costituzione, ma più in generale, al modo con cui l’intervento dello Stato viene percepito dall’opinione pubblica, qual è la modalità con cui nell‟ambito dell‟ordinamento viene vissuto dai cittadini, dalla pubblica opinione. Cassese fa riferimento ad un giurista inglese,Dicey il quale appunto, a fine „800 aveva considerato questa accezione, per considerare un ordinamento anglosassone, dove non vi è costituzione materiale scritta, fosse stata l‟opinione pubblica a passare da una situazione liberistica ad una concezione più collettivistica, di maggiore intervento. 4 Infine abbiamo una terza accezione. Si riferisce a come nella prassi la costituzione, la legislazione viene applicata da parte degli apparati amministrativi. La costituzione economica è il diritto vivente, come sostanzialmente nella prassi concreta lo Stato materialmente interviene su determinati profili, attività economiche, settori. Vi sono alcuni modi diversi per affrontare lo studio di questa materia. Il primo modo, tradizionale tipico dei giuristi. Analizzare le norme, vedere quello che dicono. Da questa base studiare sostanzialmente le relazioni fra Stato ed economia. Vedere come si risolve nel concreto questa contrapposizione fra quello che dice la legge e i condizionamenti che determinate attività economiche subiscono in base a una determinata disposizione legislativa. Secondo modo è quello di analizzare le politiche settoriali dello stato rispetto ad un determinato settore economico. Esempio: settore dell‟agricoltura. Qual è la normativa di riferimento, quali sono le linee guida di politica economica che stanno alla base di una determinata legislazione, di un determinato modo di applicare determinate norme nel settore considerato. Infine, abbiamo un terzo metodo che vede, che analizza il governo dell’economia. Economia nelle sue dimensioni quantitative: governo della moneta, del risparmio, dei redditi e così via. Nell‟ambito di un corso di diritto, dobbiamo soprattutto riferirci ad un modo più tradizionale nel studiare l‟intervento dello stato in economia. Dovremmo necessariamente riferirci a norme, disposizioni di legge, cercando di capire quello che le disposizioni dicono. È chiaro che però bisogna cercare di interpretare le disposizioni, verificarle, e capire le finalità che ne stanno alla base. Cerchiamo però di inserire questo discorso in una prospettiva storica. Possiamo distinguere quattro periodi storici: dall‟Unità di Italia, dalla seconda metà del 1800 fino all‟attuale periodo storico. Ciascuno di questi periodi è caratterizzato da alcuni tratti, ben identificabili per caratterizzare l‟indirizzo dell‟intervento pubblico sulle attività economiche - Primo periodo: da 1861 (unificazione italiana) a fine „800; - Secondo periodo: da fine „800 ad anni „20; - Terzo periodo: da anni 20 a metà anni ‟50; - Quarto periodo: da metà anni 50 ad anni ‟70. Il primo è il periodo del liberismo. Il secondo periodo è quello della industrializzazione. Terzo periodo, da anni venti alla metà del 1900, è lo stato pianificatore, intervento massiccio dello Stato in economia. Lo stato in proprio assume lo svolgimento di determinate attività economiche. Quarto periodo Welfare state. Lo stato si fa garante di determinate prestazioni sociali nei confronti dei cittadini. Da anni ’80 abbiamo una fase nuova, condizionata dalla nascita della CE e della normativa UE. In coincidenza con l‟affermazione della CE, dei suoi principi e regole alla base del trattato, abbiamo anche una nuova epoca di intervento pubblico dello Stato in economia e nuovo modo di intendere la presenza dello Stato. 5 Il primo periodo: da unificazione sino a fine „800. Innanzitutto, dobbiamo trovare elementi qualificanti di questi periodi, questo periodo si caratterizza per l’unificazione legislativa. Codice civile e di commercio nel 1865, codice commercio modificato nel 1882. C‟è la necessità di affrontare i problemi dell‟unificazione amministrativa del regno d‟Italia. Questa unificazione è avvenuta a vari livelli, anche e soprattutto a livello legislativo. È stato adottato un codice civile unitario in sostituzione delle legislazioni tipiche degli stati pre-unitari. Nello scegliere quale modello di codice utilizzare, si è scelto quello che aveva maggiore diffusione all‟epoca: il codice napoleonico. L‟istituto fondamentale era la proprietà. Per quel che concerne il codice di commercio, modello francese, diverso da quello attuale. Non era disciplinata l‟impresa intesa come società, bensì era disciplinato il singolo atto commerciale: l‟atto di commercio. Questo processo di unificazione venne attuato in modo brutale. Semplicemente si estese la legislazione piemontese a tutti gli altri stati di cui si componeva il regno di Italia. Questa estensione comportava evidentemente conseguenze non di poco conto sul piano economico. L‟Italia aveva diversi gradi di sviluppo. Trapiantare in determinate zone del Paese un modello legislativo poteva determinare conseguenze non facilmente gestibili. Vi era chi sosteneva che questo trapianto della legislazione piemontese in altri stati potesse avere un effetto favorevole allo sviluppo economico. In realtà avrebbe avuto l‟effetto di creare un incentivo, uno stimolo per zone più arretrate del paese. Questo non si è verificato per un lungo periodo di tempo, ha dato luogo ad una serie di fenomeni di squilibrio del nostro paese. Secondo elemento caratterizzante questo periodo è il protezionismo doganale. Lo stato doveva ancora costituirsi sul piano legislativo costitutivo ed economico. L‟obiettivo fu la difesa dell’economia nazionale rispettoall‟esterno. Ciò si tradusse in una serie di dazi, tariffe doganali che sostanzialmente proteggevano la nostra economia rispetto alle importazioni, aggressione da parte di economie esterne. Le tariffe doganali e questo tipo di atteggiamento protezionistico ebbe alcuni tipi di conseguenze. Accentuò ulteriormente gli squilibri interni all‟economia nazionale. Creò una sorta di competizione fra l‟industria del Nord (all‟epoca maggiormente sviluppata) e le economie del mezzogiorno. Conseguenze che erano opposte rispetto a quelle che ci si prefiggeva di costituire all‟epoca. Eliminare disequilibri del paese, ma la politica protezionistica aveva determinato un effetto contrario. L‟Italia si sviluppava a due velocità. In terzo luogo, periodo che segue l‟unità e arriva a fine 1800, abbiamo un‟epoca caratterizzata da un massiccio fenomeno di privatizzazioni di beni dello Stato. Dovremo ritornarci. La privatizzazione, in generale, si riferisce alla vendita di beni dello Stato a soggetti privati. All‟epoca lo Stato era proprietario di una grande massa di beni, che provenivano anche dallo Stato Pontificio (asse ecclesiastico), in quell‟epoca si stima che venne 6 privatizzato, ceduto a privati, circa il 12% delle proprietà pubbliche dello Stato: terreni e immobili. Vi è il periodo della quotizzazione dei demani. Terreni ad uso collettivo vengono ceduti a singoli soggetti, piccoli proprietari terrieri. Questo fenomeno di massiccia privatizzazione si accompagna ad un atteggiamento di lontananza di interventi dello stato rispetto al governo dell‟economia. Si parla di liberismo. Non tanto una scelta ideologica da parte del governo all‟epoca in carica, ma era determinato dal fatto che l‟‟apparato statale, il governo dell‟economia era poco sviluppato. All‟epoca vi fu l‟istituzione del Ministero dell‟Economia (oggi dello Sviluppo Economico) che aveva una struttura molto limitata, soltanto circa 1000 dipendenti. Molto più sviluppato il ministro dei lavori pubblici, si conta di porre in opera tutta una serie di interventi nei lavori pubblici. Realizzare infrastrutture, strade. Infine, va ricordato come all‟epoca il governo delle attività economiche fosse demandato più che altro a soggetti che erano espressione delle stesse categorie economiche regolamentate. Erano le camere di commercio, d‟importanza fondamentale, per quel che concerneva la definizione delle regole alla base dello svolgimento di determinate attività economiche. Sono diventati enti pubblici successivamente, ma erano strutture corporative costituite in rappresentanza degli interessi delle categorie destinatarie della disciplina. Vi era un fenomeno di autoregolamentazione, erano gli stessi soggetti regolari che esprimevano i componenti degli organi di governo delle attività economiche. Infine lo Stato non è presente esso stesso come soggetto attivo, come imprenditore, produttore. Non è presente sul mercato. Nel 1863 venne istituita la Cassa depositi e prestiti, la banca dello stato, ministero delle finanze, impresa pubblica in cui lo stato comincia a svolgere una attività economica. Il primo periodo storico è caratterizzato da questi fenomeni. Periodo di liberismo, unificazione legislativa. Fenomeno di privatizzazione caratterizzato sostanzialmente da una distanza dello stato rispetto alla regolamentazione delle attività economiche. Abbiamo poi il secondo periodo storico, fine anni ‟20 del novecento: abbiamo un periodo diprima industrializzazione. L‟economia italiana è agricola, in questo periodo comincia una industrializzazione dell‟economia. Tratti caratterizzanti del periodo. Una prima differenziazione legislativa: cominciano ad essere emanate discipline specifiche per determinate zone del paese. Leggi speciali che interessavano aree territoriali del paese e con la finalità di dotare le aree di infrastrutture all‟epoca del tutto assenti. In secondo luogo, abbiamo una vigorosa promozione dei lavori pubblici nel nostro paese. In questo periodo, importante opera è quella della costruzione della rete ferroviaria. Avvenne nel 1905 con la costituzione dell‟azienda delle FerroviedelloStato. Le concessioni ferroviarie erano in mano ad aziende private. Queste concessioni private vennero trasferite a questa azienda statale, esempio di 7 impresa pubblica, ferrovie dello Stato che cominciò vasta opera di intervento del settore delle ferrovie per realizzare la rete ferroviaria nel nostro paese. Vennero costruite altre imprese pubbliche, come segno di intervento dello stato nel settore delle attività economiche. Primo decennio 1900 costituito l’IstitutoNazionale delle Assicurazioni, (INA) l’Istituto Nazionale del Credito e Cooperazione (l‟attuale BNL), impresa perla telefonia interurbana. Altro settore importanti in cui lo stato fa sentire la sua presenza: previdenza sociale. Fino a quell‟epoca la previdenza sociale era attuata tramite un sistema mutualistico, basato sulla volontaria adesione dei cittadini a casse mutue che erogavano volontarie prestazioni previdenziali. Questo sistema mutualistico non era in grado di assicurare a tutti assicurazioni previdenziali. Allora si passò ad un altro sistema obbligatorio mediante l‟istituzione della Cassa Nazionale di Previdenza, un soggetto pubblico e la trasformazione del fatto volontario dell‟adesione al sistema mutualistico ad un fatto obbligatorio. Dovevano aderire i cittadini e anche il datore di lavoro alla cassa di previdenza. Come vedete, a livello embrionale, ci si avvicina al sistema di previdenza sociale attualmente in uso. Abbiamo poi un terzo periodo, dagli anni ‟20 al 1942, periodo della nuovacodificazione. Il codice civile è del 1942, sostanzialmente onnicomprensivo, in cui venne assorbito anche il codice del commercio. Codice civile che aspira ad essere la norma fondamentale per quello che concerne lo svolgimento delle attività economiche in vari settori: materie di impresa, azienda, società, rapporti di lavoro e così via. In secondo luogo questo periodo è caratterizzato da un sempre più massiccio intervento dello Stato in economia. Intervento sempre più massiccio che si manifesta in modo preciso: quello della assunzione della gestione diretta di determinate attività economiche. Nel nostro ordinamento, a livello costituzionale, abbiamo una norma, l‟articolo 43, sostanzialmente consente la possibilità che lo stato riservi a sé stesso lo svolgimento di determinate attività economiche, in particolare nel settore dell‟energia e dei servizi pubblici essenziali. Sistema della riserva originaria. Quando lo stato decide di applicare questo articolo della costituzione impedisce che queste attività economiche possano essere svolte da soggetti privati. In questi anni è avvenuto per tutta una serie di attività economiche: marittimo, aereo, radiodiffusione e così via, meccanismo di riserva originaria. Lo stato assoggettava anche ad autorizzazione lo svolgimento di altre attività economiche. Osserviamo la differenza fra autorizzazioni e concessioni. Autorizzazioni lo stato autorizza l‟intervento di una attività economica che il privato ha la facoltà di svolgere. Sostanzialmente si pone una barriera all‟ingresso, si pone un vincolo all‟accesso allo svolgimento di una determinata attività economica ma, per le motivazioni più diverse, 8 lo svolgimento di quell‟attività economica è sostanzialmente possibile, è un diritto, seppur soggetto ad autorizzazione per il privato. Il caso della concessione, nel regime della riserva originaria, è una situazione diversa. Lo svolgimento di una determinata attività economica è riservata allo Stato. Lo Stato può anzitutto decidere di svolgere esso stesso quella determinata attività economica mediante proprie imprese, mediante articolazioni imprenditoriali. Lo Stato può trasferire ad altri soggetti la possibilità di svolgere questa determinata attività economica, e lo strumento giuridico è la concessione. Lo Stato consente di svolgere l‟attività economica che sarebbe riservata allo Stato. È chiaro che sia delle autorizzazioni che delle concessioni si può fare un uso distorto. Con la concessione lo stato trasferisce ad altri soggetti un diritto di monopolio, diritto di svolgere una determinata attività economica. Le autorizzazioni possono essere rilasciate in modo selettivo, creando artificiose barriere all‟ingresso. Teniamo presente che dalla metà degli anni „20 fino al secondo conflitto, è il periodo fascista, economia autarchica, in cui vigeva il principio dell‟autosufficienza della economia nazionale. È il periodo della crisi del 1929, che ebbe un riflesso immediato nella nostra economia. Basti pensare che in questo periodo, 1933, è nato l’IRI, ente mediante il quale lo stato deteneva le sue partecipazioni, imprese operanti nei vari settori. L‟IRI nasce nel 1933 per effetto della crisi economica mondiale del 1929. L‟IRI nacque sostanzialmente per un tetto di salvataggio delle imprese industriali entrate in crisi. All‟epoca, nel nostro sistema finanziario, prevaleva un modello di banca mista. Vi erano alcune grandi banche: banca commerciale italiana, credito italiano e credito di Roma, detenevano importanti e significative partecipazioni nelle principali industrie del nostro paese. Nel 1929 si manifestarono i segni di una crisi economica mondiale. Le aziende in crisi si rivolsero ai loro azionisti per ottenere nuovo capitale di rischio. Si rivolsero anche alle grandi banche per poter ottenere nuovi finanziamenti. Questo innescò una spirale perversa. Le grandi banche si trovarono esposte, nei confronti del sistema industriale, a due livelli: da un lato come azionisti e dall‟altro come finanziatori e creditori del sistema industriale. Questo è necessario per evitare il fallimento delle grandi industrie, per cui si creò questo istituto, nel 1933, al quale vengono trasferite mediante convenzioni, sia le partecipazioni che lo Stato deteneva in tante banche italiane, sia si impose alle banche di trasferire all‟IRI le partecipazioni che lo stato deteneva nelle più importanti industrie. L‟IRI svolgeva un ruolo di capogruppo delle partecipazioni dello stato sia nel settore bancario sia nel settore industriale. Questo ruolo dell‟IRI doveva essere svolto temporaneamente, fino a che tutto fosse tornato alla normalità. In realtà la sua istituzione divenne definitiva, divenne la holding di partecipazione dello Stato nell‟economia. L‟IRI venne soppresso verso la fine degli anni 1990. 9 La struttura dell’economia era organizzata secondo unordinamento corporativo. Cosa erano le corporazioni? Erano organismi rappresentativi sia dei sindacati dei lavoratori sia dei sindacati degli imprenditori. Per ciascun settore economico vi era una corporazione. Eleggeva i propri rappresentanti, quali unitamente al rappresentante del partito nazionale fascista, andarono poi a formare la Camera dei Fasci e delle corporazioni, che nel tempo sostituì la camera dei deputati. Mediante le corporazioni si volevano ottenere due obiettivi: pervenire ad una forma di governo di un settore economico. In secondo luogo, obiettivo che largamente fallì, si cercava di attenuare la conflittualità fra le associazioni rappresentative dei datori di lavoro e dei lavoratori. Abbiamo poi un ulteriore periodo, il quarto periodo. Dalla metà del 1900 fino agli anni 70. Nascita dello stato del benessere, intervento diverso dell‟economia rispetto a quello del periodo precedente. Abbiamo anzitutto l‟approvazione della Costituzione della Repubblica, 1948, in cui vengono fissati alcuni principi che regolano l‟intervento pubblico nell‟economia. In primo luogo un principio che abbiamo visto essere già attuato in precedenza: riserva originaria => lo Stato riserva a sé lo svolgimento di determinate attività economiche. Questo come dicevo si era già sostanzialmente verificato, meccanismo di avocazione di attività economiche, ma con l‟articolo 43 si sono posti limiti alla possibilità dello stato di nazionalizzare determinate attività economiche. Una determinata attività economica caratterizzata da situazioni di monopolio e determinati servizi pubblici essenziali. In secondo luogo, con l‟articolo 42, abbiamo il riconoscimento della proprietà pubblica e privata. Si prevede anche che lo stato possa stabilire casi particolari di acquisto della proprietà e limiti d‟acquisto in modo che possa essere resa accessibile a tutti. Infine, articolo 41, su cui torneremo domani, quello cui si riconosce e garantisce la libertà di iniziativa economica. Prevede anche che questa libertà di iniziativa economica possa essere funzionalizzata. Vuol dire che lo svolgimento di una determinata attività economica possa essere condizionata, non imponendo limiti esterni negativi, ma condizionando lo scopo sulla cui base viene svolta una determinata attività economica. Si assiste alla possibilità dello stato di funzionalizzare lo svolgimento di determinate attività economiche. Lo svolgimento acquisisce scopi diversi ulteriori di interesse pubblico rispetto a quelli propri di un determinato affare. In questo periodo, che va dal 1942 fino agli anni 1970, viene completato il quadro delle partecipazioni statali. Istituito l’ENI, a cui venne riservata l‟attività di ricerca di idrocarburi nel nostro paese. Cominciarono a moltiplicarsi gli enti, la presenza di enti pubblici dello stato in economia. Abbiamo l’IRI, l‟ENI. Anche altri enti, l’EFIM, manifatturiero e cosi via. Ciò rese necessario riorganizzare l‟intervento pubblico nell‟economia. Si decise di costituire nel 1956 il Ministero delle Partecipazioni statali. Si creava una struttura tecnicistica di 10 governo dello stato nell‟‟economia. Questa struttura si articolava mediante enti pubblici di gestione, al di sotto dei quali vi erano poi i soggetti che poi svolgevano direttamente le attività industriali. Tra questi enti ricordiamo l‟ENEL, oggi SPA, istituito 1963,a seguito della nazionalizzazione dell‟energia elettrica. Ancora una volta si da attuazione all‟articolo 43 della costituzione, riserva allo Stato di attività nel settore elettrico, mediante un meccanismo di avocazione allo stato di tutte queste attività che venivano svolte da soggetti privati. Questo comportò sostanzialmente un meccanismo di esproprio da parte dello Stato, di riscatto da parte dello Stato, di aziende che prima erano in mano a soggetti privati, i quali vengono indennizzati. Queste aziende elettriche vengono trasferite in capo all‟ENEL (Ente Nazionale per l‟Energia Elettrica) posto sotto il controllo dell‟IRI. Abbiamo sostanzialmente un sistema in cui viene posto al vertice il ministro delle partecipazioni statali, sotto vi è l‟IRI, configurato come ente di gestione, sotto il quale vi sono altri enti di gestione, ENI, EFIM e così via. In questo periodo si assiste ad un massiccio intervento dello stato nelle attività economiche mediante finanziamenti di vario genere. Si sentì l‟esigenza di intervenire mediante finanziamenti di vario genere per il superamento di determinanti ritardi nello sviluppo per le regioni del meridione. Innanzi tutto vi erano contributi a fondo perduto che lo stato erogava a determinate imprese, che operavano in determinati settori economici. Finanziamento ex ante non controllato. In secondo luogo finanziamenti ex post, di tipo premiale. In terzo luogo vi era il credito agevolato. Forma di finanziamento particolarmente diffuso fino all‟inizio degli anni ‟70. Lo Stato si rende garante, in modo che le imprese hanno accesso il credito a condizioni migliori rispetto a quelle cui potrebbero avere accesso operando autonomamente. L‟intervento dello Stato mediante l‟elargizione di concessioni si prestava a distorsioni di vario genere. Infine, negli anni ‟70, si è assistito ad un tentativo di intervento dello stato come pianificatore dello svolgimento delle attività economiche. Vera e propria pianificazione rispetto ad una mera programmazione dal parte dello Stato. L‟intervento di pianificazione è tipico delle economie sovietiche in cui vi era la proprietà pubblica (anche dei mezzi e fattori di produzione), lo Stato poteva pianificare lo svolgimento dell‟attività economica. Su quell‟esempio si sono tentatepianificazioni di determinati settori industriali. Questi piani hanno avuto degli esiti non sono stati attuati. Interventi dello Stato come programmatore nello svolgimento di determinate attività economiche. La programmazione è meno pervasiva della pianificazione. Lo Stato individua determinati obiettivi. Lo Stato si propone di conseguire a livello macroeconomico in determinati mercati, in determinati settori industriali. In questo periodo venne istituito il Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica, 11 per attuare una programmazione economica globale in determinati settori dell‟economia. In questo periodo abbiamo poi un sempre più deciso intervento dello Stato nel settore delle istituzioni del benessere. Lo Stato comincia a farsi garante di prestazioni di carattere sociale a favore dei cittadini in tre settori: - Istruzione; - Sanità pubblica; - Occupazione Il 1962 è l‟anno in cui si diede attuazione all‟articolo 34; si prevede la obbligatorietà e gratuitàdell’istruzione inferiore per almeno 8 anni. Nel 1978 abbiamo poi l‟istituzione del servizio sanitario nazionale, infine sotto il profilo dell‟assistenza e previdenza sociale abbiamo nel 1970,il completamento del sistema di previdenza sociale mediante la previsione delle cosiddette pensioni sociali. Su questo possiamo continuare domani perché non vorrei affrettare l‟esposizione. 28/02/2012 La lezione sarà al martedì alle 8.45 in aula penso Famagosta, (no lezione martedì) Continuiamo i discorsi iniziati ieri, riprendendo alcuni punti. Consideriamo sostanzialmente alcuni articoli che la nostra costituzione dedica ai rapporti economici. In particolare mi riferisco agli articoli 41,42,43 della Costituzione. Ricordo che una delle proposte del governo precedente all‟attuale governo Monti, era con le varie misure di liberalizzazione, di riscrivere in parte il dettato del 41 cost. relativo all‟iniziativa economica. L‟iniziativa economica, il diritto di svolgere una attività economica sia essa in forma imprenditoriale o meno, non può essere oggetto di condizionamenti eccessivi da parte dello Stato. L’articolo 41 cost. nella sua forma attuale, è quello che risale ai lavori dell‟assemblea costituente. Nel tempo la formulazione è rimasta immutata,nonostante il fatto che si siano succeduti diversi periodi storici in cui la forma dell‟intervento dello Stato ha assunto forme e modalità molto diverse. Sto facendo il tentativo di dividere in periodi storici. Abbiamo visto come c‟è stato un momento di minore interventismo, anni ‟60 maggiore intervento anche nella forma della pianificazione. Ora ci confrontiamo con le norme del trattato UE che, come vedremo, fanno scelte di principio di politica economica che sono anche diverse dalla nostra costituzione. L‟articolo 41 è rimasto immutato. Da parte del governo c‟è la tentazione di intervenire su questo testo fondamentale per quanto concerne il rapporto fra stato e cittadini. L‟articolo 41 inizia enunciando un principio di libertà “L‟iniziativa economica privata è libera”. 12 Garanzia a favore dei cittadini. I condizionamenti derivano dalla lettura del secondo e terzo comma dell‟articolo 41. La possibilità dello Stato di condizionare questa libertà dei cittadini di intraprendere il diritto di iniziativa economica discendono da quello che è previsto nel II e III comma del 41. 2 comma. È previsto che l‟‟iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l‟utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e dignità umana. Senza entrare in interpretazioni sofisticate, questa norma esprime un principio di buon senso, evidentemente questo principio di libertà non può essere posto in essere determinando un danno ad altri soggetti che sono titolari di diritti istituzionalmente protetti: il diritto alla sicurezza, alla dignità umana e alla libertà di iniziativa di altri soggetti. Il secondo comma pone limiti esterni al diritto di iniziativa economica. Non si può spingere fino al punto di ostacolare i diritti degli altri soggetti, in particolare i diritti di libertà degli altri cittadini. Come vedete, questa norma nel porre questi limiti esterni implica che vi debbano essere regole che siano dirette a coordinare lo svolgimento del diritto di iniziativa economica da parte dei vari soggetti dell‟ordinamento. Rendere compatibile il diritto di iniziativa economica di un soggetto con quello di un altro soggetto. Alcuni esperti in dottrina hanno sostenuto che questa norma determina e costituisce il fondamento istituzionale della legislazione antitrust, che detta le regole in base alle quali si può entrare nel mercato senza arrecare concorrenza tra gli imprenditori che operano nello stesso settore.Il secondo comma pone limiti esterni alla libertà di iniziativa economica. Il terzo comma, invece, dice ancora qualcosa in più, è forse il più incisivo. Dice che la legge, determina i programmi e i controlli opportuni perché l‟attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. Tre punti da evidenziare La costituzione pone una riserva di legge. Ciò che è consentito allo stato di fare può essere previsto soltanto con legge. Solo se c‟è copertura legislativa lo Stato può intervenire nel senso previsto da questa disposizione. Cosa può fare lo Stato con legge? Può determinare programmi e controlli affinché l‟attività economica possa essere indirizzata e coordinata. Si prevede che lo Stato possa intervenire sullo stesso diritto di iniziativa economica per indirizzarlo in modo che questo diritto sia svolto al fine del conseguimento di determinati scopi di interesse pubblico. Consente allo Stato quella che ieri ho definito la funzionalizzazione delle attività economiche. Il fatto che le attività economiche possono essere in qualche modo rese funzionali al raggiungimento di determinati scopi. Non sono quelli che si è posto l‟imprenditore privato, perseguimento dello scopo di lucro o altri scopi di altro genere, ma essere utilizzata a scopi sociali. 13 Così descrive il 41 terzo comma. Scopi sociali sono scopi di interesse collettivo, ci si riferisce a scopi e finalità che si contrappongono a quelli tipici dell‟imprenditore. L‟imprenditore organizzato in forma di società ha uno scopo lucrativo tipicamente egoistico, diretto allo scopo di lucro e distribuirlo. Questa norma consente che in certi casi, purché vi sia la legge che lo prevede, la attività economica può essere prevista a scopi di ordine collettivo, diversi rispetto a quelli tipici dell‟imprenditore. In effetti sulla base di questa esposizione, come ricordavo nella lezione di ieri, negli anni sessanta si è assistito al fenomeno di pianificazione di attività economiche. Questa attività di pianificazione non ha avuto un grande successo, è chiaro che in qualche modo la pianificazione acquista significato sulla competenza in economia. Gli anni ‟60,sulla base di questa disposizione, hanno tentato di sottoporre a pianificazione attività economiche in certi settori. Ancora oggi in alcuni settori economici si assiste a pianificazione e incisivi poteri di programmazione da parte dello Stato. Da qua la tentazione del governo che ha un determinato orientamento politico, di riformare l‟articolo in modo di eliminare la possibilità dello stato di intervenire incisivamente sui diritti di iniziativa economica. In realtà in una economia liberista, una disposizione come il terzo comma del 41 non avrebbe una sua ragione di essere. Tanto più che la possibilità di intervenire dello stato in modo così incisiva va in contrasto con alcuni principi di libertà sanciti nel trattato della UE. A livello istituzionale, a livello dei mercati della UE, nei mercati unici, prevale il livello di economia competitiva in termini di libera concorrenza. La scelta di politica economica di fondo che il legislatore comunitario fa nel trattato, è in favore di un assetto concorrenziale nel mercato,gli operatori si possono confrontare, ma non è presente intervento pubblico dello stato in funzione dirigistica. In qualche modo si è parlato anche, in dottrina, di una sorta di contrasto fra il 41 Cost. e i fondamentali messi nel trattato istitutivo della comunità europea. Come vedremo, soprattutto a seguito delle modifiche in base al trattato di Lisbona, anche il principio concorrenziale, che sta alla base della costituzione economica europea si è molto attenuato. Passiamo all‟articolo42della Costituzione, figlio di quelli della costituente del 1948. L‟articolo, in tema di proprietà, enuncia al secondo comma, che la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge. Principio cardine, di garanzia nei confronti della proprietà. Diritto che dev‟essere garantito nei confronti dello Stato. è riconosciuto e garantito dallo Stato. Prosegue, “ la legge determina i modi di acquisto e godimento, e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. Questo principio può essere condizionato in modo da assicurare la funzione sociale della proprietà privata e di renderla accessibile a tutti”. Anche qui si pongono le basi istituzionali per un intervento dello stato nel settore della proprietà. 14 Le leggi urbanistiche, i piani urbanistici a livello locale, il piano regolatore comunale, prevedono una serie di condizionamenti al diritto di proprietà privata. Chi ha un immobile in una zona soggetta a piano regolatore comunale, deve soggiacere ai regolamenti previsti nello stesso piano regolatore. Il comma 3 dell’articolo 42“la proprietà privata può essere espropriata nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”. Alcune autorità fanno grande uso di questo strumento di espropriazione. Una particolare zona deve essere di pubblica utilità, presupposti perché questo possa avvenire. Occorre realizzare una infrastruttura, un acquedotto, allora, in questi casi, l‟ente può dichiarare di pubblica utilità una determinata area ed espropriarla dal privato cittadino. È chiaro che è necessario che al privato vada riconosciuto un indennizzo. Occorre che questo potere di espropriazione sia previsto dalla legge. Anche qua abbiamo una riserva di legge. Il caso di esproprio della proprietà privata deve essere possibile. Non è che il comune decida con una propria legge se l‟area sia di pubblica utilità, ma è previsto con legge statale. Anche qua, nelle norme costituzionali in materia di proprietà, abbiamo il riconoscimento del diritto e, nello stesso tempo, la possibilità di indirizzare lo stesso godimento di questo diritto a determinate finalità, diritto dello stato di trasferire a sé, espropriare il privato cittadino di questo diritto di proprietà. Articolo43. Di questa norma ne abbiamo parlato la scorsa lezione. Consente allo stato di riservare o trasferire a se lo svolgimento di determinate attività economiche. Ieri parlavo della riservaoriginaria. Il fatto che lo stato si riservi lo svolgimento di attività economiche. Vediamo cosa dice a riguardo l‟articolo 43. “Ai fini di utilità generale, la legge può trasferire originariamente, o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, determinate imprese o categorie di imprese”… Cerco di fare una parafrasi. Fine di utilità generale, la legge dice che vi sia una legge dello stato che lo prevede, lo stato può riservare a sé lo svolgimento di determinate attività economiche (si parla di determinate imprese o categorie di imprese). Esempio: l‟attività di gestione dei servizi idrici è riservata allo Stato. Molti di voi sanno che oggi questo è un tema oggetto di dibattito pubblico,chi debba gestire i servizi. La gestione è lasciata a soggetti privati o debba essere di appannaggio dei soggetti pubblici, pubblici poteri. Questo articolo consentirebbe che una utilità sicuramente generale, come quella dei servizi idrici, possa essere riservata allo stato o a enti pubblici locali, regioni, province comuni, o addirittura possa essere riservata a comunità di lavori e utenti. Questo non è mai stato attuato nel nostro ordinamento. Abbiamo l‟esempio di nazionalizzazione che ha riguardato la nascita dell‟ENEL. La legge può trasferire mediante espropriazione e salvo indennizzo, lo svolgimento di determinate attività economiche ad enti pubblici. In questo caso gli enti pubblici non 15 si riservano originariamente l‟utilizzo di una attività economica, bensì la trasferiscono a sé mediante espropriazione e salvo indennizzo, quello che è accaduto nel settore dell‟energia elettrica. Il settore ha una sua filiera produttiva. Quando si parla di attività economiche parliamo di produzione di energia elettrica, trasmissione dell‟energia elettrica, trasmissione sulle linee ad alta tensione. Linee che attraverso il nostro paese. La distribuzione avviene a livello locale, poi abbiamo la vendita dell‟energia elettrica, varie attività che rientrano nel settore produttivo. Nel 1962, lo stato ha trasferito, con indennizzo, lo svolgimento di attività economiche, ad un ente pubblico che era denominato ed è tuttora ENEL. Lo Stato tramite ENEL poteva svolgere questa attività economica. Lo Stato poteva produrre energia elettrica, era titolare della rete di trasmissione nazionale dell‟energia elettrica, vendeva l‟energia elettrica nelle case dei cittadini. La possibilità di avvalersi di questo potere di riserva o di espropriazione di determinate imprese o categorie di imprese, però è possibile soltanto quando si parla, quando queste categorie di imprese si riferiscono a servizi pubblici essenziali. Nella costituzione c‟è una espressione, servizi pubblici essenziali, se si riferiscono a fonti di energia o a situazione di monopolio che hanno carattere di preminente interesse generale. Questa possibilità di trasferimento mediante esproprio è possibile nei casi di: servizi pubblici, energia, monopolio, se vi sono caratteri di preminente interesse generale. L‟utilità generale del trasferimento di una determinata attività economica è del tutto evidente. Stiamo parlando di servizipubbliciessenziali, attività che riguardano energia o attività monopolistiche. In qualche modo questo potere di riserva e espropriazione dello stato possa essere esercitato nei confronti di imprese che riguardano determinati beni ritenuti essenziali da parte dei cittadini. Abbiamo fatto l‟esempio della distribuzione di acqua, dell‟energia elettrica, servizi di telecomunicazione, trasporto pubblico, servizio ferroviario. Nell‟arco degli anni, in effetti, a partire dai primi del 1900 e anche prima che vi fosse questa previsione, lo Stato aveva riservato a sé molte attività economiche. Ancora oggi ci sono imprese pubbliche, società che sono controllate dallo stato o da altri enti pubblici. Questa norma si riferisce non solo ai servizi pubblici, ma dice che l‟impresa deve riferirsi a situazione di monopolio. Cosa vuol dire? Sapete tutti cosa è il monopolio. Qua è forse importante decifrare il riferimento costituzionale. Dobbiamo tenere presente, lo vedremo più avanti, che abbiamo due tipi di monopolio: - Monopolio naturale; - Monopolio legale. Monopolio legale? È quando la legge che stabilisce che il diritto di svolgere una determinata attività economica debba essere svolto da un soggetto o categoria di soggetti. È la legge che attribuisce lo svolgimento di una determinata attività 16 economica a determinati soggetti. Il carattere monopolistico dell‟attività economica è determinato dalla legge. Quando si ha un monopolio naturale? L‟intervento economico è inefficiente dal punto di vista allocativo, e dev‟esserci un unico produttore di un determinato servizio, debba essere determinato da un soggetto. Questo avviene in quali settori? Nei settori caratterizzati da economie di scala crescenti. Per quanto ci interessa, settori presenti da infrastrutture fisiche e tecnologiche particolari: servizi a rete, infrastrutturali. Abbiamo fatto esempi già prima: la gestione dei servizi idrici, ovvero la distribuzione di energia elettrica, servizi di telecomunicazioni. Sono infrastrutture fisiche, reti che rendono naturalmente monopolistico lo svolgimento di una determinata attività economica. Se un settore è monopolistico, c‟è il rischio che il monopolista ponga in essere politiche di discriminazione rispetto alla quantità venduta, prezzi e così via. Riferimenti economico sociali, da qui c‟è la possibilità per lo stato di trasferire a se, espropriare lo svolgimento di questa attività economica monopolistica. Questo articolo, 43 costituzione, si riferisce ai monopoli naturali. Situazioni di mercato naturalmente monopolistiche, lo stato può trasferire o avocare a sé rendendoli monopoli legali. Come vedremo più avanti, ci soffermeremo sul regime dove è applicabile l‟attività nel tempo si è reso evidente che la presenza di infrastrutture di rete fa si che il monopolio naturale riguarda un particolare segmento dell‟attività economica complessivamente considerata, possibile regolare segmenti di attività economica a monte o a valle con l‟ attività monopolistica. Esempio, energia elettrica. Infrastruttura di trasmissione nazionale o locale, rendono l‟attività di trasmissione dell‟energia elettrica un monopolio naturale. Ciò non implica che debbano essere monopolistiche le attività poste a monte o a valle. Per esempio l‟attività di produzione energia elettrica non è un monopolio naturale, così come non lo è l‟attività di vendita dell‟energia elettrica. Negli anni ‟60 è stato nazionalizzato il settore elettrico, soltanto successivamente sono state liberalizzate alcune attività ricomprese nel settore, per effetto della legislazione comunitaria, direttive che si sono succedute nel tempo. Effetto di differente scelta di fondo a livello di politica economica che differenzia il nostro legislatore nazionale rispetto a quello dei trattati della comunità europea. Mentre nella nostra costituzione è possibile intervenire per lo stato intervenire in modo pesante sullo svolgimento di attività economiche, a livello comunitario prevale un livello concorrenziale, su questo torniamo più avanti, quando ci occuperemo dei servizi pubblici. Ritorniamo un po‟ a considerare alcune distinzioni che possiamo fare in rapporto ai vari rapporti fra poteri pubblici e privati anche sulla base di queste norme costituzionali. 17 Abbiamo anzitutto le varie discipline che consideriamo quando parliamo di diritto dell‟economia. Abbiamo discipline anche nel vostro manuale vengono definite conformative. Facciamo un esempio. Sono quelle discipline pubblicistiche, che non si impongono imperativamente ai privati, sono normative dispositive, i privati possono optare quando intendono regolare fra di loro un determinato rapporto. In secondo luogo abbiamo discipline di intervento vero e proprio dello stato nell‟economia. Una fondamentale distinzione è fra intervento diretto e indiretto dello Stato. Intervento diretto, dà l‟idea che lo stato diventa in prima persona attore economico, lo stato assume su di se la qualifica di produttore erogatore di beni e servizi, imprenditore. Vasto fenomeno dell‟impresa pubblica, c‟è una impresa gestita dallo Stato o dagli enti pubblici. Stato, enti locali, regioni. Abbiamo avuto numerosissimi esempi di interventi diretti. Da questo punto di vista possiamo fare alcune distinzioni. Lo stato che interviene mediante propri organi, caso della impresa organo dello stato. Esempio. Un tempo i servizi di gestione dell‟acquedotto, erano svolti da aziende speciali, le aziende municipalizzate. Queste aziende non erano altro che organi dell‟ente locale a cui si riferivano. Svolgevano l‟ attività imprenditoriale, svolta da soggetti che facevano parte della pubblica amministrazione, da qui le aziende municipalizzate. Dal punto di vista giudico l‟impresa organo non è distinta dalla pubblica amministrazione, perché ne fa parte. Abbiamo invece anche il caso dell‟impresa ente. Esempi sono numerosi. ENI era un ente pubblico che svolgeva determinate attività economiche, veniva definito ente pubblico economico, persona giuridica distinta rispetto alla pubblica amministrazione. ENI aveva personalità giuridica autonoma rispetto allo Stato. Abbiamo fra gli enti economici,gli enti pubblici economici imprenditoriali, che svolgono direttamente l‟attività economica => ENI, dall‟altro lato avevamo invece gli enti pubblici economici di gestione. Cosa vuol dire? In realtà si limitavano a gestire le partecipazioni in società di cui lo stato era azionista. Abbiamo parlato dell‟IRI, esempio tipico. Holding posta al vertice. Terzo tipo di intervento pubblico dello stato si ha con le società. Lo stato non interviene nell‟economia mediante ente pubblico, impresa organo e così via, ma è azionista di una società,persona giuridica privata, prevista nel codice civile. Parleremo di questo più avanti ma, rispetto a queste società dello Stato si poneun problema fondamentale. In conseguenza del fatto che alla società partecipa un ente pubblico, rende questa società unente pubblico diverso, distinto? È una società che deve rispettare regole diverse rispetto a quelle generalmente previste per le società? Le risposta in linea di principio è negativo. La società ha un determinato scopo, specifica finalità, che non cambia anche se socio di questa società è un soggetto pubblico. Chiaro che vi possono essere situazioni differenti. C‟è un ente speciale che dice che la società è costituita da ente pubblico e 18 non ha scopo di lucro. Questo può essere possibile, si tratta di eccezioni, rispetto alla regola generale in base alla quale lo scopo della società è lucrativo. È una conflittualità, una contraddizione fra lo scopo lucrativo tipico della società e la partecipazione dell‟ente pubblico alla stessa società. L‟ente pubblico persegue scopi pubblici, scopi di interesse collettivo. Questo ha fatto ritenere a molti che le società non siano come tutte le altre, ma siano società che devono rimanere soggette ad una disciplina specifica, visto che ad esse partecipano i soggetti pubblici. Terza forma di intervento è mediante società per azioni. Ora vediamo l‟intervento indiretto. Si realizzano in due modi principali. Abbiamo un intervento che si realizza mediante la funzionalizzazionedi attività economica a scopo di interesse pubblico. Abbiamo parlato prima del terzo comma del 41 costituzione. Lo Stato può effettivamente intervenire in economia non direttamente ma con una legge, in modo che coloro che svolgono una attività economica lo fanno per un interesse generale. Può essere svolto mediante norme che non riguardano lo svolgimento di attività economica a fini sociali ma lo condizionano. Se vuoi svolgere questa attività economica, devi sapere che devi rispettare determinate condizioni… In questo senso abbiamo una distinzione tra queste forme a seconda delle finalità che stanno alla base di questo intervento indiretto. La prima finalità, vediamo alcune classificazioni contenute nel manuale, è di tipo protettivo. Lo Stato cerca di proteggere determinate categorie di soggetti deboli, si fa portatore di interessi che non sono propri, ma fanno riferimento a determinate categorie di soggetti. Lo stato si interpone in una relazione fra due soggetti privati, produttore e consumatore. Lo stato cerca di proteggere una delle due parti del rapporto, normalmente quella più debole. In altri casi lo stato interviene per correggere il funzionamento del mercato, quando il mercato fallisce, i cosiddetti fallimenti di mercato. Tanti casi in cui il mercato fallisce, non produce un determinato risultato efficiente dal punto di vista allocativo, o produce risultati iniqui dalpunto di vista sociale, distributivo. Il mercato concorrenziale può fallire perché produce bene dal punto di vista allocativo, ma esclude determinate fasce di consumatori, cittadini che non possono permettersi l‟acquisto di determinati beni e servizi ai prezzi del mercato concorrenziale.Bisogna rimediare ai fallimenti di mercato, sia dal punto di vista allocativo che distributivo. Da questo punto di vista ci sono due modi con cui lo stato può intervenire. Faccio un discorso che considera tutta la prospettiva storica. Innanzitutto lo Stato può pianificare lo svolgimento delle attività economiche Esempio economie comuniste, stato interviene e pianifica lo svolgimento di attività economiche anche da parte dei privati. Meccanismi istituzionali in base ai quali si realizzano le attività economiche. Opposto alla pianificazione c‟è la regolamentazione. Si è affermato nel terzo decennio del 1900 negli USA in cui venivano poste delle agenzie, oggi sono le autorità di regolazione, sostanzialmente sono gli stessi soggetti istituzionali. Cioè la regolazione 19 di una attività economica veniva demandata ad apposite strutture tecniche composte da esperti, indipendenti rispetto alla politica che esprimevano un certo grado di indipendenza più o meno accentuata. Organo di governo di un determinato settore economico che regolamenta sullabase di indirizzi legislativi,ma senza subirei condizionamenti che possono pervenire dall‟indirizzo politico che deriva da un determinato esecutivo. Il fenomeno delle attività di regolazione, delle agenzie, è un fenomeno che non riguarda in generale tutte le attività economiche, ma riguarda appunto specifici settori. Attività di regolazione ha competenza per uno specifico settore. Esempio autorità energia elettrica, ha come esperienza regolamentare la distribuzione dell‟energia elettrica e il gas. È chiaro che queste autorità indipendenti svolgono una funzione di regolamentazione insenso tecnico, deve avere obiettivi stabiliti dalla legge. Facciamo un altro esempio. L‟autorità garante delle comunicazioni ha delle specificazioni, dove ci sono obiettivi che il garante deve perseguire per lo svolgimento di attività di regolamentazione, regole tecniche e risoluzioni di controversie che possono sorgere fra i soggetti che operano in quel particolare mercato regolamentato. Qual è il problema di questa regolamentazione? Pericolo della cattura del regolatore. Rischio che l‟autorità di regolazione anziché farsi interprete di interessi collettivi, assegnati dall‟ordinamento, venga catturata dall‟industriaregolata, si faccia portatore di interessi particolari che operano in quel particolare settore, si determinano meccanismi di favoritismo istituzionalizzato. L‟autorità di garanzia anziché farsi portatore di interessi dei servizi delle telecomunicazione si faccia portatore dell‟interesse dei produttori dei servizi di telecomunicazione, di quelli che sono i soggetti forti del mercato. Nella letteratura economica, numerosi studi, è piena di analisi della regolamentazione che dimostrano come sul lungo termine vi è il rischio della cattura del regolatore, è la letteratura della public choice, che si inserisce in questo contesto teorico. Oltre che il problema della cattura del regolatore, a questo si sovrappone il problema del fallimento del regolatore. Il regolatore non riesca a raggiungere quegli obiettivi, a garantire la diffusione del servizio a livello nazionale, mantenere i prezzi ad un determinato livello. Regolamentazione che determina costi eccessivi a carico dei soggetti regolati che non vengono regolatidai benefici della stessa regolamentazione. Da questo punto di vista si parla in letteratura economica di analisi della para regolazione. Facciamo un esempio. Alle società quotate, quanto costa alle quotate per adempiere gli obblighi formativi previsti dalla Consob rispetto ai benefici che queste società quotate possono possono ritrarre dal fatto di essere ammessi alla regolamentazione di un mercato in borsa. Il costo della regolamentaizone è maggiore dei benefici per ottenere capitale? L‟attività dei regoaltori va valutata anche sotto questo profilo, i costi che determinano a carico dei soggetti regolati rispetto ai benefici che possono essere determinati. 20 È chiaro che alla fine di questo discorso classificatorio, dove ho cercato di tratteggiare alcuni concetti, è chiaro che ciascuna forma di intervento diretto/indiretto dello stato ha vantaggi svantaggi. Abbiamo altre forme di intervento, che si realizzano mediante la sottoscriszione di accordi fra lo stato, i poteri pubblici, enti pubblici e privati. Accordi di programma, tanti tipi di vantaggi e svantaggi di forme diretto indiretto chefanno si che l‟itnervento dello stato nelle attività economiche si manifesti in molteplici forme. Se dovessimo analizzare le forme di intervento del nostro Stato, avremo sia esempi di intervento diretto, forme di enti pubblici che svolgono attività economiche, meccanisnmi di pianificazione, piani urbanisctici, forme estese di intervento indiretti:la regolamentaizone posta in essere le autorità amministrative; forme di concertazione fra accordi tra stato enti pubblici e privati, insomma si ha un panorma variegato in cui, sostanzialmente, le forme dellìintervento sono molteplici e nonsono condotte ad un quadro unitario. 21 Volevo cominciare un altro argomento, quello dell‟analizzare la normativa comunitaria, per vedere l‟impatto sulla disciplina economica posta in essere. Una delle linee interpretative è che per effetto della legislazione comunitaria, a partire dai primi anni anni ‟80 si è avuta una vera e propria rivoluzione dell‟intervento dello stato sulle attività economiche. Questo perché,sostanzialmente, alla autonomia nel determinare indirizzi di politica economica su determinati settori si è sostituito potere sovranazionale, oggi parliamo di UE, potere sovranazionale. Le norme comunitarie sono sovraordinate rispetto alle norme del nostro ordinamento. Breve excursus. La CEE è stata istituita nel 1956 col trattato di Roma. Poi trattato di Maastricht nel 1993, la CEE si trasforma in UE. Oggi a seguito del trattato di Lisbona abbiamo due fonti normative fondamentali: - Trattato di Maastricht (istitutivo dell‟UE); - Trattato di Lisbona (sul funzionamento dell‟UE). A seguito del trattato di Lisbona, si sono ampliate le competenze e si è ampliatao la sfera di azione dell‟UE, ricordo brevemente.Abbiamo due testi fondamentali, due testi costituzionali importanti per la nascita dell‟UE. Altra particolarità è a livello istituzoinale. Gli organi di vertice sono moltepilici e compositi: Parlamento e Consiglio, organi di vertice e politico dei vari stati membri, membri dell‟esecutivo, organo con poteri di indirizzodi tipo legislativo. Abbiamo poi il parlamento, espressione dei cittadini comunitari, organo legislativo, al pari e accanto al consiglio europeo. Abbiamo poi il governo, la Commissione, ha anche poteri di proposta. La maggior parte dell‟attività legislativa avviene su proposta della commissione europea, previo il parere di organi comunitari. Infine Corte di giustizia delle comuinità europee, funzione di garantire la conformità del diritto comunitario, e decidere in relazione alle varie sanzioni nei confronti dei vari paesi membri. Assetto istituzionale complesso che non è comparabile a quello tipico classico degli stati moderni basati sulla tripartizione dei poteri: legislativo esecutivo e giudiziario. Qual è l‟obiettivo sul quale è nata la CEE? Obiettivo sancito nel trattato istitutivo di Roma del 1956. L‟obiettivo era quello di creare, in alcuni settori economici, un mercato unico a livello europeo. Obiettivo prettamente economico. Le competenze della UE si sono allargate fino ad abbracciare settori sensibili dal punto di vista sociale, istruzione, previdenza e così via. L‟obiettivo era di creare un mercato unico per lo svolgimento di determinate attività economiche. Per creare un mercato unico bisognava abbattere le barriere che esistevano fra i vari mercati nazionali dei paesi membri, superare la frammentazione e le asimmetrie che esistevano fra i vari paesi membri. Per far questo occorreva un soggetto sovraordinato rispetto ai paesi membri: organi governativi ed esecutivi della comunità europea. Strumenticon cui si è affermato il mercato unico nel tempo? 22 - - - Affermazione di alcune libertà fondamentali: libertà di circolazione delle merci, libertà di circolazione dei servizi, libertà di circolazione dei lavoratori e libertà di circolazione dei capitali, 4 libertà. si tratta di affermare queste libertà all‟interno dei vari paesi membri dell‟UE; Disciplina della concorrenza. Non tutti i paesi membri avevano una disciplina della concorrenza. La disciplina della concorrenza si è imposta a tutti i paesi membri. Questo ha contribuito a creare un mercato unico a livello europeo per determinate attività economiche; Divieto degli aiuti di Stato. porre limitazioni agli stati di aiutare i soggetti economici nazionali, le imprese che operano in un mercato nazionale. 05/03/2012 Stavamo parlando dell‟impatto del diritto comunitario sull‟ordinamento interno per quanto attiene le forme dell‟intervento pubblico nell‟economia: tema regolazione e concorrenza. Parlavamo dei tre strumenti con i quali si è manifestato questo impatto nel diritto comunitario. L‟affermazione di alcune libertà fondamentali stabilite nei trattati istitutivi dell‟UE; in secondo luogo la disciplina della concorrenza dopo che erano stati adottati i trattati comunitari e infine la disciplina in materia di aiuti di stato. Oggi ci occupiamo di questi aspetti in modo più approfondito. Libertà di circolazione: è enunciazione di un principio di libertà, di una garanzia di un ordinamento sovranazionale come è l‟Unione Europea a vantaggio dei cittadini della stessa UE. Questa libertà di circolazione è funzionale alla affermazione di un trattato unico a livello comunitario per lo svolgimento di determinate attività economiche. C‟è un divieto che la legislazione comunitariapone ai vari stati membri rispetto all‟adozione di determinate misure legislative nazionali. Esempio. Quando si parla di libertà di circolazione delle merci, c‟è un principio in base al quale le merci possono circolare all‟interno dell‟UE, all‟interno di tutti i paesi che fanno parte dell‟UE. Questo principio si afferma in modo sostanzialmente indiretto: ponendo un divieto ai vari paesi di frapporre degli ostacoli rispetto alla libertà di circolazione delle merci all‟interno dell‟unione. Il trattato ha questa funzione. Impedire che nelle legislazione dei vari stati comunitari vengano previste delle norme che si pongono in contrasto con questo principio di libertà. Non solo, ma all‟interno dei vari stati membri devono essere eliminate quelle norme, disposizioni, che costituiscono un ostacolo, anche solo potenziale, rispetto al principio della libertà di circolazione. Come vedete, in questo caso, per quanto concerne le libertà di circolazione, il beneficio che ne trae il cittadino, l‟imprenditore, il produttore è soltanto indiretto. È del tutto evidente che le istituzioni comunitarie, la legislazione comunitaria si rivolge agli stati membri: divieti e obblighi in capo ai poteri legislativi dei vari stati membri. 23 Il divieto di prevedere misure restrittive e l‟obbligo di eliminare queste disposizioni che possono costituire un ostacolo all‟esplicazione di queste libertà di circolazione. Quali sono le libertà di circolazione? Sono 4: delle merci, dei servizi, dei lavoratori e dei capitali. Adesso vedremo come è enunciata ciascuna di queste libertà. Prima di farlo volevo parlare degli altri due settori: innanzi tutto la disciplina della concorrenza. È una disciplina che esplica i suoi effetti direttamente nei confronti delle imprese che operano all‟interno dell‟UE. Disciplina che pone obblighi, divieti e diritti direttamente a carico o a vantaggio delle imprese comunitarie. È una disciplina che agisce direttamente sul mercato, proprio perché prevede determinate regole di funzionamento del mercato, soprattutto regole per mantenere e preservare una struttura concorrenziale del mercato. Abbiamo poi un terzo insieme di norme che considereremo oggi: aiuti di Stato. Cosa sono? Qualsiasi forma di aiuto finanziario, economico che uno stato membro può riservare a determinate imprese nazionali, cioè che fanno parte del proprio ordinamento. Il trattato enuncia un generale divieto a questi aiuti di Stato. Anche qui la normativa comunitaria impone un divieto in capo agli stati membri: quello di aiutare le proprie imprese con forme di sussidio di vario genere. È chiaro che la normativa in materia di aiuti di Stato è funzionale all‟affermazione dei principi di libera concorrenza che stanno alla base del trattato. È chiaro che se lo Stato ha la possibilità di aiutare imprese con forme di sostegno di diverso genere, altera le regole di funzionamento del mercato comune europeo. Vi sono imprese poste in una situazione di vantaggio concorrenziale rispetto ad altre imprese. Le norme del trattato che impongono il divieto sono complementari rispetto alle norme in materia di concorrenza (su questo tornerò). Cerchiamo adesso di analizzare le disposizioni che pongono questi principi di libertà di circolazione all‟interno del trattato. Sono disposizioni ricordate all‟interno del nostro manuale ma possiamo scaricare il trattato istitutivo dell‟unione Europea, modificato a seguito del Trattato di Lisbona del 2007 da qualsiasi fonte internet. Dobbiamo vedere solo alcune norme. Anzitutto l‟articolo 26 paragrafo due, enuncia queste 4 possibilità. “Il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere, interne nel quale è assicurata la libera di circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni dei trattati”. L‟articolo 28 comma 1 del trattato in cui viene enunciato il principio di libera circolazione delle merci, articolo basilare. Dice che: “l‟unione comprende un‟unione doganale che si estende al complesso degli scambi di merci e comporta il divieto, fra gli stati membri, dei dazi doganali all‟importazione e all‟esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente, come pure l‟adozione di una tariffa doganale comune nei loro rapporti con i paesi terzi”. Cosa dice la norma? Divieto di imporre dazi doganali fra i paesi che fanno parte dell‟UE. Divieto, in secondo luogo, di imporre misure o tasse che abbiano effetti 24 equivalenti ai dazi doganali. In terzo luogo i paesi che fanno parte dell‟UE devono adottare delle tariffe doganali comuni rispetto all‟importazione di merci da paesi terzi. Distinzioni fra paesi terzi che non fanno parte dell‟UE. Vi sarebbero diverse distinzioni da fare, tralasciamo. Un punto su cui mi volevo soffermare è quello delle misure fiscali che abbiano effetti tipo i primi. Il diritto comunitario è un diritto la cui applicazione non è tanto legata alla qualificazione formale di un determinato atto o provvedimento legislativo. Quello che importa al diritto comunitario è l‟effetto che questo atto, provvedimento, provoca sul mercato comune. Anche se una determinata misura legislativa comporta l‟adozione all‟interno dell‟ordinamento di un qualcosa che non è denominato dazio doganale ma che ha lo stesso effetto, questo qualcosa rientra nell‟ambito di applicazione del divieto. Anche le tasse che nascondono dazi di tipo doganale e che hanno effetti equivalenti a quello dei dazi doganali, sono vietate in base a questa disposizione del trattato. È il principio dell‟effetto utile. Il diritto comunitario guarda qual è l‟effetto utile. Se l‟effetto è contrario ai principi di libertà stabiliti nel trattato, allora quella determinata misura va abrogata al di la della sua qualificazione formale. Sapete che i regimi fiscali all‟interno dell‟UE sono molto differenziati. L‟applicazione di questo regime non dev‟essere di tipo discriminatorio. Questo ce lo ricorda l‟articolo 110 prevede che ciascun stato membro non può applicare ai prodotti degli altri stati membri, imposizioni di natura fiscale, tassazione diversa da quella che applicherebbe ai prodotti nazionali. Quello che importa, è che queste differenze non siano applicate in modo discriminatorio. Applicate in una certa maniera nei confronti dei prodotti nazionali e in un‟altra maniera nei confronti dei paesi provenienti da altri Stati dell‟UE. È importante la restrizione delle misure quantitative. A proposito sono importanti gli articoli 34 e 35 del trattato. Articolo 34: “Sono vietate fra gli stati membri le restrizioni quantitative all‟importazione, nonché qualsiasi misura di effetto equivalente”. In questo caso non si tratta di vietare una misura legislativa interna o di altro genere che abbia un effetto di tipo impositivo fiscale, ma semplicemente che determini una diminuzione delle quantità di una determinata merce che possono provenire da altri stati dell‟unione. Questo divieto ha delle deroghe. Possibilità di prevedere limiti, si applicano in determinate circostanze. Il trattato riconosce uno spazio di sovranità agli stati membri in determinate circostanze del tutto eccezionali. Facciamo l‟esempio di deroghe alla libertà di circolazione delle merci. Queste limitazioni sono ammesse, quando i limiti siano giustificati da motivi di moralità pubblico, ordine pubblico, pubblica sicurezza, tutela della salute. Quando ricorrono queste motivazioni di preminente interesse pubblico,ordine pubblico, tutela ambiente, pubblica sicurezza, viene riconosciuta la sovranità dello Stato, i diritti del trattato recedono rispetto a quelli dello stato membro che ha solo per questi motivi derogare ai diritti di libertà previsti dal trattato. 25 Si tratta di motivazioni che attengono all‟esercizio delle funzioni fondamentali dello stato, rispetto alle quali arretra un ente nazionale qual è l‟UE. Ordine pubblico, salute pubblica, pubblica sicurezza e così via. In questo ambito circoscritto, ciascuno stato membro è libero di esercitare prerogative sovrane. È chiaro che da questo punto di vista, trattandosi di deroghe ad un principio generale di libertà, queste deroghe devono essere interpretate restrittivamente, solo in casi eccezionali vi è la possibilità di derogare ai principi stabiliti dal trattato. Una giurisprudenza della corte di giustizia dimostra come istintivamente sono state riconosciute queste possibilità degli Stati nazionali di derogare al principio di libera circolazione delle merci. Libertà di circolazione dei lavoratori, stabilita dall‟ articolo 45 del trattato: “ la libera circolazione dei lavoratori all‟interno dell‟Unione è assicurata. Essa implica l‟abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli stati membri, per quanto riguarda l‟impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro”. Cosa vuol dire questa libertà di circolazione dei lavoratori? Un lavoratore che vuole prestare la propria attività lavorativa in un altro stato membro dell‟UE non può essere discriminato in ragione alla propria nazionalità. Questa libertà nello svolgimento del proprio lavoro implica il riconoscimento di ulteriori libertà. La libertà morale dello stato membro ospitante in cui si vuole prestare la propria opera lavorativa. Ma soprattutto anche una serie di misure accessorie e complementari che attengono alla possibilità di fruire nello stato membro ospitante determinate garanzie a cui il lavoratore deve poter avere accesso per poter lavorare all‟interno dello Stato. Queste garanzia tendono alla protezione sociale, articolo 48. Il lavoratore può fruire del medesimo livello di protezione sociale (prestazioni previdenziali) che avrebbe nel suo paese d‟origine. Da questo punto di vista è necessario che vengano stabilite misure dirette a garantire il cumulo dei periodi assicurativi previdenziali maturati nei vari paesi membri. È necessario che vi siano meccanismi tali da garantire un riconoscimento dei titoli di formazione professionale fra i lavoratori che hanno acquisito nei vari paesi membri dell‟UE. È necessario che per attuare questa libertà vengano eliminati i dislivelli, le differenze che sussistono fra le legislazioni dei vari paesi membri e che da questo punto di vista si forma una sorta di diritto comune europeo per lo svolgimento dell‟attività lavorativa. Libera circolazione dei lavoratori? Ha delle deroghe che riguardano determinate funzioni lavorative correlate agli Stati membri. Ci sono determinate figure di lavoratori rispetto alle quali è possibile ipotizzare forme di discriminazione basate sulla nazionalità. Vi è per esempio il decreto 1994 ha stabilito che è necessaria la cittadinanza italiana in alcune cariche, funzioni. Per esempio all‟interno del governo, per la funzione di magistrato. Anche in questo caso si tratta di deroghe limitate giustificate dal fatto 26 che lo svolgimento di determinate attività e funzioni è direttamente collegato all‟esercizio di poteri sovrani da parte dello Stato. Circolazione dei lavoratori, vuol dire libertà dei lavoratori di prestare la propria opera lavorativa senza discriminazione. Altra libertà è quella di stabilimento. Cosa è la libertà di stabilimento? Articolo 49, possibilità di stabilire la sede delle proprie attività in uno stato membro diverso rispetto a quello di origine. Aprire una succursale, una agenzia, una sede secondaria della propria società, questa è la libertà di stabilimento. Libertà di creare una stabile organizzazione ad un paese rispetto quello a cui l‟impresa o il lavoratore autonomo proveniva. Diversa invece la libertà di circolazione (prestazione) dei servizi. Ciò che viene garantito dal trattato è la possibilità di prestare un determinato servizio diverso dal paese d‟origine senza stabilire una succursale nel paese ospitante. Si tratta di due possibilità operative diverse che hanno i cittadini o le imprese comunitarie. Possibilità di prestare una determinata attività, servizio, attività imprenditoriale in un paese membro diverso da quello d‟origine creando una stabile organizzazione nel paese ospitante. In secondo luogo possibilità di svolgere attività senza creare una stabile organizzazione nel paese ospitante. Ma regime di libera prestazione dei servizi, mantenendo la propria sede operativa nel paese d‟origine, l‟‟impresa si limita a svolgere attività di servizio in un paese membro diverso rispetto a quello d‟origine. Cosa vuol dire libertà di prestazione dei servizi? Qualsiasi attività che viene prestata dietro il pagamento di una retribuzione: la garanzia di questa libertà è potenzialmente molto ampia e onnicomprensiva si applica alle prestazioni di lavoro autonomo. Questa libertà implica un ravvicinamento delle legislazioni fra i vari paesi membri. Per esempio, a livello di riconoscimento dei vari percorsi formativi, professionali, titoli di studio e così via. Un momento importante è la direttiva 123/2006 che ha fissato alcuni principi generali che consentono e che garantiscono questa libertà di prestazione dei servizi. Ci sono alcune eccezioni: non sono compresi i servizi finanziari o i servizi di interesse economico generale, quelli che nel nostro ordinamento conosciamo come servizi di pubblica utilità, servizi pubblici. Accanto alla direttiva che prevede il regime generale in materia di libera circolazione dei servizi abbiamo discipline settoriali, le più importanti ricordate nel manuale: ricordiamo le direttive in materia societaria in cui si stabiliscono regole comuni a livello comunitario in materia di disciplina delle società: le discipline nazionali devono prevedere principi a livello comunitario. Questo per quanto concerne la redazione dei bilanci, redazione e valutazione delle poste in bilancio. Altro ambito importante è direttive in materia di contratti che sono aggiudicati dalle amministrazioni pubbliche. Anche qua è un obiettivo della direttiva: quello di garantire a tutte le imprese pubbliche che vogliono lavorare con le PA di un paese 27 membro di avere la possibilità di farlo, senza discriminazioni a causa della nazionalità della stessa impresa Da questo punto di vista abbiamo due direttive del 2004, la 17 e la 18. La prima concerne gli appalti pubblici, servizi, lavori e forniture dei settori classici. La direttiva 18 appalti pubblici dati di amministrazioni pubbliche nei settori esclusi, cioè i settori ancora monopolistici, settori delle public utilities, pubblica utilità. Hanno regole di aggiudicazione diverse rispetto a quelle previste in tutti gli altri settori. L‟obiettivo di queste direttive sono diversi. Garantire il massimo grado di apertura dei mercati nazionali, appalto per importante opera pubblica? Vi deve essere la possibilità di poter partecipare alla gara d‟appalto. Questo è importante per stabilire regole di trasparenza all‟interno dell‟UE che siano in grado di garantire idonea pubblicità allecondizioni e i termini della gara d‟appalto che una determinata amministrazione pubblica voleva bandire. La pubblicità che deve avere diffusione comunitaria. In secondo luogo è chiaro che non possono essere previste nell‟ambito della disciplina della gara d‟appalto delle specifiche, dei requisiti di partecipazione discriminatori con effetto di discriminare l‟ impresa di un determinato Stato membro perché non presenta requisiti tecnici o economici che possono essere posseduti soltanto da imprese appartenenti ad un determinato stato membro. Infine è importante che la gara è giudicata in base a criteri uniformi, oggettivi, predeterminati e che quindi non possono essere manovrati discrezionalmente da parte della PA, stazione appaltante in modo da discriminare le imprese che provengono da altri stati membri. Tutte queste regole, finalità,sono contenute nelle direttive e recepite nell‟ordinamento: nel codice degli appalti e dei contratti pubblici . La quarta libertà che viene garantita è la libertà di circolazione dei capitali, articolo 63 comma 1 recita: “Nell‟ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra stati membri, nonché fra stati membri e paesi terzi”. In questo caso abbiamo una libertà di circolazione che viene estesa anche ai paesi terzi. In questo caso il principio di libertà riguarda un particolare fattore produttivo: il capitale. Effetto di non limitare la possibilità di un cittadino, di una impresa, di spostare le proprie risorse finanziarie da un paese membro dell‟UE ad un altro. In particolare questa libertà di circolazione trova la sua applicazione nella libertà di investimento. Una impresa comunitaria deve avere la possibilità di investire liberamente senza essere discriminata da imprese di un altro paese membro dell‟UE. Da questo punto di vista ci sono misure per i paesi comunitari di investire in imprese nazionali. Facciamo un esempio giusto per capirci: le golden shares. Ci sono una serie di norme contenute nelle varie legislazioni che riservano allo Stato dei poteri speciali all‟interno degli statuti di società che hanno particolare rilevanza per una determinata economia nazionale. 28 In Italia sono previsti questi poteri speciali nello statuto di ENEL, ENI, Telecom Italia e altri importanti società che hanno un rilievo nel sistema economico. Questi poteri speciali consistono nel potere dello Stato di vietare che vengano poste in essere operazioni societarie perché l‟applicazione di queste operazioni straordinarie può pregiudicare l‟assetto organizzativo della società. Il trattato, le istituzioni comunitarie nel tempo hanno messo nel mirino queste legislazioni che prevedono questi poteri speciali che si pongono in contrasto col principio della libera circolazione dei capitali, soprattutto nel principio della libertà di investimento. È chiaro che un investitore comunitario è disincentivato dall‟investire nel capitale di una società quando sa che un socio ha prerogative speciali che in qualche modo consentono di ostacolare il compimento di determinate operazioni di gestione o straordinarie. Questelegislazioni nazionali in cui erano previste queste prerogative speciali a favore dello stato sono state oggetto di condanna da parte della corte di giustizia sicché questa possibilità è ridotta ai minimi termini. Dobbiamo considerare la disciplina della concorrenza. L‟UE è basata su determinate regole in materia di concorrenza. Garantiscono che il mercato unico europeo si mantenga concorrenziale e competitivo. Principi che venivano affermati senza alcun tipo di temperamento in modo assoluto, con alcune eccezioni, come vedremo per quanto concerne i servizi di pubblica utilità. I principi di concorrenza dei mercati e della garanzia degli assetti concorrenziali dei mercati sono un principio fondante l‟unione europea. Il principio è stato temperato a seguito del trattato di Lisbona. Basta leggere il 3 comma 3 dell‟UE per vedere come questo principio di concorrenza dei mercati europei ha dei temperamenti. Leggo la norma: ”L‟Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell‟Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su una economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e miglioramento della qualità dell‟ambente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico”. Il principio di concorrenza non è affermato in modo assoluto. Si parla di economia sociale di mercato, mercati competitivi, allo stesso tempo sostenibili, devono mirare alla piena occupazione, stabilità dei prezzi, progresso tecnologico. Si introducono tutta una serie di temperamenti del principio concorrenziale. Rimane il fatto che alcune norme del trattato dispongono determinate regole in maniera di concorrenza, 101 e 102 del trattato. Norme che hanno la finalità di far si che non venga impedito ristretto o falsato il gioco del marcato della concorrenza nel mercato unico. Quali sono le due principali fattispecie? La prima 101.1. sono incompatibili col mercato interno e quindi vietati gli accordi fra imprese con l‟effetto di restringere impedire o falsare il gioco della concorrenza. Questo primo grande divieto è quello dei 29 cartelli: accordi fra imprese che hanno lo scopo di distorcere falsare e impedire il funzionamento concorrenziale del mercato. Accordi che riguardano il prezzo di un prodotto previsto per un determinato prodotto/servizio, le quantità vendute, ripartizione delle quote di mercato. Consideriamo che abbiamo due tipologie di accordi: orizzontali e verticali. Da un lato accordi fra imprese poste sullo stesso livello della filiera produttiva (accordi orizzontali) e gli accordi verticali: fra imprese poste a livelli diversi della filiera produttiva. Secondo grande divieto in materia di antitrust è previsto dal 102:divieto di abuso di posizione dominante. È possibile che all‟interno di un mercato una impresa acquisisca una posizione di particolare forza, una quota di mercato particolarmente consistente, particolare rilevo. Si può fare con meccanismi di crescita endogena. Viene acquisita una posizione di potere economico all‟interno di un mercato. Crescita esogena concorrenti. L‟impresa si compra i concorrenti ed elimina i concorrenti dal mercato. Quello che conta è che l‟impresa abbia acquisito questa posizione dominante all‟interno di un determinato mercato. Avere questa posizione dominante non è vietato,non è una cosa incompatibile con le regole concorrenziali. È incompatibile che le imprese abusino del proprio potere economico, facendo leva su questo per eliminare la poca concorrenza ancora residua sul mercato dominante. Ostacoli il dispiegamento della concorrenza che ancora residua sul mercato, su questo è chiaro che dovremmo tornare. Abbiamo adesso le norme in materia di aiuti di Stato. Il trattato pone limitazionidi poter venire in aiuto con diversi mezzi in favore delle proprie imprese nazionali. È chiaro che in questo caso il divieto degli aiuti di Stato sussiste fintanto quando l‟aiuto possa pregiudicare l‟incidere sul funzionamento del mercato unico. La norma di riferimento è l‟articolo 107 del trattato il quale prevede che: ”Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi fra stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”. Questa disposizione pone un divieto che però è derogabile. Vedremo come le deroghe sono numerose e previste in determinate circostanze. Non è vietato qualsiasi aiuto, ma quello che abbia l‟effetto di falsare o minaccia di falsare la concorrenza. Se l‟aiuto non ha un effetto anticoncorrenziale non è vietato. Quando avviene che il sostegno statale non ha questo effetto anticoncorrenziale? Tutte le volte in cui lo Stato agisce come un investitore di mercato. Quando investe le proprie risorse in una determinata impresa a condizioni analoghe a quelle che accetterebbe qualsiasi investitore privato. Gli aiuti di Stato sono compatibili col trattato quando superano questo test dell‟investitore di mercato. Se è possibile per lo Stato dimostrare che una forma di sostengo finanziario nei confronti di una determinata impresa è in linea con le 30 condizioni con cui un determinato investitore finanzierebbe l‟impresa allora non c‟è violazione del divieto degli aiuti di Stato. Infine vi sono numerose deroghe a questo divieto. È previsto dal trattato che in determinate circostanze gli stati possono aiutare le proprie imprese. Facciamo esempi, sempre previste nel 107 trattato. Esempio. Aiuti destinati ad ovviare aidanni arrecati da calamità naturali od altri eventi eccezionali;destinati a favorire lo sviluppo delle regioni dove il tenore di vita sia basso; o grave forma di sotto occupazione e così via; aiuti destinati a promuovere la cultura o la conservazione del patrimonio. Diamo l‟idea che è possibile per gli Stati membri aiutare le proprie imprese con determinati aiuti. È chiaro che queste forme di aiuto devono essere giustificate sulla base di queste disposizioni e devono essere portate a conoscenza delle istituzioni comunitarie e della commissione affinché la commissione può valutare se sussistono le circostanze che rendono possibile allo stato membro aiutare le proprie imprese. Abbiamo un elenco di aiuti compatibili. Ma è chiaro che c‟è la possibilità per uno Stato membro di aiutare l‟impresa dipende dal fatto che quell‟aiuto sia dichiarato compatibile, perché rientra nelle ipotesidi deroghe previste nel trattato. La commissione deve vigilare costantemente. Art. 108: è necessario che la commissione vigili costantemente, sul regime di aiuti esistenti, quegli aiuti che gli Stati membri hanno riconosciuto alle proprie imprese. È necessario che qualsiasi forma di aiuto venga notificato dallo stato membro alla stessa commissione in modo che possa valutare se l‟aiuto è incompatibile col trattato ovvero se rientri tra quegli aiuti possibili invia del tutto eccezionale. Vi ho parlato prima di queste libertà di circolazione all‟interno del trattato. Abbiamo visto come queste libertà sono attuate anzitutto ponendo divieti a carico degli Stati membri: divieto di impedire l‟applicazione di queste libertà e abrogare le misure incompatibili con queste libertà. È chiaro che l‟esplicazione implica che le legislazioni dei vari stati membri siano uniformi. Ravvicinamento nelle attività economiche fra le legislazioni dei vari Stati membri. È necessario che il legislatore comunitario ponga in essere una attività di armonizzazionedelle discipline che si applicano allo svolgimento di varie attività economiche negli stati membri. Principale strumento comunitario che è la direttiva. Le direttive sono miusre che servonoad armonizzare le discipline per i vari stati membri, rendere uniformi, le legislazioni all‟interno dei paesi membri dell‟UE. Abbiamo le direttive di armonizzazione, adottate dal Parlamento o dal Consiglio dell‟UE per poter diventare tradursi in norme e disposizioni legislative vincolanti, applicate all‟interno degli stati membri, devono essere recepite all‟interno degli stati membri. La direttiva pone principi di disciplina in relazione ad un determinato ambito: impone di recepire questi principi in un certo termine. Attraverso il recepimento della direttiva si attua l‟armonizzazione fra le legislazioni dei vari stati membri. A seguito 31 del recepimento della direttiva comunitaria avremo la garanzia che la disciplina di una attività economica è sostanzialmente uniforme ai paesi membri dell‟UE. Vi possono essere delle differenze, ma sono differenze che il legislatore ritiene compatibili con il funzionamento di un mercato unico europeo dove sono esplicate quelle libertà di circolazione viste in precedenza. Una volta che la disciplina di una determinata attività economica è stata armonizzata a livello comunitario, interviene un altro strumento con cui il diritto comunitario attua questi principi di libertà di circolazione. È il cosiddetto mutuo riconoscimento. Facciamo un esempio di libertà di prestazione dei servizi, stabilimento di una banca di un paese membro, ad esempio Francia, in un altro paese membro. La prestazione dei servizi bancari è garantita dal trattato. È chiaro che non qualsiasi soggetto può accingersi a svolgere l‟attività bancaria. Occorrono determinati requisiti da possedere per essere autorizzato allo svolgimento dell‟attività bancaria. È chiaro che una banca francese è stata autorizzata a svolgere l‟attività in Francia. Per svolgere l‟attività in Italia deve chiedere altra autorizzazione? No. Altrimenti è in contrasto col principio della libertà di trasferimento. Occorre un meccanismo in base al quale la nostra Banca di Italia riconosca l‟autorizzazione che la banca francese ha riconosciuto e viceversa. È chiaro che questo riconoscimento dell‟autorizzazione che la banca francese ha avuto in Italia ha un senso soltanto in quanto i requisiti dello svolgimento dell‟attività bancaria in Francia siano sostanzialmente analoghi rispetto a quelli previsti in Italia. L‟armonizzazione fra le legislazioni interne fra gli stati interni consente il meccanismo del mutuo riconoscimento, cioè che un particolare provvedimento venga riconosciuto anche dagli altri paesi dell‟Unione europea. A questo punto si pone un ulteriore problema. Se una banca comunitaria opera in Italia, qual è l‟autorità di vigilanza competente a verificare se questa banca rispetta le varie norme che sono ad essa applicate? Da questo punto di vista vi è un altro principio del diritto comunitario, quello della competenza dell’autoritàdi vigilanza del paese d’origine. Per garantire questi principi è previsto in generale che anche se una determinata impresa opera in un paese diverso da quello di origine, questo soggetto rimanga assoggettato ai poteri della società competente del proprio paese d‟origine (principio della home country control). È il paese d‟origine che dovrà controllare se quel soggetto rispetta tutte le regole che si applicano allo svolgimento di una determinata attività economica. Questo principio del controllo del paese d‟origini è quello che maggiormente garantisce i principi di libertà di circolazione. Come soggetto economico che voglio svolgere l‟attività economica in altri paesi membri non sono obbligato al controllo dei paesi membri ospitanti, ma sostanzialmente rimango al controllo della sola autorità di di vigilanza del paese d‟origine. Questo principio ha tutta una serie di eccezioni. 32 È chiaro che rispetto all‟attività bancaria il principio del controllo del paese d‟origine implica il fatto che la banca francese è assoggettata alla vigilanza dell‟autorità competente francese. Allo sesso tempo questo principio entra in crisi tutte le volte in cui la banca francese entra in contatto con operatori italiani. È chiaro che è impensabile che nel rapporto fra banca francese e italiano sia competente l‟autorità di vigilanza francese. Per le regole di comportamento che la banca deve rispettare nei confronti del cliente, devono essere applicate le regole di comportamento del paese ospitante e sia competente l‟autorità di vigilanza del paese ospitante. Meccanismi, strumenti con cui vengono attuati questi meccanismi di libertà di circolazioni sono: direttive di armonizzazione, mutuo riconoscimento e controllo del paese di origine. Le libertà di circolazione sono funzionali alla creazione di un mercato unico europeo, per determinati settori di attività per favorire la circolazione di servizi persone merci e capitali. In questo caso l‟UE si limita a creare le condizioni per il miglior funzionamento del mercato unico europeo ponendo divieti, l‟abrogazione di norme. L‟UE non interviene per stabilire le condizioni di funzionamento di una determinata attività economica, non si pongono obiettivi di tipo economico rispetto al funzionamento del mercato unico. Non si ha un intervento di politica economica da parte delle istituzioni comunitarie. Vi sono settori in cui gli Stati nazionali hanno abbandonato proprie prerogative a favore delle istituzioni comunitarie. In determinati settori la politica economica è dettata dagli organi comunitari: consiglio, commissione. Questo perché gli Stati membri hanno deciso di abbandonare le proprie prerogative sovrane in relazione a determinati settori per riconoscere come comuni le politiche decise dalle istituzioni comunitarie. Settore tradizionale in cui questo avviene èquello dell‟agricoltura. Non abbiamo più la politica agricola decisa dai vari paesi membri ma è decisa dalle istituzioni comunitarie. Abbiamo una forma di intervento sostanzialmente più significativa da parte dell‟UE, delle istituzioni comunitarie. È come se le istituzioni comunitarie si sostituissero ai governi nazionali per quanto attiene la politica agricola all‟interno dell‟Unione Europea. Abbiamo settori di esclusiva competenza dell‟UE. L‟UE può determinarle le condizioni di svolgimento dell‟attività economica. È chiaro che questi settori non sono numerosissimi. Sono sostanzialmente alcuni settori. Esempio importante nel settore dell‟ agricoltura. Riceve una disciplina sostanzialmente ampia all‟interno del trattato. L‟articolo 42 prevede che, per garantire l‟attuazione di queste politiche comuitarie che :“… Le regole di concorrenza sono applicabili alla produzione e al commercio di prodotti agricoli soltanto nella misura determinata dal parlamento europeo e dal consiglio”.Si prevede che le regole in materia di concorrenza non si applichino al mercato agricolo comune europeo. 33 Quali sono le finalità della politica agricola comune? Sostegno al reddito dei produttori in garanzia di un mantenimento di un determinato livello dei prezzi, protezione mercato agricolo comune rispetto ai mercati agricoli esteri. Questo è reso possibile attraverso organizzazioni comuni all‟interno dei mercati agricoli.Vi sono tante organizzazioni comuni quanti sono i mercati agricoli. Organizzazione del mercato dei cereali, del mercato dell‟olio d‟oliva, del vino e così via per dettare le regole di funzionamento di quel mercato. All‟interno di mercati agricoli comunitari da un lato c‟è deroga, dall‟altro vera e propria pianificazione dello svolgimento dell‟attività economica ad opera di organismi comuni a livello comunitario. Occorre tenere presente che il livello dei prezzi all‟interno del mercato unico è determinato dall‟andamento di domanda e offerta in modo da garantire una certa stabilità dei prezzi e sono previste forme di protezione rispetto ai mercati extraeuropei. I meccanismi sono vari e diversi: tariffe, prelievi imposti alle importazioni di prodotti agricoli. Dall‟altro lato la produzione agricola è sostenuta attraverso sovvenzioni aiuti alle esportazioni, e dipende dalle differenze del livello dei prezzi che sussistono fra prodotti agricoli europei ed esteri. 12/03/2012 Dobbiamo fare l‟analisi delle competenze dell‟UE in materia di diritto dell‟economia che riguarda le politiche monetarie. Sappiamo che la moneta avente corso legale nel nostro paese così come negli altri dell‟UE è l‟Euro. Dobbiamo anche tenere presente che la politica monetaria è una delle principali competenze delle istituzioni europee e questa competenza viene esercitata dall‟UE attraverso una serie di organi e soggetti che dobbiamo ricordare. Anzitutto al vertice della piramide delle competenze in materia comunitaria vi è il Sistema Europeo delle Banche Centrali,il cosiddetto SEBC. Organismo composto dalla BCE da tutte le altre banche centrali nazionali, tutte le banche centrali dei vari paesi membri dell‟UE. Non tutti i paesi membri dell‟UE hanno adottato come moneta avente corso legale l‟Euro, ciò comporta delle distinzioni sugli organi di governo europei e di politica monetaria. Gli articoli di riferimento in cui vengono individuati gli obiettivi e le competenze di organizzazione dell‟UE in materia comunitaria sono il 3 e 119 del testo unico sul funzionamento dell‟unione Europea. Oltre alla politica monetaria dovremmo analizzare la politica valutaria. Mentre lapolitica monetariaconcerne la regolazione della base monetaria, composta dalla moneta e dalle altre passività liquide emesse dai vari soggetti finanziari che operano nell‟UE è importante considerare la politica valutaria: attiene al rapporto fra la moneta avente l‟euro e le altre monete straniere, che sono denominate valute. Valuta è una moneta diversa dall‟euro avente corso legale. 34 Quando si parla di politica valutaria ci si riferisce a quelle misure di regolazione che attengono al rapporto di cambio fra l‟euro e le valute estere. L‟euro è stato introdotto dapprima, è cominciato a circolare nel 2002, sostanzialmente il potere di emettere la moneta spetta alla BCE che esercita questo potere tramite le banche centrali nazionali. La base monetaria rappresenta l‟aggregato della moneta più le altre passività liquide emesse dai soggetti che fanno parte del sistema finanziario degli altri paesi europei. Cosa vuol dire? Passività che siano facilmente trasformabili in moneta, per esempio i depositi a vista, quei depositi che le banche e anche le varie banche centrali depositano presso la BCE. È chiaro che la regolazione della base monetaria è molto importante, determina effetti che incidono sul livello di investimenti, consumi, e in generale della domanda aggregata all‟interno dell‟UE. In questo contesto la missione principale stabilita dal trattato dell‟unione europea, articolo 119 del trattato sul funzionamento dell‟UE è la stabilità dei prezzi e la stabilità della moneta. Stabilità dei prezzi politica anti inflazionistica e anche la stabilità dell‟euro in confronto delle altre valute. Come si attua la regolazione della base monetaria? Abbiamo numerosi esempi, in questi giorni vediamo come sono state messe in atto le varie misure della BCE per fronteggiare la crisi di alcuni paesi membri dell‟Unione europea. Anzitutto abbiamo le cosiddette operazioni di mercato aperto: si svolgono mediante l‟acquisto o la vendita di titoli emessi dagli stati o dalle istituzioni creditizie, ovvero tramite operazioni di prestito che la BCE sta mettendo in campo a favore delle banche, istituzioni creditizie ovvero delle autorità delle banche centrali dei vari paesi membri. Un altro intervento è quello dell‟imposizione degli istituti di credito di costituire riserve obbligatorie presso la Banca Centrale Europea. È chiaro che questa imposizione determina un assorbimento della liquidità che circola sul mercato e ha un effetto di contrazione della base monetaria che circola sul mercato. Tramite queste operazioni le autorità monetarie europee hanno la possibilità di ampliare/ridurre il fabbisogno di liquidità delle varie istituzioni creditizie, questo avviene agendo sulla base monetaria. Questo aumento/decremento della base monetaria avviene anzitutto dalle istituzioni monetarie europee, dalla BCE avendo un preciso mandato, scopo: quello della stabilità dei prezzi e della stabilità dell‟Euro. È uno scopo evidentemente di politica monetaria. Da un lato abbiamo l‟istituzione sovranazionale BCE, SEBC, e dall‟altro i vari governi che perseguono i propri obiettivi di bilancio in termini di aumento o contrazione della spesa pubblica. Il principio che vale a livello comunitario è cercare di evitare interferenze delle politiche fra i vari paesi membri e politica monetaria viene attuata dalla BCE e dal SEBC. Per fare ciò è necessario che la banca centrale europea abbia la possibilità di agire con grande autonomia, indipendenza. Dal punto di vista statutario organizzativo e funzionale ne sia garantita l‟indipendenza. È uno dei principi alla base dell‟UE rispetto 35 al quale è stata pensata e disegnata l‟architettura istituzionale della Banca Centrale Europea. Questo valeva anche prima dell‟istituzione della BCE, per quello che era in precedenza la nostra Autorità Monetaria: laBanca di Italia, che prima del trasferimento dei suoi poteri di politica monetaria alla BCE era l‟autorità di riferimento nel nostro ordinamento per le decisioni di politica monetaria, anch‟essa agiva in modo indipendente rispetto al governo. La Banca di Italia stabiliva i tassi di sconto e finanziamento. Alla banca di Italia spettava il compito di fissare la riserva obbligatoria, dei depositi invaluta, meglio dire depositi in moneta presso l‟autorità monetaria a fronte dell‟ammontare della propria raccolta, dell‟ammontare delle disponibilità liquide delle stesse banche. Dal 1/1/1999 è stato previsto che l‟euro dovesse sostituire le varie monete, le competenze trasferite a livello sovranazionale, svolte dal SEBC e per esso dalla BCE. All‟interno di questo sistema la Banca d‟Italia svolge ancora un ruolo. La banca d‟Italia fa parte del Sistema Europeo delle Banche Centrali, che assegna alla Banca di Italia di adottare politiche monetarie adottate a livello comunitario. Principio cardine all‟interno dell‟ordinamento europeo è quello dell‟indipendenza dell’autorità monetaria. Si attua su diversi piani, intanto sul piano funzionale. La BCE ha un preciso mandato stabilito dal trattato (stabilità dei prezzi e stabilità della moneta) non può perseguire il mandato senza considerare le varie indicazioni che possono provenire dai governi dei vari paesi membri dell‟UE. Qualora la BCE ponesse al centro delle proprie politiche obiettivi diversi da quelli stabiliti dal trattato, si porrebbe al di fuori del trattato stesso. Indipendenzaorganizzativa nel senso che i vertici stanno in carica per un certo periodo di tempo e sostanzialmente sono soggetti che si distinguono rispetto ai membri dei governi dei vari paesi membri. La BCE ha anche una indipendenza finanziaria. Ottiene le proprie risorse per l‟espletamento del proprio mandato in modo autonomo. Bisogna adesso fare un passo indietro e ricordare come si è arrivati alla situazione attuale. Per fare ciò bisogna parlare della Banca di Italia. Nasce come società anonima, società di capitali di diritto speciale, nasce nel 1893 e col regio decreto negli anni ‟30 assume la veste di ente pubblico con proprio statuto. È un ente pubblico, istituto di diritto pubblico che ha una propria funzione, visione, un proprio scopo, statutario definito dallo Statuto. Il ruolo della banca d‟Italia è stato posto in discussione e riformato a seguito di alcuni scandali che avevano riguardato l‟allora governatore. Questi scandali hanno creato le condizioni di interventi di riforma la legge 262/2005, legge sulla tutela dei risparmi. Toccava uno dei temi più delicati del sistema economico, le competenze e lo statuto organizzativo della Banca d‟Italia. Anche la Banca d‟Italia opera in piena indipendenza, deve riferire al governo e parlamento modalità con cui assolve ai propri compiti. Lo fa con relazioni semestrali. 36 Questa legge del 2005 ha rivisto l‟assetto organizzativo e lo statuto della banca d‟Italia. Attualmente gli organi sono: - Governatore: persona fisica, nominato con decreto PDR su proposta del consiglio dei ministri, sentito il Consiglio superiore della Banca d‟Italia. Il consiglio superiore della Banca d‟Italia un tempo era il governo della banca d‟Italia. Oggi la governance della banca d‟Italia si è riformata e il consiglio superiore ha perso un po‟ delle sue originarie competenze. Il governatore dura in carica 6 anni, può essere revocato con decreto del PDR in alcuni casi. - Direttorio:È una sorta di comitato esecutivo che coadiuva il governatore. Ha la rappresentanza legale nei confronti dei terzi, degli esterni. È composto dallo stesso governatore, dal direttore generale e 3 vice direttori generali. Il direttorio adotta le proprie decisioni a maggioranza. Ha competenze di governo in relazione alla banca d‟Italia. - Consiglio Superiore: Composto dal governatore più 13 consiglieri nominati dalle varie rappresentanze territoriali della stessa Banca d‟Italia. La Banca ha varie succursali nelle principali città italiane. Ciascuna di esse nomina il proprio rappresentante all‟interno del consiglio superiore, che ha funzioni di alta direzione della stessa Banca d‟Italia. Adotta i regolamenti interni della banca, approva il bilancio, adotta decisioni con rilevanza territoriale per la Banca d‟Italia. - Collegio sindacale: controllo interno sulla gestione della Banca- Assemblea dei partecipantiè una sorta di assemblea dei soci, poiché la Banca ha una sorta di capitale sociale esiguo, 156 mila euro, suddiviso in varie quote che sono di proprietà di numerose importanti banche che operano nel nostro paese. Ciascuna di esse trova il proprio rappresentante nell‟assemblea dei partecipanti. Si discute sull‟architettura proprietaria della Banca d‟Italia, perché le varie banche partecipano al suo capitale. Questo è un tema delicato che è allo studio da vari anni ma non è stato toccato dai legislatori o dalla stessa Banca d‟Italia e ancora oggi si deve rivedere l‟assetto proprietario per superare questa contraddizione. La Banca d‟Italia nell‟ambito del SEBC svolge 4 funzioni(NB ha trasferito il potere di politica monetaria alla Banca Centrale Europea): 1) La Banca d‟Italia fa parte del consiglio direttivo della BCE, quindi il governatore come componente del consiglio direttivo della BCE contribuisce a definire con il proprio voto la politica monetaria; 2) La Banca d‟Italia partecipa a decisioni della BCE in relazione all‟emissione di moneta, Euro. Il potere di emissione della moneta in senso fisico spetta oggi alla BCE che lo esercita tramite la Banca d‟Italia. Dal punto di vista pratico la attuazione di questa decisione è demandata alle rispettive banche centrali; 3) La Banca d‟Italia gestisce una quota delle riserve in valuta che ha la BCE. Da questo punto di vista la Banca d‟Italia detiene unaparte delle riserve di liquidità 37 della Banca Centrale Europea. Deve attenersi alle direttive del consiglio direttivo della BCE. È come se la Banca d‟Italia agisse come gestore del portafoglio della BCE 4) La Banca d‟Italia fa parte della BCE del sistema europeo dei pagamenti. Sistema che consente che l‟euro possa essere considerato come moneta per assolvere gli obblighi di pagamento dei vari soggetti che operano all‟interno dell‟unione. Vi sono poi compiti residuali per la BDI che non attengono al suo ruolo come soggetto partecipe delle istituzioni europee. Anzitutto la Banca d‟Italia : - Supervisiona alcuni mercati regolamentati italiani di rilievo per l‟attuazione di politiche monetarie e di bilancio del nostro governo. Ai sensi del TUF alla BDI sono assegnati compiti di supervisione del mercato dei titoli di stato e titoli obbligazionari che funziona sotto la supervisione della Banca d‟Italia così come sui derivati dei titoli di stato. anche questo funziona sotto la supervisione della BDI. - Supervisiona il funzionamento degli organismi che garantiscono il buon esito delle operazioni di compensazione e liquidazione degli strumenti finanziari. Nei mercati regolamentati si svolgono le negoziazioni su strumenti finanziari di vario genere, fra cui titoli di Stato. Contratti di acquisto di beni di vario genere. Oltre concludere il contratto che riguarda un determinato strumento finanziario è necessario che questo contratto venga eseguito. Ciò avviene attraverso stanze di compensazione, raramente su base lorda, solitamente su base netta, compensando le posizioni che gli operatori hanno su un particolare mercato finanziario. È necessario che operi un ente, un organismo, denominato Clearing House, stanze di compensazione, soggetti che hanno il compito di garantire il buon esito delle operazioni. La funzione di questi organismi è importante perché l‟eventuale insolvenza che si produce su una di queste operazioni può determinare un effetto di contagio. Esiste un rischio sistemico molto forte connesso al buon funzionamento delle Clearing House, è necessario che operino sotto la supervisione di un organo di vigilanza, la Banca d‟Italia soggetto che deve garantire la stabilità del sistema finanziario nel suo complesso. In base al testo unico bancario, alla Banca d‟Italia sono attribuiti compiti di supervisione, controllo e vigilanza sugli istituti di credito. Funzione di vigilanza che la BDI svolge accanto alle altre; - BDI svolge il compito di tesoreria centrale e provinciale dello Stato. È un compito che si svolge da fine „800. Esegue disposizioni di pagamento delle varie amministrazioni da un lato, e dall‟altro riscuote somme che a qualsiasi titolo sono dovute alle amministrazioni dello Stato; - BDI detiene il conto che il ministero del tesoro ha acceso per far fronte ai propri obblighi di pagamento dello stato e delle altre amministrazioni statali che fanno capo allo Stato. In base alla normativa europea, si vieta alla BC che questo conto abbia un saldo negativo. Quindi è un divieto di effettuare politiche 38 - di credito nei confronti dello stato. Da fine 1984 il compito di tesoreria è stato ampliato al settore pubblico allargato, enti pubblici che rientrano nel perimetro di consolidamento del nostro stato al fine di determinare il rispetto del patto di stabilità europeo; La BDI svolge compiti di consulenza allo stato per quanto concerne le emissioni debito pubblico che spettano agli organi di governo, ministro dell‟economia e queste decisioni vengono normalmente assunte sulla base di analisi effettuate attraverso un sistema di asta gestito dalla stessa BDI. Come si è arrivati alla definizione della moneta unica all‟interno dell‟UE? Questo è stato un processo che ha avuto la sua conclusione nel 1999 e poi nel 2002 l‟Euro ha avuto corso legale all‟interno dell‟UE ma ha avuto una serie di antecedenti storici. Anni ‟70 c‟era il Sistema Monetario Europeo: sistema in base al quale era previsto regolazione dei tassi di cambio tra i vari paesi europei, il cosiddetto serpente monetario: i tassi di cambio potevano fluttuare entro determinati margini. Vi è la necessità di un intervento da parte delle varie banche centrali dei paesi membri in modo da garantire che le oscillazioni si mantenessero all‟interno di certi limiti. Nel 1979 nasce il SME aveva come moneta di riferimento lo scudo europeo, ECU, aveva un valore che risultava dalla media ponderata dei valori delle varie monete aderenti allo stesso SME. Funzionò con esiti alterni, era in qualche modo esposto a varie manovre speculative nazionali (uscita della nostra moneta dal SME) sicché fu abbandonato, si arrivò nel 1992 alla firma del trattato di Maastricht che prevedeva la realizzazione all‟interno di una Unione Monetaria. Chiaro che nel 1992 si prevedeva un percorso che aveva un certo termine e che prevedeva determinate fasi prima dell‟introduzione della moneta unica a livello europeo. Anzitutto era necessario l‟attuazione o il porre in essere misure di attuazione in materia di attuazione dei principi di libera circolazione dei capitali, libera circolazione delle merci e così via. In secondo luogo, tema importante, quello della creazione di condizioni di convergenza macro economica tra i vari paesi membri dell‟UE. Chiaro che l‟introduzione di una unica moneta a livello comunitario ha un senso nella misura in cui vi sia una uniformità tra i vari indicatori macroeconomici dei paesi membri che aderiscono alla moneta unica. In questa fase ha un notevole ruolo l‟Istituto Monetario Europeo. Soggetto che ha personalità giuridica e governato da un consiglio, a cui sono stati attribuiti compiti di stabilire i parametri di convergenza macroeconomica che dovevano essere rispettati dai vari paesi membri per l‟adesione all‟Euro. Parametri con cui ancora oggi ci confrontiamo, rivisti con gli accordi del Fiscal Compact. L‟istituto monetario europeo ha esaurito la sua funzione nella definizione di questi parametri macroeconomici e ha cominciato ad operare la BCE. Primo compito che 39 spettava al sistema di banche centrali e alla BCE era quello di definire i rapporti di cambio, di conversione fra le monete dei vari paesi membri e l‟euro. Rapporti di conversione che quando sono stati stabiliti, l‟euro ha cominciato a circolare completamente dal 1/1/2002. L‟Euro è stato adottato da quei paesi che avevano soddisfatto determinate condizioni di convergenza economica elevati e sostenibili nel tempo: stabilità dei prezzi, dei cambi, tassi di interesse, equilibrio della finanza pubblica. Attualmente 10 paesi hanno aderito all‟Euro: non ce l‟hanno Regno unito e Danimarca. Possono aderirvi se dimostrano di soddisfare le condizioni di convergenza stabilite dal SEBC. Partecipano poi altri paesi, Bulgaria, Rep. Ceca, Lettonia, Estonia, Polonia…. che partecipano all‟unione con la qualifica di paesi con deroga: questi paesi non hanno ancora raggiunto parametri di convergenza e sono ammessi all‟unione economica e monetaria con deroga. Solo dopo avere raggiunto gli obiettivi di convergenza potranno effettivamente adottare l‟euro. Tutto questo discorso comporta che all‟interno dell‟unione economica e monetaria europea abbiamo una serie di paesi facenti parte dell’Euro-Sistema: hanno adottato l‟euro come moneta corrente all‟interno del sistema economico. Come si ricordava in precedenza la funzione fondamentale della BCE è quella di garantire la stabilità prezzi e della moneta. La BCE non si occupa di vigilanza bancaria proprio perché essa è affidata alle varie banche centrali previste all‟interno dei vari paesi membri. Opera anche una autorità di vigilanza bancaria a livello europeo che si affianca nello svolgimento dell‟autorità di vigilanza alle autorità di vigilanza nazionale. A seguito della crisi 2007,credit crunch e mutui sub prime, alla BCE sono stati attribuiti compiti straordinari e di sostegno, limitati nel tempo: sostegno alle banche e ai mercati. Interventi numerosissimi, fra breve ne ricorderemo alcuni. Come dicevo in precedenza sostanzialmente il trattato attribuisce alcuni compiti specifici al SEBC , previsti dall‟articolo che adesso leggo velocemente.” L‟obiettivo principale del sistema europeo di banche centrali SEBC, è il mantenimento della stabilità dei prezzi… il SEBC agisce in conformità del principio di una economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo una efficace allocazione delle risorse e rispettando i principi di cui all‟articolo 119”. L‟obiettivo del mantenimento della stabilità dei prezzi dev‟essere assicurato dalla BCE in conformità di un principio di economia di mercato aperta e di libera concorrenza, mediante meccanismi di mercato, senza meccanismi di intervento le cui condizioni non siano determinate in base al meccanismo della domanda e dell‟offerta. Gli organi del SEBC sono la BCE e le varie istituzioni europee. La BCE ha personalità giuridica. Organi della BCE? Consiglio direttivo che è composto da membri del comitato esecutivo e vari governatori delle banche centrali dei vari membri dell‟UE; - Comitato esecutivo, composto da sei membri, durano in carica 8 anni: composto da presidente vice presidenti e 4 membri nominati dai vari governi dell‟UE su 40 raccomandazioni del consiglio dell‟UE. Il comitato esecutivo ha funzioni di indirizzo del consiglio direttivo. Il compito decisionale all‟interno della BCE è svolto dal consiglio direttivo. Il comitato esecutivo ha poi compiti di attuazione di queste decisioni prese dal consiglio direttivo. Organo che ha competenze decisionali è il consiglio direttivo cui fanno parte il governatore della BCE e i vari rappresentanti delle banche centrali dei vari paesi membri. Il consiglio direttivo opera a maggioranza dei propri componenti. Da punto di vista operativo l‟attuazione delle decisioni del consiglio direttivo viene garantita dal comitato esecutivo e soprattutto dalle varie banche centrali dei paesi membri UE. Dal punto di vista organizzativo il modello di governance della banca centrale prevede accentramento decisionale ma decentramento operativo. Queste decisioni vengono attuate dalle varie banche centrali dell‟UE, questo a seguito del principio di sussidiarietà, fondamentale all‟interno dell‟UE, principio in base al quale le decisioni delle istituzioni comunitarie devono essere attuate dal livello di governo che più è vicino agli interessi dei destinatari delle decisioni, più aderenti possibili agli interessi dei cittadini europei. Obiettivo principale della BCE è la stabilità dei prezzi. Questo obiettivo è stato poi definito in modo quantitativo, per stabilità dei prezzi si intende aumento annuo dell’inflazione non superiore al 2%. Per garantire questa stabilità dei prezzi il SEBC ma in particolare i paesi che hanno adottato l‟euro, il cosiddetto Euro- Sistema ha una serie di strumenti attuativi a propria disposizione. 1) Le operazioni di mercato aperto: operazioni in cui a fronte di determinati tassi di interesse il SEBC mette a disposizione delle banche degli stati liquidità a determinati tassi. Si tratta di contratti di acquisto e di vendita di liquidità rappresentate in modi diversi, vengono attuati mediante contratti di acquisto o vendita pronti contro termine. Operazioni temporanee; 2) Operazioni di prestito a determinati tassi agevolati, attuati mediante aste a cui possono partecipare le banche dei vari paesi membri. 3) Vi sono poi delle operazioni che possono essere poste in essere dalla BCE non di propria iniziativa ma su richieste di varie controparti. Queste sono operazioni con durata temporale molto breve. Poste in essere su richieste di controparti per soddisfare l‟esigenza di liquidità di breve e di brevissimo termine.In queste operazioni spesso si prevede che la controparte può depositare in poco tempo liquidità presso la banca centrale europea ad un determinato tasso di interesse prestabilito. Si tratta normalmente di operazioni di mercato, che si svolgono mediante aste che rispettano questo principio fondamentale in base alquale la BCE interviene sul sistema monetario a condizioni di mercato. Sostanzialmente le condizioni che si formano su queste operazioni economiche, dovrebbero riflettere l‟andamento dei tassi in quel momento. Nel 2007 la crisi dei 41 mutui sub prime ha messo in evidenza come questa filosofia avesse effetto distruttivo limitato e contenuto e che consentisse alle istituzioni di intervenire sui mercati immettendo liquidità anche al fine di normalizzare i tassi di interesse. I governi hanno attuato piani di salvataggio di banche poste a rischio di insolvenza in modo massiccio. Allo stesso tempo la BCE è stata indotta ad adottare misure non convenzionali che sostanzialmente consistono nell‟erogazione di liquidità alle banche a tasso fisso. Anziché come avviene nei meccanismi di asta effettuati normalmente dalla BCE il tasso è determinato in base alle condizioni di mercato che prevalgono in quel determinato momento, in questi casi il tasso è fisso e viene stabilito un tasso particolarmente agevolato a favore di soggetti che ricevono questa liquidità. È stato ampliato l‟elenco del collaterale, di quelle attività che le banche e gli altri soggetti possono depositare a garanzia della liquidità che ricevono dalla BCE. Sono stati avviati anche programmi di acquisto da parte della BCE di obbligazioni emesse dalle banche. Ciò non è stato sufficiente perché abbiamo assistito nel corso dell‟ultimo anno e mezzo alla crisi dei debiti sovrani che ha imposto l‟adozione di ulteriori misure. In questo contesto vi sono due ulteriori strumenti, quelli di cui si discute recentemente: i fondi salva stato: sono stati avviati dalla banca centrale europea per fronteggiare la difficoltà di alcuni paesi dell‟area. - EFSF, è un vero proprio fondo salva stato, viene alimentato da risorse provenienti dagli stati membri dell‟unione, gestite dagli stati membri UE gestiti da BCE; - meccanismo EFSM che serve per rendere costituzionale la concessione di prestiti agli stati. Nell‟ambito dell‟area euro si è visto come le condizioni di convergenza che hanno portato all‟adesione all‟euro di alcuni paesi membri non possono essere permanentemente rispettate, occorre quindi rivederle e monitorare la continua osservanza. Oltre a queste misure di politica monetaria vi sono misure di politica valutaria che riguardano il rapporto fra l‟euro e le altre valute. Abbiamo, non essendoci le monete nazionali, la politica valutaria comune, politica valutaria europea. La politica valutaria si distingue a seconda di quale sia la valuta. Politica nei confronti dei paesi che non hanno adottato l‟euro pur potendolo fare (Regno Unito). Vi è politica valutaria che riguarda il tasso di cambio fra l‟Euro e le varie valute, che non hanno adottato l‟euro perché non hanno raggiunto gli obiettivi, e infine abbiamo una politica valutaria europea fra euro e paesi particolarmente rilevanti nel sistema come USA Giappone e Cina. Per quel che riguarda il rapporto fra l‟euro e questi paesi che sono dentro l‟UE e che non hanno adottato la moneta unica, sono stati stipulati accordi denominati: accordi 42 europei di cambio (ERN). Tasso di cambio fra l‟euro e le valute non oscilli al di fuori di determinati margini stabiliti nello stesso accordo. Tutte le volte che i limiti vengono oltrepassasti c‟è un meccanismo di intervento della BCE e banche centrali che hanno rapporti con la BCE. Occorre dire che l‟adesione a questi accordi è funzionale al presupposto che questi paesi possano poi adottare l‟Euro in un secondo momento. Occorre che prima di adottare l‟Euro il paese dia attuazione e lo rispetti un certo numero di anni. L‟esempio è quello dell’Ungheria che ha previsto rapporti di cambio, obiettivo di entrare nell‟euro entro il 2012, ma a causa della crisi dei debiti sovrani questa decisione è stata rivista. Norma nella costituzione ungherese che dice che la moneta istituzionale continui ad essere il fiorino. Questa situazione di instabilità cessa nella misura in cui vi sia effettiva integrazione non solo rispetto l‟osservanza di questi meccanismi, accordi sui tassi di cambio, ma vi sia anche effettiva convergenza non solo di parametri a livello macro economico ma vi sia anche convergenza da parte di determinati governi nei confronti di determinate politiche di bilancio. Vi sono poi degli accordi sui tassi di cambio con alcune delle principali economie del mondo, come dollaro statunitense e yen giapponese, accordi che vengono adottati dal consiglio dell‟UE. Vi sono poi degli stati che hanno adottato l‟euro pur senza aver stipulato alcun accordo con l‟UE. È questo il caso del Kosovo, del Montenegro, hanno adottato l‟euro accanto alla loro valuta nazionale, al di fuori di qualsiasi accordo con l‟UE. 13/03/2012 Oggi cominciamo a parlare di concorrenza e tutela della concorrenza. Alcune cose le abbiamo viste nella parte panoramica, delle varie norme anche a livello europeo contenuti nel trattato. Il quadro normativo a livello di concorrenza si compone di due insiemi di disposizioni: - Disciplina generale in materia di tutela della concorrenza, contenuta negli articoli 101 e 102 del trattato ed in alcuni regolamenti della Commissione, in particolare il regolamento 2004 in materia di controllo sulle concentrazioni; - Nella legge 287/1990 la nostralegge anti trust, formulata in modo simile al testo delle disposizioni del trattato. Il problema che ci dovremo porre è quello di vedere quando si applicano le norme del trattato in materia di tutela della concorrenza e quando invece si applica la nostra legge antitrust nazionale. È chiaro che prima di vedere gli specifici divieti e le altre disposizioni che sono poste nell‟ambito della tutela della concorrenza è necessario interrogarsi su quali sono gli obiettivi di queste disposizioni. È del tutto evidente che quando si parla di tutela della concorrenza ci si riferisce ad un obiettivo, quello della preservazione, del mantenimento del regime concorrenziale all‟interno del mercato che verrà individuato, 43 ma anche è importante capire quali sono gli interessi dei beneficiari delle norme poste a tutela della concorrenza, interessi tutelati sostanzialmente. Anche e soprattutto quale tipo di concorrenza sta alla base delle disposizioni del trattato edelle disposizioni della nostra legge antitrust, la legge 287/1990. Di quale concorrenza stiamo parlando, concorrenza perfetta (paradigma della teoria economica), una concorrenza sostenibile, una concorrenza che ammette la presenza di una impresa che ha un potere di mercato o posizione dominante, della concorrenza che si sviluppa in un assetto istituzionale di mercato oligopolistico? Sono problemi teorici ci servono per contestualizzare le disposizioni, il diritto positivo in cui è posto a presidio di questi interessi. È del tutto evidente è che le norme in materia di tutela della concorrenza sono formulate in modo ampio e generico: conta anche il modo con cui queste norme sono effettivamente applicate, e qual è la politica legislativa in materia di concorrenza che sta alla base di queste norme. Sostanzialmente è importante vedere come si è evoluta l‟applicazione delle norme da parte della giurisprudenza che è chiamata a decidere le controversie tra i soggetti che hanno compiuto violazioni in materia anti trust. Se noi vogliamo parlare di concorrenza, dobbiamo parlare di mercato concorrenziale e delle sue virtù che comunemente si assegnano ad un mercato concorrenziale, ad un mercato in cui vi è una pluralità di soggetti che compiono una scelta di produzione sul mercato. Quali sono le virtù che si attribuiscono a mercati in assetto concorrenziale? A livello di prezzi? Dire prezzo più basso possibile è forse troppo. La concorrenza va intesa in senso dinamico, è una pluralità di imprese che concorrono per accrescere la propria forza di mercato per avere una domanda sufficientemente ampia da parte dei clienti finali, e quindi vi è una concorrenza naturalmente in termini di prezzi. Bisogna arrivare ad un prezzo efficiente in termini allocativi, vi è una concorrenza in termini di innovazione tecnologica, riduzione dei costi in termini di distribuzione, miglioramento della qualità dei prodotti, e tutta una serie di vantaggi e benefici che si dovrebbero riversare sui consumatori, sui clienti. Quando vi è un mercato concorrenziale, le imprese competono in termini di innovazione del prodotto, in tanti casi non è importante la concorrenza che si riflette sul livello dei prezzi per un determinato prodotto, ma anche una concorrenza che si traduce nell‟innovazione di prodotti che soddisfano sempre meglio le esigenze dei consumatori: pensiamo a tutti i settori tecnologici, in cuinel mercato concorrenziale operano imprese dove si muovono i bisogni da tempo nascosti dei consumatori. Il mercato concorrenziale ha anche la virtù di estromettere ed escludere dal mercato le unità produttive inefficienti, quelle marginali che non riescono a fronteggiare la concorrenza in termini di prezzi, in termini di qualità dei prodotti e cosi via. Questo libero gioco della concorrenza è ostacolato tutte le volte in cui si crea una posizione di potere economico da parte di una impresa che opera su un determinato mercato. 44 Già accennato questo tema, questa posizione di potere economico si può creare perché una impresa è più efficiente delle altre, o perché vi sono economie di scala particolarmente significative nello svolgimento di una determinata attività economica, e si crea una situazione nell‟ambito del mercato di tipo monopolistico, in cui l‟impresa in grado di agire senza curarsi del livello di competizione e del comportamento dei consumatori, clienti e di altre imprese che operano sul mercato, seppure in posizione marginale. Il monopolio è poi determinato da situazioni che hanno a che fare con l‟assetto industriale del mercato: abbiamo parlato di monopolio naturale del mercato, in cui vi sono costi fissi particolarmente elevati legati alla presenza di infrastrutture che sono necessarie per l‟erogazione del servizio di quel mercato. In generale il mercato concorrenziale è un mercato in cui le condizioni dell‟offerta e della domanda, le scelte economichein generale si formano in base ad un meccanismo decentrato, si formano sul mercato. A quale prezzo e a quale quantità sono scelte che vengono assunte dai consumatoriin base ad un meccanismo decentrato, questo a differenza di altri meccanismi in cui le scelte si formano, per esempio nelle economie pianificate caratterizzate da un forte dirigismo da parte dello Stato, in cui le scelte economiche vengono assunte da un apparato burocratico non secondo meccanismi di mercato, ma di tipo decentrato. In certi settori economici rilevanti per determinati bisogni essenziali dei cittadini, (sistemi previdenziali) le erogazioni in termini di previdenza, i trattamenti pensionistici, vengono decise a monte dallo Stato e non vengono decise in base a meccanismi decentrati di mercato. Dal punto di vista più strettamente economico si dice che la concorrenza in brevepromuove l’efficienza allocativa: consente che le risorse economiche vengono allocate da un settore all‟altro dell‟attività economica in base a libere scelte dei consumatori, dei clienti, delle imprese e produttori che tengono conto della convenienza delle varie opzioni che sono disponibili. Le risorse economiche vengono allocate dove, in base ad una libera scelta del produttore e consumatore, è più conveniente che queste risorse siano allocate. Il mercato concorrenziale ha determinati vantaggi in termini di funzionamento economico nel suo complesso, ma anche il vantaggio di promuovere l‟efficienza allocativa. Questi meccanismi virtuosi non si innescano naturalmente in tutte le situazioni. Il legislatore, consapevole dell‟esistenza dei fallimenti di mercato, ha ritenuto necessario che un determinato assetto concorrenziale del mercato doveva essere preservato attraverso specifici divieti organizzativi a carico del mercato. Come ricordavo parlando di articolo 41 della costituzione, l‟iniziativa economica non può essere semplicemente libera, ma è necessario che in qualche modo venga svolta in modo da rispettare l‟altrui iniziativa economica, in modo da porre dei limiti allo stesso diritto di iniziativa economica, in modo che il diritto non si risolva a pregiudizio dell‟utilità sociale. 45 È necessario che vengano postespecifiche disposizioni per evitare situazioni anticoncorrenziali del mercato garantendo un determinato assetto. La consapevolezza della necessità di una legislazione antitrust è una consapevolezza cui i legislatori nei vari paesi sono giunti in momenti diversi. Il nostro legislatore è arrivato più in ritardo rispetto ad altri ordinamenti. Solo nel 1990 è stata introdotta la legge 287, a differenza di altri ordinamenti che hanno una tradizione in materia antitrust più vecchia (negli USA lo ShermanAct, legge anti trust per eccellenza, è del 1890). In altri paesi europei le legislazioni antitrust arrivano a fine 1900, In Italia si arriva con grande ritardo dopo che le norme in materia anti trust erano già previste nel trattato istitutivo della CE. Questo ha fatto si che la nostra legislazione anti trust risentisse delle esperienze antitrust degli altri paesi, in particolare della esperienza antitrust Nord americana. Ci sono differenti impostazioni che stanno alla base delle legislazioni antitrust nei diversi paesi. Nel caso degli USA e nello ShermanAct, la legislazione è diretta a tutelare il consumatore nei confronti del potere economico. Nelle grandi concentrazioni economiche che pongono a repentaglio da un lato l‟interesse dei consumatori ma soprattutto impediscono la sussistenza di un tessuto produttivo in cui tutti i soggetti che vogliono competere alla gara economica abbiano uguali opportunità. La legislazione antitrust è strettamente connessa ad una concezione fondamentale di democrazia economica in cui tutti all‟interno del mercato devono essere posti nella condizione di poter competere sulla base di eguaglianze edi opportunità. Questa competizione, questa gara economica è falsata nella misura in cui si consentano concentrazioni di potere economico eccessive. Nell‟ambito della legislazione antitrust la tutela della concorrenza ha di mira la tutela di contraenti più deboli rispetto alle grandi concentrazioni di potere economico: consumatore, piccole e medie imprese e così via. Che l‟interesse del consumatore sia effettivamente tutelato dalla legislazione antitrust è una concezione molto diffusa anche all‟interno non soltanto dell‟ordinamentocomunitario, ma anche all‟interno del nostro ordinamento nazionale. La tutela della concorrenza ha senso nella misura in cui serve a promuovere l‟interesse del consumatore finale. Si risolve in un vantaggio percepibile per il consumatore finale in termini di prezzi, in termini di qualità dei prodotti, in termini di trasparenza, informazione, delle condizioni sulla cui base determinati prodotti vengono offerti sul mercato. Questo tipo di concezione in cui l‟interesse è la protezione dell‟interesse del consumatore, ci sono norme che mirano a preservare un determinato assetto concorrenziale del mercato che serve a proteggere l‟interesse del consumatore,è una concezione che non è unanimemente condivisa a livello di teoria economica. Sostanzialmente abbiamo, nella prima metà del 1900, una corrente di pensiero, la scuola di Chicago che studiato la legislazione antitrust e ha posto in discussione questo paradigma: la realizzazione anti trust non ha come obiettivo quello di 46 assicurare la massima soddisfazionedell‟interesse del consumatore, ma quello di garantire la massima efficienza globale del sistema economico nel suo complesso. Promuovere non solo l‟efficienza allocativa del mercato, ma in certi casi il fatto che il mercato sia efficiente dal punto di vista allocativo, consente anche che il mercato possa assumere un assetto monopolistico, quasi oligopolistico. In certi casi si può dimostrare che è più efficiente dal punto di vista allocativo e produttivo un determinato assetto particolarmente concentrato del mercato, e quindi questo assetto è quello anche desiderabile dal punto di vista del diritto antitrust, nonostante il fatto che questo assetto possa porre a repentaglio gli interessi dei consumatori. In base a questa teoria economica della scuola di Chicago se l‟obiettivo della legislazione anti trust è promuovere l‟efficienza allocativa, diventa obiettivo secondario quello di promuovere anche la tutela dei consumatori, dei clienti.Si tratta di capire come le risorse prodotte da un mercato efficiente vengono distribuite fra le imprese ed il consumatore. Il diritto antitrust a rigore non si dovrebbe occupare di questioni redistributive, ma si dovrebbe occupare di promuovere l‟efficienza allocativa di un determinato mercato. Sarà il legislatore a determinare come queste risorse vadano distribuite a vantaggio delle imprese, oppure a vantaggio dei consumatori e così via. I paradigmi teorici della scuola di Chicago si sono riflessi in tutta una serie di motivazioni rilevanti ancora oggi. Determinate disposizioni della legge antitrust vengono interpretate in modo da consentire un certo livello di concentrazione del mercato. Si ammette che determinate pratiche limitative della concorrenza siano ammissibili, in termini produttivi, di assetto del mercato complessivamente inteso. Alla base dell‟applicazione del diritto antitrust vi è il concetto di concorrenza sostenibile, workablecompetiton. Abbiamo due paradigmi: da un lato il paradigma della concorrenza, dall‟altro il paradigma del monopolio, sono tutt‟e due paradigmi teorici, difficilmente si possono manifestare nel funzionamento di un determinato mercato. Quando si ha una situazione di concorrenza perfetta? Quando il prezzo è uguale costo marginale, e soprattutto vi è una pluralità di imprese che offrono i propri prodotti e servizi sul mercato, e nessuna di queste imprese è in grado di influenzare la domanda variando le quantità offerte sul mercato. A fronte di una variazione delle quantità offerte o dei prezzi, i clienti sono in grado di spostare la domanda su altre imprese.. In concorrenza perfetta non si influenzano le quantità offerte e il livello dei prezzi. Si parla di economie di scala, piena conoscenza da parte dei consumatori delle condizioni di prezzo, paradigmi che non si pongono direttamente nel mondo reale. Dall‟altro lato di fronte all‟affermarsi di condizioni di potere economico, nell‟ambito della teoria economica sviluppata fra prima e seconda guerra mondiale si sono formate situazioni di Concorrenza monopolistica. Grandi soggetti, produttori che hanno un importante potere economico. Da questo punto di vista è importante ricordare le teorie economiche che hanno cercato di porre in evidenza come la concorrenza sia un meccanismo dinamico che va 47 inteso nella sua dimensione dinamica nel tempo che non si basa solo sul livello dei prezzi sulla cui base competono le imprese sul mercato. Parlando del pensiero di un economista e sociologo, Shumpeter, egli aveva messo in evidenza come le imprese competono tra di loro con meccanismo dinamico mediante l‟introduzione di nuovi beni sul mercato, nuove forme di organizzazione nella stessa impresa, nuova forma di organizzazione industriale e commerciale nell‟impresa. La concorrenza è un processo dinamico, in cui è necessario chein una determinata fase del processo industriale si formino situazioni di tipo monopolistico, una impresa dotata di potere di mercato è in grado di sopportare i costi connessi all‟introduzione di beni sul mercato, innovazione tecnologica, a nuove forme di organizzazione industriale e così via. In qualche modo va messo in evidenza come è solo la grande impresa che è in condizione di promuovere lo sviluppo, le innovazioni tecnologiche e quindi la crescita globale del sistema economico. Una volta che non vi è un livello ideale di efficienza del mercato in termini di efficienza allocativa ma si tratta semplicemente di promuovere lo sviluppo concorrenziale, in determinate fasi vengono poste in essere determinate forme di concentrazione del potere economico funzionali alla crescita globale del sistema. Questa concezione economica ha posto in evidenza un fatto importante: il monopolio non è un male in sé e anche determinati accordi che vengono visti come restrittivi della concorrenza, ma dall‟altro lato può avere un effetto espansivo della concorrenza che può essere apprezzato sul lungo termine. Facciamo un esempio sul quale torneremo più avanti. Un accordo tipico all‟interno del mercato sono gli accordi di distribuzione commerciale. Accordo fra un produttore e un distributore di un determinato prodotto. Questi accordi normalmente prevedono che il distributore si impegni a vendere una determinata parte del mercato, in una determinata regione, in una determinata area territoriale, soltanto per prodotti di quel determinato produttore. Allo stesso tempo il produttore si obbliga a non fornire la distribuzione dei propri prodotti ad altri distributori concorrenti. La situazione è molto più complicata, ma sono previste clausole di esclusiva che sono restrittive della concorrenza. È più conveniente che il distributore ha la possibilità di vendere più prodotti tra loro concorrenti, omogenei per quanto riguarda i prezzi la qualità. È più conveniente che il produttore si può avvalere di più produttori anche in una determinata area territoriale. Queste clausole di esclusiva sono restrittive della concorrenza, ma hanno anche effetti espansivi della concorrenza, oppure possono determinare effetti che possono determinare effetti positivi in termini di efficienza complessiva del sistema economico. Facciamo, ritornando al nostro esempio, questa considerazione. È chiaro che un distributore per attrarre la domanda deve offrire ai propri clienti tutta una serie di servizi post vendita che non avrebbe interesse ad offrire nel caso 48 in cui vi fosse un altro distributore a cui non vi fosse consentito offrire i prodotti senza una serie di servizi post vendita complementari e così via. Il produttore si deve impegnare in determinate campagne pubblicitarie rispetto al proprio prodotto e una attività promozionale che il distributore non avrebbe interesse a porre in essere se questa possa anche andare a beneficio di altri distributore che non hanno supportato gli investimenti connessi a questa attività promozionale pubblicitaria. È razionale, efficiente che vi siano accordi di esclusiva che vi sia una razionalizzazione della catena redistributiva di un determinato prodotto. Questa razionalizzazione consente di effettuare quegli investimenti necessari per promuovere quel determinato prodotto, per garantirne la qualità. In più evitare la concorrenza limitatamente al prodotto di una determinata marca prodotta da un determinato soggetto, può avere effetto espansivo della concorrenza fra prodotti che hanno marche diverse, fra loro concorrenti. Questi accordi limitano di distribuzione limitano la concorrenza intrabrand, cioè all‟interno di una medesima marca, ma hanno un effetto espansivo della concorrenza di prodotti fra più marche diverse, la concorrenza cosiddetta interband. Da questo punto di vista le pratiche limitative della concorrenza vanno valutate con ragionevolezza. Anche le situazioni monopolistiche o quasi monopolistiche hanno vantaggi in termini di funzionamento del sistema economico complessivo. Da qui la necessità di superare una concezione rigida della concorrenza perfetta e arrivare alla concezione di concorrenza sostenibile (workable), che ammette anche in qualche modo una riduzione del numero di imprese che operano su un determinato mercato purché in qualche modo questo non riduca del tutto il livello di concorrenza che vi è su un determinato mercato. La riduzione del numero di imprese che operano sul mercato può consentire alle stesse imprese di raggiungere un livello ottimale e sostanzialmente desiderabile e allo stesso tempo consente di abbassare i costi della produzione e si può accompagnare con la permanenza del mercato situazioni di concorrenzache sono comunque sostenibili. Nella teoria economica si è fatta strada un‟altra concezione in base alla quale il monopolio è una situazione che può essere tollerabile dal punto di vista concorrenziale: è la teoria dei mercati contendibili. È una teoria in base alla quale il monopolio è compatibile con un risultato efficiente dal punto di vista allocativo. Concorrenza potenziale, in base a questa teoria economica si era posto in evidenza come ciò che conta non è tanto il monopolio, il fatto che vi sia all‟interno del mercato una impresa che ha una situazione di potere di mercato, ma il problema è se questa impresa è protetta dalla concorrenza potenziale di altri soggetti che potrebbero entrare sul mercato, su quel mercato che è monopolistico. Ciò che conta sono le barriere all’entrata o all’uscita di un determinato mercato. Se nel mercato non vi sono ostacoli all‟accesso da parte di imprese che vorrebbero entrare, allora il monopolista sente la minaccia dei potenziali entranti e si comporterà in modo efficiente dal punto di vista produttivo e dal punto di vista allocativo, si 49 comporterà come se il mercato fosse concorrenziale. Adotterà un prezzo vicino al costo marginale, volto a scoraggiare l‟entrata di potenziali concorrenti sul mercato. Ciò che conta non è tanto il fatto che il mercato sia in assetto monopolistico, piuttosto bisogna verificare l‟assetto del mercato e se nel mercato sono presenti barriere all‟entrata che proteggono il monopolista da una concorrenza potenziale, minaccia all‟entrata dei concorrenti. Occorre tenere conto che le legislazioni antitrust sfruttano il modo con cui vengono poi concretamente applicate dalle istituzioni a cui è delegato il potere di applicarle. Per esempio, come dicevo, il trattato prevedeva fin dall‟inizio tutta una serie di norme, articoli 101 e 102, e prevedeva anche tutta una serie di norme che sostanzialmente comportavano il controllo delle concentrazioni, quelle operazioni che comportano che una impresa acquisti il controllo di un‟altra impresa e si riduca il numero di imprese presenti sul mercato. C‟è stata tutta una fase di applicazione in cui le concentrazioni sono state tollerate per un lungo periodo di tempo. Si è in qualche modo, dal punto di vista della politica economica, perseguito lo scopo di favorire la crescita dimensionale delle imprese in modo che potessero essere maggiormente competitive e quindi le norme antitrust sono state applicate, in particolare le norme sull‟abuso di posizione dominante sono state applicate in modo da abolire situazioni di concentrazione o accrescimento del potere economico da parte di determinate imprese. Volendo considerare la legislazione comunitaria con quella USA occorre evidenziare delle differenze e delle analogie. Le differenze sono nell‟impostazione delle due legislazioni. Lo ShermanAct pone dei divieti rigidi, comportamento collusivo che in qualsiasi modo abbia effetto restrittivo della concorrenza, qualsiasi cartello, pratica concordata, comportamento collusivo che ha effetto di restringere la concorrenza è vietato in base all‟articolo 1 dello ShermanAct, divieto posto in termini rigidi, assoluti La legislazione comunitaria ammette delle deroghe ai divieti: concorrenza e abuso di posizione dominante. L‟assetto legislativo è sostanzialmente differente, però nel tempo i due sistemi normativi si sono mossi in modo parallelo e convergente, sulla base dell‟interpretazione giurisprudenziale che è stata data alle norme antitrust statunitensi. A cosa mi riferisco? Al fatto che nel tempo questo, ai primi del 1900, questo divieto di qualsiasi intesa restrittiva della concorrenza è stato temperato per via giurisprudenziale. È stato temperato, uno dei più famosi casi è il Standard Oil del 1911, in cui i giudici hanno osservato che qualsiasi accordo comporta una limitazione dell‟autonomia delle parti che sottoscrivono questo determinato contratto, accordo. Qualsiasi contratto è restrittivo della sfera di autonomia delle parti, è in qualche modo restrittivo della concorrenza. La legislazione antitrust non può essere interpretata nel senso di vietare qualsiasi accordo restrittivo della concorrenza, ma si tratta di verificare se questa restrizione sia irragionevole o eccessiva, rispetto allo scopo economico perseguito dalle parti. 50 Vi sono delle giustificazioni economiche che stanno alla base dell‟accordo istitutivo della concorrenza. Possono essere sostenute da una valida teoria economica o no? Qual è lo scopo economico concretamente perseguito dalle parti? Danneggiare i concorrenti, ostacolare la concorrenza, ovvero vi sono ragioni economiche? Sostanzialmente viene introdotta nell‟applicazione del diritto antitrust statunitense un principio di ragionevolezza che sostanzialmente demanda al giudice se un determinato accordo, pur restrittivo della concorrenza, possa produrre degli effetti pro concorrenziali, che in qualche modo siano tali da compensare il pregiudizio arrecato alla libertà di mercato. Si tratta di soppesare gli effetti restrittivi della concorrenza di un determinato accordo, con gli effetti pro concorrenziali soppesati per vedere se le restrizioni della concorrenza siano ragionevoli o irragionevoli alla luce di una analisi economica specifica. Viene introdotto sostanzialmente, la cosiddetta rule of reason, principio di ragionevolezza che comporta la conseguenza che qualsiasi fattispecie rilevante per il diritto della concorrenza debba essere valutata sulla base di una attenta analisi economica degli effetti di un determinato accordo o di una determinata pratica restrittiva della concorrenza. Non si tratta di applicare una disposizione di legge per vedere se il caso concreto sottoposto all‟attenzione dei giudici dell‟autorità di sorveglianza presenti gli elementi della fattispecie prevista dal legislatore, ma si tratta di condurre una analisi economica complessa. Ci sono delle intese restrittive ritenute meritevoli di condanna. Per esempio un accordo tra due società produttrici di un determinato bene che ha l‟unico scopo di fissare il prezzo di un determinato prodotto viene considerato come un accordo restrittivo della concorrenza. Vi sono accordi percepiti sulla base della legislazione, come palesemente restrittivi della concorrenza e condannati a prescindere da qualsiasi analisi economica. Sono accordi (prezzi, quote di mercato) considerati in prima fase come palesemente anticoncorrenziali, spetterà alle parti dimostrare invece le virtù pro concorrenziali di un determinato accordo. Nel caso del diritto antitrust comunitario questa analisi di ragionevolezza è stata introdotta anche legislativamente. Se prendiamo l‟articolo 101 del trattato abbiamo che è organizzato in modo da prevedere un divieto e dei casi di inapplicabilità di questo divieto, deroga al divieto. Il divieto è molto semplice: “Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi fra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio fra stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all‟interno del mercato interno”. Dice che sono incompatibili accordi, decisioni di associazioni imprese (vedremo cosa sono) , con le pratiche concordate che abbiano per oggetto od effetto, restringere un effetto limitativo della concorrenza all‟interno di un mercato comune. Si pone un divieto: di intese restrittive della concorrenza. 51 La seconda parte della disposizione prosegue, lo vedremo più avanti in modo analitico, stabilendo una serie di fattispecie esemplificative di questi accordi limitativi della concorrenza e dei loro effetti sui mercati. Mettiamo in evidenza il paragrafo 3 del 101, deroga a intese restrittive della concorrenza. Si dice che :” il divieto è inapplicabile a qualsiasi accordo, decisione, pratica concordata… che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione di prodotti o a promuovere il progresso tecnico od economico…”. Volevo mettere in evidenza come l’intesa vietata può essere ritenuta compatibile con il trattato se contribuisce a migliorare la produzione, distribuzione dei prodotti per promuovere progresso tecnico economico. Si intende anche qua una valutazione complessa della intesa restrittiva, in cui sostanzialmente l‟effetto restrittivo dev‟essere soppesato con eventuali effetti positivi, eventuali giustificazioni economiche della stessa intesa. L‟intesa restrittiva va valutata nella sua interezza, considerando tutti gli effetti egiustificazioni economiche alla base di una determinata intesa restrittiva della concorrenza. L‟articolo 101 paragrafo 3 ammette questa valutazione complessa a condizione che l’utile che consegue ad una determinata impresa restrittiva, debba andare a beneficio degli utilizzatori, dei consumatori finali. L‟effetto positivo deve riflettersi in un miglioramento della qualità dei prodotti, riduzione dei prezzi, e deve tradursi in un beneficio completo per i consumatori finali. Inoltre è necessario che questa intesa restrittiva non sia tale da eliminare la concorrenza nel mercato, il prodotto di cui evidentemente si tratta. Sennò verrebbe meno anche quella condizione di mantenere la concorrenza sostenibile sul mercato che sta alla base dell‟applicazione del diritto anti trust del nostro ordinamento comunitario. Sostanzialmente il diritto anti trust pone dei divieti che vanno applicati sulla base di una valutazione economica complessa che deve tenere conto degli effetti restrittivi di un accordo, pratica concordata, e giustificazioni economiche in termini di efficienza allocativa o produttiva dello stesso accordo. Il problema che ci dobbiamo porre è quello delrapporto della disciplina della concorrenza comunitaria e quello della concorrenza nazionale. Rapporto fra gli articoli 101 e 102 del trattato e la legge antitrust nazionale. Il rapporto è ovviamente di competenza. Vi sono delle fattispecie in qualche modo sottoposte all‟applicazione della norma anti trust comunitaria e altre fattispecie sottoposte a quelle antitrust del nostro ordinamento. Occorre ricordare una cosa importante. Non abbiamo soltanto una disciplina generale in materia antitrust (trattato e legge antitrust), ma abbiamo anche alcune discipline speciali in materia di concorrenza previste in altre disposizione di legge, sulle quali ritorneremo. In particolare non solo la 287 1990, ma in alcuni settori si applica una disciplina anti trust specificamente prevista: mi riferisco al settore dell‟editoria e 52 telecomunicazione separatamente. di massa;settore bancario che dobbiamo considerare 19/03/2012 Stavamo parlando di diritto antitrustl‟ultima lezione, volevo un attimo anzitutto riepilogare alcuni concetti generali che abbiamo visto. Oggi e domani parliamo delle principali fattispecie, dobbiamo considerare i principali divieti previsti nell‟ambito della legge anti trust. Nel manuale che vi ho indicato per la preparazione dell‟esame queste diverse fattispecie sono considerate in modo molto sintetico, quello che dirò nelle prossime lezioni costituisce una integrazione di quello che è esposto nel manuale, si tratta di cocetti generali che rendo in modo accessibile, sulla base di semplici appunti potete preparare l‟esame. Qual era la sintesi dei concetti? I divieti in materia antitrust sono due: divieto di intese restrittive della concorrenza e di abuso della posizione dominante, sono diretti a preservare un certo grado di concorrenza in un determinato mercato. Abbiamo anche visto che l‟obiettivo è quello di mantenere un certo grado di concorrenza che si risolve in un vantaggio per i consumatori, per gli utenti finali di beni e servizi rilevanti per quel dato mercato che consideriamo. Anche se vedere la concorrenza come una situazione di mercato che favorisce i consumatori finali, è in qualche modo concepito diversamente all‟interno di alcune scuole di teoria economica. Abbiamo visto come la concorrenza è un fenomeno dinamico, una competizione, una gara che si sviluppa dinamicamente e che in certe situazioni può anche essere utile che in certe fasi prevalgano condizioni non pienamente concorrenziali ma vi sia la presenza di un operatore, di una impresa dominante. Questo per mettere in evidenza come tutela della concorrenza non significhi mantenimento di una determinata struttura del mercato, ma è necessario che si tenga conto di una evoluzione in senso produttivo, tecnologico, dello svolgimento di una determinata attività economica. Le leggi in materia di concorrenza consentono di garantire comunque una concorrenza sostenibile, workablecompetition, tendono a preservare la legge antitrust. Abbiamo visto anche come secondo altre scuole di pensiero l‟obiettivo della legislazione è quello di garantire l‟efficienza allocativa e produttiva di un mercato. Va considerato non soltanto l‟interesse dei consumatori finali, ma anche quello delle imprese. Secondo la teoria della Scuola di Chicago in certe situazioni è desiderabile il fatto che questo mercato si sviluppi in senso monopolistico od oligopolistico. Questo rende sempre necessaria alla applicazione dei divieti anti trust una analisi complessa. Una struttura del mercato può avere degli effetti sul livello dei prezzi, qualità dei servizi e quantità prodotte, deve considerare l‟interesse dell‟impresa per 53 razionalizzare l‟assetto produttivo e così via. L‟applicazione dei divieti antitrust implica una analisi complessa dei vari casi che possono essere sottoposti all‟attenzione delle autorità preposte all‟applicazione del diritto antitrust. Sono semplici i divieti, sono divieto di intesa restrittiva della concorrenza e divieto di abuso della posizione dominante, accanto ai quali si pone una fattispecie oggetto non tanto di divieto, bensì di controllo, quali le concentrazioni. L‟esempio più semplice è quello di una impresa, una società che si compra un‟altra società, partecipazione di controllo di un concorrente, operazione di acquisizione che ha un effetto fondamentale: modificare la struttura di quel determinato mercato. Ciò influisce sul numero di imprese presenti sul mercato per effetto dell‟operazione di concentrazione. Effetto strutturale su un determinato mercato. Le concentrazioni sono sottoposte ad un controllo preventivo. Si tratta di verificare se per effetto di quella determinata concentrazione si mantenga un grado accettabile di concorrenza. Non sarà accettabile dal punto di vista dell‟ordinamento una operazione che la riduca in modo significativo. Accettabili quelle concentrazioni che consentono razionalizzazioni del sistema produttivo e non riducono in modo significativo il grado di concorrenzialità del mercato. Un primo problema preliminare da affrontare è quello del rapporto fra la legislazione anti trust comunitaria e quella nazionale. È un rapporto stabilito legislativamente. Anzitutto cosa vuol dire rapporto fra diritto antitrust comunitario e diritto antitrust nazionale? Di fronte ad una determinata fattispecie, attuo la legge 287/1990 o le materie previste dal trattato o dai vari regolamenti comunitari. Abbiamo una coesistenza tra due ordinamenti che disciplinano fattispecie identiche. I criteri di ripartizione fra il diritto anti trust comunitario e nazionale sono stabiliti dalla legge, in particolare l‟articolo 1 della legge 287. Primo punto importante è il comma 4 dell’articolo 1 della legge: “l‟interpretazione delle norme contenute nel presente titolo è effettuata in base ai principi dell‟ordinamento delle comunità europee in materia di disciplina della concorrenza”. Questa norma ci dice che anche qualora, ad una determinata fattispecie si applichi il diritto nazionale (legge 287), l‟applicazione della legge nazionale dev‟essere fatta sulla base dei principi antitrust stabiliti nel trattato. La nostra autorità di vigilanza, l‟autorità garante, ma anche i giudici che sono chiamati ad applicare la norma antitrust, e gli operatori del diritto, quando interpretano le disposizioni antitrust nazionali devono sempre considerare i principi stabiliti dall‟ordinamento comunitario. Principi che sono previsti nel trattato e vengono delineati dalla giurisprudenza comunitaria (corte di giustizia) nella sua attività di applicazione delle norme anti trust. L‟ordinamento comunitario serve anche per integrare il diritto antitrust nazionale; cioè laddove vi siano delle fattispecie che non sono risolte univocamente in base al diritto antitrust nazionale, è necessario cercarenella giurisprudenza della Corte di Giustizia della commissione Europea quali principi bisogna applicare per quella fattispecie. 54 Principio stabilito dal comma 4 articolo 1 della legge antitrust è un principio di supremazia della legislazione comunitaria in materia anti trust. Il diritto anti trust nazionale deve rispettare i diritti di quello comunitario. Non si può verificare un contrasto tra l‟interpretazione di una norma a livello nazionale e l‟applicazione di quella medesima norma a livello comunitario. Anche le autorità di controllo devono sempre garantirne la coerenza rispetto ai principi del diritto comunitario. In secondo luogo il rapporto fra legge anti trust nazionale e comunitaria è di residualità. Questo rapporto viene enunciato al comma due dell’articolo 1 della legge, dice: “l‟autorità garante della concorrenza e del mercato di cui all‟articolo 10, di seguito denominata Autorità, qualora ritenga che una fattispecie al suo esame non rientri nell‟ambito di applicazione della presente legge ai sensi del comma 1, ne informa la commissione delle comunità europee, cui trasmette tutte le informazioni in suo possesso”. A sua volta il comma 1 della legge antitrust prevede che “le disposizioni della presente legge…. si applicano alle intese, agli abusi di posizione dominante e alle concentrazioni di imprese, che non ricadono nell‟ambito di applicazione del trattato…”. Il diritto antitrust nazionale si applica nel caso in cui non si applica il diritto anti trust comunitario. L‟applicazione del diritto antitrust nazionale è residuale rispetto al diritto anti trust comunitario. Applicazione residuale, ma quando si applica l‟anti trust comunitario? Questo è sostanzialmente previsto agli articoli 101 e 102 del trattato. Gli articoli prevedono che il diritto comunitario si applichi quando una particolare concentrazione o abuso di posizione dominante è idoneo a pregiudicare il commercio fra gli stati membri. Una impresa, un cartello, ha un effetto anti concorrenziale limitativo della concorrenza che interessa più stati membri, pregiudica il commercio fra questi stati membri. Vi dev‟essere una dimensione comunitaria della fattispecie anti concorrenziale. Se l‟effetto concorrenziale di una determinata impresa si risolve all‟interno del mercato di un unico paese membro, allora si applica il diritto anti trust di quel paese membro. Con un caso limite: quello dell‟intesa che dispieghi i suoi effetti sul mercato nazionale che coincide con l‟intero territorio nazionale particolarmente ampio, rilevante all‟interno del mercato unico. In questi casi si ha pregiudizio al commercio fra gli stati membri. La fattispecie rientra nella competenza del diritto comunitario. Il criterio della residualità si risolve in questo modo. Quando l‟applicazione dell‟antitrust è residuale, solo quando la fattispecie è idonea a pregiudicare il commercio fra gli stati membri. Questo discorso è complicato ulteriormente dal fattoche come ormai è evidente, articolo 1 del regolamento del 2003, l‟applicazione del diritto comunitario è demandata alle autorità anti trust nazionale. Si applica il comunitario, ma lo applicano le autorità nazionali, in Italia la Autorità Garante, in Germania un altro organo. L‟autorità di vigilanza a livello comunitario è la Commissione europea, per evitare che si moltiplichino casi sottoposti al suo esame ha optato, sulla base di una strategia condivisa, per decentrare l‟applicazione dell‟anti trust comunitario fra le autorità di controllo dei vari paesi membri. 55 Anche se si applica il diritto comunitario ci sarà una particolare fattispecie che sarà chiamata ad applicare il diritto antitrust nazionale, l‟autorità garante. Qua anche in base al principio di sussidiarietà, in base al quale la commissione europea, le istituzioni non possono intervenire nel caso in cui determinati obiettivi non possano essere realizzati dalle autorità nazionali. L‟intervento si ha soltanto in caso di incapacità di realizzare determinati obiettivi rilevanti all‟interno dell‟ordinamento comunitario. Teniamo presente un altro fatto importante. Le due fattispecie principali, il divieto di intese e l‟abuso di posizione dominante, sono messe in modo identico nell‟ambito del trattato e della legge antitrust nazionale. Se prendete l‟articolo 101 del trattato e l’articolo 2 della legge 287 vi rendete conto che la formulazione è presso che identica, ugualmente si può dire per il divieto di abuso di posizione dominante. I giudici sono chiamati ad applicare sia i fattori di rilevanza comunitaria che di rilevanza nazionale,fattispecie sostanzialmente identiche. Teniamo presente che anche per quanto concerne il divieto di intese, anche la deroga vista prima, il fatto che possa essere consentita laddove determini effetti, dei miglioramenti sul piano produttivo, sviluppo tecnologico, anche queste deroghe ormai sono applicate dalle varie autorità antitrust nazionali. Un tempo, prima del regolamento, per fruire della deroga, occorreva formulare una domanda di deroga alla Commissione Europea, vi era una gestione centralizzata di esenzioni al divieto di intese. Si creava una situazione abbastanza strana. C‟era una autorità antitrust nazionale che perseguiva alcune imprese che venivano accusate di aver perseguito un cartello, una intesa vietata ai sensi del diritto anti trustnazionale, però queste imprese avevano una richiesta di esenzione e la possibilità di perseguire le intese,era paralizzata dal fatto che era stato iniziato un procedimento di esenzione. Questo problema è stato risolto, ormai le autorità anti trust nazionali hanno una legittimazione ad applicare tutte le disposizioni antitrust comunitarie. Unica eccezione per le concentrazioni. Nel caso delle concentrazioni le competenze sono basate su un criterio di tipo dimensionale. Se la concentrazione supera una determinata dimensione quantitativa, soglie determinate sulla base del fatturato, determinati valori di bilancio, allora è competente la Commissione europea. Se invece la concentrazione si pone al di sotto di una determinata soglia, allora per controllare quella concentrazione è competente l‟autorità antitrust nazionale.Abbiamo una demarcazione più chiara e non si attua il principio di decentramento del diritto antitrust comunitario che abbiamo visto attuarsi per quanto concerne il divieto di intese e abuso di posizione dominante. È chiaro che l‟ambito di questo principio di decentramento diventa importantenel caso in cui le varie autorità nazionali ne diano una interpretazione ed una applicazione uniforme. Vi sono in casi in cui la Commissione può avocare a se determinati procedimenti che sono sottoposti all‟attenzione delle autorità antitrust nazionali. 56 Questo avviene in alcuni specifici casi. La commissione dice che una determinata fattispecie deve essere decisa dalla stessa Commissione e non invece da quell‟autorità nazionale che in via decentrata potrebbe decidere. Avviene in alcuni specifici casi: innanzi tutto ad una fattispecie antitrust interessa mercati per più di tre stati membri (dimensione comunitaria significativa), in secondo luogo il modo in cui si tratta di gestione antitrustnuova, che pone problemi nuovi, per la novità della questione è necessario che intervenga un soggetto di cui le autorità nazionali terranno conto quando dovranno cimentarsi su un caso analogo o fattispecie analoghe. Terzo caso quando si sia creato un contrasto o mancanza di uniformità, nell‟applicazione di disposizione del diritto antitrust. Se non vi è uniformità interpretativa di determinate disposizioni in materia anti trust. La Commissione può avocare il caso a sé per dare linee guida, per garantire uniformità. La regola comunque è il principio di decentramento,in base al quale il diritto anti trust viene applicato dalle autorità nazionali antitrust. Veniamo alle intese restrittive della libertà di concorrenza (art. 2 e art. 101). Le due disposizioni sono fondate in modo pressoché identico. Vi è un‟unica differenza. Leggo l‟articolo 2 legge antitrust: “Sono considerate intese gli accordi e/o le pratiche concordati tra imprese nonché le deliberazioni , anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, i consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire restringere o falsare in maniera consistenteil gioco della concorrenza all‟interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante”. Il secondo comma pone il divieto. La norma prosegue esemplificando una serie di esempi di intese restrittive della concorrenza. L‟articolo 101 sul trattato UE si esprime in modo simile: “Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi fra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese, e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio fra stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto, di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all‟interno del mercato interno…” Più o meno le norme sono formulate in modo simile. Qual è la differenza? In ambito dell‟articolo 2 comma due della legge antitrust l‟effetto restrittivo della concorrenza dev‟essere consistente. Non si usa questo aggettivo all‟interno del 101 del trattato. La cosa non è particolarmente significativa. Anche in base agli orientamenti della commissione, non sono vietate le intese de minimis, che hanno importanza minore, intervengono fra piccole e medie imprese. Voi sapete che all‟interno della legislazione comunitaria vi è una definizione di PMI, imprese che hanno meno di 250 dipendenti e non superano un certo fatturato. Anche se queste PMI pongono in essere una fattispecie vietata, ai sensi della materia antitrust non scatta il divieto proprio perché si tratta di intese che hanno un effetto marginale all‟interno del mercato. 57 Ritorniamo alla nozione di intesa.Nell‟ambito della nozione di intesa rientrano una serie di fattispecie, enunciate in termini simili dal trattato e legge antitrust. Abbiamo: - accordi fra imprese; - pratiche concordate; - decisioni di associazioni di imprese. Nell‟ambito dell‟articolo 2 si parla di accordi, pratiche concordate tra imprese e deliberazioni di associazioni di imprese. Vediamo cosa significano queste tre fattispecie, c‟è un tratto caratterizzante: qualsiasi intesa realizza concertazione fra soggetti che dovrebbero concorrere fra di loro. Qualisasi intesa rende priva di autonomia nelle proprie decisioni produttive, o di altro genere rilevanti dal punto di vista economico, i soggetti che partecipano a questa intesa e realizza una forma di coordinamento economico fra imprese che può avere un effetto anti concorrenziale. Ciascuna impresa può decidere autonomamente la propria condotta concorrenziale, di mercato, decidere autonomamente le condizioni della propriaofferta di mercato. Dal punto di vista dei benefici è chiaro che il soggetto che realizza l‟intesa non saprà come si comporteranno i propri concorrenti. I soggetti che fanno parte dell‟intesa, che stringono il cartello, sanno come si comporteranno i soggetti che partecipano al caratello e rende possibile l‟adozione di pratiche commerciali uniformi, si può creare una sorta di posizione dominante collettiva, da parte di tutti i soggetti, meglio potere economico collettivo in capo a tutti i soggetti che fanno capo di questa intesa, i quali potranno decidere caratteristiche di un determinato prodotto, condizioni di prezzo, c‟è la possibilità di offrire un prezzo anche ad un livello superiore rispetto al mercato concorrenziale. L‟intesa realizza una forma di coordinamento esplicito o nascosto di imprese che dovrebbero concorrere tra di loro. Gli strumenti per realizzare queste forme di coordinamento sono i più diversi. Come abbiamo visto la legge antitrust ne menziona tre. Anzitutto i veri e propri accordi. Due o più concorrenti stipulano un accordo in cui fissano condizioni economiche sulla cui base determinano la propria offerta di mercato. Per essere vietato l‟accordo deve, come dice il trattato e la legge anti trust, avere per oggetto o per effetto impedire/restringere/falsare il gioco della concorrenza. Nel caso degli accordi, dei contratti ci sono due ipotesi che si possono evidenziare. Anzitutto che l‟‟oggetto della pattuizione tra le parti sia quello di fissare il prezzo e così via. L‟accordo ha un oggetto anti concorrenziale. Ma non è necessario che questo avvenga in tutti i casi. È anche sufficiente che l‟oggetto dell‟accordo sia diverso. Ad esempio un accordo in materia di condivisionedi reti distributive; un accordo che ha ad oggetto una determinata fase delle imprese che partecipano all‟accordo. Può 58 essere che l‟accordo che non ha oggetto anti concorrenziale, abbia effetti anti concorrenziali. Nel sensoche nell‟esempio, se due concorrenti stipulano un contratto per condividere una rete distributiva, per fare un consorzio o cose di questo genere, l‟effetto può essere limitativo o distorsivo della concorrenza. Altra fattispecie di intese restrittive della concorrenza è quella delle pratiche concordate. Gli accordi sono normalmente dei contratti. Non è detto che si tratti di contratti scritti, possono anche essere verbali, semplici manifestazioni d‟intenti, la pratica concordata consiste in un comportamento imprenditoriale da parte dell‟impresa che decide il comportamento consapevole del fatto che quel comportamento costituisce un coordinamento consapevole con altre imprese, altri concorrenti. Decido di alzare il prezzo di un determinato prodotto, perché so che analogamente si comporteranno i miei concorrenti. Si dev‟essere realizzata una qualche forma di coordinamento fra imprese concorrenti, ci dev‟essere stato un qualche scambio di informazioni, incontri, in cui hanno condiviso determinate informazioni commerciali, hanno raggiunto una sorta di tacito accordo per avere una strategia commerciale, di mercato. È chiaro che le pratiche concordate sono difficili da affrontare. Bisogna fare ispezioni, richieste di informazioni per capire se vi è stata questa forma produttiva, scambio di informazioni che ha consentito questa forma di coordinamento nel comportamento di imprese concorrenti. In effetti, occorre distinguere fra pratiche concordate e semplici comportamenti paralleli. Può anche darsi che nell‟ambito del mercato, si adottano pratiche commerciali, strategie di prodotto simili, ma senzaessersi messi d‟accordo, senza farlo nella convinzione che anche il concorrente agirà in modo simile, sulla base di decisioni economiche autonome. Si possono sul mercato determinare comportamenti paralleli, semplicemente perché la struttura del mercato è concentrata, gli altri reagiscono in modo molto simile, ma questo al di fuori di qualsiasi forma di coordinamento fra imprese che operano in un determinato mercato. Per distinguere fra pratica concordata e comportamento parallelo, all‟autorità di controllo spetterà raggiungere una prova complicata,che vi è stato scambio di informazioni, ci sono stati incontri fra le imprese che partecipano al cartello. Terzo tipo di intesa sono le decisioni di associazioni di imprese. Ipotesi più residuale, si riferisce in generale ad una manifestazione collettiva di volontà da parte di imprese che aderiscono ad una medesima organizzazione, un consorzio, altre forme giuridiche a cui le imprese possono partecipare. Il caso più rilevante è quello delle associazioni che rappresentano categorie di imprese, decisioni che vengono assunte dalle associazioni di categoria e associazioni cui fanno parte delle categorie di imprese che rientrano in una certa categoria. Esempio ABI/ANIA, sono associazioni di categoria. Queste sono associazioni di categoria, come anche Confindustria. Ciascuna di queste associazioni può assumere 59 decisioni, deliberazioni, a cui i partecipanti si possono attenere. Può emanare, rendere note lineedi comportamento, codici di condotta e così via. Queste decisioni possono essere rilevanti sul piano antitrust, ed in alcuni casi lo sono anche state. Facciamo altro esempio più particolare. Anche gli ordini professionali sono associazioni di categoria i quali hanno adottato le tariffe, adesso si parla di decreto delle liberalizzazioni, decisioni vincolanti per gli aderenti agli ordini, decisioni che sono vincolanti e che quindi determinano il prezzo a cui vengono erogate determinate prestazioni intellettuali. Impediscono che il prezzo di una determinata prestazione possa formarsi in base ad un meccanismo concorrenziale propriamente inteso. Queste sono le fattispecie. In tutti i casi il soggetto dev‟essere una impresa, si può applicare il diritto della concorrenza a soggetti definiti imprese. Sapete le caratteristiche di impresa e nozione di imprenditore in base al codice civile, al 2082 del codice. Non dobbiamo riferirci alla nozione di imprenditore, impresa valido nel nostro ordinamento ma a quella di impresa che è valida nell‟ambito del diritto comunitario. Il diritto comunitario prevale sul diritto nazionale nell‟ambito della concorrenza. Diventa rilevante la nozione di impresa accettabile per le istituzioni comunitarie, nozione di impresa che è stata elaborata dalla giurisprudenza comunitaria. Occorre dire che la nozione di impresa nell‟ambito comunitario è molto più ampia di quella del nostro ordinamento. In base al 2082 bisogna per essere qualificati come imprenditori commerciali bisogna soddisfare alcuni requisiti. Nel diritto comunitario è impresa qualsiasi entità che esercita una qualsiasi attività economica. Nozione molto ampia. Quali sono i limiti a questa nozione? Molto semplice. Quando non si è in presenza di una attività economica allora non si ha impresa. Il punto focale è l‟economicità dell‟attività. Significa attività che è in grado di auto sostenersi, che non ha bisogno dell‟apporto di economie terze, è una attività che si regge da sola. Si ha attività economica tutte le volte in cui vi è offerta di beni e servizi offerti dal mercato che in qualche modo vengono pagati, sono in grado di remunerare i costi che l‟entità sopporta nell‟attività economica. Attività è autosufficiente. Non è attività che in qualche modo è strutturalmente in perdita. Le condizioni di prezzo vengono stabilite in base a criteri che non orientati sui costi. Facciamo l‟esempio delle prestazioni previdenziali. I criteri di allocazione delle prestazioni, le prestazioni vengono allocate molte volte non in base alla disponibilità a pagare dei soggetti, ma molto spesso in base a criterio opposto. Cittadini bisognosi.Non si ha attività economica, ma attività di erogazione. Per sostenere lo svolgimento di questa attività vi sono erogazioni pubbliche attività finanziate dallo Stato, dagli enti locali. Caso di attività economica guardo attività in cui l‟offerta di beni e servizi è fatta in base a criteri di efficienza allocativa, tenendo conto della propensione a pagare di soggetti che ricevono questi beni e questi servizi. In base al diritto comunitario è assolutamente indifferente la forma giuridica mediante la quale si svolge l‟attività economica. Non è necessario che l‟attività 60 economica sia svolta in forma imprenditoriale, da una società di capitali o di altro genere. Impresa può essere anche ritrovata all‟interno delle PA. Caso nell‟ambito di questa funzione di impresa in cui si è ritenuto che svolgesse una attività imprenditoriale un ufficio di collocamento pubblico. In quel caso l‟ufficio di collocamento tedesco seguiva criteri imprenditoriali. In base al diritto comunitario sono anche imprese i singoli professionisti. Chi svolge una attività di lavoro autonomo è considerato imprenditore in base all‟ordinamento comunitario. Abbiamo tutta una serie di esempi nell‟ambito della giurisprudenza comunitaria in cui determinate figure che non sono considerate imprese nell‟ordinamento nazionale lo sono per quello comunitario. Altro tema su cui mi vorrei soffermare è se nell‟ambito del diritto comunitario sono rilevanti le intese fra soggetti che fanno parte di un medesimo gruppo di imprese, altre imprese, accordi infra gruppo. La conclusione è no, è chiaro che nell‟ambito di un gruppo di società, per esempio la società controllata non è in grado di assumere delle decisioni autonome.Abbiamo visto come tratto caratterizzante di tutte le intese è che ciascuna intesa presuppone che l‟accordo intervenga fra soggetti che sono distinti tra loro, ciascuno dei quali è in grado di svolgere scelte autonome in base al comportamento imprenditoriale .Le decisioni in ultima istanza vengono decise dalla capogruppo e le società che fanno parte del gruppo non sono più autonome dal punto di vista imprenditoriale. Una intesa per essere vietata ha per oggetto od effetto restringere limitare o falsare la concorrenza. Ci sono accordi che hanno oggetti anti concorrenziali, ma vi sono accordi in cui l‟impatto sulla concorrenza è semplicemente un effetto dell‟accordo stesso. Per valutare se un accordo che ha un oggetto diverso abbia effetto anticoncorrenziale, è necessario definire di quale concorrenza stiamo parlando, qual è il mercato rilevante per valutare se un determinato accordo ha un effetto anticoncorrenziale. Un accordo in materia di ricerca e sviluppo, di consorzi di acquisto, che hanno oggetti diversi, hanno effetti anti concorrenziali? Si tratta di vedere qual è l‟effetto dell‟accordo su quel determinato mercato. Diventa essenziale delimitare, circoscrivere un mercato rilevante. La nozione di mercato rilevante è importante nell‟ambito dell‟abuso di posizione dominante. Per verificare se una determinata impresa ha una posizione dominante è chiaro che bisogna vedere qual è il mercato su cui l‟impresa ha una posizione dominante, rilievo economico. L‟individuazione del mercato rilevante è una delle questioni più complesse. È una di quelle in cui si mette in rilievo l‟analisi economica. si tratta di individuare il mercato sul piano sia merceologico che geografico. Mercato rilevante? Dobbiamo distinguere fra mercato rilevante del prodotto e in senso geografico. Occorre rilevare il mercato rilevante del prodotto vedendo il lato della domanda ovvero vedendo il lato dell‟offerta. È chiaro che dal lato della domanda è quel mercato 61 in cui i consumatori valutano come sostanzialmentesostituibili o interscambiabili determinati prodotti, in base ad alcune caratteristiche, al prezzo di questi prodotti. Mercato rilevante del prodotto dal lato della domanda è costituito da prodotti e servizi non soltanto identici o affini, ma considerati come interscambiabili o sostituibili dal lato della domanda dei consumatori. Come si misura questa interscambiabilità del prodotto? Si misura adottando alcuni test tipici dell‟analisi economica, ad esempio l’elasticità incrociata della domanda. Si misura qual è la variazione della quantità domandata al variare di una determinata percentuale del prezzo di un prodotto sostituibile. Se i consumatori diminuiscono la propria propensione al consumo di un determinato prodotto al variare delle condizioni di prezzo di altri prodotti, allora questi prodotti si considerano sostituibili l‟uno con l‟altro. Se al variare di un euro del prezzo della Pepsi la quantità di Coca Cola domandata aumenta, ciò significa che i prodotti sono tra loro sostituibili e fanno parte dello stesso mercato di prodotto. Si analizzano gli effetti e le variazioni tra loro sostituibili. Se variano le quantità domandate, è chiaro che i consumatori considerano sostituibili questi prodotti. La sostituibilità dei prodotti deve essere valutata in modo oggettivo. Da questo punto di vista si utilizzano questi test, tipo elasticità incrociata della domanda, o si possono fare anche valutazioni economiche più complesse. Si deve tenere conto delle preferenze di determinate categorie di consumatori, del grado di fidelizzazione di radicamento di un prodotto che può avere sul mercato. Esempio può essere quello dei marchi celebri che diventano non sostituibili dal punto di vista merceologico, della loro qualità. Occorre anche considerare la sostituibilità del prodotto sul versante dell‟offerta. In questo caso si valuta la capacità degli imprenditori di cambiare, di modificare rapidamente il proprio processo produttivo al variare delle condizioni di mercato. L‟imprenditore è più o meno in grado di cambiare il proprio l‟assetto produttivo in modo da produrre un prodotto diverso quando variano le condizioni di mercato. Se la risposta è si, i due prodotti fanno parte di uno stesso mercato. Se la risposta è no si tratta di prodotti che fanno parte di mercati diversi. Facciamo un esempio per capirci. Dal lato della domanda la carta che si usa comunemente e la carta di particolare scelta, sono due prodotti diversi, soddisfano due bisogni diversi e non sono sostituibili dal lato della domanda. Dal lato della offerta può essere che il produttore senza eccessivi costi, al variare delle condizioni di mercato della carta comune, può cominciare a produrre carta di maggiore qualità e pregio. Avremo un unico mercato, dal lato dell‟offerta, costituito dalla carta di maggiore pregio e carta che viene utilizzata ordinariamente. Nel caso del mercato del prodotto si individua dal punto di vista del produttore costi da sostenere dalla produzione di un certo tipo di prodotto alla produzione di un altro tipo di prodotto. Se il produttore varia la propria offerta a fronte dei cambiamenti di mercato, si troverà di fronte ad un unico mercato rilevante. 62 Il mercato rilevante non si individua solo considerando il prodotto ma anche l’aspetto geografico. Una volta individuato il prodotto o serie di prodotti sostituibili occorre anche considerare la dimensione geografica del mercato. La vendita, la commercializzazione di un prodotto identico può avere tanti mercati geografici distinti che possono avere un ambito più o meno vasto. Mercato nazionale, o limitato ad una area geografica di un determinato stato, paese, dimensione europea o anche mondiale. Come si fa ad individuare il mercato rilevante? Guardo le condizioni concorrenziali sulla cui base un prodotto è venduto su una determinata zona geografica. Se le condizioni di prezzo, di qualità cambiano, allora le condizioni concorrenziali cambiano e siamo in presenza di mercati geografici distinti. Queste condizioni possono cambiare in ragione del diverso costo dei fattori produttivi. In una determinata zona geografica il prezzo varia rispetto ad un‟altra zona geografica perché variano le condizioni di determinati fattori produttivi, costi di trasporto, delle materie prime, della manodopera e così via. Pur essendo di fronte ad un medesimo prodotto cambiano le condizioni sulla cui base il prodotto è offerto su quella zona geografica, cambiano le condizioni della competizione economica e quindi si individua un mercato rilevante più o meno ampio dal punto di vista geografico. La valutazione che deve essere posta in essere per individuare il mercato rilevante sono particolarmente molto complesse. Le questioni anti trust spesso si risolvono su questo piano. Quanto più è ristretto il mercato rilevante, tanto maggiore sarà l‟effetto anti concorrenziale di una intesa. Da un certo punto di vista le imprese che sono accusate, che vengono sospettate di aver posto in essere delle intese hanno interesse ad ampliare il mercato posto in essere dall‟intesa. I consumatori hanno invece interesse a circoscrivere il più possibile, delimitare il mercato rilevante perché quanto più il mercato è ristretto, tanto più è probabile che gli effetti di una determinata intesa siano maggiori. 20/03/2012 Abbiamo parlato di intese che hanno ad oggetto estinguere limitare o falsare la concorrenza all‟interno di un mercato rilevante, sono vietate sia dall‟articolo 2 della legge 287/1990 sia dall‟articolo 101 del trattato. Abbiamo visto che l‟intesa si può manifestare in modi diversi. Coordinamento fra imprese che dovrebbero concorrere tra loro all‟interno del mercato. Poi abbiamo visto come sia essenziale,nell‟ambito dell‟applicazione di questo divieto, e dell‟applicazione del divieto di abuso di posizione dominante, individuare il mercato nell‟ambito del quale si manifesta l‟effetto anti concorrenziale di una determinataintesa. Il mercato rilevante implica una analisi complessa del mercato sia dal punto di vista dei prodotti che vengono percepiti come sostitutivi dai consumatori, sia sul piano della capacità delle imprese di produrre un prodotto simile o analogo senza sopportare un costo di conversione industriale. 63 Importante è anche l‟elemento geografico, la definizione di concorrenza che prevale in un‟area geografica. Per quanto concerne la definizione di mercato rilevante, queste analisi, sono analisi complesse; ci sono linee guida che vengono emanate sia dalla Commissione europea, sia dalla nostra autorità antitrust e che servono come parametri di riferimento, sia per le imprese e per il mercato in generale, che per la definizione di mercato rilevante. Bisogna affrontare un altro tema importante nel diritto antitrust, descrivere le fattispecie vietate, i divieti, servono per capire come si articola il diritto antitrust sul piano sostanziale dei comportamenti vietati. Una fondamentale distinzione che vorrei fare, cui ho già accennato nell‟ambito della tipologia delle intese, è la distinzione fra intese orizzontali e verticali. Intese orizzontali (o cartelli) sono quegli accordi, pratiche concordate, realizzati da imprese che sono poste allo stesso livello produttivo, tra concorrenti a tutti gli effetti. Mentre le intese verticali sono quelle che intervengono tra imprese che non concorrono perché sono posti a livelli diversi nella stessa filiera produttiva. Facciamo un po‟ di esempi di intese verticali: un produttore e un distributore diretto. Distributore può essere un distributore che ha una sua rete distributiva sul mercato ma può anche essere un grossista. Poi abbiamo un livello intermedio nella rete distributiva per un determinato produttore, altri interventi in materia di franchising, è una vera e propria concessione di vendita fra un produttore ed una serie di soggetti indipendenti che operano grazie al contratto di franchising. Tradizionalmente il divieto di intese restrittive si applica più facilmente alle intese orizzontali, ai cartelli. Le intese orizzontali rappresentano il tipo di indicazione della legge antitrust. Spesso sono soggetti che hanno per oggetto una restrizione della concorrenza, una fissazione di prezzi, ripartizioni territoriali, accordi relativi alle quantità che possono essere prodotte dalle singole imprese che fanno parte del cartello. In questi casi l‟applicazione del divieto è indubbia. Vi possono essere casi definibili come intese orizzontali ma giustificate sulla base di motivazioni economiche diverse. Pensiamo agli accordi di cooperazione fra piccole e medie imprese che cooperano fra loro nell‟ambito della ricerca e sviluppo. In questi casi vi è una giustificazione economica solida per la conclusione di un accordo orizzontale di questo genere. Le intese possono essere esentate in base all‟applicazione del paragrafo 3 articolo 101 del trattato, o l’articolo 2 della legge antitrust. Si tratta di intese con finalità di promozione, sviluppo e progresso tecnologico. A parte queste eccezioni, le intese orizzontali sono generalmente malviste neldiritto antitrust. Discorso diverso per le intese verticali. Sono necessarie alle imprese che producono e che operano a diversi livelli della catena produttiva, della filiera. È necessario che un produttore si avvalga di una rete distributiva che può essere propria, o di terzi per poter offrire i propri prodotti sul mercato. 64 Ovviamente le intese verticali da un lato occorre considerare che determinano effetti di efficienza pro concorrenziali che vanno considerati quando si verifica se intese verticali possono avere l‟effetto di restringere falsare o limitare la concorrenza in un determinato mercato. In più occorre tenere conto che le intese verticali hanno un effetto restrittivo della concorrenza per quanto concerne un determinato prodotto. Capita spesso che il produttore di un determinato prodotto chieda al distributore di essere il rivenditore esclusivo di quel prodotto, ovvero soprattutto può capitare anche che il distributore che ha una forza di mercato chieda al produttore di non avvalersi di altri distributori. Vi sono accordi, clausole e pattuizioni restrittive dell‟autonomia delle parti, impediscono al produttore determinati comportamenti. È su queste pattuizioni che dobbiamo vedere se le clausole restrittive della concorrenza siano giustificabili o meno. Occorre verificare, soppesare gli effetti pro concorrenziali e anti concorrenziali complessivamente considerati su una determinata intesa verticale. Si tratta di arrivare ad una conclusione. Se queste forme di coordinamento, intese verticali fra produttori e distributori che si devono realizzare mediante l‟impiego di queste clausole restrittive possano far conseguire vantaggi in termini di efficienza che siano superiori rispetto alla restrizione della concorrenza che queste clausole comportano. Occorre considerare questo contesto, problema di free riding che si possono determinare nell‟ambito della distribuzione di un determinato prodotto. Un produttore, distributore non sia in grado di appropriarsi degli investimenti che ha effettuato, può essere disincentivato da effettuare questi investimenti ed investire in modo sub ottimale rispetto a quello che sarebbe necessario per far conoscere un determinato prodotto. Questo accade tutte le volte in cui vi sono più distributori di un medesimo prodotto di una medesima marca che sono in grado di appropriarsi dei benefici generati dall‟attività di investimento in termini promozionali, servizi di vendita, che sono posti da uno o più distributori di un determinato prodotto. Ecco che per evitare questi problemi di free riding, è naturale pensare che il produttore imponga al distributore di non trattare prodotti della concorrenza in contropartita si impegna a fareinvestimenti diretti alla promozione di un determinato prodotto. È chiaro che se il distributore non fosse garantito da queste clausole di esclusiva sarebbe disincentivato ad effettuare un ammontare di investimenti ottimale perché sarebbe esposto alla possibilità di non avere alcun ritorno economico rispetto agli investimenti effettuati. Altra clausola che viene messa in questi contratti di distribuzione è quella delle clausole di esclusiva territoriale, prevista a favore del distributore. Al distributore viene concessa l‟esclusiva su una determinata area territoriale per quanto attiene la distribuzione del prodotto di una determinata marca, area territoriale più o meno ampia. 65 Questa clausola che ha un effetto limitativo della concorrenza può portare anche dei benefici. Limita la concorrenza dei produttori di un medesimo marchio (concorrenza intrabrend), ma favorisce la concorrenza della distribuzione di prodotti fra marche diverse. I distributori possono essere indotti ad offrire sul mercato prodotti di marche diverse, in qualche modo queste clausole di protezione territoriale possono essere un elemento indispensabile per consentire al distributore di offrire marche diverse. Addirittura un‟esclusiva territoriale può essere necessaria tutte le volte in cui si tratta di offrire sul mercato un nuovo prodotto. Se si tratta di un prodotto innovativo distributore non si avventurerà nella promozione del nuovo prodotto a meno che non sia coperto da una forte protezione di esclusiva territoriale. In qualche modo vi sono tutta una serie di considerazioni che devono essere tenute presente quando si valutano le intese verticali, si tratta sempre di soppesare gli effetti anticoncorrenziali delle intese verticali con gli effetti pro concorrenziali. Questa valutazione complessa può creare delleincertezze nelle imprese che operano sul mercato. Le imprese possono dire: stiamo imponendo clausole eccessive rispetto a quello che è necessario per ottenere determinati benefici e vantaggi economici. Questo è il motivo per cui all‟interno dell‟ordinamento comunitario e degli ordinamenti nazionali, come vedremo fra breve, si è sviluppata una tecnica legislativa innovativa, quella delle esenzioni per categoria. Nel corso del tempo la Commissione ha emanato una serie di regolamenti di esenzione, accordi di intese verticali, le imprese si possono confrontare con un testo legislativo per verificare se le clausole contenute nel specifico contratto sottoscritto siano conformi a questo specifico regolamento. Prima di arrivare al tema delle esenzioni per categoria bisogna considerare la seconda parte dell‟articolo 101 del trattato e dell’articolo 2 della legge antitrust. In questa seconda parte vi sono alcune lettere in cui sono esemplificati esempi di intese restrittive della concorrenza, le cosiddette fattispecie tipiche, quelle che il legislatore ritiene restrittive della concorrenza. Un primo esempio è quello di accordi, intese, consistenti nel fissare direttamente, leggo l‟articolo 101 lettera a “fissare direttamente o indirettamente prezzi di acquisto o vendita, ovvero altre condizioni di transazione”. Questa è l‟ipotesi di intesa restrittiva della concorrenza per eccellenza. Queste intese che hanno questo oggetto, le fissazioni dei prezzi sono sempre vietate. Abbiamo una pratica che consiste nella raccomandazione del prezzo di vendita di un determinato prodotto. Abbiamo due esempi. Il produttore impone al distributore di praticare un certo prezzo di vendita (pricemaintenance), ovvero semplicemente gli raccomanda determinate pratiche di prezzo. La seconda fattispecie, lettera b, consiste nel “limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti”. Qua abbiamo una serie di ipotesi, si tratta di ipotesi di intese che hanno ad oggetto restrizioni quantitative dell‟output tra imprese concorrenti. Nel caso delle intese verticali abbiamo i casi in cui si impone ad 66 un produttore di materia prima impone ad una certa impresa di fornirsi esclusivamente presso di lui. Un accordo di questo genere ha l‟effetto di limitare gli sbocchi sul mercato da parte di produttori diversi. Questo tipo di intese sono vietate. È chiaro che si possono adottare tecniche più sofisticate per raggiungere questo obiettivo. Possono,anziché clausole di esclusiva, essere applicate clausole di sconto fedeltà, cioè tanto io compro quantità di prodotto che compro da un determinato fornitore, tanto più diminuiscono le condizioni di prezzo di un determinato prodotto. Non è prevista l‟esclusiva ma l‟effetto economico è sostanzialmente equivalente. Terza fattispecie tipica consiste nelle intese che hanno ad oggetto ripartire nel mercato le fonti di approvvigionamento. Ritorniamo nel tema che accennavo in precedenza. È chiaro che se è tesa ad oggetto l‟alienazione dei mercati di approvvigionamento ed ha ad oggetto una intesa verticale, questa è una intesa vietata, si giustifica molto raramente a livello di intese orizzontali. Il fatto che sono intese verticale occorre considerare gli effetti positivi che vengono considerati quando si valutano clausole di esclusiva di protezione territoriale che vengono inserite in queste intese verticali. Per evitare le complessità determinate dall‟analisi di ciascuna clausola che viene inserita nel contratto di intesa verticale, contratto di distribuzione in relazione agli effetti anti concorrenziali, il legislatore comunitario ha adottato la tecnica che prevede questi regolamenti per categoria. Facciamo un passo indietro. Abbiamo già parlato del comma 3 articolo 101 del trattato, ovvero l‟articolo 2 della legge antitrust in cui si prevede la possibilità di esentare specifici accordi, intese restrittive della concorrenza in determinate ipotesi. Questo meccanismo è di esenzione individuale. Occorreva richiedere alla commissione che le imprese coinvolte in questo contratto richiedessero di essere esentate all‟applicazione del divieto di intese restrittive in considerazione a tutta una serie di vantaggi economici che l‟intesa stessa presentasse. Questo meccanismo di esenzione individuale èradicalmente complesso, allo stesso tempo, è difficile anche ipotizzare che le singole imprese che stipulano una intesa verticale siano in grado di valutare autonomamente se gli effetti pro concorrenziali dell‟intesa siano sono in qualche modo superiori, complessivamente considerati rispetto agli effetti restrittivi della concorrenza. Da qua la scelta di emanare questi regolamenti per categoria in cui vengano considerate categorie di accordi, negli anni 1990 erano stati emanati 4 regolamenti di esenzione per categoria, in materia di accordi di esenzione per categoria di acquisto, approvvigionamento esclusivo, per contratti di franchising. Esenzione di categoria per la distribuzione di autoveicoli. Qual è la tecnica del legislatore comunitario? Venivano fatte liste di elenchi, di clausole e in una determinata lista c‟erano le clausole che il legislatore comunitario risultava compatibili con il divieto di intese nel trattato, clausole che rientrano nella 67 cosiddetta, e clausole che venivano considerate come incompatibili, non meritevoli di esenzione ai sensi dell‟articolo 81, la lista nera. Ogni impresa doveva confrontare il testo del contratto che doveva concludere con il regolamento di esenzione. Se il contratto specifico non prevedeva clausole che erano inserite nella lista nera, aveva ragionevole motivo per ritenere che quel contratto avrebbe potuto formulare oggetto di esenzione ai sensi del paragrafo 3 articolo 101. Questi regolamenti di esenzione per categoria implicavano che le imprese dovessero valutare la conformità del proprio specifico contratto con i regolamenti di esenzioni ed in caso di dubbio dovessero avere una esenzione puntuale del proprio specifico accordo. Questo ha portato innovazione per la legislazione comunitaria. Si è arrivati al regolamento 2790/1999 regolamento generale in materia di intese verticali, in cui (a parte il regolamento di distribuzione per categoria di autoveicoli)in tutti i vari regolamenti di esenzione sono stati accorpati ma soprattutto è stata prevista sostanzialmente una sorta di presunzione di legalità in favore di tutti quegli accordi, intese verticali in cui non compaiono clausole comprese nella lista nera che compare nel regolamento 2790. Questo semplifica molto la vita delle impreseOpera una presunzione di legalità nell‟intesa verticale che preveda clausole sostanzialmente vietate. È un riconoscimento automatico dell‟esenzione a favore di queste intese verticali. La seconda condizione da soddisfare per beneficiare di questa sorta di esenzione automatica, è che il produttore, l‟impresa produttrice non abbia una quota di mercato superiore al 30%. Nel regolamento sono previste altre clausole, che rendono vietato il contratto, l‟intesa, indipendentemente dalla quota di mercato posseduta dal produttore o anche dal distributore. Sono clausole che sono vietate in tutti casi, anche se l‟intesa verticale opera tra soggetti che hanno una quota di mercato piccola. Queste clausole riguardano sostanzialmente la fissazione dei prezzi, oppure clausole che favoriscono una compattazione rigida dei mercati, clausole che impediscono al distributore di rivendere a terzi pezzi di ricambio di un determinato prodotto. Un‟altra fattispecie è quella della lettera d articolo 101 del trattato: “applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza”. In questo caso, nella dottrina antitrust si parla di pratiche discriminanti. Abbiamo accordi, intese verticali, dove c‟è il produttore che discrimina i propri distributori. Lo fa escludendo alcuni distributori dalla propria rete commerciale e favorendone altri. Si tratta di verificare se queste pratiche siano giustificate o meno. Anche qua si tratta di valutare se vi sia una effettiva proporzionalità tra le condizioni commerciali oppure che vengono accordate ad un altro soggetto a fronte dei costi che possono essere affrontati nelle varie diverse situazioni. Caso più grave è il cosiddetto boicottaggio. In consa consiste? Consiste nel rifiuto concertato da parte di tutta una serie di produttori nel rifornire il prodotto ad una determinata impresa, con effetto di escludere questa impresa dal mercato; questa è 68 la forma più grave che non ha alcuna giustificazione economica se non quella di escludere quel soggetto dal mercato. Abbiamo anche una forma più generale, pratica discriminante consiste nella distribuzione selettiva. Il produttore si sceglie i propri distributori nel caso di distribuire prodotti che hanno particolari caratteristiche, qualità e che necessitano di particolari servizi post vendita o di altre specifiche professionalità in capo ai distributori e così via. In questi casi la distribuzione selettiva è ammissibile a condizione che il criterio di scegliere il produttore sia obiettivo e predeterminato. Altro esempio consiste, articolo 101 lettera e: “subordinare la conclusione di contratti all‟accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che per loro natura o secondo gli usi commerciali non abbiano alcun nesso con l‟oggetto dei contratti stessi”. È la pratica delle cosiddette clausole gemellate. vi è un soggetto che dice ti vendo il prodotto a condizione che tu compri un altro prodotto da me offerto, ovvero ti avvalga di altri servizi da me offerti che non abbiano alcuna connessione, sul piano economico, col prodotto venduto. Questa fattispecie è più rilevante nell‟ambito dell‟abuso di posizione dominante, e quindi la considereremo brevemente in quella sede. Occorre invece considerare che queste fattispecie tipiche qui ricordate, la fissazione dei prezzi, gli accordi che hanno ad oggetto la limitazione della produzione o la ripartizione dei mercati, le clausole discriminatorie o le clausole gemellate sono indicate in modo semplificativo da parte del legislatore comunitario e nazionale. Possono esserci fattispecie che non si ricollegano a quelle previste dal legislatore. Nella prassi applicativa delle società sono in rilievo una serie di ulteriori fattispecie, fra cui le pratiche facilitanti. Cosa sono? Sono forme di coordinamento sottili che si attuano fra imprese concorrenti e che facilitano il fatto che vengano poste in essere comportamenti commerciali sostanzialmente uniformi e allineati. Caso famoso nel settore delle assicurazioni per di RC AUTO, venuto in rilievo in seguito ad accertamenti da parte dell‟attività garante di un sistema complesso che preveda uno scambio di informazioni fra le principali compagnie assicurative che facilitava la possibilità delle stesse compagnie di fissare condizioni omogenee nei confronti dei propri clienti, ovvero ancora i concorrenti nell‟ambito di un determinato possono coordinare l‟applicazione di schemi comuni da applicare per la determinazione del prezzo di un determinato prodotto. Caso che avviene nella distribuzione dei carburanti, schemi comuni per determinare gli aumenti e riduzioni del prezzo di vendita al dettaglio di carburanti. In questo caso l‟accordo era quello di riferirsi ad uno schema comune, ad un meccanismo di calcolo comune per l‟applicazione del prezzo di vendita del prodotto. Oltre al regolamento generale del 2790 che poi è stato modificato più volte da parte della commissione europea, vi sono alcuni regolamenti di esenzione per quanto concerne gli accordi verticali. Regolamento generale di esenzione per quanto concerne le intese verticali. 69 Nel caso degli accordi orizzontali abbiamo due regolamenti generali di esenzione, del 2000. Uno concerne gli accordi di specializzazione in cui l‟oggetto dell‟intesa è quello , tra due soggetti concorrenti, di favorire la specializzazione di questi soggetti nell‟ambito di determinati prodotti servizi, con la rinuncia a produrre determinati prodotti, servizi beni. Il secondo un regolamento di esenzione è quello degli accordi in materia di ricerca e sviluppo, le imprese e i concorrenti si accordano per sviluppare congiuntamente un determinato prodotto, cercando di ridurre i costi in termini di ricerca e sviluppo. Con ciò possiamo ritenere esaurito il tema del divieto di intese. Vi consiglio sicuramente di vedere gli appunti rileggendo il 101 del trattato e l‟articolo 2 della legge antitrust, è necessario sapere di cosa si parla quando si parla di intese restrittive della concorrenza. Indicazioni in base all’ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE. La fattispecie è prevista dall‟articolo 102 del trattato e articolo 3 della 287/1990. Occorre individuare un mercato rilevante, si può manifestare questo abuso. L‟articolo 102 del trattato, al primo comma, dice che: “è incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo”. Occorre individuare un mercato rilevante in cui si può manifestare questo abuso di posizione dominante. 3 della legge anti trust dice invece che: “ è vietato l‟abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all‟interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante…” . Le disposizioni poi proseguono elencando tutta una fattispecie tipica di abuso di posizione dominante. Chiediamoci innanzitutto di cosa stiamo parlando quando si tratta quando si parla di abuso di posizione dominante. Primo punto da mettere in rilievo è questo. Sia a livello antitrust comunitario che nazionale non è vietato tanto il fatto per l‟impresa di detenere una posizione dominante in un determinato mercato, ma il fatto che questa impresa che detiene la posizione dominante sul mercato ne abusi, che attui comportamenti economici abusivi di questa posizione dominante. Nel diritto antitrust è tollerato il fatto che l‟impresa possa detenere la posizione dominante in un determinato mercato. Cosa vuol dire posizione dominante? A livello di consenso posizione dominante vuol dire che l‟impresa ha una posizione di forza, di potere economico in un determinato mercato, detiene per esempio una quota di mercato particolarmente significativa. In effetti la nozione di posizione dominante non è definita bene nella legislazione anti trust comunitaria e nazionale, ma è stata individuata nella giurisprudenza una sentenza in questo settore, caso OffmanLarosche, secondo cui la posizione dominante corrisponde ad una posizione di prevalenza economica grazie alla quale l‟impresa che la detiene è in grado di ostacolare la concorrenza effettiva di un mercato in questione e 70 dà possibilità di tenere comportamenti alquanto incompetenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei sui clienti ed in definitiva, dei suoi consumatori. Riassumo. C‟è una impresa che ha una posizione e un particolare potere economico in un determinato mercato. In base a questa posizione di potere economico che può avere diverse clausole, è in grado di ostacolare il fatto che su quel mercato si sviluppi una concorrenza effettiva, e dall‟altro grado è in grado di detenere comportamenti indipendenti rispetto a quello dei clienti, consumatori finali, ovvero quello dei concorrenti. Modifica per esempio le quantità prodotte al variare delle condizioni di prezzo. Sostanzialmente è in grado di decidere unilateralmente la propria politica commerciale indipendentemente dal comportamento dei concorrenti, dei clienti. Questa posizione di potere economico, posizione dominante, può essere acquisita in molte maniere da parete della impresa. Può essere acquisita in forza di una superiore efficienza dell‟impresa che arriva a detenere la posizione dominante, crescita endogena. L‟impresa cresce in forza della propria organizzazione, capacità produttiva, innovazioni di prodotto. Tanti fattori che sono assolutamente leciti, anche promossi anche dall‟ordinamento antitrust. Vi sono poi modi diversi di crescita, crescita esogena, tramite acquisizione attingendo ad economie di imprese terze, crescita dimensionale in cui le quote di mercato di una determinata impresa crescono attingendo ad economie di terzi, comprandosi concorrenti, quote di mercato. Il raggiungimento di una posizione dominante con la crescita è sottoposta ad un controllo da parte dell‟autorità antitrust, di questo parleremo quando affronteremo il tema delle concentrazioni. Quale che sia il motivo, le cause che hanno determinato il raggiungimento di una posizione dominante da parte di una determinata impresa, ciò che conta è che una volta che questa impresa ha raggiunto una posizione dominante e mantiene comportamenti indipendenti rispetto ai concorrenti, questa si deve comportare in una certa maniera. La posizione dominante comporta una speciale responsabilità in capo alla impresa che la detiene. Le impone di tenere comportamenti che sarebbero generalmente consentiti in un mercato effettivamente concorrenziale, ma che vengono ritenuti abusivi in un mercato che non è concorrenziale, perché c‟è una impresa che ha una posizione di potere economico. Tenete presente che non solo non è vietato detenere una posizione dominante (ciò che è vietato è abusarne), ma anche la conseguenza sanzionatoria dell‟abuso non è tanto lo smantellamento della posizione dominante, vedremo poi parlando di sanzioni antitrust, se una impresa in posizione dominante si espone a conseguenze di tipo risarcitorio, a sanzioni pecuniarie d‟altro genere. La legislazione non prevede che la posizione dominante debba essere smantellata in modo da riavere la posizione concorrenziale su quel mercato. Definita la nozione di posizione dominante, il primo problema che si pone è accertare quando una impresa detiene una posizione dominante. 71 Vi è una definizione molto generica che consente all‟impresa di evitare la concorrenza sul mercato e di comportarsi in modo indipendente rispetto ai propri concorrenti e ai consumatori finali. Ma come si fa ad accertare se ricorrono queste condizioni? Anche qua nel corso del tempo le istituzioni comunitarie, in particolare la Commissione europea, ha emanato linee guida che servono per orientare le attività di indagine che devono essere svolte per accertare la posizione dominante. Bisogna individuare il mercato rilevante. Ricordiamo le analisi che devono essere effettuati ai fini della definizione di mercato rilevante. Teniamo presente che vi è una tendenza sempre più forte alla frammentazione dei cosiddetti mercati rilevanti. In molti casi è stato ritenuto dalle autorità antitrust nazionali e comunitarie che un produttore sia in posizione dominante rispetto alla produzione dei propri prodotti. Vi sono casi limiti in cui si ritiene che un mercato rilevante coincida con un singolo prodotto singolo prodotto di un determinato produttore distinto da una particolare marca.Questo è vero per quanto concerne produzione di pezzi di ricambio di un prodotto in cui il produttore è in posizione dominante. Il produttore del mercato principale è in posizione dominante rispetto al mercato dei prodotti di ricambio dei prodotti. Per l‟abuso di posizione dominante non è solo necessario individuare il mercato rilevante, ma è necessario anche individuare i cosiddetti mercati collegati. Quali sono i mercati collegati? Sono i mercati posti a monte o a valle del mercato in cui una determinata impresa è in posizione dominante, è in cui è possibile che questa impresa possa espandere la propria attività, la propria presenza. Facciamo l‟esempio, su cui dovremo soffermarci più avanti. Caso classico è quello del servizio postale. Vi è il servizio pubblico garantito a tutti i cittadini, corrispondenza ordinaria, e poi una serie di servizi (corriere espresso, rapido) distinti, che formano un mercato distinto rispetto a quello rilevante. Nell‟ambito delle analisi che dobbiamo effettuare vi è il problema di verificare se una impresa dominante in un determinato mercato ponga in essere pratiche abusive per ostacolare la concorrenza in mercanti collegati rispetto a quello in cui ha una posizione dominante. Ove questo accada, questo viene considerato un tipico esempio di abuso. L‟abuso non è solo quello che si manifesta nel mercato in cui l‟impresa ha una posizione dominante ma si determina anche nei mercati collegati. Questo è importante per quando valuteremo i servizi pubblici infrastrutturali, quelli in cui nelle attività di servizio pubblico c‟è la presenza di infrastrutture, di reti che ostacolano la struttura concorrenziale del mercato. 26/3/2012 Stavamo parlando di abuso di posizione dominante. Abbiamo visto come la definizione di mercato rilevante è importante ai fini della individuazione di una posizione dominante di una determinata impresa, e come per individuare questo mercato 72 rilevante si utilizzano alcuni indici,ad esempio il grado di sostituibilità dei prodotti, o determinate scelte di consumo considerando la prospettiva delle preferenze dei consumatori un determinato prodotto non è sostituibile con un altro per caratteristiche di riconoscibilità, di marchio, e così via. Vi sono altri casi in cui si ritiene che una impresa che ha una quota di mercato abbastanza piccola nell‟ambito del mercato di un certo prodotto, sia dominante nel mercato contiguo, a valle, collegato della rivendita della struttura dei pezzi di ricambio di un determinato prodotto. Questo ci fa comprendere anche come nell‟ambito dell‟abuso di posizione dominante sia importante la nozione di mercato collegato. Sono quei mercati in cui una impresa in posizione dominante può espandere la propria offerta. Come vedremo nel settore dei servizi pubblici, la nozione di mercato collegato è particolarmente rilevante: riguarda quei mercati caratterizzati dalla presenza di infrastrutture fisse particolarmente significative: reti, impianti infrastrutturali, che sono la conseguenza della realizzazione di consistenti investimenti da parte di una determinata impresa. In questo caso il mercato relativo alla struttura è di tipo monopolistico, l‟infrastruttura non può essere realizzata a costi socialmente sostenibili e chi gestisce quelle infrastrutture è il monopolista. Ciò non toglie che l‟impresa monopolista possa espandere la propria posizione di monopolio (per ostacolare la concorrenza) anche in mercati a valle rispetto a quelli della gestione monopolistica. Esempio: l‟impresa monopolista in regime di monopolio che detiene un‟ infrastruttura delle reti che servono per la gestione dei servizi della telefonia mobile o anche per telefonia fissa (cavi), può avere un interesse ad espandere la propria posizione di monopolio, anche nel mercato a valle dell‟offerta dei servizi di telecomunicazione mobile. Questo avviene offrendo ai soggetti che intendono usufruire di servizi di telefonia mobile, condizioni discriminatorie e irragionevoli e così via. Questo per dire che una fattispecie molto usale, diffusa di abuso di posizione dominanteconsiste nel fatto che l‟impresa in posizione dominante in un determinato mercato cerca di ostacolare la concorrenza o impedirne lo sviluppo in un mercato a valle o a monte rispetto a quello in cui è in posizione dominante, sfruttando la posizione di potere economico di cui gode in conseguenza del fatto di essere titolare di diritti su infrastrutture necessarie per svolgere un determinato servizio nel mercato a valle. Come vedremo la progressiva liberalizzazione che si è sviluppata nel settore dei servizi pubblici ha dovuto fare i conti con questa circostanza di fatto. Ci sono segmenti che non possono essere aperti ad un regime concorrenziale. Da qui la necessità di regolamentare determinate fasi dello svolgimento di queste attività per quanto concerne l‟accesso da parte delle imprese a impianti, reti e infrastrutture che non sono duplicate. Detto questo, inizio un tema su cui torneremo più avanti, adesso stiamo parlando di posizione dominante dal lato dell’offerta di determinati beni. Vi sono poi dei casi di 73 posizione dominante dal lato della domanda. Chi compra un determinato bene può avere una posizione dominane proprio come acquirente, è il caso del monopsonio. Ci sono casi che riguardano il settore della grande distributore: alcuni distributori avevano creato una centrale di acquisti comunitaria in grado di influenzare in modo pesante le posizioni di acquisto di determinati prodotti. Vi sono addirittura casi dimonopolio bilaterale. C‟è stato un caso considerato dall‟autorità antitrust in cui si fronteggiavano due sole imprese in posizione dominante nella loro contrattazione. E cioè ferrovie dello stato ed una impresa che era dominante nel mercato della fornitura del materiale rotabile. Posizione dominante vuol dire abuso di posizione di potere economico, consente all‟impresa di agire in modo incompetente senza tenere conto del comportamento dei propri clienti o anche dei propri concorrenti. È chiaro che una volta individuato il mercato rilevante è necessario ricorrere a determinati indici. Quello più utilizzato, anche per circoscrivere la direzionalità della maggioranza è vedere la quota di mercato che una determinata impresa detiene su un certo mercato. Sono state emanate varie comunicazioni, linee guida si ritiene che si ha una posizione dominante attorno ad una quota superiore al 70% di un determinato mercato. Vi è una sorta di presunzione assoluta di posizione dominante se la quota di mercato è superiore al 70%. Per quote inferiori a questa soglia, sono quote uguali o inferiori del 40%. Per quote inferiori a questa soglia, spesso non si riconosce una posizione dominante all‟interno del mercatoma bisogna fare una analisi più attenta del mercato per vedere se vi siano situazioni oligopolistiche, la cosiddetta posizione dominante collettiva, detenuta da più imprese contemporaneamente. Imprese che detengono quote di mercato significative tra il 70 e 40%, occorre per individuare la posizione dominante, considerare altri elementi per verificare se in effetti quella impresa che ha una quota di mercato consistente ha dei punti di forza che le conferiscono questa situazione di potere economico. Bisognerà considerare il numero dei concorrenti, la loro forza sul mercato, la possibilità di concorrenza potenziale su un determinato mercato. Il fatto che vi siano barriere all’entrata significative. Una impresa in posizione dominante detiene determinati diritti di proprietà industriale, un brevetto che è necessario per produrre un determinato prodotto. È chiaro che in questo caso l‟accesso su quel mercato è condizionato dal fatto di avere diritti di sfruttamento di un determinato brevetto ovvero di brevetti similari. Da questo punto di vista può essere rilevante considerare se la quota di mercato detenuta da una determinata impresa è più o meno stabile. Se la quota di mercato rimane invariata nel tempo può esserci presunzione di posizione dominante. Altro punto importante che dobbiamo considerare se l‟impresa è in grado di attingere risorse al di fuori di un determinato mercato per sostenere la propria offerta, parliamo dei cosiddettisussidi incrociati. 74 Cosa sono i sussidi incrociati? Parliamo del fatto che una impresa che opera in più settori produttivi è in grado di sussidiare l‟offerta di un determinato mercato con i ricavi, gli utili, che produce in un altro mercato. Un mercato di questo genere è in grado di sostenere una posizione di offerta di determinati prodotti anti economicheperché? È in grado di sostenere queste condizioni anti economiche dell‟offerta del servizio con gli utili che ricava dalla vendita di altri servizi.Può attingere a risorse finanziarie esterne per finanziare, sostenere la propria offerta commerciale di un determinato mercato. La posizione dominante può anche essere una posizione dominante non detenuta da un‟unica impresa, ma detenuta da più imprese. questo per i mercati oligopolistici. Vi è un numero limitato di imprese che concorrono fra loro: mercati caratterizzati da situazioni di duopolio. In questo caso abbiamo due situazioni: le imprese in posizione di oligopolio si mettono d‟accordo per coordinarsi, per fissare determinate condizioni di offerta dei propri servizi. Rientriamo nell‟ambito delle intese, dei cartelli. Può anche darsi che queste imprese non si mettano d‟accordo, ma attuino comportamenti paralleli. È difficile provare che attuino una partica concordata, ma si coordino in modo implicito variando in modo parallelo le condizioni tecniche economiche dei propri servizi o dei propri prodotti. Sotto certe condizioni si può ritenere un comportamento parallelo possa essere perseguito dalle autorità antitrust in quanto abuso di posizione dominante collettiva. Si riesce a provare che queste imprese oligopolistiche che si comportano in modo parallelo abbiano abusato in modo congiunto della posizione dominante che collettivamente detengono in un determinato mercato. Questo avviene in presenza di circostanze specifiche. Imprese detengono quote di mercato molto simili tra di loro, sono in grado di conoscere molto facilmente i prezzi, le altre condizioni offerte dalle altre imprese, sono fortemente incentivate ad attuare comportamenti paralleli anche per la presenza di meccanismi sanzionatori che colpiscono imprese che non si adeguano a questi comportamenti paralleli. Non c‟è una vera e propria intesa, un vero e proprio coordinamento, ma c‟è un tacito accordoin base al quale le imprese che non adeguano la propria politica commerciale a quella delle altre imprese che fanno parte dell‟oligopolio vengono discriminate, vi sono meccanismi sanzionatori che inducono ciascuna impresa ad attuare comportamenti paralleli. In questi casi pur non essendo in presenza di una vera e propria intesa (difficile provare che vi è stato coordinamento scambi di informazioni) si può perseguire questi comportamenti ravvisando una posizione dominante collettiva. Vi è un caso particolare, lo considereremo più avanti, quello delle imprese in monopolio legale. Sono quelle imprese che sono titolari di diritti esclusivi in relazione ad una determinata produzione, allo svolgimento di un determinato servizio e i poteri esclusivi sono conferiti dalla legge alle imprese. Questo avviene spesso nel settore dei servizi pubblici, denominati nell‟ambito del trattato sul funzionamento dell‟UE, ricordati come 75 servizi di interesse economico generale. Se c‟è una legge che impedisce il diritto di monopolio all‟impresa questa è per legge in posizione dominante su un determinato mercato. Ciononostante, l‟articolo 106 del trattato sul funzionamento dell‟ UE sottopone alla regola di concorrenza una anche queste imprese. Leggiamo la norma al primo comma: “Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme dei trattati, specialmente a quelle contemplate dagli artt. 18 e da 101 a 109 inclusi”. Vuol dire che anche se lo stato membro riconosce un diritto esclusivo ad una certa impresa, ciò non implica che l‟impresa sia sottratta alla norma della concorrenza, o alle norme in materia degli aiuti di stato previsti dal trattato. Il paragrafo 2 del 106 introduce una eccezione, quella che ci interessa, è prevista per le imprese di servizi di interesse economico generale: “Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alla regola di concorrenza, nei limiti in cui l‟applicazione di tali norme non osti all‟adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata…”. Si ribadisce questa posizione delle imprese che svolgono servizi di interesse economico e generale alle norme del trattato, a condizione che l‟applicazione di queste regole del trattato in materia di concorrenza non impedisca l‟adempimento della specifica missione che viene affidata a a queste imprese che gestiscono questi servizi pubblici. Si tratterà di vedere, verificare settore per settore quali sono i particolari compiti che uno stato, un altro soggetto, competente a farlo, per esempio gli Enti locali affidano ad una impresacompiti che devono essere d‟interesse economico generale, per verificare se la necessità per questa impresa di svolgere questi compiti non debbacomportare deroghe all‟applicazione delle regole in materia di concorrenza. Esempio sul quale torniamo più avanti. Tipico obbligo che sta in capo alle imprese che gestiscono i servizi pubblici, per esempio la distribuzione del gas, è quello di allacciare alla rete GAS qualunque utente ne faccia richiesta, fornire gas mediante l‟allaccio, indipendentemente dai costi che questo comporta e indipendentemente dalla particolare situazione soggettiva dell‟utente che ha chiesto questa connessione. Questi sono gli obblighi di servizio universale che tipicamente caratterizzano il settore dei servizi pubblici: determinati servizi devono essere messi a disposizioni tutti indipendentemente dalla propensione a pagare del cittadino e il costo che la fornitura del servizio comporta in determinate circostanze, in determinate situazioni. La fornitura del servizio universale in certi casi può essere tale da portare diseconomie, il soggetto incaricato della fornitura del servizio universale deve ricevere aiuti da parte dello Stato, delle autorità pubbliche che gli hanno imposto obblighi di servizio universale. In funzione della fornitura del servizio universale è possibile che determinati soggetti, incaricati di farlo, ricevano aiuti da parte dello 76 Stato e di altre autorità pubbliche. Deroga alla regola del trattato che vieta gli aiuti da parte dello Stato e delle pubbliche amministrazioni in genere. È necessario che a questi soggetti vengano riconosciuti il monopolio su ambiti di mercato più o meno estesi. Questo perché questi servizi sono in grado di sussidiare i costi del servizio universale con i ricavi, gli utili che ottengono dalla fornitura del servizio in ambiti di mercato che sono maggiormente redditizi. La fornitura del servizio ha un cliente che rimarrebbe escluso dalmercato concorrenziale perché la fornitura è anti economica, non comporta la remunerazione dei costi, ma è resa possibile grazie ai ricavi che l‟impresa ottiene da segmenti di mercato maggiormente remunerativi.Si circoscrive un ambito di mercato, lo si rende monopolistico a favore di una impresa incaricata dello svolgimento del servizio universale in modo di consentire a questa impresa di fare sussidi incrociati: finanziare l‟offerta del servizio a condizioni anti economiche mediante gli utili che si ricavano dal mercato maggiormente redditizio. Su questi concetti poi torneremo. Adesso però voglio completare il tema di abuso di posizione dominante è anche l‟articolo 102 del trattato o 3 della legge antitrust. Dopo aver enunciato in generale la fattispecie di abuso di posizione dominante, elenca una serie di pratiche considerate abusive. In questo caso è un elenco, che coincide con le fattispecie tipiche di intesa già considerate quando abbiamo letto l‟articolo 101 del trattato in materia di intese restrittive. Vi sono piccole differenze che adesso consideriamo. Si tratta di un elenco di pratiche abusive che non è tassativo. Possono esservi abusi di posizione dominante che non rientrano in questo elenco. Il primo esempio è di imporre direttamente o indirettamente prezzo di acquisto o vendita o altre condizioni di transazioni non eque. Sembra che il legislatore si riferisca ad un comportamento tipico del monopolista: applicarecondizioni di prezzo,altre condizioni economiche ingiustificatamente gravose. Il monopolista cerca sempre di estrarre delle rendite dalla propria posizione di potere economico. Questo non è possibile che venga fatto. Questo implica da parte dell‟autorità antitrust un sindacato su quelle che sono le condizioni economiche sulla cui base l‟impresa in posizione dominante offre i propri servizi e prodotti sul mercato. Quali sono le condizioni economiche che deve rispettare una impresa in posizione dominante? Qua vi sono una serie di ipotesi da formulare. La prima è imporre al monopolista di adottare quei medesimi prezzi che sarebbero praticati nel caso in cui il mercato fosse perfettamente concorrenziale. Questa è una ipotesi non sostanzialmente accettabile. Altra ipotesi è quella di assegnare alle autorità anti trust un compito di regolazione. Nel mercato in cui la concorrenza non funziona perfettamente, è l‟autorità antitrust che dice quando un prezzo è corretto o non corretto. Anche questa è ipotesi non realizzabile in concreto perché le autorità non sono autorità di regolazione di un determinato settore. Non sono autorità che intervengono a stabilire 77 le tariffe, i prezzi di prodotti o servizi che possono essere venduti; questo è un compito dell‟autorità di regolazione di determinati settori monopolistici. Questo è il motivo per cui questa fattispecie di abuso non viene quasi mai applicata, o solo in casi limite in cui i prezzi di un determinato prodotto vengono decise dall‟impresa in posizione dominante senza alcuna giustificazione economica, senza alcuna connessione tra le quantità vendute, ovvero la qualità di prodotti venduti, i costi sopportati per produrre un determinato prodotto e così via. Casi in cui il prezzo e le condizioni economiche non sono in grado di trovare alcuna giustificazione economica, quindi possono considerarsi risultati di una determinata politica discriminatoria, decisioni che hanno una particolare giustificazione, allora soltanto in questo caso si può applicare questa norma. In questo contesto, rientra il cosiddetto divieto dei prezzi predatori. È un caso molto particolare che voglio menzionare. Una impresa in posizione dominante ricorre per escludere da un determinato mercato concorrenti attuali o potenziali. Per un certo periodo di tempo, l‟impresa in posizione dominante al fine di espellere dal mercato determinati concorrenti o impedire l‟entrata sul mercato di altre imprese, pratica prezzi predatori che sono inferiori al costo marginale che l‟impresa sostiene per produrre un determinato bene, un determinato servizio. In questo modo l‟impresa adotta una politica commerciale particolarmente aggressiva che non può essere fronteggiata dai concorrenti, i quali non hanno altra alternativa che uscire dal mercato. Questa impresa in posizione dominante può applicare costi inferiori al marginale quando ha la possibilità di sostenere questa offerta antieconomica con le risorse economiche e finanziarie di altro genere. Quando si ha per esempio la possibilità di ricorrere a sussidi incrociati. In seguito ad una prospettiva di breve termine, nella consapevolezza una volta ottenuto il risultato di escludere i propri concorrenti, di alzare i prezzi in modo significativo e appropriandosi di rendite monopolistiche in grado di compensare le perdite subite nel periodo in cui l‟impresa aveva attuato la politica dei prezzi predatori. L‟esempio dei prezzi predatori è l‟esempio di pratiche escludenti. Pratica che ha l‟unico scopo, da parte dell‟impresa in posizione dominante, di danneggiare, escludere dal mercato i propri concorrenti. In questo contesto entrano le pratiche abusive che hanno l‟effetto di limitare lo sbocco tecnico a danno dei consumatori. Esempio di pratica abusiva prevista dalla lettera darticolo 102. In questo contesto rientra anche il rifiuto di contrarre. Una impresa in posizione dominante rifiuta di concludere contratti con i propri concorrenti in modo da danneggiarli. Diventa particolarmente rilevante nell‟ipotesi in cui i concorrenti i hanno la necessità di concludere contratti per svolgere la propria attività economica, nel caso in cui l‟impresa in posizione dominante sia in possesso di una infrastruttura essenziale per lo svolgimento di determinate attività economiche. Il rifiuto di contrarre per l‟impresa in posizione dominante impedisce lo svolgimento dell‟attività economica da parte di tutti i concorrenti della stessa impresa in posizione dominante. Da parte della dottrina comunitaria si è sviluppata una dottrina: dottrina 78 delle infrastrutture essenziali. Dottrina in base alla quale si può ritenere illegittimo il rifiuto di contrarre da parte di una impresa in posizione dominante. L‟infrastruttura deve essere essenziale: si deve trattare di un fattore produttivo. Una infrastruttura, non necessariamente fisica, ma anche un input produttivo che l‟impresa possiede, non facilmente replicabile da parte dei concorrenti a costi economicamente sostenibili. Facciamo l‟esempio di una banca dati. Oltre le più tradizionali delle infrastrutture fisiche, reti, erogazione di servizi, ma anche di porti aeroporti ed altre infrastrutture sostanzialmente essenziali. Il rifiuto di contrarre una condizione economica, impedisce una qualsiasi concorrenza del mercato a valle. Si impone all‟impresa in posizione dominante che detiene infrastrutture essenziali di contrarre a tutti coloro che richiedono l‟accesso a questa struttura essenziale, ma vengono previste da determinate autorità di regolazione le condizioni di accesso alle infrastrutture essenziali. Non soltanto si impone che il detentore dell‟infrastruttura essenziale debba riconoscere l‟accesso delle infrastrutture da parte di tutti i soggetti che la richiedono, non solo la capacità tecnica dell‟infrastruttura dev‟essere sfruttata in modo efficiente, ma anche si prevedono le funzioni economiche sulla cui base questo accesso può essere consentito. Altro esempio di pratica abusiva consiste, lettera c articolo 102“nell‟applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza”. Questa fattispecie l‟abbiamo vista parlando di intese. Ci si riferisce alle pratiche discriminanti. L‟impresa in posizione dominante discrimina fra i clienti senza alcun tipo di giustificazione economica che possa fornire un valido sostegno al fatto di praticare condizioni dissimili per prestazioni equivalenti. Mentre quello discriminatorio di danneggiare il concorrente e se l‟impresa in posizione dominante non è in grado di fornire alcuna giustificazione economica a questo tipo di pratica commerciale allora si deve ritenere che stiano abusando della propria posizione di potere economico. Ultimo esempio è quello delle pratiche legati. Subordinare lettura articolo 102 lettera d “nel subordinare la conclusione di contratti all‟accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l‟oggetto dei contratti stessi”. L‟impresa dominate condiziona la diffusione di un contratto al fatto che il cliente accetti la fornitura di prestazioni fondamentali che non c‟entrano niente con l‟oggetto del contratto principale. Esempio tipico di comportamento di impresa dominante considerato abusivo. Caso clamoroso è quello Microsoft. L‟impresa imponeva a chi installava installava questo sistema operativo di acquistare anche il browser, il sistema di navigazione dalla rete prodotto dalla stessa Microsoft, Internet Explorer. In questi casi si tratta di abuso. La prestazione supplementare non avere alcun nesso con l‟oggetto del contratto principale che il cliente vuole concludere con l‟impresa in posizione dominante. 79 Ciò detto per quanto riguarda l‟abuso di posizione dominante, dobbiamo affrontare l‟ultimo caso di posizione dominante, tema che affrontiamo oggi e domani: le CONCENTRAZIONI. Parlando di concentrazioni ci riferiamo ad operazioni in base alle quali una impresa cresce attingendo alle economie di terzi. Non cresce endogenamente ma lo fa comprando fatturato da parte di soggetti di terzi. Le concentrazioni si possono attuare in forme diverse sul piano delle tecniche contrattuali. È quindi necessario che bisognerà verificare di quale tipo di operazioni economiche e gli effetti che produce una operazione di concentrazione su un determinato mercato. Occorre considerare un fatto. Le concentrazioni possono realizzare dei vantaggi per il sistema economico per un determinato mercato nel suo complesso. Mediante l‟operazione di concentrazione una impresa si ingrandisce, una società si ingrandisce ed è in grado di realizzare economie di scala, razionalizzare la propria produzione, realizzare l‟efficienza in termini produttivi o di altro genere. Il rafforzamento delle imprese è un obiettivo che è riconosciuto nell‟ambito della legislazione nazionale, comunitaria più in generale. Allo stesso tempo qualsiasi concentrazione provoca un effetto strutturale sul mercato indubbio: comporta la riduzione del numero di concorrenti che operano su un determinato mercato. Operazione di concentrazione incide sempre in modo irreversibile e duraturo sull‟assetto industriale di un mercato. Situazione in cui una operazione di concentrazione, ad esempio la fusione, può essere positiva sul piano delle efficienze, delle economie che determina, ma è in grado di cambiarein modo sostanziale e duraturo la concorrenza su un determinato mercato. Particolare atteggiamento che la legge anti trust adotta nei confronti delle concentrazioni. Le concentrazioni non sono vietate ovvero sempre ammesse, ma devono essere valutate volta per volta. Ci vuole un oggetto di controllo preventivo delle autorità antitrust che devono verificare se una concentrazione sia tale da costituire una posizione dominante ovverosostanzialmente determinare effetti pregiudizievoli sull‟assetto concorrenziale di un determinato mercato che abbiano carattere di tipo duraturo. Per la valutazione delle concentrazioni è del tutto evidente che possono esserci margini di discrezionalità da parte delle autorità antitrust. È questo il motivo per cui il controllo è posto da una disciplina molto analitica, contenuta nel nostro diritto antitrust, nel diritto comunitario e alcuni regolamenti, in particolare il 139 del 2004. Il regolamento 139 2004 è frutto di una evoluzione legislativa che a livello comunitario si è sviluppata nel tempo. Dobbiamo tener presente che nel trattato istitutivo dell‟UE non vi era alcuna disposizione in materia di concentrazione. Il controllo sulle concentrazioni è stato inserito successivamente nel 1989 col regolamento 4064. Perché? Perché sostanzialmente vi era una forte resistenza da parte degli stati membri nel riconoscere una competenza delle istituzioni comunitarie a verificare, controllare lo sviluppo in senso industriale dai propri mercati. 80 Si raggiunse un compromesso nel 1989 che prevedeva una ripartizione di competenze in materia di controllo delle concentrazioni per gli stati membri e le istituzioni comunitarie, fissate sul piano della dimensione dell’operazione di concentrazione. Se per determinati parametri economici l‟operazione di concentrazione supera una determinata soglia, un determinato ordine di grandezza, la concentrazione è di competenza dell‟UE, se è al di sotto di questa soglia è di competenza dell‟autorità anti trust dei paesi membri. Quello che ci interessa è invece di definire in termini più precisi la nozione di concentrazione. È concentrazione qualsiasi operazione economica in base alla quale si determina una crescita dell‟impresa in base a fattori esogeni. È chiaro che tutti questi tipi di operazioni sono in grado di incidere sull‟assetto concorrenziale di un determinato mercato. È necessario dare una definizione giuridica delle operazioni di concentrazione, legata alla nozione di controllo. Sono operazioni di concentrazione tutte quelle che producono una modifica duratura del controllo di una determinata impresa. Nell‟ambito della legislazione comunitaria e di quella antitrust nazionale le operazioni che sono idonee a provocare questa modificadella struttura e controllo dell‟impresa vengono esemplificate. Si tratta di tre operazioni: - Fusioni - Acquisizioni del controllo dell‟impresa o su parti di essa - La costituzione di una impresa comune. Questi tre tipi di operazioni, le vedremo una per una, devono comportare una modifica duratura del controllo di una determinata impresa. Cosa si intende per controllo di una determinata impresa? Sostanzialmente una modifica duratura dell‟assetto di potere di una determinata impresa. Di quell‟assetto, di tipo proprietario o di governance, in base al quale, nell‟ambito di una società, di una impresa, vengono assunte decisioni relative alla gestione di una società. Se in conseguenza ad una operazione di fusione (ne abbiamo varie tipologie), prendiamo la fusione per incorporazione di una società già posseduta al 100% da parte di una altra società in cui c‟è una incorporante che incorpora una società controllata in modo significativo è evidente che in questo caso non si ha una modifica del controllo dell‟impresa incorporata. Analogamente, se io compro il pacchetto di una partecipazione del 5% di una determinata impresa, in molti casi questa acquisizione non determinano una modifica di controllo dell‟impresa acquisita. È necessario, perché si possa parlare di acquisizioni, che queste operazioni determinano una modifica dell‟assetto di controllo della società interessata. Viene quindi in rilievo la nozione di controllo. Quando si ha una modifica dell‟assetto di controllo di proprietà in un assetto di concentrazione? Un primo riferimento per la nozione di controllo è quello di cui all’articolo 2349 del codicecivile, in base al quale si individuano le società controllate e collegate. 81 Chi ha fatto diritto commerciale ricorda che sono controllate di cui un‟altra dispone la maggioranza dei diritti di voto esercitabile in assemblea ordinaria (controllo di diritto). Ovvero controllata di cui un‟altra società dispone di voti sufficienti per esercitare l‟influenza dominante nell‟assemblea ordinaria (controllo di fatto), ovvero controllo contrattuale, cioè una società è controllata quado subisce un‟influenza dominante da parte di un‟altra società in virtù di vincoli contrattuali che legano una società ad un‟altra società. Si ha sicuramente concentrazione tutte le volte in cui per effetto di queste operazioni societarie si modifica una situazione di controllo di diritto, di fatto ovvero un‟altra situazione di controllo contrattuale. In base al diritto antitrust la situazione di controllo non è limitata soltanto a questi casi. Si ha una situazione di controllo più ampia. Infatti, in basi al diritto antitrust, si ritiene mutamento dell‟assetto del controllo non solo quando cambia il soggetto che controllo il diritto o di fatto di una determinata società, ma si ha modifica dell‟assetto di controllo anche in altri casi. In particolare, in determinate circostanze si ha una modifica dell‟assetto di controllo tutte le volte in cui, per effetto di una determinata operazione,si aggiunga un nuovo soggetto che sia in grado di esercitare un’influenza sostanzialmente notevole sulla gestione di una certa società. Facciamo un esempio. In base al diritto antitrust, non abbiamo solo controllo di diritto di fatto, ma anche un controllo in cui ci sono più soggetti in grado di esercitare una influenza sulla gestione della società, controllo congiunto. Ciascun azionista ha una partecipazione significativa, consistente, e questi soggetti sono legati tra di loro ad un patto di sindacato, parasociale. In base alla previsione del patto parasociale ciascuno dei soci è in grado di esprimere un peso determinante, diritto di veto, in ordine all‟assunzione di determinate decisioni a favore della società. La nomina di organi di amministrazione, operazioni straordinarie, vengono decise all‟interno tra i soci che partecipano al patto parasociale. Abbiamo una situazione in cui nessuno dei soci che fanno parte del patto parasociale è in grado di esprimere il controllo della società, ma è in grado di condizionare la gestione della società in base all‟esercizio dei propri diritti parasociali, bloccando l‟assunzione di alcune delibere da parte dell‟ assemblea società, organi sociali e così via. In base all‟articolo 2359 una situazione di questo genere non rientra nelle ipotesi di controllo che vengono considerate in queste disposizioni. Altrettanto non può dirsi per il diritto antitrust. Anche una operazione che comporta una modifica di controllo realizzato mediante la conclusione di patti parasociali è idonea a rientrare nell‟ambito delle fattispecie di concentrazione considerate nel diritto antitrust. Qualsiasi operazione che comporta una modifica della situazione di controllo esistente su una determinata impresa rientra nella definizione di concentrazione. Dev‟essere valutata per gli effetti che può avere sull‟assetto concorrenziale di un determinato mercato. 82 Per fare un esempio, anche l‟acquisizione di una partecipazione di minoranza può essere considerata una concentrazione per il diritto antitrust a condizione che al socio di minoranza gli vengano riconosciutitutta una serie di diritti che gli consentano di influenzare, anche indirettamente, e politiche di gestione della società acquisita. La partecipazione della società da il diritto al socio di minoranza di poter dire la sua, di esprimere dei poteri di veto per esempio sulla nomina degli organi sociali, sulla assunzione di determinate decisioni sullagestione della società. Altra fattispecie considerata in termini di concentrazioni è la costituzione di una impresa comune, siamo nel caso della joint venture. Si ha concentrazione anche nel caso in cui due imprese che prima erano indipendenti fra di loro si accordano per costituire una impresa comune, (queste due imprese partecipano al 50%). Viene costituita una società per nuova costituzione per finalità di vario genere, sfruttare brevetto, entrare in un nuovo mercato, e così via. Anche qui abbiamo una ipotesi tipica di concentrazione ma occorre distinguere tra duecasi: primo caso è quello in cui la costituzione di una impresa comune nasconde una intesa restrittiva della concorrenza. Le madri hanno costituito una impresa comune con lo scopo non tanto di creare una società autonoma effettiva, ma per coordinare il proprio comportamento di mercato. In qualche modo l‟impresa comune non è che lo strumento per attuare politiche di coordinamento da parte delle imprese madri. Da questo punto di vista la costituzione di un‟impresa comune non differisce in nulla rispetto ad una vera e propria intesa ed in base al diritto antitrust viene riconosciuta come tale. Si ha una vera e propria impresa comune, impresa comune concentrativa, vera e propria concentrazione, nel caso in cui l‟impresa comune sia in grado di operare autonomamente. Si ha una entità economica autonoma, in grado di svolgere una attività economica effettiva senza contare sull‟apporto da parte delle imprese madri. In questo caso è chiaro che le imprese madri devono semplicemente coordinarsi, coordinare il proprio comportamento economico, ma hanno dovuto mettere a fattor comune le proprie forze per entrare in un nuovo mercato per dotare l‟impresa comune di tutte le risorse necessarie per ottenere questo obiettivo. Si richiede non solo che questa impresa comune sia autonoma dal punto di vista economico, ma anche che addirittura le imprese madri cessino di operare nel mercato in cui operano le imprese comuni concentrative. Ricapitolando, abbiamo sostanzialmente un ulteriore settore di applicazione del diritto antitrust in cui vengono in rilievo una serie di operazioni che determinano una modifica della struttura di controllo di una determinata impresa. Abbiamo visto come questa modifica della struttura di controllo vada intesa in senso ampio, nel senso che diventano rilevanti per le concentrazioni tutte quelle operazioni che sono in grado di avere un impatto su soggetti che decidono la gestione, possono avere influenza sulla gestione di una determinata società. Vengono in rilievo, da questo punto di vista, alcune operazioni che tipicamente realizzano questo risultato: fusioni, operazioni di acquisizione di partecipazioni 83 d‟aziende di altre società, e costituzioni di imprese comuni. In questo caso si tratta di distinguere le joint venture rispetto a quelle imprese comuni che non sono dotate di propria capacità economica autonoma e sono soltanto uno strumento per realizzare una politica di coordinamento fra imprese tra loro comuni. 27/03/2012 A inizio corso avevo detto che non ci sarebbero state prove intermedie. Invece c‟è l‟orientamento a prova intermedia scritta a fine aprile e prova finale per frequentanti verso la fine di maggio. Primo compitino martedì 24 aprile ad oggetto la prima parte del corso: introduttiva generale su costituzione economica, diritto concorrenza e probabilmente la parte sui servizi pubblici che farò la prossima settimana. La prova si articola in 3 domande per le quali avrete a disposizione un‟ora, valutazione in decimi per ciascuna domanda. Portatevi dei fogli protocolli. La seconda prova avrà ad oggetto tutto il corso in generale, in prevalenza domande su seconda parte. La prova intermedia avrà ad oggetto sostanzialmente i primi 4 capitoli di Cassese. La seconda i 5-7-8-9 di Cassese con esclusione del capitolo 6 sul controllo dei flussi monetari e finanziari. Per la parte sulla concentrazione ho usato il Mangini Olivieri “Diritto antitrust” di Mangini Olivieri. Sicuramente utile la lettura della Legge 207/1990 per il Diritto antitrust, articoli 101-102 del trattato, articolo 105 (che vediamo oggi), regolamento 139 2004, il regolamento comunitario sulle concentrazioni, questi regolamenti sono citati anche nel manuale. Abbiamo visto come quando si parla di concentrazione ci si riferisce sempre ad un concetto economico limitato, cioè il fatto che mediante una operazione economica una impresa ottenga la disponibilità di fattori della produzione che appartengono ad un‟altra impresa concorrente sul mercato. Ciò che conta per la concentrazione, l‟effetto che si determina, il fatto di acquisire la disponibilità diretta o indiretta dei fattori della produzione si realizza mediante operazioni che producono una modifica duratura del controllo proprietario di una determinata impresa. Mediante determinate operazioni economiche un soggetto riesca ad ottenere una posizione di potere in cui determina una scelta di gestione di una impresa che opera sul mercato che prima operava autonomamente. In presenza di concentrazione occorre evidentemente che questa operazione economica in cui si realizzi l‟operazione di concentrazione implichi questa modifica dell‟assetto del controllo di una determinata impresa. Sia il legislatore comunitario che quello nazionale implichino operazioni di concentrazione da cui può conseguire questo risultato: fusione, concentrazione, acquisizione di partecipazioni di società, operazioni di acquisizione d‟azienda. Si ha una modifica del controllo in modo soltanto indiretto. Comprando la partecipazione di una società occorre l‟ipotesi di detenere una posizione di potere in quanto azionista 84 che mi consente di scegliere gli amministratori della società acquisita e di influenzare le scelte di gestione della società acquisita. Diverso il caso di acquisto di rami d’azienda. Il soggetto che realizza la concentrazione acquisisce direttamente determinati fattori della produzione e accrescere la sua operazione sul mercato e quindi con questa operazione si altera la concorrenza sul mercato. Infine abbiamo ricordato la costituzione di una impresa comune e il fenomeno della joint venture. Abbiamo visto le joint venture cooperative, non danno luogo alla nascita di una vera e propria impresa. Bensì si realizza una semplice intesa. Questo tipo di operazioni sono distinte dalle costituzioni di imprese comuni concentrative. Effettivamente due imprese danno luogo ad una impresa che operano autonomamente sul mercato in modo indipendente e addirittura cessano la propria presenza sul mercato in cui è destinata ad operare la nuova impresa comune concentrativa. Ulteriore aspetto delle concentrazioni è che nell‟ambito della concentrazione sono attratte anche tutta una serie di accordi tra imprese che in qualche modo sono di per sé considerate intese restrittive della concorrenza. Abbiamo considerato il codice civile. Qualcuno ricorderà che nell‟ambito della disciplina della cessione d’azienda, è previsto un divieto per l‟imprenditore cedente di fare concorrenza a carico dell‟imprenditore alienante a vantaggio dell‟imprenditore acquirente il quale deve operare in un medesimo settore dell‟ azienda oggetto di cessione. In questo caso abbiamo un divieto di concorrenza a carico dell‟alienante che è accessorio alla realizzazione di una operazione di cessione d‟azienda. In qualche modo è indispensabile e strumentale, funzionale a garantire il buon esito dell‟operazione di cessione d‟azienda. Abbiamo anche degli altri esempi. Nell‟ambito di una operazione di concentrazione possono essere previsti obblighi di fornitura o di acquisto tra impegni di collaborazione, tra le imprese che sono interessate alle operazioni di concentrazione. Tutti questi impegni accessori delle operazioni di concentrazione dovrebbero essere oggetto di una operazione autonoma, in quanto potrebbero costituire intese verticali restrittive della concorrenza. Queste restrizioni accessorie per le azioni di concentrazione vengono attratte nell‟ambito delle analisi delle operazioni di concentrazione per cui il controllo che l‟autorità antitrust effettua sull‟operazione di concentrazione si estende anche alle restrizioni accessorie, nel caso in cui una azione di concentrazione sia valutata positivamente e non correrà il rischio di essere vietata. Le restrizioni, per poter essere in qualche modo regime di controllo speciale, devono essere direttamente collegate alle operazioni di concentrazione e necessarie alla sua realizzazione. Si deve trattare di previsioni che le parti hanno ritenuto indispensabili per realizzare operazione di concentrazione: acquisizione, fusione e così via. Non tutte le operazioni di concentrazioni sono rilevanti per il diritto antitrust, ma solo quelle che superano una determinata dimensione economica. Dobbiamo distinguere, da 85 questo punto di vista, operazioni rilevanti per il controllo antitrust da parte del controllo antitrust dell‟autorità antitrust nazionale. Occorre determinare come si calcola la dimensione economica delle operazioni di concentrazione. È in rilievo la nozione di imprese interessate alle operazioni di concentrazione, coinvolte nelle operazioni di concentrazione, in cui andranno valutati alcuni parametri economici per determinare la dimensione dell‟operazione. Le operazioni di concentrazione variano a seconda delle concentrazioni oggetto d‟esame. Nella fusione sono interessate tutte le imprese che partecipano alle operazioni di fusione. Abbiamo vari tipi di fusione: vera e propria. Consiste nel fatto che le imprese che si fondono dando origine ad una nuova società. Ovvero fusione per incorporazione una società ne incorpora un‟altra o anche più di una. Sicché si da effetto di estinzione di una delle società coinvolte nelle operazioni di fusione. I parametri vanno calcolati su tutte le imprese che partecipano alle operazioni di fusione. Nel caso invece dell‟acquisto di una partecipazione di controllo o anche acquisto di una azienda, le imprese interessate sono soltanto l‟impresa acquirente che è quella che è oggetto del progetto di acquisizione. Chiaramente l‟imprenditore che ha il controllo di un‟altra società, ovvero un‟azienda, rilevagli effetti concorrenziali delle operazioni di concentrazione. Il ruolo dell‟imprenditore nell‟ambito dell‟operazione di acquisizione cessa una volta che l‟operazione di concentrazione è determinata. Nel caso di operazioni di concentrazione che si realizzano mediante la realizzazione di una impresa comune dobbiamo mettere in rilievo le imprese che partecipano alla costituzione di una impresa comune, le imprese madri, le società madri. Anche impresa comune nel caso non sia a scatola vuota, se l‟impresa comune è dotata di risorse produttive ed organizzative. Teniamo presente che ai fini del calcolo della dimensione quantitativa della azione di concentrazione, si mette in rilievo il fatturato delle imprese interessate all‟operazione. Si tratta di vedere se il fatturato di quelle imprese supera determinate dimensioni quantitative. Non solo il fatturato delle imprese che fanno gruppo delle imprese interessate alle imprese di concentrazione, ma anche il fatturato delle imprese che fanno parte del gruppo delle operazioni di concentrazione. Il fatturato dev‟essere calcolato sommando il fatturato dell‟interessata rispetto a quelle che fanno parte delle imprese del medesimo gruppo. Dal punto di vista concorrenziale, per verificare se le operazioni di concentrazione determinano un significativo effetto sull‟assetto concorrenziale del mercato non basta vedere gli effetti di rafforzamento che derivano dalle imprese interessate alle operazioni di concentrazione, occorre anche valutare gli effetti che le operazioni di concentrazione producono sulla situazione concorrenziale del gruppo di cui fanno parte le imprese interessate all‟operazione di concentrazione. Le operazioni di concentrazione nel diritto comunitario sono descritte nell‟articolo 1 del regolamento del 2004, sono quelle che superano tre condizioni, soglie indicate in questo articolo 1. Le cifre non sono rilevanti. Occorre che il fatturato a livello globale 86 dell‟operazione sia superiore ai 5 miliardi di euro, il fatturato prodotto nella Comunità europea per almeno due imprese interessate sia superiore a 250 milioni di euro, ciascuna delle imprese interessate non realizzi più di 2/3 del proprio fatturato all‟interno di un unico paese membro dell‟unione europea. È necessario che le operazioni di concentrazione riguarda imprese che operano sul mercato europeo. Il fatturato delle imprese interessate dev‟essere dislocato su vari paesi membri dell‟UE. Se non si realizzano queste tre condizioni, l‟operazione di concentrazione non è rilevante, ma dev‟essere controllata dalla commissione, e diventa rilevante per le autorità antitrust dei vari paesi membri. Questo può provocare un effetto indesiderato. Può accadere che una determinata operazione non arriva a superare soglie di rilevanza comunitaria possa essere rilevante ai fini del controllo delle autorità antitrust da parte di più autorità antitrust nazionali. Più imprese devono passare il controllo da parte di più autorità antitrust nazionali. Per evitare questo effetto che implica tutta una serie di adempimenti amministrativi, burocratici, che possono evidentemente rallentare la attuazione, realizzazione delle operazioni di concentrazione proprio perché questa operazione è assoggettata al controllo parallelo di due autorità nazionali, è stato attuato questo regolamento del 2004 che consente alle imprese di sottoporsi unicamente al controllo da parte della d commissione dell‟autorità antitrust comunitaria anche se non vengono superate le soglie di fatturato che vi ho indicato in precedenza. Questo crea un meccanismo di unico controllo da parte della commissione che sostituisce il proprio potere di controllo a quello delle varie autorità nazionali. A parte questo caso specifico, una operazione di concentrazione è rilevante da parte della nostra autorità nazionale, o in altri casi il riferimento è sempre il criterio del fatturato. Da questo punto di vista i livelli di fatturato che devono essere superati vengono stabiliti periodicamente dalla autorità antitrust proprio perché si tratta di parametri quantitativi che variano nel tempo. Basta che venga superato uno di questi due parametri: basta che fatturato delle imprese interessate sia superiore a circa mezzo miliardo di euro e il fatturato dell‟impresa in cui è prevista la deposizione, il cambio del controllo sia superiore a 45 milioni di euro. Basta che si superi uno di questi parametri e c‟è il controllo da parte dell‟autorità antitrust nazionale. Si deve tener conto, per il fatturato non, solo delle imprese direttamente interessate al fenomeno della concentrazione, ma anche del fatturato di tutte le imprese che fanno parte del gruppo di concentrazione. Questo ha un effetto particolare: calcolando anche il fatturato che riguarda tutte le imprese che fanno parte del gruppo, si ha l‟effetto di sottoporre a controllo un gran numero di operazioni di concentrazioni. Ogni anno l‟autorità antitrust valuta un sacco di operazioni di concentrazione. Questo porta un effetto indesiderabile. È chiaro che dal controllo da parte dell‟autorità necessaria, c‟è effetto di rallentare la realizzazione delle operazioni di concentrazione. Si tratta di una scelta ben precisa da parte del nostro legislatore 87 perché mediante il controllo delle concentrazioni si ha anche controllo dell‟autorità indipendente sull‟assetto industriale dei nostri vari mercati nazionali. Teniamo presente che concretamente quando l‟operazione supera le soglie di rilevanza nazionale comunitaria, le autorità prevedono che l‟operazione debba essere realizzata a condizione che l‟autorità competente antitrust nazionale abbia data il proprio ok all‟operazione. L‟autorizzazione è inserita negli accordi contrattuali delle parti che sono coinvolte con condizione sospensiva della realizzazione delle operazioni stesse. Se la condizione sospensiva non si realizza l‟operazione non viene posta in essere dalle parti interessate. Qual è l‟oggetto, cosa deve valutare l‟autorità? Se questa operazione comporta il rafforzamento o la costituzione di una posizione dominante in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza su un determinato mercato. L‟autorità antitrust deve valutare se l‟operazione di concentrazione comporta una costituzione o rafforzamento di posizione dominante in modo da eliminare o ridurre in modo duraturo la concorrenza sul mercato. Abbiamo questa particolare situazione in cui i soggetti interessati devono comunicare questa operazione, che è in grado di modificare l‟assetto concorrenziale di un determinato mercato, perché comporta la modifica del controllo delle imprese interessate e, una volta che è stata effettuata questa operazione è stata sottoposta all‟attenzione dell‟ autorità antitrust, la quale deve valutare se astrattamente questa operazione sia in grado di costituire questa posizione dominante sul mercato in modo stabile e duraturo in modo da limitare o addirittura eliminare la concorrenza su un determinato mercato. In questo contesto l‟autorità anti trust deve individuare qual è il mercato rilevante. I margini di discrezionalità sono molto ampi. Occorre valutare quale sarà il futuro andamento concorrenziale da parte dei soggetti delle imprese che sono interessate alle operazioni di concentrazione. Da questo punto di vista bisogna tenere conto del fatto che l‟effetto anti concorrenziale (limitazione o riduzione della concorrenza) deve essere sostanziale e duraturo. Occorre anche proiettare nel tempo la valutazione da parte dell‟autorità antitrust. Da questo punto di vista ciò rende ancora più complessa la valutazione delle autorità antitrust interessate. Possono venire in rilievo tutta una serie di valutazioni di tipo prognostico, tra cui in molti casi risulta determinante valutare quale sia il grado di concorrenza potenziale a cui sono esposti i mercati. In fase di concentrazione si può esserci un rafforzamento di posizione dominante da parte dell‟impresa interessata, ma allo stesso tempo il mercato è oggetto di sviluppo tecnologico particolarmente significativo in cui vi sono barriere all‟entrata, e il mercato è esposto ad una concorrenza potenziale significativa, questo può portare l‟autorità antitrust ad operazioni di concentrazione anche se l‟operazione di concentrazione stessa ha un effetto direttamente equitativo della concorrenza sul mercato. 88 Un esempio può essere quello di una operazione di acquisizione di Teletu da parte di… che ha portato l‟acquisizione di Sky, monopolista sul mercato dei servizi televisivi a pagamento. In questo caso l‟operazione è stata, sulla base di alcune condizioni ha avuto l‟ok da parte dell‟autorità antitrust, in ragione concorrenza potenziale, operatore esposto a concorrenza nel mercato dei servizi a pagamento. La valutazione è molto complessa nell‟ambito del controllo sulle concentrazioni; per indurre margini di discrezionalità, sono state tentate varie linee guida, tra le quali l‟ordinamento comunitario del 2004. Bisogna tenere conto della valutazione di determinati fattori: valutare la quota di mercato interessante per la valutazione della concentrazione nel tempo; valutare il potere economico e finanziario delle imprese interessate, valutare le possibilità di scelta. Consumatori e produttori hanno la possibilità che si sviluppi una concorrenza potenziale sul mercato interessato (barriere all‟entrata per l‟ingresso di nuovi concorrenti sul mercato interessato). Bisogna anche tener conto dell‟evoluzione del progresso scientifico e tecnologico anche in relazione ai prodotti. Teniamo conto che autorizzare o meno una concentrazione è una valutazione complessa. In certi casi può essere sottratta alla competenza delle autorità antitrust, in particolare dalla nostra antitrust nazionale. Questo è avvenuto negli ultimi anni: si è assistito ad un maggior interessamento della politica sull‟assetto industriale di determinati mercati. Vi sono determinati casi in cui il governo, l‟autorità di indirizzo politico, può dettare criteri generali a cui si deve attenere per autorizzare operazioni di concentrazione che sarebbero vietate tenendo conto di rilevanti interessi generali. Articolo 26 della nostra legge antitrust. Può essere che il governo indichi criteri generali astratti, determinate situazioni in cui per rilevanti interessi dell‟economia nazionale, una determinata operazione che non supererebbe il vaglio dell‟antitrust nazionale, può comunque essere autorizzata. Questa operazione è utilizzata soprattutto per il perseguimento di politiche economiche, da parte del nostro governo, che sono dirette alla costituzione dei campioni nazionali. Quei soggetti particolarmente forti, che hanno potere economico all‟interno del nostro mercato nazionale e possono essere in grado di competere a livello europeo e globale. Un esempio di questa situazione si ha nel caso Alitalia, in cui si è consentito che vi fosse un unico operatore su una linea particolarmente significativa, nel mercato del trasporto aereo nazionale: Milano Roma. Si è consentita la realizzazione di una posizione monopolistica per consentire la realizzazione di una operazione di concentrazione ritenuta strategica nell‟ambito della politica economica. Teniamo anche presente che vi sono operazioni di concentrazione autorizzate anche se comportano la creazione o il rafforzamento della posizione dominante su determinati mercati. Questo vale anche per imprese in stato di crisi. Sono previsti certi orientamenti da parte della Commissione europea. C‟è la possibilità di tentare la posizione di una impresa in situazione di crisi irreversibile e quando gli asset, i beni dell‟azienda 89 sarebbero stati acquistati da un altro soggetto che opera sul mercato. Sono tollerate operazioni di concentrazione di salvataggio di impresa in crisi anche quando queste operazioni di salvataggio comportino la creazione o il rafforzamento di posizione sul mercato in modo stabile e durevole. Una volta che queste valutazioni complesse sono state effettuate, è necessario arrivare alla formulazione di un giudizio. Questo giudizio può essere positivo, che sarà comunicato alle imprese interessate che potranno procedere all‟esecuzione delle operazioni di concentrazione. In base all‟ordinamento comunitario e in base alnostro ordinamento si ritiene che abbia analogo effetto costitutivo anche il fatto che l‟autorità non si pronunci entro un certo termine. Si prevedono meccanismi di silenzio assenso, per evitare che le parti che vogliano realizzare l‟operazione di concentrazione debbano necessariamente attendere l‟ok da parte dell‟autorità antitrust competente in cui è previsto che se l‟autorità non si pronuncia entro un certo termine più o meno lungo l‟operazione può essere realizzata. L‟autorità antitrust può ritenere che l‟operazione di concentrazione è incompatibile col trattato e può vietarla. Se nonostante il divieto si procede, allora l‟autorità può erogare sanzioni pecuniarieparticolarmente significative, determinate in proporzione al fatturato di imprese interessate ma può anche ordinare alle imprese interessate misure di deconcentrazione, ritornare alla situazione che queste imprese avevano prima della realizzazione delle operazioni di concentrazione. Una possibilità di cui spesso si avvalgono le autorità antitrust, spesso in modo sempre più frequente è quella che le autorità autorizzino operazioni di concentrazione a determinate condizioni. A condizione che le imprese interessate apportino al progetto determinate modifiche che lo rendono più tollerabile sul piano degli effetti anti concorrenziali che hanno le operazioni di concentrazione. Se questi impegni non vengono rispettati dalle parti interessate c‟è la possibilità di erogare sanzioni pecuniarie e prevedere la deconcentrazione e così via. Le misure correttive imposte dalle antitrust come condizioni per l‟ok della concentrazione possono essere di due tipi: Misure collettive di tipo strutturale Misure collettive di tipo comportamentale Misure correttive di tipo strutturale riguarda la cessione di aziende, rami d‟aziende e società da parte delle imprese che realizzano la concentrazione. Negli ultimi anni, si è assistita ad una serie di concentrazioni nel settore bancario che hanno riportato il rafforzamento sul piano dimensionale di alcune banche sul nostro mercato. Queste operazioni hanno modificato la struttura del mercato bancario, dei servizi bancari. In molti casi le operazioni sono state autorizzate a condizione della dismissione da parte di imprese interessate di sportelli, società bancarie controllate a concorrenti. 90 Soprattutto queste misure correttive sono previste nel caso in cui la concentrazione determina un effetto restrittivo della concorrenza più significativo. Abbiamo visto che dovevano essere ceduti sportelli, nelle aree territoriali in cui la concentrazione avrebbe comportato una riduzione effettiva della concorrenza. Misure di tipo correttivo comportamentale. Abbiamo quelle che prevedono l‟obbligo di garantire approvvigionamenti, determinate forniture ai concorrenti anche dopo l‟operazione di concentrazione. È chiaro che la possibilità dell‟autorità antitrust di autorizzare una operazione di concentrazione sottoponendola a determinate condizioni aumenta ancora di più il potere discrezionale delle autorità antitrust e, negli ultimi anni, questo potere di autorizzazione condizionata viene sempre più utilizzato dalle autorità antitrust nazionali comunitarie, sicché l‟effetto è limitare operazioni di concentrazione per le quali non sia ipotizzabile nessuna misura collettiva da attenuare gli effetti anticoncorrenziali connessi all‟operazione di concentrazione stessa. Vengono vietate solo quelle operazioni di concentrazione per le quali non c‟è nessuna misura collettiva tale da rimediare gli effetti anti competitivi connessi alla concentrazione stessa. Questo fa si che tutte le volte in cui l‟autorità antitrust apre l‟istruttoria nell‟ambito della valutazione delle operazioni di concentrazione siano le stesse parti che propongano all‟autorità antitrust delle misure collettive. Queste misure correttive sono una sorta di negoziato tra l‟autorità antitrust e le parti in coinvolte nell‟operazione di concentrazione, in modo da prevenire all‟autorizzazione dell‟operazione di concentrazione stessa da parte dell‟autorità. La prossima volta finiamo la parte sulla concorrenza e iniziamo quella sui servizi pubblici. 02/04/2012 Oggi e domani vorrei concludere la parte del corso relativa alla disciplina della concorrenza e poi dovremmo incominciare la parte relativa ai cosiddetti servizi pubblici. Riprendendo il discorso abbiamo visto le discipline generali in materia di concorrenza del diritto antitrust comunitario e del diritto nazionale , adesso dobbiamo vedere più precisamente come funzionano più precisamente l‟Autorità Garante della concorrenza e del mercato, l‟autorità nazionale che opera l‟applicazione del diritto antitrust, e a livello comunitario la Commissione europea e quali sono i procedimenti che, ai fini dell‟applicazione del diritto antitrust, devono seguire queste autorità. Ricordo un dato che avevo già detto in precedenza. Vi è una regola di riparto nell‟applicazione del diritto antitrust comunitario e del diritto antitrust nazionale, fattispecie in violazione alle norme della concorrenza sottoposte al vaglio dell‟autorità antitrust, a fattispecie sottoposte che sono invece sottoposte al vaglio della nostra autorità nazionale, la regola di riparto è quella del pregiudizio del commercio degli stati membri. Se una violazione del diritto antitrust, una intesa restrittiva, o abuso di posizione dominante è tale da pregiudicare il commercio fra più stati nell‟UE e mettere a 91 repentaglio il funzionamento del mercato interno, mercato rilevante che abbia dimensioni comunitarie, allora diventa applicabile il diritto antitrust comunitario. Se non c‟è pregiudizio del commercio fra gli Stati membri allora si applica il diritto antitrust del paese ove è stata posta in essere la violazione. Abbiamo visto però anche, per quanto concerne l‟applicazione delantitrust comunitario, che vige un principio di decentramento. L‟applicazione del diritto antitrust comunitario è anche decentrata, demandata alle autorità antitrust dei vari paesi membri anche se la violazione ha una rilevanza comunitaria, questo per evitare che sulla commissione si concentrino tutta una serie di adempimenti di controllo, e di procedimenti che rischierebbero di paralizzarla. Da questo punto di vista vi è questa regola di decentramento per cui sono chiamate ad applicare il diritto comunitario le varie autorità antitrust dei paesi membri. Abbiamo visto anche come, per quanto concerne il controllo sulle concentrazioni, la regola di riparto è più semplice: controllo diretto a valutare se quella operazione di concentrazione è in grado di costituire o rafforzare una posizione dominante con effetto anticoncorrenziale. In questo caso la regola di riparto è stabilita in base alla dimensione economica della concentrazione che si calcola valutando il fatturato delle imprese coinvolte nella stessa operazione di concentrazione. Sono stabilite delle soglie superate le quali la operazione di concentrazione è sottoposta dal controllo preventivo da parte della commissione, e altre soglie superate le quali c‟è il controllo preventivo da parte dell‟Autorità Garante della concorrenza e mercato. La commissione. La norma che assegna la competenza in materia antitrust alla commissione sul diritto antitrust è l’articolo 105 del trattato. La commissione è una autorità antitrust del tutto peculiare. La commissione è un po‟ l‟organo di governo dell‟UE, è del tutto peculiare il fatto che il trattato abbia assegnato questa funzione di applicazionedi norme che presiedono il buon funzionamento dei mercati a livello europeo ad un soggetto che ha posizioni di governo, di amministrazione, evidentemente anche tutte quelle varie politiche che, sulla base del trattato, sono assegnate agli organi della stessa UE. All‟interno dell‟UE vi è una particolare direzione, la direzione generale, presieduta da un commissario europeo, che si occupa specificamente dell‟applicazione del diritto antitrust. Non è tutta la commissione che si occupa dell‟applicazione del diritto antitrust, bensì una particolare direzione stabilita al suo interno. La commissione è suddivisa in tante direzioni, ciascuna con la propria competenza tematica. Ciascuna direzione è presieduta da un commissario nominato dal presidente della commissione. L‟assegnazione è peculiare. Nei vari paesi non solo europei ma anche negli USA, l‟assegnazione del compito antitrust è assegnata ad autorità amministrative indipendenti, soggetti, organi che sono slegati, indipendenti rispetto al potere politico, al potere che esprime un determinato indirizzo di governo dell‟economia in un particolare mercato. 92 Occorre dire che in virtù di questa regola di decentramento, questa peculiarità dell‟ordinamento europeo è meno rilevante perché ormai la commissione è chiamata ad applicare il diritto antitrust soltanto in alcuni e specifici casi, che in parte ho richiamato anche in precedenza, cioè sostanzialmente la Commissione europea ha assunto il ruolo di sovrintendere, supervisionare l‟applicazione del diritto antitrust da parte delle autorità nazionali. La commissione vigila che le autorità nazionali diano una applicazione uniforme sulle applicazioni antitrust, soprattutto quelle stabilite nei trattati. La commissione interviene soltanto in alcuni specifici casi. Sostanzialmente quando una particolare intesa, un abuso di posizione dominante interessi mercati che sono collocati all‟interno di tre stati membri dell‟UE; è necessario intervenire perché vi è il pericolo che le autorità nazionali applichino in modo disomogeneo e non uniforme determinate regole in materia antitrust e poi anche quando sia necessario assumereuna determinataposizione interpretativadi fronte ad un problema concorrenziale nuovo, rispetto al quale non si è mai affermato a livello comunitario e della commissione, ma anche della giurisprudenza comunitaria, della corte di giustizia delle comunità europee un orientamento consolidato. C‟è un problema antitrust nuovo che richiede una analisi complessa rispetto ad orientamenti già consolidati. Le autorità nazionali possono sottoporre la questione alla commissione che è chiamata a svolgere il ruolo di determinare qual è l‟orientamento in materia antitrust rispetto a questa nuova problematica. La commissione poi invece ha un‟esclusiva competenza per il controllo delle concentrazioni al di sopra delle soglie di un certo fatturato in base al regolamento del 2003. In questo caso quando c‟è una concentrazione di dimensione comunitariaoccorre fare riferimento alla commissione che ha mantenuto questo controllo esclusivo. Abbiamo visto in precedenza che vi sono casi in cui una concentrazione non supera le soglie di dimensione che le danno rilevanza comunitaria, che danno alla concentrazione un rilievo comunitario, ma allo stesso tempo interessano i mercati di più stati membri. In questo caso sarebbe necessario notificare l‟operazione a tutte le autorità nazionali dei paesi membri interessati, si crea quindi il rischio che le autorità nazionali si pronuncino in modo differente rispetto ad un‟unica operazione di concentrazione. Vi è la necessità per le imprese interessate di avviare un procedimento di controllo presso le autorità antitrust nazionali per evitare questa complicazione, questo problema, si è previsto che le imprese interessate possano decidere di notificare le operazioni di concentrazione e di sottoporle al controllo solo della commissione europea, questo è il cosiddettoone stock control. Anche se le operazioni di concentrazione hanno una dimensione comunitaria, per evitare questa frammentazione dei procedimenti di controllo, la stessa operazione è sottoposta unitariamente alla commissione europea. Nel nostro ordinamento, la funzione di tutela della concorrenza spetta alla Autorità della Concorrenza e del mercato. 93 Prevista dall‟articolo 10 legge 287 1990, la commissione è una organizzazione complessa, ha un certo numero di dipendenti, funzionari, ma ci interessa vedere il vertice organizzativo dell‟autorità antitrust. Il vertice è composto da un collegio, 5 membri, adesso sono stati portati a 3 a causa di questi ultimi provvedimenti di riduzione del costo degli apparati dello Stato, anche se la autorità garante della concorrenza è indipendente, questi provvedimenti l‟hanno riguardata. I commissari antitrust, le persone fisiche che fanno parte del collegio che sta al vertice dell‟autorità antitrust sono passati da 5 a 3, . Il presidente ed i commissari sono nominati con atto del presidente della repubblica previo parere del presidente di camera e del senato i quali devono scegliere in comune intesa, i commissari antitrust tra persone dotate di competenze, tecniche specifiche, con particolari qualificazioni. Il presidente dell‟autorità Antitrust è stato recentemente nominato, prima era il professorCalà (ora sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri), adesso è il professor Pitruzzella. Durano in carica 7 anni, mandato particolarmente lungo. Vedremo che sia le modalità di nomina che le garanzie che assistono la carica del commissario antitrust sono dirette a salvaguardare l‟indipendenza della autorità stessa. Il fatto che la funzione di tutela della concorrenza sia attribuita ad un organo dello Stato che rientra nelle categorie delle Autorità amministrative indipendenti è un fatto abbastanza nuovo nel nostro ordinamento. È un fatto abbastanza atipiconegli ordinamenti come il nostro che hanno un apparato amministrativo particolarmente importante;è più tipico di altre esperienze giuridiche, soprattutto è tipico dei paesi anglosassoni, dove l‟apparato della pubblica amministrazione è più contenuto. Nei paesi come il nostro vige il criterio monistico dell’amministrazione. Organi dello Stato che devono curare l‟ attuazione delle leggi, dei provvedimenti emanati dagli organi dello Stato che hanno una funzione legislativa, la pubblica amministrazione è sono sostanzialmente in rapporto di servizio rispetto al governo. I ministeri delle PA sono in un rapporto di funzionalità diretta rispetto al potere politico. Servono determinati scopi decisi a livello governativo. Questo è un principio tipico delle PA. Già nei paesi come il nostro quello della responsabilità ministeriale. Vi deve essere qualcuno, ministro o dirigente che è responsabile di determinati atti della PA. In paesi come quelli anglosassoni con una posizione giuridica diversa rispetto alla nostra, che non hanno apparati amministrativi cosi imponenti, non vi è il principio della responsabilità ministeriale. Il potere governativo è separato dal potere amministrativo. Chi si occupa di amministrare la cosa pubblica sulla base di determinate leggi decise dagli organi legislativi sono strutture distinte rispetto al livello sia funzionale sia organizzativo e rispetto al governo, al potere esecutivo. In questi paesi l‟apparato amministrativo è soprattutto costituito, nei paesi anglosassoni, è formato da organi nominati da agenzie, commissioni, comitati e così via. 94 Questi organi sono organi di aggiudication, di aggiudicazione. Non soltanto si preoccupano di attuare determinate regole che sono previste nell‟ordinamento, ma anche di risolvere le controversie che possono venire in essere tra i privati cittadini e la stessa pubblica amministrazione. Queste agenzie normalmente si pongono in una posizione di neutralità, terzietà, indipendenza rispetto ai vari interessi economici. Queste agenzie che caratterizzano i sistemi amministrativi dei paesi anglosassoni sono state esportate anche nei nostri ordinamenti che sono retti dal principio monistico della pubblica amministrazione, sulla cui base sono nate queste autorità amministrative indipendenti. Autorità amministrative indipendenti perché sono state poste al vertice di particolari settori dell‟economia a cui sono state assegnate funzioni che necessitano non solo di specifiche competenze tecniche, ma anche in qualche modo di indipendenza,autonomia rispetto al potere politico da parte di soggetti che sono chiamati ad applicare determinate norme. Questo accade tipicamente nell‟ambito del diritto della concorrenza, dove si tratta di applicare determinate regole che assicurano il mantenimento del regime concorrenziale, senza che in questo tipo di valutazioni entrino in gioco interessi, decisioni di tipo di politica economica o altre decisioni che hanno a che fare con la politica industriale di un determinato paese. Si tratta di applicare le regole in materia di concorrenza. Da qua, per assicurare questa garanzia di indipendenza e autonomia delle autorità amministrative indipendenti, sono state previste regole che riguardano sia le modalità di nomina dei componenti di queste autorità amministrative indipendenti, sia la durata della loro carica, sia soprattutto la possibilità di revocare, rispetto al mandato ricevuto, i componenti delle autorità amministrative indipendenti. Abbiamo numerosi esempi di autorità amministrative indipendenti nel nostro ordinamento. Primo esempio è l‟autorità garante. In questo novero possono rientrare la Consob, l‟autorità per le Garanzie delle Comunicazioni, l‟autorità per l‟energia elettrica ed il Gas ed altre autorità che in realtà non ci interessano in questa sede. Quali sono le modalità dinomina?Per l‟Autorità garante l‟abbiamo detto: si tratta di nomina che promana dai presidenti di camera e senato. Nel caso della Autorità per le Garanzie e Telecomunicazioni c‟è un meccanismo di nomina complesso, in questo caso si deve distinguere tra la nomina del presidente dell‟Autorità che spetta al PDR su proposta del presidente del consiglio dei ministri, rispetto alla nomina degli 8 commissari che costituiscono il garante dell‟autorità in materia di garanzie delle comunicazioni, l‟AGCM.In questa autorità abbiamo 8 commissari, 4 di questi fanno parte della commissione per le reti e infrastrutture, 4 altri commissari fanno parte della commissione per i prodotti e servizi. All‟interno dell‟AGCM abbiamo un presidente e due commissioni, ciascuna delle quali si occupa di diversi temi di interesse del regolatore. Gli 8 commissari dell‟ AGCM sono nominati mediante elezione da parte del senato e della camera dei deputati. Anche per i commissari della Consob che sono 3, abbiamo nomina del PDR sottoposti a PDC. In tutti questi casi in cui il potere di nomina è effettuato con atto del PDR, su 95 proposta del PDC, è necessario acquisire il previo parere da parte delle commissioni parlamentari competenti. IL provvedimento di nomina prevede questo passaggio parlamentare. La commissione parlamentare competente si esprime, deve deliberare il proprio parerea maggioranza qualificata, normalmente i 2/3 dei componenti della commissione. Ciò assicura che venga nominato come componente dell‟autorità un soggetto che ha ricevuto il voto favorevole sia da parte della maggioranza che da parte dell‟opposizione, dovrebbe garantire una nomina bipartisan della componente dell‟Autorità indipendente. Meccanismi di nomina dei vari componenti sono complessi, soprattutto diretti a garantire che vengano nominati soggetti che godono del favore dell‟approvazione da parte sia del governo della maggioranza, sia da parte dell‟opposizione. Questo per garantire autonomia e indipendenza agli stessi componenti delle autorità dipendenti. Si prevede poi che i componenti delle autorità indipendenti rimangano in carica per 7 anni; questo per garantire l‟indipendenza necessaria ai componenti dell‟autorità indipendente rispetto ad un determinato governo, e quindi assicurare la permanenza del mandato per un periodo più lungo che normalmente è di una legislatura. In più vi sono una serie di regole che prevedono che le autorità indipendenti possano godere di entrate proprie, avere una sorta di autonomia finanziaria. Questo vale per la Consob, l‟Autorità per l‟energia elettrica e il Gas, la stessa BDI, ma anche per l‟AGCM cioè l‟autorità per le garanzie delle comunicazioni che si autofinanziano mediante forme di imposizione diversa che gravano sui soggetti vigilati. Esempio. Le varie società quotate, oppure gli intermediari sottoposti a vigilanza della Consob, devono versare determinati importi che vadano ad alimentare un fondo distribuito presso la stessa Consob che ne finanzi il funzionamento. Discorso un po‟ diverso per l‟autorità antitrust, Autorità Garante che riceve uno stanziamento da parte del ministero del tesoroannuale, deciso dal governo, dal Ministero del Tesoro, sempre di più si prevede che tutte le volte in cui l‟autorità antitrust è chiamata a valutare una determinata operazione, le imprese soggette a controllo debbano versare importi che confluiscono presso la stessa autorità garante e che sono diretti a finanziarne le spese. Questo vale in materia di controllo per le concentrazioni. Le imprese devono anche pagare determinati importi che servono per finanziare la stessa autorità garante. Questo vale anche per le somme che costituiscono sanzioni pecuniarie che l‟autorità garante irroga nei confronti di imprese che abbiano posto in essere violazioni in materia di concorrenza: intese e abuso di posizione dominante. Una parte di queste sanzioni (anche di ammontare contingente= è trattenuto dall‟autorità garante per garantirne l‟indipendenza economica rispetto al governo. Un punto importante sul quale mi soffermerò tra oggi e domani è che l‟autorità garante per la concorrenza e il mercato è preposta alla disciplina generale in materia di concorrenza, quella descritta in queste prime lezioni, quella prevista dalla legge 96 antitrust e dal trattato. Vi sono anche delle discipline speciali in materia di concorrenza. Vi è una disciplina generale e anche discipline speciali, che si applicano alla concorrenza in determinati settori. Quali sono le discipline settoriali? Nel manuale si fanno tre esempi:concorrenza nel settore bancario, nel settore della editoria e della radiodiffusione e concorrenza nel settore del gas naturale. Vedremo il contenuto di queste discipline settoriali della concorrenza. Occorre dire che un tempo l‟applicazione di queste discipline settoriali era demandata alle autorità di regolazione di quel particolare settore. Facciamo un esempio. Nel caso del settore bancario, abbiamo due tipi di regole che hanno un determinato assetto concorrenziale nel settore. Anzitutto la disciplina generale in materia di concorrenza, e in secondo luogo,determinate norme che fanno capo al TUB, che prevedono che l‟acquisto di una banca debba essere sottoposto al controllo da parte di una autorità. Un tempo, queste regole generali in materia di concorrenza, sia queste specifiche che si applicano alla concorrenza nel settore bancario,erano di competenza della BDI, che è l‟autorità di vigilanza sottoposta al controllo delle banche e a garantire il funzionamento del sistema creditizio nel nostro ordinamento. Questo determinava una serie di problemi. Si attribuiva alla BDI (autorità che si occupa di vigilanza nel settore bancario) una funzione ulteriore, regolare anche la concorrenza nel settore bancario. Questo può creare un problema perché le funzioni di vigilanza sono svolte sulla base di determinati obiettivi che il legislatore assegna all‟Autorità di vigilanza. Obiettivo principale è garantirestabilità del sistema bancario, la sana e prudente gestione delle banche, il fatto che le banche vengano gestite senza entrare in crisi, essendo dotate di tutte le risorse organizzative e patrimoniali per poter svolgere in modo patrimonialmente sicuro le proprie attività. Vi è un interesse alla stabilità del sistema bancario delle singole banche, quello che ha di mira la vigilanza bancaria, posta in essere dalla BDI. Questo obiettivo di stabilità può porsi in contrasto al mantenimento concorrenziale nel settore bancario. Se una autorità deve valutare per esempio una concentrazione nel settore bancario, sul piano della concorrenza c‟è un interesse contrapposto rispetto a quello dell‟autorità di vigilanza. L‟autorità di vigilanza che deve garantire la sana e prudente gestione desidera che vengano poste in essere operazioni di concentrazione perché queste garantiscono maggiore stabilità al sistema, crescono dal punto di vista dimensionale le banche, diventino più solide, più forti. Dal punto di vista concorrenziale questo può non essere desiderabile. Le concentrazioni diminuiscono tendenzialmente il numero di operazioni sul mercato e differiscono il livello di concorrenza che si può sviluppare nel mercato. Questo discorso per dire che concentrare la funzione di controllo in capo alla vigilanza di un determinato settore può essere controindicato perché rischia di inquinare l‟applicazione del diritto antitrust, quanto meno rischia che l‟applicazione del diritto 97 antitrust sia fatta tenendo conto di obiettivi diversi e confliggenti rispetto a quelli che sono tipici nel diritto antitrust. Questo è il motivo per cui anche queste discipline settoriali in materia di concorrenza sono state mano a mano trasferite alla competenza dell‟ Autorità garante per la concorrenza e il mercato. Anche la concorrenza tra le banche oggi è di competenza dell‟Autorità garante. Questo per evitare che si creino queste discrasie, queste problematiche nell‟applicazione delle regole antitrust. L‟autorità garante è dotata di tutta una serie di poteri di accertamento, di repressione, di regolazione, di erogazione di sanzioni, adottare misure di vario genere, addirittura potere adottare misure cautelari. Ha poi un potere generale, di segnalazione, nel senso che tutte le volte in cui vengono adottati da parte del potere legislativo determinate leggi che sono in grado di alterare il funzionamento di un determinato mercato, viene richiesto all‟autorità garante di garantire un parere sul disegno di legge, sullo schema del provvedimento legislativo che dev‟essere emanato. L‟autorità garante esprime il suo parare in funzione degli obiettivi che sono posti nella sua competenza, mantenimento di assetto concorrenziale del mercato e promozione della stessa concorrenza. L‟autorità garante ha poi anche altre funzioni, oltre la tutela della concorrenza, è chiamata ad applicare le norme prevista in materia di pubblicità ingannevole comparativa; norme in materia di pratiche commerciali scorrette,norme a tutela del consumatore; ha altre funzioni che le sono state assegnate nel tempo da provvedimenti legislativi. È tenuta ad applicare norme in materia di conflitti di interessi su soggetti che compiono determinate cariche politiche (funzione estranea al diritto antitrust). Recentemente, in materia di servizi pubblici, è stato assegnato all‟autorità antitrust il potere di esprimersi sulla legittimità di una assegnazione diretta per lo svolgimento di un particolare servizio pubblico da parte di enti locali. Vi sono casi in cui gli enti possono decidere di affidare lo svolgimento, la gestione di servizio pubblico direttamente ad una società che è espressione dello stesso ente locale. Questo contravviene la regola generale secondo la quale l‟assegnazione dei servizi pubblici da parte degli enti pubblici dev‟essere fatta con gara, mettendo a gara il servizio di gestione, quando invece si deroga a questa regola nell‟assegnare direttamente (senza gara) il servizio pubblico ad un particolare soggetto pubblico che è espressione dell‟ente locale che affida il servizio, allora viene chiesto all‟autorità garante di esprimersi sul fatto che sussistano determinati presupposti e requisiti che rendono possibile questo affidamento diretto senza gara. Oltre a questo, l‟autorità garante svolge anche altre funzioni stabilite in provvedimenti legislativi che sono stati di volta in volta emanati dal legislatore. L‟autorità garante è autorità amministrativa indipendente mono funzione, nella concezione originale della legge antitrust, della legge 287, doveva sostanzialmente applicare il diritto della concorrenza, doveva avere come stella polare, come obiettivo principale, garantire la concorrenzialità dei nostri mercati. 98 Il fatto di assegnare nuove funzioni che non sono semplice applicazione del diritto della concorrenza snatura quella che è la vocazione dell‟autorità antitrust, sicché al suo interno devono partecipare funzionari che hanno competenze di genere diverso rispetto a quello che sarebbero richieste se si trattasse soltanto di applicare il diritto antitrust. In più in seguito alla crisi del 2007 si è assistito ad una sottrazione di competenze in materia antitrust da parte dello Stato. In base alla legge del 2008 è stato previsto che in particolari casi determinate intese vietate, concentrazioni vietate, possono essere legittimate, autorizzate, sulla base di una decisione assunta dal governo. Determinate violazioni del diritto antitrust possono essere sottratte alla valutazione da parte dell‟autorità antitrust, quando una particolare situazione sia ritenuta necessarie per ragioni di politica economica. Esempio tipico che si fa è il caso Alitalia che ha portato ad una serie di operazioni di concentrazione tra vettori che sono state sottratte alla valutazione dell‟Autorità Garante della Concorrenza e del mercato. Dicevo prima che l‟Autorità garante ha tutta una serie di poteri di accertamento, poteri di assumere decisioni, erogare sanzioni, poteri ispettivi e così via. È chiaro che l‟esercizio di questi poteri deve avvenire nell‟ambito di un procedimento disciplinato dalla legge. L‟esercizio di potere da parte dell‟autorità garante determina conseguenze pregiudizievoli, delle limitazioni, nella sfera delle imprese, dei cittadini, che vengono interessati dall‟autorità garante. È necessario che l‟attività dell‟autorità garante sia procedimentalizzata in modo molto preciso. Da questo punto di vista, abbiamo un regolamento adottato dal PDR, regolamento 217 del 1998 che disciplina i procedimenti che vengono posti in essere dall‟autorità garante, soprattutto nei casi di applicazione delle norme antitrust nazionali che delle norme antitrust europee. Abbiamo un regolamento interno dell‟autorità che stabilisce come si snoda il procedimento da parte della stessa autorità. Accanto a questo regolamento interno abbiamo una legge generale che disciplina il procedimento delle PA, legge 241 1990, legge generale sul provvedimento amministrativo, che prevede che tutte le volte in cui la PA ha a che fare con i cittadini deve seguire un determinato iter procedimentale, essere nominato il responsabile del procedimento, inviate determinate comunicazioni al privato cittadino, vi sia un obbligo di motivazione da parte della PA, e che sia assicurato un contradditorio tra la PA e il privato cittadino, in modo che il privato può far valere le proprie ragioni nell‟ambito del provvedimento aperto alle PA. Il regolamento interno del 1998 della autorità garante si pone in una relazione di specialità con la legge generale del procedimento amministrativo, 241 del 1990. Ai procedimenti posti in essere dall‟Autorità garante si applica il proprio regolamento interno. Soltanto laddove questo regolamento interno preveda determinate regole, una disciplina specifica di particolare aspetto, allora si può applicare la legge generale sul provvedimento amministrativo, 241/1990. È chiaro che il regolamento interno i dell‟autorità garante del 1998 è concepito e prevede disposizioni molto simili a quelle 99 che sono previste nella legge generale sul procedimento amministrativo, legge 241 del 1990. Vi sono poi ulteriori atti, provvedimenti chevengono emanati dall‟autorità e che disciplinano i criteri cui l‟autorità si atterrà nel decidere determinate situazioni. Sono atti dell‟autorità garante che stabiliscono linee guida rispetto alla propria attività in particolari settori. Questi atti hanno il valore di circolari interpretative. L‟autorità garante in relazione a determinati aspetti della propria attività pubblica documenti per anticipare gli orientamenti della stessa autorità per una particolare situazione rispetto ad una particolare fattispecie. Servono ai soggetti interessati per anticipare le valutazioni da parte dell‟autorità garante rispetto a determinati fatti economici. Vediamo i procedimenti un po‟ da vicino. I procedimenti che pone in essere l‟autorità garante sono molto diversi a seconda che si tratti di valutare una intesa restrittiva o abuso di posizione dominante ovvero una operazione di concentrazione. Per quel che riguarda le intese restrittive o abuso di posizione dominante l‟autorità garante può procedere facendo indagini conoscitive su un determinato mercato. L‟autorità garante lo fa spesso, se andate sul sito dell‟Autorità vedete le varie indagini conoscitivi, ed anche atti caratterizzati da assetti particolari in settori industriali particolarmente industrializzati, monopolistici. Queste indagini conoscitive sono di tipo generale, non determinano conseguenze per le imprese che sono fatte oggetto dell‟indagine da parte dell‟autorità garante. Vi sono invece poi quei procedimenti diretti all‟accertamento di violazioni della legge à antitrust. In questo caso apre l’istruttoria. Se agisce sulla base della legge comunitaria, deve informare la commissione europea del fatto di aver aperto l‟istruttoria a sospetto della determinata violazione della legge antitrust. L‟istruttoria è molto complicata, è preceduta da una fase di preistruttoria. Prima di comunicare alle imprese interessate il fatto che l‟autorità garante sospetti la violazione di determinate norme antitrust, è necessario che internamente nella stessa autorità garante si formi un fondato convincimento che queste norme sono state vietate, che c‟è stata una intesa, cartello o abuso di posizione dominante, questa è la preistruttoria. Se la preistruttoria ha esito positivo allora autorità garante comunica alle imprese interessate che è stata aperta un‟istruttoria e comunica la violazione che la stessa autorità sospetta sia posta in essere. Vero e proprio atto formale posto in essere dall‟autorità garante, comunicato alle imprese interessate rispetto al quale possono presentare deduzioni, proprie osservazioni, le imprese interessate possono essere sentite e così via. In questi casi,dopo che è stata aperta l‟istruttoria, l‟autorità ha anche il potere di adottare misure cautelari. Cosa sono? Sono misure che tendono ad evitare che si determini il pregiudizio che è connesso alla violazione del diritto antitrust. L‟autorità antitrust sospetta un determinato abuso di posizione dominante, apre l‟istruttoria, se è necessario per evitare che il pregiudizio diventi irreparabile anticipare gli effetti di 100 una successiva decisione che potrà essere assunta dalla stessa autorità garante, allora la stessa Autorità può assumere la misura cautelare. In qualche modo richiede alle imprese interessate di astenersi da determinati comportamenti imprenditoriali. Lo fa evidentemente imponendo una determinata restrizione alle imprese interessate. Queste misure cautelari possono essere adottatenei casi più gravi: sospetto che ci sia stata una violazione, è verosimile anche sulla base di una valutazione sommaria, quale quella che può essere posta in essere, al momento dell‟istruttoria, è verosimile che un‟infrazione è stata posta in essere. Altro presupposto è che ci sia stato il periculum in mora, intervenire direttamente senza attendere l‟esito dell‟istruttoria per evitare che si verifichi un pregiudizio, un danno, che non può essere più rimediato successivamente. La nozione di queste misure cautelari può essere decisa in casi gravi. Ci sono casi gravi in cui l‟autorità può decidere misure cautelari anche senza sentire le imprese interessate. Vengono assunte queste misure solo dopo che vengano state sentite in via di urgenza le imprese interessate. Dopo che l‟istruttoria è stata chiusa, (lunga), rispetto alla quale la legge non stabilisce limiti di tempo, davanti alla quale le imprese interessate possono far valere le proprie opinioni, depositare le proprie memorie, osservazioni, durante la fase di istruttoria si svolge un contraddittorio tra l‟autorità garante e le imprese interessate. Se l‟istruttoria arriva al sospetto che aveva aperto l‟istruttoria stessa, si arriva ad una decisione che consiste nell‟astenersi da comportamenti che costituiscono violazione della disciplina antitrust. Se le imprese interessate non pongono fine a questi comportamenti l‟autorità antitrust irroga dellesanzioni pecuniarie.Vi sono dei casi in cui, oltre alla decisione che comporta l‟eliminazione delle infrazioni al diritto antitrust, l‟Autorità antitrust può direttamente sanzionare l‟impresa interessata chiedendole di pagare determinate somme molto consistente, in grado di incidere in forma significativa sul conto economico delle imprese interessate. È chiaro che tutto questo complesso procedimento, avrebbe poco senso se l‟autorità antitrust non potesse avvalersi di strumenti incisivi per poter acquisire informazioni, conoscenze, in grado di supportare le proprie valutazioni. L‟autorità antitrust è dotata di potere strumentare a fini probatori, può richiedere documenti alle intese interessate, e può anche avvalersi di organi che normalmente sono differenti rispetto alla funzione di polizia giudiziaria, si avvale della guardia di finanza e così via. Può quindi erogare sanzioni amministrative, pecuniarie di vario genere. Se l‟autorità antitrust agisce applicando il diritto antitrust comunitario, quando arriva la decisione, la nostra autorità garante deve avvisare la commissione della decisione che l‟Autorità garante ha assunto. Il procedimento istruttorio, avviene anche più spesso, si può anche concludere anche positivamente. All‟esito dell‟istruttoria l‟autorità accerta che non ci sono state violazioni delle norme in materia di concorrenza, non ci sono state intese, abuso di posizione dominante e così via. Vi sono casi in cui le imprese interessate possono 101 evitare l‟emanazione di una decisione sanzionatoria da parte dell‟autorità garante mediante l’assunzione di impegni. Ciò è previsto dal 14 ter. Il procedimento può concludersi anche senza l‟accertamento dell‟infrazione laddove le parti abbiano presentato, alla stessa autorità, determinati impegni che siano in grado di superare i limiti anti concorrenziali che erano oggetto dell‟istruttoria dell‟autorità garante. Le imprese interessate ricevono la notizia dell‟avvio dell‟istruttoria. Anziché difendersi contestando la violazione delle norme antitrust, scendono a patti con l‟Autorità garante, scendono a patti promettendo comportamenti economici, in grado di superare gli effetti anticoncorrenziali provocati dalle condotte oggetto di istruttoria. È chiaro che questi impegni assunti dalle imprese interessate sono oggetto di una contrattazione da parte delle imprese interessate. Le imprese interessate possono prendere determinati impegni, attenersi a determinate condotte imprenditoriali, l‟autorità può ritenere questi impegni non sufficienti, può chiederne ulteriori, può chiedere un rafforzamento di questi impegni e così via. Prima che l‟autorità adotti una posizione ufficiale è necessario che questi impegni siano resi noti al mercato, a tutti i soggetti interessati, ai concorrenti delle imprese coinvolte nell‟istruttoria, anche ai clienti. Gli impegni vengono pubblicati in modo che tutti i soggetti interessati possano proporre le proprie osservazioni e alla fine l‟Autorità garante decide se accettare o meno questi impegni proposti dalle imprese interessate. La decisione di accettare questi impegni da parte dell‟autorità garante ha l‟effetto di provocare la chiusura del procedimento istruttorio. Questa sorta di procedimento crea una specie di patteggiamento tra l‟autorità garante e le imprese interessate, che ha effetti molto positivi per le imprese interessate. Se chiudono l‟istruttoria con decisione con la decisione con impegni evitano una decisione diversa da parte dell‟autorità antitrust, in particolare la decisione negativa da parte dei loro confronti; evitano che l‟istruttoria si chiuda con l‟accertamento di violazione del diritto antitrust, questa violazione è stata paralizzata dagli impegni assunti in fase di istruttoria. Questo effetto è particolarmente positivo per un motivo specifico, ha a che fare con l‟applicazione del diritto antitrust. Occorre dire che il diritto antitrust è applicato dall‟Autorità Garante in Italia, dalla commissione e così via. Il diritto antitrust formato da norme di legge, competenti ad applicare il diritto antitrust sono anche i giudici. La legge antitrust numero 283 stabilisce che giudice competente a conoscere le norme in materia antitrust sia anche la corte di appello della giurisdizione ove ha sede l‟Autorità. Possiamo chiederci quale rapporto sta tra il rapporto dell‟autorità garante e quello dei giudici. Teniamo conto che il diritto antitrust comunitario può essere applicato da tutti i giudici nazionali. Qualsiasi giudice ordinario può essere chiamato ad applicare il diritto antitrust comunitario. 102 Strana situazione in cui abbiamo una sorta di doppio binario in cui da un lato il diritto è applicato dall‟Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, cioè autorità amministrative indipendenti, dall‟altro lato anche i giudici ordinari possono applicare il diritto antitrust se ritengono che vi possano essere state violazioni delle regole in materia di concorrenza. Questa situazione di doppio binario è stata razionalizzata. Diverse sono le finalità dell‟applicazione del diritto antitrust posta in essere dall‟autorità garante e quella posta in essere dai giudici. L‟autorità garante della concorrenza e del mercato, applica le norme antitrust in funzione dell‟interesse generale, mantenimento dell‟assetto concorrenziale dei mercati, per evitare che vengano poste in essere condotte che pregiudicano la concorrenza dei mercati. L‟Autorità garante applica il diritto antitrust in funzione dell‟interesse generale, che tutti i cittadini hanno nei confronti che si mantenga assetto concorrenziale (non si creino abusi di posizione dominante, non si creino cartelli). Tutti noi abbiamo interesse che i mercati siano efficienti e che non ci siano abusi a danno dei consumatori. L‟autorità antitrust irroga sanzioni pecuniarie ma non stabilisce che determinati importi debbano essere pagati in favore di determinati soggetti: cittadini, consumatori o concorrenti delle imprese che hanno posto in essere determinate violazioni del diritto antitrust. Non condanna le imprese interessate che hanno posto in essere determinate violazioni al risarcimento dei danni in favore di questo o quest‟altro soggetto. L‟autorità antitrust applica il diritto antitrust in funzione del perseguimento d‟interesse generale al mantenimento dell‟assetto concorrenziale nel mercato. Diverso il ruolo dei giudici che intervengono a tutela dei diritti di specifici soggetti, interessi privati, non intervengono a tutela dell‟interesse generale per il mantenimento della concorrenza nel mercato. I giudici applicano il diritto antitrust quando ci sono clienti cittadini, clienti, concorrenti di imprese che vengono accusati di aver violato il diritto antitrust. I giudici ordinario intervengono in tutela di posizioni giuridiche soggettive. In altri termini il giudice interviene quando c‟è un concorrente di una impresa che ha dato vita ad un cartello. Ovvero il cliente dell‟impresa vuole essere risarcito dei danni che ha subito in conseguenza dell‟esistenza di quel cartello. Danni che possono essere normalmente di tipo economico che consistono in maggiori prezzi che sono stati richiesti. Come vedete, vi è una confusione o sovrapposizione tra la funzione dell‟autorità garante della concorrenza e del mercato e la funzione che i giudici, l‟apparato giudiziario, svolgono nell‟ambito dell‟applicazione del diritto antitrust. Intervengono a tutela di posizioni giuridiche individuali. Accertano l‟applicazione del diritto antitrust in funzione del riconoscimento da parte di soggetti a vedersi risarciti rispetto a danni. È chiaro che questo contesto delle decisioni con impegni le imprese interessate hanno interesse a senza che l‟autorità garante abbia accertato la violazione di una norma antitrust, senza che l‟autoritàabbia accertato che vi sia stato abuso di posizione 103 dominante ovvero che è stata posta in essere una intesa restrittiva della concorrenza. Se il procedimento si conclude con l‟accertamento dell‟infrazione, allora i soggetti lesi dall‟infrazione, clienti e concorrenti potranno andare dal giudice ordinario a chiedere il risarcimento dei danni. In effetti sempre più spesso accade che dopo che l‟autorità garante ha accertato le infrazioni inizino evidentemente dei procedimenti di fronte alla giustizia ordinaria da parte dei soggetti lesi da comportamenti anticoncorrenziali per vedersi riconosciuti i danni che i soggetti hanno subito in conseguenza di questi comportamenti. Un ruolo importante è svolto dalle associazioni dei consumatori, associazioni che sono in grado di farsi portatrici di interesse che sono diffusi sul mercato. È chiaro che le azioni di risarcimento danno della norma antitrust sono ostacolate da problemi di azione collettiva. Il singolo cliente dell‟impresa che ha posto in essere il cartello o abuso di posizione dominante non ha interesse ad agire individualmente, perché i costi connessi dalla propria azione individuale superano di gran lunga i benefici economici che il soggetto potrebbe ritrarre dall‟azione individuale. Problema che ha fatto si che nel tempo le cause presso i giudici ordinari di violazione del diritto antitrust siano state sostanzialmente molto poche. Oggi come oggi la situazione è destinata a cambiare per due motivi principali. Da un lato il nostro ordinamento riconosce la legittimazione a far valere i danni anche dalle associazioni dei consumatori, dall‟altro lato perché ormai è diventata per una serie di problematiche, legge anche nel nostro ordinamento la possibilità di promuovere azioni collettive a tutela di interessi omogenei da parte di categorie di soggetti. Ultima cosa prima di finire la lezione. Altro particolare procedimento che può essere avviato da parte delle autorità antitrust ha a che fare con i programmi di clemenza. Cosa sono? Misure che l‟autorità antitrust può concedere per far emergere intese restrittive della concorrenza che sono mantenute segrete. In qualche modo vi è una norma della legge antitrust che prevede questi programmi. La possibilità per le imprese che fanno parte di un cartello rimasto segreto fino a quel momento e che si autodenunciano di godere di una sorta di immunità dall‟applicazione delle sanzioni che diversamente dovrebbero essere sottoposte. Immunità che ha lo scopo di fare immergere cartelli mantenuti segreti. Questa sorta di immunità costituisce un forte incentivo per le imprese che fanno parte di questi accordi segreti ad autodenunciarsi, denunciare l‟esistenza del cartello. Questi programmi sono contenuti in una serie di documenti, emanati dalla stessa Autorità Garante. Si prevede che l‟immunità sia prevista dall‟impresa che per prima fornisce fattivi elementi di collaborazione informativi che siano in grado di dare evidenza all‟esistenza di questo cartello segreto. Chi per primo denuncia l‟esistenza del cartello segreto e porta notizie ha forte incentivo a farlo perché può godere dell‟immunità totale dell‟applicazione delle sanzioni pecuniarie che sono previste. Le altre imprese sia pure denunciate che però forniscono una fattiva collaborazione, possono godere di determinati sconti, riduzioni, 104 rispetto all‟importo delle sanzioni pecuniarie che diversamente sarebbero applicate. 03/04/2012 Ieri abbiamo visto il tema dei poteri di cui le autorità antitrust dispongono, questi poteri sono esercitati e fatti valere nell‟ambito di procedimenti che sono differenziati a seconda della finalità dello stesso procedimento. Rimangono da vedere i procedimenti in materia di promanazione delleconcentrazioni, procedimento di cui ho già parlato brevemente. Parlavamo ieri di controllo sulle concentrazione, articoli da 16 a 19 legge 287/1990. È un procedimento che inizia con una notifica dell‟operazione da parte delle imprese interessate: consiste nell‟attribuire all‟autorità antitrust tutti dei modelli standardizzati predisposti dalla stessa autorità antitrust. Nell‟ambito di questi modelli occorre anzitutto segnalare le caratteristiche dell‟operazione di concentrazione ma soprattutto occorre indicare quali sono i mercati rilevanti interessati dall‟operazione di concentrazione, anche qual è la quota di tali mercati che è posseduta da parte dell‟operazione di concentrazione. Una volta avvenuta la notifica, la autorità antitrust apre un procedimento che inizialmente consiste in una sorta di pre istruttoria, l‟autorità antirust ha 30 giorni per valutare se l‟operazione di concentrazione appare meritevole di una analisi più approfondita sul piano concorrenziale. Entro questi 30 giorni l‟autorità garante, antitrust deve comunicare alle imprese interessate se intende o meno aprire una propria istruttoria. Opera il meccanismo del silenzio assenso. Se l‟autorità antitrust non comunica l‟apertura dell‟istruttoria, allora si deve ritenere che l‟autorità antitrust si sia pronunciata positivamente, ha dato il suo nullaosta, il suo assenso e le parti possono procedere. Silenzio vale come assenso e le parti possono procedere. Se si apre l‟istruttoria formale? Comunicazione alle imprese interessate ed inizia un vero e proprio procedimento concorsuale nell‟ambito del quale la autorità antitrust valuterà tutti gli elementi a sua disposizione e gli ulteriori elementi conoscitivi interessati, l‟esisto della quale l‟autorità ha tre possibili pesi. Autorizzare l‟operazione di concentrazione, autorizzare l‟operazione di concentrazione sottoponendo l‟operazione a determinate condizioni.Abbiamo visto l‟ipotesi dell‟autorizzazione con intendi, l‟operazione viene ritenuta compatibile con le norme in materia di concorrenza. Le imprese interessate pongano in essere delle misure comportamentali per eliminare in modo significativo gli effetti anticoncorrenziali. Da questo punto di vista abbiamo visto come sono possibili dismissionecon aste,di rami aziendali di imprese che si concentrano, cessione di partecipazioni. Fornire determinati concorrenti di determinati prodotti, a determinati prezzi. Il procedimento di controllo preventivo delle concentrazioni non avviene in contradditorio con le imprese, ma è un procedimento che l‟autorità garante lo pone in essere in modo unilaterale. Svolgere tutti gli accertamenti di tipo istruttorio sulla base della documentazione fornita dalle imprese interessate. Se l‟autorità garante 105 assume un esito negativo, in questo caso è possibile che vengano ascoltate le imprese interessate e possano far valere la propria posizione, presentare osservazioni, memorie e così via. È chiaro che se poi i privati contemperano alla decisione dell‟autorità garante sono previste da un lato sanzioni pecuniarie particolarmente significative a carico delle imprese interessate e dall‟altro lato è possibile che l‟autorità garante decida che queste imprese interessate debbano attuare misure di deconcentrazione. Debbano porre in essere operazioni societarie per arrivare ad una situazione di fatto che sussistevaprima che l‟operazione di concentrazione fosse attuata. Come dicevo anche ieri, accanto a questa disciplina generale in materia di concorrenza, abbiamo discipline speciali che si applicano a particolari settori. Sono quelle relative al settore delle telecomunicazioni di massa, alle banche e al gas naturale (ci torneremo quando parleremo di servizi pubblici, la distribuzione del gas naturale è un servizio pubblico che sostanzialmente ha il controllo e competenza delle autorità locali=. Settore delle comunicazioni di massa. Decreto legislativo del 2005 167 che all‟articolo 43 vieta la posizione dominante nel mercati che costituiscono il sistema delle telecomunicazioni. In questo caso la legge dispone che questo sistema integrato delle telecomunicazioni, mercato dell‟editoria, televisivo, radiofonico, mercato dei mezzi di comunicazione di massa, possano essere costituite posizioni dominanti. Abbiamo visto come nell‟ambito della disciplina generale della concorrenza non è vietata la posizione di una impresa dominante, ma il compimento di atti e comportamenti che possano costituire abuso di posizione dominante detenuto da una determinata impresa. La posizione dominante è individuata secondo determinati punti percentuali di concentrazione delle imprese che operano in questi mercati. Si calcolano determinati indici, le imprese che operano sui mercati non possono raggiungere la costituzione di posizione dominante. Altra importante misura riguarda l’accesso ai mercati delle comunicazioni di massa. Le frequenze radiofoniche e le frequenze nel senso di trasmettere programmi televisivi digitali sono assegnate agli operatori mediante un piano nazionale di assegnazione sulla base di meccanismi di asta competitiva. Questo decreto legislativo 2005 prevede che una medesima impresa, anche attraverso società controllate, non possa essere titolare licenze assegnate mediante questo sistema di asta, che le consenta la diffusione di più del 20% dei programmi televisivi e radiofonici che abbiamo su terrestri in ambito nazionale. Abbiamo delle discipline speciali dirette a preservare un assetto concorrenziale nel mercato delle comunicazioni di massa. La prima è una misura che tende a preservare un determinato assetto statico del mercato, impedire che nell‟ambito di questi mercati vi sia un operatore che detiene una quota di mercato particolarmente significativa. La seconda misura riguarda la fase di accesso al mercato, il contenimento delle licenze per eseguire programmi televisivi e radiofonici sulle frequenze terrestri, è diretta a 106 far si che queste frequenze possano essere assegnate ad una pluralità di soggetti diversi. Più soggetti possono aver accesso al mercato delle trasmissioni radio televisive. Vi sono poi ulteriori misure previste sempre in questo decreto legislativo che riguardano i limiti di concentrazione della raccolta pubblicitaria. Vengono posti addirittura dei limiti ai ricavi complessivi in termini pubblicitari che le imprese possono ottenere nell‟ambito di questi mercati. È previsto il divieto alle società che superano determinati valori in termini assoluti dei ricavi del sistema integrato delle telecomunicazioni di poter acquisire o costituire imprese editrici di quotidiani nazionali. Se una determinata impresa raggiunge una quota dei ricavi complessivi ottenibili su questi mercati, questa impresa non può accrescere ulteriormente la propria dimensione acquisendo o costituendo imprese editrici di quotidiani nazionali. In questo sistema vi sono tutta una serie di limiti e divieti che riguardano la dimensione delle imprese che riguardano il sistema integrato delle telecomunicazioni, molto più stringenti rispetto a quello che abbiamo visto sulla disciplina generale in materia di concorrenza. L‟obiettivo di queste disposizioni non è solo quello di preservare l‟assetto concorrenziali di questi mercati che costituiscono il sistema integrato delle telecomunicazioni, l‟obiettivo finale non è soltanto quello della concorrenza, mantenere condizioni di monopolio sostenibile. L‟obiettivo è più ambizioso: quello di garantire il pluralismo dell‟offerta informativa sul mercato, il fatto che sul mercato possano operare più soggetti in grado di garantire il pluralismo dei mezzi di informazione. Questa tutela del pluralismo dei mezzi di informazione è un obiettivo che va al di là degli obiettivi di efficienza economica, o tutela dei consumatori in materia di concorrenza, ma ha anche a che fare con la garanzia del funzionamento delle istituzioni democratiche del nostro ordinamento, obiettivo ulteriore rispetto a quello tipico delle discipline antitrust. Questo è il motivo per cui si impedisce la costituzione di posizioni dominanti all‟interno dei mercati, ovvero le imprese che operano nei mercati possano raggiungere determinati livelli dimensionali. Ciò significa che vi sono operatori dominanti e si impedisce l‟ingresso sul mercato di nuovi operatori, che siano in grado di preservare la pluralità delle voci e opinioni devono essere garantite ai cittadini, in modo che i cittadini possano scegliere nell‟ambito del mercato. Questo sistema complesso di regolazione del mercato è sottoposto all‟Autorità per le garanzie nelle Telecomunicazioni, composta da 4 organi: - Presidente - Commissione per le reti e infrastrutture composta da 4 commissari - Commissione per i prodotti e servizi, composta da 4 commissari - Consiglio dell‟autorità per le garanzie AGCM composto da presidente e da tutti gli 8 commissari 107 Anche questa autorità per le garanzie della comunicazione, l‟AGCM opera sulla base di regolamenti interni, dispone di determinati poteri previsti dal decreto legislativo del 2005 e soprattutto ha la possibilità di accertare se una impresa o un gruppo di imprese ha superato i limiti dimensionali previsti dal decreto legislativo 2005. Si apre un‟istruttoria, nel caso in cui l‟esito di questa istruttoria in cui le imprese interessate possono presentare le proprie osservazioni e considerazioni, se si ritiene che queste soglie valutative soglie siano state superate, vi sia una impresa che minaccia il superamento, allora si dispone che questa posizione dominante venga smantellata imponendo alla impresa dominante che ha superato determinati livelli dimensionali di dismettere rami d‟azienda, partecipazioni. Se questi provvedimenti non vengono attuati, la stessa autorità sanzioni amministrative e pecuniarie. Vi sono poi anche ulteriori norme, che riguardano il cosiddetto affollamento pubblicitario, che fissano limiti giornalieri relativi alla programmazione, orari di messaggi pubblicitari, tempi di affollamento che non possono essere superati da imprese che si occupano di programmi radiotelevisivi e radiofonici. Questi limiti sono fissati sia su base oraria, limiti giornalieri, settimanali, disciplina complessa. Nel caso di superamento di limiti l‟AGCM ha la possibilità di erogare delle sanzioni amministrative pecuniarie che dipendono dalla significatività del superamentodegli stessi limiti. Vi sono poi delle particolari norme introdotte nel 2008 e 2009 relative alla commercializzazione di programmi televisivi e radiofonici di determinati trasmissioni sportive. Anche qua c‟è l‟assegnazionedi questi diritti in modo da preservare un certo programma di concorrenza. Questa disciplina settoriale della concorrenza è una disciplina che sostituisce quella generale prevista dalla legge 287, è diretta ad obiettivi di pluralismo che sono in parte diversi rispetto a quelli che sono propri delle discipline generali antitrust. Per provvedimenti relativi ai limiti dimensionali delle imprese, l‟AGCM sente l‟autorità antitrust, e in qualche modo si prevedono forme di coordinamento fra le due autorità. Altra disciplina settoriale riguarda le banche, di cui ho parlato ieri e riprendiamo oggi. Disciplina settoriale dell‟attività bancaria, TUB decreto legislativo 385/1993. Questo TUB all‟articolo 19 prevede l‟acquisto di partecipazioni nel capitale di banche. Le banche sono quelle società che sono state autorizzate all‟esercizio dell‟autorità bancaria nei nostri mercati. L‟attività bancaria consiste nel raccogliere risparmio, esercizio del credito. Sono previste delle norme che subordinano l‟acquisto di partecipazione di un certo livello da parte delle banche ad una preventiva autorizzazione da parte della Banca d‟Italia. Questa autorizzazione è necessaria tutte le volte in cui vi sia un soggetto che viene a detenere più del 10% del capitale di una banca. È necessaria autorizzazione tutte le volte in cui la partecipazione supera il 20-30-40% (più del 10%) del capitale della banca, comporta che il soggetto arriva a detenere una posizione di controllo sul capitale della banca e assume una posizione di influenza dominante relativamente alla gestione di una banca. 108 L‟autorizzazione è lasciata alla Banca d‟Italia, è una autorizzazione preventiva che deve essere data prima che venga effettuata l‟operazione che determina il superamento di queste soglie di partecipazione. È una autorizzazione che la Banca d‟Italia rilascia discrezionalmente sulla base di parametri di valutazione diversi rispetto a quelli che invece deve osservare l‟autorità garante della concorrenza quando valgono le operazioni di concentrazione. La Banca d‟Italia può autorizzare o meno le acquisizioni di questa partecipazione a seconda se ritiene che il mutamento dell‟assetto di controllo della banca possa in qualche modo influire sulla sana e potente gestione della banca stessa. Mutamento dell‟assetto proprietario della banca, può essere garantita la sana e prudente gestione della banca stessa. La banca nonostante il fatto che la sua compagine sociale è cambiata, può mantenersi stabile sui mercati, mantenere la propria solidità patrimoniale, essere in grado di continuare ad operare la propria attività garantendo il rispetto di tutte le leggi e regolamenti che devono essere osservati quando si svolgono attività bancarie sul mercato. Le ragioni che stanno alla base dell‟autorizzazione della BDI sono in parte diversi rispetto a quello che stanno alla base del controllo dell'esercizio di concentrazione da parte dell‟autorità garante, è una stabilità delle banche di far fronte alle proprie obbligazioni di tutelare il risparmio raccolto in modo adeguato. L‟ operazione può essere vietata laddove, tenuto conto delle partecipazioni dell‟acquirente, la BDI ritenga che a seguito dell‟operazione di concentrazione e acquisto della partecipazione non possa essere garantita la sana e prudente gestione della banca. In questo caso abbiamo di nuovo una disciplina che ha effetti sull‟assetto concorrenziale del mercato delle attività bancarie, questo controllo da parte della BDI si sovrappone ai poteri di controllo che spettano invece all‟autorità antitrust, in questo caso poteri di controllo che sono assegnati alla BDI si pongono accanto ai poteri di controllo che spettano all‟autorità garante della concorrenza e del mercato. Le banche sono soggette al controllo generale, norme in materia di concorrenza previste dalla legge antitrust e del trattato, e sono sottoposte alla vigilanza per quanto concerne l‟assetto, l‟acquisto di partecipazioni al capitale. Per quel che concerne il settore bancario abbiamo una disciplina generale della concorrenza applicata dall‟Autorità Garante e una disciplina speciale della concorrenza applicata dalla BDI. Un tempo l‟assetto delle competenze non si poneva in questi termini. Anche l‟applicazione nel settore bancario delle discipline generali in materia di concorrenza era demandato alla BDI che non soltanto valutava la partecipazione al capitale di banche, ma l‟applicazione di norme generali in materia antitrust al mercato bancario. Abbiamo già considerato un paio di lezioni fa che questo ulteriore ruolo assegnato alla BDI da parte dell‟autorità antitrust nel settore bancario poneva qualche problema perché, nel valutare l‟assetto del mercato bancario era possibile che la BDI non seguisse considerazioni basate sugli aspetti concorrenziali del mercato, ma in qualche 109 modo basasse le proprie valutazioni su obiettivi legati alla vigilanza del settore bancario. Numerosi esempi su questo problema. Qualche anno fa vi è stata una fase di mercato in cui si è assistito a numerose operazioni di concentrazione nel settore delle banche, operazioni di fusione tra banche, in quei casi la BDI aveva dimostrato poteri antitrust nel settore bancario non soltanto valutando gli effetti concorrenziali dell‟operazione di concentrazione ma anche non autorizzando le operazioni di concentrazioni sulla base di considerazioni ulteriori che non erano esclusivamente legate all‟impatto concorrenziale sul mercato. Questo ha sollecitato un intervento del legislatore nel 2005, legge sul risparmio, che sostanzialmente ha sottratto la competenza in materia antitrust alla BDI assegnandola all‟Autorità garante. Anche per il mercato bancario la disciplina della concorrenza è demarcata dall‟autorità antitrust. Doppio controllo: alla BDI quando le operazioni di concentrazione superano le soglie dimensionali viste in precedenza; all‟autorità garante, tutte levolte in cui le operazioni di concentrazione superano le soglie dimensionali previste dalla legge antitrust. Altro esempio di disciplina settoriale è nel settore delgas naturale. Decreto legislativo 164/2000, decreto Letta, che ancora oggi contiene le disposizioni di riferimento per il funzionamento del mercato nella filiera del gas naturale. In questo caso, la necessità di prevedere una disciplina speciale in questo settore deriva da due considerazioni. La prima è questa: alcune attività che rientrano nella filiera del gas sono sostanzialmente liberalizzate. Sono attività che prima erano gestite da un unico operatore che poi sono state liberalizzate, alcuni segmenti della filiera sono stati liberalizzati. Allo stesso tempo abbiamo il problema che anche le attività neutralizzate può continuare ad essere presente l‟ex monopolista, varie società del gruppo Eni. Un soggetto ha una posizione dominante nell‟ambito del mercato. Quindi nell‟ambito di questo mercato è previsto che l‟operatore dominante, ex monopolista, non possa superare determinati tetti che riguardano la quota di mercato detenibile dall‟ex monopolista. Il discorso è abbastanza complicato, nel manuale è molto sintetizzato. Queste misure antitrust prevedono tetti alla quota di mercato che possono essere detenuti dall‟operatore in posizione dominante. Al di là di queste considerazioni quantitative, in questo caso abbiamo un esempio di misura antitrust cosiddetta asimmetrica, pone limiti quantitativi alle quote di mercato all‟operatore dominante, ma non pone gli stessi limiti a carico dei concorrenti. Questo per favorire l‟accesso ai mercati liberalizzati da parte dei concorrenti dell‟operatore in posizione dominante. Si crea una asimmetria delle misure di regolazione per favorire l‟accesso al mercato da parte dei concorrenti del monopolista per sviluppare, promuovere la concorrenza in un determinato mercato. Per quanto concerne l‟applicazione di questa disciplina settoriale bisogna sentire l‟Autorità garante della concorrenza e del mercato, prima di adottare le disposizioni deve sentire l‟Autorità di regolazione del settore. 110 A questo punto possiamo iniziare a parlare di SERVIZI PUBBLICI. Il discorso sui servizi pubblici è stato toccato brevemente nelle lezioni precedenti, cercherò di attenermi nella maniera maggiore possibile al manuale. Bisogna suddividere l‟esposizione relativa alla materia della regolazione dei servizi pubblici in due parti: una prima parte riguarda le disposizioni generali in materia di servizi pubblici, in questo contesto vedremo l‟evoluzione della disciplina in materia di servizi pubblici avvenuta nel corso del tempo, riprendendo alcuni concetti visti a inizio corso dobbiamo distinguere due fasi fondamentali: - una prima fase di regolazione dei servizi pubblici, precedente al momento in cui si è effettivamente manifestato l‟impatto del diritto comunitario anche sui mercati che riguardano i servizi pubblici, l‟assetto tradizionale prima che facessero sentire i loro effettianche nel nostro ordinamento le direttive di liberalizzazione, che a fine anni „80 il legislatore ha emanato; - Evidentemente vedremo qual è stato l‟impatto conseguente a seguito dell‟adozione di queste direttive di liberalizzazione. Il discorso in linea generale può essere molto sintetico. Ciascun servizio pubblico ha una propria disciplina settorialemolto specifica, dedicheremo alcune lezioni per esaminare alcune discipline settoriali in tema di servizi pubblici molto dettagliatamente. Le discipline settoriali sono molto complicate, possono essere ricordate soltanto genericamente, per dare l‟idea di come funziona il mercato. Punto importante sul quale cominciare, parlando di servizi pubblici, è dare una nozione presente nel nostro ordinamento. Nozione che in realtà, per esempio, non è riconosciuta nell‟ordinamento comunitario. Il servizio pubblico può essere inteso in senso soggettivo e oggettivo nell‟ambito della dottrina. Si parla di servizio pubblico in senso soggettivo se l‟attività è gestita dai pubblici poteri, PA, da un soggetto pubblico direttamente od indirettamente. Tutte le volte in cui c‟è regolazione di una determinata attività economica, di un determinato servizio, e sono in capo alla PA si parla di servizio pubblico in senso soggettivo.La PA è responsabile dell‟erogazione dei servizi ai cittadini; lo può fare sia direttamente o indirettamente attraverso particolari articolazioni. Servizio pubblico oggettivo ha a che fare col fatto che una determinata attività economica sia gestita anche avendo riguardo a determinati interessi generali. L‟attività economica non ha soltanto come unico scopo di ritrarre un lucro in senso oggettivo o soggettivo, ma è anche svolta sulla base di considerazionidi interesse pubblico, proprio perché si tratta di una attività che consiste nell‟erogazione di servizi considerati essenziali per una determinata collettività di cittadini. I servizi che possono essere considerati essenziali variano nel corso del tempo, tenuto conto dell‟evoluzione, delle esigenze dei cittadini, dell‟evoluzione tecnologica. Da questo punto di vista il servizio pubblico in senso oggettivo è una nozione 111 necessariamentedinamica, si evolve sulla base dell‟evoluzione delle esigenze primarie, fondamentali delle persone. Sono ritenuti essenziali quei servizi che in qualche modo consentono l‟attuazione dei precetti costituzionali. Prendiamo l‟articolo 2 e 3 della costituzione.Articolo 2 “ La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell‟uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità...”. Articolo 3 eguaglianza formale e sostanziale al comma 2 c‟è l‟eguaglianza sostanziale. “è compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l‟eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l‟effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all‟organizzazione politica, economica e sociale del paese”. Da questo punto di vista si pone un dovere in positivo da parte dello Stato di rimuovere ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. È necessario che lo Stato e le PA si facciano carico dell‟erogazione di servizi essenziali fondamentali per consentire a ciascun cittadino di poter fruire di un livello di prestazioni del servizioche gli consentano di sviluppare il proprio concetto di dignità sulla base di diritti sostanzialmente omogenei. Questo compito dello Stato asseconda il mutamento delle esigenze fondamentali dei cittadini. Anche qui occorre tener conto del fatto che non soltanto i singoli stati nazionali devono perseguire questo compito, obiettivo, ma anche sempre di più questo compito è fatto proprio da parte delle istituzioni europee: si afferma non soltanto una nozione di cittadinanza a livello nazionale ma anche europea, in cui è la stessa UE attraverso i propri organi e istituzioni che si fa carico di riconoscere determinati diritti fondamentali in capo a tutti i cittadini. Su questa base istituzionale da sempre c‟è stata una forte presenza del mercato rispetto allo svolgimento di determinate attività economiche. Le modalità di questo intervento sono state diverse nel tempo. Nel libro si ricordano determinate norme che già subito dopo l‟unificazione del Regno d‟Italia sono state emanate per portare sotto il controllo pubblico lo svolgimento di determinate attività economiche. Norma fondamentale è quella in materia di municipalizzazionedei servizi pubblici locali, ad esempio l‟attività di gestione dei servizi idrici che era in qualche modo appannaggio di monopolisti privati. Ciò portava distorsioni, allora le municipalità decisero di appropriarsi delle società che erogavano questi servizi. Questo avviene sulla base di una legge del 1903 in materia di pubblici servizi locali, che consentiva agli enti locali di gestire determinate attività. In generale abbiamo numerosissimi esempi, dagli anni 1960 e anche più avanti, c‟è stata la nazionalizzazione della gestione delle attività elettriche. Sulla base del regime tradizionale dei servizi pubblici dobbiamo trattare due temi: il primo è quello della riserva originaria. In base a queste leggi che prevedevano il trasferimento al potere pubblico lo svolgimento di determinate attività economiche e sulla base dell‟articolo 43 cost. si prevedeva che l‟esercizio di queste attività 112 economiche non potesse essere svolto da soggetti diversi rispetto allo Stato o alle PA. Questo è il meccanismo di riserva: lo svolgimento di quella attività è riservata allo Stato. Evidentemente il meccanismo di riserva creava diritti di monopolio esclusivi, che impedivano a qualsiasi soggetto di operare nel settore economico. Altra caratteristica del regime tradizionale del servizio pubblico è quello della gestione diretta da parte del settore pubblico. La gestione pubblica del servizio che può essere diretta od indiretta. È il settore pubblico che si fa carico della gestione del servizio che può essere gestito direttamente da parte del soggetto pubblico ovvero indirettamente, attraverso un ente pubblico, una persona giuridica distinta rispetto alla PA. Facciamo due esempi. Fino alla fine degli anni ‟80 il servizio ferroviario era gestito da una azienda che faceva parte della PA. Era la stessa PA, ministero dei trasporti, che si faceva carico di erogare il servizio ferroviario. Successivamente nel 1985 l‟azienda autonoma delle ferrovie dello stato è stata trasformata in ente pubblico, in una persona giuridica distinta rispetto al ministero dei trasporti. Addirittura poi ulteriore passo in avanti: l‟ente FS è stato trasformato in SPA (nel 1992) e quindi, la gestione da parte dello stato è divenuta ancora più evidente. Lo Stato per effettuare determinate prestazioni di erogazione dei servizi ferroviari si avvale di una persona giuridica di diritto privato, come è in effetti una SPA. Così anche è accaduto per l’ENEL, costituito con la legge del 1962 in materia di nazionalizzazione delle attività nel settore elettrico. Era un ente pubblico che forniva queste attività di mercato trasformato poi in SPA. Occorre ricordare che la trasformazione degli enti pubblici in SPA è stato il risultato di leggi emanate nei primi anni novanta che hanno previsto la trasformazione in SPA, di tutta una serie di enti pubblici statali che erogavano determinati servizi. Eni Enel, poste italiane Efime altri soggetti. Allo stesso tempo è stata mantenuta in capo a questi soggetti la competenza ad erogare le relative prestazioni di servizio, sulla base di meccanismi diversi, uno era quello della concessione amministrativa. 16/04/2012 Dobbiamo continuare col tema dei servizi pubblici. Il tema dei servizi pubblici lo facciamo riprendendo l‟esposizione contenuta nel manuale. Dobbiamo fissare alcunipunti, che costituiscono anche un po‟ uno sviluppo rispetto alle indicazioni contenute nel libro. Con riferimento al regime generale dei servizi pubblici occorre riprendere qualche considerazione. La esposizione del tema avviene in tre parti. Una prima parte in cui è illustrata la disciplina che generalmente si applica a quelle attività che possiamo ricomprendere nella categoria dei servizi pubblici del regime tradizionale, quello che è prevalso e che era applicato prima delle direttive di liberalizzazione, che dagli anni 1990 hanno interessato anche i nostri mercati. Dopo questa parte sul regime tradizionale vi è una 113 parte che concerne il regime generale che consegue a questo periodo di liberalizzazione dei mercati. Vi è una sorta di rivoluzione per quel che concerne la disciplina dei servizi pubblici in generale. È una evoluzione che può essere illustrata mettendo in evidenza alcuni elementi qualificanti di questa nuova disciplina dei servizi pubblici, mettendo in risalto motivazioni di tipo economico. Vi è poi una terza parte, sintetica, riguarda le discipline speciali che si applicano ai servizi pubblici. Come vi avevo detto, ciascun servizio pubblico rappresenta un mercato a sé stante contraddistinto da una disciplina settoriale specifica e analitica e anche tecnicamente complessa. Non soltanto occorre analizzare le leggi che danno il quadro legislativo di massima che si applica ad una determinata attività che può essere qualificata come servizio pubblico, ma bisognerebbe anche vedere la normativa tecnica, di settore, che è stata adottata dalle varie autorità di regolazione col compito di regolare uno specifico settore. Facciamo un esempio: nel caso della energia elettrica dalla produzione alla vendita, oltre a parlare di alcune leggi generali che danno un quadro di riferimento bisogna parlare delle varie direttive di regolazione che nel corso del tempo ha emanato l‟autorità di regolazione, in particolare l‟Autorità per l‟energia elettrica e il gas. Naturalmente l‟analisi settoriale cerca di fare capire come funziona uno specifico settore e poi dà delle chiavi di lettura per interpretare ed inquadrare la disciplina dei settori. Partendo del regime tradizionale, ho già anticipato qualcosa, si caratterizzava innanzitutto per un regime di riserva. Alcune attività considerate come servizi pubblici non potevano essere svolte da soggetti diversi rispetto al potere pubblico,allo Stato, o alle autorità e agli enti locali. In questi settori operava il regime della riserva originaria. Lo stato riservava a sé lo svolgimento di queste attività economiche, indipendentemente dal fatto che ci fosse un assetto monopolistico, che fossero caratterizzate da monopoli naturali che impedivano che il mercato potesse avere un assetto di tipo concorrenziale. In secondo luogo, dopo il meccanismo della riserva originaria, il tratto essenziale è che queste attività erano gestite direttamente dallo stato e da enti pubblici o indirettamente, avvalendosi di soggetti, di imprese, enti pubblici, che avevano la specifica missione di fornire ai cittadini, utenti, agli utenti determinate prestazioni di servizi. Questi soggetti erano soggetti pubblici, enti pubblici economici, a partire da un certo punto anche SPA in cui per legge sono stati trasformati in enti pubblici economici per l‟erogazione di certi servizi. Facciamo il caso di ENEL. Nel libro sono ricordati molti esempi. Nel 1963 le attività del settore elettrico sono state oggetto di nazionalizzazione, sono state trasferite imperativamente allo Stato. Lo Stato svolgeva queste attività tramite ENEL, ente pubblico economico, certo grado di economicità. Dai primi anni 1990 è stato trasformato in società per azioni. Oggi è una società per azioni quotata in cui lo Stato detiene una posizione di maggioranza relativa; ancora 114 oggi ENEL è una società per azioni sottoil controllo dello Stato, sia pure tramite quota di ENEL posseduta tramite società holding. Questo regime di gestione indiretta avveniva spesso tramite lo strumento giuridico del tutto particolare: la concessione. La concessione è un atto che da un lato costituisce un provvedimento amministrativo perché viene deciso unilateralmente dallo stato, dall‟altro lato regola un rapporto economico tra il soggetto concedente e concessionario, per cui contiene anche delle previsioni che ricordano nuovi contratti di diritto privato. Con la concessione lo Stato trasferiva ad un soggetto diverso, nell‟esempio precedente ENEL e altri settori, il potere di gestire determinate attività economiche. Questa prerogativa era gestita da un soggetto diverso dallo Stato pur sempre sottoposto al controllo dello Stato o di enti pubblici. La concessione aveva l‟effetto di garantire un diritto esclusivo al concessionario. Lo Stato, tramite la concessione, trasferiva ad un soggetto (o una pluralità di soggetti) il potere di svolgere determinate attività economiche. Esempio per rendere concreto quello che vi sto raccontando. Nel 1992 c‟è stata una legge che trasforma in SPA vari servizi pubblici: ENEL, ENI, Ferrovie dello Stato, Poste Italiane e così via. Si è posto il problema di come questi soggetti potessero continuare a svolgere la loro attività. All‟epoca si decise di utilizzare lo strumento della concessione. Mentre in precedenza era la legge istitutiva dell‟ente, di ENEL, ENI, poste italiane, dopo la loro trasformazione in società per azioni il loro potere di svolgere attività economiche era garantito mediante concessioni che lo Stato accordava a questi soggetti. Diritto esclusivo di svolgere quelle determinate attività. Non solo, era previsto che questi soggetti rimanessero nella sfera di controllo dello Stato, erano stati trasformati in società per azioni, si era avuta una privatizzazione della forma giuridica di soggetti che gestivano servizi pubblici. Ma non si è verificato il trasferimento di questi soggetti ai soggetti privati. Una cosa è la privatizzazione formale trasformazione di enti pubblici in soggetti di diritto privato; altra è a privatizzazione sostanziale (soggetti fuoriescono dalla sfera del controllo dello stato, per essere assoggettati al controllo di soggetti privati). Questo era un regime monopolistico, nel senso che in ciascun mercato dei servizi pubblici non vi era concorrenza, ma lo Stato gestiva questi servizi pubblici, direttamente o indirettamente. Un assetto monopolistico in cui la concorrenza era del tutto assente. Questo perché lo Stato, attraverso questo regime monopolistico, (concessioni, gestione diretta) è in grado di avere il controllo diretto della qualità, della quantità dei servizi pubblici che venivano erogati ai cittadini; poteva avere un controllo, delle finalità sociali che evidentemente stanno alla base dell‟erogazione dei servizi pubblici. Lo Stato decide quali servizi pubblici potevano essere forniti e garantiti ai cittadini, controllare i prezzi.Soprattutto aveva anche un controllo della gestione delle attività dal punto di vista dello sviluppo economico e sociale del paese, per investimenti che devono essere effettuati. 115 Gli obiettivi sociali che stanno alla base dell‟ erogazioni di questi servizi erano decisi dallo Stato. Lo Stato decideva lo svolgimento di determinate attività economiche, orientandole in modo molto forte. È chiaro che questo regime di monopolio era in contrasto con le regole che abbiamo visto nella nostra costituzione, articolo 41 si prevede la libertà di iniziativa economica e privata, e anche a livello comunitario dove si prevedeva, come regola principale per tutti i mercati unici, quello della concorrenza, principio concorrenziale. Si poneva quindi questo problema di aprire anche i mercati dei tradizionali servizi pubblici alla concorrenza; allo stesso tempo garantendo quelle finalità sociali connesse all‟erogazione di determinati servizi pubblici. Due obiettivi in contrasto tra di loro e che, nel regime tradizionale il problema veniva risolto questo problema in modo semplice, mediante un regime di gestione diretta monopolista da parte dello Stato. Si tratta di coniugare le ragioni di libera iniziativa economica, concorrenza, con gli obiettivi sociali connessi allo svolgimento di determinati servizi. Occorre dire che questo contrasto tra l‟apertura alla concorrenza e gli obiettivi sociali che stanno alla base dell‟erogazione di queste attività è stato risolto dopo molti anni dalla sottoscrizione del trattato istitutivo delle CE. Per molti anni,infatti, è stato mantenuto in piedi il regime monopolistico tipico dell‟erogazione dei servizi pubblici. Vi sono due norme del trattato, che hanno l‟obiettivo di mantenere la gestione diretta dei servizi pubblici. Vi è una regola che afferma che è indifferente se quella attività imprenditoriale sia gestita da un soggetto pubblico ad un soggetto privato. Principio che sostanziamente sancisce lairrilevanza della proprietà pubblica o privata di una determinata impresa (articolo 295). È irrilevante se una impresa è in mano ad un soggetto privato a patto che siano applicate le medesime regole, nel caso in cui è di proprietà di un soggetto pubblico o nel caso in cui sia di proprietà di un soggetto privato. L‟altra regola è l’articolo 106 del trattato su funzionamento dell‟UE che prevede una deroga all‟applicazione dei principi in materia di concorrenza, a favore delle imprese in cui soggetti erogano servizi pubblici. ricorderete, su questo torneremo, in base all‟articolo 106, è previsto che le regole in materia di concorrenza, si applichino dei confronti dei soggetti che operano nei servizi di interesse economico e generale nei dei limiti in cui le regole sulla concorrenza non impediscano di assolvere la specifica missione di interesse generale che è loro affidata. In base a questa norma del trattato, se il perseguimento di un obiettivo sociale, da parte di una impresa contrasta con il regime generale concorrenziale, allora è necessario prevedere una deroga, non applicare il regime concorrenziale a questa impresa, per consentirle di assolvere lo specifico compito di interesse generale che è stato ad essa assegnato. Leggiamo l‟articolo 106 al paragrafo 2 così avete un riferimento più preciso: “Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale, sono sottoposte alle norme dei trattati, ed in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme 116 non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata”. Se l‟applicazione delle regole di concorrenza può impedire il raggiungimento di determinate finalità sociali decise dallo stato o dalle amministrazioni pubbliche, allora le regole di concorrenza non si applicano, abbiamo un regime speciale che si applica a questi soggetti. Soltanto a partire dagli anni 80 e 90 si è avuta la coscienza che per attuare i principi di libertà all‟interno del mercato europeo, andassero liberalizzati anche questi settori dei servizi pubblici. Sono state emanate direttive di liberalizzazione,che hanno posto in discussione, e hanno soppresso, sia pur gradualmente, i regimi di riserva originaria che caratterizzavano i mercati europei. Primo esempio riguarda il servizio delle telecomunicazioni, uno dei primi aperti ad un regime maggiormente concorrenziale. Piano piano sono seguito anche altri servizi: settore elettrico, distribuzione di gas, servizi postali, trasporto ferroviario e così via. I vari settori considerati come servizi pubblici sono stati oggetto di direttive di liberalizzazione. Fa eccezione il trasporto pubblico su gomma (trasporto locale) perché è stato fatto oggetto di una materia specifica e settoriale all‟interno del trattato dell‟UE, in cui fa anche eccezione la gestione dei servizi idrici, mai stata oggetto di liberalizzazione a livello comunitario.Tutti gli altri settori sono state oggetto di direttive di liberalizzazione, ciascun mercato andava liberalizzato sia pure gradualmente. Cosa vuol dire liberalizzazione? Si è attuata gradualmente, non è che immediatamente c‟è stata una direttiva che prima si basava sulla legge di nazionalizzazione delle istituzioni Enel, mercato monopolistico, da un giorno all‟altro diventasse concorrenziale. La liberalizzazione è stata graduale, tant‟è che alcuni mercati non sono stati liberalizzati. Come si è arrivati a questa liberalizzazione? Innanzitutto sono stati soppressi i regimi di riserva originaria. Si è previsto che quelle leggi che prevedevano che il servizio potesse essere svolte dallo stato e amministrazioni pubbliche dovessero essere annullate; ciò a causa di un recepimento delle varie direttive comunitarie di liberalizzazione. Secondo passaggio importante è stato quello di prevedere che determinate fasi che prima venivano svolte da un unico soggetto, dal monopolista legale, potessero essere svolte da soggetti diversi. Si è distinto, a livello comunitario, tra le varie fasi della filiera che contraddistinguono un certo servizio pubblico. Facciamo l‟esempio gas e dell‟energia elettrica. Il regime di riserva originaria prevede che ENEL producesse energia elettrica, la distribuisse a livello locale, e poi si occupasse della vendita dell‟energia elettrica aivari utenti; monopolio verticalmente integrato. Con le direttive di liberalizzazione ci si rende conto che ciascuna di queste attività può essere ritenuta separata dall‟altra dal punto di vista tecnico,e, per ciascuna di queste attività può essere individuato un mercato distinto. 117 Altro esempio: gas naturale. Eraassegnato in regime di monopolio a ENI, svolto tramite società controllate dallo stesso ente, il settore monopolistico ricomprendeva la produzione di gas naturale, la ricerca, la prospezione e distribuzione di idrocarburi, l‟approvvigionamento, il trasporto del GAS tramite il sistema di gasdotti nazionali, la sua distribuzione a livello locale e la vendita. Queste attività erano giunte in monopolio a ENI, in luogo anche qui ciascuna di queste fasi è stata trattata dal punto di vista normativo come un mercato distinto. Questo perché, per alcune di queste fasi, è possibile che il mercato si sviluppi in senso concorrenziale. Soltanto in alcune fasi della filiera sono presenti situazioni i che si contraddistinguono come monopolio naturale. Nel caso dell‟energia elettrica, soltanto la fase di produzione e trasmissione è monopolio naturale. In questa fase dell‟attività è necessario avere la gestione di una rete infrastrutturale, è una fase dell‟attività che si contraddistingue, che si caratterizza per essere monopolio naturale. Le fasi di attività a monte e a valle, di trasmissione e distribuzione non sono monopolio naturale e possono essere liberalizzate, così come è stato fatto nel corso del tempo. Per questi settori che possono essere liberalizzati, si passa da un regime di concessione ad un regime di accesso al mercato diverso, in cui o prevale una libertà di accesso al mercato da parte di qualunque soggetto, ma questo avviene soltanto raramente, ovvero è prevista non tanto una concessione, ma autorizzazione o licenza per lo svolgimento dell‟attività da parte dell‟impresa. Mentre nel vecchio regime per svolgere una attività di servizio pubblico era necessario ricevere una concessione da parte dello Stato, cioè un atto col quale lo Stato trasferiva al privato il potere di svolgere attività economica, nel regime liberalizzato basta che lo Stato rilasci autorizzazione, strumento amministrativo più semplice rispetto alle concessioni. L‟autorizzazione è rilasciata purché l‟impresa possegga determinati requisiti che la rendono idonea ad operare in un determinato mercato. In altri settori, ad esempio nelle telecomunicazioni, abbiamo un regime di autorizzazione generale. Viene emanato un atto generale sulla cui base ciascuna impresa può accedere al mercato. Però, anche questo regime di liberalizzazione e apertura al mercato dei servizi pubblici si pone il problema di garantire la fruibilità di questi servizi pubblici generale da parte dei cittadini, si pone il problema di garantire che lo svolgimento di queste attività non sia completamente assoggettato alle regole del mercato, ma che vengano assicurati obiettivi sociali che stanno alla base di determinate attività economiche. Nel caso dell‟energia elettrica il fatto che ciascun cittadino abbia diritto di essere allacciato alla rete di distribuzione dell‟energia elettrica, abbia il diritto di ricevere l‟energia elettrica a prezzi non eccessivi, nonostante i costi che possono essere connessi all‟erogazione del servizio in determinate situazioni. Uguale discorso può essere fatto per il gas naturale e servizi idrici. 118 Questi obiettivi sociali, in precedenza, erano gestiti dallo Stato che si faceva garante dello svolgimento di queste attività economiche. Lo Stato può aprire il mercato alla concorrenza, lo Stato da imprenditore nei servizi pubblici diventa regolatore. Si riserva il ruolo di stabilire quali siano le regole che devono essere rispettate per lo svolgimento di queste attività economiche che prima erano riservate allo Stato e alle amministrazioni pubbliche. L‟attività di regolazione è svolta spesso tramite le autorità amministrative indipendenti. Come vedete, passaggio importante da mettere in evidenza, con le direttive di liberalizzazione, si ha un mutamento del ruolo dello stato che diventa regolatore dei vari settori considerati, sulla cui base le varie imprese che hanno accesso al mercato dei servizi pubblici devono fornire ai cittadini, agli utenti. Altro intervento di regolazione che può riguardare l‟apertura dei mercati dei servizi pubblici alla concorrenza, stabilisce anche le misure di regolazionechegli stati membri devono assumere per l‟erogazione di quei servizi pubblici. Vari obiettivi ricordati anche nel libro. Parto dall‟ultimo, obiettivo di tipo sociale.la regolazione mira ad assicurare che nonostante l‟apertura dei mercati, determinate garanzie vengano soddisfatte: determinato livello di qualità dei servizi, un certo livello di prezzo, gestione generalizzata; il fatto che il mercato non sia abbandonato alla concorrenza. Una delle altre misure di regolazione mira a superare il problema del fatto che determinate fasi dello svolgimento dell‟attività di servizio pubblico sono di tipo monopolistico. Determinate fasi della filiera dello sviluppo dell‟energia elettrica sono gestite dalla presenza di infrastrutture di rete non duplicabili di proprietà di un unico soggetto. Problema che si deve porre il regolatore, sulla base dell‟ apertura dei mercati alla concorrenza, è evitare che la presenza di situazioni monopolistiche possa intralciare lo sviluppo della concorrenza in quei settori che possono essere liberalizzati. Garantire che tutti i soggetti abbiano accesso a condizioni eque e non discriminatorie all‟infrastruttura essenziale. Attualmente l‟attività di vendita dell‟energia elettrica (ci sono un sacco di offerte per passare al mercato libero) è liberalizzata. Chi vuole vendere energia può farlo nei confronti dei cittadini. Per poter fornire l‟energia elettrica, occorre che l‟energia elettrica passi anche attraverso la rete di distribuzione nazionale e locale. Occorre che il fornitore di energia elettrica abbia accesso alla rete di distribuzione nazionale e anche alla rete locale. Primo compito del regolatore è stabilire le condizioni di accesso alle reti da parte delle imprese che operano sui mercati liberalizzati. Altro esempio nel gas naturale. L‟attività di vendita del gas naturale è ormai liberalizzata. Chi vuole vendere gas all‟utente deve aver accesso non solo alla rete dei gasdotti nazionali, ma anche alla rete di distribuzione locale. Occorre quindi che il regolatore stabilisca le condizioni di accesso alla rete in modo equo e non discriminatorio, per impedire che il proprietario 119 della rete, determini condizioni di accesso alla rete che possano ostacolare lo sviluppo della concorrenza nei mercati liberalizzati, nei mercati a valle. Si avverte questo problema a richiamo di una situazione in cui il mercato dei servizi pubblici costituiva un monopolio integrato. L‟ex monopolista pubblico è anche, spesso, proprietario della rete che serve ai concorrenti del monopolista pubblico per poter svolgere i servizi a valle. Monopolista pubblico non solo è proprietario delle reti, ma è anche presente nei mercati a valle. Ha interesse a rendere particolarmente oneroso, gravoso l‟accesso alle reti da parte dei concorrenti. Prime misure di regolazione da parte delle autorità indipendenti hanno ad oggetto l‟accesso alle reti. Fare in modo che la necessità di avere accesso alle reti non costituisca un impedimento, un ostacolo allo sviluppo della concorrenza. Non soltanto questo tipo di intervento è necessario, rendere neutrale dal punto di vista concorrenziale l‟accesso le reti, ma è necessario un intervento che serva per favorire le imprese che si affacciano ai mercati liberalizzati. Nei nostri mercati nazionali veniamo da una situazione in cui vi è l‟ex monopolista che ha una posizione dominante sul mercato, e potrebbe facilmente ostacolare il dispiegamento della concorrenza sui mercati, è necessario che, per sviluppare la concorrenza, la posizione dominante dell‟ex monopolista pubblico venga smantellata. O comunque venga favorito l‟accesso al mercato da parte dei nuovi entranti. Questo è il motivo per cui nella prima fase della liberalizzazione sono state adottate misure asimmetriche. Misure che prevedevano una cessione di capacità produttiva, quote di mercato da parte dell‟ex monopolista pubblico in favore dei nuovi entranti sui mercati, e allo stesso tempo prevedevano che questi nuovi entranti potessero godere di posizioni di particolare vantaggio, particolare privilegio, nell‟accesso allo stesso mercato. È per questo che sono misure asimmetriche: misure di regolazione che tendono a favorire un competitore rispetto all‟altro, questo in considerazione del fatto che il mercato è contraddistinto dalla presenza dell‟ex monopolista pubblico che ha una posizione dominante. È per questo che è necessario favorire i concorrenti dell‟ex monopolista pubblico. Altro tipo di misura tipica nel settore dei servizi pubblici, e che tende a favorire l‟affermazione di un regime concorrenziale nel settore dei servizi che possono essere liberalizzati, è diretta ad impedire i cosiddetti sussidi incrociati. Ciò riguarda il fatto che l‟ex monopolista pubblico possa sovvenzionare condizioni di offerta particolarmente vaste, convenienti nei mercati liberalizzati, con i proventi che ottiene nei mercati ancora monopolistici. Facciamo un esempio. Nell‟ aprire i mercati alla concorrenza nel settore del gas naturale, si corre il rischio che l‟ex monopolista, ostacoli la concorrenza nel settore della vendita offrendo condizioni particolarmente vantaggiose, antieconomiche, sovvenzionando queste condizioni con i profitti che ottiene nel settore di attività nei quali è ancora monopolista, nel settore della distribuzione, caratterizzato dalla presenza di monopolio naturale. 120 Attraverso la distribuzione, il distributore del gas, sovvenziona tariffe di vendita del gas particolarmente basse, convenienti, si attua così un sussidio incrociato tra distribuzione e vendita del gas che impedisce che nel settore della vendita si sviluppi la concorrenza. Come si fa a superare il problema dei sussidi incrociati? La prima misura consiste nel disintegrare gli ex monopolisti verticalmente integrati: imporre la separazione societaria, funzionale ed organizzativa, delle società che operano in tutte fasi della filiera dell‟attività economica. In tutti i settori, nella maggior parte dei settori, sono previste misure di separazione societaria e organizzativa. Esempio nella vendita del gas naturale: chi opera nel settore deve vendere gas naturale con una società separata rispetto a quella che si occupa della distribuzione del gas naturale. Occorre che i soggetti che operano in questi settori svolgano le attività tramite soggetti distinti, autonomi. Le autorità di regolazione hanno di volta in volta adottato direttive per la separazione societaria dei vari soggetti che prima operavano in modo verticalmente integrato. Queste misure di separazione societaria non risolvono tutti i problemi. Anche se è previsto questo obbligo, nulla vieta che le due società autonome l‟una rispetto all‟altra siano proprietarie del medesimo azionista, ciò avviene ancora oggi. Facciamo un esempio. ENI è presente in tutte le fasi della filiera del gas naturale anche se l‟autorità di regolazione e le direttive comunitarie hanno previsto misure di separazione contabile e societaria, quindi l‟obbligo per il gruppo ENI di essere presenti nelle varie fasi della filiera con società separate e autonome; ciò non toglie che queste società facciano parte al medesimo gruppo. Non c‟è un obbligo di separazione di tipo proprietario. Mediante queste misure di separazione societarie di tipo contabile si rendono più trasparenti i sussidi incrociati tra una società e l‟altra che fanno parte del medesimo gruppo. È impossibile che vengano eliminate le distorsioni connesse alla mancanza di una vera autonomia, di società che fanno parte delle diverse fasi del servizio pubblico. Questo è il motivo per cui, negli ultimi tempi, si parla di vendita da parte degli ex monopolisti delle società proprietarie delle reti. In Italia la rete di gestione nazionale è di proprietà di una società che si chiama SNAM rete gas, di proprietà del gruppo ENI. Ciò che si discute è che ENI debba dare al soggetto terzo la partecipazione di controllo di SNAM rette gas per renderlo del tutto autonomo, . Altro punto di regolazione che si adotta in questi settori è stabilire le tariffe di accesso alle reti, alle infrastrutture essenziali, stabilite dall‟autorità di regolazione la quale stabilisce quali sono le tariffe di accesso, il costo per l‟accesso da parte dell‟operatore alle infrastrutture essenziali. Bisogna far si che il costo dell‟accesso non abbia effetti anticoncorrenziali nei mercati liberalizzati. Un altro tipo di misure di regolazione riguarda il funzionamento tecnico dei mercati. Mercati che sono stati oggetto di liberalizzazioni distinguendo le varie fasi della filiera, dell‟attività complessivamente integrata, in modo tecnicamente possibile e 121 chiaramente un po‟ artificiale. Dal punto di vista economico è efficiente che vi fosse un unico operatore integrato nello svolgimento di determinate attività. Le varie attività tecniche, distribuzione e vendita dell‟energia elettrica, sono connesse dal punto di vista tecnico l‟una con l‟altra. È necessario quindi che il regolatore adotti misure per impedire che la separazione funzionale tra le varie attività di cui si compone il servizio non crei problemi nell‟erogazione del servizio agli utenti. Per esempio nel momento di crisi negli approvvigionamenti del gas naturale, è necessario che anche se le varie fasi dell‟attività che vanno dall‟approvvigionamento , dall‟importazione del gas fino alla vendita sono separate l‟una dall‟altra, in un momento di particolare deficit, questo non deve provocare il collasso dell‟intero sistema. Oppure si possono creare problemi nell‟approvvigionamento di energia elettrica sulle varie reti di distribuzione. Le varie fasi sono separate ma è necessario che il sistema funzioni in modo che i cittadini non abbiano problemi nonostante il fatto che si possono creare problemi nella fase di trasmissione. Le autorità di regolazione devono incaricarsi di garantire il funzionamento del sistema complessivamente considerato anche se in questo sistema operano più soggetti, ciascuno dei quali si occupa di una fase della filiera rispetto alle altre. Questo è il motivo per cui in questi mercati sono stati previsti delle borse in cui è possibile per i soggetti approvvigionarsi della materia prima in ogni momento in modo da garantire continuamente la fornitura del servizio.Abbiamo la borsa elettrica, quella avvio della borsa del gas naturale. Ci sono misure tecniche per garantire l‟efficiente funzionamento del mercato anche in momenti di crisi di approvvigionamento della materia prima. È necessario che l‟autorità stabilisca l‟organizzazione su questi mercati in modo coordinato. Cosa da evitare, che si creino interruzioni di servizio, e che quindi venga meno la garanzia della continuità del servizio stesso. Infine, il tipo di regolazione più importante è la regolazione che ha obiettivi di tipo sociale: atti a garantire la fruizione uniforme e diffusa di questi servizi essenziali. Oggetto di liberalizzazione,sono misure fondamentali per i cittadini, gli utenti,. Sono servizi che attendono al soddisfacimento di bisogni essenziali, acqua, elettricità, gas trasporti, telecomunicazioni, servizi postali e così via. È necessario che tutti, indipendentemente dai costi associati alla fornitura del servizio, abbiano la possibilità di fruire del servizi a condizioni economicamente sostenibili indipendentemente dalla condizione economica del singolo utente. È chiaro che determinati obblighi di prestazione siano garantiti in ogni caso. A questo si riferisce l‟articolo 106 quando parla di possibili deroghe al mercato concorrenziale, per garantire gli obiettivi sociali alla base di questi servizi.Non solo, l‟articolo 14 del trattato sul funzionamento, introdotto col trattato di Lisbona, è specificamente diretto a questi obiettivi sociali. L‟art. 14 stabilisce che “Fatti salvi l‟articolo 4 del trattato sull‟UE e gli articoli 93, 106 e 107 del presente trattato, in considerazione dell‟importanza dei servizi di interesse 122 economico e generale nell‟ambito dei valori comuni dell‟Unione, nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, l‟Unione e gli stati membri, secondo le rispettive competenze, e nell‟ambito del campo di applicazione dei trattati, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti”. Cosa si stabilisce? Si stabilisce, con l‟articolo 14, che lUE riconosce l‟importanza della funzione sociale, che è connessa all‟erogazione di determinati servizi, e riconosce la possibilità per gli stati membri di prevedere misure dirette a far si che l‟erogazione di questi servizi funzioni in modo corretto, in modo da poter realizzare questi obiettivi economici e sociali. Si riconosce la possibilità di unna regolazione di tipo sociale nello svolgimento di queste attività economiche. Si tratta di una regolazione che ha finalità di tipo redistributivo. Consente ,evidentemente, che la fruizione generalizzata di questi servizi pubblici determinando dei costi ulteriori, supplementari, siano finanziati dalla fiscalità generale. Vengono finanziati in due modi: intanto con i sussidi incrociati, consentendo che la fornitura dei servizi a condizioni non economiche da parte di un soggetto sia finanziata mediante il riconoscimento di diritti esclusivi di quel servizio per un determinato ambito territoriale. Cosa vuol dire? Vuol dire che si riconosce la possibilità che il diritto di monopolio per un determinato ambito territoriale in favore di un determinato soggetto incaricato della fornitura del servizio, in modo che il soggetto possa finanziare la fornitura del servizio a condizioni antieconomiche con i profitti che realizza negli ambiti di mercato maggiormente profittevoli. Questo comporta un sistema regolatorio complesso, in cui in qualche modo è riconosciuta la legittimità sia pure a determinate condizioni, di diritti esclusivi. Sistema regolatorio complesso strutturato in modo da garantire il finanziamento di maggiori costi che soggetti incaricati supportano per garantire la fruizione generale a condizioni accessibili da parte di tutti i cittadini e tutti gli utenti. Un altro punto importante di queste misure di regolazione riguarda la qualità del servizio. Non soltanto va garantita la fruizione generalizzata del servizio, non solo va garantita l‟accessibilità dei prezzi, ma che il servizio sia garantito sia uniformemente sulla base di determinati livelli quantitativi. Da questo punto di vista in Italia è prevista da parte degli erogatori dei servizi l‟adozione delle cosiddette carte dei servizi. L‟autorità di regolazione predetermina in modo uniforme e standard, determinati di livelli qualitativi di erogazione del servizio che devono essere rispettati da parte di imprese che operano sul mercato. Ciascuna impresa deve adottare una carta di servizi, nella quale si obbliga a determinate prestazioni sulla base di determinati standard che diventano vincolanti nei confronti degli utenti. Da questo punto di vista, per quanto concerne il 123 livelloqualitativo del servizio, occorre rispettare standard predeterminati dall‟autorità di regolazione. In Italia nella maggior parte dei servizi pubblici è necessario adottare queste carte dei servizi pubblici che i cittadini devono poter conoscere in modo da sapere qual è il livello dei servizi che dev‟essere loro assicurato. Prevedono meccanismi di rimborso automatico nei casi in cui questi standard nonvengono rispettati dal regolatore. 17/04/12 Ricordavo ieri le misure di regolazione di tipo socialeche vengono adottate per garantire determinati livelli di prestazioni nel settore dei servizi pubblici e soprattutto la fruizione universale del servizio da parte di tutti i cittadini. Siccome questi obiettivi sociali possono comportare dei costi supplementari a carico della società che viene incaricata di gestire il servizio pubblico proprio perché si tratta di garantire le prestazioni nel caso in cui, in un mercato concorrenziale, la prestazione comporterebbe costi eccessivi e sarebbe antieconomica. Abbiamo visto le imprese che offrono servizi di interesse economico generale si trovano costrette, da parte dell‟autorità di regolazione e comunque delle autorità locali che in ogni ambito territoriale svolgono il servizio, ad offrire queste prestazioni anche in situazioni dove non avrebbe interesse ad offrirle. Questo comporta ovviamente dei costi supplementari che occorre in qualche modo finanziare. Facciamo un esempio relativo ai servizi di trasporto pubblicolocale, si parla di razionalizzazione delle linee di trasporto, tagli e così via. Ci sono, in ambiti territoriali, zone del mercato dove la prestazione del servizio diventa antieconomica, tanto più che il prezzo del biglietto del trasporto pubblico locale viene mantenuto ad un livello tale da poter consentire la fruibilità del servizio per la generalità degli utenti. Ciò comporta costi che devono essere finanziati, le alternative possono essere varie e diverse. In primo luogo un trasferimento di risorse da parte dei soggetti pubblici che hanno interesse alla prestazione del servizio. Si stabilisce, su base contrattuale, quali sono gli obblighi di prestazionea carico della società che deve offrire il servizio in un determinato ambito territoriale e poi si stabiliscono compensazioni monetarieper compensare questi extracosti che la società incaricata sopporta per offrire il servizio in situazioni dove l‟offerta è antieconomica. Un secondo modo è il fatto di riconoscere alla società che offre il servizio pubblico una esclusiva in ambito territoriale. Ciò avviene anche in ambiti di trasporto pubblico locale, ma anche in altri ambiti di mercato, dove l‟impresa incaricata dalla gestione del servizio è in grado di compensare i costi supplementari che supporta per offrire le prestazioni antieconomiche con i profitti che ricava in ambiti di mercato che sono più redditizi e profittevoli. Questo è il sussidio incrociato dell‟offerta. Tutte queste misure di regolazione, che hanno diversi scopi di tipo sociale, per garantire determinati obiettivi che hanno una finalità di tipo redistributivo, cioè 124 sostenere la domanda dei servizi da parte di quelle fasce della popolazione che evidentemente non potrebbero sopportare i costi economici connessi all‟offerta del servizio stesso. Poi ci sono misure di regolazione dirette a favorire la liberalizzazione del mercato. Abbiamo parlato ieri delle misure asimmetriche, che creano dei vantaggi a favore delle imprese che intendono accedere al mercato liberalizzato, ovvero anche quelle misure che intendono favorire e sviluppare la concorrenza nel mercato dei servizi pubblici, sono misure che garantiscono, disciplinano e regolamentano l‟accesso alla rete, infrastrutture essenziali del servizio a condizioni eque e non discriminatorie. Poi abbiamo altre misure di tipo tecnico di regolazione per garantire il funzionamento efficiente dei mercati, nei settori garantiti da regole di funzionamento particolarmente complesse, approvvigionamento di risorse necessarie per garantire l‟offerta del servizio. Abbiamo parlato a questo proposito del mercato dell‟energia elettrica, distribuzione del gas naturale, dove è necessario garantire la continuità del servizio, risorse, materie prime che servono per produrre energia elettrica e gas. Tutte queste misure di regolazione complesse vengono a comporre un quadro regolamentare molto articolato, ormai sempre di più sono affidate a delle autorità indipendenti. Ricordo anche brevemente le leggi che hanno portato alla costituzione di queste autorità competenti nel settore dei servizi pubblici. Legge 481/1995 legge istitutiva delle autorità di regolazione indipendenti, si connette alla legge 474 del 1994, legge sulle privatizzazioni, dove si prevedeva che prima che lo Stato, gli enti pubblici, potessero procedere con la dismissione del controllo di società operanti nel settore dei servizi pubblici, prima di procedere ad una vera e propria privatizzazione sostanziale dei servizi pubblici, che prima era in mano un po‟ allo Stato e amministrazioni pubbliche, lo Stato dovesse costituire nel settore oggetto di liberalizzazione una autorità amministrativa indipendente. Questa norma sanciva proprio quello che vi spiegavo in precedenza. Lo Stato nel momento in cui decideva di cessare la funzione di gestore diretto del servizio pubblico, doveva assumere una diversa funzione, quella di regolatore. Per svolgere questa funzione di regolazione necessaria nell‟ambito dei mercati per coniugare l‟apertura del mercato alla concorrenza con obiettivi sociali che stanno alla base di questi servizi, è affidata questa funzione ad organi appositamente istituiti: le autorità di regolazione. Nell‟istituire queste autorità di regolazione, la legge del 1995 stabiliva diverse finalità dell‟autorità di regolazione. Finalità che sono molteplici, diverse, e anche un po‟ eterogenee, si pongono in contrasto l‟una con l‟ altra. la regolazione deve promuovere la concorrenza, garantire determinati livelli di qualità dei servizi, la diffusione e distribuzione dei servizi in modo omogeneo sull‟intero territorio, deve garantire la tutela degli utenti. I vari obiettivi che vengono fissati in capo al regolatore, sono quelli di garantire la promozione e la concorrenza, allo stesso tempo garantire la fruizione e diffusione del 125 servizio sull‟intero territorio nazionale, sistema tariffario trasparente per garantire l‟equilibrio del gestore, ma deve garantire anche la fruizione del servizio in modo omogeneo sull‟intero territorio. Si pone a carico della regolazione l‟obiettivo di garantire la concorrenza dei mercati, ma anche prevedere misure per garantire la fruizione di accessibilità del servizio. Il regolatore deve contemperare obiettivi che possono essere anche confliggenti fra loro. La legge del 1995 conferisce anche poteri di controllo, poteri precettivi in favore delle autorità amministrative indipendenti, in modo che l‟autorità si possa fare carico della regolazione complessiva in un determinato settore. Al regolatore è assegnato il compito non solo di prevedere le norme di regolazione sulla base della cornice legislativa che si applica nel settore,ma anche poteri di dirimere le controversie fra gli utenti e gli operatori del settore La legge del 1995 in realtà nell‟istituire questa regolazione poi prevedeva soltanto la istituzione dell‟Autorità per l‟energia elettrica e il gas. Successivamente, nel 1997 è stata istituita l‟Autorità per le Garanzie e Telecomunicazioni. All‟epoca, con la legge del 1995, era previsto che venissero istituite attività di regolazione nei servizi idrici, postale e settore dei trasporti. Poi questa ipotesi è stata abbandonata, nel tempo non è mai stata attuata salvo che recentemente perché, dal 1995 ad oggi non sono mai state istituite autorità di regolazione nei servizi idrici, postale e nel settore dei trasporti, in realtà vi era un complesso di regole che venivano emanate da vari livelli istituzionali. Solo recentemente, in base ai decreti legge di liberalizzazione, si è prevista l‟istituzione di una Autorità dei Trasporti,l‟anno scorso era stata istituita una Autorità di regolazione nel settore dei Servizi Idrici, però poi è stata soppressa e le sue funzioni sono state assegnate all‟Autorità per l‟energia elettrica e il gas. Soltanto recentemente si è completato il quadro delle autorità di regolazione nel settore dei servizi pubblici. D‟altro canto, in alcuni settori strategici, sempre di più si è visto come fosse necessario che anche lo Stato intervenisse in questi settori per far fronte a momenti di crisi nella fornitura di questi servizi, sicché si è assistito anche ad una erosione dei poteri attribuiti alle autorità amministrative indipendenti, mediante la previsione dei vari poteri riconosciuti ai vari organi dello stato, poteri di indirizzo strategico della attività delle autorità di regolazione, o addirittura poteri di tipo sostitutivo, sono stati riconosciuti interventi all‟amministrazione statale nel caso in cui l‟autorità di regolazione non emanasse in tempi prestabiliti determinati atti. Questa esigenza si è manifestata per indirizzare il funzionamento di determinati mercati particolarmente importanti come quelli energetici, in linea con quella che è poi la politica economica generale da parte del governo. Dal punto di vista istituzionale le autorità amministrative indipendenti dovrebbero svolgere i loro compiti di regolazione in modo del tutto indipendente e autonomo rispetto al potere politico. 126 Questa erosione dei poteri delle autorità amministrative indipendenti negli ultimi 4-5 anni, in realtà va un po‟ in contrasto con gli indirizzi legislativi a livello comunitario. Nelle direttive di ultima generazione si prevede che nei mercati istituzionali devono esserci autorità indipendenti rispetto ai governi nazionali, indipendenti sia rispetto ai governi nazionali, ma anche rispetto agli operatori del settore, si devono mantenere posizioni di terzietà, indipendenza. Ricordiamo che, come dicevo ieri, la liberalizzazione dei mercati dei servizi pubblici è avvenuta sull‟impulso di direttive comunitarie che si sono succedute nel tempo. Come ricordavo anche, questo processo di liberalizzazione è stato graduale. A queste direttive degli anni ‟90 ne sono succedute altre, evidentemente hanno continuato questa opera che consiste nel prevedere misure di sempre maggiore apertura dei servizi pubblici alla concorrenza. Ad esempio, nei mercati dei servizi elettrici, si è stabilito che la quota di mercato degli utenti finali della vendita di energia elettrica dovesse essere aperta alla libera concorrenza. All‟inizio si prevedeva che soltanto i grandi utenti di energia elettrica potessero avere il potere di condizioni di fornitura dell‟energia elettrica liberalizzata (circa il 50%) poi si è aperta la concorrenza anche nei clienti domestici, questo è fatto progressivamente tramite quote da liberalizzare che aumentarono nel corso del tempo. Vediamo adesso qualche cenno su queste discipline speciali nei vari settori: energia elettrica, servizi postali, telecomunicazioni e trasporto. Dirò qualcosa anche sul settore dei servizi idrici. Energia elettrica e gas. Bisogna partire dal regime originario della riserva, della nazionalizzazione dei servizi, legge 1643/1962 che aveva previsto la nazionalizzazione dei servizi elettrici e quindi la riserva di tutte le attività in favore di un ente pubblico, ENEL poi trasformato in SPA. Il diritto comunitario ha poi imposto profonda modificazione di questo regime. Il che è avvenuto con a tutta una serie di direttive, la prima della quale è una del 1996, poi a questa ne sono seguite altre, secondo e terzo pacchetto energia, del 2003 e 2009, abbastanza recente. Ciascuna di questa direttiva è stata recepita nel nostro ordinamento con leggi dello Stato, decreti legislativi. Dobbiamo ricordare il decreto legislativo 79/1999 che ha recepito la prima direttiva di liberalizzazione,e poi la legge Marzano, 239 del 2004 che ha recepito la seconda direttiva di liberalizzazione. È importante ricordare come alla base dell‟apertura dei mercati e della concorrenza vi è una attività legislativa sia di livello comunitario e poi con il recepimento da parte del nostro legislatore nazionale. Le direttive hanno stabilito una separazione tra le diverse fasi del servizio. Abbiamo vanno considerate separatamente la produzione, la trasmissione, la gestione della rete di trasmissione, l‟attività di distribuzione a livello locale e la vendita. L‟attività di produzione di energia elettrica è considerata libera. Abbiamo misure di tipo asimmetrico che tendevano a diminuire il potere di mercato degli ex monopolisti pubblici. Si sono previste delle misure legislative in base alle quali ENEL SPA dovesse cedere mediante delle aste la propria capacità produttiva. 127 Veniva stabilito, nelle varie leggi succedute nel tempo, un tetto massimo di capacità produttiva che può essere detenuto da un singolo produttore (tetto del 50%). ENEL costretta a vendere la propria capacità produttiva vendendogruppi di centrali di produzione ai propri concorrenti. Sono state fatte delle gare, delle aste delle centrali ex ENEL comprate da gruppi dell‟ex monopolista pubblico, un esempio è ENIPower, società vendute mediante procedure di asta, privatizzazione, che erano proprietarie di un certo numero di centrali che già appartenevano all‟ex monopolista pubblico. Sono state poi adottate nel corso del tempo, misure dirette a favorire la costruzione e gestione di nuove centrali di produzione di energia elettrica, mediante meccanismi di autorizzazione unica, prevedendo un‟unica procedura autorizzativa relativa alla costruzione della centrale, in modo da snellire i vari provvedimenti burocratici necessari per completare la costruzione della centrale. Nonostante l‟autorizzazione pubblica l‟iter è molto lungo e complesso. Abbiamo poi l‟attività di trasmissione, consiste nel far viaggiare l‟energia elettrica sulle grandi reti di trasmissione, sulle grandi dorsali in alta tensioneche attraversano il nostro paese. Oltre l‟attività di trasmissione è prevista anche quella di dispacciamento, misure complesse. Sono misure tecniche, emanate dal regolatore, dirette a garantire l‟esercizio coordinato degli impianti di produzione e delle reti di trasmissione, che sia immessa nelle reti un quantitativo di energia diretto, giorno per giorno, a soddisfare la domanda. Per garantire questo obiettivo è necessario che l‟energia elettrica venga immessa sulla rete da parte degli importatori in modo coordinato, visto che la rete di trasmissione è unica,che non vi siano né eccessi di offerta, né deficit nella domanda. Per questo bisogna adottare misure di dispacciamento, che garantiscono l‟esercizio coordinato non solo degli impianti di produzione ma anche della rete di trasmissione. La rete è unica, è una attività di monopolio naturale, che è oggetto di un regime di riserva, affidata in concessione ad soggetto che è il gestore della rete di trasmissione nazionale. Questo soggetto si chiamava ERGR, soggetto costituito e di proprietà di ENEL spa che era anche proprietaria della rete di trasmissione nazionale. L‟ex monopolista pubblico era non soltanto attivo nella produzione distribuzione e vendita, ma anche proprietario della rete di trasmissione e gestore della rete di trasmissione nazionale. Un problema quindi di potere di mercato del monopolista pubblico, che poteva pregiudicare quanto meno intralciare lo sviluppo della concorrenza in quegli ambiti di mercato che potevano essere liberalizzati. Prima del 2004 avevamo una situazione in cui la gestione della rete era assegnata ad un soggetto sottoposto al controllo di ENEL ma distinto, mentre la proprietà della rete di trasmissione rimaneva in capo a ENEL. Nel 2004 è stata istituita la società Terna, a cui è stata trasferita la proprietà di trasmissione, e alla quale sono stati assegnati i compiti di gestione della rete di trasmissione nazionale. Terna è fuoriuscita dal controllo di ENEL, è controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti. Il gestore della rete di trasmissione ha compiti importanti: allacciare alla rete di trasmissione tutti i soggetti che ne facciano richiesta in base a condizioni 128 tecniche ed economiche stabilite dall‟Autorità per l‟energia elettrica e il gas. Terna (gestore della rete) deve allacciare alla rete di trasmissione gli impianti di produzione. Questo è un problema importante, ci sono centrali di produzione molto importanti, producono tanti megawatt; altri impianti di produzione più piccoli, li troviamo ad esempio nel settore delle energie rinnovabili. Alla rete si allacciano le reti di distribuzione locale, a noi ci interessa di più come cittadini e utenti, abbiamo un monopolio naturale. La rete di distribuzione locale è una, l‟attività di distribuzione per essere efficiente ha una determinata scala minima, oggi in realtà Enel è stata costretta a cedere le reti di distribuzione locale a soggetti concorrenti. A Genova Enel ha ceduto la rete di distribuzione locale ad Iren. Il gestore che si occupa di gestire la rete, medio bassa gestione che arriva alle casse dei cittadini è unico (monopolista), l‟attività viene svolta sulla base di una concessione rilasciata dal ministero dello sviluppo economico su base trentennale; il gestore, il distributore locale dev‟essere indipendente sotto il profilo organizzativo e decisionale, e si pone quel problema visto ieri della separazione societaria fra i soggetti che pur appartenendo ad un medesimogruppo si occupano delle diverse fasi dei servizio. Dietro Iren avremo una società distinta autonoma, rete di distribuzione locale, che è distinta, separata rispetto alla società che si occupa della vendita dell‟energia elettrica ai clienti finali. Vi è una separazione di tipo societario, amministrativa e contabile. La società proprietaria che si occupa della vendita fa parte del medesimo gruppo ed evidentemente non è autonoma. Per garantire la disponibilità dell‟energia elettrica,è stata istituita una borsa elettrica in cui vengono scambiati quantitativi di energia elettrica, in modo da garantire la continuità del servizio. E soprattutto cercare di far si che i prezzi possano scendere sulla base di meccanismi di scambi organizzati nel mercato di borsa in cui gli operatori si scambiano energia elettrica. La borsa elettrica è gestita da una società, Gestore del mercato elettrico sottoposta al controllo del GSE (Gestore dei Servizi Elettrici), società controllata dal ministero dello sviluppo economico. Questo mercato ha la finalità di garantire trasparenza dei prezzi da un lato e dall‟altro lato cercare che i prezzi si formino sulla base di meccanismi di domanda e offerta. Fare anche in modo che i fornitori possano avere sempre disponibilità di energia elettrica. Passiamo all‟attività di vendita. La vendita è stata liberalizzata gradualmente, ma ancora oggi permangono forme di tutela per soggetti deboli sul piano contrattuale, i clienti domestici e le piccole imprese. Mentre il mercato è generalmente liberalizzato, c‟è una quota molto consistente che costituisce il Servizio di maggior tutela, può decidere di non passare all‟offerta di servizio liberalizzata (prezzi che si formano liberamente sul mercato), ma di acquistare servizi elettrici, comprare energia elettrica alle condizioni decise dall‟Autorità per l‟energia elettrica e il gas. Vi è unservizio di maggior tutela in cui la vendita e le condizioni contrattuali della vendita sono stabilite da parte dell‟autorità di regolazione fino al momento in cui 129 l‟utente non decide di passare al libero mercato, valutando le offerte che vengono proposte dagli operatori. Un utente può anche decidere di entrare nel libero mercato ma anche di uscirne e rientrare nel servizio di maggior tutela, regime di prezzi amministrati e condizioni contrattuali decisedall‟autorità per l‟energia elettrica e il Gas. I contratti nell‟ambito del servizio di maggior tutela stipulati tra l‟impresa di vendita e i clienti sono contratti che ricalcano le condizioni contrattuali che sono decise dall‟ ‟autorità. Negli altri casi, quando uno opta per il libero mercato sottoscrive un contratto che è stato predisposto dall‟operatore a condizioni contrattuali stabilite dall‟operatore, in un regime che dev‟essere concorrenziale. Come viene garantito questo servizio di maggior tutela sul piano della fornitura? Si tratta di clienti che hanno decisodi non concludere un contratto sul libero mercato, ma vogliono mantenere le condizioni standard prefissate dall‟Autorità per l‟energia elettrica e il gas, è un meccanismo complesso che funziona mediante la attività di un soggetto, acquirente unico, controllato dal gestore dei servizi energetici, da GSE spa,che si si occupa di acquisire sul mercato dai produttori approvvigionamenti di energia elettrica tali da soddisfare la domanda di energia elettrica dei clienti tutelati per un certo periodo di tempo. L‟acquirente unico anche operando su base pluriennale, programma la domanda di energia elettrica e espressa dal mercato in maggior tutela, e poi va sul mercato e acquisisce capacità di produzione di energia elettrica per acquisire domanda di fornitura espressa dagli utenti che decidono di rimanere in questo regime amministrato. Nel corso del tempo a livello di produzione, sono stati creati obblighi di diversificazione della capacità produttiva. Da questo punto di vista dobbiamo distinguere tra fonti energetiche rinnovabili efonti non rinnovabili. Abbiamo l‟energia idroelettrica, solare, geotermica, energia prodotta da biomasse (combustione di determinate frazioni dei rifiuti urbani) ,energia eolica, energia che non comporta il consumo di idrocarburi, gas. Chiaramente l‟incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è avvenuta sulla base di disposizioni di legge che hanno finalità di tutela ambientale. Cosa si è previsto inizialmente? La direttiva del 2001 prevedeva che i produttori di energia elettrica, dovessero emettere una quota minima di energia prodotta da fonti rinnovabili, sostanzialmente il 2-3% del totale di energia emessa sulla rete di trasmissione doveva essere prodotta da fonti rinnovabili. Questo obbligo di immettere sul mercato la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili poteva essere risolto in due modi. O immettendo sul mercato la quota, producendo energia da fonti rinnovabili; ovvero comprando dei certificati (certificati verdi) che venivano rilasciati ai produttori di energia da fonti rinnovabili. Vi era un certo numero di soggetti che producevano energia da fonte rinnovabili, e a fronte della quantità di energia prodotta il GSE rilasciava dei certificati che potevano essere anche venduti sul mercato, in particolare ai produttori di energia da fonti 130 tradizionali per consentire a questi produttori di soddisfare l‟obbligo di vendere una quantità minima di energia prodotta da fonti rinnovabili. Sempre per ragioni di tipo ambientale, legate al tema dell‟emissione nell‟atmosfera di CO2, ai produttori di energia elettrica di fonti rinnovabili vengono riconosciuti determinati privilegi. Per esempio una priorità per il dispacciamento dell‟energia sulla rete di trasmissione nazionale. L‟energia prodotta da fonti rinnovabili viene immessa sulla rete di trasmissione nazionale con priorità rispetto all‟energia prodotta con le fonti tradizionali. Infine, si discute anche negli ultimi tempi, i produttori da fonti rinnovabili godono di un sistema di incentivazione di sostegno alla produzione che è particolarmente significativo in termini economici. Ai produttori sono riconosciute tariffe fisse, o incentivate. La energia prodotta da fonti rinnovabili veniva ritirata dal mercato, dal GSE, o dall‟ acquirente unico, a prezzi incentivati,ad un maggiore costo, maggiore prezzo di quello che si sarebbe formato sul mercato, questo evidentemente per incentivare la produzione di energia da fonti rinnovabili. Questi prezzi incentivati si scaricano sugli utenti finali perché vengono poi riversati nella bolletta. Oggi come oggi prevalgono regimi di conto energia, in cui chi produce energia da fonti rinnovabili ha diritto ad una sorta di remunerazione costante nel tempo, a prezzi non incentivati ma più o meno in linea con quelli di mercato, e questa remunerazione è riconosciuta indipendentemente dal fatto che l‟energia venga immessa o meno sulla rete di trasmissione; remunerazione riconosciuta dal fatto che l‟energia prodotta da fonti rinnovabili sia effettivamente consumata o meno. Altro tema importante è quello del risparmio energetico, incentivato e sovvenzionato. Ci sono delle leggi che hanno stabilito obblighi di incremento del risparmio energetico a carico dei grandi produttori/distributori di energia elettrica, con l‟obbligo di efficientare le strutture di distribuzione, in modo da realizzare risparmi energetici con minor dispersione dell‟energia elettrica distribuita. Da questo punto di vista e sono state costruite nel tempo società specializzate nel realizzare risparmi energetici, le cosiddette ESCO. A fronte dei risparmi di energia realizzati venivano riconosciuti dei certificati rappresentativi delle quantità di energia risparmiata, titoli rappresentativi dell‟efficienza energetica del distributore, i cosiddetti certificati bianchi. Opera un meccanismo di mercato del tutto peculiare. Viene stabilito un obbligo di risparmio energetico a carico del distributore che può assolverlo risparmiando energia elettrica rendendo più efficiente la propria rete di distribuzione, ovvero acquistando sul mercato certificati bianchi, ovvero titoli di efficienza energetica che rappresentano il livello di risparmio energetico che è realizzato dal distributore più virtuoso. Quello che importa allo stato, al regolatore,alla CEE è il risultato finale, che vi sia una quota complessiva di energia prodotta da fonti rinnovabili, ovvero una quota complessiva di risparmio energetico che viene comunque conseguito. 131 Gas naturale. Abbiamo tutta una serie di direttive, interventi normativi, varie direttive di liberalizzazione che a livello comunitario si sono susseguite nel tempo, all‟inizio avevamo unico monopolista pubblico, ENI, che era ed è tutt‟ora l‟operatore dominante sul mercato in tutte le fasi della filiera nel settore del gas naturale. Nel nostro ordinamento la legge fondamentale è una legge del 2000, il decreto legislativo 264 che ha recepito la prima direttiva di liberalizzazione nel settore del gas naturale. Recentemente è stato emanato un ulteriore decreto legislativo,39/2011 che ha recepito le ultime discipline in tema di liberalizzazione. Al di là di questo, l‟assetto l‟impostazione legislativa è molto simile al mercato dei servizi elettrici. Anche qua sono considerate separatamente le varie fasi dell‟attività di distribuzione del settore del gas naturale a partire dall‟attività di produzione del GAS che nel nostro paese avviene soltanto in minima parte. Consiste nella ricerca di idrocarburi, attività monopolizzata da ENI, oggi è possibile svolgere su base di una concessione ed autorizzazione esclusiva per ricerca e coltivazione di idrocarburi. Dobbiamo distinguere evidentemente varie fasi dell‟attività. Innanzitutto l’importazione, gran parte del Gas è prodotto da paesi terzi, poi trasporto del gas sulle grandi reti ditrasporto, col sistema dei gasdotti nazionali; poi di nuovo il dispacciamento, distribuzione del gas a livello locale, vendita di gas agli utenti finali. Importante è la fase dello stoccaggio. Abbiamo vari tipi di stoccaggio, ad esempio stoccaggio strategico. Stoccaggio significa quell‟ attività di conservazione del gas in determinati depositi, normalmente i giacimenti di gas e altri depositi, serve per garantire l‟offerta di gas in ogni momento, anche in momenti in cui l‟offerta di gas è in calo, per garantire un bilanciamento del sistema dell‟offerta di gas sul nostro mercato. Anche qua, qualunque soggetto che vende gas sul mercato deve avere una determinata capacità di stoccaggio, ma allo stesso tempo i giacimenti sono sostanzialmente pochi, è necessario (siamo in presenza di una infrastruttura essenziale) che venga garantito ai distributori e ai produttori di gas un accesso alla capacità di stoccaggio che è espressa complessivamente nel nostro sistema, sulla base di tariffe di stoccaggio stabilite dall‟autorità di regolazione. Anche qua vi è il problema della presenza dominante dell‟ex monopolista pubblico, anche qua si è proceduto stabilendo delle quote massime di gas che potevano essere immesse nel sistema da parte di un unico operatore. Questo meccanismo delle soglie massime che potevano essere immesse nel sistema da parte di un unico produttore, è stato poi progressivamente abbassato nel corso del tempo. Oggi abbiamo soglie massime variabili, dipendono da una serie di fattori che sono state ritoccate recentemente. È importante ricordare che se un singolo operatore supera queste soglie massime di gas che può immettere sul mercato, è obbligato a vendere la quantità di gas in eccesso agli altri operatori sulla base di aste pubblichea cui gli altri operatori, i concorrenti, possono partecipare. Sono veri e propri programmi di gestione forzosa del gas da parte dell‟operatore dominante, in modo da garantire gli altri operatori, concorrenti, 132 abbiano la capacità di accedere, ed abbiano la disponibilità della risorsa indispensabile per operare sui mercati a valle, della vendita. 23/04/2012 Stavamo parlando del servizio del gas, praticamente stavamo parlando dei vari tetti e volumi di gas che possono essere immessi nel nostro sistema da parte di un unico operatore, tetti diminuiti nel corso del tempo, diretti a consentire che un unico operatore anche tramite le sue società controllate facenti parte del medesimo gruppo abbia una posizione di monopolio nell‟ambito di un determinato mercato. Se si superano certe soglie l‟operatore dominante deve cedere le quantità di gas in eccesso che possono essere destinate alla vendita. La attività di importazione di gas naturale che è strategica nel nostro sistema del gas, dipendiamo dalla materia prima che ci arriva da paesi terzi, con l‟attività di importazione è soggetta ad una mera autorizzazione. Chi importa gas deve dimostrare all‟autorità che autorizza l‟attività, di avere contratti di approvvigionamento, la possibilità di approvvigionarsi sul mercato. Un‟altra condizione importante, occorre dimostrare che chi importa gas abbia una adeguata capacità di stoccaggio, è quella attività di immagazzinaggio in giacimenti naturali del gas che è destinato alla vendita;questi giacimenti naturali che sono sostanzialmente i giacimenti ormai esausti da cui si estraeva il gas destinati alla coltivazione del gas. Questi giacimenti sono indubbiamente pochi nell‟ambito del nostro paese. La maggior parte sono detenuti dall‟operatore dominante, dal gruppo Eniin particolare prima da una società che si chiamava Stogi, oggi confluita nell‟ambito di Snam Rete Gas, la disponibilità dei giacimenti è un ulteriore esempio di infrastruttura essenziale, nel senso che se una impresa vuole operare sul mercato come venditore di gas deve avere accesso ai giacimenti di stoccaggio e al gas stoccato in questi giacimenti di proprietà dell‟operatore dominante. C‟è un intervento da parte dell‟Autorità di regolazioni che deve prevedere le condizioni affinché l‟accesso alla capacità di stoccaggio avvenga a condizioni eque e non discriminatorie. Lo stoccaggio è importante perché è richiesto che ciascun operatore nel settore del gas abbia una certa capacità di stoccaggio. L‟idea è che il gas a disposizione degli impianti di stoccaggio sia in grado di modulare l‟offerta sul mercato anche in situazioni di crisi in cui l‟importazione di gas entra in situazione di deficit. Questa garanzia della fornitura di Gas viene attuata attingendo a queste riserve di gas che sono collocate all‟interno dei sistemi di stoccaggio. Questo sistema del gas naturale deve funzionare in modo da garantire la disponibilità di gas, sia attingendo a gas immesso nel sistema di trasporto, sia attingendo al gas che invece è stoccato negli impianti di stoccaggio. Un‟altra fase della filiera soggetta a regolazione è la distribuzione del gas, fase che riguarda il trasporto del gas dalla rete di gasdotti nazionali alle case dei cittadini. La 133 retedi gasdotti ha varie fonti di allaccio che corrispondono alle reti di distribuzione locali normalmente detenute dalle imprese distributrici. Ciascuna impresa distributriceha una propria rete di distribuzione a livello locale e chi vuole fornire il gas al cliente finale deve avere accesso anche alla rete di distribuzione locale, e quindi si pone un problema di monopolio per quanto concerne l‟attività di distribuzione locale, quindi un problema potenziale di distorsione della concorrenza del mercato a valle nella vendita del gas. Le reti di distribuzione locale sono gestite dalle imprese di distribuzione. L‟ambito dell‟attività di distribuzione è di tipo locale, visto che questo segmento della filiera del gas è monopolistico, nell‟ambito del decreto legislativo del 2000 che disciplina le attività del settore del gas in modo generale, è previsto che il diritto di gestire la rete di distribuzione locale, deve essere messo a gara, deve essere fatto oggetto di una gara a cui possono concorrere le varie imprese di distribuzione nel nostro territorio. Questa è una cosa tipica in questi settori dei servizi pubblici , in certi segmenti della attività dove non è possibile sviluppare la concorrenza nel mercato, si cerca di prevedere una concorrenza per il mercato. Visto che il servizio di distribuzione è di monopolio, (non vi può essere concorrenza nella rete di distribuzione) allora la concorrenza si sposta a livello dell‟ottenimento di gestire l‟attività monopolistica. Si fanno delle gare, procedure competitive concorrenziali tra i vari operatori che concorrono tra di loro per ottenere la gestione del servizio monopolistico: da concorrenza del mercato a concorrenza per il mercato, per il diritto di gestire il servizio in quel determinato mercato. La concorrenza dipende dal fatto che a queste gare, per ottenere il diritto di monopolio, partecipino più operatori che competono fra di loro nelle offerte che formano sia sul piano tecnico, sia sul piano industriale che economico, al fine di ottenere questo diritto monopolistico. Passiamo all‟attività di vendita completamente liberalizzata salvo che per il mercato dei clienti domestici e piccole imprese, dove è previsto, analogamente a quanto abbiamo visto essere previsto nel settore della vendita di energia elettrica, un servizio di maggior tutela dove le tariffe, gli standard qualitativi sono fissati direttamente dall‟autorità di regolazione. Anche qua abbiamo nel settore della vendita un sistema in base al quale determinate categorie di clienti hanno la possibilità di optare per condizioni di vendita di maggior tutela che sono stabilite dall‟Autorità di regolazione, ovvero hanno la possibilità di accedere alle condizioni previste dal libero mercato; si tratterà evidentemente di comparare tra la offerta di mercato libero di gas rispetto a quella garantita dal servizio di maggior tutela. Le condizioni di fornitura del mercato libero diventano più convenienti rispetto al servizio di maggior tutela, se il mercato libero è effettivamente concorrenziale, sul mercato libero si confrontano offerte effettivamente competitive, la convenienza dell‟accesso al mercato libero dipende dal grado di concorrenzialità che si sviluppa in questo mercato. 134 Nel nostro paese vi è la possibilità, per i clienti domestici, di accedere al servizio del gas naturale alle condizioni che si sviluppano nel mercato libero. Questa condizione andrà verificata nei prossimi anni. Per adesso non vi è grande differenza fra i prezzi del mercato libero e gli altri. La regolazione è attribuita all‟Autorità per l’energia elettrica e il gas, indipendente, tre commissari attualmente, prima erano 5, e un presidente, nominati in base ad meccanismo di nomina che garantisce l‟indipendenza dei commissari rispetto alla maggioranza politica parlamentare. I commissari sono nominati dal presidente della repubblica su proposta del ministro competente. Soltanto dopo che la commissione parlamentare competente (dell‟industria) ha espresso un parere favorevole alla nomina della persona con 2/3 dei componenti, con una maggioranza che dovrebbe garantire una sorta di accordo sul nome del commissario sia da parte della maggioranza che della opposizione. L‟autorità ha una certa autonomia finanziaria, organizzazione complessa. Ad essa sono assegnate le attività di regolazione dei servizi idrici. È una organizzazione complessa, finanziata dai contributi posti a carico degli operatori. L‟autorità ha vari compiti. Sono sostanzialmente di tipo consultivo ma anche di amministrazione attiva. L‟autorità è chiamata ad esprimere il proprio parere tutte le volte in cui si tratta di emanare delle leggi, o assumere atti amministrativi che hanno una incidenza, un impatto sul settore del gas naturale. Poteri anche di tipo normativo, regolamentare, poteri propri in quanto autorità di regolazione per molti aspetti. Importantissimo le modalità di accesso e le tariffe di connessione tra le reti, stabilisce le direttive che servono per garantire la separazione organizzativa tra gli operatori del gas che sono verticalmente integrati, che operano in diverse fasi della filiera, tra le misure regolatorie tipicamente usate in questi settori vi è l‟obbligo della separazione amministrativa tra le articolazioni di impresa che si occupano delle diverse fasi della filiera. L‟autorità di regolazione definisce gli standard qualitativi del servizio che devono essere rispettati dagli operatori. Normalmentel‟attività di regolazione è posta in essere dall‟autorità secondo modalità abbastanza innovative, tipiche dell‟autorità di regolazione. Prima di emanare un provvedimento di regolazione, l‟autorità pubblica dei documenti di consultazione, una misura di regolazione, dove sono indicate quali sono le linee guida che l‟autorità intende seguire, chiedendo a tutti soggetti interessati, gli operatori e non solo, di esprimere le proprie valutazioni su questa misura di regolazione che viene proposta. L‟autorità fornisce anche propri chiarimenti, prende posizioni rispetto alle osservazioni che le sono pervenute dai soggetti interessati, e infine adotta il proprio provvedimento, che assume la forma di deliberazioni assunte dall‟autorità, quindi dai tre commissari. Negli ultimi anni questi poteri(di indirizzo, decisionale) che l‟autorità esercita in piena autonomia, sono stati ridimensionati per effetto di una serie di provvedimenti legislativi che hanno esteso i poteri del governo, soprattutto far fronte per 135 consentire che si faccia fronte, in modo tempestivo,alle crisi del settore settore a causa della capacità di regolazione del sistema. Vi è poi una autorità di regolazione a livello europeo, che è una agenzia istituita in seno alla commissione europea, che ha come organo decisionale un comitato composto dai rappresentanti dei vari regolatori, delle varie autorità di regolazione dei vari paesi dell‟UE. Non ha effettivi poteri di regolazione, intervento nei vari mercati nazionali, ma serve per promuovere la cooperazione e l‟ adozione di misure di regolazione che possono essere coordinate. Tanto più che la disciplina in materia di gas naturale è stata modificata sulla base di direttive comunitarie di liberalizzazione. Potere che viene riconosciuto all‟agenzia europea riguarda le condizioni di accesso alle reti del gas transfrontaliere, se ne discute molto. Sono stati incorporati progetti che devono essere fatti propri dalle autorità comunitarie perché interessano l‟UE nel suo complesso, sistema di funzionamento del gas naturale a livello europeo. È corretto che la competenza diretta ad adottare le misure di regolazione che riguardano queste reti transfrontaliere siano assegnate all‟autorità di regolazione di livello istituzionale comunitario. È soltanto un caso isolato di competenza di tipo regolatorio, decisionale, mentre come abbiamo visto, la regolazione all‟interno di un paese membro è affidato ad autorità di regolazione nazionali. Le direttive europee dicono che le autorità devono essere indipendenti rispetto ai vari interessi degli operatori, indipendenti rispetto all‟indirizzo politico e rispetto agli interessi degli utenti finali. Questo peril settore del gas naturale. Altro settore su cui possiamo dire qualcosa è quello dei TRASPORTI DI LINEA. È un settore complesso: trasporto pubblico, trasporto collettivo, rispettoal quale abbiamo il trasporto ferroviario, aereo e marittimo. Si può distinguere in base all‟oggetto del trasporto: trasporto di merci o di persone. Nel caso di servizio pubblico ci si riferisce al trasporto di persone, sia di tipo ferroviario che di trasporto su gomma, ovvero aereo e marittimo. Esempio tradizionale di intervento del settore pubblico nei sevizi di trasporto di linea è il trasportoferroviario. Fino a poco tempo fa, inizio anni „70 operava un monopolista pubblico verticalmente integrato. Le ragioni della monopolizzazione non erano legate all‟esistenza di un‟ infrastruttura significativa, che garantisce il trasporto interregionale, regionale e su scala locale, ma da ragioni di tipo politico Dal punto di vista giuridico il settore dei trasporti è garantito da prezzi sociali. Tradizionalmente sono state previste tariffe, prezzi per i servizi di trasporto,particolarmente favorevoli e accessibili alla generalità di utenti. Questo ha creato una situazione di deficit strutturale delle imprese del monopolista pubblico, e quindi sostanzialmente qualsiasi politica di liberalizzazione in questo settore deve fare i conti col problema del prezzo del servizio. La liberalizzazione implica che vi sia un punto di equilibrio tra gli obiettivi sociali del servizio rispetto alla sviluppo di un‟ effettiva concorrenza nel settore. Anche qua sono state emanate numerose direttive di liberalizzazione da parte delle istituzioni comunitarie, la strada che si è perseguita (tratto comune dei servizi 136 pubblici) è quella dellaseparazione della rete rispetto alla erogazione del servizio di trasporto. In realtà questa separazione è stata attuata mediante l‟adozione di misure di separazione organizzativa e contabile tra il soggetto che detiene e gestisce l‟infrastruttura di rete rispetto ai soggetti che erogano il servizio di trasporto. Anche in questo caso è necessario che le condizioni di accesso alla rete la possibilità. per le imprese che erogano il servizio di trasporto ferroviario, di utilizzare la ferroviaria e nazionalesiano stabilite in modo da non creare ostacoli alla concorrenza nel settore dei servizi di trasporto ferroviario: queste condizioni devono essere eque non discriminatorie e trasparenti. Nel nostro paese il gestore dell‟infrastruttura ferroviaria è, a parte alcuni casi dove ci sono concessionari privati, una società di nome RFI, società che è distinta e separata rispetto a Trenitalia, società che si occupa dei servizi di trasporto ferroviario. Le due società fanno parte di Ferrovie dello Stato spa, ex monopolista pubblico. I servizi di trasporto ferroviario possono essere erogati da imprese ferroviarie diversamente costituite, queste che competono con Trenitalia spa, solo dopo aver ottenuto una licenza di impresa ferroviaria, rilasciata dall‟autorità di regolazione, vedremo essere una emanazione del ministero dei trasporti, a condizione e una volta che si siano soddisfatti certi requisiti. Quali sono? L‟impresa ferroviaria deve dimostrare di avere materiale rotabile, deve avere i locomotori che siano adeguati dal punto di vista tecnico e tecnologico per svolgere i servizi ferroviari su particolari tratte. Deve avere un personale incaricatoincaricato della gestione di questi locomotori che sia dotato di competenze e professionalità, e poi idonee coperture assicurative. Una volta che i requisiti sono soddisfatti, l‟impresa ottiene la licenza ferroviaria da parte del ministero dei trasporti. È chiaro che l‟accesso alle infrastrutture essenziali, la rete ferroviaria non è semplice, non può essere garantito a tutte le imprese ferroviarie. L‟accesso all‟infrastruttura è una risorsa scarsa. Rete Ferroviaria Italiana deve mettere a gara il diritto di accedere all‟infrastruttura ferroviaria facendo viaggiare i propri treni, facendo viaggiare i propri locomotori. Le imprese ferroviarie mettono a disposizione i propri locomotori, personale, per far funzionare le carrozze, i vagoni su determinate tratte interessanti dal punto di vista commerciale e imprenditoriale. La condizione iniziale per svolgere questi servizi di trazione è di avere accesso alla infrastruttura essenziale. Le imprese devono aver stipulato con RFI una convenzione che consente di aver accesso alla struttura ferroviaria. Rete Ferroviaria Italiana, nel scegliere fra gli operatori, deve fare delle gare scegliendo procedure in cui vengono comparate le varie offerte di servizi di trasporto formulate dalle imprese ferroviarie che competono tra di loro. Tutto questo sistema che è complesso, a maggior ragione nel trasporto ferroviario deve essere garantito un uso coordinato ed efficiente delle infrastrutture della rete ferroviaria, è oggetto a regolazione appannanggiodi articolazioni amministrative del 137 ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che è sostanzialmente il proprietario sia del gruppo Ferrovie dello stato, a cui appartengono Trenitalia e reti ferroviarie italiane; vi è il problema di scarse indipendenza da parte del regolatore nazionale. Questo è uno dei motivi per i quali recentemente è stata istituita, con decreto legge, la Autorità dei trasporti come autorità di regolazione indipendente e autonoma rispetto al ministero delle infrastrutture e dei trasporti. L‟autorità di regolazione ha compiti tipici, cioè quello di garantire l‟accesso all‟infrastruttura a condizioni eque e non discriminatorie, ma nel caso del settore ferroviario ha anche il potere di dirimere le controversie fra il gestore della rete ferroviaria e le varie imprese nel caso vi siano motivi di contrasto. Nel caso del trasporto ferroviario, altro obiettivo è quello della sicurezza dello stesso sistema di trasporto ferroviario. Per l‟adozione degli standard tecnici, misure per garantire il servizio del trasporto è stata istituita anche nel nostro paese l’autorità nazionale per la sicurezza nelle ferrovie ha un compito tecnico di emanare le norme dirette a garantire la sicurezza nel trasporto ferroviario e rilasciare una serie di certificazioni a favore delle imprese ferroviarie. In tutto questo sistema, vi è un altro problema: garantire la fruizione del servizio in modo generalizzato a determinate condizioni di prezzo. Nel caso del settore ferroviario, tradizionalmente, le condizioni di prezzo per i servizi di trasporto, sono state definite in termini sociali. Abbiamo tutta una disciplina che concerne le condizioni sulla cui base il servizio viene offerto ai cittadini, utenti finali, ai clienti. Queste discipline, confluiscono in un regolamento comunitario del 2007, che è volto ad uno specifico obiettivo. Definire cin quali modalità le autorità competenti possono intervenire rispetto al diritto comunitario nel settore del trasporto pubblici passeggeri per garantire la fornitura dei servizi di interesse generale, che siano più numerosi sicuri, di miglior qualità e offerti a prezzi inferiori rispetto a quelli che il libero gioco del mercato consentirebbe di offrire. Il regolamento comunitario serve per garantire l‟offerta di servizi di trasporto ferroviario passeggeri di persone, a condizioni migliori rispetto a quelle che si formerebbero spontaneamente sul mercato in base ad un semplice calcolo di convenienza economica fatto dalle imprese ferroviarie. Si prende atto che il settore, se liberalizzato, porterebbe alla formazione di prezzi eccessivi rispetto a quelli desiderabili sul piano sociale, necessità di intervento pubblico cui le varie autorità che hanno la possibilità di definire determinate erogazioni del servizio che siano desiderabili sul piano sociale. Facciamo un esempio. Se c‟è un determinato comune, o un insieme di comuni, che vogliono che il trasporto pubblico ferroviario e su gomma siano garantiti a determinate condizioni di prezzo, è necessario che venga stabilita un rapporto tra l‟autorità amministrativa che può imporre determinate condizioni di fornitura del servizio e gli operatori, l‟operatore chiamato a fruire del servizio a quelle condizioni che sono determinate a livello politico. 138 Lo strumento con cui si attua questo scambio, accordo, è il contratto di servizio. Un accordo tra una autorità competente ed un operatore del servizio col quale si affida all‟operatore la gestione e la fornitura del servizio di trasporto pubblico su un ambito territoriale. A Genova l‟ambito territoriale urbano è affidato, tramite un contratto di servizio, ad un soggetto, AMT, sia per il trasporto urbano su trasporto, questo vale anche per il trasporto ferroviario urbano genovese. Il contratto di servizio cosa prevede? Le condizioni di erogazione del servizio che sono decise dall‟autorità competente, spesso dalle amministrazioni locali, vengono ritenute desiderabili sul piano sociale per garantire l‟accesso indiscriminato del servizio da parte di tutti i cittadini Prevede obblighi di continuità dei servizi, di tariffe, condizioni particolarmente vantaggiose, condizioni di favore per determinate categorie di utenti. L‟obbligo per l‟operatore di fornire i servizi di trasporto anche in segmenti di mercato, settori, località, dove l‟operatore non avrebbe interesse a fornire lo stesso servizio. Tutta una serie di obblighi che vengono denominati obblighi di servizio pubblico, e che sono oggetto tra gli altri, del contratto di servizio. In cosa consistono in generale? Nell‟obbligo di prestare il servizio in una misura e secondo quantità che l‟operatore stesso non fornirebbe se seguisse il proprio interesse commerciale. Mediante il contratto di servizio, in realtà si pongono a carico dell‟operatore dei costi supplementari, degli extracosti, supportare costi ulteriori che l‟operatore del servizio di trasporto non sarebbe disposto a sopportare se seguisse il proprio interesse commerciale. Da qui la necessità che il contratto di servizio definisca quanti sono questi costi supplementari che l‟operatore deve sopportare per adempiere agli obblighi di servizio pubblico che gli sono imposti. Primo problema quantificare i costi supplementari del servizio pubblico,e secondo problema trovare delle forme che consentano all‟operatore di sovvenzionare i costi supplementari e coprirli in modo che venga garantito l‟equilibrio economico finanziario. Abbiamo un problema sostanziale perché la definizione di questi costi è un problema significativo, perché è necessario che queste risorse ulteriori che vengono assegnate all‟operatore per coprire questi costi non coprano eventualisue inefficienze, carenze. È chiaro che il fornitore del servizio ha due modi per finanziarsi: anzitutto i ricavi che ottiene direttamente dagli utenti, in secondo luogo queste compensazioni che riceve dall‟autorità pubblica a copertura ulteriore dei costi che non riesce a coprire con un prezzo del servizio che viene incassato direttamente dai clienti. Quanto più sono definiti chiaramente gli obblighi di servizio pubblico a carico del gestore del servizio, tanto più vengono specificati questi obblighi di servizio che viene richiesto all‟operatore di soddisfare, tanto più è facile calcolare i costi associati alle prestazioni di servizio supplementari che gli viene chiesto di adempiere. È più facile in qualche modo, definire con maggiore precisione quei costi connessi all‟ erogazione del servizio di cui gli enti pubblici devono farsi carico. Lo strumento è quello del contratto di servizio che prevedrà secondo meccanismi complicati, che soggetto pubblico debba in qualche modo trasferire determinate 139 risorse al servizio in un determinato ambito territoriale. Meccanismo molto complicato dal punto di vista contrattuale, questi sono i principi che stanno alla base di questo settore. Abbiamo poi il trasporto aereo. Mi limito a ricordare alcuni elementi essenziali. Abbiamo due profili che vanno considerati. Anzitutto il trasporto aereo che ha una dimensione comunitaria, riguarda il trasporto aereo internazionale o comunitario, dall‟altro lato trasporto aereo nazionale, consiste in collegamenti tra scali posti all‟interno del territorio nazionale, in questo caso si parla di servizi di cabotaggio, termine che si utilizza anche nei servizi di trasporto marittimo. Anche qua veniamo da una situazione di monopolio pubblico in cui sia il trasporto aereo internazionale che nazionale erano garantitida un operatore nazionale di proprietà dello Stato, Alitalia. Anche qua ci sono state varie misure di liberalizzazione decise a livello comunitario, ma hanno interessato soprattutto i servizi di trasporto internazionale. Il servizio sia a livello comunitario che nazionale, è subordinato al rilascio di una licenza, che è rilasciata dalle varie autorità di regolazione nazionali sul settore aereo, se ha il possesso di determinati requisiti. Deve avere anzitutto il certificato di operatore aereo che è subordinato ad una serie di requisiti di ordine tecnico particolarmente complessi e così via. Uno dei punti più importanti del processo di liberalizzazionedelle rotte all‟interno dell‟UE. Dal 1997 i vettori che hanno ottenuto una licenza a livello comunitario, possono gestire servizi di trasporto aereo all‟interno della Unione europea. È anche stato liberalizzato il servizio di cabotaggio interno; un tempo i servizi di trasporto aereo delle rotte nazionali, erano riservati ad una unica compagnia di bandiera ad un operatore, determinata nazionalità. Nel 1997 questo regime comunitario il vettore può operare sia sulle linee aeree all‟interno dell‟UE ma anche quelle linee aeree che riguardano i collegamenti nazionali. Evidentemente il discorso cambia per il trasporto aereo internazionale. Si tratta di vedere se i paesi hanno stipulato accordi bilaterali con i paesi internazionali con i quali esistono collegamenti di trasporto aereo. Vi stata una liberalizzazione dei servizi di trasporto aereo, ma anche in questo caso la liberalizzazione rischiava di escludere dall‟offerta di servizi determinate tratte interessanti sul piano commerciale, che non sono redditizie. È previsto che lo Stato possa individuaredeterminate collegamenti col territorio nazionale non appetibili dal punto di vista commerciale e assumersi la garanzia del servizio anche su queste tratte non interessanti sul piano commerciale. Questo viene fatto in Italia riguarda tutti i collegamenti aerei e nazionali attraverso l‟imposizione di obblighi di servizio pubblico. Nel senso che lo Stato assume su di sé l‟obbligo di garantire servizi di trasporto sulla linea non molto redditizia, poi bandisce una gara per scegliere un vettore aereo che sia disponibile a garantire i servizi per questa tratta. Lo stato si fa poi carico di compensare i maggiori costi che il vettore aereo sopporta garantire il servizio in una 140 tratta che non è interessante dal punto di vista commerciale, in modo che i servizi di trasporto aereo siano garantiti in base a criteri di regolarità, accessibilità dei prezzi e così via. Normalmente queste gare vengono fatte ogni 3 anni, comportano che su particolari tratte vi sia un unico operatore. Non vi siano più operatori che competono tra di loro in una situazione concorrenziale ma che l‟unico operatore abbia diritto di fornire il servizio in regime di esclusiva. Nel settore dei servizi di trasporto aereo, anche per i servizi di trasporto pubblico, vi sono delle linee, dei servizi aperti al un regime concorrenziale e vi sono collegamenti proprio perché meno interessanti sul piano imprenditoriale, che vengono garantiti dallo stato sulla base di questi meccanismi di cui abbiamo discusso. Anche qua abbiamo dei problemi per l‟effettiva apertura della concorrenza anche nelle tratte interessanti sul piano commerciale. Il principale di questi problemi è rappresentato dalla possibilità per tutti vettori di accedere alle infrastrutture aereoportuali in determinate fasce orarie. Le infrastrutture sono gli aeroporti. In particolare la possibilità di avere accesso agli aeroporti in determinate fasce orarie che sono più interessanti dal punto di vista commerciale. Qua è intervenuta la legislazione comunitaria, in base alla quale è stato previsto che gli operatori portuali devono assegnare i diritti di accesso alla struttura sulla base di procedure aperte e non discriminatorie, con tutta una serie di difficoltà legate alle deroghe a questa messa a gara, dell‟accesso all‟infrastruttura aeroportuale in determinate fasce orarie (slot) perché, sostanzialmente, i vettori aerei che detenevano questi slot, non erano propensi ad abbandonarli, sicché sono state introdotte deroghe, a livello comunitario, a questa possibilità di accedere su base non discriminatoria. I servizi di trasporto aereo sono soggetti ad una ulteriore normativa comunitaria, è necessario che intervenga il legislatore comunitario, le istituzioni europee, per garantire che i servizi di trasporto aereo vengano svolti in condizioni di sicurezza, in modo coordinato, sulla base di regole uniformi, e così via. In realtà ci sono state una serie di regolamenti che sono stati adottati dalla commissione europea diretti a realizzare il cielo unico europeo, un sistema di controllo di garanzia del sistema di trasporto aereo coordinato a livello comunitario. Vi è un problema non solo di accesso alle infrastrutture aeroportuali che è una risorsa scarsa, ma lo è anche la possibilità di transitare nei cieli comunitari in determinate fasce orarie. Si è pensato che queste esigenze di coordinamento potessero essere meglio soddisfatte sulla base della legislazione comunitaria anziché creare meccanismi di coordinamento fra le legislazioni dei vari paesi membri dell‟Unione europea. A livello comunitario è stata prevista una Agenzia Europea per la Sicurezza Aerea, volta a garantire un livello uniforme e adeguato di sicurezza per tutti i vettori che operano nel mercato pubblico. 141 30/04/2012 Completiamo il tema dei sevizi pubblici. Adesso dobbiamo parlare, seppur molto velocemente, delle comunicazioni elettroniche, i servizi di telefonia, gestione di rete, trasmissione di dati. Anche qui arriviamo da una situazione in cui i servizi di telecomunicazione erano riservati allo Stato, questo valeva fino ai primi anni 1970 in una condizione di paradigma tecnologico molto diversa rispetto a quella attuale. Basti pensare alla telefonia mobile, all‟accesso alla rete, ciò ha reso evidente che poteva essere conveniente per più operatori moltiplicare le reti di trasmissione dei dati. Si sono determinate le condizioni per uno sviluppo molto forte della concorrenza in questo settore. Le autorità europee hanno preso atto di questa situazione del mercato, eci sono state direttive di liberalizzazione (è stato uno dei primi settori ad essere liberalizzato). Ancora oggi vi è una produzione della Comunità europea in tema di comunicazioni elettroniche molto ampia. Nel 1996 una direttiva ha stabilito che il settore fosse da considerare pienamente concorrenziale. Liberalizzazione piena del settore delle telecomunicazioni, la conseguenza è stata l‟abrogazione dei diritti di esclusiva riconosciuti a determinate imprese, e soprattutto anche la definizione di alcune condizioni per la adozione di misure di regolazione da parte delle autorità nazionali avente ad oggetto il funzionamento del mercato liberalizzato. Ancora oggi la produzione della comunità europea in materia di comunicazioni elettroniche è molto ampia, tant‟è che anche le misure regolamentari che possono essere adottate dai regolatori nazionali nel nostro paese, devono essere sottoposte ad un vaglio preventivo da parte della commissione europea. Ormai i mercati delle comunicazioni elettroniche sono liberalizzati ma hanno una dimensione comunitaria: è necessario che le misure di regolazione dei vari paesi membri siano dotate di una certa uniformità in modo da non intralciare il complessivo dimensionamento del mercato. Un operatore della telefonia mobile opera nel nostro paese, mercato, ma offre servizi anche in altri mercati europei, vi è il problema dei concorrenti competono a livello europeo. È chiaro che la normativa comunitaria deve anche tenere il passo delle nuove frontiere tecnologiche che di anno in anno si profilano all‟orizzonte. In particolare vi è il tema delle infrastrutture di retedi nuova generazione, quindi la possibilità di creare queste nuove infrastrutture di rete che consentono la trasmissione di dati, servizi su banda ultra larga, ed è evidente che in questo momento la regolazione a livello comunitario ha l‟obiettivo di favorire lo sviluppo di queste nuove infrastrutture. Sulla base di queste direttive, nel 2003 è stato emanato il decreto legislativo 259, codice delle comunicazioni elettroniche, dove sono raccolte le norme nazionali di recepimento delle varie direttive comunitarie che sono state emanate successivamente nel corso degli anni oggetto di modifiche che consentono di recepire la normativa comunitaria. 142 Proprio per riflettere il principio della piena concorrenza nel settore delle comunicazioni elettroniche, quali sono i principi di massima che sono previsti nel codice delle comunicazioni? Anzitutto è previsto che l‟accesso al mercato non sia sottoposto a nessun tipo di provvedimento amministrativo. Non vi è licenza, non vi è una autorizzazione, tantomeno una concessione dello stato ma vi è un regime di autorizzazione generale che vale per quegli imprenditori che, a determinate condizioni, vogliono incominciare a costruire sul mercato questi servizi di comunicazioni. In alcuni casi, l‟uso di determinate frequenze radio è subordinato alla concessione di una licenza. Il problema di una regolazione è quello di garantire, di prevedere un assetto regolamentare che ponga tutti gli operatori che sono presenti sul mercato di avere condizioni concorrenziali uniformi, paritarie, e quindi di imporre degli obblighi agli operatori che detengono un significativo potere di mercato. Nel codice delle comunicazioni elettroniche sono previsti obblighi a carico dell‟operatore dominante, Telecom Italia. Per esempio si prevede che gli operatori hanno il diritto, l‟operatore dominante ha l‟obbligo di negoziare le condizioni di accesso alla rete di sua proprietà sulla base di determinate condizioni. Questa negoziazione non avviene su base meramente commerciale, ma avviene sulla base di condizioni e tariffe predeterminate dall‟autorità di regolazione l‟Autorità garante delle telecomunicazioni. In più l‟autorità si fa garante della possibilità di adottare delle misure regolamentari ulteriori a carico dell‟operatore dominante.A tal fine dev‟essere adottata una procedura complessa che prevede il coinvolgimento dei soggetti che operano sul mercato, non soltanto dell‟operatore dominante, attraverso la pubblicazione di un documento di consultazione relativo alla misura di regolazione che dev‟essere adottata, e prevede un procedimento che prevede il coinvolgimento della commissione europea per evitare che si generi distorsione delle condizioni di funzionamento del mercato a livello comunitario. Queste misure regolamentari che possono essere poste a carico dell‟operatore dominante consiste nell‟obbligo di separazione funzionale della rete di accesso. Qua abbiamo il solito problema che vale in questo settore come negli altri caratterizzati dalla presenza di infrastruttura di rete. L‟infrastruttura della rete comporta dei costi che non devono essere sottostimati. Anche in questo settore abbiamo un operatore dominante presente sia nella fase dell‟attività che riguarda la gestione della rete sia in quella che riguarda l‟erogazione dei servizi. Vi è l‟obbligo di creare una separazione organizzativa tra l‟azienda che gestisce la rete rispetto a quella che eroga il servizio. Questa separazione può essere imposta, ovvero può essere anche volontaria. Nel nostro paese, in effetti, abbiamo avuto un esempio di separazione funzionale e volontaria attuata dall‟operatore dominante, è stata Telecom Italia che ha proposto all‟autorità di regolazione le modalità tecniche con cui attuare la separazione funzionale tra la struttura di rete e le società che erogano i servizi, dopo tutta una 143 serie di negoziazioni, è stata creata una struttura separata, che si chiama Open Access, che viene gestita da un organismo di vigilanza che è composto anche da soggetti che vengono nominati dall‟AGCOM. Si tratta di una separazione funzionale, nel senso che la rete di gestione è e continua ad essere di proprietà di Telecom Italia; semplicemente è stata creata una unità commerciale distinta, sottoposta a vigilanza da parte di un comitato di soggetti, di un gruppo di persone, che in parte vengono designati dall‟autorità. Uno dei problemi della regolazione è quello di favorire la realizzazione di reti tecnologicamente avanzate. Il problema è banalmente quello di favorire gli investimenti da parte degli operatori nella realizzazione di nuove strutture di rete. È necessario che, per favorire gli investimenti, agli operatori debba garantita una certa remunerazione del capitale investito, altrimenti non si avrebbero gli investimenti necessari. Compito del regolatore è consentire il mantenimento agli operatori intenzionati ad effettuare gli investimenti di diritti esclusiva sulle reti che hanno realizzato in modo da remunerare l‟investimento e il capitale investito. I problemi del regolatore riguardano come conciliare la necessità di aprire le reti (anche più avanzate) all‟accesso da parte di tutti gli operatori in modo da garantire la concorrenzialità nel mercato, e dall‟altro lato riconoscere agli operatori che vogliono investire nelle reti tecnologicamente avanzate di diritti di esclusiva per un periodo di tempo sufficienti per remunerare l‟investimento effettuato. Un altro tema importante è quello, nonostante il settore sia pienamente liberalizzato, di garantire un pacchetto minimo di servizi a tutti i cittadini. Occorre garantire anche in questo settore il servizio universale, un pacchetto minimo di servizi cui tutti possono aver accesso a costi, condizioni ragionevoli. Nel caso dei servizi delle comunicazioni elettroniche, il servizio universale è individuato, consiste nell‟obbligo di garantire l‟accesso alla rete telefonica pubblica (rete di telefonia fissa), la fornitura di servizi di informazione sugli abbonati, installazione degli apparecchi telefonici pubblici, le cabine, sempre meno diffuse sul territorio, e poi sono previste norme di servizi universali , previsti servizi a favore di clienti svantaggiati. Questo è l‟insieme dei servizi minimi che costituisce il servizio universale. Come funziona il servizio universale? Il servizio universale è posto a carico degli operatori, in generale è posto a carico di tutti coloro che vogliono svolgere servizi sul mercato. Se uno vuole operare nel settore dei servizi di telecomunicazioni sa che ha di fronte questa alternativa: o offre, in parte, quei servizi che rientrano nell‟ambito del servizio universale, o se decide di non offrirli, deve contribuire ai costi che sono associati alla fornitura di questi servizi. La fornitura del servizio universale comporta dei costi che nessun operatore sopporterebbe se considerasse esclusivamente il proprio interesse commerciale. È necessario che questi costi supplementari siano finanziati dal sistema. Il meccanismo per finanziare i costi è di questo genere: o ti impegni a fornire il servizio 144 alle condizioni previste dal regolatore ovvero contribuisci ad un fondo che serve per finanziare i fondi del servizio universale. Il regolatore, anno per anno, calcola i costi del servizio universale (quanto costa garantire il pacchetto minimo di servizi), e poi, in qualche modo, stabilisce in quale misura ciascuno degli operatori è tenuto a contribuire a questi costi. L‟operatore può contribuire a questi in due maniere. Da un lato direttamente offrendo il servizio (pagando i costi), ovvero trasferendo al fondo un determinato importo in denaro che costituisce la quota del servizio universale. Tendenzialmente accade che il servizio universale è fornito dall‟operatore dominante, Telecom Italia, il quale anno per anno deve inviare all‟autorità garante delle comunicazioni i dati per ricostruire i costi che l‟operatore ha sopportato per offrire questi servizi. Il regolatore verifica i costi e stabilisce in quale misura ciascuno dei concorrenti di Telecom Italia, deve contribuire alla copertura di costi. Questo pacchetto minimo che costituisce il servizio universale deve variare tenendo conto delle esigenze e dei bisogni espressi dalle comunità dei cittadini e clienti. Nel 2009 è emanata una direttiva, prevede che il servizio universale deve prevedere la connessione ad una rete fissa che sia in grado di conseguire un accesso efficace e veloce ad internet. L‟individuazione del servizio universale deve tener conto dell‟innovazione tecnologica e, allo stesso tempo, risponde sempre dei ritardi rispetto alle esigenze che si manifestano sul mercato e che sono espresse dai cittadini. Ricordiamo l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, già ricordata varie volte nelle lezioni. Quello che interessa evidenziare è che è una autorità indipendente. I suoi componenti sono stati drasticamente ridotti per effetto di queste ultime manovre adottate sia dal governo Monti che da altri governi per il contenimento della spesa pubblica, i componenti e i commissari sono eletti con meccanismi che garantiscono indipendenza rispetto al governo. L‟organismo di regolazione istituito a livello comunitario è il Berec (regolamento 2009, Organismo dei regolatori europei delle comunicazioni elettroniche), serve per costruire un raccordo tra le autorità di regolazione per i paesi membri. SERVIZIO POSTALE. Altro servizio pubblico importante, oggetto di progressiva liberalizzazione. Proveniamo da una legge del 1973 che prevedeva che i servizi di raccolta, distribuzione della corrispondenza fossero di esclusiva competenza dello Stato che li dava in concessione ad una società, oggi Poste italiane spa. Questo regime di esclusiva e di riserva in favore di Poste era temperato dalla possibilità per i direttori provinciali degli uffici delle poste di dare in concessione a terzi determinati servizi. Si poteva solo subconcedere la gestione dei servizi di propria competenza a soggetti terzi, ciò avveniva per quel che concerneva la consegna delle raccomandate, servizi postali a valore aggiunto, quelli che si contraddistinguono rispetto al livello di raccolta di consegna della posta ordinaria. Questo abbandono del regime tradizionale di riserva in favore di una maggiore liberalizzazione dee mercato, è avvenuto soltanto in tempi recenti per effetto di una direttiva 1997 e 2008 che ha attuato una più decisa liberalizzazione del settore che 145 supera il tradizionale regime di riserva. Sono esclusi i servizi che interessano l‟esercizio di funzioni sovrane da parte dello stato, nel caso dei servizi postali è escluso dalla liberalizzazione il servizio di notifica di atti giudiziari e così via. Il servizio postale anche qua liberalizzato comprende tutte le fasi della filiera e quindi la raccolta, smistamento, trasporto e la distribuzione della posta fino al suo recapito. Questi servizi sono liberalizzati, ma di nuovo nel caso dei servizi postali è mantenuto in regime di esclusiva il servizio universale. Si tratta di un insieme di servizi che si ritiene necessario garantire a tutti i cittadini a prezzi accessibili. Nel caso dei servizi postali, il servizio universale è posto in esclusiva all‟operatore Poste Italiane SPA, in esclusiva sino al 2026. Quali servizi rientrano nel servizio universale? Esso comprende la raccolta, trasporto, lo smistamento e la distribuzione di plichi postali fino a due chili e pacchi postali fino a venti chili. Questi servizi di corrispondenza ordinaria devono essere garantiti a condizioni accessibili a tutti i cittadini, evidentemente garantendo una rete di punti di raccolta e consegna di uffici postali presenti nel territorio nazionale. Ciò comporta costi che devono essere sostanzialmente remunerati. Nel caso dei servizi postali vi è un ulteriore problema di distinguere in modo chiaro, evidente, i soggetti della struttura funzionale aziendale che è necessario per svolgere il servizio universale, rispetto a quelle strutture funzionali allo svolgimento di servizi complementari rispetto al servizio universale. Una cosa è la posta ordinaria, un‟altra il corriere espresso, i servizi di corrispondenza personalizzati e così via. Teniamo conto che Poste italiane oltre avere l‟incarico di garantire il servizio universale postale nel territorio nazionale opera poi anche in tutti i servizi postali a valore aggiunto, ma opera anche in altri mercati complementari rispetto a quello dei servizi in questione. È importante che siano previsti obblighi di separazione funzionale tra il soggetto incaricato della prestazione dei servizi universali e le strutture che fanno capo a questo soggetto che si occupa di attività diverse e si distinguono rispetto al servizio universale. Questa separazione funzionale non è mai stata attuata sino in fondo, tant‟è che ancora oggi nella struttura di Poste italiane non è possibile distinguere dal punto di vista societario, la società che gestisce il servizio universale rispetto a quelle che oltre il servizio universale offre sul mercato anche altri servizi. Questo vale non solo per poste Italiane spa ma anche per altri soggetti che concorrono con Poste Italiane e possono essere grandi operatori autorizzati, con licenza del ministero, a prestare anch‟essi il servizio universale. Anche in questo settore vi è una autorità di regolazione: Agenzia nazionale di regolamentazione del settore postale. In questo caso, proprio perché il servizio postale è stato uno degli ultimi settori interessati alla liberalizzazione, anche questa agenzia di regolamentazione del settore postale non è organizzativamente separata distinta e autonoma rispetto al ministero delle telecomunicazioni. 146 Nonostante questa mancata attuazione di effettiva autonomia organizzativa e finanziaria dell‟autorità, il regolatore deve comunque definire il servizio universale, le tariffe sulla cui base il servizio universale dev‟essere prestato, determinati standard di qualità dei servizi che sono sottoposti a regolazione e così via. L‟agenzia è composta da un collegio composto da tre membri: dal presidente, direttore generale che cura l‟attuazione dei provvedimenti di regolazione che vengono di volta in volta adottati dall‟agenzia. Il libro conclude la panoramica dei servizi pubblici accennando ai SERVIZI PUBBLICI LOCALI la cui organizzazione è di competenza degli enti locali: comuni province, comunità montane, città metropolitane non le regioni. Vi sono una serie di servizi pubblici la cui organizzazione non è di competenza dello Stato ma di competenza dei vari enti locali. Veniamo proprio nel nostro ordinamento da una lunga tradizione legislativa in cui la competenza della erogazione di numerosissimi servizi pubblici spettava agli enti locali. Nei primi del 1900 fu emanata una legge, regio decreto, sulla municipalizzazione dei servizi pubblici. Si prevedeva tutta una serie di servizi (cimiteri, trasporto pubblico, gas) che spettavano alla competenza degli enti locali. Erano loro che dovevano garantire lo svolgimento di questi servizi alle proprie comunità territoriali di riferimento. Questo regio decreto del 1905 prevedeva addirittura che alcune di queste attività potessero costituire oggetto di privativa, un regime di esclusiva a favore degli enti locali i quali poi svolgevano queste attività mediante proprie articolazioni organizzative, delle proprie aziende (aziende municipalizzate), poi chiamate aziende speciali dei vari comuni. A partire dagli anni „90, legge 142/1990 sono state trasformate in società per azioni. Oggi, facendo un piccolo esempio, a Genova abbiamo un soggetto, che è Iren, quello che si occupa della gestione dei molti servizi pubblici locali dopo una serie di operazioni di aggregazione con altre società operanti nel medesimo settore, Iren è erede della vecchia Amga, Azienda Municipalizzata Gas e Acqua di Genova. . Tradizionalmente i servizi pubblici locali erano oggetto di una disciplina legislativa generale in materia di servizi pubblici locali. Cosa è successo? Che molti di questi servizi sono stati considerati separatamente da parte del legislatore comunitario, sono stati oggetto di direttive settoriali di liberalizzazione, che hanno inciso su questa disciplina settoriale dei servizi pubblici locali prevista a livello nazionale. Esempio. Tradizionalmente si considera servizio pubblico locale la distribuzione del gas. Abbiamo visto come questo servizio è stato fatto oggetto di direttive di liberalizzazione da parte del legislatore comunitario. Oggi si è creata questa strana situazione in cui gli enti locali hanno dovuto subire una progressiva erosione delle proprie competenze per effetto delle direttive comunitarie di liberalizzazione. Questo vale anche per i servizi di trasporto pubblico collettivo locale. La gestione del trasporto su gomma a livello locale era di competenza degli enti locali, ancora oggi lo è, ma è stata fatta oggetto di una normativa sempre più cospicua e complessa di origine 147 comunitaria. L‟ambito applicativo della disciplina generale in materia di servizi pubblici locali si è molto ridotto, tenendo conto che un servizio di competenza degli enti locali (gestione dei servizi idrici) è stato escluso dall‟applicazione delle norme dei servizi pubblici locali per effetto del referendum dell‟anno scorso. Tra i quesiti del referendum, uno aveva ad oggetto anche questa disciplina. Anche negli ultimi anni il dibattito sulla privatizzazione della gestione dei servizi pubblici locali è stato molto ampio e diversificato. È stato oggetto di numerosissimi interventi legislativi e da ultimo da un decreto legge numero 138 2011 che recepisce nel nostro ordinamento le modifiche della precedente disciplina in materia di servizi pubblici locali che si sono avute per effetto di questo referendum abrogativo. Questo decreto legge 138/2011, ha un ambito di applicazione che è tendenzialmente limitato. Lo stesso decreto legge prevede che non si applichino le norme di gestione dei servizi pubblici localial servizio idrico, servizio di distribuzione del gas (oggetto di sua disciplina specifica), distribuzione dell‟energia elettrica, servizio di trasporto ferroviario e regionale, gestione delle farmacie comunali. Rimane molto poco. Cosa ancora oggi è qualificabile come servizio pubblico locale e quindi oggetto di questa disciplina? Sostanzialmente i servizi di gestione del ciclo integrato dei rifiuti, i servizi ambientali di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Altri servizi, manutenzioni del verde pubblico, edifici pubblico, sono servizi che gli enti locali hanno la facoltà di assumere in proprio. Queste nuove norme, decreto 2011, pone una serie di condizioni affinché sia legittimata l‟assunzione in proprio da parte degli enti locali allo svolgimento delle attività economiche. Anche in questi settori si è avuta una liberalizzazione che viene attuata ponendo tutta una serie di vincoli, condizioni, che devono essere soddisfatte prima che l‟ente locale possa essere legittimato ad assumere su di sé il compito di gestire una determinata attività economica. È infatti previsto che l‟‟ente deve adottare una sorta di delibera quadro in cui verifica se determinate attività economiche possano essere liberalizzate. Attività che prima svolgeva il comune, l‟ente locale in proprio tramite le proprie strutture organizzative, tramite le proprie società. Il comune deve verificare se sia necessario, per garantire determinati obiettivi sociali di diffusione e distribuzione generalizzata del servizio, mantenere regimi di esclusiva per lo svolgimento di quella attività economica, ovvero se gli obiettivi possano essere realizzati aprendo il servizio alla concorrenza. Questa delibera, molto complicata, viene richiesta agli enti locali: verificare se determinati servizi possano essere aperti alla concorrenza o mantenuti nel regime di esclusiva, deve essere inviata all‟Autorità garante della concorrenza e del mercato che deve esprimere il proprio parere sulle conclusioni che ha raggiunto l‟ente locale. L‟ente locale, laddove abbia ravvisato la necessità di mantenere dei diritti di esclusiva di determinate attività economiche deve mettere a gara questi diritti di esclusiva, deve fare una gara per scegliere il soggetto che si dimostri il miglior possibile gestore di quel determinato servizio, sia dal punto di vista tecnico sia sul piano economico, 148 perché è il soggetto che si impegna a richiedere ai cittadini delle tariffe più contenute. Questo decreto legge del 2011 prevede condizioni dettagliate per lo svolgimento di questa gara. Qua vi è un problema molto forte per l‟efficacia di queste procedure di gara, bandite dagli enti locali per affidare la gestione di questi servizi. Molto spesso chi partecipa alla gara sono società controllate dallo stesso ente locale o al cui capitale l‟ente locale partecipa. In altri termini l‟ente è il soggetto che bandisce e che deve aggiudicare la gara,e allo stesso tempo è un soggetto che partecipa al capitale di uno dei concorrenti che partecipa alla gara. Vi è un problema di conflitto d’interessi in capo all‟ente locale di cui il decreto legge cerca di farsi carico ipotizzando delle soluzioni prevedendo che i componenti della commissione che deve proclamare il vincitore della gara devono essere autonomi e indipendenti rispetto all‟amministratore locale. Una seconda modalità per assegnare il diritto di gestire questi servizi è, oltre alla gara, quello per l‟ente locale di mettere a gara non tanto semplicemente la gestione del servizio, bensì la funzione di una partecipazione, non inferiore al 40% del capitale, nella società a cui è affidata la gestione del servizio. Questo è un secondo modello di gestone dei servizi pubblici locali, conosciuto come modello della società mista: ad essa partecipa un ente locale, socio pubblico, ma ad essa partecipano anche soggetti privati, scelti mediante la effettuazione di una procedura di gara che non ha ad oggetto solo la gestione del servizio, ma anche l‟acquisizione di una partecipazione nella società che domani dovrà gestire il servizio. In questo caso si ha di nuovo una gara il cui oggetto è più articolato, complesso, si parla di gara a doppio oggetto, nel caso in cui si scelga come modello di gestione quello della società mista. Perché gara a doppio oggetto?Perché la gara è diretta a selezionare sia il soggetto, partner industriale, in grado di garantire, mediante la sua partecipazione alla società mista, le migliori condizioni di gestione del servizio. Allo stesso tempo deve essere scelto il soggetto che offre di più, in termini economici, per acquisire la partecipazione nel capitale della società mista. Ecco perché gara a doppio oggetto: da un lato la gara ha ad oggetto le condizioni sulla cui base il partner privato si dichiara disponibile a gestire il servizio, dall‟altra parte ha ad oggetto le condizioni economiche sulla cui base il partner privato si dichiara disponibile ad acquisire la partecipazione della stessa società. Perché si è scelto questo modello? Tradizionalmente i servizi pubblici locali sono sempre stati gestiti da società che sono emanazione degli enti locali, al cui capitale gli enti partecipano. Ad esempio Iren, ma ci sono una miriade di società che svolgono le attività sui nostri mercati. Siccome questa disciplina dei servizi pubblici locali è stata oggetto di numerosissimi interventi legislativi, nel corso degli ultimi 10-15 anni, è stato impossibile per il legislatore romperequesta posizione storica consolidata, e quindi era difficile imporre agli enti locali di mettere a gara servizi che tradizionalmente erano gestiti da società 149 di proprietà degli enti locali o comunque alle quali gli enti locali partecipavano direttamente. Si è quindi decisa una possibilità mediana di prevedere la possibilità per gli enti locali di aprire il capitale delle proprie società alla partecipazione dei soggetti privati, da qui la società mista. Anziché mettere a gara il servizio metti a gara il partner industriale che diventerà socio della mia società da cui è gestito il servizio. Vi è però un terzo modello gestionale, quello tradizionale ma la cui attuabilità è stata ristretta, la cosiddetta gestione diretta del servizio da parte dell’ente locale mediante una propria società. L‟ente locale, anziché mettere a gara il servizio, ovvero la partecipazione della società che gestisce il servizio, continua a gestirlo direttamente mediante la propria società.Assegna questo compito di gestire il servizio con propria società direttamente, senza fare alcuna gara. Mentre negli altri modelli di gestione abbiamo una sorta di esternalizzazione per la gestione del servizio, qui l‟ente decide di gestire il servizio in proprio, mediante una propria società. Questo è il cosiddetto modello in houseproviding, in cui l‟ente locale gestisce il servizio pubblico in proprio mediante una propria società, quello che è sempre stato fatto. La possibilità di gestire in house il servizio è stata significativamente limitata, proprio perché si possa avere questa gestione in house occorre che il servizio oggetto dell‟affidamento abbia un valore complessivamente inferiore ai 900 mila euro annui. Si possono gestire in proprio, in house, da parte degli enti locali, soltanto servizi che hanno una dimensione economica non particolarmente significativa. È necessario che la società a cui è affidata la gestione del servizio sia controllata al 100% dall‟ente pubblico locale e soprattutto che quest‟ultimo abbia potere di influenza di controllo molto forte sulla stessa società. Dev‟essere evidente che questa società è una società che nella gestione del servizio si atterrà in modo univoco alle direttive che riceverà da parte dell‟ente locale. 7/05/2012 Dobbiamo affrontare il tema delle PRIVATIZZAZIONI. La privatizzazione è la sostituzione di una disciplina di diritto pubblico con una disciplina di diritto privato. Può riguardare l‟attività, i soggetti e i beni pubblici. La privatizzazione dei soggetti può essere formale o sostanziale. La prima determina la trasformazione di un ente pubblico in un soggetto di diritto privato, la seconda comporta la cessione a soggetti privati della società trasformata. Accade che la proprietà o la quota di una persona giuridica privata della società passi dall‟amministrazione, dai soggetti pubblici ai soggetti privati. L‟ente è ceduto ai soggetti privati. È chiaro che la privatizzazione formale è condizione del presupposto della privatizzazione sostanziale, della successiva cessione ai soggetti privati del controllo della società trasformata. Soltanto con la privatizzazione sostanziale si ha un effetto di effettivo arretramento dello Stato, di tutte le amministrazioni, degli enti locali dalla propria presenza in un determinato settore economico. 150 Lo Stato continua ad essere imprenditore, titolare, di una determinata attività economia anche qualora l‟attività sia gestita da una società anche se è di proprietà dello stato o degli enti pubblici. Solo se effettivamente la proprietà del soggetto titolare passa a soggetti privati si può dire che lo stato abbia abbandonato la sua presenza in un determinato settore economico. Ciò è avvenuto nei settori delle telecomunicazioni: lo Stato ha ceduto le proprie partecipazioni nella società a TelecomItalia, società proveniente da un processo di privatizzazione formale in base ad un certo percorso è stata trasformata da ente pubblico in società. Successivamente le partecipazioni che lo stato deteneva di Telecom Italia, sono state cedute a privati. Quando parliamo invece di privatizzazione dell’attività ci riferiamo sostanzialmente ad un fenomeno che abbiamo già considerato più volte nell‟ambito del corso, il fatto che un‟attività anziché essere disciplinata da norme di diritto pubblico, da leggi che prevedevano che una determinata attività dovesse rimanere di esclusiva pertinenza, competenza dello Stato ed enti pubblici, questa attività passa ad essere regolata alla disciplina di diritto comune, che si applica a qualsiasi attività imprenditoriale, salvo essere oggetto di una regolazione specifica. Si passa dall‟assoggettamento dell‟attività ad un regime di riserva di tipo pubblicistico all‟apertura di questa attività alle regole di diritto privato tra cui anche le regole in materia di concorrenza. Quando si parla di privatizzazione delle attività, questo è un termine usato in modo improprio, si dovrebbe parlare di liberalizzazione di una determinata attività economica. L‟attività prima riservata allo stato ed enti pubblici, ed assoggettata a regime pubblicistico, viene liberalizzata e assoggettata alle regole che normalmente si applicano allo svolgimento delle attività imprenditoriali, tra cui anche le regole in materia di concorrenza. Normalmente di liberalizzazione, privatizzazione di attività si può parlare quando ci si riferisce anche ad attività di tipo imprenditoriale. Non si può parlare di concorrenza, attività di tipo erogativo, che consistono nell‟erogazione dei servizi ai cittadini che non hanno un ritorno economico (esempio nelle erogazione di prestazioni previdenziali, di tipo socio assistenziale: attività che non hanno un mercato di riferimento, non hanno caratteristiche di economicità ma anche per scelta giuridica rispetto alle quali non è possibile ipotizzare forme di mercato di tipo concorrenziale). Però vi sono stati dei casi, ricordati nel libro, di privatizzazione di attività meramente erogative ovvero anche, il fatto che abbia demandato, delegato, assegnato a soggetti privati, lo svolgimento di attività tipiche dei pubblici poteri, che attengono allo svolgimento di funzioni amministrative. L‟attività tipica della funzione amministrativa è quella della certificazione: ne abbiamo bisogno per avere determinati documenti, per ottenere determinate prestazioni da parte dello stato e della pubblica amministrazione. Anche questo tipo di funzioni amministrative sono state assegnate a soggetti privati. Lo stato ha deciso di non produrre più in proprio queste funzioni di tipo 151 amministrativo, ma di assegnare lo svolgimento di queste funzioni di tipo amministrativo a soggetti privati. Esempio particolare. Nel settore degli appalti pubblici, quegli appalti che pubblica amministrazione aggiudica per ottenere la fornitura di servizi, la realizzazione di opere, è necessario che le imprese che vogliono ottenere l‟appaltoconcorrono tra di loro essendo in possesso di determinate certificazioni. L‟attività di certificazione che fa riferimento all‟esercizio di una funzione pubblica non è più svolta dallo stato, dalle PA, ma demandato alle SOA, società di attestazione, che svolgono una attività tipicamente di competenza dei pubblici poteri. In questo caso abbiamo un fenomeno diverso rispetto a quello prima considerato della liberalizzazione. Lo stato per ragioni di efficienza, delega a soggetti privati lo svolgimento di funzioni che tipicamente appartengono allo stato, si parla di impropriamente di esternalizzazione. Lo stato anziché produrre in proprio un servizio, un‟attività che è tipicamente statale, che non è attività imprenditoriale che può essere aperta alla concorrenza, delega, assegna il compito di svolgere l‟attività ad un soggetto privato, con una conseguenza molto particolare: che il soggetto privato si trova a svolgere attività con funzione tipicamente pubblicistica. Abbiamo un soggetto privato che svolge una attività che però mantiene il suo carattere pubblicistico, la sua funzione pubblicistica, e quindi il fatto che questa attività continui ad essere assoggettata a determinate regole di diritto amministrativo, che sono regole del tutto peculiari che riguardano quella specifica attività. Abbiamo nel caso delle esternalizzazioni il determinarsi di una situazione assolutamente particolare. Abbiamo soggetti privati che svolgono attività che continuano ad essere regolate dal diritto pubblico, dal diritto amministrativo. Normalmente il fenomeno dell‟esternalizzazione delle amministrazioni pubbliche assoggettate a soggetti privati è un caso molto particolare, normalmente quando si parla di privatizzazione ci si riferisce ad un fenomeno in cui alla privatizzazione del soggetto privato che svolge una determinata attività, si accompagna anche la privatizzazione del regime giuridico dell‟attività svolta dallo stesso soggetto; sia privatizzazione del soggetto siaprivatizzazione dell‟attività. Le privatizzazioni nella maggioranza dei casi hanno riguardato una situazione in cui la privatizzazione di un soggetto presente in un determinato settore economico, sia accompagnata anche con la liberalizzazione delle attività svolte da questo soggetto. Esempio sempre nel caso di Telecom Italia,la privatizzazioni del vecchio ente pubblico che svolgeva i servizi nel nostro ordinamento, la trasformazione in Spa e la successiva cessione a soggetti privati si è anche accompagnata anche con la liberalizzazione dei servizi di telecomunicazione nel nostro ordinamento. Normalmente alla privatizzazione si accompagna un fenomeno di liberalizzazione. Prima di vedere alcuni casi di privatizzazione, bisogna ricordare, sempre in una prospettiva storica, qual era la situazione e quali erano le caratteristiche dei soggetti che sono stati oggetto di privatizzazione. Da questo punto di vista si devono fare 152 alcune distinzioni nell‟ambito della più ampia categoria delle imprese pubbliche, di quei soggetti pubblici che svolgono attività di tipo imprenditoriale. Anzitutto abbiamo le cosiddette imprese organo, imprese pubbliche organo della pubblica amministrazione. Cioè un‟impresa che fa parte dell‟organizzazione della pubblica amministrazione, e che quindi non si distingue in senso giuridico dalla pubblica amministrazione. La pubblica amministrazione, tra i vari compiti, svolge anche attività imprenditoriali di erogazione dei servizi che hanno una loro economicità e che possono essere considerati attività di tipo imprenditoriale. In certi casi accade che la PA che svolge una determinata attività economica lo faccia non direttamente ma attraverso una propria articolazione organizzativa separata: azienda che fa capo ad un determinato ministero. In questi casi abbiamo l‟esperienza delle aziende autonome che hanno una separazione di tipo funzionale contabile e organizzativa rispetto alla PA a cui fanno capo e sostanzialmente rimangono pubbliche amministrazioni, con tutte le conseguenze del caso. Se un soggetto è considerato come parte della pubblica amministrazione, come parte del ministero, è soggetto a tutte le regole di contabilità che si applicano alle PA, regole diverse rispetto a quelle che si applicano ai soggetti che svolgono attività imprenditoriali. Altro tipo di impresa pubblica è quello dell‟impresa ente pubblico. Un soggetto pubblico ma che è distinto, dal punto di vista giuridico, rispetto alla PA, allo stato, ente locale e così via. Tratto caratterizzante dell‟impresa ente è il fatto che vi sia un‟autonomia dal punto di vista della personalità giuridica del soggetto che svolge attività economica rispetto alla PA di riferimento. Il soggetto che è autonomo, e che viene denominato ente pubblico, è pur sempre un soggetto pubblico, è pur sempre un soggetto pubblico, disciplinato non dalle norme proprie del codice civile, non è una società, una associazione, ma l‟ente pubblico ha propria disciplina organizzativa che si ritrova nella legge che lo istituisce e che lo disciplina. Ente pubblico svolge attività imprenditoriale e assoggettata al regime di diritto privato. È questo il caso degli enti pubblici economici, a tutti gli effetti, che svolgevano attività imprenditoriale e che hanno caratterizzato la legislazione dei nostri mercati, per molti anni, fino alla fine degli anni ‟80. Infine abbiamo un terzo tipo di impresa pubblica, quello ordinato in forma privata. Abbiamo l‟ente pubblico che si trasforma in società, società di proprietà di enti pubblici nel senso che gli enti pubblici controllano la società detenendone il controllo e la maggioranza delle partecipazioni, e quindi in questo caso, la pubblicità dell‟impresa è sostanzialmente connessa al fatto che la società rimanga di proprietà di un soggetto pubblico. In questi casi abbiamo un totale assoggettamento del soggetto che svolge l‟attività economica sia al diritto privato sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo, il soggetto svolge attività imprenditoriale, in più è costituito sotto forma di diritto privato, ha una personalità giuridica di diritto privato. 153 Occorre dire che, nel corso degli anni, il fenomeno di impresa pubblica svolta sotto forma di spa, è caratterizzato da tutta una serie di particolarità che hanno determinato una forte differenziazione della spa partecipata dagli enti pubblici, dalla PA, rispetto alle società partecipate dai soggetti privati. In moltissimi casi, le società partecipate dai soggetti pubblici sono state oggetto di una serie di discipline derogatorie rispetto al modello di società previste dal codice civile. Si parla di società di diritto speciale, cioè società che, nella loro disciplina organizzativa, presentano vistose deroghe rispetto alle norme del codice civile che generalmente disciplinano l‟organizzazione delle società per azioni, società di capitali. In molti casi un elemento caratteristico, necessario, di una società in base alla disciplina del codice è lo scopo di lucro: oggettivo soggettivo, inteso come finalità di distribuzione di utile ai soci della società. In molti casi le società dello Stato non avevano e non hanno ancora oggi scopo di lucro, mancano di un elemento che tipicamente caratterizza la fattispecie delle SPA del nostro ordinamento. Sono società che, dal punto di vista causale, si differenziano notevolmente rispetto alla società prevista nel codice civile. Sono società in cui l‟oggetto sociale non è determinato liberamente dai soci ma è previsto da una legge, la legge che ha previsto la costituzione della società da parte dello stato, e prevede quale debba essere l‟oggetto sociale della società. Ovvero ancora che la nomina di amministratori e sindaci non venga decisa dall‟assemblea dei soci ma spetti di diritto ad un determinato ente pubblico, ad una determinata amministrazione pubblica. Si tratta di società di diritto speciale proprio perché, nella loro organizzazione, prevedono questo elemento di specialità che le differenzia rispetto alle regole delle società previste in base al nostro ordinamento. Addirittura vi sono società partecipate che devono essere obbligatoriamente partecipate dagli enti pubblici, nel senso che il loro capitale non potrebbe essere trasferito a soggetti privati, questo soprattutto per le e società che svolgono funzioni supplementari rispetto a determinate amministrazioni pubbliche. Per queste società è prevista che l‟amministrazione pubblica di riferimento debba necessariamente detenere una partecipazione di controllo prevalente del capitale della società. Quarto modo di organizzazione è il gruppo pubblico. Cioè, sostanzialmente, in questo caso la articolazione dell‟impresa pubblica è più complessa perché abbiamo, sostanzialmente, una situazione al cui vertice è posta la pubblica amministrazione, il ministero competente. Qualche lezione fa ho ricordato che negli anni ‟60 era istituito il Ministero delle partecipazioni statali, oggi soppresso. Organizzazione complessa al cui vertice c‟è un ministero, ovvero anche un comitato in cui siedono i rappresentanti dei ministeri, per esempio comitato CIP, Comitato Interministeriale per la Programmazione economica, che ha la funzione di coordinamento dello svolgimento delle attività di un determinato settore economico. Al di sotto di questo, dagli anni ‟60 agli anni ‟80 c‟erano enti pubblici di gestione che svolgevano il ruolo di holding del gruppo pubblico. Al di sotto trovavamo le società 154 partecipate dagli enti di gestione che svolgevano attività operative nei diversi mercati. Fenomeno complesso che si articolava in vari livelli. Per esempio, da questo punto di vista, ricordiamo l‟IRI, ente di gestione che aveva il compito di gestire, coordinare la gestione di partecipazioni dello stato in varie società che svolgevano determinate attività economiche nel mercato. Questa organizzazione complessa della presenza pubblica nell‟economia determinava tutta una serie di obbligazioni, sicché si parla di modello di gruppo pubblico che è stato abbandonato nel corso del tempo. A questa situazione della presenza pubblica in determinati settori economici si è giunti attraverso il fenomeno delle privatizzazioni. È un fenomeno che è sempre stato presente nel nostro ordinamento, nella nostra economia, ma è diventato molto rilevante a partire dalla fine degli anni ‟80, soprattutto per due motivi: il primo è quello della necessità dello stato di ridurre il proprio indebitamento, una motivazione legata all‟esigenza dello stato di fare cassa, di realizzare determinate entrate attraverso la dismissione delle partecipazioni in società controllate o partecipate dallo stesso Stato o comunque dagli enti pubblici. In secondo luogo, il fenomeno delle partecipazioni era legato all‟esigenza di riorganizzare la presenza pubblica nell‟economia che assumeva queste configurazioni, ma è una presenza caratterizzata da sprechi, inefficienze, proliferazione di enti, occupazione da parte dello stato di spazi dell‟economia che potevano essere lasciati al settore privato. Un controllo di efficienza, fenomeno della presenza pubblica dell‟economia era pervasivo e il livello qualitativo dei servizi pubblici erano inadeguato, si sentiva la necessità di trasformare la forma giuridica dell‟impresa pubblica, soggetto potenzialmente imprenditoriale in società. In secondo luogo l‟esigenza dello stato di fare cassa attraverso la dismissione delle partecipazione dei soggetti trasformati. Questo disegno complessivo che incomincia ad attuarsi a partire dagli anni ‟90, è stabilito da tutta una serie di disposizioni legislative, nel libro molto dettagliate, occorre ricordare alcune norme. Una legge importante è la 359/1992 che prevede, all‟articolo 15, la trasformazione in spa di tutta una serie di enti pubblici di gestione, enti pubbliciposti al vertice di gruppi di società pubbliche. Ricordiamo la trasformazione dell‟ l‟IRI, l‟ENI, l‟INA, ENEL. Questa trasformazione, questo articolo 15 della legge 359/1992 prevede la privatizzazione formale di questi grandi enti pubblici economici. Prima erano enti pubblici economici di gestione ora trasformati in società. Occorrono attività di tipo esecutivo, cioè la disposizione legislativa, innanzitutto è chiaro che bisognava individuare il capitale sociale iniziale delle società derivanti dagli enti pubblici economici. Vi è una disciplina che prevedeva che il capitale sociale iniziale della società derivante della trasformazione fosse fissato in misura uguale al capitale di dotazione dell‟ente pubblico preesistente. Ogni ente aveva il suo capitale di dotazione. In secondo luogo, questi enti pubblici trasformati attività lo svolgimento di regole dell‟attività e le leggi istitutive di questi enti prevedevano che determinate attività 155 fossero riservate esclusivamente a questi enti pubblici. In questo modo si svolgeva il problema di come trasferire lo svolgimento di quelle attività che prima erano riservate loro per legge. La legge 259 prevedeva che questi enti pubblici rimanessero attribuite agli stessi enti in forza di concessione. Si prevedeva che la società per azioni, derivante dalla trasformazione dell‟ente pubblico, rimanesse concessionaria dello svolgimento di quelle medesime attività che prima svolgeva l‟ente pubblico. Questo tipo di previsione, l‟attribuzione mediante concessione dello svolgimento di una determinata attività economica, può sembrare,dal punto di vista sostanziale, molto simile al fatto che quella attività fosse svolta da un determinato ente. Esempio: nazionalizzazione delle attività elettriche. Questa legge prevedeva che determinate attività nel settore dell‟energia dovessero essere svolte esclusivamente da ENEL. Con la trasformazione di ENEL in SPA si è previsto invece che ENEL SPA avesse il diritto a svolgere queste attività che prima le erano assegnate per legge in base ad una concessione. Dal punto di vista sostanziale lo strumento sortisce i medesimi effetti. Cambio di prospettiva se le partecipazioni possono essere trasferite a soggetti privati, titolari di attività cui ENEL sono concessionarie. Questo è un punto molto importante da sottolineare. Questa soluzione nell‟attribuire ai soggetti derivanti dalla trasformazione del regime di concessione, determina il pericolo potenziale di trasferire, dalla mano pubblica, attività gestita in un mercato sostanzialmente monopolistico ad un soggetto privato; cioè il rischio trasferimento a soggetti privati di diritti di monopolio che prima spettavano alla mano pubblica. Questo senza che siano state fatte gare, procedure competitive, per assegnare il diritto di monopolio in base al soggetto privato. In base alle regole comunitarie, quando deve essere assegnato il diritto di svolgere in esclusiva una determinata attività economica, questo diritto esclusivo va messo a gara fra i soggetti che vogliono partecipare allo svolgimento dell‟attività economica. In questo caso, delle privatizzazioni che si sono realizzate nei primi anni ‟90, il diritto di monopolio è stato assegnato mediante concessione ex lege a determinate società che all‟epoca erano ancora in mano pubblica (società di proprietà dello stato), ma che successivamente avrebbero formato oggetto di operazioni di privatizzazione sostanziale, avrebbero formato oggetto di cessione ai soggetti privati. Vi sono state anche altre leggi che hanno previsto la partecipazione di enti pubblici, nel libro è ricordata la 59/1997, Bassanini bis, che ha previsto la trasformazione in società di tutta un‟altra serie di enti pubblici. Ancora oggi questa attività di privatizzazione, attività legislativa che prevede l‟obbligatoria trasformazione di enti pubblici in società, teniamo presente che ci sono norme e leggi che dispongono che enti pubblici economici e non economici debbano essere trasformati in società o soppressi.Caso di ente nazionale Anas, trasformato recentemente in Spa, nel libro si ricordano un sacco di esempi, Ente Nazionale di Assistenza al Volo, e così via. 156 Nei primi anni ‟90 abbiamo le prime leggi che prevedono la trasformazione di enti pubblici economici in SPA e l‟attribuzione a questi enti pubblici dalle medesime attività che prima svolgevano come enti pubblici, poi abbiamo ancora oggi una serie di leggi che prevedono la trasformazione di enti pubblici in società, programmi di riordino degli enti, in modo da determinare una maggiore efficienza dell‟ente pubblico, una sua riorganizzazione dal punto di vista organizzativo. Privatizzazione sostanziale. Una volta che l‟ente è trasformata in società si tratta di stabilire sulla base di quali regole possa essere ceduto il controllo a soggetti privati. Da questo punto di vista la norma fondamentale è il decreto legge 332/1994 trasformato poi in legge, la 474/1994 che è la cosiddetta legge sulle privatizzazioni, la legge che stabilisce in base a quali procedure lo stato, gli enti pubblici e le amministrazioni pubbliche in generale, possono cedere le proprie partecipazioni delle società trasformate a soggetti privati. Questa legge sulle privatizzazioni è divisa in due parti. Si distingue l‟ipotesi in cui l‟oggetto di privatizzazionesostanziale non svolge servizi pubblici ovvero sia una società che svolge i servizi pubblici. In generale, nei primi articoli di questa legge, si prevedono le modalità con cui lo stato può mettere in vendita le partecipazioni. La regola fondamentale è che lo stato quando cede deve farlo con modalità trasparenti e non discriminatorie. Lo stato non può vendere sulla base di trattative private, negoziando col soggetto le proprie partecipazioni, ma deve mettere a gara l‟acquisto della partecipazione da parte di tutti i soggetti potenzialmente interessati. Occorre che vengano poste in essere procedure dove tutti i soggetti possano formulare un‟offerta relativa all‟acquisizione della partecipazione. È chiaro che le situazioni relative alle numerosissime società in cui lo stato possedeva privatizzazioni erano molto diversificate, si prevedeva che le modalità specifiche potessero essere decise con decreto del PDC che doveva prevedere quali modalità doveva seguire di volta in volta a seconda delle caratteristiche specifiche delle società da privatizzare, fermo restando il principio di porre in essere modalità di vendita in cui si prevedevano forme di asta per l‟acquisizione di partecipazioni daparte dei soggetti privati. Con una deroga, se il valore economico della partecipazione fosse inferiori a 50 milioni di euro, sono previste in questi casi modalità di dismissione più semplici. Per esempio cessione a investitori istituzionali mediante meccanismi di asta con modalità meno onerose dal punto di vista degli adempimenti e delle modalità attuative. Si prevedeva una norma in base alla quale lo stato avrebbe potuto procedere con modalità alternative di dismissione nel caso in cui avesse deciso di individuare un dubbio stabile di azionisti di riferimento, decideva di dismettere le partecipazioni in una determinata società. Anziché venderle all‟asta, individuava, con un meccanismo di negoziazione, un gruppo di imprenditori che si facevano carico della gestione della società delle privatizzazioni garantendo determinate condizioni di gestione per un certo periodo di tempo. Questa modalità di gestione è stata adottata molto raramente, modalità di vendita che si pone in contrasto col principio generale della 157 legge sulle privatizzazioni che in realtà discende dallo stesso trattato istitutivo della CE. Tutte le volte in cui lo stato decide di vendere il proprio bene, il proprio asse e le proprie partecipazioni che svolgono un‟attività economica non lo può fare liberamente, ma deve scegliere l‟acquirente secondo meccanismi di asta competitivi secondo procedure di gara. Questo per due motivi: anzitutto dev‟essere data la possibilità a tutti gli imprenditori in un determinato settore, a tutti i soggetti che possiedono determinate caratteristiche, la possibilità di acquisire quella partecipazione che normalmente da diritto di gestire una determinata attività economica in regime di esclusiva, in una situazione quasi monopolistica. In secondo luogo le PA hanno l‟obbligo di vendere le proprie aste ai migliori produttori possibili reperibili sul mercato. Occorre dire che quando lo stato ha proceduto alla privatizzazioni, cessione a privati delle proprie partecipazioni a società oggetto di trasformazione, lo ha fatto secondo procedure di gara. In molti casi,all‟alternativa alla gara, si è proceduto con operazioni di diffusione delle privatizzazioni sul mercato, mediante procedure che prevedevano la quotazione delle partecipazioni, delle azioni della società oggetto di privatizzazione. Anziché vendere le partecipazioni della società privatizzata a determinati imprenditori, si è deciso di procedere con la quotazione delle partecipazioni nella società. Su questo apriamo un piccolo inciso. Occorre ricordare che per ottenere la quotazione delle azionidella società, è necessario che le azioni siano diffuse sul mercato, siano essi investitori istituzionali, di dettaglio. Una delle regole di ammissione è che queste azioni siano sufficientemente diffuse sul mercato, ci sia un flottante (quota di capitale) che non sia detenuto da singoli specifici soggetti, ma sia diffuso sul mercato, detenuto da un‟ampia platea di soggetti, ciascuno dei quali detiene la partecipazione al capitale della società superiore ad una determinata soglia. È necessario che per detenere le partecipazioni sul mercato, vengano poste in essere operazioni di collocamento. È necessario che le azioni vengano cedute, collocate sul mercato tramite gli intermediari, le banche e così via. In molti casi le operazioni di liberalizzazione dei primi anni „90 sono state attuate mediante le operazioni di collocamento sul mercato di quote di società privatizzate, caso di ENEL, ENI. Queste operazioni si sono svolte anche in più fasi. Una prima fase lo stato ha apportato una certa quota di capitale, successivamente è collocata sul mercato una ulteriore quota. Sicché il risultato finale è stato che la società privatizzata è stata ammessa alla quotazione ma lo stato ha mantenuto una partecipazione significativa nel capitale delle società oggetto di privatizzazione. Questo vale ancora oggi per ENI/ENEL dove il primo azionista è ancora lo stato e il restante capitale è diffuso sul mercato, tra azionisti che hanno partecipazioni significative, ma in maggioranza relativa: lo stato è il primo azionista della società privatizzata. 158 La legge 474 prevedeva regole particolari per la dismissione delle partecipazioni dello stato di società che svolgono particolari servizi pubblici. La norma della legge 474 prevedeva che prima lo stato alienasse, cedesse, il controllo di una società operante nel settore dei servizi pubblici, dovessero essere costituite autorità di regolazione del settore di servizio pubblico in cui operava la società oggetto di privatizzazione. Prima di cedere a soggetti privati la possibilità di nominare, avere il controllo di diritto di una società che esercitava la attività nei servizi pubblici, occorresse istituire una autorità di regolazione indipendente. Questo per evitare che l‟operazione di privatizzazione comportasse un impedimento del monopolio dal pubblico al privato. Occorreva che prima del trasferimento del controllo della società fosse istituita un‟Autority il cui ambito fosse sottoposto a misure di regolazione. Non solo, per quelle società si prevedevano disposizioni ulteriori dirette a far si che lo stato potesse mantenere un controllo della società nonostante la privatizzazione e che quindi la società fosse ceduta ai privati. Innanzitutto erano previsti i poteri speciali. Prima della cessione al soggetto privato era previsto che lo stato potesse inserire nello statuto della società determinati diritti particolari che lo stato si riservava nonostante il fatto che lo stato cessasse di essere azionista o abbassasse in modo significativa la partecipazione delle società. Sono le golden shares. In deroga alle regole ordinarie, si prevedevano prerogative particolari che spettavano allo stato di dire, esprimere una propria posizione sulla gestione della società nonostante la perdita di controllo della società stessa. Quali erano i poteri che lo stato si riservava e ancora oggi presenti negli statuti di società oggetto di privatizzazione? Il primo era potere di veto, di opporsi all‟effettuazione da parte della società di operazioni straordinarie particolarmente significative: fusioni, scissioni, cambiamento dell‟oggetto sociale. In secondo luogo, nonostante di fatto avesse perso controllo della società, mantenere il diritto di nominare un amministratore della società non esecutivo, privo di deleghe operative. Poi altri ulteriori diritti di opposizione alla conclusione di patti parasociali tra i soci della società, oppure diritto di opposizione all‟assunzione di partecipazione nell‟ipotesi in cui queste acquisizioni superassero una determina somma. È importante ricordare come in base a questi poteri speciali lo stato si conservasse una sorta di potere di ingerenza una volta che la società fosse stata privatizzata. Il contenuto di questi poteri speciali è stato negli anni successivamente modificato. Sono state modificate le leggi che prevedevano le condizioni sulla cui base lo stato fosse legittimato a esercitare questi poteri speciali. In quali condizioni lo stato può avvalersi di questi poteri speciali che si riserva nello statuto della società privatizzata? Qua il problema, nello stabilire le condizioni modificate nel corso del tempo, è di compatibilità fra i poteri speciali e principi dell‟ordinamento comunitario. Qual è la prospettiva dell‟ordinamento comunitario? Quella della libera circolazione dei capitali, della libertà di investimento. 159 La logica del legislatore comunitario è: la società è stata privatizzata, l‟attività che è oggetto, che viene gestita è stata liberalizzata, è quindi impensabile e contrario alle disposizioni che lo stato possa mantenere dei poteri di influenza sulla gestione della società. Si è scelto di liberalizzare il settore, privatizzare la società e questo mantenimento di prerogative speciali allo stato è incompatibile con queste scelte di fondo che sono state fatte da un determinato stato dell‟Unione europea. In particolare ci sono tutta una serie di sentenze della corte di giustizia in cui si diceva che la previsione dei poteri avesse avuto l‟effetto di limitare l‟ingresso di soggetti e capitali stranieri nel capitale delle società privatizzate. Questo vale per l‟Italia come per altri paesi eurpei. Questa limitazione sarebbe contraria alla libera circolazione dei capitali, libertà di investimento. Vi sono casi in cui possono essere previste deroghe, eccezioni, ai principi di libertà, in particolare di capitali in base al trattato. Ciò è possibile se la deroga è derivata da ingenti motivi di interesse generale relativi a ordine pubblico, sicurezza pubblica, sanità pubblica, difesa e così via. In questi casi, se vi sono queste giustificazioni che stanno alla base del mantenimento da parte dello stato del potere di influenza sulla gestione della società privatizzata, allora è prevista la deroga alle libertà di circolazione. In altri termini è necessario che l‟esercizio dei poteri speciali da parte dello stato di società privatizzate, si giustifichi in base alla necessità di salvaguardare determinati interessi fondamentali dello stato, attinenti ad ordine pubblico, sicurezza pubblica, difesa e così via. Dal punto di vista del diritto comunitario i poteri speciali sono compatibili in certi limitatissimi casi. C‟è un contrasto con le istituzioni europee e le nostre leggi, decreti, che hanno determinato le condizioni sulla cui base possono essere esercitati i diritti speciali, proprio perché sulla base delle istituzioni comunitarie, i poteri speciali che sono previste nelle nostre leggi e lasciano discrezionalità ai soggetti a cui è demandato l‟esercizio di questi poteri speciali. Non solo, ma occorre anche ricordare che con una legge del 2005 è stata introdotta la possibilità di prevedere, nello statuto di queste società in cui lo stato detiene una partecipazione rilevante, le cosiddette……., diritti particolari riconosciuti a particolari categorie di azionisti. Qual è il motivo per il quale queste società privatizzate vengono previsti poteri speciali, una posizione privilegiata dell‟azionista pubblico rispetto agli altri azionisti? È semplice, si vuole evitare che le nostre grandi SPA, che derivano da questi processi di trasformazione degli enti pubblici in SPA, cadano nelle mani dei loro grandi concorrenti internazionali; lo stato non vuole correre il rischio di perdere il controllo totale dei campioni nazionali, delle società che operano nei settori strategici che operano nella nostra economia nazionale (ENEL, ENI, Finmeccanica). Si prevedono regole che rendono possibile allo stato ed enti pubblici di opporsi all‟ingresso di determinati soggetti privati nel capitale di queste società. 160 È chiaro che questa esigenza di salvaguardare il controllo della gestione dei grandi gruppi pubblici, si pone in contrasto con la libertà circolazione del capitale. È possibile che una società pubblica, una volta che è stata quotata, sia oggetto di una offerta pubblica di acquisto da parte di un suo concorrente straniero. Le operazioni sono significative dal punto di vista economico ma nulla esclude che un domani, proprio perché ci sono società quotate che lanciano un‟OPA per cercare di arrivare a detenere una partecipazione significativa del capitale. Questo è il motivo per cui è stata istituita la pillola avvelenata. I soggetti che detengono una particolare categoria di azioni di richiedere l‟emissione di ulteriori azioni o strumenti finanziari al verificarsi di determinati eventi. Lo Stato mantiene una partecipazione del capitale di una società. Nell‟ipotesi in cui questa società sia oggetto di una scalata, opa da parte di un concorrente, lo stato si riserva il diritto di richiedere che la società faccia degli aumenti di capitale che hanno l‟effetto di accrescere la partecipazione dello stato da parte della stessa società, con l‟effetto di disincentivare, rendere difficoltosa l‟acquisizione del capitale della società stessa da parte di questo offerente. Per questo si chiamano pillole avvelenate: sono azioni in cui il detentore il privilegio di chiedere un aumento di azioni della stessa categoria aumentando il numero di azioni necessario sostanzialmente per acquisire il controllo della determinata società. L‟acquisizione del controllo della società richiede che il potere non venga esercitato da parte dei soggetti interessati, il diritto di chiedere l‟emissione delle azioni. Ciò rende, la presenza delle categorie speciali di azioni, non acquisibile la società da parte di investitori esteri. 08/05/2012 Parlavamo ieri delle privatizzazioni ed eravamo arrivati all‟analisi della legge 474/1994 che disciplina le modalità con cui lo Stato e gli enti locali possono dismettere, cedere partecipazioni nelle società dai paesi detenute. Avevamo visto come la legge distingue a seconda che la società oggetto di partecipazione gestisce pubblici ovvero non li gestisce. La stessa legge sulle privatizzazioni prima che porti a termine una procedura di privatizzazione che determina la perdita del controllo della società da parte dello stato o dell‟ente di riferimento è necessario da un lato che venga istituita una autorità di regolazione del settore in cui opera la società privatizzata, e la possibilità di inserire nello statuto della società determinate regole che consentono allo stato, all‟ente di mantenere un certo potere di coerenza sulla gestione della società posta in privatizzazione tra queste regole. Queste sono le regole dei poteri speciali che il soggetto pubblico si attribuisce in via statutaria e che consentono di dire la propria opinione, autorizzare, vietare lo svolgimento di determinate operazioni da parte della società, per esempio operazioni straordinarie: fusioni, scissioni, acquisto di partecipazioni. 161 Abbiamo visto anche come queste norme che prevedono il mantenimento dal parte dello Stato degli enti pubblici un potere ininfluente sulle società oggetto di privatizzazione, sono disposizioni che vengono viste con sospetto, o addirittura che si pongono in contrasto con le disposizioni del trattato sul funzionamento dell‟UE perché pongono dei limiti alla libertà di azione della società posta in privatizzazione e disincentivano gli investitori stranieri, gli investitori esteri dall‟investire in queste società. D‟altro canto, le motivazioni che stanno alla base di questi poteri speciali che lo stato mantiene nelle società privatizzate, è quello di impedire che le società vadano a finire in mani della proprietà di soggetti che in qualche modo sono sgraditi rispetto allo Stato. Si tratta di società che hanno un interesse strategico nell‟ambito di una economia nazionale: pensiamo a ENI, ENEL, Finmeccanica che non vuole cedere il suo gruppo. Vi erano poi delle norme sulla legge delle privatizzazioni che prevedevano ulteriori regole statutarie particolari per le società privatizzate. Questo coerentemente con uno degli gli obiettivi che stanno alla base delle procedure di privatizzazione che era, come alternativa alla cessione del capitale della società, della partecipazione ad un unico investitore privato, quello di favorire la diffusione delle azioni della società presso il pubblico dei risparmiatori. In molti casi le privatizzazioni si sono realizzate mediante la diffusione delle azioni delle società da privatizzare sul mercato mediante offerte pubbliche e il contenimento della quotazione della società privatizzata. Uno dei modelli di privatizzazione che ha portato la legge 74/1994 è quello di privatizzare una società ad azionariato diffuso, modello delle public companies, tipico delle economie anglosassoni: società in cui i soci non possiedono una percentuale significativa del capitale della società ma il capitale della società è detenuto dal mercato, da investitori al dettaglio, ovvero anche investitori istituzionali, senza che ciascuno di essi abbia il potere di influenza dominante sulla gestione della società. Il modello della public company è rimasto teorico. La maggior parte delle società oggetto di privatizzazione o hanno dei soci di controllo a cui fanno riferimento, in molti casi in realtà la diffusione sul mercato delle azioni delle società privatizzate si è accompagnata con il mantenimento da parte dello stato dalla posizione di un socio di controllo, di primo azionista, con maggioranza relativa della società privatizzata. Esempio che si fa in questi casi è quello di ENI. Una società che ha gran parte del capitale diffuso sul mercato, detenuto da investitori istituzionali in parte. Il socio ha la maggioranza relativa è lo Stato tramite un soggetto che detiene la partecipazione che è la Cassa depositi e prestiti. Per favorire questo modello della public company (legge 74/1994) erano previste due clausole: una poneva un limite al possesso azionario del singolo azionista della società oggetto di privatizzazione, si poteva prevedere nello statuto della società che, in nessun caso, un singolo azionista diverso dallo Stato o ente locale di riferimento, potesse detenere una partecipazione superiore al 5%nella società. 162 Questa norma creava veri e propri ostacoli di tipo giuridico al fatto che un soggetto privato potesse arrivare a detenere una partecipazione particolarmente significativa nel capitale della società. In secondo luogo si prevedeva che (in caso di limiti al possesso azionario)per la nomina degli amministratori e sindaci occorreva prevedere meccanismi di voto di lista, il potere di nominare amministratori e sindaci della società è attribuito proporzionalmente ai vari soci della società, in modo che il socio di controllo, che ha la maggioranza dei voti nella società, non sia in grado da solo di esprimere la totalità degli amministratori e sindaci della società, ad un certo punto la nomina degli amministratori e sindaci è attribuitaai soci di minoranza; un meccanismo che consente che negli organi di controllo della società vi sia una rappresentanza anche con delle minoranze azionarie. Una modalità particolare di privatizzazione è stata attuata in riferimento a delle SPA, con la legge 259 del 1993, e poi si è attuata una modalità particolare di privatizzazione della società perché si trattava evidentemente, come abbiamo già detto parlando nel settore dell‟energia, di smantellare, diminuire il potere di mercato monopolistico che Enel deteneva nel settore dei servizi energetici. Prima della privatizzazione, si è posto ad ENEL di cedere, mediante procedure di asta, una consistente parte delle proprie centrali di produzione di energia elettrica. Questo è stato fatto, sostanzialmente, costituendo tre società, le tre Genco,Generetion companies, società di produzione, queste centrali sono state conferite in tre società distinte, in ciascuna delle quali la partecipazione di queste società sono state messe all‟asta da parte di ENEL. Sono state previste queste procedure di vendita che queste società non potessero essere vendute a società partecipanti in misura superiore al 30% da enti pubblici, in modo da evitare che si creasse una sorta di ripubblicizzazione delle società di energia elettrica messe in vendita da Enel. Le 3 Gencosono state vendute a Intesa Italia, che poi una di queste è stata ceduta al gruppo spagnolo Intesa finita sotto il controllo della stessa Enel per effetto di una OPA. Una Genco è stata comprata da Eni Power a cui partecipa anche Iren. Diciamo che la privatizzazione di Enel è stata attuata con una serie di cautele per evitare che questa procedura di privatizzazione si accompagnasse in modo armonioso, con il programma di liberalizzazione del mercato elettrico nel nostro paese, in cui ENEL che deteneva una posizione dominante, essendo l‟ ex monopolista pubblico. A questo fine, è stato previsto che, una norma del 2001, decreto legge 2001/192 che nessun operatore straniero potesse acquisire partecipazioni superioreiall‟1% in società operanti nel settore dell‟energia elettrica e il gas; una clausola di sbarramento per società che operano nel settore dell‟energia elettrica e il gas. In particolare questo divieto era posto a carico di società controllate da altre amministrazioni pubbliche e che detengono una posizione dominante nel proprio mercato interno. Che cosa vuol dire? Si imponeva un divieto alle grandi altre società pubbliche europee di acquisire partecipazioni significative nel capitale delle nostre società operanti nel settore dell‟energia elettrica e del gas. Questa misura è stata prevista in un momento 163 particolare, nel momento in cui vi era il gruppo (Enerp) equivalente di ENEL nell‟economia francese che aveva acquisito una partecipazione significativa nel capitale della società Edison, secondo operatore di mercato elettrico nel nostro paese. Questa misura voleva impedire che un grande monopolista francese, produttore di energia elettrica, diventasse un operatore dominante anche nel nostro paese. Questo avrebbe ostacolato la piena liberalizzazione dei mercato elettrico anche nel nostro paese. Nel settore dell‟energia elettrica e il gas le procedure di liberalizzazione sono attuate tenendo ben presente l‟obiettivo di garantire che la privatizzazione dell‟ex monopolista pubblico non comportasse nell‟ingresso del nostro mercato un operatore dominante o un monopolista di un altro paese dell‟Unione europea, perché evidentemente si sarebbe prodotto un assetto di mercato contrastante con gli obiettivi di liberalizzazione previsti. D‟altro canto queste limitazioni sono previsti non solo nel nostro ordinamento ma anche in altri ordinamenti europei. Un‟altra privatizzazione più familiare, è quella che è stata posta in essere con modalità derogatorie, ha riguardato Alitalia. Sono state emanate una serie di norme proprio per Alitalia, in questo caso le deroghe erano date dal fatto che si trattava di privatizzare Alitalia che era in una profonda crisi economica e finanziaria della società. È stato previsto che la cessione del controllo di Alitalia dovesse essere effettuata non con la procedura dell‟asta pubblica ma individuando operatori disponibili ad acquisire il controllo di Alitalia mediante una procedura di trattativa privata. Come ricorderete la procedura di privatizzazione di Alitalia si è caratterizzata per altri due elementi: - Gli assetproduttivi inerenti al trasporto aereo e passeggeri e alle linee sono state conferite ad una società in grado di continuare le attività svolte da Alitalia; - Gli asset non produttivi sono stati conferiti ad una società destinata ad essere liquidata e posta in amministrazione straordinaria con una procedura analoga di fallimento, procedura liquidatoria. Altra caratteristica è stata che la società che ha ereditato gli asset operativi dell‟azienda è stata fusa con uno dei principali concorrenti di Alitalia, la società Airone, anch‟essa che era in una situazione di difficoltà finanziaria. La procedura di privatizzazione si è accompagnata ad una operazione di concentrazione fra i due principali concorrenti nel nostro mercato nazionale per quel chee riguardava i voli di linea all‟intero del mercato nazionale. Questo ha fatto si che si fosse creato una sorta di monopolista per alcune linee nel nostro mercato, e ciò ha comportato che il legislatore dovesse intervenire con una deroga alla legge antitrust che prevede norme sul controllo sulle concentrazioni che impongono una valutazione preventiva delle concentrazione al fine di verificare se la concentrazione sia idonea a perseguire una posizione dominante tale da pregiudicare il 164 mantenimento della concorrenza sul mercato. La fusione tra Alitalia e Airone portava ad una situazione di questo genere. Da qui la necessità di derogare le norme sulla concentrazione da parte dell‟autorità garante e quindi fare in modo che l‟autorità garante potesse soltanto, anziché vietare l‟operazione di concentrazione tra Alitalia e Airone, che pure era necessaria per garantire la sopravvivenza dell‟ Alitalia risanata,l‟autorità garante fosse obbligata a dare l‟OK alla creazione di questo monopolista imponendo tutta una serie di condizioni e limiti, in modo che la società non abusi del proprio potere di mercato. Oggi come oggi Alitalia è controllata da una società, dalla CAI,Compagnia Aerea Italiana, che controlla Alitalia al 75%,il restante 25% è stato acquisito da Air France. Allo stesso tempo è stata istituita una company per altri asset interessanti dal punto di vista territoriale, destinata ad essere liquidata nell‟ambito della procedura di amministrazione controllata. Nel libro è ricordata la procedura del tutto particolare della privatizzazione di Tirrenia, che è il risultato del tema che abbiamo visto velocemente della liberalizzazione delle rotte marittime, appannaggio esclusivo non solo di Tirrenia ma anche di altre società regionali che svolgevano servizi di cabotaggio, di collegamenti con alcune piccole isole delle regioni italiane. Vi era la società Toremar che collegava la Toscana con le isole dell‟arcipelago toscano (Isola d‟Elba e così via);Siremak partecipata da Tirrenia operava nel territorio della Sicilia. In questo caso si è scelta una procedura non straordinaria, ma quella di un‟asta pubblica, all‟esito della quale una cordata di imprenditori italiani operanti nel settore del trasporto marittimo di merci e passeggeri si è aggiudicata la procedura, ma con l‟incognita derivante dal fatto che Tirrenia, nel corso degli anni, è stata beneficiaria di consistentissimi aiuti di stato da parte del nostro stato per garantire la sopravvivenza. C‟è una procedura di indagine che è stata avviata dalla CE diretta a valutare se Tirrenia possa essere ceduta a soggetti privati pur con tutta la consistente mola di aiuti di stato che dovranno essere garantiti alla stessa Tirrenia da parte del nostro stato per assicurarne la sopravvivenza. Queste privatizzazioni che ho ricordato sono state poste in essere dallo Stato, dagli enti locali, che le ha poste in essere mediante un suo organo specifico e poi la direzione generale del tesoro ha gestito nel corso degli anni queste procedure di privatizzazione che, dal punto di vista dei risultati, non hanno portato ai risultati sperati. Se è vero che nel corso degli anni molte imprese pubbliche, in forma di imprese organo, ente, investivano in molte attività del nostro mercato e sono state trasformate in società, ci sono state quindi molte privatizzazioni formali, in molti casi la privatizzazione sostanziale, si era realizzata soltanto parzialmente. Restano sotto il controllo dello stato tantissimi soggetti che sono stati trasformati in società private: ENEL, Poste Italiane, ENI, Ferrovie dello Stato, ENAM, la RAI, Finmeccanica, Terna e così via. Moltissime tra le più importanti società industriali 165 della nostra economia sono ancora sotto il controllo dello stato nonostante il fatto che siano state oggetto di procedura di procedura delle privatizzazioni. Negli statuti sono previsti poteri speciali a favore dello stato. Si tratta di società non sono completamente assoggettate al regime giuridico di diritto privato che si applica a tutte le altre società per azioni. Sono società caratterizzate da elementi di commistione tra regimi di diritto pubblico e regimi di diritto privato che le rendono differenti rispetto alle altre società che operano sul mercato con cui concorrono con queste società perché non sono libere di determinare il proprio assetto organizzativo. Il libro fa una analisi delle procedure di privatizzazione che prosegue considerando tutta una serie di casi specifici a partire dalla privatizzazione delle ferrovie dello stato, privatizzazione di Poste Italiane, privatizzazione di Telecom, ENAV e così via.Su questo direi che ci possiamo soffermarcisolo su alcuni esempi di procedure di privatizzazione. Ciascuna procedura è contraddistinta da una sua storia particolare su cui si è pervenuti all‟attuale assetto della società, ma è eccessivo ai fini del corso considerare puntualmente queste singole vicende di privatizzazione.Soffermiamoci su alcuni specifici esempi per la loro rilevanza, anche per spiegare l‟ordinamento attuale di alcuni soggetti che operano sul nostro mercato. Ricordiamo Cassa depositi e prestiti. Organo che aveva due compiti. È il soggetto che raccoglie risparmi sul mercato tramite la raccolta che si attua negli uffici postali, sottoscrizione di tutti quei titoli e conti correnti che sono gestiti da poste Italiane SPA. È un soggetto a cui affluiscono in misura significativa il risparmio delle famiglie italiane, in particolare di quelle famiglie che investono con i propri risparmi sugli strumenti dello Stato. Tradizionalmente questo risparmio è stato impiegato dallo Stato tramite Cassa depositi e prestiti con due finalità: dapprima di finanziare gli enti pubblici, gli enti locali per quel che concerneva la realizzazione di opere pubbliche di vario genere, in particolare per quelle funzionali allo svolgimento dei servizi pubblici che, nel corso degli anni, erano di competenza degli enti locali. Pensiamo agli acquedotti, reti di distribuzione del gas. Gli enti locali con Cassa depositi e Prestiti servivano per finanziare i propri investimenti, ma anche per finanziare la propria spesa corrente. In secondo luogo è anche il soggetto che, nel corso degli anni, ha finanziato le società che svolgevano i servizi pubblici. Ad un certo punto il legislatore ha sentito l‟esigenza di trasformareCassa depositi e Prestiti in spa al fine di dotarla di una forma giuridica più conforme al contesto operativo in cui la cassa depositi e prestiti è destinata ad operare, è un istituto di credito, sia pure per una finalità di interesse pubblico. Si è operata una privatizzazione formale senza prevedere quella sostanziale, senza prevedere che parte del capitale CDP potesse essere ceduto a soggetti privati. Non solo, la privatizzazione di CDP si è accompagnata con tutta una serie di misure per distinguere in modo separato, netto, le attività tipiche di Cassa depositi e prestiti stessa. Da un lato le attività confluite nella gestione separata, quelle tradizionali di finanziamento degli enti pubblici. Gli enti locali prevedono tramite questa gestione separata sotto potere di indirizzo del ministero dell‟economia. 166 Per le restanti attività di Cassa depositi e prestiti? Cassa depositi e la gestione autonoma opera come un vero e propriosoggetto di diritto privato, inserito in una logica di mercato per finanziare opere, soggetti di vario genere, a tassi comparabili a quelli in cui i soggetti possono essere finanziati nell‟ambito del mercato. In realtà una parte del capitale di Cassa depositi e prestiti è stata ceduta alle fondazioni bancarie, quelle che controllano il capitale delle Banche nel nostro ordinamento, una percentuale del capitale di Cassa depositi e prestiti è stata mantenuta al Ministero dell‟economia. Non solo, ma lo stato ha trasferito alla Cassa alcune importanti partecipazioni delle società privatizzate, in particolare Terna, gestisce la rete di trasmissione nazionale e così via. In qualche modo Cassa depositi e Prestiti è stata trasformata in una sorta di ente di gestione delle partecipazioni statali. Non solo, ma proprio per l‟ingente mole di risorse finanziarie che sono state attribuite a Cassa depositi e prestiti, si è previsto che, tramite una propria gestione autonoma, possa intervenire nel capitale di società che hanno bisogno di ricevere dei finanziamenti. Cassa depositi e Prestiti ha costituito, nel corso del tempo, fondi comuni di investimento per intervenire nel capitale di società che necessitano di risorse per sviluppare le proprie attività. In particolare, la Cassa depositi ha istituito un Fondo Strategico Italiano, la cui missione è quella di intervenire nel capitale di imprese di rilevante interesse nazionale, in tutte quelle situazioni in cui lo stato voglia salvaguardare l‟assetto proprietario di queste società. Cassa depositi e Prestiti è diventata lo strumento di intervento dello stato nel capitale di società cui lo Stato decide di partecipare per evitare che queste società possano finire nelle mani di investitori stranieri. Privatizzazione delle banche pubbliche. Anche su questo il libro dedica alcune pagine, a noi ci interessa ricordare alcuni concetti fondamentali che hanno portato all‟assetto attuale delle nostre banche. Partiamo dal fatto che in Italia le banche erano soggetti controllati da enti pubblici. Vi erano 6 istituti di credito di diritto pubblico e tantissime casse di risparmio, anche queste soggetti di diritto pubblico. Poi vi erano alcune grandi società per azioni, le cosiddette banche di interesse nazionale: Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano, Banco di Roma, che erano costituite sotto forma di società e poste in esseresotto il controllo diretto dello stato. Attuare la privatizzazione formale delle banche pubbliche è stato reso difficoltoso per alcuni motivi:non tutte le banche avevano una struttura di associazione. In molti casi non era possibile individuare i soggetti pubblici che partecipavano al capitale della banca. In molti casi gli enti pubblici erano organizzati sotto forma di fondazione e quindi, era impossibile trasformare la banca pubblica in società per azioni. Cosa si è fatto allora? Si è prevista una operazione di liberalizzazione attuata mediante il conferimento delle banche, delle aziende bancarie, in una società neo costituita con l‟assegnazione delle partecipazioni della banca beneficiaria del 167 conferimento dell‟azienda bancaria ad una fondazione, divenuta titolare del controllo della banca pubblica. Abbiamo avuto due operazioni di conferimento, società per azioni e creazione di fondazioni bancarie, il cui scopo principale era quello di detenere le partecipazioni di controllo delle banche. In altri casi, si è voluto operare mediante vendita, trasformazione dell‟ente pubblico in spa e successiva dismissione delle partecipazioni. La vicenda relativa alle banche pubbliche ha due profili di interesse. Il primo è legato al fatto che innanzitutto si trattava di assegnare un particolare statuto giuridico, una missione, un assetto organizzativo, alle fondazioni bancarie che erano venute a detenere la partecipazione al capitale delle banche. È chiaro che queste fondazioni sono divenute titolari dipatrimoni molto importanti che doveva essere messo a servizio di rilevanti scopi di pubblico interesse. Si trattava di designare da un lato l‟assetto organizzativo delle fondazioni bancarie e dare a loro un indirizzo operativo, come utilizzare queste ingenti risorse finanziarie che derivavano dal fatto di essere azionisti di controllo, azionisti molto importanti dei nostri enti di credito. Si è disegnata una governance in base alla quale vi sono degli organi di indirizzo e di controllo i cui componenti sono designati dagli enti locali di riferimento in quel determinato territorio; quello a cui in precedenza facevano riferimento le banche trasformate in SPA. Si è assegnato alle fondazioni bancarie il compito di utilizzare le risorse per scopi di utilità sociale. Lo statuto di ciascuna fondazione bancaria prevede in modo specifico quali sono le attività di erogazione che possono essere perseguite dalla stessa fondazione. Non solo attività di erogazione, ma anche attività imprenditoriali sia pur finalizzate allo svolgimento di determinate attività sociali. La struttura organizzativa di controllo delle fondazioni bancarie è molto complessa. Si distingue in organi di diritto, una sorta di comitato esecutivo e assemblea dei partecipanti. Si tratta sostanzialmente di organi di indirizzo e controllo i cui componenti sono espressione degli enti locali e degli enti territoriali di una determinata area del nostro Paese. Per quanto riguarda le società bancarie, che svolgono attività bancaria e controllate dalle fondazioni, una legge del 2001, aveva previsto che le fondazioni bancarie dovessero dismettere il controllo delle società bancarie da essi partecipate. Cosa che è avvenuta in alcuni casi, in altri no.Abbiamo esempi, nella maggior parte dei casi, le nostre banche sono sotto il controllo di soggetti privati e, nell‟ambito di questa struttura delle banche, le fondazioni bancarie detengono ancora partecipazioni significative, ma non il controllo di diritto della società bancaria. Alle fondazioni partecipano, accordi di sindacato, patti parasociali con i soggetti ai quali si trasferiscono le fondazioni bancarie. La governance delle società bancarie è complessa, il controllo fa in parte fa capo ai soggetti privati e in parte alle fondazioni. C‟è stata una sentenza della corte costituzionale che ha riconosciuto la natura privata delle fondazioni bancarie, anche se la loro struttura organizzativa non è assibilabile a quella delle fondazioni disciplinatedal codice civile, ha una struttura organizzativa 168 peculiare e soprattutto, ancora oggi, le fondazioni bancarie operano sotto la vigilanza del ministro dell‟economia, anche se i loro organi di governo sono espressione degli enti territoriali di riferimento. Abbiamo parlato finora di privatizzazione dei soggetti, degli enti, delle imprese che svolgono determinate attività economiche e delle varie modalità, sia pur con esiti contrastanti, con cui è avvenuta nel corso del tempo la dismissione da parte dello stato partecipazioni di società. Dobbiamo accennare alla privatizzazione dei beni dello stato ed enti pubblici, il patrimonio immobiliare pubblico. Qua è importante mettere in evidenza solo alcuni concetti fondamentali. In base a quello che è previsto nel codice i beni pubblici si distinguono in: - Beni demaniali: le poste, il lido del mare, gli acquedotti, determinati beni definiti dalla legge come appartenenti al demanio, non sono alienabili in alcun modo, sono beni fuori commercio, non possono essere ceduti dall‟ente pubblico. Possono formare oggetto di concessione, tant‟è che oggi come oggi molti beni del demanio vengono concessi ai soggetti privati; - Beni patrimoniali indisponibili degli enti pubblici, beni che normalmente sono indisponibili in quanto vincolati ad una destinazione pubblica, con un particolare uso dell‟ente pubblico ne è proprietario. Per esempio gli uffici, sedi delle varie sedi della PA. Questi beni possono essere resi disponibili sulla base di un provvedimento amministrativo dell‟ente pubblico che ne è proprietario; - Beni disponibili: beni che possono essereliberamente venduti da parte delle PA che ne sono proprietari. Dobbiamo distinguere a seconda che il proprietario si a la PA, lo Stato e i vari ministero, gli enti locali, ovvero enti pubblici come gli enti previdenziali: Inps Inail. Si discute sulla dismissione del patrimonio immobiliare dello stato per il disavanzo pubblico accumulato nel corso degli anni. Come sappiamo, anche leggendo i giornali, il patrimonio immobiliare dello stato e degli enti pubblici è molto consistente. Oggi se ne parla, bisogna sapere che queste operazioni di dismissione sono state poste in essere in modo consistente nel corso degli anni, a partire dai primi anni ‟90. Sono state poste in essere con modalità diverse, che non hanno sortito gli effetti desiderati. Importante ricordare quali sono state le modalità principali con cui lo stato ha cercato di vendere, del tutto o in parte, il proprio patrimonio immobiliare. Una prima modalità è quella della costituzione da parte dello stato ed enti pubblici di fondi immobiliari pubblici. Cosa sono? Fondi di investimento il cui patrimonio è investito in beni immobili. Sostanzialmente l‟operazione di dismissione del patrimonio pubblico avveniva mediante conferimento dallo Stato o da parte della pubblica amministrazionedei propri immobili nel patrimonio di questo fondo. A fronte di questo conferimento, assegnazione di immobili, emette quote di partecipazione che sono assegnate allo stato, all‟ente 169 pubblico, e che possono essere collocati sul mercato presso investitori istituzionali, investitori al dettaglio e così via. Si crea una operazione il cui oggetto di dismissione non sono direttamente gli immobili, bensì quote di partecipazione ad un fondo d‟investimento che è proprietario del patrimonio immobiliare pubblico. Secondo esempio.un po‟ più complicato, è quello delle operazioni di cartolarizzazione. Sono state poste in essere per gli immobili dello stato ma in parte anche per gli immobili delle regioni, per esempio gli immobili delle ASL. Qual è la tecnica dell‟operazione? Qui vengono ricordate le operazioni Ship, che hanno avuto esito sostanzialmente negativo. Importante è ricordare la tecnica utilizzata nelle operazioni di cartolarizzazione. Un immobile viene ceduto, un certo compendio immobiliare, un pacchetto, un gruppo di immobili di valore molto significativo viene ceduto ad una società di cartolarizzazione che paga gli immobili ceduti dallo stato finanziandosi con un gruppo di banche, istituti di credito, che diventano creditrici della società di cartolarizzazione che ha acquistato questi immobili. A questo punto la società di cartolarizzazione emette delle obbligazioni, che vengono collocate sul mercato, che vengono sottoscritte dagli investitori e che vengono rimborsate mediante la dismissione dei beni dell‟ente pubblico della società di cartolarizzazione. Ho omesso un passaggio: mediante le risorse raccoltecon le obbligazioni emesse sul mercato e sottoscritte dagli investitori la società di cartolarizzazione rimborsa il debito contratto per acquisire gli immobili, eche è stato finanziato dagli istituti di credito. Abbiamo una prima fase in cui la società di cartolarizzazione acquista gli immobili finanziandosi con debito bancario. Seconda fase in cui la società di cartolarizzazione emette prestito obbligazionario sottoscritto dal mercato e con i proventi derivanti dal prestito obbligazionario viene pagato il debito bancario. A questo punto la società di cartolarizzazione deve rimborsare gli investitori che hanno sottoscritto le obbligazioni, e lo fa sulla base di un programma di vendite di durata pluriennale degli immobili che ha acquisito. Una tecnica complessa questa della cartolarizzazione, perché viene utilizzata? Perché in questo modo, lo stato anziché vendere pezzo per pezzo i vari immobili che fanno parte del proprio patrimonio, li può vendere in blocco ottenendo immediatamente le risorse che la società paga finanziandosi con le banche. Mediante operazioni di cartolarizzazione, lo stato e gli enti pubblici possono incassare le risorse finanziarie derivanti dagli immobili; diversamente potrebbero incassare soltanto, nel corso del tempo, in rapporto all‟andamento delle vendite dei propri immobili. In effetti la terza modalità che è stata attuata per realizzare la trasmissione del patrimonio pubblico è quella della vendita sul mercato mediante procedure di asta. In questo contesto è delegata all‟Agenzia del Demanio la possibilità di alienare beni immobili di società dello stato in blocco, cosa che l‟agenzia del demanio può fare 170 chiaramente però anche in funzione dell‟andamento del mercato immobiliare. Queste vendite che vengono poste in essere hanno ulteriori difficoltà connesse nel porre in essere vendite frazionate del patrimonio dello stato. Le cessioni del patrimonio immobiliare hanno interessato gli enti previdenziali, in questi casi la cessione degli immobili degli enti previdenziali è stata attuata mediante la costituzione di operazioni di cartolarizzazione o la costituzione di società, di fondi immobiliari pubblici le cui quote sono state poi collocate sul mercato. Conclusioni. Bisogna dire che, come ricordavo in precedenza, il tema delle privatizzazioni ha comportato un forte arretramento dello stato dal mercato e quindi una diminuzione del tasso di presenza dello stato nel mercato tramite società controllate o partecipate dallo stesso stato, ma sicuramente questo arretramento non è stato completo, perché come dicevo in precedenza, ancora oggi gran parte delle società oggetto di privatizzazione sono ancora partecipate dallo stato ma soprattutto sottoposte a poteri di ingerenza da parte dello stato che si esercitano sotto diverse forme. Queste società privatizzate sono società che, pur operando in molti casi in mercati concorrenziali e liberalizzati, hanno uno statuto organizzativo, regole statutarie speciali che si differenziano rispetto alle società che concorrono sui mercati. In molti casi questa specialità, anche dal punto di vista organizzativo delle società privatizzate, è giustificata dal fatto che si tratta di società che,continuano ad essere presenti in mercati importanti nella nostra economia nazionale e svolgono ancora oggi importanti servizi pubblici, si tratta di società strategiche per determinati interessi del nostro stato, pensiamo al settore della difesa e così via. Questi elementi di specialità che caratterizzano le società privatizzate, sono ampi e forti che hanno fatto ritenere la giurisprudenza che si tratta di finte società per azioni che, nonostante la natura giuridica privata che hanno assunto, continuano ad essere soggette a particolari regole di diritto amministrativo. È venuta fuori, soprattutto nell‟ambito della giurisprudenza amministrativa, una teoria in base alla quale in molti casi siamo in presenza di enti pubblici sotto forma di società per azioni. L‟ente pubblico avrebbe assunto una diversa veste giuridica ma, dal punto di vista della sostanza vi sarebbe un ente pubblico sotto forma di società per azioni che, nella sostanza, rimarrebbe comunque ente pubblico, sottoposta ad enti pubblici di vario genere. Questo complica il quadro. Nel nostro ordinamento abbiamo un terzo genere di soggetti giuridici che operano sui mercati che si pone accanto alle SPA agli enti pubblici che sono regolati dall‟autorità amministrativa. Abbiamo questo terzo genere di soggetti che sono le spa che hanno natura sostanziale di ente pubblico, proprio perché lo stato mantiene un forte interesse allo svolgimento della relativa attività. 15/05/2012 La lezione di domani, 16 maggio è sospesa. Dobbiamo fissare la data del secondo compitino: martedì 5 giugno 2012, due settimane prima del primo appello. 171 Oggi volevo parlare del penultimo capitolo del vostro libro, che riguarda il CONTROLLO DELLA FINANZA PUBBLICA. È un tema molto complesso, nel vostro libro è ricordato nella sua architettura istituzionale, come, quali sono i soggetti che hanno competenze in materia di controllo della finanza pubblica, e quali sono le finalità di questo controllo, e soprattutto anche la sua evoluzione nel corso del tempo, come spesso avviene nell‟ambito del libro di Cassese, vi è sempre questa attenzione all‟analisi del tema nella sua prospettiva storica, come il fenomeno sia economico e giuridico si è sviluppato nel corso del tempo. Questo vale anche nel controllo della finanza pubblica che ha subito una modificazione radicale negli ultimi anni, possiamo constatare ancora oggi, verificando giorno per giorno, il grado di pervasività della presenza delle istituzioni europee sulle decisioni in materia di finanza dei vari stati membri, nell‟attuale situazione e nella crisi del debito sovrano di alcuni stati, il tema della finanza pubblica non è più di esclusivo appannaggio dei singoli stati membri, bensì è diventata una questione di livello europeo, a cui vengono fornite risposte comunitarie, sia pure tramite gli organi di governo dei vari stati membri. Il tema della finanza pubblica è di grande attualità, ha una finalità diversa rispetto al passato. All‟inizio del „200 la dimensione della spesa pubblica era nell‟ordine del 10% del PIL e oggi, come sappiamo, le dimensioni sono ben diverse, intorno al 60% del PIL. È un tema anche teorico molto importante che viene messo in evidenza sul vostro libro, sul quale vorrei soffermarmi. La crescita delle dimensioni della spesa pubblica è andata di pari passo con l‟aumento del ruolo dello Stato come erogatore di servizi pubblici di tipo imprenditoriale nei confronti dei cittadini ma anche servizi di vario genere, previdenziale, servizi sociali e così via. La spesa pubblica va di pari passo con l‟affermazione del modello del welfare, in cui lo stato si fa carico dell‟erogazione di determinate prestazioni a beneficio dei cittadini e ne sopporta i costi. In questo caso abbiamo lo stato non come regolatore di attività economiche, bensì come erogatore di prestazione di servizi a favore dei cittadini. Lo stato finanzia questa propria attività con la fiscalità generale, con le tasse che riscuote coattivamente dai cittadini. Abbiamo da un lato lo Stato che,dal lato della raccolta, ottiene risorse mediante l‟imposizione fiscale, secondo le regole che si applicano all‟imposizione fiscale, regole di tassazione progressiva; vi sono vari tipi di tassazione che hanno dei loro criteri ed una propria logica che qua non dobbiamo considerare. Dall‟altro lato lo stato utilizza queste risorse per finanziare l‟erogazione dei servizi a favore dei cittadini. Lo stato, nell‟ambito della finanza pubblica interviene, è diventato quasi una sorta di intermediario finanziario, nel senso che raccoglie risparmio dai cittadini e lo utilizza per erogare determinate prestazioni. Punto importante che viene messo in evidenza è questo: i criteri sulla cui base lo stato raccoglie le risorse dei cittadini mediante imposizione fiscale, non sono gli stessi sulla cui base lo stato eroga prestazioni ai cittadini. Le regole sulla cui base i cittadini 172 vengono tassati, sono regole molto diverse, complesse, a seconda del tipo di imposizione, di quale tassazione stiamo parlando, hanno una determinata logica, seguono determinati criteri. Sono regole secondo cui lo stato chiede un determinato ammontare di risorse che vengono utilizzate per erogare prestazioni ai cittadini su criteri di erogazioneche ancora una volta differenziati e non necessariamente coincidenti con i criteri sulla cui base lo stato ha erogato queste risorse. Mediante la finanza pubblica, l‟imposizione fiscale, lo stato svolge una funzione importante di redistribuzione delle risorse all‟interno del sistema economico tra fasce della popolazione, fra i cittadini. Questa funzione redistributiva, è essenziale al funzionamento dello stato e risponde a logiche di tipo politico a seconda degli indirizzi dei governi che succedono ad una determinata economia, un determinato stato. Questa distribuzione può essere più o meno forte, più o meno marcata a seconda del tipo di orientamento politico dell‟apparato amministrativo, del governo. Questo tema della redistribuzione è fondamentale quando si parla di finanza pubblica e quando si decide come le risorse devono essere dirette ad alimentare un certo tipo di spesa piuttosto che un altro. È chiaro che questo tipo di analisi non è in rilievo, tanto le finalità della spesa, piuttosto le modalità con cui lo stato decide di spendere determinate risorse in favore di determinati servizi, di soddisfare determinati bisogni, e in particolare le regole della contabilità dello stato, di contabilità pubblica, regole molto particolari che sono molto diverse rispetto a quelle che voi studiate quando si parla di imprese private, regole assolutamente peculiari anche nelle loro caratteristiche significative rispetto alle regole di qualsiasi altra organizzazione. Parleremo un po‟ di contabilità pubblica, brevemente, per vedere gli obiettivi fondamentali, in che modo viene esercitato il controllo sulla finanza pubblica: legge finanziaria, bilancio dello stato, e quali sono i poteri che hanno le autorità europee nel rispetto di determinate regole di finanza pubblica. Questa funzione redistributiva che viene svolta mediante la finanza pubblica ha alcune caratteristiche, anzitutto la funzione redistributiva si basa su regole che variano di anno in anno. Mentre la regolazione avviene sulla base di regole, decreti ministeriali, di delibere dell‟autorità di regolazione che fissa regole che devono durare per un certo periodo di tempo, nel caso della spesa sociale, cambiano anno per anno. Gli strumenti di contabilità sulla cui base la spesa sociale è organizzata, sono strumenti che hanno un orizzonte temporale annuale. In secondo luogo, la spesa redistributiva dello stato è condizionata da tutta una serie di circostanze macroeconomiche che lo stesso stato deve tenere conto quando decide le dimensioni quantitative del proprio intervento redistributivo sul mercato. Basti pensare in questi giorni all‟importanza del differenziale sui tassi di interesse emessi dallo stato tedesco, e quanto questo differenziale sia importante per orientare le scelte di programmazione finanziaria dello stato. In terzo luogo, nell‟ambito di questa funzione redistributiva, lo stato non si pone come regolatore, ma piuttosto come fornitore di servizi ai cittadini. Non si pone in una posizione di supremazia, tipica dello stato che regola, governa un determinato settore 173 economico, un determinato mercato. Lo stato eroga prestazioni e utilità agli stessi cittadini. È chiaro che la capacità dello stato di distribuire risorse ed erogare servizi ai cittadini dipende dall‟ammontare di risorse che lo stesso stato ha a disposizione. Soprattutto dipende anche dalla possibilità che lo stato ha di controllare l‟impiego di queste risorse e di programmarle. Programmare l‟impiego delle risorse e controllare se le risorse sono state utilizzate per raggiungere un determinato scopo oppure no e quale è stato il risultato che è stato ottenuto. Nei vari periodi storici in cui lo Stato ha cercato di adottare delle misure, delle leggi, per controllare l‟impiego delle risorse pubbliche e quindi la spesa pubblica, viene in rilievo l‟introduzione dell‟articolo 81 della costituzione, norma fondamentale in materia di bilancio dello stato e finanza pubblica, il quale dice alcune cose importanti. Importante è il 3 comma:“con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese”. 4 comma :“ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese, deve rivendicare i mezzi per farvi fronte”; si prevede che qualsiasi legge che comporti maggiori spese o nuove spese rispetto a quelle oggetto della programmazione finanziaria che si attuano con la legge di stabilità, chiamata legge finanziaria, qualsiasi legge che comporti maggiori spese o nuove spese, deve indicare i mezzi per farvi fronte, deve avere una propria copertura finanziaria. Il principio della copertura finanziaria delle leggi, si spiega col fatto che il nostro ordinamento, il soggetto che ha il potere di iniziativa in materia di leggi è il parlamento, soggetto che non ha in mano la programmazione finanziaria dello stato. È necessario che, tutte le volte in cui viene emanata, da parte del parlamento, una legge che comporta un maggiore carico nella spesa pubblica, sia necessario anche indicare misure che servono per coprire queste maggiori spese poste a carico del bilancio dello stato. Al terzo comma dell‟articolo 81 viene regolato anche il bilancio dello stato. Evidentemente deve essere approvato di anno in anno con una legge che non può prevedere nuovi tributi e nuove spese. Questo perché il bilancio dello stato è un documento che rappresenta l‟ammontare della spesa pubblica e l‟ammontare delle entrate che si è registrato in un determinato esercizio finanziario. Anche nel caso dello stato il bilancio non fa che registrare qual è stato l‟andamento delle entrate e l‟andamento delle spese in un determinato esercizio finanziario; il bilancio di per sé non può stabilire nuovi tributi/entrate/spese. Lo strumento che si usa per intervenire per istituire nuovi tributi o prevedere nuove spese è quella che veniva chiamata legge finanziaria: strumento utilizzato dallo stato, presentato dal governo ed approvato dal palamento, per modificare sul fronte delle entrate e delle spese, i provvedimenti in grado di incidere sul bilancio dello stato. Oggi come oggi non è più la legge finanziaria, ma si chiama legge di stabilità e ha un orizzonte temporale più lungo di quello che erano le leggi finanziarie, è triennale. 174 Come vedremo tra breve questa incoerenzacon la necessità dei vari stati membri dell‟unione, di programmare in un arco temporale più lungo le proprie entrate e spese. L’articolo 81 al primocomma prevede che le camere, approvino ogni anno i bilanci e rendiconto consultivo presentati dal governo. Bilancio dello stato e rendiconto consultivo sono atti obbligatori presenti nel nostro ordinamento, atti che fotografano l‟andamento della spesa pubblica, delle entrate di un certo esercizio finanziario che è scandito temporalmente in modo molto preciso. Nel caso in cui questo bilancio consuntivo non sia approvato anno per anno, vi è un problema perché lo stato entra, questo vale anche per le altre amministrazioni, nell‟esercizio provvisorio, che non si può protrarre per un periodo superiore a 4 mesi. Il bilancio dello stato è un documento contabile, ed è articolato in maniera molto complessa. Nel nostro libro sono ricordate le varie articolazioni: vari programmi, missioni, del bilancio dello stato, quindi le varie voci, le varie poste che compongono il bilancio dello stato. Voci e poste molto diverse rispetto al bilancio delle società. È inutile addentrarci su questi particolari. Basta ricordare che il bilancio è articolato in funzione di unità di spesa, capitoli di spesa che sono di competenza dei vari ministeri e delle varie amministrazioni. Il bilancio ha un effetto redistributivo anche soprattutto all‟interno della pubblica amministrazione stessa, nel senso che specifica l‟ammontare delle risorse che ciascuna articolazione della PA e i ministeri hanno a disposizione per seguire, svolgere determinate funzioni di pubblico interesse. Queste risorse vanno poi differenziate a seconda che si tratti di risorse che devono essere destinate ad una certa amministrazione, ad un certo ministero per finanziare la spesa corrente, ovvero spese per investimenti e così via. Qua l‟articolazione effettiva del bilancio dello stato è molto complessa, basti ricordare il fatto che prevede determinati ammontari di risorse che sono destinati a finanziare la spesa delle varie amministrazioni rientrano nell‟ambito dell‟amministrazione dello stato. Il libro ricorda l‟andamento della spesa pubblica nel corso del „900 e ricorda le tappe fondamentali che hanno determinato l‟incremento della spesa pubblica. Incremento qualitativo e quantitativo delle prestazioni che lo stato si è fatto carico a favore dei cittadini. Ricordiamo 3 momenti fondamentali: negli anni 60 si è esteso l’obbligo scolastico, questa estensione fino alla scuola media, lo stato si è fatto carico di istituire e gestire le scuole necessarie per gestire questi obblighi. Negli anni ‟70 è stata introdotta la pensione sociale: riconosciuta a tutti i cittadini, a partire da un certo ambito di età e indipendentemente dall‟ammontare delle risorse che il singolo cittadino ha erogato allo stato. La pensione sociale è riconosciuta ai cittadini che versano in condizione di maggiore bisogno, per lo stato è una spesa sociale molto forte. 175 In terzo luogo, negli anni ‟70 abbiamo l’istituzione del SSN, ulteriore carico di spese sociali assunto dallo stato dal quale proviene anche l‟aumento notevolissimo della spesa pubblica che si è avuto a partire dagli anni ‟50 e ‟60. È chiaro che in tutto questo contesto, si è cercato di porre rimedio o di prevedere strumenti di controllo della crescita dell‟ammontare della spesa pubblica e soprattutto delle destinazioni della spesa pubblica. In primo luogo nel libro è ricordato il fenomeno della spesa sommersa. Può accadere che il parlamento approvi leggi che non hanno un effetto finanziario visibile, immediato, ma che hanno un effetto finanziario mediato, che danno luogo a maggiori spese. Pensiamo all‟istituzione di un nuovo ufficio all‟interno della PA ovvero alla creazione di un nuovo ente pubblico destinato allo svolgimento di determinate attività di interesse pubblico. Temi di questo genere erano particolarmente frequenti fino agli anni ‟70, incremento molto forte della spesa pubblica senza che questo incremento fosse tenuto sotto controllo, perché l‟effetto finanziario della legge non era rilevabile ma si manifestava nel corso del tempo. Da qui la necessità che ogni legge di iniziativa del governo deve avere, come documento di accompagnamento, una relazione tecnica da parte del ministero competente e della ragioneria generale dello stato, che deve quantificare quali sono gli oneri, le spese e i costi connessi ad una determinata disposizione legislativa. In effetti, andando a vedere gli atti preparatori di una determinata legge, se andate sul sito della camera o del parlamento e andate a vedere i lavori preparatori, vedete sempre che vi è una relazione tecnica che è predisposta dalla ragioneria generale dello stato che quantifica quali sono gli oneri che conseguono alla determinazione di una determinata legge. Questo per dare un significato all‟articolo 81, che prevede l‟obbligo di copertura finanziaria di nuove leggi dello stato. Il problema che si registrava nonostante questo obbligo di relazione tecnica che spiegasse la copertura finanziaria di una determinata legge, non ha risolto tutti i problemi. Sostanzialmente questo meccanismo non consente di tenere sotto controllo qual è il disavanzo dello stato in una prospettiva temporale lunga. È stato necessario nel corso del tempo passare da una logica di copertura finanziaria di una singola legge ad una logica di copertura del saldo netto del bilancio dello stato, di quello che viene chiamato disavanzo pubblico, la differenza fra le entrate e i costi della spesa pubblica nel suo complesso. Quale esigenza di garantire questa copertura delle spese dello stato non solo sulla base dell‟effetto finanziario che le spese producono nel corso di un determinato anno, ma anche prospetticamente, soprattutto quando una determinata legge determina delle spese che hanno un orizzonte temporale esteso. Su questa materia è intervenuta più volte la corte costituzionale nel specificare che questo obbligo previsto dal comma 4 articolo 81 non si riferisce solo alla copertura della spesa annuale che lo stato sopporta in conseguenza dell‟emanazione di una 176 determinata legge, ma anche della spesa pluriennale che deriva dall‟adozione di una determinata legge. Anche se su questo vi sono alcuni temperamenti e la giurisprudenza non è così rigida, è necessario che lo stato quando emana una legge con spese pluriennali debba anche indicare i mezzi di copertura di queste spese pluriennali e quindi delle entrate, riduzione di spesa, che possano, su base pluriennale, far fronte a queste maggiori spese. In questo contesto di programmazione pluriennale viene in rilievo il DPEF, oggi Documento di Economia e Finanza, adesso è il cosiddetto DEF la cui redazione è rimasta allo stato sulla base di leggi comunitarie e che serve allo stato di programmare i suoi interventi in un arco temporale triennale. Come dicevo, soprattutto a seguito delle recenti crisi, si è avuto modo di verificare l‟inadeguatezza dei meccanismi di controllo della spesa pubblica che i singoli stati membri possono attuare. Si è sentita la necessità di rafforzare il ruolo operativo delle varie istituzioni europee. Si può dire ormai che le decisioni di finanza pubblica sono assunte dagli stati membri in coordinamento tra di loro. Vengono assunte dai governi degli stati membri dopo la fine di un processo che è servito ai vari governi per coordinare la propria programmazione finanziaria. Bisogna ricordare le varie tappe con cui si è arrivati alla situazione attuale. La prima tappa si ha con il trattato di Maastricht del 1992, trattato che interviene sulle decisioni di finanza pubblica degli stati membri disponendo alcuni principi di massima. Anzitutto il principio di massima previsto nel trattato del 1992 è che gli stati membri devono perseguire una crescita sostenibile sul piano economico e devono soprattutto garantire la sanità e stabilità delle finanze pubbliche. Soprattutto è introdotto l’articolo 104 che prevede il divieto di disavanzo pubblico eccessivo: “gli stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi”. Disavanzo pubblico => differenza fra entrate e spese dello stato in un determinato esercizio finanziario. Debito pubblico => ammontare totale delle passività dello stato emesse dallo stato a cui deve far fronte per pagare i relativi interessi. Con il protocollo sulla procedura dei disavanzi eccessivi vengono stabiliti parametri, sia per i disavanzi pubblici sia per l‟ammontare totale di debito pubblico che può essere emesso da uno particolare stato. Il disavanzo è coperto mediante indebitamento, mediante un aumento dell‟ammontare totale del debito pubblico. Questo protocollo, legato al trattato di Maastricht stabiliva questi parametri. Valori di riferimento: - 3% inteso come ammontare massimo del disavanzo pubblico, effettivo, previsto rispetto al PIL di un determinato stato membro. Disavanzo diventa eccessivo se supera il 3% - Per il debito pubblico rapporto 60% tra debito pubblico e PIL che non deve essere superato. 177 Molti stati membri hanno passato questi parametri fissati dal trattato. A garantire il rispetto di questi parametri il protocollo allegato al trattato prevede una procedura di sorveglianza molto complessa e che consiste in un accertamento del superamento da parte di uno stato membro di questi valori di riferimento e poi anche sanzioni irrogate a carico dello stato membro che non ha posto in essere le misure necessarie per poter rientrare e allinearsi con i criteri di riferimento previsti dal trattato di Maastricht. La maggioranza degli stati membri non rispetta i valori di riferimento. Si è ritenuto con il trattato di Amsterdam di intervenire su questa materia stabilendo una procedura diversa per garantire il rispetto di determinati obiettivi di finanza pubblica. Mentre il trattato di Maastricht interviene successivamente, e la comunità europea interviene soltanto dopo che i valori di riferimento non sono stati rispettati, con gli strumenti previsti dal trattato di Amsterdam si prevede la possibilità di strumenti di intervento preventivi, che impediscono che determinati traguardi sono previsti dai trattati europei, non vengano ottenuti, raggiunti dai vari stati membri. In particolare col trattato di Maastricht è stato previsto il patto di stabilitàe crescita che consiste in alcuni regolamenti del consiglio europeo che pongono l‟obiettivo del pareggio di bilancio. Il patto di stabilità deve essere rispettato dagli stati membri, prevedono tutti quei meccanismisulla cui base le varie decisioni di finanza pubblica devono essere attuate in modo che vengano raggiunti gli obiettivi fissati nel patto di stabilità. Il problema è quello dei limiti che lo stato e il governo ha nel controllare la spesa pubblica. Ai fini del rispetto dei parametri del patto di stabilità è necessario che lo stato non controlli solo la spesa pubblica, ma è necessario che abbia anche il potere di controllare le decisioni di spesa pubblica attuate dalle amministrazioni locali: regioni comuni, province città metropolitane, i vari enti territoriali. Qua però abbiamo un problema, la nostra costituzione costituisce autonomia, anche finanziaria, seppure con limiti, ai vari enti territoriali. Autonomia alle regioni, autonomia agli enti locali, e cosi via. È necessario che per attuare il patto di stabilità europeo tra i vari paesi membri, vengano adottati anche patti di stabilità interni, tra lo stato e vari livelli delle autonomie territoriali. Questo è stato fatto negli ultimi anni con leggi ordinarie: sono stati previsti dei vincoli alla finanza locale, alla finanza degli enti territoriali, per consentire agli enti locali di raggiungere gli obiettivi di finanza pubblica previsti a livello europeo. Da questo punto di vista sono stabiliti determinati obblighi a carico delle regioni e degli enti locali, di riduzione e contenimento del proprio disavanzo. In senso proprio soltanto di recente si può parlare di disavanzo di enti locali, ci sono meccanismi premiali di incentivazione nel rispetto degli obblighi di rientro da parte degli enti locali. Più le regioni, gli enti locali, si dimostrano virtuosi e rispettano questi obblighi di contenimento posti al loro carico, più lo stato riconosce determinate sovvenzioni o 178 condizioni di favore nella messa di disposizione di risorse dello stato alle stesse autonomie locali. Lo stato è intervenuto con leggi che hanno determinato altri meccanismi di controllo della finanza locale. Previste riduzioni di spesa, riduzione del personale, riduzione di spesa per le spese correnti a carico degli enti locali. Tutta una serie di leggi che hanno posto un obbligo agli enti locali, oltre che all‟amministrazione locale, di ridurre il costo totale di eventuali apparati amministrativi, sforzo da parte dello stato di contenimento della spesa pubblica complessivamente intesa. Questo ha impattato dal punto di vista qualitativo la pesa pubblica. Si è posto il problema del contenimento della spesa sanitaria, di competenza delle regioni. Sicché, per quanto concerne la riduzione della spesa sanitaria, la difficoltà per le regioni di assicurare gli obiettivi di contenimento nei confronti dello stato, di volta in volta vengono stipulati dei patti individuali, separati, tra ciascuna regione e l‟amministrazione dello stato che valgono anno per anno, proprio perché è difficile stabilire obiettivi di rientro e ottenimento del disavanzo applicabili a tutte le regioni. In altri termini si parla di regionalizzazione del patto di stabilità. Ciascuna regione è soggetta ad un patto di stabilità distinto rispetto a quello delle altre regioni. Queste regole non hanno portato ad effetti positivi, sicché ancora oggi stiamo assistendo alla crisi dei debiti sovrani, in conseguenza del fatto che il debito dello stato è sfuggito al controllo sia del paese membro emittente sia in generale a livello comunitario. Da qua la necessità di non orientare l‟azione delle istituzioni comunitarie in funzione di una diminuzione del disavanzo dei singoli paesi membri, ma anche in funzione della riduzione del debito pubblico dei vari paesi membri. Secondo il legislatore comunitario riducendo il rapporto di disavanzo deficit/pilsi sarebbe ottenuta anche una riduzione del debito pubblico PIL. Questo non si è verificato e allora si è intervenuti in modo diverso. Andiamo a parlare del TFUE, trattato di Lisbona, che prevede questa attrazione in ambito comunitario delle decisioni di finanza pubblica dei vari paesi membri. Le decisioni sono assunte per un coordinamento fra paesi membri e le istituzioni comunitarie in modo da garantire una convergenza di queste decisioni in materia di spesa e finanza pubblica. Questo come si è attuato nell‟ambito del TFUE? Si sono previste nuove istituzioni comunitarie che dovevano garantire un meccanismo permanente di gestione di crisi finanziarie e funzione di stabilizzazione della moneta unica europea, adottando eventualmente, il potere di intervenire nell‟ambito del mercato unico europeo per evitare e rimediare ad eventuali situazioni di crisi. L‟istituzione è l‟ESRP, ha questo compito molto complicato di garantire, individuare i rischi sistemici a cui sono esposti i vari paesi membri e adottare provvedimenti ai fini di evitare situazioni di crisi. L‟ESRP è collocato all‟interno di una nuova governace di istituzioni comunitarie che sovrintendono alle varie istituzioni economiche dei paesi membri. Infatti è stata 179 istituita la cosiddetta EBA, autorità bancaria europea, che sovrintende al funzionamento delle varie autorità di vigilanza bancarie e comunitarie. Poi abbiamo un‟altra autorità, l‟ESM per mercati e la sicurezza, che controlla i mercati finanziari a livello europeo; altra autorità europea nelle assicurazioni e pensioni. Questa autorità, apparato comunitario, che ha la funzione di prevenire ed individuare questi rischi sistemici, fa parte di questo insieme di autorità previste a livello europeo. Soprattutto, strumento importante che viene messo nelle mani dell‟ESBR, è quello di gestire determinati fondi che vengono attivati col contributo di vari paesi membri che hanno portato il collasso, il default degli stati membri come emittenti di debito sovrano. Il mandato dell‟ESBR è molto preciso: mantenere stabilità finanziaria, vigilanza macro prudenziale. Quando verifica che si stanno manifestando determinati sintomi di crisi di un paese membro può intervenire formulando raccomandazioni al paese membro affinché ponga in essere misure di finanza pubblica per far fronte alle situazioni di crisi che stanno manifestando. In questi tempi si discute se queste raccomandazioni devono rimanere non vincolanti come sono attualmente ovvero sono raccomandazioni che siano vere e proprie direttive, raccomandazioni vincolati dirette ai vari stati membri. Il fatto di dotare l‟ERSBR di un cambiamento così importante, determina una modifica del trattato perché implica un abbandono da parte degli stati membri di intervento sulle decisioni di finanza pubblica. In secondo luogo, col trattato di Lisbona si è intervenuto sul patto di stabilità europeo, di crescita, proprio perché in precedenza, non era stabilito in modo preciso quale fosse, dovesse essere, il ritmo, il tasso di riduzione di debito pubblico adeguato per raggiungere obiettivi di pareggio previsti nel trattato di Amsterdam. Si prevede che gli stati membri debbano formulare delle proposte alla commissione europea per chiarire le misure che i vari paesi membri, stati europei, intendono adottare per arrivare ad una riduzione del debito entro un certo periodo di tempo, tenuto conto di tutta una serie di circostanze, di fattori che possono rendere questo programma di rientro più o meno flessibile a seconda del tasso di crescita dell‟economia, andamento dei mercati, del livello d‟ indebitamento. È necessario che i paesi membri facciano proposte che la commissione deve accettare e portano l‟assunzione di un impegno vincolante a carico dei vari paesi membri, che non può essere deviato almeno in modo significativo. Tant‟è che nei casi in cui si registrino spostamenti rispetto agli obiettivi concordati con la commissione, essa ha il potere di emanare delle raccomandazioni che sono dirette a sollecitare l‟adozione di misure di correzione da parte dello stato membro. Addirittura si prevede che la commissione provvede queste misure di correzione, lo stato membro deve costituire un deposito fruttifero pari allo 0,2% del PIL per dimostrare il proprio impegno a porre in essere queste misure correttive imposte dalla commissione europea. 180 Un terzo modo con cui si è intervenuti è l‟adozione della procedura del semestre europeo. È un periodo di tempo, nell‟ambito del quale, si concentrano le decisioni di finanza pubblica ai fini di programmazione finanziaria da parte di tutti gli stati membri, in modo che tutte queste decisioni da parte dei vari paesi membri possano essere assunte in modo coordinato, con un arco temporale più o meno omogeneo in modo che gli stati membri possano passare alla fase attuativa di decisioni di politica economica e finanza pubblica che sono state già condivise a livello europeo. Attraverso questa procedura del semestre europeo si ottiene il risultato di armonizzare e coordinare ex ante le varie decisioni di finanza pubblica da parte dei paesi membri. Soprattutto si consente alla commissione europea di intervenire su queste decisioni prima che vengano assunte dai vari paesi membri. I vari paesi membri devono concordare con la commissione quali sono gli interventi che vogliono attuare anche ai fini di contenimento o riduzione del disavanzo pubblico previsti nel patto di stabilità. 21/05/2012 Siamo arrivati alla conclusione del corso. Stavamo vedendo nell‟ultima lezione, il tema del controllo della spesa pubblica, della finanza pubblica. Le ultime cose che ho fatto riguardavano la riforma dei meccanismi di governo a livello europeo per realizzare il controllo sulla finanza pubblica. Abbiamo visto come da un certo numero di anni a questa parte si sia intervenuti sia sulle istituzioni europee che svolgono questa funzione di controllo delle decisioni di finanza dei vari paesi membri, abbiamo visto la costituzione delle autorità sovranazionali, ESRB, organismo sovranazionale che ha funzioni di supervisione e controllo del rischio sistemico all‟interno dei vari paesi membri e altre istituzioni comunitarie per esempio l‟autorità di vigilanza europea sulle banche, sui mercati, che si sovrappongono alle autorità di vigilanza nazionali subentrando lo svolgimento delle relative funzioni. Abbiamo visto come il passaggio di consegne e competenze tra i paesi membri e l‟UE in materia di controllo della finanza pubblica si sia accompagnato ad una revisione dei requisiti e vincoli che a livello europeo sono stati stabiliti in relazione ai conti dei vari paesi membri e quindi modifica del patto di stabilità e crescita ha previsto l‟obiettivo del pareggio di bilancio e meccanismi ancora abbastanza indeterminati per raggiungere questo obiettivo. Abbiamo visto anche che le stesse decisioni dei vari paesi membri in materia di finanza pubblica devono essere assunte in modo coordinato con gli altri paesi membri e devono essere sottoposte ad una valutazione preventiva da parte delle istituzioni comunitarie in un periodo di tempo precedente rispetto al momento in cui le varie leggi sono assunte dai parlamenti nazionali. La disciplina del semestre europeo, in cui tutte le decisioni di finanza pubblica, lo stesso bilancio di previsione dei singoli stati, documento di programmazione economica e finanziaria, vengono sottoposti preventivamente al vaglio della commissione europea 181 e del consiglio in modo che le dimensioni quantitative, le misure che di volta in volta vengono decise dai paesi membri mediante la propria politica economica siano coordinate e assunte da parte degli altri paesi membri. Tutta una architettura di misure che definiscono come il controllo della finanza pubblica non sia una questione dei singoli stati ma sia ormai fondamentale oggetto di misure di coordinamento sostanziali da parte della Unione europea. In questa cornice si situano la approvazione, nel nostro ordinamento, delle varie leggi che compongono la manovra finanziaria, leggi sulla cui base lo stato programma il proprio fabbisogno e il proprio indebitamento, e tiene sotto controllo il proprio debito. Il primo atto adottato dal Parlamento è il cosiddetto Documento di Programmazione economica e finanziaria, oggi DEF, deve essere presentato entro il 10 aprile di ogni anno e successivamente approvato entro il mese di settembre. Il DEF è quel documento in base al quale lo stato programma le proprie entrate e spese in un arco pluriennale che corrisponde a quello del bilancio pluriennale dello stato che ha un orizzonte temporale di tre anni. Successivamente dopo la approvazione del DEF, deve essere presentato il bilancio di previsione dello stato insieme alla legge di stabilità. Il bilancio dello stato ha una durata annuale, la legge di stabilità ha una durata triennale. La legge di stabilità è rinnovata anno per anno sulla base di una rivalutazione dei suoi contenuti. Il bilancio di previsione è un vero e proprio bilancio dello stato: sono previste entrate e spese secondo una disposizione peculiare, tipica della contabilità dello stato, secondo obiettivi o missioni e programmi di spesa. Punto importante della legge del bilancio è che la legge autorizza lo stato ad effettuare determinate spese. Lo stato non può impegnare risorse verso determinate obiettivi se la spesa non è prevista nel bilancio previsionale. Il bilancio è approvato dal parlamento. Con l‟approvazione del parlamento si ha l‟ anche approvazione delle decisioni di spesa rappresentate nel bilancio dello stato. Come abbiamo visto queste missioni, obiettivi e programmi, sono articolati in capitoli che prevedono dotazioni di risorse in favore delle singole articolazioni della PA in particolare dei ministeri: ci sono determinati fondi destinati ad un ministero piuttosto che un altro e devono essere spesi in vista di determinati programmi evidenziati e articolati all‟interno del bilancio statale di previsione. Un punto importante che ha subito evoluzione è il criterio sulla cui base è redatto il bilancio dello stato. Tradizionalmente redatto secondo un criterio di competenza: evidenziava le entrate e le spese che dovevano essere incassate impegnate ed effettuate nel corso di un determinato anno finanziario. Questo comportava un problema notevole: l‟evidenziazione di residui attivi e passivi in modo consistente. Lo stato ancora oggi non paga nel corso del medesimo esercizio le spese che ha impegnato, non eroga materialmente i pagamenti delle uscite e spese programmate per un determinato esercizio finanziario, questo comporta l‟evidenziazione di residui passivi. 182 Allo stesso tempo non tutte le entrate accertate come di competenza dell‟esercizio vengono incassate nel corso dell‟esercizio, ciò comporta l‟evidenziazione di residui attivi. Questo determinava un effetto di impossibilità di determinare l‟effettivo pagamento dello stato in termini finanziari anno per anno, sicché il bilancio di previsione diventava poco significativo. In più è del tutto evidente che, in sede di bilancio consultivo, era necessario tenere conto dell‟effettuazione di spese che si effettuavano nel corso dell‟esercizio ma che erano state programmate in esercizi precedenti; così come era necessario accertare entrate le previste in esercizi precedenti.. Il criterio di competenza non consentiva che il bilancio svolgesse in pieno la funzione di controllo di bilancio della spesa pubblica. Si è abbandonato questo criterio per accogliere il e adesso si ragiona per cassa. Nel 2009 è stato previsto che il bilancio previsionale dovesse essere redatto solo sulla base di un criterio di cassa tenendo conto di uscite ed entrate effettive nel corso dell‟esercizio. Anche la legge di stabilità, bilancio pluriennale, è redatta secondo un criterio di cassa, anche se la legge di stabilità ha un orizzonte di tre anni. Non serve per autorizzare impegni e pagamenti da parte dello stato ma per tenere sotto controllo, prevedere l‟andamento della spesa pubblica complessiva nel corso del successivo triennio. Insieme con il bilancio previsionale e annuale e la legge di stabilità, devono essere presentate delle manovre collegate al bilancio. Provvedimenti sono anche quelli che abbiamo visto nel corso degli ultimi tempi, provvedimenti che fanno riferimento alla legislazione fiscale, prevedendo nuovi tributi, l‟orientamento della commissione tributaria e così via, che si accompagnano alle leggi di contabilità e di bilancio e che ne sostengono i contenuti, le previsioni. Entro il 30 giugno deve essere presentato il rendiconto consultivo e anche il cosiddetto bilancio di assestamento, necessario per apportare quelle correzioni al bilancio previsionale che siano necessarie in conseguenza dell‟individuazione di residui attivi e passivi rispetto all‟ammontare delle spese ed entrate he si erano prospettate. Il bilancio di assestamento è un bilancio di aggiustamento dei residui attivi e passivi. Solo dopo l‟assestamento è possibile che il parlamento approvi il rendiconto, il bilancio finale dello stato per un determinato arco di tempo. L‟attività dello stato si snoda in alcune principali leggi di bilancio, non è una procedura complessa. Bisogna tenere conto del fatto, costatazione degli ultimi anni, che la procedura di approvazione di queste leggi di bilancio, che viene svolta all‟interno del regolamento, è sempre una procedura complessa, quindi in molti casi è necessario che si concluda entro i termini previsti dalla legge per assicurare il coordinamento tra le decisioni di finanza con i singoli e quelle degli altri stati in modo che si possa avere una forma di controllo europeo delle dimensioni della spesa pubblica dei singoli stati membri. Altro tema da affrontare è la gestione della liquidità dello stato. Come gestisce lo stato i propri pagamenti ed entrate, il suo servizio di tesoreria? Come ho già ricordato, lo stato ha un servizio di tesoreria accentrato presso la Banca di Italia, la 183 quale gestisce servizi di tesoreria da fine „800. Questo conto di tesoreria è un conto che da fine della seconda guerra mondiale ha presentato regolarmente degli scoperti, dei saldi passivi anche molto consistenti. Nel corso degli anni ‟60 si era previsto, per legge, quale potesse essere il massimo scoperto a cui poteva arrivare lo stato nella gestione del suo servizio di tesoreria, si attestava attorno al 15%. In realtà con questa legge si istituzionalizzava, si rendeva fisiologico il fenomeno di finanziamento da parte della BDI del fabbisogno di liquidità dello stato mediante la previsione del limite massimo allo scoperto che lo stato può avere sul suo conto presso la BDI. Questo scoperto diventava un modo fisiologico per lo stato di coprire il suo fabbisogno. La BDI doveva reperire, testare denaro allo stato di cui aveva necessità per coprire questo scoperto di c/c; la BDI lo faceva imponendo sul mercato delle risorse necessarie, tenuto conto del fatto che lo scoperto di conto corrente ha un interesse molto basso, attorno all‟1%. Proprio perché lo scoperto di c/c è un meccanismo per finanziare la spesa pubblica, era necessario che le decisioni di politica economica e quelle monetaria fossero mantenute in capo a due soggetti diversi. Da qua la decisione tradizionale, nel nostro ordinamento e in altri ordinamenti, di attribuire la competenza delle decisioni di politica monetaria alla BDI che svolge la funzione finanziaria dello stato attraverso il meccanismo dello scoperto di conto corrente. Questo meccanismo è stato vietato dal trattato delle istituzioni comunitarie. In particolare il 104 del TFUE, nel momento in cui si è attribuito alla BCE e al SEBC la competenza per le decisioni di politica monetaria, allo stesso tempo si è vietata la concessione di scoperti di conto, o qualsiasi altra forma di anticipazione bancaria e creditizia sia da parte della BDI che della stessa BCE. A partire dall‟approvazione del 104 del trattato è vietato che gli stati vengono finanziati mediante scoperti di conto corrente da parte delle proprie banche centrali. Ancora oggi lo stato ha un servizio di tesoreria gestito da BDI ma il conto corrente non può mai presentare saldi negativi. Altro modo con cui le banche centrali finanziavano la spesa dello stato, il suo fabbisogno finanziario, era mediante l’acquisto di titoli emessi dallo stato. Acquisto non tanto in sede di mercato secondario (acquisto di titoli già emessi e presenti nel portafoglio di banche o altri investitori), bensì acquisto di questi titoli in sede di mercato primario, in fase di emissione. In base a leggi degli anni ‟70 era previsto che la BDI dovesse, in base ad accordi co ministero del tesoro, garantire il collocamento sul mercato di tutti i titoli che erano immessi dal tesoro stesso. Nel caso in cui i collocamenti di titoli di stato, di BOT, non avesse avuto buon fine, e la domanda di titoli non era sufficiente, vi era la BDI che forniva una garanzia e quindi acquistava i titoli di stato che non fossero stati sottoscritti dal mercato, una sorta di garanzia, di acquirente residuale. Anche questa è una forma di finanziamento dello stato da parte delle Banche centrali che si pone in contrasto con i trattati europei. Fin dagli anni ‟80 la banca centrale e la 184 BDI ha abbandonato la funzione residuale di acquisizione di titoli non collocati sui mercati. Questo discorso lo riprendiamo tra breve parlando di situazione attuale di crisi dei debiti sovrani. Assistiamo sempre di più ad interventi della BCE che fa operazioni di salvataggio in base a programmi di acquisto dei titoli di stato. Questa funzione di salvataggio è sempre svolta sul mercato secondario, mediante acquisto di titoli di stato che sono già in circolazione. In effetti, a partire dal TFUE, le funzioni di politica monetarie sono passate dalla BDI alla BCE, o per meglio dire, al SEBC di cui la BCE fa parte insieme ai governatori delle varie banche nazionali dei paesi membri. La situazione di crisi finanziaria ha costretto la BCE ad avviare un piano di salvataggio mediante acquisto di titoli di stati dei paesi in crisi, questo per salvaguardare l‟euro come moneta unica all‟interno dell‟unione. Accanto a questa funzione svolta dalla BCE è stato costituito il fondo salvastati, viene dotato di risorse finanziarie da parte dei paesi membri in base a certi parametri, e interviene proprio nell‟ambito dei piani per diffondere liquidità ai paesi membri in crisi. Un altro tema importante da ricordare parlando di finanza pubblica, è quello che concerne la spesa deglienti a finanza derivata. Ricordiamo un elemento importante. la legge di bilancio previsionale, il rendiconto e bilancio di aggiustamento, sono documenti contabili che concernono lo stato, inteso come PA, contrapposto ad altri enti che fanno parte della PA ma che non sono stato, gli enti locali: comuni provincie oppure le regioni. Vi sono enti che non fanno parte all‟apparato dello stato ma cui lo stato contribuisce in via ordinaria. Sono enti di erogazione che forniscono servizi, svolgono funzioni dello stato che si autosostentano ma che devono essere finanziati dallo stato e che quindi gravano sul bilancio dello stato. Abbiamo una incongruenza perché le leggi di contabilità ordinarie riguardano un certo perimetro di entrate e spese che non coincide con l‟ammontare complessivo della spesa che è posta a carico dello stato, proprio perché questa spesa viene posta in essere da soggetti che non sono contemplati nell‟ambito del bilancio dello stato. Esigenza di allargare la portata dal fatto che le leggi finanziarie dovessero essere prese in considerazione non tanto dallo Stato in senso stretto ma bensì il settore pubblico allargato. Questo è il motivo per cui l‟Istat anno per anno, produce un elenco di tutti gli enti che sono rilevanti per calcolare la spesa complessiva dello stato e di tutte le sue diverse articolazioni. In questo elenco rientrano non solo le articolazioni dello stato, i vari ministeri e così via, ma anche tutta una serie di agenzie che vengono ordinate dallo stato ma che hanno una contabilità separata. In questo elenco dell‟Istat rientrano gli enti territoriali, regioni ed enti locali, i quali hanno una propria contabilità separata, proprio perché si tratta di enti che hanno una loro autonomia finanziaria che viene garantita in base alla nostra costituzione. 185 Come abbiamo visto è necessario non solo tenere conto della spesa dello stato in senso stretto, è necessario anche tenere conto della spesa dei vari enti territoriali che hanno una loro contabilità separata. Da qui la necessità di coordinare il modo con cui lo stato e le varie PA e gli enti locali redigono la propria contabilità. Qua abbiamo un regolamento 2004 che, dopo tanti anni, ha previsto che tutta una serie di enti dovessero essere assoggettati ad una disciplina contabile, omogenea ed uniforme in modo che la spesa pubblica possa essere tenuta sotto controllo, possa essere calcolata sulla base di criteri uniformi. In secondo luogo, vi è la necessità, proprio perché è lo stato che risponde nei confronti della comunità europea nel rispetto del patto di stabilità e crescita, lo stato stesso deve verificare le dimensioni di spesa pubblica che sono imputabili alla spesa delle regioni, degli enti locali. Questa esigenza di controllo della spesa degli enti locali si scontra con un altro problema del federalismo fiscale. In base al 119 cost. deve essere attuato e se ne discute molto negli ultimi anni. In realtà questo disegno di evoluzione in senso federalista dell‟ordinamento non ha trovato una sua completa attuazione. È sempre più evidente che le stesse regioni ed enti locali stanno perdendo la propria autonomia finanziaria soprattutto in situazione di crisi, sicché le stesse regioni ed enti dipendono sempre di più dall‟amministrazione statale. È necessario porre in essere manovre di ri-equilibrio a dimensione statale e che non possono essere poste in essere dai singoli enti locali. Bisogna ricordare, da questo punto di vista, che gli enti locali hanno una loro autonomia finanziaria. Le singole regioni approvano le proprie leggi finanziarie, il proprio bilancio di previsoni, i il proprio rendiconto, come anche i singoli enti locali, singole province. Tutto questo nel rispetto di regole previste dal patto interno di stabilità e crescita previsto dagli enti statali. Veniamo adesso all‟ultimo capitolo del libro, è un po‟ un capitolo di evidenziazioni di quelle che sono le regole generali della disciplina pubblica dell‟economia, delle regole sullo stato in economia, che si sono manifestate a partire dagli anni ‟80 fino ai giorni nostri. Tendenze generali che vengono illustrate in linea di sintesi, proprio per far vedere in quale tipo di panorama possono essere considerate le varie discipline settoriali che abbiamo ricordato in precedenza. La prima tendenza generale, a partire da fine anni „80 del 900 è una consistente riduzione della sfera pubblica; arretramento della presenza dello stato all‟interno del mercato. Questo arretramento della sfera pubblica e soprattutto l‟arretramento della presenza degli stati nazionali all‟interno dei mercati come attori protagonisti del mercato, come effettivamente produttori di beni e servizi in alternativa rispetto al settore privato. Anzitutto primo dato da considerare è quello della crescente globalizzazione dei mercati nazionali; il fatto che si siano persi i confini delle singole economie nazionali. 186 Il fenomeno globalizzazione ha comportato la necessità di riarchitettare i meccanismi con cui il settore pubblico controlla l‟economia globale. Laddove i singoli stati non sono più in grado di controllare il fenomeno economico in senso globale, c‟è la possibilità degli stati nazionali di aggregarsi ad organismi sovranazionali con ambito di competenze più ampio rispetto a quello dei singoli stati nazionali. Abbiamo visto come questo fenomeno si sia realizzato a livello europeo attraverso l‟attuazione di agenzie di regolazione europee. Questo vale anche a livello più ampio, mondiale e globale. Sempre più con questi organi di controllo delle economie sovranazionali, questi organismi globali, vi è la presenza non soltanto dei rappresentanti dei vari stati nazionali, ma anche la presenza di rappresentanti di ONG, ovvero la presenza di rappresentanti nel settore privato, maggiori istituzioni nel privato. Si tratta di riorganizzazione delle modalità con cui il settore pubblico controlla l‟andamento dell‟economia globale. Globalizzazione anche nella architettura istituzionale della funzione di controllo dei poteri pubblici. Questo è un tema ancora oggi in evoluzione. Tradizionalmente la funzione di controllo dell‟economia era allocata, era assegnata ad organi dei singoli stati nazionali, mentre la necessità di ripensare l‟architettura istituzionale ha portato a risultati in corso di definizione. In secondo luogo il controllo dello stato in economia si è accompagnato a un‟ espansione dei poteri di controllo assegnati all’UE. Ormai, tramite i suoi organi, assume tutta una serie di decisioni, che pure esprimono poteri di sovranità che un tempo erano di competenza dei singoli stati membri. L‟affermazione dei poteri dell‟UE che si sostituiscono a quelli degli stati membri, si è accompagnata ad una affermazione anzitutto in senso economico dell‟UE, prima come ricordato nel libro, le istituzioni sono servite a creare le basi e i presupposti per la creazione di un mercato unico a livello europeo nei vari servizi. Soltanto successivamente quando il mercato unico si è affermato, l‟UE ha svolto la sua funzione di armonizzazione, si è voluto ipotizzare che l‟UE si sostituisse allo stato per quel che concerne le decisioni di politica economica. In questo contesto la disciplina della concorrenza svolge un ruolo significativo. La disciplina della concorrenza non è più di per sé da sola sufficiente. È necessario che a livello europeo vengano spostate decisioni di politica economica, decisioni che spettavano agli stati membri su quale tipo di prestazioni, di erogazione, quale tipo di servizi mettere a disposizione per i cittadini. È chiaro che non si possono neanche lasciare agli stati decisioni che possono determinare delle diseguaglianze tra i vari paesi membri per quel che concerne gli strumenti di politica economica. Pensiamo alla politica fiscale. Ormai sempre di più la politica fiscale è diventata una questione comunitaria. Se è vero che, a livello di singoli stati membri, la decisione è rimasta di competenza dei singoli governi, è anche vero che le decisioni vengono assunte in un contesto europeo, sulla base di direttive stabilite a livello europeo. 187 Altro tema che rientra nel fenomeno del complessivo arretramento dello stato in economia è costituito dalla proliferazione delle autorità amministrative indipendenti che, in qualche modo, si sostituiscono allo stato nella funzione di determinare le regole di funzionamento di un determinato settore economico. Le autorità indipendenti sono slegate dal governo, sicché possono decidere l‟assetto regolamentare di un settore dell‟economia anche indipendentemente dalle decisioni di politica economica di un determinato governo. Questo sviluppo è anche la conseguenza di una impostazione derivante dal diritto comunitario che vuole che la funzione di regolazione sia svolta da un soggetto indipendente rispetto agli interessi in gioco, in particolare l‟interesse degli operatori. Ancora oggi sono presenti degli operatori controllati o partecipati dallo stato. Lo stato non può svolgere la funzione di competitore, operatore sul mercato, allo stesso tempo non può essere un soggetto che prevede regole di funzionamento sullo stesso mercato. Altra forma di arretramento si è avuta con il fenomeno delle privatizzazioni. Hanno sancito il fatto che lo stato garantisse la propria presenza in economia attraverso strutture organizzative di tipo privatistico, attraverso persone giuridiche di tipo privato. Non solo, col fenomeno della privatizzazione sostanziale si è assistito alla dismissione delle partecipazioni dello stato mediante proprie imprese e quindi anche un arretramento in senso proprietario da parte dello stato della propria presenza in economia. 22/05/2012 Riprendiamo l‟esposizione dell‟ultimo capitolo del libro di Cassese. Si tratta di trarre delle indicazioni generali e linee di tendenza rispetto ad alcuni fenomeni che abbiamo visto nel corso delle precedenti lezioni, in modo da delineare in modo complessivo e comprensivo quali sono i tratti caratterizzanti dell‟assetto dello Stato, dei pubblici poteri, rispetto al mercato e alle attività economiche nel loro complesso. In questo capitolo finale, Cassese cerca di delineare dei tratti comuni, delle linee conclusive che siano in grado di interpretare l‟assetto della nuova costituzione economica, di come è organizzato a livello istituzionale l‟intervento dello stato nell‟economia. Le linee di tendenza principali sono da un lato, da anni ‟70 fino a qualche anno fa, fino al 2006-2007, momento in cui si sono evidenziati i segni della crisi economica globale,la prima linea di tendenza è la riduzione della sfera pubblica. A fronte di un massiccio intervento dello stato nello svolgimento delle attività economiche che aveva caratterizzato il nostro ordinamento fino alla metà degli anni „80, a partire dagli anni ‟80, per tutta una serie di fenomeni che ricorderò brevemente, si è assistito ad una progressiva riduzione della presenza dello stato nel mercato e ad un mutamento del ruolo di esso, che da attore del mercato, dallo svolgimento di una funzione di produttore di beni e servizi, ha modificato la sua funzione e si pone come regolatore delle attività economiche. 188 Di fronte alla crisi economica mondiale,finanziaria dell‟economia reale, si è assistito ad una riespansione della sfera pubblica e quindi nuove forme di intervento dello stato in economia, ricordiamo ancora oggi quanto sia importante l‟intervento degli stati e delle organizzazioni sovranazionali per far fronte a queste emergenze economiche. Si tratta adesso di vedere quali sono gli effetti, come si è manifestato questo arretramento della presenza dello stato dal mercato, questa progressiva riduzione della sfera pubblica. È un fenomeno complesso che va interpretato nel senso che riguarda soprattutto l‟organizzazione tradizionale dello Stato, inteso come stato nazionale, come apparato pubblico e organizzato nei vari governi nazionali, per esempio a livello di unione europea, attraverso i governi nazionali dei paesi membri. Primo fenomeno che porta una riduzione della sfera pubblica è stato quello della globalizzazione, che più che altro ha portato una riorganizzazione globale della presenza pubblica, del modo con cui i soggetti pubblici rispondono a fenomeni economici globali, al fatto che i mercati si stiano globalizzando. Una risposta in termini di intervento, di regolazione, da parte dei singoli stati nazionali è insufficiente e da qui la necessità che gli apparati nazionali si organizzino in reti, organizzazioni sovranazionali che hanno finalità di tipo settoriale, pensiamo al comitato di Basilea, quello che detta gli standard per la supervisione delle istituzioni creditizie a livello globale, formazione del patrimonio di vigilanza e altre misure che sono necessarie alle istituzioni creditizie per fronteggiare i rischi che sono connessi alle attività svolte dalle banche. In questo caso il comitato di Basilea è un organismo sovranazionale costituito da tutta una serie di soggetti che rappresentano gli stati nazionali, i regolatori, funziona a livello globale per fronteggiare le sfide e necessità che sono evidenziate dal mercato del credito globalizzato. Da questo punto di vista è necessario un intervento da parte dei singoli regolatori nazionali, e anche da parte del regolatore europeo. Sarebbe sufficiente e necessario che i vari regolatori si consolidino, si organizzino in organismi più grandi in modo da comportare standard di regolazione che siano condivisi da tutti i vari soggetti a livello globale. Sotto certi punti di vista la globalizzazione determina non tanto una riduzione della presenza della sfera pubblica, del tasso di regolazione delle attività economiche, ma piuttosto una sua ri organizzazione a livello globale. Di fronte alla globalizzazione dei mercati deve esserci una globalizzazione delle istituzioni giuridiche che servono per dare un assetto di governo ai mercati globalizzati. In questi organismi ed istituzioni globali, e soprattutto alla formazione delle decisioni di questi organismi, partecipano non solo i rappresentanti di istituzioni internazionali, ma anche di rappresentanti di soggetti privati, i rappresentanti di istituzioni che non fanno parte dell‟amministrazione, per esempio associazioni non governative, con il contributo che anche queste associazioni private possono fornire per la determinazione degli standard di regolazione un determinato fenomeno globale. Un secondo modo con cui si manifesta questa riduzione della presenza dello stato nell‟economia è semplicemente quella del fatto che in questo caso lo stato arretra, 189 diminuisce il suo potere a livello di presenza nel mercato, ma in questo caso lo stato nazionale sostituisce a sé un organo sovranazionale e cioè l‟Unione europea, ai cui livelli si spostano molte decisioni che un tempo erano di competenza dello stato. Lo stato diventa quasi esecutore di decisioni di politica economica che vengono assunte non più a livello statale, bensì a livello di Unione europea e di organi competenti, consiglio e commissione. L‟Unione europea diventa il regolatore della concorrenza, si occupa di abolire le barriere commerciali, gli ostacoli alla piena affermazione dei principi di libera circolazione stabiliti dal trattato, controlla l‟attività degli stati quando questi prestano aiuti alle loro imprese, si occupa di armonizzare le legislazioni statali, svolge una serie di compiti di tipo legislativo, regolatorio, che sostituiscono l‟intervento statale. Da questo punto di vista è importante notare come questa sostituzione dell‟UE allo stato è coerente con il disegno economico che sta alla base della creazione dell‟unione europea, che è anzitutto un disegno di creazione di un mercato unico a livello europeo in cui tutte le imprese possono concorrere tra di loro, dovendo rispettare regole in materia di concorrenza e del resto potendo concorrere tra di loro in modo pienamente efficace e ad ambo i pari. È chiaro che le imprese per concorrere ad ambo i pari, le imprese devono utilizzare strumenti eguali, in questo contesto si inserisce la adozione della moneta unica a livello europeo. Se il mercato è unico, è necessario che le imprese devono organizzare i propri pagamenti sulla base di un‟ unica moneta, sennò la concorrenza tra imprese soffrirebbe delle differenze determinate dai tassi di cambio tra le varie valute dei paesi europei. Se non vi fosse una moneta unica a livello europeo, la concorrenza risulterebbe falsata, perché nel gioco concorrenziale peserebbe anche la politica monetaria decisa da ciascuno stato membro e da questo punto di vista l‟adozione dell‟euro e il controllo della sua stabilità è funzionale alla creazione del mercato unico europeo e alla affermazione del principio di piena concorrenza. In questo contesto si inserisce anche il controllo dell‟ UE, in particolare sugli aiuti di stato, in modo chei singoli governi non siano ammessi nella condizione di aiutare le proprie imprese a discapito delle altre imprese europee. In questo contesto l‟UE si sostituisce allo Stato. Sotto certi punti di vista si ha si una riduzione della presenza dello stato, della sfera pubblica, ma questa riduzione della presenza pubblica è compensata da un aumento che consiste in uno spostamento di livello decisionale dalla sfera statale a quella delle istituzioni europee. In questo contesto, questo spostamento del potere decisionale dallo stato all‟UE riguarda anche le decisioni in materia di spesa pubblica e quanto meno una parte consistente delle decisioni. Dopo il trattato di Maastricht e contenimento del disavanzo, dell‟indebitamento, e del debito pubblico, gli stati ormai non sono più titolari nel decidere le dimensioni della propria spesa pubblica. Il potere di bilancio degli stati nazionali è stato assegnato alle istituzioni europee almeno per una parte, 190 per la dimensione quantitativa della spesa pubblica che ciascuno stato può decidere, proprio perché le dimensioni della spesa pubblica devono essere rispettose dei parametri di bilancio stabiliti a livello europeo. Gli stati possono decidere come la spesa pubblica può essere distribuita, sono ancora titolari nel determinare le decisioni di spesa pubblica. A livello quantitativo le decisioni di spesa pubblica ormai sono sottratte all‟autonomia degli stati. Un'altra conseguenza delle politiche di liberalizzazione imposte dai trattati ai vari stati membri è quella della disaggregazione dello stato, per meglio dire, si tratta della trasformazione del potere di intervento dello Stato che si determina a seguito della istituzione delle autorità indipendenti. Tradizionalmente lo stato interveniva in economia e determinava le regole di intervento in un settore economico mediante un intervento diretto. A seguito del processo di liberalizzazione a questo intervento diretto dello stato mediante il ministero e attraverso gli enti pubblici, si sostituisce un intervento del tutto indiretto di regolazione che si attua mediante l‟istituzione delle autorità amministrative indipendenti. In un mercato che dev‟essere liberalizzato è necessario che l‟autorità che detta le regole del gioco sia un soggetto neutrale, indipendente rispetto ai vari interessi in gioco, e quindi indipendente anche rispetto all‟amministrazione e decisioni di politica economica. Questo non è vero in senso assoluto, lo stato si riserva poteri sostitutivi rispetto al potere di regolazione delle autorità indipendenti, ma più in generale, anche questa può essere considerato un effetto di riduzione della presenza della sfera pubblica in economia. Non è lo stato, inteso in senso tradizionale, che è presente nel mercato, bensì l‟intervento dello stato si attua attraverso la attività di queste autorità indipendenti che sono slegate rispetto alla organizzazione tradizionale dello stato. Altro fenomeno evidente di arretramento dello stato in economia è quello della privatizzazioni. Vuol dire trasformazione degli enti pubblici economici in spa e poi privatizzazione sostanziale,cessione del controllo di partecipazione degli enti pubblici trasformati a soggetti privati. La privatizzazione implica una diminuzione della presenza pubblica nel mercato. Lo stato cerca di essere imprenditore e gestore di pubblici servizi. Questo evidentemente a seguito dei processi di liberalizzazione ma assume un diverso ruolo. Nei mercati liberalizzati in cui la presenza delle imprese pubbliche è minore, è necessario che lo stato diventi regolatore del funzionamento del mercato. Mentre prima lo stato nei regimi di riserva poteva decidere quali prestazioni, quantità, quali prezzi fornire ai cittadini. Una volta che il mercato è stato liberalizzato è necessario che le regole di funzionamento siano decise in modo diverso da parte dello stato. soprattutto attraverso le decisioni delle autorità amministrative indipendenti lo tato assume la veste di regolatore del mercato. Questo non comporta una diminuzione del numero di regole pubblicistiche che comportano il funzionamento di un determinato mercato. In altri termini il fenomeno 191 si manifesta come una trasformazione della presenza dello stato sul mercato. Mentre prima era presente direttamente come produttore e gestore di servizi, adesso la sua presenza si manifesta come regolatore di determinate attività economiche di pubblico interesse. Questi fenomeni con cui si è manifestata la riduzione e arretramento della sfera pubblica, da luogo ad una serie di contraddizioni, suscitano tutta una serie di interrogativi. La globalizzazione economica implica un allargamento dei mercati, un ripensamento della organizzazione dei pubblici poteri che devono rispondere a nuove necessità di tipo globale. In economia globalizzata si devono porre zone franche della regolazione, ambiti di mercato globalizzato che sfuggono al potere di controllo delle nuove istituzioni globalizzate. Quando parliamo di spostamento dei poteri dallo stato all‟UE si pone il problema che l‟UE non è una federazione di stati, ha quindi dei limiti all‟affermazione dei suoi poteri nell‟intervento nell‟economia e si pongono dei limiti da parte dell‟UE nel tener sotto controllo la gestione dei vari stati membri. Allo stesso modo, l‟affermazione delle autorità indipendenti ha anch‟essa delle contraddizioni, delle controindicazioni proprio perché esse sono soggetti che sfuggono al controllo politico e assumono decisioni che possono avere effetti in termini redistributivi, di politica economica, ma senza che queste decisioni possano essere sottoposte ad un controllo da parte delle istituzioni politiche. Il governo, gli stati nazionale devono rispondere davanti ai cittadini delle decisioni di politica economica, sfuggono al controllo diretto da parte dei cittadini, che si esprime nelle forme tradizionali della politica. Allo stesso tempo abbiamo visto come il processo di liberalizzazione che ha riguardato i servizi pubblici sia un processo che ha cambiato l‟assetto dei mercati ma ha fatto venir meno la necessità che ai cittadini siano garantite determinate prestazioni, sia garantito il diritto di accedere ai servizi essenziali. È necessario anche nei mercati liberalizzati ripensare alle modalità di intervento dello stato nel mercato liberalizzato in modo da conciliare gli obiettivi, le prestazioni essenziali a favore dei cittadini col funzionamento del mercato concorrenziale. Le privatizzazioni hanno determinato un arretramento della sfera pubblica, tasso di presenza dello stato nell‟ambito del mercato, e in molti casi passaggio di diritti di monopolio dal pubblico al privato, regimi di preferenza nell‟ambito dei quali vi sono soggetti che godono di posizioni di privilegio, maggior potere economico rispetto ai concorrenti. Le imprese privatizzate, sono imprese che in molti casi hanno una loro posizionedi potere di mercato; ciò limita lo sviluppo in senso concorrenziale nello stesso mercato. Fenomeni di riduzione della presenza dello stato nell‟economia, che sono fenomeni complessi, che hanno delle ambiguità, contraddizioni, e che hanno anche delle cause. Le cause sono molteplici, diverse, di tipo normativo. La privatizzazione, la liberalizzazione dei mercati è stata imposta agli stati membri dalle varie direttive di liberalizzazione, principi di libertà di circolazione del trattato e così via. Di fondo 192 anche le scelte dei trattati che sono sanciti nei vari articoli del trattato dell‟UE sono la conseguenza di un diverso modo di intendere la presenza dello stato in economia da parte delle istituzioni comunitarie. Si era convinti, a livello comunitario, che dopo la stagione dell‟interventismo fosse necessario un arretramento della presenza dello stato nel mercato, in modo da liberare le forze economiche presenti negli stessi mercati. Questa condizione si è accompagnata alla constatazione del fallimento del modello di impresa pubblica. Sono fatti che risalgono a parecchi anni fa. Negli anni 80-90 uno dei temi principali era quello delle inefficienze degli enti pubblici, imprese pubbliche, monopolisti statali, nell‟introdurre beni e servizi. Questa inefficienza ha portato la condizione che fosse necessario cambiare passo. Abbandonare il modello a cui si inquadrava la presenza pubblica sul mercato per adottare quello di liberalizzazione, passaggio della trasformazione della funzione dello stato da imprenditore a stato regolatore. Altra causa che ha portato alla riorganizzazione del ruolo degli stati nell‟economia è stato quello della deteritorizzazionedelle attività economiche. I fenomeni economici non hanno una loro collocazione territoriale ben precisa. I mercati si aprono, acquisiscono, le imprese si deteriorizzano hanno varie sedi, ormai le imprese più importanti sono presenti nei vari mercati nazionali e quindi è necessario che, la risposta dei poteri pubblici debba tenere conto di queste dimensioni dei fenomeni economici e da qui c‟è la necessità di abbandonare il modello di controllo dell‟economia basato sulle amministrazioni statali, sui governi nazionali per sviluppare forme di controllo di governo di tipo globale, più ampie e più vaste. Di fronte a questi fenomeni abbiamo avuto lagrande crisi del 2008, prima dell‟economia immobiliare, reale, finanziaria. Oggi è crisi dell‟economia reale anche sociale in cui la propensione al consumo da parte dei cittadini, delle persone è diminuita. Di fronte a questa crisi è necessario intervenire, fenomeni di riespansione della sfera pubblica, nuove forme di intervento da parte dello stato in economia. In questa situazione di crisi i mercati falliscono, è necessario un intervento da parte dello stato che acquista nuove forme. È chiaro che di fronte alla crisi la risposta deve essere di tipo globale. È necessario che vengano stabiliti obiettivi comuni, vengano anche determinati modelli di azione congiunta da parte degli stati nazionali. Un esempio sono i vari organismi entro i quali gli stati nazionali si riuniscono per poter offrire risposte onnicomprensive, globali rispetto ai problemi determinati dalla crisi economica mondiale. Esempio, pensando anche a questi giorni, è quello del G20, G8, modelli di organizzazione della risposta pubblica ai problemi dell‟economia mondiale nuovi, innovativi, e che porta discontinuità rispetto alle alle decisioni che prima erano affidate agli stati nazionali. Nel libro si ricorda il Financial Stability Word, istituzione di governo dell‟economia in cui fanno parte i rappresentanti delle banche centrali, gli operatori, i rappresentanti delle istituzioni sovranazionali come il FMI, Ocse, la Banca Mondiale. Un comitato che 193 è composto da quei soggetti che hanno il potere di intervenire, determinare degli standard di regolazione che devono necessariamente essere coordinati tra di loro per poter fornire delle risposte efficaci a fronte delle nuove sfide dell‟economia globalizzata. È necessario che i vari stati membri agiscano congiuntamente. Gli stati nazionali conservano il potere di decidere forme di intervento a favore delle proprie imprese. Come nel 2008-9 gli stati nazionali decidono di intervenire per salvare le proprie banche, operatori finanziari. In questi casi è necessario che vengano stabiliti meccanismi di azione congiunta. È un quadro di azione decisa da organi sovranazionali in modo che non si creino arbitraggi regolamentari, in modo che gli operatori si spostino in stati dove la regolazione è meno pervasiva. Da qua la necessità di superare la dimensione nazionale dei poteri di governo dell‟economia mediante l‟istituzione di comitati, di organi di regolazione sovranazionali, sia a livello europeo che sovranazionale in modo che la regolazione dei fenomeni economici, dei mercati sia uniforme e non presenti differenze e simmetrie che consentano alle imprese di sfruttare queste differenze a proprio vantaggio insediandosi laddove la regolazione è meno pervasiva. Questo nuovo intervento dello stato in economia, salvataggio delle banche, immissione di liquidità ha un costo che si sta manifestando in modo molto pesante in questi anni. Determina evidentemente la crisi dei governi degli stati nazionali, la crisi dei debiti sovrani, il problema della crisi si sposta dal livello dell‟economia a quello dei governi nazionale anche se i debiti sovrani portano problemi relativi al costo del denaro per i singoli stati nazionali e così via. La risposta è quella di una riespansione della sfera pubblica. È chiaro che l‟intervento non può che essere affidato a organismi sovranazionali che rappresentano forme di collaborazione di tipo solidaristico tra gli stati. La situazione è in evoluzione. Le forme di collaborazione sono tutte un po‟ da sperimentare. Ve ne sono alcune più collaudate. Vi sono anzitutto forme di controllo multilaterale, quelle già viste previste in attuazione del patto di stabilità e crescita che è stato introdotto dopo il trattato di Amsterdam, ma vi sono nuove forme di collaborazione e interventi da parte degli stati che si stanno sviluppando, si stanno sperimentando e che servono per tenere sotto controllo i debiti degli stati sovrani. Abbiamo il fondo salva stati a livello europeo, una forma di assicurazione che gli stati hanno posto in essere per sostenere la autonomia degli stati europei in crisi, in modo da garantire stabilità al meccanismo della moneta unica. Questa riespansione della sfera pubblica assume forme nuove, che sono ancora oggi in corso di definizione. Come questo sviluppo potrà determinarsi è ancora assolutamente incerto. È chiaro che si può dare per acquisito il superamento del modello dello stato nazionale nel sistema del governo dell‟economia. È del tutto evidente che sarà necessario porre in essere, creare una architettura di governo dell‟economia sovranazionale secondo nuovi criteri e nuove forme che però sono tutte da ipotizzare. 194 195