diritto della regolazione dei mercati e della concorrenza

DIRITTO DELLA
REGOLAZIONE DEI
MERCATI E DELLA
CONCORRENZA
Appunti delle lezioni
A.A. 2011/2012
1
\27/02/12
Primo giorno di lezione di diritto di regolazione dei mercati e della concorrenza, nuovo
corso che fal‟esordio nell‟ambito dell‟offerta formativa della facoltà. Negli anni
precedenti il corso era diritto dell‟economia, corso opzionale. La materia che si
trattava era anche ricompresa anche nell‟ambito del corso di diritto delle operazioni
straordinarie della concorrenza, che però era un corso della specialistica.
Si è posto un primo problema. Quello di cercare di rendere il corso fruibile nell‟ambito
della triennale. Devo dire che la mia intenzione è quella di, per i frequentanti, basarmi
su sicuramente un manuale di riferimento, evidentemente diventa complicato gestire il
corso basato sulla base di materiali distribuiti dal docente di volta in volta, abbiamo
un manuale su cui ci si può riferire per la preparazione dell‟esame.
Volevo portare a lezione alcuni materiali per quel che concerne la seconda parte del
corso, dedicata all‟analisi di determinati settori oggetto di regolamentazione. Tutto
ciò può sembrare teorico se prima non vi spiego quali sono i contenuti del corso.
Innanzi tutto corso di diritto, parliamo di esame di disposizioni normative di legge che
hanno diversa collocazione nell‟ambito della gerarchia delle fonti. In primo luogo ci
dobbiamo porre il problema di quali sono i fondamenti normativi dell’intervento dello
stato in economia. La prima parte del coro sarà diretta ad analizzare queste fonti
normative dell‟intervento dello stato.
In primo luogo la nostra Costituzione ha alcune disposizioni che sono dedicate ai
rapporti economici. Disciplinano i compiti dello stato rispetto a determinati fenomeni
economici. Vedremo come vanno lette queste disposizioni.
In secondo luogo vi è una altra fonte importante: il diritto comunitario. Il trattato
della unione europea, modificato in seguito al Trattato di Lisbona, è una fonte
normativa importantissima, fondamentale, quasi sovraordinata rispetto al nostro
dettato costituzionale.
Da questo punto di vista la normativa comunitaria va letta in modo articolato. Perché?
Da un lato abbiamo un trattato, la fonte normativa principale, ma poi abbiamo anche il
diritto comunitario cosiddetto derivato, le direttive del Consiglio, del Parlamento
Europeo, i regolamenti comunitari.
Questo non è un corso di diritto comunitario, per cu ci soffermeremo sugli aspetti del
comunitario che più specificamente ci interessano e condizionano le modalità con cui il
nostro legislatore interno può intervenire sulla materia economica, sull‟economia.
Tenendo conto anche di un fatto. In alcuni settori, per alcune materie è lo stesso
legislatore comunitario che detta la disciplina. Ormai sempre di più, per effetto
dell‟integrazione europea, si è demandato al legislatore comunitario di dettare una
disciplina onnicomprensiva rispetto ad un determinato fenomeno economico.
Assistiamo in certi casi ad un fenomeno di sostituzione dal legislatore comunitario al
legislatore interno, nazionale. Prima parte del corso dedicata all‟analisi delle fonti, si
basa molto su quello che è scritto nel manuale di cui parlerò fra breve.
2
Seconda parte del corso è dedicata più specificamente alla regolamentazione di alcuni
settorieconomici. Quelli in cui tradizionalmente si manifesta in modo più incisivo
l‟intervento dello Stato in economia.
Parliamo sostanzialmente dei cosiddetti servizi pubblici: quelli che vengono
generalmente almeno nella qualificazione tradizionale, considerati servizi pubblici.
Facciamo degli esempi: gestione servizi idrici, la distribuzione dell‟ acqua, fornitura,
depurazione, la gestione del servizio idrico integrato; servizi ambientali, la gestione
dei rifiuti; servizi che hanno a che fare con la distribuzione del gas, energia elettrica,
servizi di trasporto.
Gli esempi possono essere molteplici. Non possiamo considerare tutti quelli che
vengono tradizionalmente intesi come servizi pubblici, ma sicuramente mi soffermerò
sull‟analisi di alcuni servizi.
In cosa consiste l‟analisi di questi servizi? L‟analisi si deve svolgere su un doppio livello.
In primo luogo bisogna capire perché lo Stato ritiene necessario condizionare così
pesantemente, regolamentare in modo pervasivo lo svolgimento di queste attività di
servizio pubblico.
Nell‟ambito di queste attività che non vengono sviluppate, la scelta legislativa
fondamentale non è quella di abbandonare lo svolgimento dell‟attività alle libere forze
del mercato, bensì abbiamo il legislatore che interviene per dettare una disciplina
molto specifica, dettagliata, per lo svolgimento dell‟attività economica.
In primo luogo dobbiamo capire perché vi è questa scelta di fondo. Questo Particolare
assetto industriale di questi mercati e anche motivazioni di ordine sociale, in secondo
luogo si tratta di capire qual è il quadro normativo di riferimento con cui si attua la
regolazione dei mercati dei servizi pubblici.
Su questo specifico aspetto, la ricostruzione del quadro normativo, nell‟ambito del
corso potrò dire poche cose, su questo conto anche di portare alcuni materiali.Posso
dire poche cose perché la regolamentazione di ciascun servizio pubblico è molto
complessa, articolata.
Facciamo un esempio, per quel che riguarda il servizio di distribuzione dell‟energia
elettrica, abbiamo l‟Autorità di regolazione del settore, l‟Autorità per l‟energia
elettrica e il gas, che detta una disciplina molto complessa per lo svolgimento di
questa specifica attività economica.
Se volessimo ricostruire il quadro, dovremmo fare riferimento a tutte le norme
legislative e anche alle modifiche che sono intervenuteda parte dell‟Autorità per
l‟energia elettrica e il gas, e il discorso diventerebbe complicato. Si tratta di
tratteggiare, ricordiamo gli assi portanti su cui è impostato il quadro costitutivo.
Infine abbiamo una parte del corso che è dedicata alla disciplina della concorrenza,
la disciplina antitrust. Abbiamo una fase di regolazione del mercato, ma ha una finalità
diversa rispetto a quella tipica della regolazione dei servizi pubblici.
Anche qua abbiamo una autorità di regolazione, di riferimento, l‟Autorità Garante
per la concorrenza e il mercatoche ha finalità diverse rispetto alle autorità di
3
regolazione preposte ai diversi settori dei servizi pubblici. Dobbiamo capire quali sono
gli scopi, le finalità nel settore della concorrenza e così via.
Il manuale. È il libro “La nuova costituzione economica”. L‟autore originario è Cassese,
adesso ha il contributo di vari autori. Editore è Laterza, l‟edizione è quella di
quest‟anno, 2012.
Problema delle edizioni. Dal 2007 in poi possono andare relativamente bene. Non so,
c‟è tutta una serie di parti, non è un libro in cui si parla di testi modificati nel corso
degli ultimi anni. Si parla di interventi di Stato in economia, sono esposti gli oggetti
generali. Sarebbe meglio una edizione recente, non so il risultato ai fini dell‟esame se
uno si basa su un vecchio testo.
Volendo sintetizzare i contenuti del corso. Una prima parte riguarda l‟analisi delle
fonti, Cassese cerca di assumere anche una prospettiva storica. Poi abbiamo una
seconda parte dedicata alla disciplina della concorrenza, poi parleremo delle varie
discipline, servizi pubblici, analizzando in particolare alcuni settori.
A questo punto vale la pena entrare subito nell‟argomento. Parliamo di costituzione
economica. Cosa vuol dire costituzione economica? Come ricorda lo stesso Cassese ci
sono tre modi per interpretarla.
Il primomodo, più formale,tradizionale. Costituzione economica ha un significato
tecnico giuridico. Norme costituzione che hanno ad oggetto rapporti economici.
Facciamo un esempio: articolo 41 iniziativa economica privata, articolo 43 in materia
di proprietà, articolo 47 in materia di risparmio, viene riconosciuto come un bene
tutelato a livello costituzionale. Poi l‟articolo 3, dove viene enunciato il principio di
eguaglianza formale e sostanziale dei cittadini. Chi ha fatto già diritto privato e
pubblico, sono norme già citate nell‟ambito del corso.
L‟articolo 3 enuncia il cosiddetto principio di eguaglianza sostanziale, è alla base
dell‟intervento dello Stato in economia. Lo Stato ha lo scopo positivo, di eliminare gli
ostacoli che si frappongono al raggiungimento della situazione di eguaglianza
sostanziale.
Non soltanto sono rilevanti alcuni articoli della costituzione, ma sono rilevanti anche
determinate leggi ordinarie che hanno rilevanza costituzionale, per esempio in primis
la legge in materia antitrust,287 1990. Legge di rilievo costituzionale. Legge che
parla di concorrenza.
In secondo luogo, parlando di costituzione economica ci riferiamo ad una accezione più
ampia. Ci si riferisce ad istituti non soltanto descritti positivamente in titoli della
costituzione, ma più in generale, al modo con cui l’intervento dello Stato viene
percepito dall’opinione pubblica, qual è la modalità con cui nell‟ambito dell‟ordinamento
viene vissuto dai cittadini, dalla pubblica opinione.
Cassese fa riferimento ad un giurista inglese,Dicey il quale appunto, a fine „800 aveva
considerato questa accezione, per considerare un ordinamento anglosassone, dove non
vi è costituzione materiale scritta, fosse stata l‟opinione pubblica a passare da una
situazione liberistica ad una concezione più collettivistica, di maggiore intervento.
4
Infine abbiamo una terza accezione. Si riferisce a come nella prassi la costituzione, la
legislazione viene applicata da parte degli apparati amministrativi. La costituzione
economica è il diritto vivente, come sostanzialmente nella prassi concreta lo Stato
materialmente interviene su determinati profili, attività economiche, settori.
Vi sono alcuni modi diversi per affrontare lo studio di questa materia. Il primo modo,
tradizionale tipico dei giuristi. Analizzare le norme, vedere quello che dicono. Da
questa base studiare sostanzialmente le relazioni fra Stato ed economia. Vedere come
si risolve nel concreto questa contrapposizione fra quello che dice la legge e i
condizionamenti che determinate attività economiche subiscono in base a una
determinata disposizione legislativa.
Secondo modo è quello di analizzare le politiche settoriali dello stato rispetto ad un
determinato settore economico. Esempio: settore dell‟agricoltura. Qual è la normativa
di riferimento, quali sono le linee guida di politica economica che stanno alla base di
una determinata legislazione, di un determinato modo di applicare determinate norme
nel settore considerato.
Infine, abbiamo un terzo metodo che vede, che analizza il governo dell’economia.
Economia nelle sue dimensioni quantitative: governo della moneta, del risparmio, dei
redditi e così via.
Nell‟ambito di un corso di diritto, dobbiamo soprattutto riferirci ad un modo più
tradizionale nel studiare l‟intervento dello stato in economia. Dovremmo
necessariamente riferirci a norme, disposizioni di legge, cercando di capire quello che
le disposizioni dicono. È chiaro che però bisogna cercare di interpretare le
disposizioni, verificarle, e capire le finalità che ne stanno alla base.
Cerchiamo però di inserire questo discorso in una prospettiva storica. Possiamo
distinguere quattro periodi storici: dall‟Unità di Italia, dalla seconda metà del 1800
fino all‟attuale periodo storico.
Ciascuno di questi periodi è caratterizzato da alcuni tratti, ben identificabili per
caratterizzare l‟indirizzo dell‟intervento pubblico sulle attività economiche
- Primo periodo: da 1861 (unificazione italiana) a fine „800;
- Secondo periodo: da fine „800 ad anni „20;
- Terzo periodo: da anni 20 a metà anni ‟50;
- Quarto periodo: da metà anni 50 ad anni ‟70.
Il primo è il periodo del liberismo. Il secondo periodo è quello della
industrializzazione. Terzo periodo, da anni venti alla metà del 1900, è lo stato
pianificatore, intervento massiccio dello Stato in economia. Lo stato in proprio assume
lo svolgimento di determinate attività economiche. Quarto periodo Welfare state. Lo
stato si fa garante di determinate prestazioni sociali nei confronti dei cittadini.
Da anni ’80 abbiamo una fase nuova, condizionata dalla nascita della CE e della
normativa UE. In coincidenza con l‟affermazione della CE, dei suoi principi e regole alla
base del trattato, abbiamo anche una nuova epoca di intervento pubblico dello Stato in
economia e nuovo modo di intendere la presenza dello Stato.
5
Il primo periodo: da unificazione sino a fine „800. Innanzitutto, dobbiamo trovare
elementi qualificanti di questi periodi, questo periodo si caratterizza per
l’unificazione legislativa. Codice civile e di commercio nel 1865, codice commercio
modificato nel 1882. C‟è la necessità di affrontare i problemi dell‟unificazione
amministrativa del regno d‟Italia.
Questa unificazione è avvenuta a vari livelli, anche e soprattutto a livello legislativo. È
stato adottato un codice civile unitario in sostituzione delle legislazioni tipiche degli
stati pre-unitari. Nello scegliere quale modello di codice utilizzare, si è scelto quello
che aveva maggiore diffusione all‟epoca: il codice napoleonico. L‟istituto fondamentale
era la proprietà.
Per quel che concerne il codice di commercio, modello francese, diverso da quello
attuale. Non era disciplinata l‟impresa intesa come società, bensì era disciplinato il
singolo atto commerciale: l‟atto di commercio.
Questo processo di unificazione venne attuato in modo brutale. Semplicemente si
estese la legislazione piemontese a tutti gli altri stati di cui si componeva il regno di
Italia. Questa estensione comportava evidentemente conseguenze non di poco conto
sul piano economico.
L‟Italia aveva diversi gradi di sviluppo. Trapiantare in determinate zone del Paese un
modello legislativo poteva determinare conseguenze non facilmente gestibili. Vi era
chi sosteneva che questo trapianto della legislazione piemontese in altri stati potesse
avere un effetto favorevole allo sviluppo economico.
In realtà avrebbe avuto l‟effetto di creare un incentivo, uno stimolo per zone più
arretrate del paese. Questo non si è verificato per un lungo periodo di tempo, ha dato
luogo ad una serie di fenomeni di squilibrio del nostro paese.
Secondo elemento caratterizzante questo periodo è il protezionismo doganale. Lo
stato doveva ancora costituirsi sul piano legislativo costitutivo ed economico.
L‟obiettivo fu la difesa dell’economia nazionale rispettoall‟esterno. Ciò si tradusse in
una serie di dazi, tariffe doganali che sostanzialmente proteggevano la nostra
economia rispetto alle importazioni, aggressione da parte di economie esterne.
Le tariffe doganali e questo tipo di atteggiamento protezionistico ebbe alcuni tipi di
conseguenze. Accentuò ulteriormente gli squilibri interni all‟economia nazionale. Creò
una sorta di competizione fra l‟industria del Nord (all‟epoca maggiormente sviluppata)
e le economie del mezzogiorno. Conseguenze che erano opposte rispetto a quelle che ci
si prefiggeva di costituire all‟epoca. Eliminare disequilibri del paese, ma la politica
protezionistica aveva determinato un effetto contrario. L‟Italia si sviluppava a due
velocità.
In terzo luogo, periodo che segue l‟unità e arriva a fine 1800, abbiamo un‟epoca
caratterizzata da un massiccio fenomeno di privatizzazioni di beni dello Stato.
Dovremo ritornarci. La privatizzazione, in generale, si riferisce alla vendita di beni
dello Stato a soggetti privati.
All‟epoca lo Stato era proprietario di una grande massa di beni, che provenivano anche
dallo Stato Pontificio (asse ecclesiastico), in quell‟epoca si stima che venne
6
privatizzato, ceduto a privati, circa il 12% delle proprietà pubbliche dello Stato:
terreni e immobili.
Vi è il periodo della quotizzazione dei demani. Terreni ad uso collettivo vengono ceduti
a singoli soggetti, piccoli proprietari terrieri. Questo fenomeno di massiccia
privatizzazione si accompagna ad un atteggiamento di lontananza di interventi dello
stato rispetto al governo dell‟economia. Si parla di liberismo. Non tanto una scelta
ideologica da parte del governo all‟epoca in carica, ma era determinato dal fatto che
l‟‟apparato statale, il governo dell‟economia era poco sviluppato.
All‟epoca vi fu l‟istituzione del Ministero dell‟Economia (oggi dello Sviluppo Economico)
che aveva una struttura molto limitata, soltanto circa 1000 dipendenti. Molto più
sviluppato il ministro dei lavori pubblici, si conta di porre in opera tutta una serie di
interventi nei lavori pubblici. Realizzare infrastrutture, strade.
Infine, va ricordato come all‟epoca il governo delle attività economiche fosse
demandato più che altro a soggetti che erano espressione delle stesse categorie
economiche regolamentate. Erano le camere di commercio, d‟importanza
fondamentale, per quel che concerneva la definizione delle regole alla base dello
svolgimento di determinate attività economiche.
Sono diventati enti pubblici successivamente, ma erano strutture corporative
costituite in rappresentanza degli interessi delle categorie destinatarie della
disciplina. Vi era un fenomeno di autoregolamentazione, erano gli stessi soggetti
regolari che esprimevano i componenti degli organi di governo delle attività
economiche.
Infine lo Stato non è presente esso stesso come soggetto attivo, come imprenditore,
produttore. Non è presente sul mercato. Nel 1863 venne istituita la Cassa depositi
e prestiti, la banca dello stato, ministero delle finanze, impresa pubblica in cui lo
stato comincia a svolgere una attività economica.
Il primo periodo storico è caratterizzato da questi fenomeni. Periodo di liberismo,
unificazione legislativa. Fenomeno di privatizzazione caratterizzato sostanzialmente
da una distanza dello stato rispetto alla regolamentazione delle attività economiche.
Abbiamo poi il secondo periodo storico, fine anni ‟20 del novecento: abbiamo un
periodo diprima industrializzazione. L‟economia italiana è agricola, in questo periodo
comincia una industrializzazione dell‟economia. Tratti caratterizzanti del periodo.
Una prima differenziazione legislativa: cominciano ad essere emanate discipline
specifiche per determinate zone del paese. Leggi speciali che interessavano aree
territoriali del paese e con la finalità di dotare le aree di infrastrutture all‟epoca del
tutto assenti.
In secondo luogo, abbiamo una vigorosa promozione dei lavori pubblici nel nostro
paese. In questo periodo, importante opera è quella della costruzione della rete
ferroviaria. Avvenne nel 1905 con la costituzione dell‟azienda delle
FerroviedelloStato. Le concessioni ferroviarie erano in mano ad aziende private.
Queste concessioni private vennero trasferite a questa azienda statale, esempio di
7
impresa pubblica, ferrovie dello Stato che cominciò vasta opera di intervento del
settore delle ferrovie per realizzare la rete ferroviaria nel nostro paese.
Vennero costruite altre imprese pubbliche, come segno di intervento dello stato nel
settore delle attività economiche. Primo decennio 1900 costituito l’IstitutoNazionale
delle Assicurazioni, (INA) l’Istituto Nazionale del Credito e Cooperazione (l‟attuale
BNL), impresa perla telefonia interurbana.
Altro settore importanti in cui lo stato fa sentire la sua presenza: previdenza sociale.
Fino a quell‟epoca la previdenza sociale era attuata tramite un sistema mutualistico,
basato sulla volontaria adesione dei cittadini a casse mutue che erogavano volontarie
prestazioni previdenziali.
Questo sistema mutualistico non era in grado di assicurare a tutti assicurazioni
previdenziali. Allora si passò ad un altro sistema obbligatorio mediante l‟istituzione
della Cassa Nazionale di Previdenza, un soggetto pubblico e la trasformazione del
fatto volontario dell‟adesione al sistema mutualistico ad un fatto obbligatorio.
Dovevano aderire i cittadini e anche il datore di lavoro alla cassa di previdenza. Come
vedete, a livello embrionale, ci si avvicina al sistema di previdenza sociale attualmente
in uso.
Abbiamo poi un terzo periodo, dagli anni ‟20 al 1942, periodo della nuovacodificazione.
Il codice civile è del 1942, sostanzialmente onnicomprensivo, in cui venne assorbito
anche il codice del commercio.
Codice civile che aspira ad essere la norma fondamentale per quello che concerne lo
svolgimento delle attività economiche in vari settori: materie di impresa, azienda,
società, rapporti di lavoro e così via.
In secondo luogo questo periodo è caratterizzato da un sempre più massiccio
intervento dello Stato in economia. Intervento sempre più massiccio che si manifesta
in modo preciso: quello della assunzione della gestione diretta di determinate attività
economiche.
Nel nostro ordinamento, a livello costituzionale, abbiamo una norma, l‟articolo 43,
sostanzialmente consente la possibilità che lo stato riservi a sé stesso lo svolgimento
di determinate attività economiche, in particolare nel settore dell‟energia e dei servizi
pubblici essenziali.
Sistema della riserva originaria. Quando lo stato decide di applicare questo articolo
della costituzione impedisce che queste attività economiche possano essere svolte da
soggetti privati. In questi anni è avvenuto per tutta una serie di attività economiche:
marittimo, aereo, radiodiffusione e così via, meccanismo di riserva originaria.
Lo stato assoggettava anche ad autorizzazione lo svolgimento di altre attività
economiche. Osserviamo la differenza fra autorizzazioni e concessioni. Autorizzazioni
lo stato autorizza l‟intervento di una attività economica che il privato ha la facoltà di
svolgere.
Sostanzialmente si pone una barriera all‟ingresso, si pone un vincolo all‟accesso allo
svolgimento di una determinata attività economica ma, per le motivazioni più diverse,
8
lo svolgimento di quell‟attività economica è sostanzialmente possibile, è un diritto,
seppur soggetto ad autorizzazione per il privato.
Il caso della concessione, nel regime della riserva originaria, è una situazione diversa.
Lo svolgimento di una determinata attività economica è riservata allo Stato. Lo Stato
può anzitutto decidere di svolgere esso stesso quella determinata attività economica
mediante proprie imprese, mediante articolazioni imprenditoriali.
Lo Stato può trasferire ad altri soggetti la possibilità di svolgere questa determinata
attività economica, e lo strumento giuridico è la concessione. Lo Stato consente di
svolgere l‟attività economica che sarebbe riservata allo Stato.
È chiaro che sia delle autorizzazioni che delle concessioni si può fare un uso distorto.
Con la concessione lo stato trasferisce ad altri soggetti un diritto di monopolio,
diritto di svolgere una determinata attività economica. Le autorizzazioni possono
essere rilasciate in modo selettivo, creando artificiose barriere all‟ingresso.
Teniamo presente che dalla metà degli anni „20 fino al secondo conflitto, è il periodo
fascista, economia autarchica, in cui vigeva il principio dell‟autosufficienza della
economia nazionale. È il periodo della crisi del 1929, che ebbe un riflesso immediato
nella nostra economia.
Basti pensare che in questo periodo, 1933, è nato l’IRI, ente mediante il quale lo
stato deteneva le sue partecipazioni, imprese operanti nei vari settori. L‟IRI nasce nel
1933 per effetto della crisi economica mondiale del 1929. L‟IRI nacque
sostanzialmente per un tetto di salvataggio delle imprese industriali entrate in crisi.
All‟epoca, nel nostro sistema finanziario, prevaleva un modello di banca mista. Vi
erano alcune grandi banche: banca commerciale italiana, credito italiano e credito di
Roma, detenevano importanti e significative partecipazioni nelle principali industrie
del nostro paese.
Nel 1929 si manifestarono i segni di una crisi economica mondiale. Le aziende in crisi
si rivolsero ai loro azionisti per ottenere nuovo capitale di rischio. Si rivolsero anche
alle grandi banche per poter ottenere nuovi finanziamenti.
Questo innescò una spirale perversa. Le grandi banche si trovarono esposte, nei
confronti del sistema industriale, a due livelli: da un lato come azionisti e dall‟altro
come finanziatori e creditori del sistema industriale.
Questo è necessario per evitare il fallimento delle grandi industrie, per cui si creò
questo istituto, nel 1933, al quale vengono trasferite mediante convenzioni, sia le
partecipazioni che lo Stato deteneva in tante banche italiane, sia si impose alle
banche di trasferire all‟IRI le partecipazioni che lo stato deteneva nelle più
importanti industrie.
L‟IRI svolgeva un ruolo di capogruppo delle partecipazioni dello stato sia nel settore
bancario sia nel settore industriale. Questo ruolo dell‟IRI doveva essere svolto
temporaneamente, fino a che tutto fosse tornato alla normalità. In realtà la sua
istituzione divenne definitiva, divenne la holding di partecipazione dello Stato
nell‟economia. L‟IRI venne soppresso verso la fine degli anni 1990.
9
La struttura dell’economia era organizzata secondo unordinamento corporativo. Cosa
erano le corporazioni? Erano organismi rappresentativi sia dei sindacati dei lavoratori
sia dei sindacati degli imprenditori. Per ciascun settore economico vi era una
corporazione.
Eleggeva i propri rappresentanti, quali unitamente al rappresentante del partito
nazionale fascista, andarono poi a formare la Camera dei Fasci e delle corporazioni,
che nel tempo sostituì la camera dei deputati.
Mediante le corporazioni si volevano ottenere due obiettivi: pervenire ad una forma di
governo di un settore economico. In secondo luogo, obiettivo che largamente fallì, si
cercava di attenuare la conflittualità fra le associazioni rappresentative dei datori di
lavoro e dei lavoratori.
Abbiamo poi un ulteriore periodo, il quarto periodo. Dalla metà del 1900 fino agli anni
70. Nascita dello stato del benessere, intervento diverso dell‟economia rispetto a
quello del periodo precedente.
Abbiamo anzitutto l‟approvazione della Costituzione della Repubblica, 1948, in cui
vengono fissati alcuni principi che regolano l‟intervento pubblico nell‟economia. In
primo luogo un principio che abbiamo visto essere già attuato in precedenza: riserva
originaria => lo Stato riserva a sé lo svolgimento di determinate attività economiche.
Questo come dicevo si era già sostanzialmente verificato, meccanismo di avocazione
di attività economiche, ma con l‟articolo 43 si sono posti limiti alla possibilità dello
stato di nazionalizzare determinate attività economiche.
Una determinata attività economica caratterizzata da situazioni di monopolio e
determinati servizi pubblici essenziali. In secondo luogo, con l‟articolo 42, abbiamo il
riconoscimento della proprietà pubblica e privata. Si prevede anche che lo stato
possa stabilire casi particolari di acquisto della proprietà e limiti d‟acquisto in modo
che possa essere resa accessibile a tutti.
Infine, articolo 41, su cui torneremo domani, quello cui si riconosce e garantisce la
libertà di iniziativa economica. Prevede anche che questa libertà di iniziativa
economica possa essere funzionalizzata. Vuol dire che lo svolgimento di una
determinata attività economica possa essere condizionata, non imponendo limiti
esterni negativi, ma condizionando lo scopo sulla cui base viene svolta una determinata
attività economica.
Si assiste alla possibilità dello stato di funzionalizzare lo svolgimento di determinate
attività economiche. Lo svolgimento acquisisce scopi diversi ulteriori di interesse
pubblico rispetto a quelli propri di un determinato affare.
In questo periodo, che va dal 1942 fino agli anni 1970, viene completato il quadro delle
partecipazioni statali. Istituito l’ENI, a cui venne riservata l‟attività di ricerca di
idrocarburi nel nostro paese. Cominciarono a moltiplicarsi gli enti, la presenza di enti
pubblici dello stato in economia.
Abbiamo l’IRI, l‟ENI. Anche altri enti, l’EFIM, manifatturiero e cosi via. Ciò rese
necessario riorganizzare l‟intervento pubblico nell‟economia. Si decise di costituire nel
1956 il Ministero delle Partecipazioni statali. Si creava una struttura tecnicistica di
10
governo dello stato nell‟‟economia. Questa struttura si articolava mediante enti
pubblici di gestione, al di sotto dei quali vi erano poi i soggetti che poi svolgevano
direttamente le attività industriali.
Tra questi enti ricordiamo l‟ENEL, oggi SPA, istituito 1963,a seguito della
nazionalizzazione dell‟energia elettrica. Ancora una volta si da attuazione all‟articolo
43 della costituzione, riserva allo Stato di attività nel settore elettrico, mediante un
meccanismo di avocazione allo stato di tutte queste attività che venivano svolte da
soggetti privati.
Questo comportò sostanzialmente un meccanismo di esproprio da parte dello Stato, di
riscatto da parte dello Stato, di aziende che prima erano in mano a soggetti privati, i
quali vengono indennizzati. Queste aziende elettriche vengono trasferite in capo
all‟ENEL (Ente Nazionale per l‟Energia Elettrica) posto sotto il controllo dell‟IRI.
Abbiamo sostanzialmente un sistema in cui viene posto al vertice il ministro delle
partecipazioni statali, sotto vi è l‟IRI, configurato come ente di gestione, sotto il
quale vi sono altri enti di gestione, ENI, EFIM e così via.
In questo periodo si assiste ad un massiccio intervento dello stato nelle attività
economiche mediante finanziamenti di vario genere. Si sentì l‟esigenza di intervenire
mediante finanziamenti di vario genere per il superamento di determinanti ritardi
nello sviluppo per le regioni del meridione.
Innanzi tutto vi erano contributi a fondo perduto che lo stato erogava a determinate
imprese, che operavano in determinati settori economici. Finanziamento ex ante non
controllato. In secondo luogo finanziamenti ex post, di tipo premiale. In terzo luogo vi
era il credito agevolato. Forma di finanziamento particolarmente diffuso fino all‟inizio
degli anni ‟70.
Lo Stato si rende garante, in modo che le imprese hanno accesso il credito a
condizioni migliori rispetto a quelle cui potrebbero avere accesso operando
autonomamente. L‟intervento dello Stato mediante l‟elargizione di concessioni si
prestava a distorsioni di vario genere.
Infine, negli anni ‟70, si è assistito ad un tentativo di intervento dello stato come
pianificatore dello svolgimento delle attività economiche. Vera e propria pianificazione
rispetto ad una mera programmazione dal parte dello Stato.
L‟intervento di pianificazione è tipico delle economie sovietiche in cui vi era la
proprietà pubblica (anche dei mezzi e fattori di produzione), lo Stato poteva
pianificare lo svolgimento dell‟attività economica. Su quell‟esempio si sono
tentatepianificazioni di determinati settori industriali.
Questi piani hanno avuto degli esiti non sono stati attuati. Interventi dello Stato
come programmatore nello svolgimento di determinate attività economiche. La
programmazione è meno pervasiva della pianificazione.
Lo Stato individua determinati obiettivi. Lo Stato si propone di conseguire a livello
macroeconomico in determinati mercati, in determinati settori industriali. In questo
periodo venne istituito il Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica,
11
per attuare una programmazione economica globale in determinati settori
dell‟economia.
In questo periodo abbiamo poi un sempre più deciso intervento dello Stato nel
settore delle istituzioni del benessere. Lo Stato comincia a farsi garante di
prestazioni di carattere sociale a favore dei cittadini in tre settori:
- Istruzione;
- Sanità pubblica;
- Occupazione
Il 1962 è l‟anno in cui si diede attuazione all‟articolo 34; si prevede la obbligatorietà e
gratuitàdell’istruzione inferiore per almeno 8 anni. Nel 1978 abbiamo poi
l‟istituzione del servizio sanitario nazionale, infine sotto il profilo dell‟assistenza e
previdenza sociale abbiamo nel 1970,il completamento del sistema di previdenza
sociale mediante la previsione delle cosiddette pensioni sociali.
Su questo possiamo continuare domani perché non vorrei affrettare l‟esposizione.
28/02/2012
La lezione sarà al martedì alle 8.45 in aula penso Famagosta, (no lezione martedì)
Continuiamo i discorsi iniziati ieri, riprendendo alcuni punti. Consideriamo
sostanzialmente alcuni articoli che la nostra costituzione dedica ai rapporti
economici.
In particolare mi riferisco agli articoli 41,42,43 della Costituzione. Ricordo che una
delle proposte del governo precedente all‟attuale governo Monti, era con le varie
misure di liberalizzazione, di riscrivere in parte il dettato del 41 cost. relativo
all‟iniziativa economica. L‟iniziativa economica, il diritto di svolgere una attività
economica sia essa in forma imprenditoriale o meno, non può essere oggetto di
condizionamenti eccessivi da parte dello Stato.
L’articolo 41 cost. nella sua forma attuale, è quello che risale ai lavori dell‟assemblea
costituente. Nel tempo la formulazione è rimasta immutata,nonostante il fatto che si
siano succeduti diversi periodi storici in cui la forma dell‟intervento dello Stato ha
assunto forme e modalità molto diverse.
Sto facendo il tentativo di dividere in periodi storici. Abbiamo visto come c‟è stato un
momento di minore interventismo, anni ‟60 maggiore intervento anche nella forma
della pianificazione. Ora ci confrontiamo con le norme del trattato UE che, come
vedremo, fanno scelte di principio di politica economica che sono anche diverse dalla
nostra costituzione.
L‟articolo 41 è rimasto immutato. Da parte del governo c‟è la tentazione di intervenire
su questo testo fondamentale per quanto concerne il rapporto fra stato e cittadini.
L‟articolo 41 inizia enunciando un principio di libertà “L‟iniziativa economica privata è
libera”.
12
Garanzia a favore dei cittadini. I condizionamenti derivano dalla lettura del secondo e
terzo comma dell‟articolo 41. La possibilità dello Stato di condizionare questa libertà
dei cittadini di intraprendere il diritto di iniziativa economica discendono da quello
che è previsto nel II e III comma del 41.
2 comma. È previsto che l‟‟iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto
con l‟utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e dignità
umana.
Senza entrare in interpretazioni sofisticate, questa norma esprime un principio di
buon senso, evidentemente questo principio di libertà non può essere posto in essere
determinando un danno ad altri soggetti che sono titolari di diritti istituzionalmente
protetti: il diritto alla sicurezza, alla dignità umana e alla libertà di iniziativa di altri
soggetti.
Il secondo comma pone limiti esterni al diritto di iniziativa economica. Non si può
spingere fino al punto di ostacolare i diritti degli altri soggetti, in particolare i diritti
di libertà degli altri cittadini.
Come vedete, questa norma nel porre questi limiti esterni implica che vi debbano
essere regole che siano dirette a coordinare lo svolgimento del diritto di iniziativa
economica da parte dei vari soggetti dell‟ordinamento. Rendere compatibile il diritto
di iniziativa economica di un soggetto con quello di un altro soggetto.
Alcuni esperti in dottrina hanno sostenuto che questa norma determina e costituisce il
fondamento istituzionale della legislazione antitrust, che detta le regole in base alle
quali si può entrare nel mercato senza arrecare concorrenza tra gli imprenditori che
operano nello stesso settore.Il secondo comma pone limiti esterni alla libertà di
iniziativa economica.
Il terzo comma, invece, dice ancora qualcosa in più, è forse il più incisivo. Dice che la
legge, determina i programmi e i controlli opportuni perché l‟attività economica
pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. Tre punti da
evidenziare
La costituzione pone una riserva di legge. Ciò che è consentito allo stato di fare può
essere previsto soltanto con legge. Solo se c‟è copertura legislativa lo Stato può
intervenire nel senso previsto da questa disposizione. Cosa può fare lo Stato con
legge?
Può determinare programmi e controlli affinché l‟attività economica possa essere
indirizzata e coordinata. Si prevede che lo Stato possa intervenire sullo stesso diritto
di iniziativa economica per indirizzarlo in modo che questo diritto sia svolto al fine del
conseguimento di determinati scopi di interesse pubblico.
Consente allo Stato quella che ieri ho definito la funzionalizzazione delle attività
economiche. Il fatto che le attività economiche possono essere in qualche modo rese
funzionali al raggiungimento di determinati scopi. Non sono quelli che si è posto
l‟imprenditore privato, perseguimento dello scopo di lucro o altri scopi di altro genere,
ma essere utilizzata a scopi sociali.
13
Così descrive il 41 terzo comma. Scopi sociali sono scopi di interesse collettivo, ci si
riferisce a scopi e finalità che si contrappongono a quelli tipici dell‟imprenditore.
L‟imprenditore organizzato in forma di società ha uno scopo lucrativo tipicamente
egoistico, diretto allo scopo di lucro e distribuirlo.
Questa norma consente che in certi casi, purché vi sia la legge che lo prevede, la
attività economica può essere prevista a scopi di ordine collettivo, diversi rispetto a
quelli tipici dell‟imprenditore.
In effetti sulla base di questa esposizione, come ricordavo nella lezione di ieri, negli
anni sessanta si è assistito al fenomeno di pianificazione di attività economiche.
Questa attività di pianificazione non ha avuto un grande successo, è chiaro che in
qualche modo la pianificazione acquista significato sulla competenza in economia.
Gli anni ‟60,sulla base di questa disposizione, hanno tentato di sottoporre a
pianificazione attività economiche in certi settori. Ancora oggi in alcuni settori
economici si assiste a pianificazione e incisivi poteri di programmazione da parte dello
Stato.
Da qua la tentazione del governo che ha un determinato orientamento politico, di
riformare l‟articolo in modo di eliminare la possibilità dello stato di intervenire
incisivamente sui diritti di iniziativa economica. In realtà in una economia liberista, una
disposizione come il terzo comma del 41 non avrebbe una sua ragione di essere.
Tanto più che la possibilità di intervenire dello stato in modo così incisiva va in
contrasto con alcuni principi di libertà sanciti nel trattato della UE. A livello
istituzionale, a livello dei mercati della UE, nei mercati unici, prevale il livello di
economia competitiva in termini di libera concorrenza.
La scelta di politica economica di fondo che il legislatore comunitario fa nel trattato,
è in favore di un assetto concorrenziale nel mercato,gli operatori si possono
confrontare, ma non è presente intervento pubblico dello stato in funzione dirigistica.
In qualche modo si è parlato anche, in dottrina, di una sorta di contrasto fra il 41
Cost. e i fondamentali messi nel trattato istitutivo della comunità europea.
Come vedremo, soprattutto a seguito delle modifiche in base al trattato di Lisbona,
anche il principio concorrenziale, che sta alla base della costituzione economica
europea si è molto attenuato.
Passiamo all‟articolo42della Costituzione, figlio di quelli della costituente del 1948.
L‟articolo, in tema di proprietà, enuncia al secondo comma, che la proprietà privata è
riconosciuta e garantita dalla legge. Principio cardine, di garanzia nei confronti della
proprietà. Diritto che dev‟essere garantito nei confronti dello Stato. è riconosciuto e
garantito dallo Stato.
Prosegue, “ la legge determina i modi di acquisto e godimento, e i limiti allo scopo di
assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. Questo principio può
essere condizionato in modo da assicurare la funzione sociale della proprietà privata e
di renderla accessibile a tutti”.
Anche qui si pongono le basi istituzionali per un intervento dello stato nel settore
della proprietà.
14
Le leggi urbanistiche, i piani urbanistici a livello locale, il piano regolatore comunale,
prevedono una serie di condizionamenti al diritto di proprietà privata. Chi ha un
immobile in una zona soggetta a piano regolatore comunale, deve soggiacere ai
regolamenti previsti nello stesso piano regolatore.
Il comma 3 dell’articolo 42“la proprietà privata può essere espropriata nei casi
previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”.
Alcune autorità fanno grande uso di questo strumento di espropriazione.
Una particolare zona deve essere di pubblica utilità, presupposti perché questo possa
avvenire. Occorre realizzare una infrastruttura, un acquedotto, allora, in questi casi,
l‟ente può dichiarare di pubblica utilità una determinata area ed espropriarla dal
privato cittadino. È chiaro che è necessario che al privato vada riconosciuto un
indennizzo.
Occorre che questo potere di espropriazione sia previsto dalla legge. Anche qua
abbiamo una riserva di legge. Il caso di esproprio della proprietà privata deve essere
possibile. Non è che il comune decida con una propria legge se l‟area sia di pubblica
utilità, ma è previsto con legge statale.
Anche qua, nelle norme costituzionali in materia di proprietà, abbiamo il
riconoscimento del diritto e, nello stesso tempo, la possibilità di indirizzare lo stesso
godimento di questo diritto a determinate finalità, diritto dello stato di trasferire a
sé, espropriare il privato cittadino di questo diritto di proprietà.
Articolo43. Di questa norma ne abbiamo parlato la scorsa lezione. Consente allo stato
di riservare o trasferire a se lo svolgimento di determinate attività economiche. Ieri
parlavo della riservaoriginaria. Il fatto che lo stato si riservi lo svolgimento di attività
economiche.
Vediamo cosa dice a riguardo l‟articolo 43. “Ai fini di utilità generale, la legge può
trasferire originariamente, o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo,
allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, determinate imprese
o categorie di imprese”…
Cerco di fare una parafrasi. Fine di utilità generale, la legge dice che vi sia una legge
dello stato che lo prevede, lo stato può riservare a sé lo svolgimento di determinate
attività economiche (si parla di determinate imprese o categorie di imprese).
Esempio: l‟attività di gestione dei servizi idrici è riservata allo Stato. Molti di voi
sanno che oggi questo è un tema oggetto di dibattito pubblico,chi debba gestire i
servizi. La gestione è lasciata a soggetti privati o debba essere di appannaggio dei
soggetti pubblici, pubblici poteri.
Questo articolo consentirebbe che una utilità sicuramente generale, come quella dei
servizi idrici, possa essere riservata allo stato o a enti pubblici locali, regioni, province
comuni, o addirittura possa essere riservata a comunità di lavori e utenti. Questo non
è mai stato attuato nel nostro ordinamento.
Abbiamo l‟esempio di nazionalizzazione che ha riguardato la nascita dell‟ENEL. La
legge può trasferire mediante espropriazione e salvo indennizzo, lo svolgimento di
determinate attività economiche ad enti pubblici. In questo caso gli enti pubblici non
15
si riservano originariamente l‟utilizzo di una attività economica, bensì la trasferiscono
a sé mediante espropriazione e salvo indennizzo, quello che è accaduto nel settore
dell‟energia elettrica. Il settore ha una sua filiera produttiva. Quando si parla di
attività economiche parliamo di produzione di energia elettrica, trasmissione
dell‟energia elettrica, trasmissione sulle linee ad alta tensione. Linee che attraverso il
nostro paese. La distribuzione avviene a livello locale, poi abbiamo la vendita
dell‟energia elettrica, varie attività che rientrano nel settore produttivo.
Nel 1962, lo stato ha trasferito, con indennizzo, lo svolgimento di attività
economiche, ad un ente pubblico che era denominato ed è tuttora ENEL. Lo Stato
tramite ENEL poteva svolgere questa attività economica. Lo Stato poteva produrre
energia elettrica, era titolare della rete di trasmissione nazionale dell‟energia
elettrica, vendeva l‟energia elettrica nelle case dei cittadini.
La possibilità di avvalersi di questo potere di riserva o di espropriazione di
determinate imprese o categorie di imprese, però è possibile soltanto quando si parla,
quando queste categorie di imprese si riferiscono a servizi pubblici essenziali.
Nella costituzione c‟è una espressione, servizi pubblici essenziali, se si riferiscono a
fonti di energia o a situazione di monopolio che hanno carattere di preminente
interesse generale. Questa possibilità di trasferimento mediante esproprio è possibile
nei casi di: servizi pubblici, energia, monopolio, se vi sono caratteri di preminente
interesse generale.
L‟utilità generale del trasferimento di una determinata attività economica è del tutto
evidente. Stiamo parlando di servizipubbliciessenziali, attività che riguardano energia
o attività monopolistiche. In qualche modo questo potere di riserva e espropriazione
dello stato possa essere esercitato nei confronti di imprese che riguardano
determinati beni ritenuti essenziali da parte dei cittadini.
Abbiamo fatto l‟esempio della distribuzione di acqua, dell‟energia elettrica, servizi di
telecomunicazione, trasporto pubblico, servizio ferroviario. Nell‟arco degli anni, in
effetti, a partire dai primi del 1900 e anche prima che vi fosse questa previsione, lo
Stato aveva riservato a sé molte attività economiche.
Ancora oggi ci sono imprese pubbliche, società che sono controllate dallo stato o da
altri enti pubblici. Questa norma si riferisce non solo ai servizi pubblici, ma dice che
l‟impresa deve riferirsi a situazione di monopolio.
Cosa vuol dire? Sapete tutti cosa è il monopolio. Qua è forse importante decifrare il
riferimento costituzionale. Dobbiamo tenere presente, lo vedremo più avanti, che
abbiamo due tipi di monopolio:
- Monopolio naturale;
- Monopolio legale.
Monopolio legale? È quando la legge che stabilisce che il diritto di svolgere una
determinata attività economica debba essere svolto da un soggetto o categoria di
soggetti. È la legge che attribuisce lo svolgimento di una determinata attività
16
economica a determinati soggetti. Il carattere monopolistico dell‟attività economica è
determinato dalla legge.
Quando si ha un monopolio naturale? L‟intervento economico è inefficiente dal punto
di vista allocativo, e dev‟esserci un unico produttore di un determinato servizio, debba
essere determinato da un soggetto.
Questo avviene in quali settori? Nei settori caratterizzati da economie di scala
crescenti. Per quanto ci interessa, settori presenti da infrastrutture fisiche e
tecnologiche particolari: servizi a rete, infrastrutturali.
Abbiamo fatto esempi già prima: la gestione dei servizi idrici, ovvero la distribuzione
di energia elettrica, servizi di telecomunicazioni. Sono infrastrutture fisiche, reti che
rendono naturalmente monopolistico lo svolgimento di una determinata attività
economica.
Se un settore è monopolistico, c‟è il rischio che il monopolista ponga in essere
politiche di discriminazione rispetto alla quantità venduta, prezzi e così via.
Riferimenti economico sociali, da qui c‟è la possibilità per lo stato di trasferire a se,
espropriare lo svolgimento di questa attività economica monopolistica. Questo
articolo, 43 costituzione, si riferisce ai monopoli naturali. Situazioni di mercato
naturalmente monopolistiche, lo stato può trasferire o avocare a sé rendendoli
monopoli legali.
Come vedremo più avanti, ci soffermeremo sul regime dove è applicabile l‟attività nel
tempo si è reso evidente che la presenza di infrastrutture di rete fa si che il
monopolio naturale riguarda un particolare segmento dell‟attività economica
complessivamente considerata, possibile regolare segmenti di attività economica a
monte o a valle con l‟ attività monopolistica.
Esempio, energia elettrica. Infrastruttura di trasmissione nazionale o locale, rendono
l‟attività di trasmissione dell‟energia elettrica un monopolio naturale. Ciò non implica
che debbano essere monopolistiche le attività poste a monte o a valle.
Per esempio l‟attività di produzione energia elettrica non è un monopolio naturale, così
come non lo è l‟attività di vendita dell‟energia elettrica. Negli anni ‟60 è stato
nazionalizzato il settore elettrico, soltanto successivamente sono state liberalizzate
alcune attività ricomprese nel settore, per effetto della legislazione comunitaria,
direttive che si sono succedute nel tempo.
Effetto di differente scelta di fondo a livello di politica economica che differenzia il
nostro legislatore nazionale rispetto a quello dei trattati della comunità europea.
Mentre nella nostra costituzione è possibile intervenire per lo stato intervenire in
modo pesante sullo svolgimento di attività economiche, a livello comunitario prevale un
livello concorrenziale, su questo torniamo più avanti, quando ci occuperemo dei servizi
pubblici.
Ritorniamo un po‟ a considerare alcune distinzioni che possiamo fare in rapporto ai vari
rapporti fra poteri pubblici e privati anche sulla base di queste norme costituzionali.
17
Abbiamo anzitutto le varie discipline che consideriamo quando parliamo di diritto
dell‟economia. Abbiamo discipline anche nel vostro manuale vengono definite
conformative.
Facciamo un esempio. Sono quelle discipline pubblicistiche, che non si impongono
imperativamente ai privati, sono normative dispositive, i privati possono optare quando
intendono regolare fra di loro un determinato rapporto. In secondo luogo abbiamo
discipline di intervento vero e proprio dello stato nell‟economia.
Una fondamentale distinzione è fra intervento diretto e indiretto dello Stato.
Intervento diretto, dà l‟idea che lo stato diventa in prima persona attore economico,
lo stato assume su di se la qualifica di produttore erogatore di beni e servizi,
imprenditore. Vasto fenomeno dell‟impresa pubblica, c‟è una impresa gestita dallo
Stato o dagli enti pubblici. Stato, enti locali, regioni.
Abbiamo avuto numerosissimi esempi di interventi diretti. Da questo punto di vista
possiamo fare alcune distinzioni. Lo stato che interviene mediante propri organi, caso
della impresa organo dello stato.
Esempio. Un tempo i servizi di gestione dell‟acquedotto, erano svolti da aziende
speciali, le aziende municipalizzate. Queste aziende non erano altro che organi
dell‟ente locale a cui si riferivano. Svolgevano l‟ attività imprenditoriale, svolta da
soggetti che facevano parte della pubblica amministrazione, da qui le aziende
municipalizzate. Dal punto di vista giudico l‟impresa organo non è distinta dalla
pubblica amministrazione, perché ne fa parte.
Abbiamo invece anche il caso dell‟impresa ente. Esempi sono numerosi. ENI era un
ente pubblico che svolgeva determinate attività economiche, veniva definito ente
pubblico economico, persona giuridica distinta rispetto alla pubblica amministrazione.
ENI aveva personalità giuridica autonoma rispetto allo Stato.
Abbiamo fra gli enti economici,gli enti pubblici economici imprenditoriali, che
svolgono direttamente l‟attività economica => ENI, dall‟altro lato avevamo invece gli
enti pubblici economici di gestione. Cosa vuol dire? In realtà si limitavano a gestire le
partecipazioni in società di cui lo stato era azionista. Abbiamo parlato dell‟IRI,
esempio tipico. Holding posta al vertice.
Terzo tipo di intervento pubblico dello stato si ha con le società. Lo stato non
interviene nell‟economia mediante ente pubblico, impresa organo e così via, ma è
azionista di una società,persona giuridica privata, prevista nel codice civile.
Parleremo di questo più avanti ma, rispetto a queste società dello Stato si poneun
problema fondamentale. In conseguenza del fatto che alla società partecipa un ente
pubblico, rende questa società unente pubblico diverso, distinto? È una società che
deve rispettare regole diverse rispetto a quelle generalmente previste per le società?
Le risposta in linea di principio è negativo.
La società ha un determinato scopo, specifica finalità, che non cambia anche se socio
di questa società è un soggetto pubblico. Chiaro che vi possono essere situazioni
differenti. C‟è un ente speciale che dice che la società è costituita da ente pubblico e
18
non ha scopo di lucro. Questo può essere possibile, si tratta di eccezioni, rispetto alla
regola generale in base alla quale lo scopo della società è lucrativo.
È una conflittualità, una contraddizione fra lo scopo lucrativo tipico della società e la
partecipazione dell‟ente pubblico alla stessa società. L‟ente pubblico persegue scopi
pubblici, scopi di interesse collettivo. Questo ha fatto ritenere a molti che le società
non siano come tutte le altre, ma siano società che devono rimanere soggette ad una
disciplina specifica, visto che ad esse partecipano i soggetti pubblici. Terza forma di
intervento è mediante società per azioni.
Ora vediamo l‟intervento indiretto. Si realizzano in due modi principali. Abbiamo un
intervento che si realizza mediante la funzionalizzazionedi attività economica a scopo
di interesse pubblico. Abbiamo parlato prima del terzo comma del 41 costituzione. Lo
Stato può effettivamente intervenire in economia non direttamente ma con una legge,
in modo che coloro che svolgono una attività economica lo fanno per un interesse
generale.
Può essere svolto mediante norme che non riguardano lo svolgimento di attività
economica a fini sociali ma lo condizionano. Se vuoi svolgere questa attività economica,
devi sapere che devi rispettare determinate condizioni…
In questo senso abbiamo una distinzione tra queste forme a seconda delle finalità
che stanno alla base di questo intervento indiretto. La prima finalità, vediamo alcune
classificazioni contenute nel manuale, è di tipo protettivo. Lo Stato cerca di
proteggere determinate categorie di soggetti deboli, si fa portatore di interessi che
non sono propri, ma fanno riferimento a determinate categorie di soggetti. Lo stato si
interpone in una relazione fra due soggetti privati, produttore e consumatore. Lo
stato cerca di proteggere una delle due parti del rapporto, normalmente quella più
debole.
In altri casi lo stato interviene per correggere il funzionamento del mercato, quando
il mercato fallisce, i cosiddetti fallimenti di mercato. Tanti casi in cui il mercato
fallisce, non produce un determinato risultato efficiente dal punto di vista allocativo,
o produce risultati iniqui dalpunto di vista sociale, distributivo. Il mercato
concorrenziale può fallire perché produce bene dal punto di vista allocativo, ma
esclude determinate fasce di consumatori, cittadini che non possono permettersi
l‟acquisto di determinati beni e servizi ai prezzi del mercato concorrenziale.Bisogna
rimediare ai fallimenti di mercato, sia dal punto di vista allocativo che distributivo.
Da questo punto di vista ci sono due modi con cui lo stato può intervenire. Faccio un
discorso che considera tutta la prospettiva storica. Innanzitutto lo Stato può
pianificare lo svolgimento delle attività economiche
Esempio economie comuniste, stato interviene e pianifica lo svolgimento di attività
economiche anche da parte dei privati. Meccanismi istituzionali in base ai quali si
realizzano le attività economiche.
Opposto alla pianificazione c‟è la regolamentazione. Si è affermato nel terzo decennio
del 1900 negli USA in cui venivano poste delle agenzie, oggi sono le autorità di
regolazione, sostanzialmente sono gli stessi soggetti istituzionali. Cioè la regolazione
19
di una attività economica veniva demandata ad apposite strutture tecniche composte
da esperti, indipendenti rispetto alla politica che esprimevano un certo grado di
indipendenza più o meno accentuata.
Organo di governo di un determinato settore economico che regolamenta sullabase di
indirizzi legislativi,ma senza subirei condizionamenti che possono pervenire
dall‟indirizzo politico che deriva da un determinato esecutivo.
Il fenomeno delle attività di regolazione, delle agenzie, è un fenomeno che non
riguarda in generale tutte le attività economiche, ma riguarda appunto specifici
settori. Attività di regolazione ha competenza per uno specifico settore.
Esempio autorità energia elettrica, ha come esperienza regolamentare la distribuzione
dell‟energia elettrica e il gas.
È chiaro che queste autorità indipendenti svolgono una funzione di regolamentazione
insenso tecnico, deve avere obiettivi stabiliti dalla legge. Facciamo un altro esempio.
L‟autorità garante delle comunicazioni ha delle specificazioni, dove ci sono obiettivi
che il garante deve perseguire per lo svolgimento di attività di regolamentazione,
regole tecniche e risoluzioni di controversie che possono sorgere fra i soggetti che
operano in quel particolare mercato regolamentato.
Qual è il problema di questa regolamentazione? Pericolo della cattura del regolatore.
Rischio che l‟autorità di regolazione anziché farsi interprete di interessi collettivi,
assegnati dall‟ordinamento, venga catturata dall‟industriaregolata, si faccia portatore
di interessi particolari che operano in quel particolare settore, si determinano
meccanismi di favoritismo istituzionalizzato. L‟autorità di garanzia anziché farsi
portatore di interessi dei servizi delle telecomunicazione si faccia portatore
dell‟interesse dei produttori dei servizi di telecomunicazione, di quelli che sono i
soggetti forti del mercato.
Nella letteratura economica, numerosi studi, è piena di analisi della regolamentazione
che dimostrano come sul lungo termine vi è il rischio della cattura del regolatore, è la
letteratura della public choice, che si inserisce in questo contesto teorico.
Oltre che il problema della cattura del regolatore, a questo si sovrappone il problema
del fallimento del regolatore. Il regolatore non riesca a raggiungere quegli obiettivi, a
garantire la diffusione del servizio a livello nazionale, mantenere i prezzi ad un
determinato livello. Regolamentazione che determina costi eccessivi a carico dei
soggetti regolati che non vengono regolatidai benefici della stessa regolamentazione.
Da questo punto di vista si parla in letteratura economica di analisi della para
regolazione. Facciamo un esempio. Alle società quotate, quanto costa alle quotate per
adempiere gli obblighi formativi previsti dalla Consob rispetto ai benefici che queste
società quotate possono possono ritrarre dal fatto di essere ammessi alla
regolamentazione di un mercato in borsa.
Il costo della regolamentaizone è maggiore dei benefici per ottenere capitale?
L‟attività dei regoaltori va valutata anche sotto questo profilo, i costi che
determinano a carico dei soggetti regolati rispetto ai benefici che possono essere
determinati.
20
È chiaro che alla fine di questo discorso classificatorio, dove ho cercato di
tratteggiare alcuni concetti, è chiaro che ciascuna forma di intervento
diretto/indiretto dello stato ha vantaggi svantaggi.
Abbiamo altre forme di intervento, che si realizzano mediante la sottoscriszione di
accordi fra lo stato, i poteri pubblici, enti pubblici e privati. Accordi di
programma, tanti tipi di vantaggi e svantaggi di forme diretto indiretto chefanno si
che l‟itnervento dello stato nelle attività economiche si manifesti in molteplici forme.
Se dovessimo analizzare le forme di intervento del nostro Stato, avremo sia esempi di
intervento diretto, forme di enti pubblici che svolgono attività economiche,
meccanisnmi di pianificazione, piani
urbanisctici, forme estese di intervento
indiretti:la regolamentaizone posta in essere le autorità amministrative; forme di
concertazione fra accordi tra stato enti pubblici e privati, insomma si ha un panorma
variegato in cui, sostanzialmente, le forme dellìintervento sono molteplici e nonsono
condotte ad un quadro unitario.
21
Volevo cominciare un altro argomento, quello dell‟analizzare la normativa comunitaria,
per vedere l‟impatto sulla disciplina economica posta in essere.
Una delle linee interpretative è che per effetto della legislazione comunitaria, a
partire dai primi anni anni ‟80 si è avuta una vera e propria rivoluzione dell‟intervento
dello stato sulle attività economiche.
Questo perché,sostanzialmente, alla autonomia nel determinare indirizzi di politica
economica su determinati settori si è sostituito potere sovranazionale, oggi parliamo
di UE, potere sovranazionale. Le norme comunitarie sono sovraordinate rispetto alle
norme del nostro ordinamento.
Breve excursus. La CEE è stata istituita nel 1956 col trattato di Roma. Poi trattato
di Maastricht nel 1993, la CEE si trasforma in UE. Oggi a seguito del trattato di
Lisbona abbiamo due fonti normative fondamentali:
- Trattato di Maastricht (istitutivo dell‟UE);
- Trattato di Lisbona (sul funzionamento dell‟UE).
A seguito del trattato di Lisbona, si sono ampliate le competenze e si è ampliatao la
sfera di azione dell‟UE, ricordo brevemente.Abbiamo due testi fondamentali, due testi
costituzionali importanti per la nascita dell‟UE.
Altra particolarità è a livello istituzoinale. Gli organi di vertice sono moltepilici e
compositi: Parlamento e Consiglio, organi di vertice e politico dei vari stati membri,
membri dell‟esecutivo, organo con poteri di indirizzodi tipo legislativo. Abbiamo poi il
parlamento, espressione dei cittadini comunitari, organo legislativo, al pari e accanto
al consiglio europeo. Abbiamo poi il governo, la Commissione, ha anche poteri di
proposta.
La maggior parte dell‟attività legislativa avviene su proposta della commissione
europea, previo il parere di organi comunitari. Infine Corte di giustizia delle
comuinità europee, funzione di garantire la conformità del diritto comunitario, e
decidere in relazione alle varie sanzioni nei confronti dei vari paesi membri.
Assetto istituzionale complesso che non è comparabile a quello tipico classico degli
stati moderni basati sulla tripartizione dei poteri: legislativo esecutivo e giudiziario.
Qual è l‟obiettivo sul quale è nata la CEE? Obiettivo sancito nel trattato istitutivo di
Roma del 1956. L‟obiettivo era quello di creare, in alcuni settori economici, un mercato
unico a livello europeo. Obiettivo prettamente economico. Le competenze della UE si
sono allargate fino ad abbracciare settori sensibili dal punto di vista sociale,
istruzione, previdenza e così via. L‟obiettivo era di creare un mercato unico per lo
svolgimento di determinate attività economiche.
Per creare un mercato unico bisognava abbattere le barriere che esistevano fra i vari
mercati nazionali dei paesi membri, superare la frammentazione e le asimmetrie che
esistevano fra i vari paesi membri.
Per far questo occorreva un soggetto sovraordinato rispetto ai paesi membri: organi
governativi ed esecutivi della comunità europea.
Strumenticon cui si è affermato il mercato unico nel tempo?
22
-
-
-
Affermazione di alcune libertà fondamentali: libertà di circolazione delle
merci, libertà di circolazione dei servizi, libertà di circolazione dei lavoratori e
libertà di circolazione dei capitali, 4 libertà. si tratta di affermare queste
libertà all‟interno dei vari paesi membri dell‟UE;
Disciplina della concorrenza. Non tutti i paesi membri avevano una disciplina
della concorrenza. La disciplina della concorrenza si è imposta a tutti i paesi
membri. Questo ha contribuito a creare un mercato unico a livello europeo per
determinate attività economiche;
Divieto degli aiuti di Stato. porre limitazioni agli stati di aiutare i soggetti
economici nazionali, le imprese che operano in un mercato nazionale.
05/03/2012
Stavamo parlando dell‟impatto del diritto comunitario sull‟ordinamento interno per
quanto attiene le forme dell‟intervento pubblico nell‟economia: tema regolazione e
concorrenza.
Parlavamo dei tre strumenti con i quali si è manifestato questo impatto nel diritto
comunitario. L‟affermazione di alcune libertà fondamentali stabilite nei trattati
istitutivi dell‟UE; in secondo luogo la disciplina della concorrenza dopo che erano stati
adottati i trattati comunitari e infine la disciplina in materia di aiuti di stato. Oggi ci
occupiamo di questi aspetti in modo più approfondito.
Libertà di circolazione: è enunciazione di un principio di libertà, di una garanzia di un
ordinamento sovranazionale come è l‟Unione Europea a vantaggio dei cittadini della
stessa UE.
Questa libertà di circolazione è funzionale alla affermazione di un trattato unico a
livello comunitario per lo svolgimento di determinate attività economiche. C‟è un
divieto che la legislazione comunitariapone ai vari stati membri rispetto all‟adozione di
determinate misure legislative nazionali.
Esempio. Quando si parla di libertà di circolazione delle merci, c‟è un principio in base
al quale le merci possono circolare all‟interno dell‟UE, all‟interno di tutti i paesi che
fanno parte dell‟UE. Questo principio si afferma in modo sostanzialmente indiretto:
ponendo un divieto ai vari paesi di frapporre degli ostacoli rispetto alla libertà di
circolazione delle merci all‟interno dell‟unione.
Il trattato ha questa funzione. Impedire che nelle legislazione dei vari stati
comunitari vengano previste delle norme che si pongono in contrasto con questo
principio di libertà. Non solo, ma all‟interno dei vari stati membri devono essere
eliminate quelle norme, disposizioni, che costituiscono un ostacolo, anche solo
potenziale, rispetto al principio della libertà di circolazione.
Come vedete, in questo caso, per quanto concerne le libertà di circolazione, il
beneficio che ne trae il cittadino, l‟imprenditore, il produttore è soltanto indiretto. È
del tutto evidente che le istituzioni comunitarie, la legislazione comunitaria si rivolge
agli stati membri: divieti e obblighi in capo ai poteri legislativi dei vari stati membri.
23
Il divieto di prevedere misure restrittive e l‟obbligo di eliminare queste disposizioni
che possono costituire un ostacolo all‟esplicazione di queste libertà di circolazione.
Quali sono le libertà di circolazione? Sono 4: delle merci, dei servizi, dei lavoratori e
dei capitali. Adesso vedremo come è enunciata ciascuna di queste libertà. Prima di
farlo volevo parlare degli altri due settori: innanzi tutto la disciplina della
concorrenza. È una disciplina che esplica i suoi effetti direttamente nei confronti
delle imprese che operano all‟interno dell‟UE. Disciplina che pone obblighi, divieti e
diritti direttamente a carico o a vantaggio delle imprese comunitarie.
È una disciplina che agisce direttamente sul mercato, proprio perché prevede
determinate regole di funzionamento del mercato, soprattutto regole per mantenere
e preservare una struttura concorrenziale del mercato.
Abbiamo poi un terzo insieme di norme che considereremo oggi: aiuti di Stato. Cosa
sono? Qualsiasi forma di aiuto finanziario, economico che uno stato membro può
riservare a determinate imprese nazionali, cioè che fanno parte del proprio
ordinamento.
Il trattato enuncia un generale divieto a questi aiuti di Stato. Anche qui la normativa
comunitaria impone un divieto in capo agli stati membri: quello di aiutare le proprie
imprese con forme di sussidio di vario genere. È chiaro che la normativa in materia di
aiuti di Stato è funzionale all‟affermazione dei principi di libera concorrenza che
stanno alla base del trattato.
È chiaro che se lo Stato ha la possibilità di aiutare imprese con forme di sostegno di
diverso genere, altera le regole di funzionamento del mercato comune europeo. Vi
sono imprese poste in una situazione di vantaggio concorrenziale rispetto ad altre
imprese. Le norme del trattato che impongono il divieto sono complementari rispetto
alle norme in materia di concorrenza (su questo tornerò).
Cerchiamo adesso di analizzare le disposizioni che pongono questi principi di libertà di
circolazione all‟interno del trattato. Sono disposizioni ricordate all‟interno del nostro
manuale ma possiamo scaricare il trattato istitutivo dell‟unione Europea, modificato a
seguito del Trattato di Lisbona del 2007 da qualsiasi fonte internet. Dobbiamo vedere
solo alcune norme.
Anzitutto l‟articolo 26 paragrafo due, enuncia queste 4 possibilità. “Il mercato
interno comporta uno spazio senza frontiere, interne nel quale è assicurata la libera di
circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni
dei trattati”.
L‟articolo 28 comma 1 del trattato in cui viene enunciato il principio di libera
circolazione delle merci, articolo basilare. Dice che: “l‟unione comprende un‟unione
doganale che si estende al complesso degli scambi di merci e comporta il divieto, fra
gli stati membri, dei dazi doganali all‟importazione e all‟esportazione e di qualsiasi
tassa di effetto equivalente, come pure l‟adozione di una tariffa doganale comune nei
loro rapporti con i paesi terzi”.
Cosa dice la norma? Divieto di imporre dazi doganali fra i paesi che fanno parte
dell‟UE. Divieto, in secondo luogo, di imporre misure o tasse che abbiano effetti
24
equivalenti ai dazi doganali. In terzo luogo i paesi che fanno parte dell‟UE devono
adottare delle tariffe doganali comuni rispetto all‟importazione di merci da paesi
terzi. Distinzioni fra paesi terzi che non fanno parte dell‟UE. Vi sarebbero diverse
distinzioni da fare, tralasciamo.
Un punto su cui mi volevo soffermare è quello delle misure fiscali che abbiano effetti
tipo i primi. Il diritto comunitario è un diritto la cui applicazione non è tanto legata
alla qualificazione formale di un determinato atto o provvedimento legislativo. Quello
che importa al diritto comunitario è l‟effetto che questo atto, provvedimento, provoca
sul mercato comune.
Anche se una determinata misura legislativa comporta l‟adozione all‟interno
dell‟ordinamento di un qualcosa che non è denominato dazio doganale ma che ha lo
stesso effetto, questo qualcosa rientra nell‟ambito di applicazione del divieto.
Anche le tasse che nascondono dazi di tipo doganale e che hanno effetti equivalenti a
quello dei dazi doganali, sono vietate in base a questa disposizione del trattato. È il
principio dell‟effetto utile. Il diritto comunitario guarda qual è l‟effetto utile. Se
l‟effetto è contrario ai principi di libertà stabiliti nel trattato, allora quella
determinata misura va abrogata al di la della sua qualificazione formale.
Sapete che i regimi fiscali all‟interno dell‟UE sono molto differenziati. L‟applicazione
di questo regime non dev‟essere di tipo discriminatorio. Questo ce lo ricorda l‟articolo
110 prevede che ciascun stato membro non può applicare ai prodotti degli altri stati
membri, imposizioni di natura fiscale, tassazione diversa da quella che applicherebbe
ai prodotti nazionali.
Quello che importa, è che queste differenze non siano applicate in modo
discriminatorio. Applicate in una certa maniera nei confronti dei prodotti nazionali e in
un‟altra maniera nei confronti dei paesi provenienti da altri Stati dell‟UE.
È importante la restrizione delle misure quantitative. A proposito sono importanti gli
articoli 34 e 35 del trattato. Articolo 34: “Sono vietate fra gli stati membri le
restrizioni quantitative all‟importazione, nonché qualsiasi misura di effetto
equivalente”. In questo caso non si tratta di vietare una misura legislativa interna o di
altro genere che abbia un effetto di tipo impositivo fiscale, ma semplicemente che
determini una diminuzione delle quantità di una determinata merce che possono
provenire da altri stati dell‟unione.
Questo divieto ha delle deroghe. Possibilità di prevedere limiti, si applicano in
determinate circostanze. Il trattato riconosce uno spazio di sovranità agli stati
membri in determinate circostanze del tutto eccezionali. Facciamo l‟esempio di
deroghe alla libertà di circolazione delle merci.
Queste limitazioni sono ammesse, quando i limiti siano giustificati da motivi di
moralità pubblico, ordine pubblico, pubblica sicurezza, tutela della salute. Quando
ricorrono queste motivazioni di preminente interesse pubblico,ordine pubblico, tutela
ambiente, pubblica sicurezza, viene riconosciuta la sovranità dello Stato, i diritti del
trattato recedono rispetto a quelli dello stato membro che ha solo per questi motivi
derogare ai diritti di libertà previsti dal trattato.
25
Si tratta di motivazioni che attengono all‟esercizio delle funzioni fondamentali dello
stato, rispetto alle quali arretra un ente nazionale qual è l‟UE. Ordine pubblico, salute
pubblica, pubblica sicurezza e così via.
In questo ambito circoscritto, ciascuno stato membro è libero di esercitare
prerogative sovrane. È chiaro che da questo punto di vista, trattandosi di deroghe ad
un principio generale di libertà, queste deroghe devono essere interpretate
restrittivamente, solo in casi eccezionali vi è la possibilità di derogare ai principi
stabiliti dal trattato.
Una giurisprudenza della corte di giustizia dimostra come istintivamente sono state
riconosciute queste possibilità degli Stati nazionali di derogare al principio di libera
circolazione delle merci.
Libertà di circolazione dei lavoratori, stabilita dall‟ articolo 45 del trattato: “ la
libera circolazione dei lavoratori all‟interno dell‟Unione è assicurata. Essa implica
l‟abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli
stati membri, per quanto riguarda l‟impiego, la retribuzione e le altre condizioni di
lavoro”.
Cosa vuol dire questa libertà di circolazione dei lavoratori? Un lavoratore che vuole
prestare la propria attività lavorativa in un altro stato membro dell‟UE non può essere
discriminato in ragione alla propria nazionalità. Questa libertà nello svolgimento del
proprio lavoro implica il riconoscimento di ulteriori libertà.
La libertà morale dello stato membro ospitante in cui si vuole prestare la propria
opera lavorativa.
Ma soprattutto anche una serie di misure accessorie e
complementari che attengono alla possibilità di fruire nello stato membro ospitante
determinate garanzie a cui il lavoratore deve poter avere accesso per poter lavorare
all‟interno dello Stato. Queste garanzia tendono alla protezione sociale, articolo 48.
Il lavoratore può fruire del medesimo livello di protezione sociale (prestazioni
previdenziali) che avrebbe nel suo paese d‟origine.
Da questo punto di vista è necessario che vengano stabilite misure dirette a garantire
il cumulo dei periodi assicurativi previdenziali maturati nei vari paesi membri. È
necessario che vi siano meccanismi tali da garantire un riconoscimento dei titoli di
formazione professionale fra i lavoratori che hanno acquisito nei vari paesi membri
dell‟UE. È necessario che per attuare questa libertà vengano eliminati i dislivelli, le
differenze che sussistono fra le legislazioni dei vari paesi membri e che da questo
punto di vista si forma una sorta di diritto comune europeo per lo svolgimento
dell‟attività lavorativa.
Libera circolazione dei lavoratori? Ha delle deroghe che riguardano determinate
funzioni lavorative correlate agli Stati membri. Ci sono determinate figure di
lavoratori rispetto alle quali è possibile ipotizzare forme di discriminazione basate
sulla nazionalità.
Vi è per esempio il decreto 1994 ha stabilito che è necessaria la cittadinanza italiana
in alcune cariche, funzioni. Per esempio all‟interno del governo, per la funzione di
magistrato. Anche in questo caso si tratta di deroghe limitate giustificate dal fatto
26
che lo svolgimento di determinate attività e funzioni è direttamente collegato
all‟esercizio di poteri sovrani da parte dello Stato. Circolazione dei lavoratori, vuol
dire libertà dei lavoratori di prestare la propria opera lavorativa senza
discriminazione.
Altra libertà è quella di stabilimento. Cosa è la libertà di stabilimento? Articolo 49,
possibilità di stabilire la sede delle proprie attività in uno stato membro diverso
rispetto a quello di origine. Aprire una succursale, una agenzia, una sede secondaria
della propria società, questa è la libertà di stabilimento. Libertà di creare una stabile
organizzazione ad un paese rispetto quello a cui l‟impresa o il lavoratore autonomo
proveniva.
Diversa invece la libertà di circolazione (prestazione) dei servizi. Ciò che viene
garantito dal trattato è la possibilità di prestare un determinato servizio diverso dal
paese d‟origine senza stabilire una succursale nel paese ospitante. Si tratta di due
possibilità operative diverse che hanno i cittadini o le imprese comunitarie. Possibilità
di prestare una determinata attività, servizio, attività imprenditoriale in un paese
membro diverso da quello d‟origine creando una stabile organizzazione nel paese
ospitante.
In secondo luogo possibilità di svolgere attività senza creare una stabile
organizzazione nel paese ospitante. Ma regime di libera prestazione dei servizi,
mantenendo la propria sede operativa nel paese d‟origine, l‟‟impresa si limita a svolgere
attività di servizio in un paese membro diverso rispetto a quello d‟origine.
Cosa vuol dire libertà di prestazione dei servizi? Qualsiasi attività che viene
prestata dietro il pagamento di una retribuzione: la garanzia di questa libertà è
potenzialmente molto ampia e onnicomprensiva si applica alle prestazioni di lavoro
autonomo.
Questa libertà implica un ravvicinamento delle legislazioni fra i vari paesi membri. Per
esempio, a livello di riconoscimento dei vari percorsi formativi, professionali, titoli di
studio e così via. Un momento importante è la direttiva 123/2006 che ha fissato
alcuni principi generali che consentono e che garantiscono questa libertà di
prestazione dei servizi. Ci sono alcune eccezioni: non sono compresi i servizi finanziari
o i servizi di interesse economico generale, quelli che nel nostro ordinamento
conosciamo come servizi di pubblica utilità, servizi pubblici.
Accanto alla direttiva che prevede il regime generale in materia di libera circolazione
dei servizi abbiamo discipline settoriali, le più importanti ricordate nel manuale:
ricordiamo le direttive in materia societaria in cui si stabiliscono regole comuni a
livello comunitario in materia di disciplina delle società: le discipline nazionali devono
prevedere principi a livello comunitario. Questo per quanto concerne la redazione dei
bilanci, redazione e valutazione delle poste in bilancio.
Altro ambito importante è direttive in materia di contratti che sono aggiudicati
dalle amministrazioni pubbliche. Anche qua è un obiettivo della direttiva: quello di
garantire a tutte le imprese pubbliche che vogliono lavorare con le PA di un paese
27
membro di avere la possibilità di farlo, senza discriminazioni a causa della nazionalità
della stessa impresa
Da questo punto di vista abbiamo due direttive del 2004, la 17 e la 18. La prima
concerne gli appalti pubblici, servizi, lavori e forniture dei settori classici. La direttiva
18 appalti pubblici dati di amministrazioni pubbliche nei settori esclusi, cioè i settori
ancora monopolistici, settori delle public utilities, pubblica utilità. Hanno regole di
aggiudicazione diverse rispetto a quelle previste in tutti gli altri settori.
L‟obiettivo di queste direttive sono diversi. Garantire il massimo grado di apertura dei
mercati nazionali, appalto per importante opera pubblica? Vi deve essere la possibilità
di poter partecipare alla gara d‟appalto. Questo è importante per stabilire regole di
trasparenza all‟interno dell‟UE che siano in grado di garantire idonea pubblicità
allecondizioni e i termini della gara d‟appalto che una determinata amministrazione
pubblica voleva bandire. La pubblicità che deve avere diffusione comunitaria.
In secondo luogo è chiaro che non possono essere previste nell‟ambito della disciplina
della gara d‟appalto delle specifiche, dei requisiti di partecipazione discriminatori con
effetto di discriminare l‟ impresa di un determinato Stato membro perché non
presenta requisiti tecnici o economici che possono essere posseduti soltanto da
imprese appartenenti ad un determinato stato membro.
Infine è importante che la gara è giudicata in base a criteri uniformi, oggettivi,
predeterminati e che quindi non possono essere manovrati discrezionalmente da parte
della PA, stazione appaltante in modo da discriminare le imprese che provengono da
altri stati membri.
Tutte queste regole, finalità,sono contenute nelle direttive e recepite
nell‟ordinamento: nel codice degli appalti e dei contratti pubblici .
La quarta libertà che viene garantita è la libertà di circolazione dei capitali, articolo
63 comma 1 recita: “Nell‟ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono
vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra stati membri, nonché fra stati
membri e paesi terzi”. In questo caso abbiamo una libertà di circolazione che viene
estesa anche ai paesi terzi.
In questo caso il principio di libertà riguarda un particolare fattore produttivo: il
capitale. Effetto di non limitare la possibilità di un cittadino, di una impresa, di
spostare le proprie risorse finanziarie da un paese membro dell‟UE ad un altro. In
particolare questa libertà di circolazione trova la sua applicazione nella libertà di
investimento.
Una impresa comunitaria deve avere la possibilità di investire liberamente senza
essere discriminata da imprese di un altro paese membro dell‟UE. Da questo punto di
vista ci sono misure per i paesi comunitari di investire in imprese nazionali. Facciamo
un esempio giusto per capirci: le golden shares. Ci sono una serie di norme contenute
nelle varie legislazioni che riservano allo Stato dei poteri speciali all‟interno degli
statuti di società che hanno particolare rilevanza per una determinata economia
nazionale.
28
In Italia sono previsti questi poteri speciali nello statuto di ENEL, ENI, Telecom
Italia e altri importanti società che hanno un rilievo nel sistema economico. Questi
poteri speciali consistono nel potere dello Stato di vietare che vengano poste in
essere operazioni societarie perché l‟applicazione di queste operazioni straordinarie
può pregiudicare l‟assetto organizzativo della società.
Il trattato, le istituzioni comunitarie nel tempo hanno messo nel mirino queste
legislazioni che prevedono questi poteri speciali che si pongono in contrasto col
principio della libera circolazione dei capitali, soprattutto nel principio della libertà di
investimento. È chiaro che un investitore comunitario è disincentivato dall‟investire
nel capitale di una società quando sa che un socio ha prerogative speciali che in
qualche modo consentono di ostacolare il compimento di determinate operazioni di
gestione o straordinarie.
Questelegislazioni nazionali in cui erano previste queste prerogative speciali a favore
dello stato sono state oggetto di condanna da parte della corte di giustizia sicché
questa possibilità è ridotta ai minimi termini.
Dobbiamo considerare la disciplina della concorrenza. L‟UE è basata su determinate
regole in materia di concorrenza. Garantiscono che il mercato unico europeo si
mantenga concorrenziale e competitivo. Principi che venivano affermati senza alcun
tipo di temperamento in modo assoluto, con alcune eccezioni, come vedremo per
quanto concerne i servizi di pubblica utilità. I principi di concorrenza dei mercati e
della garanzia degli assetti concorrenziali dei mercati sono un principio fondante
l‟unione europea.
Il principio è stato temperato a seguito del trattato di Lisbona. Basta leggere il 3
comma 3 dell‟UE per vedere come questo principio di concorrenza dei mercati europei
ha dei temperamenti. Leggo la norma: ”L‟Unione instaura un mercato interno. Si
adopera per lo sviluppo sostenibile dell‟Europa, basato su una crescita economica
equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su una economia sociale di mercato fortemente
competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato
livello di tutela e miglioramento della qualità dell‟ambente. Essa promuove il progresso
scientifico e tecnologico”.
Il principio di concorrenza non è affermato in modo assoluto. Si parla di economia
sociale di mercato, mercati competitivi, allo stesso tempo sostenibili, devono mirare
alla piena occupazione, stabilità dei prezzi, progresso tecnologico. Si introducono
tutta una serie di temperamenti del principio concorrenziale.
Rimane il fatto che alcune norme del trattato dispongono determinate regole in
maniera di concorrenza, 101 e 102 del trattato. Norme che hanno la finalità di far si
che non venga impedito ristretto o falsato il gioco del marcato della concorrenza nel
mercato unico.
Quali sono le due principali fattispecie? La prima 101.1. sono incompatibili col
mercato interno e quindi vietati gli accordi fra imprese con l‟effetto di restringere
impedire o falsare il gioco della concorrenza. Questo primo grande divieto è quello dei
29
cartelli: accordi fra imprese che hanno lo scopo di distorcere falsare e impedire il
funzionamento concorrenziale del mercato.
Accordi che riguardano il prezzo di un prodotto previsto per un determinato
prodotto/servizio, le quantità vendute, ripartizione delle quote di mercato.
Consideriamo che abbiamo due tipologie di accordi: orizzontali e verticali. Da un lato
accordi fra imprese poste sullo stesso livello della filiera produttiva (accordi
orizzontali) e gli accordi verticali: fra imprese poste a livelli diversi della filiera
produttiva.
Secondo grande divieto in materia di antitrust è previsto dal 102:divieto di abuso di
posizione dominante. È possibile che all‟interno di un mercato una impresa acquisisca
una posizione di particolare forza, una quota di mercato particolarmente consistente,
particolare rilevo. Si può fare con meccanismi di crescita endogena. Viene acquisita
una posizione di potere economico all‟interno di un mercato.
Crescita esogena concorrenti. L‟impresa si compra i concorrenti ed elimina i
concorrenti dal mercato. Quello che conta è che l‟impresa abbia acquisito questa
posizione dominante all‟interno di un determinato mercato.
Avere questa posizione dominante non è vietato,non è una cosa incompatibile con le
regole concorrenziali. È incompatibile che le imprese abusino del proprio potere
economico, facendo leva su questo per eliminare la poca concorrenza ancora residua
sul mercato dominante. Ostacoli il dispiegamento della concorrenza che ancora residua
sul mercato, su questo è chiaro che dovremmo tornare.
Abbiamo adesso le norme in materia di aiuti di Stato. Il trattato pone limitazionidi
poter venire in aiuto con diversi mezzi in favore delle proprie imprese nazionali. È
chiaro che in questo caso il divieto degli aiuti di Stato sussiste fintanto quando l‟aiuto
possa pregiudicare l‟incidere sul funzionamento del mercato unico.
La norma di riferimento è l‟articolo 107 del trattato il quale prevede che: ”Salvo
deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella
misura in cui incidano sugli scambi fra stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati,
ovvero mediante risorse statali sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o
talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”.
Questa disposizione pone un divieto che però è derogabile. Vedremo come le deroghe
sono numerose e previste in determinate circostanze. Non è vietato qualsiasi aiuto, ma
quello che abbia l‟effetto di falsare o minaccia di falsare la concorrenza.
Se l‟aiuto non ha un effetto anticoncorrenziale non è vietato. Quando avviene che il
sostegno statale non ha questo effetto anticoncorrenziale? Tutte le volte in cui lo
Stato agisce come un investitore di mercato. Quando investe le proprie risorse in una
determinata impresa a condizioni analoghe a quelle che accetterebbe qualsiasi
investitore privato.
Gli aiuti di Stato sono compatibili col trattato quando superano questo test
dell‟investitore di mercato. Se è possibile per lo Stato dimostrare che una forma di
sostengo finanziario nei confronti di una determinata impresa è in linea con le
30
condizioni con cui un determinato investitore finanzierebbe l‟impresa allora non c‟è
violazione del divieto degli aiuti di Stato.
Infine vi sono numerose deroghe a questo divieto. È previsto dal trattato che in
determinate circostanze gli stati possono aiutare le proprie imprese. Facciamo
esempi, sempre previste nel 107 trattato.
Esempio. Aiuti destinati ad ovviare aidanni arrecati da calamità naturali od altri eventi
eccezionali;destinati a favorire lo sviluppo delle regioni dove il tenore di vita sia
basso; o grave forma di sotto occupazione e così via; aiuti destinati a promuovere la
cultura o la conservazione del patrimonio.
Diamo l‟idea che è possibile per gli Stati membri aiutare le proprie imprese con
determinati aiuti. È chiaro che queste forme di aiuto devono essere giustificate sulla
base di queste disposizioni e devono essere portate a conoscenza delle istituzioni
comunitarie e della commissione affinché la commissione può valutare se sussistono le
circostanze che rendono possibile allo stato membro aiutare le proprie imprese.
Abbiamo un elenco di aiuti compatibili. Ma è chiaro che c‟è la possibilità per uno Stato
membro di aiutare l‟impresa dipende dal fatto che quell‟aiuto sia dichiarato
compatibile, perché rientra nelle ipotesidi deroghe previste nel trattato. La
commissione deve vigilare costantemente.
Art. 108: è necessario che la commissione vigili costantemente, sul regime di aiuti
esistenti, quegli aiuti che gli Stati membri hanno riconosciuto alle proprie imprese. È
necessario che qualsiasi forma di aiuto venga notificato dallo stato membro alla stessa
commissione in modo che possa valutare se l‟aiuto è incompatibile col trattato ovvero
se rientri tra quegli aiuti possibili invia del tutto eccezionale.
Vi ho parlato prima di queste libertà di circolazione all‟interno del trattato. Abbiamo
visto come queste libertà sono attuate anzitutto ponendo divieti a carico degli Stati
membri: divieto di impedire l‟applicazione di queste libertà e abrogare le misure
incompatibili con queste libertà.
È chiaro che l‟esplicazione implica che le legislazioni dei vari stati membri siano
uniformi. Ravvicinamento nelle attività economiche fra le legislazioni dei vari Stati
membri. È necessario che il legislatore comunitario ponga in essere una attività di
armonizzazionedelle discipline che si applicano allo svolgimento di varie attività
economiche negli stati membri.
Principale strumento comunitario che è la direttiva. Le direttive sono miusre che
servonoad armonizzare le discipline per i vari stati membri, rendere uniformi, le
legislazioni all‟interno dei paesi membri dell‟UE.
Abbiamo le direttive di
armonizzazione, adottate dal Parlamento o dal Consiglio dell‟UE per poter diventare
tradursi in norme e disposizioni legislative vincolanti, applicate all‟interno degli stati
membri, devono essere recepite all‟interno degli stati membri.
La direttiva pone principi di disciplina in relazione ad un determinato ambito: impone
di recepire questi principi in un certo termine. Attraverso il recepimento della
direttiva si attua l‟armonizzazione fra le legislazioni dei vari stati membri. A seguito
31
del recepimento della direttiva comunitaria avremo la garanzia che la disciplina di una
attività economica è sostanzialmente uniforme ai paesi membri dell‟UE.
Vi possono essere delle differenze, ma sono differenze che il legislatore ritiene
compatibili con il funzionamento di un mercato unico europeo dove sono esplicate
quelle libertà di circolazione viste in precedenza.
Una volta che la disciplina di una determinata attività economica è stata armonizzata a
livello comunitario, interviene un altro strumento con cui il diritto comunitario attua
questi principi di libertà di circolazione. È il cosiddetto mutuo riconoscimento.
Facciamo un esempio di libertà di prestazione dei servizi, stabilimento di una banca di
un paese membro, ad esempio Francia, in un altro paese membro. La prestazione dei
servizi bancari è garantita dal trattato. È chiaro che non qualsiasi soggetto può
accingersi a svolgere l‟attività bancaria.
Occorrono determinati requisiti da possedere per essere autorizzato allo svolgimento
dell‟attività bancaria. È chiaro che una banca francese è stata autorizzata a svolgere
l‟attività in Francia. Per svolgere l‟attività in Italia deve chiedere altra
autorizzazione?
No. Altrimenti è in contrasto col principio della libertà di trasferimento. Occorre un
meccanismo in base al quale la nostra Banca di Italia riconosca l‟autorizzazione che la
banca francese ha riconosciuto e viceversa. È chiaro che questo riconoscimento
dell‟autorizzazione che la banca francese ha avuto in Italia ha un senso soltanto in
quanto i requisiti dello svolgimento dell‟attività bancaria in Francia siano
sostanzialmente analoghi rispetto a quelli previsti in Italia.
L‟armonizzazione fra le legislazioni interne fra gli stati interni consente il meccanismo
del mutuo riconoscimento, cioè che un particolare provvedimento venga riconosciuto
anche dagli altri paesi dell‟Unione europea.
A questo punto si pone un ulteriore problema. Se una banca comunitaria opera in
Italia, qual è l‟autorità di vigilanza competente a verificare se questa banca rispetta le
varie norme che sono ad essa applicate? Da questo punto di vista vi è un altro principio
del diritto comunitario, quello della competenza dell’autoritàdi vigilanza del paese
d’origine.
Per garantire questi principi è previsto in generale che anche se una determinata
impresa opera in un paese diverso da quello di origine, questo soggetto rimanga
assoggettato ai poteri della società competente del proprio paese d‟origine (principio
della home country control). È il paese d‟origine che dovrà controllare se quel soggetto
rispetta tutte le regole che si applicano allo svolgimento di una determinata attività
economica.
Questo principio del controllo del paese d‟origini è quello che maggiormente
garantisce i principi di libertà di circolazione. Come soggetto economico che voglio
svolgere l‟attività economica in altri paesi membri non sono obbligato al controllo dei
paesi membri ospitanti, ma sostanzialmente rimango al controllo della sola autorità di
di vigilanza del paese d‟origine.
Questo principio ha tutta una serie di eccezioni.
32
È chiaro che rispetto all‟attività bancaria il principio del controllo del paese d‟origine
implica il fatto che la banca francese è assoggettata alla vigilanza dell‟autorità
competente francese. Allo sesso tempo questo principio entra in crisi tutte le volte in
cui la banca francese entra in contatto con operatori italiani. È chiaro che è
impensabile che nel rapporto fra banca francese e italiano sia competente l‟autorità
di vigilanza francese.
Per le regole di comportamento che la banca deve rispettare nei confronti del cliente,
devono essere applicate le regole di comportamento del paese ospitante e sia
competente l‟autorità di vigilanza del paese ospitante.
Meccanismi, strumenti con cui vengono attuati questi meccanismi di libertà di
circolazioni sono: direttive di armonizzazione, mutuo riconoscimento e controllo del
paese di origine.
Le libertà di circolazione sono funzionali alla creazione di un mercato unico europeo,
per determinati settori di attività per favorire la circolazione di servizi persone merci
e capitali.
In questo caso l‟UE si limita a creare le condizioni per il miglior funzionamento del
mercato unico europeo ponendo divieti, l‟abrogazione di norme. L‟UE non interviene per
stabilire le condizioni di funzionamento di una determinata attività economica, non si
pongono obiettivi di tipo economico rispetto al funzionamento del mercato unico.
Non si ha un intervento di politica economica da parte delle istituzioni comunitarie. Vi
sono settori in cui gli Stati nazionali hanno abbandonato proprie prerogative a favore
delle istituzioni comunitarie. In determinati settori la politica economica è dettata
dagli organi comunitari: consiglio, commissione. Questo perché gli Stati membri hanno
deciso di abbandonare le proprie prerogative sovrane in relazione a determinati
settori per riconoscere come comuni le politiche decise dalle istituzioni comunitarie.
Settore tradizionale in cui questo avviene èquello dell‟agricoltura.
Non abbiamo più la politica agricola decisa dai vari paesi membri ma è decisa dalle
istituzioni comunitarie. Abbiamo una forma di intervento sostanzialmente più
significativa da parte dell‟UE, delle istituzioni comunitarie. È come se le istituzioni
comunitarie si sostituissero ai governi nazionali per quanto attiene la politica agricola
all‟interno dell‟Unione Europea.
Abbiamo settori di esclusiva competenza dell‟UE. L‟UE può determinarle le condizioni
di svolgimento dell‟attività economica. È chiaro che questi settori non sono
numerosissimi. Sono sostanzialmente alcuni settori. Esempio importante nel settore
dell‟ agricoltura. Riceve una disciplina sostanzialmente ampia all‟interno del trattato.
L‟articolo 42 prevede che, per garantire l‟attuazione di queste politiche comuitarie
che :“… Le regole di concorrenza sono applicabili alla produzione e al commercio di
prodotti agricoli soltanto nella misura determinata dal parlamento europeo e dal
consiglio”.Si prevede che le regole in materia di concorrenza non si applichino al
mercato agricolo comune europeo.
33
Quali sono le finalità della politica agricola comune? Sostegno al reddito dei
produttori in garanzia di un mantenimento di un determinato livello dei prezzi,
protezione mercato agricolo comune rispetto ai mercati agricoli esteri.
Questo è reso possibile attraverso organizzazioni comuni all‟interno dei mercati
agricoli.Vi sono tante organizzazioni comuni quanti sono i mercati agricoli.
Organizzazione del mercato dei cereali, del mercato dell‟olio d‟oliva, del vino e così via
per dettare le regole di funzionamento di quel mercato. All‟interno di mercati agricoli
comunitari da un lato c‟è deroga, dall‟altro vera e propria pianificazione dello
svolgimento dell‟attività economica ad opera di organismi comuni a livello comunitario.
Occorre tenere presente che il livello dei prezzi all‟interno del mercato unico è
determinato dall‟andamento di domanda e offerta in modo da garantire una certa
stabilità dei prezzi e sono previste forme di protezione rispetto ai mercati
extraeuropei. I meccanismi sono vari e diversi: tariffe, prelievi imposti alle
importazioni di prodotti agricoli.
Dall‟altro lato la produzione agricola è sostenuta attraverso sovvenzioni aiuti alle
esportazioni, e dipende dalle differenze del livello dei prezzi che sussistono fra
prodotti agricoli europei ed esteri.
12/03/2012
Dobbiamo fare l‟analisi delle competenze dell‟UE in materia di diritto dell‟economia
che riguarda le politiche monetarie. Sappiamo che la moneta avente corso legale nel
nostro paese così come negli altri dell‟UE è l‟Euro.
Dobbiamo anche tenere presente che la politica monetaria è una delle principali
competenze delle istituzioni europee e questa competenza viene esercitata dall‟UE
attraverso una serie di organi e soggetti che dobbiamo ricordare. Anzitutto al vertice
della piramide delle competenze in materia comunitaria vi è il Sistema Europeo delle
Banche Centrali,il cosiddetto SEBC.
Organismo composto dalla BCE da tutte le altre banche centrali nazionali, tutte le
banche centrali dei vari paesi membri dell‟UE. Non tutti i paesi membri dell‟UE hanno
adottato come moneta avente corso legale l‟Euro, ciò comporta delle distinzioni sugli
organi di governo europei e di politica monetaria.
Gli articoli di riferimento in cui vengono individuati gli obiettivi e le competenze di
organizzazione dell‟UE in materia comunitaria sono il 3 e 119 del testo unico sul
funzionamento dell‟unione Europea. Oltre alla politica monetaria dovremmo analizzare
la politica valutaria.
Mentre lapolitica monetariaconcerne la regolazione della base monetaria, composta
dalla moneta e dalle altre passività liquide emesse dai vari soggetti finanziari che
operano nell‟UE è importante considerare la politica valutaria: attiene al rapporto fra
la moneta avente l‟euro e le altre monete straniere, che sono denominate valute.
Valuta è una moneta diversa dall‟euro avente corso legale.
34
Quando si parla di politica valutaria ci si riferisce a quelle misure di regolazione che
attengono al rapporto di cambio fra l‟euro e le valute estere. L‟euro è stato introdotto
dapprima, è cominciato a circolare nel 2002, sostanzialmente il potere di emettere la
moneta spetta alla BCE che esercita questo potere tramite le banche centrali
nazionali.
La base monetaria rappresenta l‟aggregato della moneta più le altre passività liquide
emesse dai soggetti che fanno parte del sistema finanziario degli altri paesi europei.
Cosa vuol dire? Passività che siano facilmente trasformabili in moneta, per esempio i
depositi a vista, quei depositi che le banche e anche le varie banche centrali
depositano presso la BCE. È chiaro che la regolazione della base monetaria è molto
importante, determina effetti che incidono sul livello di investimenti, consumi, e in
generale della domanda aggregata all‟interno dell‟UE.
In questo contesto la missione principale stabilita dal trattato dell‟unione europea,
articolo 119 del trattato sul funzionamento dell‟UE è la stabilità dei prezzi e la
stabilità della moneta. Stabilità dei prezzi politica anti inflazionistica e anche la
stabilità dell‟euro in confronto delle altre valute.
Come si attua la regolazione della base monetaria? Abbiamo numerosi esempi, in
questi giorni vediamo come sono state messe in atto le varie misure della BCE per
fronteggiare la crisi di alcuni paesi membri dell‟Unione europea. Anzitutto abbiamo le
cosiddette operazioni di mercato aperto: si svolgono mediante l‟acquisto o la vendita
di titoli emessi dagli stati o dalle istituzioni creditizie, ovvero tramite operazioni di
prestito che la BCE sta mettendo in campo a favore delle banche, istituzioni creditizie
ovvero delle autorità delle banche centrali dei vari paesi membri.
Un altro intervento è quello dell‟imposizione degli istituti di credito di costituire
riserve obbligatorie presso la Banca Centrale Europea. È chiaro che questa
imposizione determina un assorbimento della liquidità che circola sul mercato e ha un
effetto di contrazione della base monetaria che circola sul mercato.
Tramite queste operazioni le autorità monetarie europee hanno la possibilità di
ampliare/ridurre il fabbisogno di liquidità delle varie istituzioni creditizie, questo
avviene agendo sulla base monetaria. Questo aumento/decremento della base
monetaria avviene anzitutto dalle istituzioni monetarie europee, dalla BCE avendo un
preciso mandato, scopo: quello della stabilità dei prezzi e della stabilità dell‟Euro.
È uno scopo evidentemente di politica monetaria. Da un lato abbiamo l‟istituzione
sovranazionale BCE, SEBC, e dall‟altro i vari governi che perseguono i propri obiettivi
di bilancio in termini di aumento o contrazione della spesa pubblica.
Il principio che vale a livello comunitario è cercare di evitare interferenze delle
politiche fra i vari paesi membri e politica monetaria viene attuata dalla BCE e dal
SEBC.
Per fare ciò è necessario che la banca centrale europea abbia la possibilità di agire
con grande autonomia, indipendenza. Dal punto di vista statutario organizzativo e
funzionale ne sia garantita l‟indipendenza. È uno dei principi alla base dell‟UE rispetto
35
al quale è stata pensata e disegnata l‟architettura istituzionale della Banca Centrale
Europea.
Questo valeva anche prima dell‟istituzione della BCE, per quello che era in precedenza
la nostra Autorità Monetaria: laBanca di Italia, che prima del trasferimento dei suoi
poteri di politica monetaria alla BCE era l‟autorità di riferimento nel nostro
ordinamento per le decisioni di politica monetaria, anch‟essa agiva in modo
indipendente rispetto al governo.
La Banca di Italia stabiliva i tassi di sconto e finanziamento. Alla banca di Italia
spettava il compito di fissare la riserva obbligatoria, dei depositi invaluta, meglio dire
depositi in moneta presso l‟autorità monetaria a fronte dell‟ammontare della propria
raccolta, dell‟ammontare delle disponibilità liquide delle stesse banche.
Dal 1/1/1999 è stato previsto che l‟euro dovesse sostituire le varie monete, le
competenze trasferite a livello sovranazionale, svolte dal SEBC e per esso dalla BCE.
All‟interno di questo sistema la Banca d‟Italia svolge ancora un ruolo. La banca d‟Italia
fa parte del Sistema Europeo delle Banche Centrali, che assegna alla Banca di Italia di
adottare politiche monetarie adottate a livello comunitario.
Principio cardine all‟interno dell‟ordinamento europeo è quello dell‟indipendenza
dell’autorità monetaria. Si attua su diversi piani, intanto sul piano funzionale. La BCE
ha un preciso mandato stabilito dal trattato (stabilità dei prezzi e stabilità della
moneta) non può perseguire il mandato senza considerare le varie indicazioni che
possono provenire dai governi dei vari paesi membri dell‟UE. Qualora la BCE ponesse al
centro delle proprie politiche obiettivi diversi da quelli stabiliti dal trattato, si
porrebbe al di fuori del trattato stesso.
Indipendenzaorganizzativa nel senso che i vertici stanno in carica per un certo
periodo di tempo e sostanzialmente sono soggetti che si distinguono rispetto ai
membri dei governi dei vari paesi membri.
La BCE ha anche una indipendenza finanziaria. Ottiene le proprie risorse per
l‟espletamento del proprio mandato in modo autonomo.
Bisogna adesso fare un passo indietro e ricordare come si è arrivati alla situazione
attuale. Per fare ciò bisogna parlare della Banca di Italia. Nasce come società
anonima, società di capitali di diritto speciale, nasce nel 1893 e col regio decreto negli
anni ‟30 assume la veste di ente pubblico con proprio statuto. È un ente pubblico,
istituto di diritto pubblico che ha una propria funzione, visione, un proprio scopo,
statutario definito dallo Statuto.
Il ruolo della banca d‟Italia è stato posto in discussione e riformato a seguito di alcuni
scandali che avevano riguardato l‟allora governatore. Questi scandali hanno creato le
condizioni di interventi di riforma la legge 262/2005, legge sulla tutela dei risparmi.
Toccava uno dei temi più delicati del sistema economico, le competenze e lo statuto
organizzativo della Banca d‟Italia.
Anche la Banca d‟Italia opera in piena indipendenza, deve riferire al governo e
parlamento modalità con cui assolve ai propri compiti. Lo fa con relazioni semestrali.
36
Questa legge del 2005 ha rivisto l‟assetto organizzativo e lo statuto della banca
d‟Italia. Attualmente gli organi sono:
- Governatore: persona fisica, nominato con decreto PDR su proposta del
consiglio dei ministri, sentito il Consiglio superiore della Banca d‟Italia. Il
consiglio superiore della Banca d‟Italia un tempo era il governo della banca
d‟Italia. Oggi la governance della banca d‟Italia si è riformata e il consiglio
superiore ha perso un po‟ delle sue originarie competenze. Il governatore dura
in carica 6 anni, può essere revocato con decreto del PDR in alcuni casi.
- Direttorio:È una sorta di comitato esecutivo che coadiuva il governatore. Ha la
rappresentanza legale nei confronti dei terzi, degli esterni. È composto dallo
stesso governatore, dal direttore generale e 3 vice direttori generali. Il
direttorio adotta le proprie decisioni a maggioranza. Ha competenze di governo
in relazione alla banca d‟Italia.
- Consiglio Superiore: Composto dal governatore più 13 consiglieri nominati dalle
varie rappresentanze territoriali della stessa Banca d‟Italia. La Banca ha varie
succursali nelle principali città italiane. Ciascuna di esse nomina il proprio
rappresentante all‟interno del consiglio superiore, che ha funzioni di alta
direzione della stessa Banca d‟Italia. Adotta i regolamenti interni della banca,
approva il bilancio, adotta decisioni con rilevanza territoriale per la Banca
d‟Italia.
- Collegio sindacale: controllo interno sulla gestione della Banca- Assemblea dei partecipantiè una sorta di assemblea dei soci, poiché la Banca
ha una sorta di capitale sociale esiguo, 156 mila euro, suddiviso in varie quote
che sono di proprietà di numerose importanti banche che operano nel nostro
paese. Ciascuna di esse trova il proprio rappresentante nell‟assemblea dei
partecipanti.
Si discute sull‟architettura proprietaria della Banca d‟Italia, perché le varie banche
partecipano al suo capitale. Questo è un tema delicato che è allo studio da vari anni ma
non è stato toccato dai legislatori o dalla stessa Banca d‟Italia e ancora oggi si deve
rivedere l‟assetto proprietario per superare questa contraddizione.
La Banca d‟Italia nell‟ambito del SEBC svolge 4 funzioni(NB ha trasferito il potere di
politica monetaria alla Banca Centrale Europea):
1) La Banca d‟Italia fa parte del consiglio direttivo della BCE, quindi il governatore
come componente del consiglio direttivo della BCE contribuisce a definire con il
proprio voto la politica monetaria;
2) La Banca d‟Italia partecipa a decisioni della BCE in relazione all‟emissione di
moneta, Euro. Il potere di emissione della moneta in senso fisico spetta oggi alla
BCE che lo esercita tramite la Banca d‟Italia. Dal punto di vista pratico la
attuazione di questa decisione è demandata alle rispettive banche centrali;
3) La Banca d‟Italia gestisce una quota delle riserve in valuta che ha la BCE. Da
questo punto di vista la Banca d‟Italia detiene unaparte delle riserve di liquidità
37
della Banca Centrale Europea. Deve attenersi alle direttive del consiglio
direttivo della BCE. È come se la Banca d‟Italia agisse come gestore del
portafoglio della BCE
4) La Banca d‟Italia fa parte della BCE del sistema europeo dei pagamenti. Sistema
che consente che l‟euro possa essere considerato come moneta per assolvere gli
obblighi di pagamento dei vari soggetti che operano all‟interno dell‟unione.
Vi sono poi compiti residuali per la BDI che non attengono al suo ruolo come soggetto
partecipe delle istituzioni europee. Anzitutto la Banca d‟Italia :
- Supervisiona alcuni mercati regolamentati italiani di rilievo per l‟attuazione di
politiche monetarie e di bilancio del nostro governo. Ai sensi del TUF alla BDI
sono assegnati compiti di supervisione del mercato dei titoli di stato e titoli
obbligazionari che funziona sotto la supervisione della Banca d‟Italia così come
sui derivati dei titoli di stato. anche questo funziona sotto la supervisione della
BDI.
- Supervisiona il funzionamento degli organismi che garantiscono il buon esito
delle operazioni di compensazione e liquidazione degli strumenti finanziari. Nei
mercati regolamentati si svolgono le negoziazioni su strumenti finanziari di
vario genere, fra cui titoli di Stato. Contratti di acquisto di beni di vario
genere. Oltre concludere il contratto che riguarda un determinato strumento
finanziario è necessario che questo contratto venga eseguito. Ciò avviene
attraverso stanze di compensazione, raramente su base lorda, solitamente su
base netta, compensando le posizioni che gli operatori hanno su un particolare
mercato finanziario. È necessario che operi un ente, un organismo, denominato
Clearing House, stanze di compensazione, soggetti che hanno il compito di
garantire il buon esito delle operazioni. La funzione di questi organismi è
importante perché l‟eventuale insolvenza che si produce su una di queste
operazioni può determinare un effetto di contagio. Esiste un rischio sistemico
molto forte connesso al buon funzionamento delle Clearing House, è necessario
che operino sotto la supervisione di un organo di vigilanza, la Banca d‟Italia
soggetto che deve garantire la stabilità del sistema finanziario nel suo
complesso. In base al testo unico bancario, alla Banca d‟Italia sono attribuiti
compiti di supervisione, controllo e vigilanza sugli istituti di credito. Funzione
di vigilanza che la BDI svolge accanto alle altre;
- BDI svolge il compito di tesoreria centrale e provinciale dello Stato. È un
compito che si svolge da fine „800. Esegue disposizioni di pagamento delle varie
amministrazioni da un lato, e dall‟altro riscuote somme che a qualsiasi titolo
sono dovute alle amministrazioni dello Stato;
- BDI detiene il conto che il ministero del tesoro ha acceso per far fronte ai
propri obblighi di pagamento dello stato e delle altre amministrazioni statali
che fanno capo allo Stato. In base alla normativa europea, si vieta alla BC che
questo conto abbia un saldo negativo. Quindi è un divieto di effettuare politiche
38
-
di credito nei confronti dello stato. Da fine 1984 il compito di tesoreria è stato
ampliato al settore pubblico allargato, enti pubblici che rientrano nel perimetro
di consolidamento del nostro stato al fine di determinare il rispetto del patto di
stabilità europeo;
La BDI svolge compiti di consulenza allo stato per quanto concerne le emissioni
debito pubblico che spettano agli organi di governo, ministro dell‟economia e
queste decisioni vengono normalmente assunte sulla base di analisi effettuate
attraverso un sistema di asta gestito dalla stessa BDI.
Come si è arrivati alla definizione della moneta unica all‟interno dell‟UE? Questo è
stato un processo che ha avuto la sua conclusione nel 1999 e poi nel 2002 l‟Euro ha
avuto corso legale all‟interno dell‟UE ma ha avuto una serie di antecedenti storici.
Anni ‟70 c‟era il Sistema Monetario Europeo: sistema in base al quale era previsto
regolazione dei tassi di cambio tra i vari paesi europei, il cosiddetto serpente
monetario: i tassi di cambio potevano fluttuare entro determinati margini.
Vi è la necessità di un intervento da parte delle varie banche centrali dei paesi
membri in modo da garantire che le oscillazioni si mantenessero all‟interno di certi
limiti.
Nel 1979 nasce il SME aveva come moneta di riferimento lo scudo europeo, ECU,
aveva un valore che risultava dalla media ponderata dei valori delle varie monete
aderenti allo stesso SME.
Funzionò con esiti alterni, era in qualche modo esposto a varie manovre speculative
nazionali (uscita della nostra moneta dal SME) sicché fu abbandonato, si arrivò nel
1992 alla firma del trattato di Maastricht che prevedeva la realizzazione all‟interno
di una Unione Monetaria.
Chiaro che nel 1992 si prevedeva un percorso che aveva un certo termine e che
prevedeva determinate fasi prima dell‟introduzione della moneta unica a livello
europeo. Anzitutto era necessario l‟attuazione o il porre in essere misure di
attuazione in materia di attuazione dei principi di libera circolazione dei capitali,
libera circolazione delle merci e così via.
In secondo luogo, tema importante, quello della creazione di condizioni di convergenza
macro economica tra i vari paesi membri dell‟UE. Chiaro che l‟introduzione di una unica
moneta a livello comunitario ha un senso nella misura in cui vi sia una uniformità tra i
vari indicatori macroeconomici dei paesi membri che aderiscono alla moneta unica.
In questa fase ha un notevole ruolo l‟Istituto Monetario Europeo. Soggetto che ha
personalità giuridica e governato da un consiglio, a cui sono stati attribuiti compiti di
stabilire i parametri di convergenza macroeconomica che dovevano essere rispettati
dai vari paesi membri per l‟adesione all‟Euro. Parametri con cui ancora oggi ci
confrontiamo, rivisti con gli accordi del Fiscal Compact.
L‟istituto monetario europeo ha esaurito la sua funzione nella definizione di questi
parametri macroeconomici e ha cominciato ad operare la BCE. Primo compito che
39
spettava al sistema di banche centrali e alla BCE era quello di definire i rapporti di
cambio, di conversione fra le monete dei vari paesi membri e l‟euro.
Rapporti di conversione che quando sono stati stabiliti, l‟euro ha cominciato a circolare
completamente dal 1/1/2002. L‟Euro è stato adottato da quei paesi che avevano
soddisfatto determinate condizioni di convergenza economica elevati e sostenibili nel
tempo: stabilità dei prezzi, dei cambi, tassi di interesse, equilibrio della finanza
pubblica.
Attualmente 10 paesi hanno aderito all‟Euro: non ce l‟hanno Regno unito e Danimarca.
Possono aderirvi se dimostrano di soddisfare le condizioni di convergenza stabilite dal
SEBC. Partecipano poi altri paesi, Bulgaria, Rep. Ceca, Lettonia, Estonia, Polonia…. che
partecipano all‟unione con la qualifica di paesi con deroga: questi paesi non hanno
ancora raggiunto parametri di convergenza e sono ammessi all‟unione economica e
monetaria con deroga. Solo dopo avere raggiunto gli obiettivi di convergenza potranno
effettivamente adottare l‟euro.
Tutto questo discorso comporta che all‟interno dell‟unione economica e monetaria
europea abbiamo una serie di paesi facenti parte dell’Euro-Sistema: hanno adottato
l‟euro come moneta corrente all‟interno del sistema economico.
Come si ricordava in precedenza la funzione fondamentale della BCE è quella di
garantire la stabilità prezzi e della moneta. La BCE non si occupa di vigilanza bancaria
proprio perché essa è affidata alle varie banche centrali previste all‟interno dei vari
paesi membri. Opera anche una autorità di vigilanza bancaria a livello europeo che si
affianca nello svolgimento dell‟autorità di vigilanza alle autorità di vigilanza nazionale.
A seguito della crisi 2007,credit crunch e mutui sub prime, alla BCE sono stati
attribuiti compiti straordinari e di sostegno, limitati nel tempo: sostegno alle banche e
ai mercati. Interventi numerosissimi, fra breve ne ricorderemo alcuni.
Come dicevo in precedenza sostanzialmente il trattato attribuisce alcuni compiti
specifici al SEBC , previsti dall‟articolo che adesso leggo velocemente.” L‟obiettivo
principale del sistema europeo di banche centrali SEBC, è il mantenimento della
stabilità dei prezzi… il SEBC agisce in conformità del principio di una economia di
mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo una efficace allocazione delle
risorse e rispettando i principi di cui all‟articolo 119”.
L‟obiettivo del mantenimento della stabilità dei prezzi dev‟essere assicurato dalla BCE
in conformità di un principio di economia di mercato aperta e di libera concorrenza,
mediante meccanismi di mercato, senza meccanismi di intervento le cui condizioni non
siano determinate in base al meccanismo della domanda e dell‟offerta.
Gli organi del SEBC sono la BCE e le varie istituzioni europee. La BCE ha personalità
giuridica.
Organi della BCE?
Consiglio direttivo che è composto da membri del comitato esecutivo e vari
governatori delle banche centrali dei vari membri dell‟UE;
- Comitato esecutivo, composto da sei membri, durano in carica 8 anni: composto
da presidente vice presidenti e 4 membri nominati dai vari governi dell‟UE su
40
raccomandazioni del consiglio dell‟UE. Il comitato esecutivo ha funzioni di
indirizzo del consiglio direttivo. Il compito decisionale all‟interno della BCE è
svolto dal consiglio direttivo. Il comitato esecutivo ha poi compiti di attuazione
di queste decisioni prese dal consiglio direttivo. Organo che ha competenze
decisionali è il consiglio direttivo cui fanno parte il governatore della BCE e i
vari rappresentanti delle banche centrali dei vari paesi membri.
Il consiglio direttivo opera a maggioranza dei propri componenti. Da punto di vista
operativo l‟attuazione delle decisioni del consiglio direttivo viene garantita dal
comitato esecutivo e soprattutto dalle varie banche centrali dei paesi membri UE. Dal
punto di vista organizzativo il modello di governance della banca centrale prevede
accentramento decisionale ma decentramento operativo.
Queste decisioni vengono attuate dalle varie banche centrali dell‟UE, questo a seguito
del principio di sussidiarietà, fondamentale all‟interno dell‟UE, principio in base al
quale le decisioni delle istituzioni comunitarie devono essere attuate dal livello di
governo che più è vicino agli interessi dei destinatari delle decisioni, più aderenti
possibili agli interessi dei cittadini europei.
Obiettivo principale della BCE è la stabilità dei prezzi. Questo obiettivo è stato poi
definito in modo quantitativo, per stabilità dei prezzi si intende aumento annuo
dell’inflazione non superiore al 2%. Per garantire questa stabilità dei prezzi il SEBC
ma in particolare i paesi che hanno adottato l‟euro, il cosiddetto Euro- Sistema ha una
serie di strumenti attuativi a propria disposizione.
1) Le operazioni di mercato aperto: operazioni in cui a fronte di determinati tassi
di interesse il SEBC mette a disposizione delle banche degli stati liquidità a
determinati tassi. Si tratta di contratti di acquisto e di vendita di liquidità
rappresentate in modi diversi, vengono attuati mediante contratti di acquisto o
vendita pronti contro termine. Operazioni temporanee;
2) Operazioni di prestito a determinati tassi agevolati, attuati mediante aste a
cui possono partecipare le banche dei vari paesi membri.
3) Vi sono poi delle operazioni che possono essere poste in essere dalla BCE non
di propria iniziativa ma su richieste di varie controparti. Queste sono
operazioni con durata temporale molto breve. Poste in essere su richieste di
controparti per soddisfare l‟esigenza di liquidità di breve e di brevissimo
termine.In queste operazioni spesso si prevede che la controparte può
depositare in poco tempo liquidità presso la banca centrale europea ad un
determinato tasso di interesse prestabilito. Si tratta normalmente di
operazioni di mercato, che si svolgono mediante aste che rispettano questo
principio fondamentale in base alquale la BCE interviene sul sistema monetario a
condizioni di mercato.
Sostanzialmente le condizioni che si formano su queste operazioni economiche,
dovrebbero riflettere l‟andamento dei tassi in quel momento. Nel 2007 la crisi dei
41
mutui sub prime ha messo in evidenza come questa filosofia avesse effetto
distruttivo limitato e contenuto e che consentisse alle istituzioni di intervenire sui
mercati immettendo liquidità anche al fine di normalizzare i tassi di interesse.
I governi hanno attuato piani di salvataggio di banche poste a rischio di insolvenza in
modo massiccio. Allo stesso tempo la BCE è stata indotta ad adottare misure non
convenzionali che sostanzialmente consistono nell‟erogazione di liquidità alle banche a
tasso fisso.
Anziché come avviene nei meccanismi di asta effettuati normalmente dalla BCE il
tasso è determinato in base alle condizioni di mercato che prevalgono in quel
determinato momento, in questi casi il tasso è fisso e viene stabilito un tasso
particolarmente agevolato a favore di soggetti che ricevono questa liquidità.
È stato ampliato l‟elenco del collaterale, di quelle attività che le banche e gli altri
soggetti possono depositare a garanzia della liquidità che ricevono dalla BCE. Sono
stati avviati anche programmi di acquisto da parte della BCE di obbligazioni emesse
dalle banche.
Ciò non è stato sufficiente perché abbiamo assistito nel corso dell‟ultimo anno e
mezzo alla crisi dei debiti sovrani che ha imposto l‟adozione di ulteriori misure. In
questo contesto vi sono due ulteriori strumenti, quelli di cui si discute recentemente:
i fondi salva stato: sono stati avviati dalla banca centrale europea per fronteggiare
la difficoltà di alcuni paesi dell‟area.
- EFSF, è un vero proprio fondo salva stato, viene alimentato da risorse
provenienti dagli stati membri dell‟unione, gestite dagli stati membri UE gestiti
da BCE;
- meccanismo EFSM che serve per rendere costituzionale la concessione di
prestiti agli stati.
Nell‟ambito dell‟area euro si è visto come le condizioni di convergenza che hanno
portato all‟adesione all‟euro di alcuni paesi membri non possono essere
permanentemente rispettate, occorre quindi rivederle e monitorare la continua
osservanza.
Oltre a queste misure di politica monetaria vi sono misure di politica valutaria che
riguardano il rapporto fra l‟euro e le altre valute. Abbiamo, non essendoci le monete
nazionali, la politica valutaria comune, politica valutaria europea. La politica valutaria
si distingue a seconda di quale sia la valuta.
Politica nei confronti dei paesi che non hanno adottato l‟euro pur potendolo fare
(Regno Unito). Vi è politica valutaria che riguarda il tasso di cambio fra l‟Euro e le
varie valute, che non hanno adottato l‟euro perché non hanno raggiunto gli obiettivi, e
infine abbiamo una politica valutaria europea fra euro e paesi particolarmente
rilevanti nel sistema come USA Giappone e Cina.
Per quel che riguarda il rapporto fra l‟euro e questi paesi che sono dentro l‟UE e che
non hanno adottato la moneta unica, sono stati stipulati accordi denominati: accordi
42
europei di cambio (ERN). Tasso di cambio fra l‟euro e le valute non oscilli al di fuori di
determinati margini stabiliti nello stesso accordo.
Tutte le volte che i limiti vengono oltrepassasti c‟è un meccanismo di intervento della
BCE e banche centrali che hanno rapporti con la BCE. Occorre dire che l‟adesione a
questi accordi è funzionale al presupposto che questi paesi possano poi adottare
l‟Euro in un secondo momento. Occorre che prima di adottare l‟Euro il paese dia
attuazione e lo rispetti un certo numero di anni.
L‟esempio è quello dell’Ungheria che ha previsto rapporti di cambio, obiettivo di
entrare nell‟euro entro il 2012, ma a causa della crisi dei debiti sovrani questa
decisione è stata rivista. Norma nella costituzione ungherese che dice che la moneta
istituzionale continui ad essere il fiorino.
Questa situazione di instabilità cessa nella misura in cui vi sia effettiva integrazione
non solo rispetto l‟osservanza di questi meccanismi, accordi sui tassi di cambio, ma vi
sia anche effettiva convergenza non solo di parametri a livello macro economico ma vi
sia anche convergenza da parte di determinati governi nei confronti di determinate
politiche di bilancio.
Vi sono poi degli accordi sui tassi di cambio con alcune delle principali economie del
mondo, come dollaro statunitense e yen giapponese, accordi che vengono adottati dal
consiglio dell‟UE. Vi sono poi degli stati che hanno adottato l‟euro pur senza aver
stipulato alcun accordo con l‟UE. È questo il caso del Kosovo, del Montenegro, hanno
adottato l‟euro accanto alla loro valuta nazionale, al di fuori di qualsiasi accordo con
l‟UE.
13/03/2012
Oggi cominciamo a parlare di concorrenza e tutela della concorrenza. Alcune cose le
abbiamo viste nella parte panoramica, delle varie norme anche a livello europeo
contenuti nel trattato.
Il quadro normativo a livello di concorrenza si compone di due insiemi di disposizioni:
- Disciplina generale in materia di tutela della concorrenza, contenuta negli
articoli 101 e 102 del trattato ed in alcuni regolamenti della Commissione, in
particolare il regolamento 2004 in materia di controllo sulle concentrazioni;
- Nella legge 287/1990 la nostralegge anti trust, formulata in modo simile al
testo delle disposizioni del trattato.
Il problema che ci dovremo porre è quello di vedere quando si applicano le norme del
trattato in materia di tutela della concorrenza e quando invece si applica la nostra
legge antitrust nazionale.
È chiaro che prima di vedere gli specifici divieti e le altre disposizioni che sono poste
nell‟ambito della tutela della concorrenza è necessario interrogarsi su quali sono gli
obiettivi di queste disposizioni. È del tutto evidente che quando si parla di tutela della
concorrenza ci si riferisce ad un obiettivo, quello della preservazione, del
mantenimento del regime concorrenziale all‟interno del mercato che verrà individuato,
43
ma anche è importante capire quali sono gli interessi dei beneficiari delle norme poste
a tutela della concorrenza, interessi tutelati sostanzialmente.
Anche e soprattutto quale tipo di concorrenza sta alla base delle disposizioni del
trattato edelle disposizioni della nostra legge antitrust, la legge 287/1990. Di quale
concorrenza stiamo parlando, concorrenza perfetta (paradigma della teoria
economica), una concorrenza sostenibile, una concorrenza che ammette la presenza di
una impresa che ha un potere di mercato o posizione dominante, della concorrenza che
si sviluppa in un assetto istituzionale di mercato oligopolistico? Sono problemi teorici
ci servono per contestualizzare le disposizioni, il diritto positivo in cui è posto a
presidio di questi interessi.
È del tutto evidente è che le norme in materia di tutela della concorrenza sono
formulate in modo ampio e generico: conta anche il modo con cui queste norme sono
effettivamente applicate, e qual è la politica legislativa in materia di concorrenza che
sta alla base di queste norme. Sostanzialmente è importante vedere come si è evoluta
l‟applicazione delle norme da parte della giurisprudenza che è chiamata a decidere le
controversie tra i soggetti che hanno compiuto violazioni in materia anti trust.
Se noi vogliamo parlare di concorrenza, dobbiamo parlare di mercato concorrenziale e
delle sue virtù che comunemente si assegnano ad un mercato concorrenziale, ad un
mercato in cui vi è una pluralità di soggetti che compiono una scelta di produzione sul
mercato.
Quali sono le virtù che si attribuiscono a mercati in assetto concorrenziale? A livello
di prezzi? Dire prezzo più basso possibile è forse troppo. La concorrenza va intesa in
senso dinamico, è una pluralità di imprese che concorrono per accrescere la propria
forza di mercato per avere una domanda sufficientemente ampia da parte dei clienti
finali, e quindi vi è una concorrenza naturalmente in termini di prezzi.
Bisogna arrivare ad un prezzo efficiente in termini allocativi, vi è una concorrenza in
termini di innovazione tecnologica, riduzione dei costi in termini di distribuzione,
miglioramento della qualità dei prodotti, e tutta una serie di vantaggi e benefici che si
dovrebbero riversare sui consumatori, sui clienti.
Quando vi è un mercato concorrenziale, le imprese competono in termini di innovazione
del prodotto, in tanti casi non è importante la concorrenza che si riflette sul livello
dei prezzi per un determinato prodotto, ma anche una concorrenza che si traduce
nell‟innovazione di prodotti che soddisfano sempre meglio le esigenze dei consumatori:
pensiamo a tutti i settori tecnologici, in cuinel mercato concorrenziale operano
imprese dove si muovono i bisogni da tempo nascosti dei consumatori.
Il mercato concorrenziale ha anche la virtù di estromettere ed escludere dal
mercato le unità produttive inefficienti, quelle marginali che non riescono a
fronteggiare la concorrenza in termini di prezzi, in termini di qualità dei prodotti e
cosi via. Questo libero gioco della concorrenza è ostacolato tutte le volte in cui si crea
una posizione di potere economico da parte di una impresa che opera su un
determinato mercato.
44
Già accennato questo tema, questa posizione di potere economico si può creare perché
una impresa è più efficiente delle altre, o perché vi sono economie di scala
particolarmente significative nello svolgimento di una determinata attività economica,
e si crea una situazione nell‟ambito del mercato di tipo monopolistico, in cui l‟impresa
in grado di agire senza curarsi del livello di competizione e del comportamento dei
consumatori, clienti e di altre imprese che operano sul mercato, seppure in posizione
marginale.
Il monopolio è poi determinato da situazioni che hanno a che fare con l‟assetto
industriale del mercato: abbiamo parlato di monopolio naturale del mercato, in cui vi
sono costi fissi particolarmente elevati legati alla presenza di infrastrutture che
sono necessarie per l‟erogazione del servizio di quel mercato.
In generale il mercato concorrenziale è un mercato in cui le condizioni dell‟offerta e
della domanda, le scelte economichein generale si formano in base ad un meccanismo
decentrato, si formano sul mercato. A quale prezzo e a quale quantità sono scelte che
vengono assunte dai consumatoriin base ad un meccanismo decentrato, questo a
differenza di altri meccanismi in cui le scelte si formano, per esempio nelle economie
pianificate caratterizzate da un forte dirigismo da parte dello Stato, in cui le scelte
economiche vengono assunte da un apparato burocratico non secondo meccanismi di
mercato, ma di tipo decentrato.
In certi settori economici rilevanti per determinati bisogni essenziali dei cittadini,
(sistemi previdenziali) le erogazioni in termini di previdenza, i trattamenti
pensionistici, vengono decise a monte dallo Stato e non vengono decise in base a
meccanismi decentrati di mercato.
Dal punto di vista più strettamente economico si dice che la concorrenza in
brevepromuove l’efficienza allocativa: consente che le risorse economiche vengono
allocate da un settore all‟altro dell‟attività economica in base a libere scelte dei
consumatori, dei clienti, delle imprese e produttori che tengono conto della
convenienza delle varie opzioni che sono disponibili.
Le risorse economiche vengono allocate dove, in base ad una libera scelta del
produttore e consumatore, è più conveniente che queste risorse siano allocate. Il
mercato concorrenziale ha determinati vantaggi in termini di funzionamento
economico nel suo complesso, ma anche il vantaggio di promuovere l‟efficienza
allocativa.
Questi meccanismi virtuosi non si innescano naturalmente in tutte le situazioni. Il
legislatore, consapevole dell‟esistenza dei fallimenti di mercato, ha ritenuto
necessario che un determinato assetto concorrenziale del mercato doveva essere
preservato attraverso specifici divieti organizzativi a carico del mercato. Come
ricordavo parlando di articolo 41 della costituzione, l‟iniziativa economica non può
essere semplicemente libera, ma è necessario che in qualche modo venga svolta in
modo da rispettare l‟altrui iniziativa economica, in modo da porre dei limiti allo stesso
diritto di iniziativa economica, in modo che il diritto non si risolva a pregiudizio
dell‟utilità sociale.
45
È necessario che vengano postespecifiche disposizioni per evitare situazioni
anticoncorrenziali del mercato garantendo un determinato assetto.
La consapevolezza della necessità di una legislazione antitrust è una consapevolezza
cui i legislatori nei vari paesi sono giunti in momenti diversi. Il nostro legislatore è
arrivato più in ritardo rispetto ad altri ordinamenti. Solo nel 1990 è stata introdotta
la legge 287, a differenza di altri ordinamenti che hanno una tradizione in materia
antitrust più vecchia (negli USA lo ShermanAct, legge anti trust per eccellenza, è del
1890).
In altri paesi europei le legislazioni antitrust arrivano a fine 1900, In Italia si arriva
con grande ritardo dopo che le norme in materia anti trust erano già previste nel
trattato istitutivo della CE. Questo ha fatto si che la nostra legislazione anti trust
risentisse delle esperienze antitrust degli altri paesi, in particolare della esperienza
antitrust Nord americana.
Ci sono differenti impostazioni che stanno alla base delle legislazioni antitrust nei
diversi paesi. Nel caso degli USA e nello ShermanAct, la legislazione è diretta a
tutelare il consumatore nei confronti del potere economico. Nelle grandi
concentrazioni economiche che pongono a repentaglio da un lato l‟interesse dei
consumatori ma soprattutto impediscono la sussistenza di un tessuto produttivo in cui
tutti i soggetti che vogliono competere alla gara economica abbiano uguali opportunità.
La legislazione antitrust è strettamente connessa ad una concezione fondamentale di
democrazia economica in cui tutti all‟interno del mercato devono essere posti nella
condizione di poter competere sulla base di eguaglianze edi opportunità.
Questa competizione, questa gara economica è falsata nella misura in cui si
consentano concentrazioni di potere economico eccessive. Nell‟ambito della
legislazione antitrust la tutela della concorrenza ha di mira la tutela di contraenti più
deboli rispetto alle grandi concentrazioni di potere economico: consumatore, piccole e
medie imprese e così via.
Che l‟interesse del consumatore sia effettivamente tutelato dalla legislazione
antitrust è una concezione molto diffusa anche all‟interno non soltanto
dell‟ordinamentocomunitario, ma anche all‟interno del nostro ordinamento nazionale.
La tutela della concorrenza ha senso nella misura in cui serve a promuovere l‟interesse
del consumatore finale. Si risolve in un vantaggio percepibile per il consumatore finale
in termini di prezzi, in termini di qualità dei prodotti, in termini di trasparenza,
informazione, delle condizioni sulla cui base determinati prodotti vengono offerti sul
mercato.
Questo tipo di concezione in cui l‟interesse è la protezione dell‟interesse del
consumatore, ci sono norme che mirano a preservare un determinato assetto
concorrenziale del mercato che serve a proteggere l‟interesse del consumatore,è una
concezione che non è unanimemente condivisa a livello di teoria economica.
Sostanzialmente abbiamo, nella prima metà del 1900, una corrente di pensiero, la
scuola di Chicago che studiato la legislazione antitrust e ha posto in discussione
questo paradigma: la realizzazione anti trust non ha come obiettivo quello di
46
assicurare la massima soddisfazionedell‟interesse del consumatore, ma quello di
garantire la massima efficienza globale del sistema economico nel suo complesso.
Promuovere non solo l‟efficienza allocativa del mercato, ma in certi casi il fatto che il
mercato sia efficiente dal punto di vista allocativo, consente anche che il mercato
possa assumere un assetto monopolistico, quasi oligopolistico. In certi casi si può
dimostrare che è più efficiente dal punto di vista allocativo e produttivo un
determinato assetto particolarmente concentrato del mercato, e quindi questo
assetto è quello anche desiderabile dal punto di vista del diritto antitrust, nonostante
il fatto che questo assetto possa porre a repentaglio gli interessi dei consumatori.
In base a questa teoria economica della scuola di Chicago se l‟obiettivo della
legislazione anti trust è promuovere l‟efficienza allocativa, diventa obiettivo
secondario quello di promuovere anche la tutela dei consumatori, dei clienti.Si tratta
di capire come le risorse prodotte da un mercato efficiente vengono distribuite fra le
imprese ed il consumatore.
Il diritto antitrust a rigore non si dovrebbe occupare di questioni redistributive, ma si
dovrebbe occupare di promuovere l‟efficienza allocativa di un determinato mercato.
Sarà il legislatore a determinare come queste risorse vadano distribuite a vantaggio
delle imprese, oppure a vantaggio dei consumatori e così via.
I paradigmi teorici della scuola di Chicago si sono riflessi in tutta una serie di
motivazioni rilevanti ancora oggi. Determinate disposizioni della legge antitrust
vengono interpretate in modo da consentire un certo livello di concentrazione del
mercato. Si ammette che determinate pratiche limitative della concorrenza siano
ammissibili, in termini produttivi, di assetto del mercato complessivamente inteso.
Alla base dell‟applicazione del diritto antitrust vi è il concetto di concorrenza
sostenibile, workablecompetiton. Abbiamo due paradigmi: da un lato il paradigma della
concorrenza, dall‟altro il paradigma del monopolio, sono tutt‟e due paradigmi teorici,
difficilmente si possono manifestare nel funzionamento di un determinato mercato.
Quando si ha una situazione di concorrenza perfetta? Quando il prezzo è uguale
costo marginale, e soprattutto vi è una pluralità di imprese che offrono i propri
prodotti e servizi sul mercato, e nessuna di queste imprese è in grado di influenzare la
domanda variando le quantità offerte sul mercato. A fronte di una variazione delle
quantità offerte o dei prezzi, i clienti sono in grado di spostare la domanda su altre
imprese.. In concorrenza perfetta non si influenzano le quantità offerte e il livello dei
prezzi.
Si parla di economie di scala, piena conoscenza da parte dei consumatori delle
condizioni di prezzo, paradigmi che non si pongono direttamente nel mondo reale.
Dall‟altro lato di fronte all‟affermarsi di condizioni di potere economico, nell‟ambito
della teoria economica sviluppata fra prima e seconda guerra mondiale si sono formate
situazioni di Concorrenza monopolistica. Grandi soggetti, produttori che hanno un
importante potere economico.
Da questo punto di vista è importante ricordare le teorie economiche che hanno
cercato di porre in evidenza come la concorrenza sia un meccanismo dinamico che va
47
inteso nella sua dimensione dinamica nel tempo che non si basa solo sul livello dei
prezzi sulla cui base competono le imprese sul mercato.
Parlando del pensiero di un economista e sociologo, Shumpeter, egli aveva messo in
evidenza come le imprese competono tra di loro con meccanismo dinamico mediante
l‟introduzione di nuovi beni sul mercato, nuove forme di organizzazione nella stessa
impresa, nuova forma di organizzazione industriale e commerciale nell‟impresa.
La concorrenza è un processo dinamico, in cui è necessario chein una determinata fase
del processo industriale si formino situazioni di tipo monopolistico, una impresa dotata
di potere di mercato è in grado di sopportare i costi connessi all‟introduzione di beni
sul mercato, innovazione tecnologica, a nuove forme di organizzazione industriale e
così via.
In qualche modo va messo in evidenza come è solo la grande impresa che è in
condizione di promuovere lo sviluppo, le innovazioni tecnologiche e quindi la crescita
globale del sistema economico.
Una volta che non vi è un livello ideale di efficienza del mercato in termini di
efficienza allocativa ma si tratta semplicemente
di promuovere lo sviluppo
concorrenziale, in determinate fasi vengono poste in essere determinate forme di
concentrazione del potere economico funzionali alla crescita globale del sistema.
Questa concezione economica ha posto in evidenza un fatto importante: il monopolio
non è un male in sé e anche determinati accordi che vengono visti come restrittivi
della concorrenza, ma dall‟altro lato può avere un effetto espansivo della concorrenza
che può essere apprezzato sul lungo termine.
Facciamo un esempio sul quale torneremo più avanti. Un accordo tipico all‟interno del
mercato sono gli accordi di distribuzione commerciale. Accordo fra un produttore e
un distributore di un determinato prodotto. Questi accordi normalmente prevedono
che il distributore si impegni a vendere una determinata parte del mercato, in una
determinata regione, in una determinata area territoriale, soltanto per prodotti di
quel determinato produttore.
Allo stesso tempo il produttore si obbliga a non fornire la distribuzione dei propri
prodotti ad altri distributori concorrenti. La situazione è molto più complicata, ma
sono previste clausole di esclusiva che sono restrittive della concorrenza. È più
conveniente che il distributore ha la possibilità di vendere più prodotti tra loro
concorrenti, omogenei per quanto riguarda i prezzi la qualità. È più conveniente che il
produttore si può avvalere di più produttori anche in una determinata area
territoriale.
Queste clausole di esclusiva sono restrittive della concorrenza, ma hanno anche
effetti espansivi della concorrenza, oppure possono determinare effetti che possono
determinare effetti positivi in termini di efficienza complessiva del sistema
economico. Facciamo, ritornando al nostro esempio, questa considerazione.
È chiaro che un distributore per attrarre la domanda deve offrire ai propri clienti
tutta una serie di servizi post vendita che non avrebbe interesse ad offrire nel caso
48
in cui vi fosse un altro distributore a cui non vi fosse consentito offrire i prodotti
senza una serie di servizi post vendita complementari e così via.
Il produttore si deve impegnare in determinate campagne pubblicitarie rispetto al
proprio prodotto e una attività promozionale che il distributore non avrebbe
interesse a porre in essere se questa possa anche andare a beneficio di altri
distributore che non hanno supportato gli investimenti connessi a questa attività
promozionale pubblicitaria. È razionale, efficiente che vi siano accordi di esclusiva che
vi sia una razionalizzazione della catena redistributiva di un determinato prodotto.
Questa razionalizzazione consente di effettuare quegli investimenti necessari per
promuovere quel determinato prodotto, per garantirne la qualità. In più evitare la
concorrenza limitatamente al prodotto di una determinata marca prodotta da un
determinato soggetto, può avere effetto espansivo della concorrenza fra prodotti che
hanno marche diverse, fra loro concorrenti.
Questi accordi limitano di distribuzione limitano la concorrenza intrabrand, cioè
all‟interno di una medesima marca, ma hanno un effetto espansivo della concorrenza
di prodotti fra più marche diverse, la concorrenza cosiddetta interband. Da questo
punto di vista le pratiche limitative della concorrenza vanno valutate con
ragionevolezza. Anche le situazioni monopolistiche o quasi monopolistiche hanno
vantaggi in termini di funzionamento del sistema economico complessivo.
Da qui la necessità di superare una concezione rigida della concorrenza perfetta e
arrivare alla concezione di concorrenza sostenibile (workable), che ammette anche in
qualche modo una riduzione del numero di imprese che operano su un determinato
mercato purché in qualche modo questo non riduca del tutto il livello di concorrenza
che vi è su un determinato mercato.
La riduzione del numero di imprese che operano sul mercato può consentire alle stesse
imprese di raggiungere un livello ottimale e sostanzialmente desiderabile e allo stesso
tempo consente di abbassare i costi della produzione e si può accompagnare con la
permanenza del mercato situazioni di concorrenzache sono comunque sostenibili.
Nella teoria economica si è fatta strada un‟altra concezione in base alla quale il
monopolio è una situazione che può essere tollerabile dal punto di vista concorrenziale:
è la teoria dei mercati contendibili.
È una teoria in base alla quale il monopolio è compatibile con un risultato efficiente dal
punto di vista allocativo. Concorrenza potenziale, in base a questa teoria economica si
era posto in evidenza come ciò che conta non è tanto il monopolio, il fatto che vi sia
all‟interno del mercato una impresa che ha una situazione di potere di mercato, ma il
problema è se questa impresa è protetta dalla concorrenza potenziale di altri soggetti
che potrebbero entrare sul mercato, su quel mercato che è monopolistico. Ciò che
conta sono le barriere all’entrata o all’uscita di un determinato mercato.
Se nel mercato non vi sono ostacoli all‟accesso da parte di imprese che vorrebbero
entrare, allora il monopolista sente la minaccia dei potenziali entranti e si comporterà
in modo efficiente dal punto di vista produttivo e dal punto di vista allocativo, si
49
comporterà come se il mercato fosse concorrenziale. Adotterà un prezzo vicino al
costo marginale, volto a scoraggiare l‟entrata di potenziali concorrenti sul mercato.
Ciò che conta non è tanto il fatto che il mercato sia in assetto monopolistico, piuttosto
bisogna verificare l‟assetto del mercato e se nel mercato sono presenti barriere
all‟entrata che proteggono il monopolista da una concorrenza potenziale, minaccia
all‟entrata dei concorrenti.
Occorre tenere conto che le legislazioni antitrust sfruttano il modo con cui vengono
poi concretamente applicate dalle istituzioni a cui è delegato il potere di applicarle.
Per esempio, come dicevo, il trattato prevedeva fin dall‟inizio tutta una serie di norme,
articoli 101 e 102, e prevedeva anche tutta una serie di norme che sostanzialmente
comportavano il controllo delle concentrazioni, quelle operazioni che comportano che
una impresa acquisti il controllo di un‟altra impresa e si riduca il numero di imprese
presenti sul mercato.
C‟è stata tutta una fase di applicazione in cui le concentrazioni sono state tollerate
per un lungo periodo di tempo. Si è in qualche modo, dal punto di vista della politica
economica, perseguito lo scopo di favorire la crescita dimensionale delle imprese in
modo che potessero essere maggiormente competitive e quindi le norme antitrust
sono state applicate, in particolare le norme sull‟abuso di posizione dominante sono
state applicate in modo da abolire situazioni di concentrazione o accrescimento del
potere economico da parte di determinate imprese.
Volendo considerare la legislazione comunitaria con quella USA occorre evidenziare
delle differenze e delle analogie. Le differenze sono nell‟impostazione delle due
legislazioni. Lo ShermanAct pone dei divieti rigidi, comportamento collusivo che in
qualsiasi modo abbia effetto restrittivo della concorrenza, qualsiasi cartello, pratica
concordata, comportamento collusivo che ha effetto di restringere la concorrenza è
vietato in base all‟articolo 1 dello ShermanAct, divieto posto in termini rigidi, assoluti
La legislazione comunitaria ammette delle deroghe ai divieti: concorrenza e abuso di
posizione dominante.
L‟assetto legislativo è sostanzialmente differente, però nel tempo i due sistemi
normativi si sono mossi in modo parallelo e convergente, sulla base dell‟interpretazione
giurisprudenziale che è stata data alle norme antitrust statunitensi.
A cosa mi riferisco? Al fatto che nel tempo questo, ai primi del 1900, questo divieto di
qualsiasi intesa restrittiva della concorrenza è stato temperato per via
giurisprudenziale. È stato temperato, uno dei più famosi casi è il Standard Oil del
1911, in cui i giudici hanno osservato che qualsiasi accordo comporta una limitazione
dell‟autonomia delle parti che sottoscrivono questo determinato contratto, accordo.
Qualsiasi contratto è restrittivo della sfera di autonomia delle parti, è in qualche
modo restrittivo della concorrenza.
La legislazione antitrust non può essere interpretata nel senso di vietare qualsiasi
accordo restrittivo della concorrenza, ma si tratta di verificare se questa restrizione
sia irragionevole o eccessiva, rispetto allo scopo economico perseguito dalle parti.
50
Vi sono delle giustificazioni economiche che stanno alla base dell‟accordo istitutivo
della concorrenza. Possono essere sostenute da una valida teoria economica o no? Qual
è lo scopo economico concretamente perseguito dalle parti? Danneggiare i
concorrenti, ostacolare la concorrenza, ovvero vi sono ragioni economiche?
Sostanzialmente viene introdotta nell‟applicazione del diritto antitrust statunitense
un principio di ragionevolezza che sostanzialmente demanda al giudice se un
determinato accordo, pur restrittivo della concorrenza, possa produrre degli effetti
pro concorrenziali, che in qualche modo siano tali da compensare il pregiudizio
arrecato alla libertà di mercato.
Si tratta di soppesare gli effetti restrittivi della concorrenza di un determinato
accordo, con gli effetti pro concorrenziali soppesati per vedere se le restrizioni della
concorrenza siano ragionevoli o irragionevoli alla luce di una analisi economica
specifica. Viene introdotto sostanzialmente, la cosiddetta rule of reason, principio di
ragionevolezza che comporta la conseguenza che qualsiasi fattispecie rilevante per il
diritto della concorrenza debba essere valutata sulla base di una attenta analisi
economica degli effetti di un determinato accordo o di una determinata pratica
restrittiva della concorrenza.
Non si tratta di applicare una disposizione di legge per vedere se il caso concreto
sottoposto all‟attenzione dei giudici dell‟autorità di sorveglianza presenti gli elementi
della fattispecie prevista dal legislatore, ma si tratta di condurre una analisi
economica complessa.
Ci sono delle intese restrittive ritenute meritevoli di condanna. Per esempio un
accordo tra due società produttrici di un determinato bene che ha l‟unico scopo di
fissare il prezzo di un determinato prodotto viene considerato come un accordo
restrittivo della concorrenza.
Vi sono accordi percepiti sulla base della legislazione, come palesemente restrittivi
della concorrenza e condannati a prescindere da qualsiasi analisi economica. Sono
accordi (prezzi, quote di mercato) considerati in prima fase come palesemente
anticoncorrenziali, spetterà alle parti dimostrare invece le virtù pro concorrenziali di
un determinato accordo.
Nel caso del diritto antitrust comunitario questa analisi di ragionevolezza è stata
introdotta anche legislativamente. Se prendiamo l‟articolo 101 del trattato abbiamo
che è organizzato in modo da prevedere un divieto e dei casi di inapplicabilità di
questo divieto, deroga al divieto. Il divieto è molto semplice: “Sono incompatibili con il
mercato interno e vietati tutti gli accordi fra imprese, tutte le decisioni di
associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il
commercio fra stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire,
restringere o falsare il gioco della concorrenza all‟interno del mercato interno”.
Dice che sono incompatibili accordi, decisioni di associazioni imprese (vedremo cosa
sono) , con le pratiche concordate che abbiano per oggetto od effetto, restringere un
effetto limitativo della concorrenza all‟interno di un mercato comune. Si pone un
divieto: di intese restrittive della concorrenza.
51
La seconda parte della disposizione prosegue, lo vedremo più avanti in modo analitico,
stabilendo una serie di fattispecie esemplificative di questi accordi limitativi della
concorrenza e dei loro effetti sui mercati.
Mettiamo in evidenza il paragrafo 3 del 101, deroga a intese restrittive della
concorrenza. Si dice che :” il divieto è inapplicabile a qualsiasi accordo, decisione,
pratica concordata… che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione
di prodotti o a promuovere il progresso tecnico od economico…”.
Volevo mettere in evidenza come l’intesa vietata può essere ritenuta compatibile
con il trattato se contribuisce a migliorare la produzione, distribuzione dei
prodotti per promuovere progresso tecnico economico. Si intende anche qua una
valutazione complessa della intesa restrittiva, in cui sostanzialmente l‟effetto
restrittivo dev‟essere soppesato con eventuali effetti positivi, eventuali
giustificazioni economiche della stessa intesa.
L‟intesa restrittiva va valutata nella sua interezza, considerando tutti gli effetti
egiustificazioni economiche alla base di una determinata intesa restrittiva della
concorrenza. L‟articolo 101 paragrafo 3 ammette questa valutazione complessa a
condizione che l’utile che consegue ad una determinata impresa restrittiva, debba
andare a beneficio degli utilizzatori, dei consumatori finali.
L‟effetto positivo deve riflettersi in un miglioramento della qualità dei prodotti,
riduzione dei prezzi, e deve tradursi in un beneficio completo per i consumatori finali.
Inoltre è necessario che questa intesa restrittiva non sia tale da eliminare la
concorrenza nel mercato, il prodotto di cui evidentemente si tratta. Sennò verrebbe
meno anche quella condizione di mantenere la concorrenza sostenibile sul mercato che
sta alla base dell‟applicazione del diritto anti trust del nostro ordinamento
comunitario.
Sostanzialmente il diritto anti trust pone dei divieti che vanno applicati sulla base di
una valutazione economica complessa che deve tenere conto degli effetti restrittivi di
un accordo, pratica concordata, e giustificazioni economiche in termini di efficienza
allocativa o produttiva dello stesso accordo.
Il problema che ci dobbiamo porre è quello delrapporto della disciplina della
concorrenza comunitaria e quello della concorrenza nazionale. Rapporto fra gli
articoli 101 e 102 del trattato e la legge antitrust nazionale.
Il rapporto è ovviamente di competenza. Vi sono delle fattispecie in qualche modo
sottoposte all‟applicazione della norma anti trust comunitaria e altre fattispecie
sottoposte a quelle antitrust del nostro ordinamento.
Occorre ricordare una cosa importante. Non abbiamo soltanto una disciplina generale
in materia antitrust (trattato e legge antitrust), ma abbiamo anche alcune discipline
speciali in materia di concorrenza previste in altre disposizione di legge, sulle quali
ritorneremo.
In particolare non solo la 287 1990, ma in alcuni settori si applica una disciplina anti
trust specificamente prevista: mi riferisco al settore dell‟editoria e
52
telecomunicazione
separatamente.
di
massa;settore
bancario
che
dobbiamo
considerare
19/03/2012
Stavamo parlando di diritto antitrustl‟ultima lezione, volevo un attimo anzitutto
riepilogare alcuni concetti generali che abbiamo visto. Oggi e domani parliamo delle
principali fattispecie, dobbiamo considerare i principali divieti previsti nell‟ambito
della legge anti trust.
Nel manuale che vi ho indicato per la preparazione dell‟esame queste diverse
fattispecie sono considerate in modo molto sintetico, quello che dirò nelle prossime
lezioni costituisce una integrazione di quello che è esposto nel manuale, si tratta di
cocetti generali che rendo in modo accessibile, sulla base di semplici appunti potete
preparare l‟esame.
Qual era la sintesi dei concetti? I divieti in materia antitrust sono due: divieto di
intese restrittive della concorrenza e di abuso della posizione dominante, sono
diretti a preservare un certo grado di concorrenza in un determinato mercato.
Abbiamo anche visto che l‟obiettivo è quello di mantenere un certo grado di
concorrenza che si risolve in un vantaggio per i consumatori, per gli utenti finali di
beni e servizi rilevanti per quel dato mercato che consideriamo.
Anche se vedere la concorrenza come una situazione di mercato che favorisce i
consumatori finali, è in qualche modo concepito diversamente all‟interno di alcune
scuole di teoria economica. Abbiamo visto come la concorrenza è un fenomeno
dinamico, una competizione, una gara che si sviluppa dinamicamente e che in certe
situazioni può anche essere utile che in certe fasi prevalgano condizioni non
pienamente concorrenziali ma vi sia la presenza di un operatore, di una impresa
dominante.
Questo per mettere in evidenza come tutela della concorrenza non significhi
mantenimento di una determinata struttura del mercato, ma è necessario che si tenga
conto di una evoluzione in senso produttivo, tecnologico, dello svolgimento di una
determinata attività economica. Le leggi in materia di concorrenza consentono di
garantire comunque una concorrenza sostenibile, workablecompetition, tendono a
preservare la legge antitrust.
Abbiamo visto anche come secondo altre scuole di pensiero l‟obiettivo della
legislazione è quello di garantire l‟efficienza allocativa e produttiva di un mercato. Va
considerato non soltanto l‟interesse dei consumatori finali, ma anche quello delle
imprese. Secondo la teoria della Scuola di Chicago in certe situazioni è desiderabile il
fatto che questo mercato si sviluppi in senso monopolistico od oligopolistico.
Questo rende sempre necessaria alla applicazione dei divieti anti trust una analisi
complessa. Una struttura del mercato può avere degli effetti sul livello dei prezzi,
qualità dei servizi e quantità prodotte, deve considerare l‟interesse dell‟impresa per
53
razionalizzare l‟assetto produttivo e così via. L‟applicazione dei divieti antitrust
implica una analisi complessa dei vari casi che possono essere sottoposti all‟attenzione
delle autorità preposte all‟applicazione del diritto antitrust.
Sono semplici i divieti, sono divieto di intesa restrittiva della concorrenza e divieto di
abuso della posizione dominante, accanto ai quali si pone una fattispecie oggetto non
tanto di divieto, bensì di controllo, quali le concentrazioni. L‟esempio più semplice è
quello di una impresa, una società che si compra un‟altra società, partecipazione di
controllo di un concorrente, operazione di acquisizione che ha un effetto
fondamentale: modificare la struttura di quel determinato mercato. Ciò influisce sul
numero di imprese presenti sul mercato per effetto dell‟operazione di concentrazione.
Effetto strutturale su un determinato mercato. Le concentrazioni sono sottoposte ad
un controllo preventivo. Si tratta di verificare se per effetto di quella determinata
concentrazione si mantenga un grado accettabile di concorrenza. Non sarà accettabile
dal punto di vista dell‟ordinamento una operazione che la riduca in modo significativo.
Accettabili quelle concentrazioni che consentono razionalizzazioni del sistema
produttivo e non riducono in modo significativo il grado di concorrenzialità del
mercato.
Un primo problema preliminare da affrontare è quello del rapporto fra la legislazione
anti trust comunitaria e quella nazionale. È un rapporto stabilito legislativamente.
Anzitutto cosa vuol dire rapporto fra diritto antitrust comunitario e diritto antitrust
nazionale? Di fronte ad una determinata fattispecie, attuo la legge 287/1990 o le
materie previste dal trattato o dai vari regolamenti comunitari.
Abbiamo una coesistenza tra due ordinamenti che disciplinano fattispecie identiche. I
criteri di ripartizione fra il diritto anti trust comunitario e nazionale sono stabiliti
dalla legge, in particolare l‟articolo 1 della legge 287.
Primo punto importante è il comma 4 dell’articolo 1 della legge: “l‟interpretazione
delle norme contenute nel presente titolo è effettuata in base ai principi
dell‟ordinamento delle comunità europee in materia di disciplina della concorrenza”.
Questa norma ci dice che anche qualora, ad una determinata fattispecie si applichi il
diritto nazionale (legge 287), l‟applicazione della legge nazionale dev‟essere fatta sulla
base dei principi antitrust stabiliti nel trattato. La nostra autorità di vigilanza,
l‟autorità garante, ma anche i giudici che sono chiamati ad applicare la norma
antitrust, e gli operatori del diritto, quando interpretano le disposizioni antitrust
nazionali devono sempre considerare i principi stabiliti dall‟ordinamento comunitario.
Principi che sono previsti nel trattato e vengono delineati dalla giurisprudenza
comunitaria (corte di giustizia) nella sua attività di applicazione delle norme anti trust.
L‟ordinamento comunitario serve anche per integrare il diritto antitrust nazionale;
cioè laddove vi siano delle fattispecie che non sono risolte univocamente in base al
diritto antitrust nazionale, è necessario cercarenella giurisprudenza della Corte di
Giustizia della commissione Europea quali principi bisogna applicare per quella
fattispecie.
54
Principio stabilito dal comma 4 articolo 1 della legge antitrust è un principio di
supremazia della legislazione comunitaria in materia anti trust. Il diritto anti trust
nazionale deve rispettare i diritti di quello comunitario. Non si può verificare un
contrasto tra l‟interpretazione di una norma a livello nazionale e l‟applicazione di quella
medesima norma a livello comunitario. Anche le autorità di controllo devono sempre
garantirne la coerenza rispetto ai principi del diritto comunitario.
In secondo luogo il rapporto fra legge anti trust nazionale e comunitaria è di
residualità. Questo rapporto viene enunciato al comma due dell’articolo 1 della legge,
dice: “l‟autorità garante della concorrenza e del mercato di cui all‟articolo 10, di
seguito denominata Autorità, qualora ritenga che una fattispecie al suo esame non
rientri nell‟ambito di applicazione della presente legge ai sensi del comma 1, ne informa
la commissione delle comunità europee, cui trasmette tutte le informazioni in suo
possesso”.
A sua volta il comma 1 della legge antitrust prevede che “le disposizioni della presente
legge…. si applicano alle intese, agli abusi di posizione dominante e alle concentrazioni
di imprese, che non ricadono nell‟ambito di applicazione del trattato…”.
Il diritto antitrust nazionale si applica nel caso in cui non si applica il diritto anti trust
comunitario. L‟applicazione del diritto antitrust nazionale è residuale rispetto al
diritto anti trust comunitario. Applicazione residuale, ma quando si applica l‟anti trust
comunitario? Questo è sostanzialmente previsto agli articoli 101 e 102 del trattato.
Gli articoli prevedono che il diritto comunitario si applichi quando una particolare
concentrazione o abuso di posizione dominante è idoneo a pregiudicare il commercio
fra gli stati membri. Una impresa, un cartello, ha un effetto anti concorrenziale
limitativo della concorrenza che interessa più stati membri, pregiudica il commercio
fra questi stati membri. Vi dev‟essere una dimensione comunitaria della fattispecie
anti concorrenziale. Se l‟effetto concorrenziale di una determinata impresa si risolve
all‟interno del mercato di un unico paese membro, allora si applica il diritto anti trust
di quel paese membro. Con un caso limite: quello dell‟intesa che dispieghi i suoi effetti
sul mercato nazionale che coincide con l‟intero territorio nazionale particolarmente
ampio, rilevante all‟interno del mercato unico.
In questi casi si ha pregiudizio al commercio fra gli stati membri. La fattispecie
rientra nella competenza del diritto comunitario. Il criterio della residualità si risolve
in questo modo. Quando l‟applicazione dell‟antitrust è residuale, solo quando la
fattispecie è idonea a pregiudicare il commercio fra gli stati membri.
Questo discorso è complicato ulteriormente dal fattoche come ormai è evidente,
articolo 1 del regolamento del 2003, l‟applicazione del diritto comunitario è demandata
alle autorità anti trust nazionale. Si applica il comunitario, ma lo applicano le autorità
nazionali, in Italia la Autorità Garante, in Germania un altro organo.
L‟autorità di vigilanza a livello comunitario è la Commissione europea, per evitare che
si moltiplichino casi sottoposti al suo esame ha optato, sulla base di una strategia
condivisa, per decentrare l‟applicazione dell‟anti trust comunitario fra le autorità di
controllo dei vari paesi membri.
55
Anche se si applica il diritto comunitario ci sarà una particolare fattispecie che sarà
chiamata ad applicare il diritto antitrust nazionale, l‟autorità garante. Qua anche in
base al principio di sussidiarietà, in base al quale la commissione europea, le istituzioni
non possono intervenire nel caso in cui determinati obiettivi non possano essere
realizzati dalle autorità nazionali.
L‟intervento si ha soltanto in caso di incapacità di realizzare determinati obiettivi
rilevanti all‟interno dell‟ordinamento comunitario. Teniamo presente un altro fatto
importante.
Le due fattispecie principali, il divieto di intese e l‟abuso di posizione dominante,
sono messe in modo identico nell‟ambito del trattato e della legge antitrust nazionale.
Se prendete l‟articolo 101 del trattato e l’articolo 2 della legge 287 vi rendete
conto che la formulazione è presso che identica, ugualmente si può dire per il divieto
di abuso di posizione dominante. I giudici sono chiamati ad applicare sia i fattori di
rilevanza comunitaria che di rilevanza nazionale,fattispecie sostanzialmente identiche.
Teniamo presente che anche per quanto concerne il divieto di intese, anche la deroga
vista prima, il fatto che possa essere consentita laddove determini effetti, dei
miglioramenti sul piano produttivo, sviluppo tecnologico, anche queste deroghe ormai
sono applicate dalle varie autorità antitrust nazionali.
Un tempo, prima del regolamento, per fruire della deroga, occorreva formulare una
domanda di deroga alla Commissione Europea, vi era una gestione centralizzata di
esenzioni al divieto di intese.
Si creava una situazione abbastanza strana. C‟era una autorità antitrust nazionale che
perseguiva alcune imprese che venivano accusate di aver perseguito un cartello, una
intesa vietata ai sensi del diritto anti trustnazionale, però queste imprese avevano una
richiesta di esenzione e la possibilità di perseguire le intese,era paralizzata dal fatto
che era stato iniziato un procedimento di esenzione. Questo problema è stato risolto,
ormai le autorità anti trust nazionali hanno una legittimazione ad applicare tutte le
disposizioni antitrust comunitarie.
Unica eccezione per le concentrazioni. Nel caso delle concentrazioni le competenze
sono basate su un criterio di tipo dimensionale. Se la concentrazione supera una
determinata dimensione quantitativa, soglie determinate sulla base del fatturato,
determinati valori di bilancio, allora è competente la Commissione europea. Se invece
la concentrazione si pone al di sotto di una determinata soglia, allora per controllare
quella concentrazione è competente l‟autorità antitrust nazionale.Abbiamo una
demarcazione più chiara e non si attua il principio di decentramento del diritto
antitrust comunitario che abbiamo visto attuarsi per quanto concerne il divieto di
intese e abuso di posizione dominante.
È chiaro che l‟ambito di questo principio di decentramento diventa importantenel caso
in cui le varie autorità nazionali ne diano una interpretazione ed una applicazione
uniforme. Vi sono in casi in cui la Commissione può avocare a se determinati
procedimenti che sono sottoposti all‟attenzione delle autorità antitrust nazionali.
56
Questo avviene in alcuni specifici casi. La commissione dice che una determinata
fattispecie deve essere decisa dalla stessa Commissione e non invece da quell‟autorità
nazionale che in via decentrata potrebbe decidere.
Avviene in alcuni specifici casi: innanzi tutto ad una fattispecie antitrust interessa
mercati per più di tre stati membri (dimensione comunitaria significativa), in secondo
luogo il modo in cui si tratta di gestione antitrustnuova, che pone problemi nuovi, per
la novità della questione è necessario che intervenga un soggetto di cui le autorità
nazionali terranno conto quando dovranno cimentarsi su un caso analogo o fattispecie
analoghe.
Terzo caso quando si sia creato un contrasto o mancanza di uniformità,
nell‟applicazione di disposizione del diritto antitrust. Se non vi è uniformità
interpretativa di determinate disposizioni in materia anti trust. La Commissione può
avocare il caso a sé per dare linee guida, per garantire uniformità.
La regola comunque è il principio di decentramento,in base al quale il diritto anti trust
viene applicato dalle autorità nazionali antitrust.
Veniamo alle intese restrittive della libertà di concorrenza (art. 2 e art. 101). Le
due disposizioni sono fondate in modo pressoché identico. Vi è un‟unica differenza.
Leggo l‟articolo 2 legge antitrust:
“Sono considerate intese gli accordi e/o le pratiche concordati tra imprese nonché le
deliberazioni , anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, i
consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari.
Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire
restringere o falsare in maniera consistenteil gioco della concorrenza all‟interno del
mercato nazionale o in una sua parte rilevante”.
Il secondo comma pone il divieto. La norma prosegue esemplificando una serie di
esempi di intese restrittive della concorrenza.
L‟articolo 101 sul trattato UE si esprime in modo simile: “Sono incompatibili con il
mercato interno e vietati tutti gli accordi fra imprese, tutte le decisioni di
associazioni di imprese, e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il
commercio fra stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto, di impedire,
restringere o falsare il gioco della concorrenza all‟interno del mercato interno…”
Più o meno le norme sono formulate in modo simile. Qual è la differenza? In ambito
dell‟articolo 2 comma due della legge antitrust l‟effetto restrittivo della concorrenza
dev‟essere consistente. Non si usa questo aggettivo all‟interno del 101 del trattato.
La cosa non è particolarmente significativa. Anche in base agli orientamenti della
commissione, non sono vietate le intese de minimis, che hanno importanza minore,
intervengono fra piccole e medie imprese.
Voi sapete che all‟interno della legislazione comunitaria vi è una definizione di PMI,
imprese che hanno meno di 250 dipendenti e non superano un certo fatturato. Anche
se queste PMI pongono in essere una fattispecie vietata, ai sensi della materia
antitrust non scatta il divieto proprio perché si tratta di intese che hanno un effetto
marginale all‟interno del mercato.
57
Ritorniamo alla nozione di intesa.Nell‟ambito della nozione di intesa rientrano una
serie di fattispecie, enunciate in termini simili dal trattato e legge antitrust.
Abbiamo:
- accordi fra imprese;
- pratiche concordate;
- decisioni di associazioni di imprese.
Nell‟ambito dell‟articolo 2 si parla di accordi, pratiche concordate tra imprese e
deliberazioni di associazioni di imprese.
Vediamo cosa significano queste tre fattispecie, c‟è un tratto caratterizzante:
qualsiasi intesa realizza concertazione fra soggetti che dovrebbero concorrere fra di
loro.
Qualisasi intesa rende priva di autonomia nelle proprie decisioni produttive, o di altro
genere rilevanti dal punto di vista economico, i soggetti che partecipano a questa
intesa e realizza una forma di coordinamento economico fra imprese che può avere un
effetto anti concorrenziale. Ciascuna impresa può decidere autonomamente la propria
condotta concorrenziale, di mercato, decidere autonomamente le condizioni della
propriaofferta di mercato.
Dal punto di vista dei benefici è chiaro che il soggetto che realizza l‟intesa non saprà
come si comporteranno i propri concorrenti. I soggetti che fanno parte dell‟intesa,
che stringono il cartello, sanno come si comporteranno i soggetti che partecipano al
caratello e rende possibile l‟adozione di pratiche commerciali uniformi, si può creare
una sorta di posizione dominante collettiva, da parte di tutti i soggetti, meglio potere
economico collettivo in capo a tutti i soggetti che fanno capo di questa intesa, i quali
potranno decidere caratteristiche di un determinato prodotto, condizioni di prezzo,
c‟è la possibilità di offrire un prezzo anche ad un livello superiore rispetto al mercato
concorrenziale.
L‟intesa realizza una forma di coordinamento esplicito o nascosto di imprese che
dovrebbero concorrere tra di loro. Gli strumenti per realizzare queste forme di
coordinamento sono i più diversi. Come abbiamo visto la legge antitrust ne menziona
tre.
Anzitutto i veri e propri accordi. Due o più concorrenti stipulano un accordo in cui
fissano condizioni economiche sulla cui base determinano la propria offerta di
mercato. Per essere vietato l‟accordo deve, come dice il trattato e la legge anti trust,
avere per oggetto o per effetto impedire/restringere/falsare il gioco della
concorrenza.
Nel caso degli accordi, dei contratti ci sono due ipotesi che si possono evidenziare.
Anzitutto che l‟‟oggetto della pattuizione tra le parti sia quello di fissare il prezzo e
così via. L‟accordo ha un oggetto anti concorrenziale. Ma non è necessario che questo
avvenga in tutti i casi. È anche sufficiente che l‟oggetto dell‟accordo sia diverso.
Ad esempio un accordo in materia di condivisionedi reti distributive; un accordo che
ha ad oggetto una determinata fase delle imprese che partecipano all‟accordo. Può
58
essere che l‟accordo che non ha oggetto anti concorrenziale, abbia effetti anti
concorrenziali. Nel sensoche nell‟esempio, se due concorrenti stipulano un contratto
per condividere una rete distributiva, per fare un consorzio o cose di questo genere,
l‟effetto può essere limitativo o distorsivo della concorrenza.
Altra fattispecie di intese restrittive della concorrenza è quella delle pratiche
concordate. Gli accordi sono normalmente dei contratti. Non è detto che si tratti di
contratti scritti, possono anche essere verbali, semplici manifestazioni d‟intenti, la
pratica concordata consiste in un comportamento imprenditoriale da parte
dell‟impresa che decide il comportamento consapevole del fatto che quel
comportamento costituisce un coordinamento consapevole con altre imprese, altri
concorrenti.
Decido di alzare il prezzo di un determinato prodotto, perché so che analogamente si
comporteranno i miei concorrenti. Si dev‟essere realizzata una qualche forma di
coordinamento fra imprese concorrenti, ci dev‟essere stato un qualche scambio di
informazioni, incontri, in cui hanno condiviso determinate informazioni commerciali,
hanno raggiunto una sorta di tacito accordo per avere una strategia commerciale, di
mercato.
È chiaro che le pratiche concordate sono difficili da affrontare. Bisogna fare
ispezioni, richieste di informazioni per capire se vi è stata questa forma produttiva,
scambio di informazioni che ha consentito questa forma di coordinamento nel
comportamento di imprese concorrenti.
In effetti, occorre distinguere fra pratiche concordate e semplici comportamenti
paralleli. Può anche darsi che nell‟ambito del mercato, si adottano pratiche
commerciali, strategie di prodotto simili, ma senzaessersi messi d‟accordo, senza farlo
nella convinzione che anche il concorrente agirà in modo simile, sulla base di decisioni
economiche autonome.
Si possono sul mercato determinare comportamenti paralleli, semplicemente perché la
struttura del mercato è concentrata, gli altri reagiscono in modo molto simile, ma
questo al di fuori di qualsiasi forma di coordinamento fra imprese che operano in un
determinato mercato.
Per distinguere fra pratica concordata e comportamento parallelo, all‟autorità di
controllo spetterà raggiungere una prova complicata,che vi è stato scambio di
informazioni, ci sono stati incontri fra le imprese che partecipano al cartello.
Terzo tipo di intesa sono le decisioni di associazioni di imprese. Ipotesi più residuale,
si riferisce in generale ad una manifestazione collettiva di volontà da parte di imprese
che aderiscono ad una medesima organizzazione, un consorzio, altre forme giuridiche
a cui le imprese possono partecipare.
Il caso più rilevante è quello delle associazioni che rappresentano categorie di
imprese, decisioni che vengono assunte dalle associazioni di categoria e associazioni
cui fanno parte delle categorie di imprese che rientrano in una certa categoria.
Esempio ABI/ANIA, sono associazioni di categoria. Queste sono associazioni di
categoria, come anche Confindustria. Ciascuna di queste associazioni può assumere
59
decisioni, deliberazioni, a cui i partecipanti si possono attenere. Può emanare, rendere
note lineedi comportamento, codici di condotta e così via. Queste decisioni possono
essere rilevanti sul piano antitrust, ed in alcuni casi lo sono anche state. Facciamo
altro esempio più particolare.
Anche gli ordini professionali sono associazioni di categoria i quali hanno adottato le
tariffe, adesso si parla di decreto delle liberalizzazioni, decisioni vincolanti per gli
aderenti agli ordini, decisioni che sono vincolanti e che quindi determinano il prezzo a
cui vengono erogate determinate prestazioni intellettuali. Impediscono che il prezzo
di una determinata prestazione possa formarsi in base ad un meccanismo
concorrenziale propriamente inteso.
Queste sono le fattispecie. In tutti i casi il soggetto dev‟essere una impresa, si può
applicare il diritto della concorrenza a soggetti definiti imprese. Sapete le
caratteristiche di impresa e nozione di imprenditore in base al codice civile, al 2082
del codice.
Non dobbiamo riferirci alla nozione di imprenditore, impresa valido nel nostro
ordinamento ma a quella di impresa che è valida nell‟ambito del diritto comunitario. Il
diritto comunitario prevale sul diritto nazionale nell‟ambito della concorrenza. Diventa
rilevante la nozione di impresa accettabile per le istituzioni comunitarie, nozione di
impresa che è stata elaborata dalla giurisprudenza comunitaria.
Occorre dire che la nozione di impresa nell‟ambito comunitario è molto più ampia di
quella del nostro ordinamento. In base al 2082 bisogna per essere qualificati come
imprenditori commerciali bisogna soddisfare alcuni requisiti. Nel diritto comunitario è
impresa qualsiasi entità che esercita una qualsiasi attività economica. Nozione molto
ampia. Quali sono i limiti a questa nozione? Molto semplice.
Quando non si è in presenza di una attività economica allora non si ha impresa. Il punto
focale è l‟economicità dell‟attività. Significa attività che è in grado di auto sostenersi,
che non ha bisogno dell‟apporto di economie terze, è una attività che si regge da sola.
Si ha attività economica tutte le volte in cui vi è offerta di beni e servizi offerti dal
mercato che in qualche modo vengono pagati, sono in grado di remunerare i costi che
l‟entità sopporta nell‟attività economica.
Attività è autosufficiente. Non è attività che in qualche modo è strutturalmente in
perdita. Le condizioni di prezzo vengono stabilite in base a criteri che non orientati
sui costi. Facciamo l‟esempio delle prestazioni previdenziali. I criteri di allocazione
delle prestazioni, le prestazioni vengono allocate molte volte non in base alla
disponibilità a pagare dei soggetti, ma molto spesso in base a criterio opposto.
Cittadini bisognosi.Non si ha attività economica, ma attività di erogazione.
Per sostenere lo svolgimento di questa attività vi sono erogazioni pubbliche attività
finanziate dallo Stato, dagli enti locali. Caso di attività economica guardo attività in
cui l‟offerta di beni e servizi è fatta in base a criteri di efficienza allocativa, tenendo
conto della propensione a pagare di soggetti che ricevono questi beni e questi servizi.
In base al diritto comunitario è assolutamente indifferente la forma giuridica
mediante la quale si svolge l‟attività economica. Non è necessario che l‟attività
60
economica sia svolta in forma imprenditoriale, da una società di capitali o di altro
genere. Impresa può essere anche ritrovata all‟interno delle PA. Caso nell‟ambito di
questa funzione di impresa in cui si è ritenuto che svolgesse una attività
imprenditoriale un ufficio di collocamento pubblico. In quel caso l‟ufficio di
collocamento tedesco seguiva criteri imprenditoriali.
In base al diritto comunitario sono anche imprese i singoli professionisti. Chi svolge
una attività di lavoro autonomo è considerato imprenditore in base all‟ordinamento
comunitario. Abbiamo tutta una serie di esempi nell‟ambito della giurisprudenza
comunitaria in cui determinate
figure che non sono considerate imprese
nell‟ordinamento nazionale lo sono per quello comunitario.
Altro tema su cui mi vorrei soffermare è se nell‟ambito del diritto comunitario sono
rilevanti le intese fra soggetti che fanno parte di un medesimo gruppo di imprese,
altre imprese, accordi infra gruppo. La conclusione è no, è chiaro che nell‟ambito di un
gruppo di società, per esempio la società controllata non è in grado di assumere delle
decisioni autonome.Abbiamo visto come tratto caratterizzante di tutte le intese è che
ciascuna intesa presuppone che l‟accordo intervenga fra soggetti che sono distinti tra
loro, ciascuno dei quali è in grado di svolgere scelte autonome in base al
comportamento imprenditoriale .Le decisioni in ultima istanza vengono decise dalla
capogruppo e le società che fanno parte del gruppo non sono più autonome dal punto di
vista imprenditoriale.
Una intesa per essere vietata ha per oggetto od effetto restringere limitare o
falsare la concorrenza. Ci sono accordi che hanno oggetti anti concorrenziali, ma vi
sono accordi in cui l‟impatto sulla concorrenza è semplicemente un effetto
dell‟accordo stesso.
Per valutare se un accordo che ha un oggetto diverso abbia effetto
anticoncorrenziale, è necessario definire di quale concorrenza stiamo parlando, qual è
il mercato rilevante per valutare se un determinato accordo ha un effetto
anticoncorrenziale.
Un accordo in materia di ricerca e sviluppo, di consorzi di acquisto, che hanno oggetti
diversi, hanno effetti anti concorrenziali? Si tratta di vedere qual è l‟effetto
dell‟accordo su quel determinato mercato. Diventa essenziale delimitare, circoscrivere
un mercato rilevante.
La nozione di mercato rilevante è importante nell‟ambito dell‟abuso di posizione
dominante. Per verificare se una determinata impresa ha una posizione dominante è
chiaro che bisogna vedere qual è il mercato su cui l‟impresa ha una posizione
dominante, rilievo economico. L‟individuazione del mercato rilevante è una delle
questioni più complesse. È una di quelle in cui si mette in rilievo l‟analisi economica. si
tratta di individuare il mercato sul piano sia merceologico che geografico. Mercato
rilevante? Dobbiamo distinguere fra mercato rilevante del prodotto e in senso
geografico.
Occorre rilevare il mercato rilevante del prodotto vedendo il lato della domanda
ovvero vedendo il lato dell‟offerta. È chiaro che dal lato della domanda è quel mercato
61
in cui i consumatori valutano come sostanzialmentesostituibili o interscambiabili
determinati prodotti, in base ad alcune caratteristiche, al prezzo di questi prodotti.
Mercato rilevante del prodotto dal lato della domanda è costituito da prodotti e
servizi non soltanto identici o affini, ma considerati come interscambiabili o
sostituibili dal lato della domanda dei consumatori.
Come si misura questa interscambiabilità del prodotto? Si misura adottando alcuni
test tipici dell‟analisi economica, ad esempio l’elasticità incrociata della domanda. Si
misura qual è la variazione della quantità domandata al variare di una determinata
percentuale del prezzo di un prodotto sostituibile.
Se i consumatori diminuiscono la propria propensione al consumo di un determinato
prodotto al variare delle condizioni di prezzo di altri prodotti, allora questi prodotti si
considerano sostituibili l‟uno con l‟altro. Se al variare di un euro del prezzo della Pepsi
la quantità di Coca Cola domandata aumenta, ciò significa che i prodotti sono tra loro
sostituibili e fanno parte dello stesso mercato di prodotto.
Si analizzano gli effetti e le variazioni tra loro sostituibili. Se variano le quantità
domandate, è chiaro che i consumatori considerano sostituibili questi prodotti.
La sostituibilità dei prodotti deve essere valutata in modo oggettivo. Da questo punto
di vista si utilizzano questi test, tipo elasticità incrociata della domanda, o si possono
fare anche valutazioni economiche più complesse. Si deve tenere conto delle
preferenze di determinate categorie di consumatori, del grado di fidelizzazione di
radicamento di un prodotto che può avere sul mercato.
Esempio può essere quello dei marchi celebri che diventano non sostituibili dal punto
di vista merceologico, della loro qualità.
Occorre anche considerare la sostituibilità del prodotto sul versante dell‟offerta. In
questo caso si valuta la capacità degli imprenditori di cambiare, di modificare
rapidamente il proprio processo produttivo al variare delle condizioni di mercato.
L‟imprenditore è più o meno in grado di cambiare il proprio l‟assetto produttivo in
modo da produrre un prodotto diverso quando variano le condizioni di mercato. Se la
risposta è si, i due prodotti fanno parte di uno stesso mercato. Se la risposta è no si
tratta di prodotti che fanno parte di mercati diversi.
Facciamo un esempio per capirci. Dal lato della domanda la carta che si usa
comunemente e la carta di particolare scelta, sono due prodotti diversi, soddisfano
due bisogni diversi e non sono sostituibili dal lato della domanda. Dal lato della offerta
può essere che il produttore senza eccessivi costi, al variare delle condizioni di
mercato della carta comune, può cominciare a produrre carta di maggiore qualità e
pregio. Avremo un unico mercato, dal lato dell‟offerta, costituito dalla carta di
maggiore pregio e carta che viene utilizzata ordinariamente.
Nel caso del mercato del prodotto si individua dal punto di vista del produttore costi
da sostenere dalla produzione di un certo tipo di prodotto alla produzione di un altro
tipo di prodotto. Se il produttore varia la propria offerta a fronte dei cambiamenti di
mercato, si troverà di fronte ad un unico mercato rilevante.
62
Il mercato rilevante non si individua solo considerando il prodotto ma anche
l’aspetto geografico. Una volta individuato il prodotto o serie di prodotti sostituibili
occorre anche considerare la dimensione geografica del mercato.
La vendita, la commercializzazione di un prodotto identico può avere tanti mercati
geografici distinti che possono avere un ambito più o meno vasto. Mercato nazionale, o
limitato ad una area geografica di un determinato stato, paese, dimensione europea o
anche mondiale.
Come si fa ad individuare il mercato rilevante? Guardo le condizioni concorrenziali
sulla cui base un prodotto è venduto su una determinata zona geografica. Se le
condizioni di prezzo, di qualità cambiano, allora le condizioni concorrenziali cambiano e
siamo in presenza di mercati geografici distinti.
Queste condizioni possono cambiare in ragione del diverso costo dei fattori
produttivi. In una determinata zona geografica il prezzo varia rispetto ad un‟altra
zona geografica perché variano le condizioni di determinati fattori produttivi, costi di
trasporto, delle materie prime, della manodopera e così via. Pur essendo di fronte ad
un medesimo prodotto cambiano le condizioni sulla cui base il prodotto è offerto su
quella zona geografica, cambiano le condizioni della competizione economica e quindi si
individua un mercato rilevante più o meno ampio dal punto di vista geografico.
La valutazione che deve essere posta in essere per individuare il mercato rilevante
sono particolarmente molto complesse. Le questioni anti trust spesso si risolvono su
questo piano. Quanto più è ristretto il mercato rilevante, tanto maggiore sarà
l‟effetto anti concorrenziale di una intesa. Da un certo punto di vista le imprese che
sono accusate, che vengono sospettate di aver posto in essere delle intese hanno
interesse ad ampliare il mercato posto in essere dall‟intesa.
I consumatori hanno invece interesse a circoscrivere il più possibile, delimitare il
mercato rilevante perché quanto più il mercato è ristretto, tanto più è probabile che
gli effetti di una determinata intesa siano maggiori.
20/03/2012
Abbiamo parlato di intese che hanno ad oggetto estinguere limitare o falsare la
concorrenza all‟interno di un mercato rilevante, sono vietate sia dall‟articolo 2 della
legge 287/1990 sia dall‟articolo 101 del trattato.
Abbiamo visto che l‟intesa si può manifestare in modi diversi. Coordinamento fra
imprese che dovrebbero concorrere tra loro all‟interno del mercato. Poi abbiamo visto
come sia essenziale,nell‟ambito dell‟applicazione di questo divieto, e dell‟applicazione
del divieto di abuso di posizione dominante, individuare il mercato nell‟ambito del quale
si manifesta l‟effetto anti concorrenziale di una determinataintesa.
Il mercato rilevante implica una analisi complessa del mercato sia dal punto di vista
dei prodotti che vengono percepiti come sostitutivi dai consumatori, sia sul piano della
capacità delle imprese di produrre un prodotto simile o analogo senza sopportare un
costo di conversione industriale.
63
Importante è anche l‟elemento geografico, la definizione di concorrenza che prevale
in un‟area geografica. Per quanto concerne la definizione di mercato rilevante, queste
analisi, sono analisi complesse; ci sono linee guida che vengono emanate sia dalla
Commissione europea, sia dalla nostra autorità antitrust e che servono come
parametri di riferimento, sia per le imprese e per il mercato in generale, che per la
definizione di mercato rilevante.
Bisogna affrontare un altro tema importante nel diritto antitrust, descrivere le
fattispecie vietate, i divieti, servono per capire come si articola il diritto antitrust
sul piano sostanziale dei comportamenti vietati.
Una fondamentale distinzione che vorrei fare, cui ho già accennato nell‟ambito della
tipologia delle intese, è la distinzione fra intese orizzontali e verticali.
Intese orizzontali (o cartelli) sono quegli accordi, pratiche concordate, realizzati da
imprese che sono poste allo stesso livello produttivo, tra concorrenti a tutti gli
effetti. Mentre le intese verticali sono quelle che intervengono tra imprese che non
concorrono perché sono posti a livelli diversi nella stessa filiera produttiva.
Facciamo un po‟ di esempi di intese verticali: un produttore e un distributore diretto.
Distributore può essere un distributore che ha una sua rete distributiva sul mercato
ma può anche essere un grossista.
Poi abbiamo un livello intermedio nella rete distributiva per un determinato
produttore, altri interventi in materia di franchising, è una vera e propria concessione
di vendita fra un produttore ed una serie di soggetti indipendenti che operano grazie
al contratto di franchising.
Tradizionalmente il divieto di intese restrittive si applica più facilmente alle intese
orizzontali, ai cartelli. Le intese orizzontali rappresentano il tipo di indicazione della
legge antitrust. Spesso sono soggetti che hanno per oggetto una restrizione della
concorrenza, una fissazione di prezzi, ripartizioni territoriali, accordi relativi alle
quantità che possono essere prodotte dalle singole imprese che fanno parte del
cartello. In questi casi l‟applicazione del divieto è indubbia.
Vi possono essere casi definibili come intese orizzontali ma giustificate sulla base di
motivazioni economiche diverse. Pensiamo agli accordi di cooperazione fra piccole e
medie imprese che cooperano fra loro nell‟ambito della ricerca e sviluppo. In questi
casi vi è una giustificazione economica solida per la conclusione di un accordo
orizzontale di questo genere. Le intese possono essere esentate in base
all‟applicazione del paragrafo 3 articolo 101 del trattato, o l’articolo 2 della legge
antitrust. Si tratta di intese con finalità di promozione, sviluppo e progresso
tecnologico.
A parte queste eccezioni, le intese orizzontali sono generalmente malviste neldiritto
antitrust. Discorso diverso per le intese verticali. Sono necessarie alle imprese che
producono e che operano a diversi livelli della catena produttiva, della filiera. È
necessario che un produttore si avvalga di una rete distributiva che può essere
propria, o di terzi per poter offrire i propri prodotti sul mercato.
64
Ovviamente le intese verticali da un lato occorre considerare che determinano effetti
di efficienza pro concorrenziali che vanno considerati quando si verifica se intese
verticali possono avere l‟effetto di restringere falsare o limitare la concorrenza in un
determinato mercato.
In più occorre tenere conto che le intese verticali hanno un effetto restrittivo della
concorrenza per quanto concerne un determinato prodotto. Capita spesso che il
produttore di un determinato prodotto chieda al distributore di essere il rivenditore
esclusivo di quel prodotto, ovvero soprattutto può capitare anche che il distributore
che ha una forza di mercato chieda al produttore di non avvalersi di altri distributori.
Vi sono accordi, clausole e pattuizioni restrittive dell‟autonomia delle parti,
impediscono al produttore determinati comportamenti. È su queste pattuizioni che
dobbiamo vedere se le clausole restrittive della concorrenza siano giustificabili o
meno. Occorre verificare, soppesare gli effetti pro concorrenziali e anti
concorrenziali complessivamente considerati su una determinata intesa verticale.
Si tratta di arrivare ad una conclusione. Se queste forme di coordinamento, intese
verticali fra produttori e distributori che si devono realizzare mediante l‟impiego di
queste clausole restrittive possano far conseguire vantaggi in termini di efficienza
che siano superiori rispetto alla restrizione della concorrenza che queste clausole
comportano.
Occorre considerare questo contesto, problema di free riding che si possono
determinare nell‟ambito della distribuzione di un determinato prodotto. Un
produttore, distributore non sia in grado di appropriarsi degli investimenti che ha
effettuato, può essere disincentivato da effettuare questi investimenti ed investire
in modo sub ottimale rispetto a quello che sarebbe necessario per far conoscere un
determinato prodotto.
Questo accade tutte le volte in cui vi sono più distributori di un medesimo prodotto di
una medesima marca che sono in grado di appropriarsi dei benefici generati
dall‟attività di investimento in termini promozionali, servizi di vendita, che sono posti
da uno o più distributori di un determinato prodotto. Ecco che per evitare questi
problemi di free riding, è naturale pensare che il produttore imponga al distributore
di non trattare prodotti della concorrenza in contropartita si impegna a
fareinvestimenti diretti alla promozione di un determinato prodotto.
È chiaro che se il distributore non fosse garantito da queste clausole di esclusiva
sarebbe disincentivato ad effettuare un ammontare di investimenti ottimale perché
sarebbe esposto alla possibilità di non avere alcun ritorno economico rispetto agli
investimenti effettuati.
Altra clausola che viene messa in questi contratti di distribuzione è quella delle
clausole di esclusiva territoriale, prevista a favore del distributore. Al distributore
viene concessa l‟esclusiva su una determinata area territoriale per quanto attiene la
distribuzione del prodotto di una determinata marca, area territoriale più o meno
ampia.
65
Questa clausola che ha un effetto limitativo della concorrenza può portare anche dei
benefici. Limita la concorrenza dei produttori di un medesimo marchio (concorrenza
intrabrend), ma favorisce la concorrenza della distribuzione di prodotti fra marche
diverse.
I distributori possono essere indotti ad offrire sul mercato prodotti di marche
diverse, in qualche modo queste clausole di protezione territoriale possono essere un
elemento indispensabile per consentire al distributore di offrire marche diverse.
Addirittura un‟esclusiva territoriale può essere necessaria tutte le volte in cui si
tratta di offrire sul mercato un nuovo prodotto. Se si tratta di un prodotto innovativo
distributore non si avventurerà nella promozione del nuovo prodotto a meno che non
sia coperto da una forte protezione di esclusiva territoriale.
In qualche modo vi sono tutta una serie di considerazioni che devono essere tenute
presente quando si valutano le intese verticali, si tratta sempre di soppesare gli
effetti anticoncorrenziali delle intese verticali con gli effetti pro concorrenziali.
Questa valutazione complessa può creare delleincertezze nelle imprese che operano
sul mercato. Le imprese possono dire: stiamo imponendo clausole eccessive rispetto a
quello che è necessario per ottenere determinati benefici e vantaggi economici.
Questo è il motivo per cui all‟interno dell‟ordinamento comunitario e degli ordinamenti
nazionali, come vedremo fra breve, si è sviluppata una tecnica legislativa innovativa,
quella delle esenzioni per categoria.
Nel corso del tempo la Commissione ha emanato una serie di regolamenti di esenzione,
accordi di intese verticali, le imprese si possono confrontare con un testo legislativo
per verificare se le clausole contenute nel specifico contratto sottoscritto siano
conformi a questo specifico regolamento.
Prima di arrivare al tema delle esenzioni per categoria bisogna considerare la seconda
parte dell‟articolo 101 del trattato e dell’articolo 2 della legge antitrust. In questa
seconda parte vi sono alcune lettere in cui sono esemplificati esempi di intese
restrittive della concorrenza, le cosiddette fattispecie tipiche, quelle che il
legislatore ritiene restrittive della concorrenza.
Un primo esempio è quello di accordi, intese, consistenti nel fissare direttamente,
leggo l‟articolo 101 lettera a “fissare direttamente o indirettamente prezzi di
acquisto o vendita, ovvero altre condizioni di transazione”. Questa è l‟ipotesi di intesa
restrittiva della concorrenza per eccellenza. Queste intese che hanno questo
oggetto, le fissazioni dei prezzi sono sempre vietate.
Abbiamo una pratica che consiste nella raccomandazione del prezzo di vendita di un
determinato prodotto. Abbiamo due esempi. Il produttore impone al distributore di
praticare un certo prezzo di vendita (pricemaintenance), ovvero semplicemente gli
raccomanda determinate pratiche di prezzo.
La seconda fattispecie, lettera b, consiste nel “limitare o controllare la produzione,
gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti”. Qua abbiamo una serie di ipotesi, si
tratta di ipotesi di intese che hanno ad oggetto restrizioni quantitative dell‟output tra
imprese concorrenti. Nel caso delle intese verticali abbiamo i casi in cui si impone ad
66
un produttore di materia prima impone ad una certa impresa di fornirsi
esclusivamente presso di lui. Un accordo di questo genere ha l‟effetto di limitare gli
sbocchi sul mercato da parte di produttori diversi.
Questo tipo di intese sono vietate. È chiaro che si possono adottare tecniche più
sofisticate per raggiungere questo obiettivo. Possono,anziché clausole di esclusiva,
essere applicate clausole di sconto fedeltà, cioè tanto io compro quantità di prodotto
che compro da un determinato fornitore, tanto più diminuiscono le condizioni di
prezzo di un determinato prodotto. Non è prevista l‟esclusiva ma l‟effetto economico è
sostanzialmente equivalente.
Terza fattispecie tipica consiste nelle intese che hanno ad oggetto ripartire nel
mercato le fonti di approvvigionamento. Ritorniamo nel tema che accennavo in
precedenza. È chiaro che se è tesa ad oggetto l‟alienazione dei mercati di
approvvigionamento ed ha ad oggetto una intesa verticale, questa è una intesa vietata,
si giustifica molto raramente a livello di intese orizzontali. Il fatto che sono intese
verticale occorre considerare gli effetti positivi che vengono considerati quando si
valutano clausole di esclusiva di protezione territoriale che vengono inserite in queste
intese verticali.
Per evitare le complessità determinate dall‟analisi di ciascuna clausola che viene
inserita nel contratto di intesa verticale, contratto di distribuzione in relazione agli
effetti anti concorrenziali, il legislatore comunitario ha adottato la tecnica che
prevede questi regolamenti per categoria.
Facciamo un passo indietro. Abbiamo già parlato del comma 3 articolo 101 del trattato,
ovvero l‟articolo 2 della legge antitrust in cui si prevede la possibilità di esentare
specifici accordi, intese restrittive della concorrenza in determinate ipotesi. Questo
meccanismo è di esenzione individuale. Occorreva richiedere alla commissione che le
imprese coinvolte in questo contratto richiedessero di essere esentate all‟applicazione
del divieto di intese restrittive in considerazione a tutta una serie di vantaggi
economici che l‟intesa stessa presentasse.
Questo meccanismo di esenzione individuale èradicalmente complesso, allo stesso
tempo, è difficile anche ipotizzare che le singole imprese che stipulano una intesa
verticale siano in grado di valutare autonomamente se gli effetti pro concorrenziali
dell‟intesa siano sono in qualche modo superiori, complessivamente considerati
rispetto agli effetti restrittivi della concorrenza.
Da qua la scelta di emanare questi regolamenti per categoria in cui vengano
considerate categorie di accordi, negli anni 1990 erano stati emanati 4 regolamenti
di esenzione per categoria, in materia di accordi di esenzione per categoria di
acquisto, approvvigionamento esclusivo, per contratti di franchising. Esenzione di
categoria per la distribuzione di autoveicoli.
Qual è la tecnica del legislatore comunitario? Venivano fatte liste di elenchi, di
clausole e in una determinata lista c‟erano le clausole che il legislatore comunitario
risultava compatibili con il divieto di intese nel trattato, clausole che rientrano nella
67
cosiddetta, e clausole che venivano considerate come incompatibili, non meritevoli di
esenzione ai sensi dell‟articolo 81, la lista nera.
Ogni impresa doveva confrontare il testo del contratto che doveva concludere con il
regolamento di esenzione. Se il contratto specifico non prevedeva clausole che erano
inserite nella lista nera, aveva ragionevole motivo per ritenere che quel contratto
avrebbe potuto formulare oggetto di esenzione ai sensi del paragrafo 3 articolo 101.
Questi regolamenti di esenzione per categoria implicavano che le imprese dovessero
valutare la conformità del proprio specifico contratto con i regolamenti di esenzioni
ed in caso di dubbio dovessero avere una esenzione puntuale del proprio specifico
accordo. Questo ha portato innovazione per la legislazione comunitaria.
Si è arrivati al regolamento 2790/1999 regolamento generale in materia di intese
verticali, in cui (a parte il regolamento di distribuzione per categoria di autoveicoli)in
tutti i vari regolamenti di esenzione sono stati accorpati ma soprattutto è stata
prevista sostanzialmente una sorta di presunzione di legalità in favore di tutti quegli
accordi, intese verticali in cui non compaiono clausole comprese nella lista nera che
compare nel regolamento 2790. Questo semplifica molto la vita delle impreseOpera una presunzione di legalità nell‟intesa verticale che preveda clausole
sostanzialmente vietate. È un riconoscimento automatico dell‟esenzione a favore di
queste intese verticali.
La seconda condizione da soddisfare per beneficiare di questa sorta di esenzione
automatica, è che il produttore, l‟impresa produttrice non abbia una quota di
mercato superiore al 30%.
Nel regolamento sono previste altre clausole, che rendono vietato il contratto,
l‟intesa, indipendentemente dalla quota di mercato posseduta dal produttore o anche
dal distributore. Sono clausole che sono vietate in tutti casi, anche se l‟intesa
verticale opera tra soggetti che hanno una quota di mercato piccola. Queste clausole
riguardano sostanzialmente la fissazione dei prezzi, oppure clausole che favoriscono
una compattazione rigida dei mercati, clausole che impediscono al distributore di
rivendere a terzi pezzi di ricambio di un determinato prodotto.
Un‟altra fattispecie è quella della lettera d articolo 101 del trattato: “applicare, nei
rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni
equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza”.
In questo caso, nella dottrina antitrust si parla di pratiche discriminanti. Abbiamo
accordi, intese verticali, dove c‟è il produttore che discrimina i propri distributori. Lo
fa escludendo alcuni distributori dalla propria rete commerciale e favorendone altri.
Si tratta di verificare se queste pratiche siano giustificate o meno. Anche qua si
tratta di valutare se vi sia una effettiva proporzionalità tra le condizioni commerciali
oppure che vengono accordate ad un altro soggetto a fronte dei costi che possono
essere affrontati nelle varie diverse situazioni.
Caso più grave è il cosiddetto boicottaggio. In consa consiste? Consiste nel rifiuto
concertato da parte di tutta una serie di produttori nel rifornire il prodotto ad una
determinata impresa, con effetto di escludere questa impresa dal mercato; questa è
68
la forma più grave che non ha alcuna giustificazione economica se non quella di
escludere quel soggetto dal mercato.
Abbiamo anche una forma più generale, pratica discriminante consiste nella
distribuzione selettiva. Il produttore si sceglie i propri distributori nel caso di
distribuire prodotti che hanno particolari caratteristiche, qualità e che necessitano di
particolari servizi post vendita o di altre specifiche professionalità in capo ai
distributori e così via. In questi casi la distribuzione selettiva è ammissibile a
condizione che il criterio di scegliere il produttore sia obiettivo e predeterminato.
Altro esempio consiste, articolo 101 lettera e: “subordinare la conclusione di
contratti all‟accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari
che per loro natura o secondo gli usi commerciali non abbiano alcun nesso con l‟oggetto
dei contratti stessi”.
È la pratica delle cosiddette clausole gemellate. vi è un soggetto che dice ti vendo il
prodotto a condizione che tu compri un altro prodotto da me offerto, ovvero ti
avvalga di altri servizi da me offerti che non abbiano alcuna connessione, sul piano
economico, col prodotto venduto. Questa fattispecie è più rilevante nell‟ambito
dell‟abuso di posizione dominante, e quindi la considereremo brevemente in quella
sede.
Occorre invece considerare che queste fattispecie tipiche qui ricordate, la fissazione
dei prezzi, gli accordi che hanno ad oggetto la limitazione della produzione o la
ripartizione dei mercati, le clausole discriminatorie o le clausole gemellate sono
indicate in modo semplificativo da parte del legislatore comunitario e nazionale.
Possono esserci fattispecie che non si ricollegano a quelle previste dal legislatore.
Nella prassi applicativa delle società sono in rilievo una serie di ulteriori fattispecie,
fra cui le pratiche facilitanti. Cosa sono? Sono forme di coordinamento sottili che si
attuano fra imprese concorrenti e che facilitano il fatto che vengano poste in essere
comportamenti commerciali sostanzialmente uniformi e allineati.
Caso famoso nel settore delle assicurazioni per di RC AUTO, venuto in rilievo in
seguito ad accertamenti da parte dell‟attività garante di un sistema complesso che
preveda uno scambio di informazioni fra le principali compagnie assicurative che
facilitava la possibilità delle stesse compagnie di fissare condizioni omogenee nei
confronti dei propri clienti, ovvero ancora i concorrenti nell‟ambito di un determinato
possono coordinare l‟applicazione di schemi comuni da applicare per la determinazione
del prezzo di un determinato prodotto. Caso che avviene nella distribuzione dei
carburanti, schemi comuni per determinare gli aumenti e riduzioni del prezzo di
vendita al dettaglio di carburanti.
In questo caso l‟accordo era quello di riferirsi ad uno schema comune, ad un
meccanismo di calcolo comune per l‟applicazione del prezzo di vendita del prodotto.
Oltre al regolamento generale del 2790 che poi è stato modificato più volte da parte
della commissione europea, vi sono alcuni regolamenti di esenzione per quanto
concerne gli accordi verticali. Regolamento generale di esenzione per quanto concerne
le intese verticali.
69
Nel caso degli accordi orizzontali abbiamo due regolamenti generali di esenzione, del
2000. Uno concerne gli accordi di specializzazione in cui l‟oggetto dell‟intesa è quello ,
tra due soggetti concorrenti, di favorire la specializzazione di questi soggetti
nell‟ambito di determinati prodotti servizi, con la rinuncia a produrre determinati
prodotti, servizi beni.
Il secondo un regolamento di esenzione è quello degli accordi in materia di ricerca e
sviluppo, le imprese e i concorrenti si accordano per sviluppare congiuntamente un
determinato prodotto, cercando di ridurre i costi in termini di ricerca e sviluppo.
Con ciò possiamo ritenere esaurito il tema del divieto di intese. Vi consiglio
sicuramente di vedere gli appunti rileggendo il 101 del trattato e l‟articolo 2 della
legge antitrust, è necessario sapere di cosa si parla quando si parla di intese
restrittive della concorrenza.
Indicazioni in base all’ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE. La fattispecie è
prevista dall‟articolo 102 del trattato e articolo 3 della 287/1990. Occorre
individuare un mercato rilevante, si può manifestare questo abuso.
L‟articolo 102 del trattato, al primo comma, dice che: “è incompatibile con il mercato
interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra
Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione
dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo”.
Occorre individuare un mercato rilevante in cui si può manifestare questo abuso di
posizione dominante.
3 della legge anti trust dice invece che: “ è vietato l‟abuso da parte di una o più
imprese di una posizione dominante all‟interno del mercato nazionale o in una sua parte
rilevante…” . Le disposizioni poi proseguono elencando tutta una fattispecie tipica di
abuso di posizione dominante. Chiediamoci innanzitutto di cosa stiamo parlando quando
si tratta quando si parla di abuso di posizione dominante.
Primo punto da mettere in rilievo è questo. Sia a livello antitrust comunitario che
nazionale non è vietato tanto il fatto per l‟impresa di detenere una posizione
dominante in un determinato mercato, ma il fatto che questa impresa che detiene la
posizione dominante sul mercato ne abusi, che attui comportamenti economici abusivi
di questa posizione dominante.
Nel diritto antitrust è tollerato il fatto che l‟impresa possa detenere la posizione
dominante in un determinato mercato. Cosa vuol dire posizione dominante? A livello di
consenso posizione dominante vuol dire che l‟impresa ha una posizione di forza, di
potere economico in un determinato mercato, detiene per esempio una quota di
mercato particolarmente significativa.
In effetti la nozione di posizione dominante non è definita bene nella legislazione anti
trust comunitaria e nazionale, ma è stata individuata nella giurisprudenza una
sentenza in questo settore, caso OffmanLarosche, secondo cui la posizione dominante
corrisponde ad una posizione di prevalenza economica grazie alla quale l‟impresa che la
detiene è in grado di ostacolare la concorrenza effettiva di un mercato in questione e
70
dà possibilità di tenere comportamenti alquanto incompetenti nei confronti dei suoi
concorrenti, dei sui clienti ed in definitiva, dei suoi consumatori.
Riassumo. C‟è una impresa che ha una posizione e un particolare potere economico in un
determinato mercato. In base a questa posizione di potere economico che può avere
diverse clausole, è in grado di ostacolare il fatto che su quel mercato si sviluppi una
concorrenza effettiva, e dall‟altro grado è in grado di detenere comportamenti
indipendenti rispetto a quello dei clienti, consumatori finali, ovvero quello dei
concorrenti.
Modifica per esempio le quantità prodotte al variare delle condizioni di prezzo.
Sostanzialmente è in grado di decidere unilateralmente la propria politica commerciale
indipendentemente dal comportamento dei concorrenti, dei clienti.
Questa posizione di potere economico, posizione dominante, può essere acquisita in
molte maniere da parete della impresa. Può essere acquisita in forza di una superiore
efficienza dell‟impresa che arriva a detenere la posizione dominante, crescita
endogena. L‟impresa cresce in forza della propria organizzazione, capacità produttiva,
innovazioni di prodotto. Tanti fattori che sono assolutamente leciti, anche promossi
anche dall‟ordinamento antitrust.
Vi sono poi modi diversi di crescita, crescita esogena, tramite acquisizione attingendo
ad economie di imprese terze, crescita dimensionale in cui le quote di mercato di una
determinata impresa crescono attingendo ad economie di terzi, comprandosi
concorrenti, quote di mercato.
Il raggiungimento di una posizione dominante con la crescita è sottoposta ad un
controllo da parte dell‟autorità antitrust, di questo parleremo quando affronteremo il
tema delle concentrazioni. Quale che sia il motivo, le cause che hanno determinato il
raggiungimento di una posizione dominante da parte di una determinata impresa, ciò
che conta è che una volta che questa impresa ha raggiunto una posizione dominante e
mantiene comportamenti indipendenti rispetto ai concorrenti, questa si deve
comportare in una certa maniera.
La posizione dominante comporta una speciale responsabilità in capo alla impresa che
la detiene. Le impone di tenere comportamenti che sarebbero generalmente consentiti
in un mercato effettivamente concorrenziale, ma che vengono ritenuti abusivi in un
mercato che non è concorrenziale, perché c‟è una impresa che ha una posizione di
potere economico.
Tenete presente che non solo non è vietato detenere una posizione dominante (ciò che
è vietato è abusarne), ma anche la conseguenza sanzionatoria dell‟abuso non è tanto lo
smantellamento della posizione dominante, vedremo poi parlando di sanzioni antitrust,
se una impresa in posizione dominante si espone a conseguenze di tipo risarcitorio, a
sanzioni pecuniarie d‟altro genere. La legislazione non prevede che la posizione
dominante debba essere smantellata in modo da riavere la posizione concorrenziale su
quel mercato.
Definita la nozione di posizione dominante, il primo problema che si pone è accertare
quando una impresa detiene una posizione dominante.
71
Vi è una definizione molto generica che consente all‟impresa di evitare la concorrenza
sul mercato e di comportarsi in modo indipendente rispetto ai propri concorrenti e ai
consumatori finali.
Ma come si fa ad accertare se ricorrono queste condizioni? Anche qua nel corso del
tempo le istituzioni comunitarie, in particolare la Commissione europea, ha emanato
linee guida che servono per orientare le attività di indagine che devono essere svolte
per accertare la posizione dominante.
Bisogna individuare il mercato rilevante. Ricordiamo le analisi che devono essere
effettuati ai fini della definizione di mercato rilevante. Teniamo presente che vi è
una tendenza sempre più forte alla frammentazione dei cosiddetti mercati rilevanti.
In molti casi è stato ritenuto dalle autorità antitrust nazionali e comunitarie che un
produttore sia in posizione dominante rispetto alla produzione dei propri prodotti. Vi
sono casi limiti in cui si ritiene che un mercato rilevante coincida con un singolo
prodotto singolo prodotto di un determinato produttore distinto da una particolare
marca.Questo è vero per quanto concerne produzione di pezzi di ricambio di un
prodotto in cui il produttore è in posizione dominante.
Il produttore del mercato principale è in posizione dominante rispetto al mercato dei
prodotti di ricambio dei prodotti. Per l‟abuso di posizione dominante non è solo
necessario individuare il mercato rilevante, ma è necessario anche individuare i
cosiddetti mercati collegati.
Quali sono i mercati collegati? Sono i mercati posti a monte o a valle del mercato in
cui una determinata impresa è in posizione dominante, è in cui è possibile che questa
impresa possa espandere la propria attività, la propria presenza.
Facciamo l‟esempio, su cui dovremo soffermarci più avanti. Caso classico è quello del
servizio postale. Vi è il servizio pubblico garantito a tutti i cittadini, corrispondenza
ordinaria, e poi una serie di servizi (corriere espresso, rapido) distinti, che formano
un mercato distinto rispetto a quello rilevante. Nell‟ambito delle analisi che dobbiamo
effettuare vi è il problema di verificare se una impresa dominante in un determinato
mercato ponga in essere pratiche abusive per ostacolare la concorrenza in mercanti
collegati rispetto a quello in cui ha una posizione dominante.
Ove questo accada, questo viene considerato un tipico esempio di abuso. L‟abuso non è
solo quello che si manifesta nel mercato in cui l‟impresa ha una posizione dominante ma
si determina anche nei mercati collegati.
Questo è importante per quando valuteremo i servizi pubblici infrastrutturali, quelli in
cui nelle attività di servizio pubblico c‟è la presenza di infrastrutture, di reti che
ostacolano la struttura concorrenziale del mercato.
26/3/2012
Stavamo parlando di abuso di posizione dominante. Abbiamo visto come la definizione
di mercato rilevante è importante ai fini della individuazione di una posizione
dominante di una determinata impresa, e come per individuare questo mercato
72
rilevante si utilizzano alcuni indici,ad esempio il grado di sostituibilità dei prodotti, o
determinate scelte di consumo considerando la prospettiva delle preferenze dei
consumatori un determinato prodotto non è sostituibile con un altro per
caratteristiche di riconoscibilità, di marchio, e così via.
Vi sono altri casi in cui si ritiene che una impresa che ha una quota di mercato
abbastanza piccola nell‟ambito del mercato di un certo prodotto, sia dominante nel
mercato contiguo, a valle, collegato della rivendita della struttura dei pezzi di
ricambio di un determinato prodotto. Questo ci fa comprendere anche come
nell‟ambito dell‟abuso di posizione dominante sia importante la nozione di mercato
collegato.
Sono quei mercati in cui una impresa in posizione dominante può espandere la propria
offerta. Come vedremo nel settore dei servizi pubblici, la nozione di mercato
collegato è particolarmente rilevante: riguarda quei mercati caratterizzati dalla
presenza di infrastrutture fisse particolarmente significative: reti, impianti
infrastrutturali, che sono la conseguenza della realizzazione di consistenti
investimenti da parte di una determinata impresa.
In questo caso il mercato relativo alla struttura è di tipo monopolistico,
l‟infrastruttura non può essere realizzata a costi socialmente sostenibili e chi gestisce
quelle infrastrutture è il monopolista. Ciò non toglie che l‟impresa monopolista possa
espandere la propria posizione di monopolio (per ostacolare la concorrenza) anche in
mercati a valle rispetto a quelli della gestione monopolistica.
Esempio: l‟impresa monopolista in regime di monopolio che detiene un‟ infrastruttura
delle reti che servono per la gestione dei servizi della telefonia mobile o anche per
telefonia fissa (cavi), può avere un interesse ad espandere la propria posizione di
monopolio, anche nel mercato a valle dell‟offerta dei servizi di telecomunicazione
mobile.
Questo avviene offrendo ai soggetti che intendono usufruire di servizi di telefonia
mobile, condizioni discriminatorie e irragionevoli e così via. Questo per dire che una
fattispecie molto usale, diffusa di abuso di posizione dominanteconsiste nel fatto che
l‟impresa in posizione dominante in un determinato mercato cerca di ostacolare la
concorrenza o impedirne lo sviluppo in un mercato a valle o a monte rispetto a quello in
cui è in posizione dominante, sfruttando la posizione di potere economico di cui gode in
conseguenza del fatto di essere titolare di diritti su infrastrutture necessarie per
svolgere un determinato servizio nel mercato a valle.
Come vedremo la progressiva liberalizzazione che si è sviluppata nel settore dei
servizi pubblici ha dovuto fare i conti con questa circostanza di fatto. Ci sono
segmenti che non possono essere aperti ad un regime concorrenziale. Da qui la
necessità di regolamentare determinate fasi dello svolgimento di queste attività per
quanto concerne l‟accesso da parte delle imprese a impianti, reti e infrastrutture che
non sono duplicate.
Detto questo, inizio un tema su cui torneremo più avanti, adesso stiamo parlando di
posizione dominante dal lato dell’offerta di determinati beni. Vi sono poi dei casi di
73
posizione dominante dal lato della domanda. Chi compra un determinato bene può
avere una posizione dominane proprio come acquirente, è il caso del monopsonio. Ci
sono casi che riguardano il settore della grande distributore: alcuni distributori
avevano creato una centrale di acquisti comunitaria in grado di influenzare in modo
pesante le posizioni di acquisto di determinati prodotti.
Vi sono addirittura casi dimonopolio bilaterale. C‟è stato un caso considerato
dall‟autorità antitrust in cui si fronteggiavano due sole imprese in posizione dominante
nella loro contrattazione. E cioè ferrovie dello stato ed una impresa che era
dominante nel mercato della fornitura del materiale rotabile.
Posizione dominante vuol dire abuso di posizione di potere economico, consente
all‟impresa di agire in modo incompetente senza tenere conto del comportamento dei
propri clienti o anche dei propri concorrenti. È chiaro che una volta individuato il
mercato rilevante è necessario ricorrere a determinati indici. Quello più utilizzato,
anche per circoscrivere la direzionalità della maggioranza è vedere la quota di
mercato che una determinata impresa detiene su un certo mercato.
Sono state emanate varie comunicazioni, linee guida si ritiene che si ha una posizione
dominante attorno ad una quota superiore al 70% di un determinato mercato. Vi è una
sorta di presunzione assoluta di posizione dominante se la quota di mercato è
superiore al 70%.
Per quote inferiori a questa soglia, sono quote uguali o inferiori del 40%. Per quote
inferiori a questa soglia, spesso non si riconosce una posizione dominante all‟interno
del mercatoma bisogna fare una analisi più attenta del mercato per vedere se vi siano
situazioni oligopolistiche, la cosiddetta posizione dominante collettiva, detenuta da
più imprese contemporaneamente.
Imprese che detengono quote di mercato significative tra il 70 e 40%, occorre per
individuare la posizione dominante, considerare altri elementi per verificare se in
effetti quella impresa che ha una quota di mercato consistente ha dei punti di forza
che le conferiscono questa situazione di potere economico. Bisognerà considerare il
numero dei concorrenti, la loro forza sul mercato, la possibilità di concorrenza
potenziale su un determinato mercato.
Il fatto che vi siano barriere all’entrata significative. Una impresa in posizione
dominante detiene determinati diritti di proprietà industriale, un brevetto che è
necessario per produrre un determinato prodotto. È chiaro che in questo caso
l‟accesso su quel mercato è condizionato dal fatto di avere diritti di sfruttamento di
un determinato brevetto ovvero di brevetti similari.
Da questo punto di vista può essere rilevante considerare se la quota di mercato
detenuta da una determinata impresa è più o meno stabile. Se la quota di mercato
rimane invariata nel tempo può esserci presunzione di posizione dominante.
Altro punto importante che dobbiamo considerare se l‟impresa è in grado di attingere
risorse al di fuori di un determinato mercato per sostenere la propria offerta,
parliamo dei cosiddettisussidi incrociati.
74
Cosa sono i sussidi incrociati? Parliamo del fatto che una impresa che opera in più
settori produttivi è in grado di sussidiare l‟offerta di un determinato mercato con i
ricavi, gli utili, che produce in un altro mercato. Un mercato di questo genere è in
grado di sostenere una posizione di offerta di determinati prodotti anti
economicheperché? È in grado di sostenere queste condizioni anti economiche
dell‟offerta del servizio con gli utili che ricava dalla vendita di altri servizi.Può
attingere a risorse finanziarie esterne per finanziare, sostenere la propria offerta
commerciale di un determinato mercato.
La posizione dominante può anche essere una posizione dominante non detenuta da
un‟unica impresa, ma detenuta da più imprese. questo per i mercati oligopolistici. Vi è
un numero limitato di imprese che concorrono fra loro: mercati caratterizzati da
situazioni di duopolio.
In questo caso abbiamo due situazioni: le imprese in posizione di oligopolio si mettono
d‟accordo per coordinarsi, per fissare determinate condizioni di offerta dei propri
servizi. Rientriamo nell‟ambito delle intese, dei cartelli. Può anche darsi che queste
imprese non si mettano d‟accordo, ma attuino comportamenti paralleli. È difficile
provare che attuino una partica concordata, ma si coordino in modo implicito variando
in modo parallelo le condizioni tecniche economiche dei propri servizi o dei propri
prodotti.
Sotto certe condizioni si può ritenere un comportamento parallelo possa essere
perseguito dalle autorità antitrust in quanto abuso di posizione dominante collettiva.
Si riesce a provare che queste imprese oligopolistiche che si comportano in modo
parallelo abbiano abusato in modo congiunto della posizione dominante che
collettivamente detengono in un determinato mercato. Questo avviene in presenza di
circostanze specifiche. Imprese detengono quote di mercato molto simili tra di loro,
sono in grado di conoscere molto facilmente i prezzi, le altre condizioni offerte dalle
altre imprese, sono fortemente incentivate ad attuare comportamenti paralleli anche
per la presenza di meccanismi sanzionatori che colpiscono imprese che non si adeguano
a questi comportamenti paralleli.
Non c‟è una vera e propria intesa, un vero e proprio coordinamento, ma c‟è un tacito
accordoin base al quale le imprese che non adeguano la propria politica commerciale a
quella delle altre imprese che fanno parte dell‟oligopolio vengono discriminate, vi sono
meccanismi sanzionatori che inducono ciascuna impresa ad attuare comportamenti
paralleli. In questi casi pur non essendo in presenza di una vera e propria intesa
(difficile provare che vi è stato coordinamento scambi di informazioni) si può
perseguire questi comportamenti ravvisando una posizione dominante collettiva. Vi è
un caso particolare, lo considereremo più avanti, quello delle imprese in monopolio
legale.
Sono quelle imprese che sono titolari di diritti esclusivi in relazione ad una
determinata produzione, allo svolgimento di un determinato servizio e i poteri esclusivi
sono conferiti dalla legge alle imprese. Questo avviene spesso nel settore dei servizi
pubblici, denominati nell‟ambito del trattato sul funzionamento dell‟UE, ricordati come
75
servizi di interesse economico generale. Se c‟è una legge che impedisce il diritto di
monopolio all‟impresa questa è per legge in posizione dominante su un determinato
mercato.
Ciononostante, l‟articolo 106 del trattato sul funzionamento dell‟ UE sottopone alla
regola di concorrenza una anche queste imprese. Leggiamo la norma al primo comma:
“Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e
delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle
norme dei trattati, specialmente a quelle contemplate dagli artt. 18 e da 101 a 109
inclusi”. Vuol dire che anche se lo stato membro riconosce un diritto esclusivo ad una
certa impresa, ciò non implica che l‟impresa sia sottratta alla norma della concorrenza,
o alle norme in materia degli aiuti di stato previsti dal trattato.
Il paragrafo 2 del 106 introduce una eccezione, quella che ci interessa, è prevista
per le imprese di servizi di interesse economico generale: “Le imprese incaricate della
gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio
fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alla regola di
concorrenza, nei limiti in cui l‟applicazione di tali norme non osti all‟adempimento, in
linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata…”.
Si ribadisce questa posizione delle imprese che svolgono servizi di interesse
economico e generale alle norme del trattato, a condizione che l‟applicazione di queste
regole del trattato in materia di concorrenza non impedisca l‟adempimento della
specifica missione che viene affidata a a queste imprese che gestiscono questi servizi
pubblici.
Si tratterà di vedere, verificare settore per settore quali sono i particolari compiti
che uno stato, un altro soggetto, competente a farlo, per esempio gli Enti locali
affidano ad una impresacompiti che devono essere d‟interesse economico generale,
per verificare se la necessità per questa impresa di svolgere questi compiti non
debbacomportare deroghe all‟applicazione delle regole in materia di concorrenza.
Esempio sul quale torniamo più avanti. Tipico obbligo che sta in capo alle imprese che
gestiscono i servizi pubblici, per esempio la distribuzione del gas, è quello di allacciare
alla rete GAS qualunque utente ne faccia richiesta, fornire gas mediante l‟allaccio,
indipendentemente dai costi che questo comporta e indipendentemente dalla
particolare situazione soggettiva dell‟utente che ha chiesto questa connessione.
Questi sono gli obblighi di servizio universale che tipicamente caratterizzano il
settore dei servizi pubblici: determinati servizi devono essere messi a disposizioni
tutti indipendentemente dalla propensione a pagare del cittadino e il costo che la
fornitura del servizio comporta in determinate circostanze, in determinate situazioni.
La fornitura del servizio universale in certi casi può essere tale da portare
diseconomie, il soggetto incaricato della fornitura del servizio universale deve
ricevere aiuti da parte dello Stato, delle autorità pubbliche che gli hanno imposto
obblighi di servizio universale. In funzione della fornitura del servizio universale è
possibile che determinati soggetti, incaricati di farlo, ricevano aiuti da parte dello
76
Stato e di altre autorità pubbliche. Deroga alla regola del trattato che vieta gli aiuti
da parte dello Stato e delle pubbliche amministrazioni in genere.
È necessario che a questi soggetti vengano riconosciuti il monopolio su ambiti di
mercato più o meno estesi. Questo perché questi servizi sono in grado di sussidiare i
costi del servizio universale con i ricavi, gli utili che ottengono dalla fornitura del
servizio in ambiti di mercato che sono maggiormente redditizi.
La fornitura del servizio ha un cliente che rimarrebbe escluso dalmercato
concorrenziale perché la fornitura è anti economica, non comporta la remunerazione
dei costi, ma è resa possibile grazie ai ricavi che l‟impresa ottiene da segmenti di
mercato maggiormente remunerativi.Si circoscrive un ambito di mercato, lo si rende
monopolistico a favore di una impresa incaricata dello svolgimento del servizio
universale in modo di consentire a questa impresa di fare sussidi incrociati: finanziare
l‟offerta del servizio a condizioni anti economiche mediante gli utili che si ricavano dal
mercato maggiormente redditizio. Su questi concetti poi torneremo.
Adesso però voglio completare il tema di abuso di posizione dominante è anche
l‟articolo 102 del trattato o 3 della legge antitrust. Dopo aver enunciato in generale la
fattispecie di abuso di posizione dominante, elenca una serie di pratiche considerate
abusive. In questo caso è un elenco, che coincide con le fattispecie tipiche di intesa
già considerate quando abbiamo letto l‟articolo 101 del trattato in materia di intese
restrittive.
Vi sono piccole differenze che adesso consideriamo. Si tratta di un elenco di pratiche
abusive che non è tassativo. Possono esservi abusi di posizione dominante che non
rientrano in questo elenco. Il primo esempio è di imporre direttamente o
indirettamente prezzo di acquisto o vendita o altre condizioni di transazioni non
eque.
Sembra che il legislatore si riferisca ad un comportamento tipico del monopolista:
applicarecondizioni di prezzo,altre condizioni economiche ingiustificatamente gravose.
Il monopolista cerca sempre di estrarre delle rendite dalla propria posizione di potere
economico.
Questo non è possibile che venga fatto. Questo implica da parte dell‟autorità
antitrust un sindacato su quelle che sono le condizioni economiche sulla cui base
l‟impresa in posizione dominante offre i propri servizi e prodotti sul mercato.
Quali sono le condizioni economiche che deve rispettare una impresa in posizione
dominante? Qua vi sono una serie di ipotesi da formulare. La prima è imporre al
monopolista di adottare quei medesimi prezzi che sarebbero praticati nel caso in cui il
mercato fosse perfettamente concorrenziale. Questa è una ipotesi non
sostanzialmente accettabile.
Altra ipotesi è quella di assegnare alle autorità anti trust un compito di
regolazione. Nel mercato in cui la concorrenza non funziona perfettamente, è
l‟autorità antitrust che dice quando un prezzo è corretto o non corretto. Anche
questa è ipotesi non realizzabile in concreto perché le autorità non sono autorità di
regolazione di un determinato settore. Non sono autorità che intervengono a stabilire
77
le tariffe, i prezzi di prodotti o servizi che possono essere venduti; questo è un
compito dell‟autorità di regolazione di determinati settori monopolistici. Questo è il
motivo per cui questa fattispecie di abuso non viene quasi mai applicata, o solo in casi
limite in cui i prezzi di un determinato prodotto vengono decise dall‟impresa in
posizione dominante senza alcuna giustificazione economica, senza alcuna connessione
tra le quantità vendute, ovvero la qualità di prodotti venduti, i costi sopportati per
produrre un determinato prodotto e così via.
Casi in cui il prezzo e le condizioni economiche non sono in grado di trovare alcuna
giustificazione economica, quindi possono considerarsi risultati di una determinata
politica discriminatoria, decisioni che hanno una particolare giustificazione, allora
soltanto in questo caso si può applicare questa norma.
In questo contesto, rientra il cosiddetto divieto dei prezzi predatori. È un caso
molto particolare che voglio menzionare. Una impresa in posizione dominante ricorre
per escludere da un determinato mercato concorrenti attuali o potenziali. Per un
certo periodo di tempo, l‟impresa in posizione dominante al fine di espellere dal
mercato determinati concorrenti o impedire l‟entrata sul mercato di altre imprese,
pratica prezzi predatori che sono inferiori al costo marginale che l‟impresa sostiene
per produrre un determinato bene, un determinato servizio.
In questo modo l‟impresa adotta una politica commerciale particolarmente aggressiva
che non può essere fronteggiata dai concorrenti, i quali non hanno altra alternativa
che uscire dal mercato. Questa impresa in posizione dominante può applicare costi
inferiori al marginale quando ha la possibilità di sostenere questa offerta
antieconomica con le risorse economiche e finanziarie di altro genere.
Quando si ha per esempio la possibilità di ricorrere a sussidi incrociati. In seguito ad
una prospettiva di breve termine, nella consapevolezza una volta ottenuto il risultato
di escludere i propri concorrenti, di alzare i prezzi in modo significativo e
appropriandosi di rendite monopolistiche in grado di compensare le perdite subite nel
periodo in cui l‟impresa aveva attuato la politica dei prezzi predatori.
L‟esempio dei prezzi predatori è l‟esempio di pratiche escludenti. Pratica che ha
l‟unico scopo, da parte dell‟impresa in posizione dominante, di danneggiare, escludere
dal mercato i propri concorrenti. In questo contesto entrano le pratiche abusive che
hanno l‟effetto di limitare lo sbocco tecnico a danno dei consumatori. Esempio di
pratica abusiva prevista dalla lettera darticolo 102. In questo contesto rientra anche
il rifiuto di contrarre. Una impresa in posizione dominante rifiuta di concludere
contratti con i propri concorrenti in modo da danneggiarli. Diventa particolarmente
rilevante nell‟ipotesi in cui i concorrenti i hanno la necessità di concludere contratti
per svolgere la propria attività economica, nel caso in cui l‟impresa in posizione
dominante sia in possesso di una infrastruttura essenziale per lo svolgimento di
determinate attività economiche.
Il rifiuto di contrarre per l‟impresa in posizione dominante impedisce lo svolgimento
dell‟attività economica da parte di tutti i concorrenti della stessa impresa in posizione
dominante. Da parte della dottrina comunitaria si è sviluppata una dottrina: dottrina
78
delle infrastrutture essenziali. Dottrina in base alla quale si può ritenere illegittimo il
rifiuto di contrarre da parte di una impresa in posizione dominante. L‟infrastruttura
deve essere essenziale: si deve trattare di un fattore produttivo. Una infrastruttura,
non necessariamente fisica, ma anche un input produttivo che l‟impresa possiede, non
facilmente replicabile da parte dei concorrenti a costi economicamente sostenibili.
Facciamo l‟esempio di una banca dati. Oltre le più tradizionali delle infrastrutture
fisiche, reti, erogazione di servizi, ma anche di porti aeroporti ed altre infrastrutture
sostanzialmente essenziali.
Il rifiuto di contrarre una condizione economica, impedisce una qualsiasi concorrenza
del mercato a valle. Si impone all‟impresa in posizione dominante che detiene
infrastrutture essenziali di contrarre a tutti coloro che richiedono l‟accesso a questa
struttura essenziale, ma vengono previste da determinate autorità di regolazione le
condizioni di accesso alle infrastrutture essenziali. Non soltanto si impone che il
detentore dell‟infrastruttura essenziale debba riconoscere l‟accesso delle
infrastrutture da parte di tutti i soggetti che la richiedono, non solo la capacità
tecnica dell‟infrastruttura dev‟essere sfruttata in modo efficiente, ma anche si
prevedono le funzioni economiche sulla cui base questo accesso può essere consentito.
Altro esempio di pratica abusiva consiste, lettera c articolo 102“nell‟applicare nei
rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni
equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza”.
Questa fattispecie l‟abbiamo vista parlando di intese.
Ci si riferisce alle pratiche discriminanti. L‟impresa in posizione dominante discrimina
fra i clienti senza alcun tipo di giustificazione economica che possa fornire un valido
sostegno al fatto di praticare condizioni dissimili per prestazioni equivalenti. Mentre
quello discriminatorio di danneggiare il concorrente e se l‟impresa in posizione
dominante non è in grado di fornire alcuna giustificazione economica a questo tipo di
pratica commerciale allora si deve ritenere che stiano abusando della propria
posizione di potere economico.
Ultimo esempio è quello delle pratiche legati. Subordinare lettura articolo 102 lettera
d “nel subordinare la conclusione di contratti all‟accettazione da parte degli altri
contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi
commerciali, non abbiano alcun nesso con l‟oggetto dei contratti stessi”.
L‟impresa dominate condiziona la diffusione di un contratto al fatto che il cliente
accetti la fornitura di prestazioni fondamentali che non c‟entrano niente con l‟oggetto
del contratto principale. Esempio tipico di comportamento di impresa dominante
considerato abusivo.
Caso clamoroso è quello Microsoft. L‟impresa imponeva a chi installava installava
questo sistema operativo di acquistare anche il browser, il sistema di navigazione dalla
rete prodotto dalla stessa Microsoft, Internet Explorer. In questi casi si tratta di
abuso. La prestazione supplementare non avere alcun nesso con l‟oggetto del contratto
principale che il cliente vuole concludere con l‟impresa in posizione dominante.
79
Ciò detto per quanto riguarda l‟abuso di posizione dominante, dobbiamo affrontare
l‟ultimo caso di posizione dominante, tema che affrontiamo oggi e domani: le
CONCENTRAZIONI. Parlando di concentrazioni ci riferiamo ad operazioni in base
alle quali una impresa cresce attingendo alle economie di terzi. Non cresce
endogenamente ma lo fa comprando fatturato da parte di soggetti di terzi. Le
concentrazioni si possono attuare in forme diverse sul piano delle tecniche
contrattuali. È quindi necessario che bisognerà verificare di quale tipo di operazioni
economiche e gli effetti che produce una operazione di concentrazione su un
determinato mercato.
Occorre considerare un fatto. Le concentrazioni possono realizzare dei vantaggi per il
sistema economico per un determinato mercato nel suo complesso. Mediante
l‟operazione di concentrazione una impresa si ingrandisce, una società si ingrandisce
ed è in grado di realizzare economie di scala, razionalizzare la propria produzione,
realizzare l‟efficienza in termini produttivi o di altro genere.
Il rafforzamento delle imprese è un obiettivo che è riconosciuto nell‟ambito della
legislazione nazionale, comunitaria più in generale. Allo stesso tempo qualsiasi
concentrazione provoca un effetto strutturale sul mercato indubbio: comporta la
riduzione del numero di concorrenti che operano su un determinato mercato.
Operazione di concentrazione incide sempre in modo irreversibile e duraturo
sull‟assetto industriale di un mercato. Situazione in cui una operazione di
concentrazione, ad esempio la fusione, può essere positiva sul piano delle efficienze,
delle economie che determina, ma è in grado di cambiarein modo sostanziale e
duraturo la concorrenza su un determinato mercato.
Particolare atteggiamento che la legge anti trust adotta nei confronti delle
concentrazioni. Le concentrazioni non sono vietate ovvero sempre ammesse, ma devono
essere valutate volta per volta. Ci vuole un oggetto di controllo preventivo delle
autorità antitrust che devono verificare se una concentrazione sia tale da costituire
una posizione dominante ovverosostanzialmente determinare effetti pregiudizievoli
sull‟assetto concorrenziale di un determinato mercato che abbiano carattere di tipo
duraturo.
Per la valutazione delle concentrazioni è del tutto evidente che possono esserci
margini di discrezionalità da parte delle autorità antitrust. È questo il motivo per cui il
controllo è posto da una disciplina molto analitica, contenuta nel nostro diritto
antitrust, nel diritto comunitario e alcuni regolamenti, in particolare il 139 del 2004.
Il regolamento 139 2004 è frutto di una evoluzione legislativa che a livello
comunitario si è sviluppata nel tempo. Dobbiamo tener presente che nel trattato
istitutivo dell‟UE non vi era alcuna disposizione in materia di concentrazione. Il
controllo sulle concentrazioni è stato inserito successivamente nel 1989 col
regolamento 4064.
Perché? Perché sostanzialmente vi era una forte resistenza da parte degli stati
membri nel riconoscere una competenza delle istituzioni comunitarie a verificare,
controllare lo sviluppo in senso industriale dai propri mercati.
80
Si raggiunse un compromesso nel 1989 che prevedeva una ripartizione di competenze
in materia di controllo delle concentrazioni per gli stati membri e le istituzioni
comunitarie, fissate sul piano della dimensione dell’operazione di concentrazione. Se
per determinati parametri economici l‟operazione di concentrazione supera una
determinata soglia, un determinato ordine di grandezza, la concentrazione è di
competenza dell‟UE, se è al di sotto di questa soglia è di competenza dell‟autorità anti
trust dei paesi membri.
Quello che ci interessa è invece di definire in termini più precisi la nozione di
concentrazione. È concentrazione qualsiasi operazione economica in base alla quale si
determina una crescita dell‟impresa in base a fattori esogeni. È chiaro che tutti questi
tipi di operazioni sono in grado di incidere sull‟assetto concorrenziale di un
determinato mercato.
È necessario dare una definizione giuridica delle operazioni di concentrazione, legata
alla nozione di controllo. Sono operazioni di concentrazione tutte quelle che producono
una modifica duratura del controllo di una determinata impresa.
Nell‟ambito della legislazione comunitaria e di quella antitrust nazionale le operazioni
che sono idonee a provocare questa modificadella struttura e controllo dell‟impresa
vengono esemplificate. Si tratta di tre operazioni:
- Fusioni
- Acquisizioni del controllo dell‟impresa o su parti di essa
- La costituzione di una impresa comune.
Questi tre tipi di operazioni, le vedremo una per una, devono comportare una modifica
duratura del controllo di una determinata impresa. Cosa si intende per controllo di una
determinata impresa? Sostanzialmente una modifica duratura dell‟assetto di potere di
una determinata impresa. Di quell‟assetto, di tipo proprietario o di governance, in base
al quale, nell‟ambito di una società, di una impresa, vengono assunte decisioni relative
alla gestione di una società.
Se in conseguenza ad una operazione di fusione (ne abbiamo varie tipologie),
prendiamo la fusione per incorporazione di una società già posseduta al 100% da
parte di una altra società in cui c‟è una incorporante che incorpora una società
controllata in modo significativo è evidente che in questo caso non si ha una modifica
del controllo dell‟impresa incorporata.
Analogamente, se io compro il pacchetto di una partecipazione del 5% di una
determinata impresa, in molti casi questa acquisizione non determinano una modifica
di controllo dell‟impresa acquisita. È necessario, perché si possa parlare di
acquisizioni, che queste operazioni determinano una modifica dell‟assetto di controllo
della società interessata.
Viene quindi in rilievo la nozione di controllo. Quando si ha una modifica dell‟assetto di
controllo di proprietà in un assetto di concentrazione? Un primo riferimento per la
nozione di controllo è quello di cui all’articolo 2349 del codicecivile, in base al quale si
individuano le società controllate e collegate.
81
Chi ha fatto diritto commerciale ricorda che sono controllate di cui un‟altra dispone la
maggioranza dei diritti di voto esercitabile in assemblea ordinaria (controllo di
diritto). Ovvero controllata di cui un‟altra società dispone di voti sufficienti per
esercitare l‟influenza dominante nell‟assemblea ordinaria (controllo di fatto), ovvero
controllo contrattuale, cioè una società è controllata quado subisce un‟influenza
dominante da parte di un‟altra società in virtù di vincoli contrattuali che legano una
società ad un‟altra società.
Si ha sicuramente concentrazione tutte le volte in cui per effetto di queste
operazioni societarie si modifica una situazione di controllo di diritto, di fatto ovvero
un‟altra situazione di controllo contrattuale.
In base al diritto antitrust la situazione di controllo non è limitata soltanto a questi
casi. Si ha una situazione di controllo più ampia. Infatti, in basi al diritto antitrust, si
ritiene mutamento dell‟assetto del controllo non solo quando cambia il soggetto che
controllo il diritto o di fatto di una determinata società, ma si ha modifica
dell‟assetto di controllo anche in altri casi.
In particolare, in determinate circostanze si ha una modifica dell‟assetto di controllo
tutte le volte in cui, per effetto di una determinata operazione,si aggiunga un nuovo
soggetto che sia in grado di esercitare un’influenza sostanzialmente notevole sulla
gestione di una certa società.
Facciamo un esempio. In base al diritto antitrust, non abbiamo solo controllo di diritto
di fatto, ma anche un controllo in cui ci sono più soggetti in grado di esercitare una
influenza sulla gestione della società, controllo congiunto.
Ciascun azionista ha una partecipazione significativa, consistente, e questi soggetti
sono legati tra di loro ad un patto di sindacato, parasociale. In base alla previsione del
patto parasociale ciascuno dei soci è in grado di esprimere un peso determinante,
diritto di veto, in ordine all‟assunzione di determinate decisioni a favore della società.
La nomina di organi di amministrazione, operazioni straordinarie, vengono decise
all‟interno tra i soci che partecipano al patto parasociale. Abbiamo una situazione in
cui nessuno dei soci che fanno parte del patto parasociale è in grado di esprimere il
controllo della società, ma è in grado di condizionare la gestione della società in base
all‟esercizio dei propri diritti parasociali, bloccando l‟assunzione di alcune delibere da
parte dell‟ assemblea società, organi sociali e così via.
In base all‟articolo 2359 una situazione di questo genere non rientra nelle ipotesi di
controllo che vengono considerate in queste disposizioni. Altrettanto non può dirsi per
il diritto antitrust. Anche una operazione che comporta una modifica di controllo
realizzato mediante la conclusione di patti parasociali è idonea a rientrare nell‟ambito
delle fattispecie di concentrazione considerate nel diritto antitrust.
Qualsiasi operazione che comporta una modifica della situazione di controllo esistente
su una determinata impresa rientra nella definizione di concentrazione. Dev‟essere
valutata per gli effetti che può avere sull‟assetto concorrenziale di un determinato
mercato.
82
Per fare un esempio, anche l‟acquisizione di una partecipazione di minoranza può
essere considerata una concentrazione per il diritto antitrust a condizione che al
socio di minoranza gli vengano riconosciutitutta una serie di diritti che gli consentano
di influenzare, anche indirettamente, e politiche di gestione della società acquisita.
La partecipazione della società da il diritto al socio di minoranza di poter dire la sua,
di esprimere dei poteri di veto per esempio sulla nomina degli organi sociali, sulla
assunzione di determinate decisioni sullagestione della società.
Altra fattispecie considerata in termini di concentrazioni è la costituzione di una
impresa comune, siamo nel caso della joint venture. Si ha concentrazione anche nel
caso in cui due imprese che prima erano indipendenti fra di loro si accordano per
costituire una impresa comune, (queste due imprese partecipano al 50%). Viene
costituita una società per nuova costituzione per finalità di vario genere, sfruttare
brevetto, entrare in un nuovo mercato, e così via.
Anche qui abbiamo una ipotesi tipica di concentrazione ma occorre distinguere tra
duecasi: primo caso è quello in cui la costituzione di una impresa comune nasconde una
intesa restrittiva della concorrenza. Le madri hanno costituito una impresa comune
con lo scopo non tanto di creare una società autonoma effettiva, ma per coordinare il
proprio comportamento di mercato.
In qualche modo l‟impresa comune non è che lo strumento per attuare politiche di
coordinamento da parte delle imprese madri. Da questo punto di vista la costituzione
di un‟impresa comune non differisce in nulla rispetto ad una vera e propria intesa ed in
base al diritto antitrust viene riconosciuta come tale.
Si ha una vera e propria impresa comune, impresa comune concentrativa, vera e
propria concentrazione, nel caso in cui l‟impresa comune sia in grado di operare
autonomamente. Si ha una entità economica autonoma, in grado di svolgere una attività
economica effettiva senza contare sull‟apporto da parte delle imprese madri.
In questo caso è chiaro che le imprese madri devono semplicemente coordinarsi,
coordinare il proprio comportamento economico, ma hanno dovuto mettere a fattor
comune le proprie forze per entrare in un nuovo mercato per dotare l‟impresa comune
di tutte le risorse necessarie per ottenere questo obiettivo.
Si richiede non solo che questa impresa comune sia autonoma dal punto di vista
economico, ma anche che addirittura le imprese madri cessino di operare nel mercato
in cui operano le imprese comuni concentrative.
Ricapitolando, abbiamo sostanzialmente un ulteriore settore di applicazione del diritto
antitrust in cui vengono in rilievo una serie di operazioni che determinano una modifica
della struttura di controllo di una determinata impresa.
Abbiamo visto come questa modifica della struttura di controllo vada intesa in senso
ampio, nel senso che diventano rilevanti per le concentrazioni tutte quelle operazioni
che sono in grado di avere un impatto su soggetti che decidono la gestione, possono
avere influenza sulla gestione di una determinata società.
Vengono in rilievo, da questo punto di vista, alcune operazioni che tipicamente
realizzano questo risultato: fusioni, operazioni di acquisizione di partecipazioni
83
d‟aziende di altre società, e costituzioni di imprese comuni. In questo caso si tratta
di distinguere le joint venture rispetto a quelle imprese comuni che non sono dotate di
propria capacità economica autonoma e sono soltanto uno strumento per realizzare
una politica di coordinamento fra imprese tra loro comuni.
27/03/2012
A inizio corso avevo detto che non ci sarebbero state prove intermedie. Invece c‟è
l‟orientamento a prova intermedia scritta a fine aprile e prova finale per frequentanti
verso la fine di maggio.
Primo compitino martedì 24 aprile ad oggetto la prima parte del corso: introduttiva
generale su costituzione economica, diritto concorrenza e probabilmente la parte sui
servizi pubblici che farò la prossima settimana. La prova si articola in 3 domande per
le quali avrete a disposizione un‟ora, valutazione in decimi per ciascuna domanda.
Portatevi dei fogli protocolli. La seconda prova avrà ad oggetto tutto il corso in
generale, in prevalenza domande su seconda parte.
La prova intermedia avrà ad oggetto sostanzialmente i primi 4 capitoli di Cassese. La
seconda i 5-7-8-9 di Cassese con esclusione del capitolo 6 sul controllo dei flussi
monetari e finanziari. Per la parte sulla concentrazione ho usato il Mangini Olivieri
“Diritto antitrust” di Mangini Olivieri. Sicuramente utile la lettura della Legge
207/1990 per il Diritto antitrust, articoli 101-102 del trattato, articolo 105 (che
vediamo oggi), regolamento 139 2004, il regolamento comunitario sulle concentrazioni,
questi regolamenti sono citati anche nel manuale.
Abbiamo visto come quando si parla di concentrazione ci si riferisce sempre ad un
concetto economico limitato, cioè il fatto che mediante una operazione economica una
impresa ottenga la disponibilità di fattori della produzione che appartengono ad
un‟altra impresa concorrente sul mercato.
Ciò che conta per la concentrazione, l‟effetto che si determina, il fatto di acquisire la
disponibilità diretta o indiretta dei fattori della produzione si realizza mediante
operazioni che producono una modifica duratura del controllo proprietario di una
determinata impresa.
Mediante determinate operazioni economiche un soggetto riesca ad ottenere una
posizione di potere in cui determina una scelta di gestione di una impresa che opera
sul mercato che prima operava autonomamente. In presenza di concentrazione occorre
evidentemente che questa operazione economica in cui si realizzi l‟operazione di
concentrazione implichi questa modifica dell‟assetto del controllo di una determinata
impresa.
Sia il legislatore comunitario che quello nazionale implichino operazioni di
concentrazione da cui può conseguire questo risultato: fusione, concentrazione,
acquisizione di partecipazioni di società, operazioni di acquisizione d‟azienda. Si ha
una modifica del controllo in modo soltanto indiretto. Comprando la partecipazione di
una società occorre l‟ipotesi di detenere una posizione di potere in quanto azionista
84
che mi consente di scegliere gli amministratori della società acquisita e di influenzare
le scelte di gestione della società acquisita.
Diverso il caso di acquisto di rami d’azienda. Il soggetto che realizza la
concentrazione acquisisce direttamente determinati fattori della produzione e
accrescere la sua operazione sul mercato e quindi con questa operazione si altera la
concorrenza sul mercato.
Infine abbiamo ricordato la costituzione di una impresa comune e il fenomeno della
joint venture. Abbiamo visto le joint venture cooperative, non danno luogo alla nascita
di una vera e propria impresa. Bensì si realizza una semplice intesa. Questo tipo di
operazioni sono distinte dalle costituzioni di imprese comuni concentrative.
Effettivamente due imprese danno luogo ad una impresa che operano autonomamente
sul mercato in modo indipendente e addirittura cessano la propria presenza sul
mercato in cui è destinata ad operare la nuova impresa comune concentrativa.
Ulteriore aspetto delle concentrazioni è che nell‟ambito della concentrazione sono
attratte anche tutta una serie di accordi tra imprese che in qualche modo sono di per
sé considerate intese restrittive della concorrenza. Abbiamo considerato il codice
civile.
Qualcuno ricorderà che nell‟ambito della disciplina della cessione d’azienda, è previsto
un divieto per l‟imprenditore cedente di fare concorrenza a carico dell‟imprenditore
alienante a vantaggio dell‟imprenditore acquirente il quale deve operare in un
medesimo settore dell‟ azienda oggetto di cessione.
In questo caso abbiamo un divieto di concorrenza a carico dell‟alienante che è
accessorio alla realizzazione di una operazione di cessione d‟azienda. In qualche modo
è indispensabile e strumentale, funzionale a garantire il buon esito dell‟operazione di
cessione d‟azienda.
Abbiamo anche degli altri esempi. Nell‟ambito di una operazione di concentrazione
possono essere previsti obblighi di fornitura o di acquisto tra impegni di
collaborazione, tra le imprese che sono interessate alle operazioni di concentrazione.
Tutti questi impegni accessori delle operazioni di concentrazione dovrebbero essere
oggetto di una operazione autonoma, in quanto potrebbero costituire intese verticali
restrittive della concorrenza. Queste restrizioni accessorie per le azioni di
concentrazione vengono attratte nell‟ambito delle analisi delle operazioni di
concentrazione per cui il controllo che l‟autorità antitrust effettua sull‟operazione di
concentrazione si estende anche alle restrizioni accessorie, nel caso in cui una azione
di concentrazione sia valutata positivamente e non correrà il rischio di essere vietata.
Le restrizioni, per poter essere in qualche modo regime di controllo speciale, devono
essere direttamente collegate alle operazioni di concentrazione e necessarie alla sua
realizzazione. Si deve trattare di previsioni che le parti hanno ritenuto indispensabili
per realizzare operazione di concentrazione: acquisizione, fusione e così via.
Non tutte le operazioni di concentrazioni sono rilevanti per il diritto antitrust, ma solo
quelle che superano una determinata dimensione economica. Dobbiamo distinguere, da
85
questo punto di vista, operazioni rilevanti per il controllo antitrust da parte del
controllo antitrust dell‟autorità antitrust nazionale.
Occorre determinare come si calcola la dimensione economica delle operazioni di
concentrazione. È in rilievo la nozione di imprese interessate alle operazioni di
concentrazione, coinvolte nelle operazioni di concentrazione, in cui andranno valutati
alcuni parametri economici per determinare la dimensione dell‟operazione.
Le operazioni di concentrazione variano a seconda delle concentrazioni oggetto
d‟esame. Nella fusione sono interessate tutte le imprese che partecipano alle
operazioni di fusione. Abbiamo vari tipi di fusione: vera e propria. Consiste nel fatto
che le imprese che si fondono dando origine ad una nuova società. Ovvero fusione per
incorporazione una società ne incorpora un‟altra o anche più di una. Sicché si da
effetto di estinzione di una delle società coinvolte nelle operazioni di fusione. I
parametri vanno calcolati su tutte le imprese che partecipano alle operazioni di
fusione.
Nel caso invece dell‟acquisto di una partecipazione di controllo o anche acquisto di
una azienda, le imprese interessate sono soltanto l‟impresa acquirente che è quella che
è oggetto del progetto di acquisizione. Chiaramente l‟imprenditore che ha il controllo
di un‟altra società, ovvero un‟azienda, rilevagli effetti concorrenziali delle operazioni
di concentrazione. Il ruolo dell‟imprenditore nell‟ambito dell‟operazione di acquisizione
cessa una volta che l‟operazione di concentrazione è determinata.
Nel caso di operazioni di concentrazione che si realizzano mediante la
realizzazione di una impresa comune dobbiamo mettere in rilievo le imprese che
partecipano alla costituzione di una impresa comune, le imprese madri, le società
madri. Anche impresa comune nel caso non sia a scatola vuota, se l‟impresa comune è
dotata di risorse produttive ed organizzative. Teniamo presente che ai fini del calcolo
della dimensione quantitativa della azione di concentrazione, si mette in rilievo il
fatturato delle imprese interessate all‟operazione.
Si tratta di vedere se il fatturato di quelle imprese supera determinate dimensioni
quantitative. Non solo il fatturato delle imprese che fanno gruppo delle imprese
interessate alle imprese di concentrazione, ma anche il fatturato delle imprese che
fanno parte del gruppo delle operazioni di concentrazione. Il fatturato dev‟essere
calcolato sommando il fatturato dell‟interessata rispetto a quelle che fanno parte
delle imprese del medesimo gruppo.
Dal punto di vista concorrenziale, per verificare se le operazioni di concentrazione
determinano un significativo effetto sull‟assetto concorrenziale del mercato non
basta vedere gli effetti di rafforzamento che derivano dalle imprese interessate alle
operazioni di concentrazione, occorre anche valutare gli effetti che le operazioni di
concentrazione producono sulla situazione concorrenziale del gruppo di cui fanno
parte le imprese interessate all‟operazione di concentrazione.
Le operazioni di concentrazione nel diritto comunitario sono descritte nell‟articolo 1
del regolamento del 2004, sono quelle che superano tre condizioni, soglie indicate in
questo articolo 1. Le cifre non sono rilevanti. Occorre che il fatturato a livello globale
86
dell‟operazione sia superiore ai 5 miliardi di euro, il fatturato prodotto nella Comunità
europea per almeno due imprese interessate sia superiore a 250 milioni di euro,
ciascuna delle imprese interessate non realizzi più di 2/3 del proprio fatturato
all‟interno di un unico paese membro dell‟unione europea.
È necessario che le operazioni di concentrazione riguarda imprese che operano sul
mercato europeo. Il fatturato delle imprese interessate dev‟essere dislocato su vari
paesi membri dell‟UE. Se non si realizzano queste tre condizioni, l‟operazione di
concentrazione non è rilevante, ma dev‟essere controllata dalla commissione, e
diventa rilevante per le autorità antitrust dei vari paesi membri.
Questo può provocare un effetto indesiderato. Può accadere che una determinata
operazione non arriva a superare soglie di rilevanza comunitaria possa essere rilevante
ai fini del controllo delle autorità antitrust da parte di più autorità antitrust nazionali.
Più imprese devono passare il controllo da parte di più autorità antitrust nazionali.
Per evitare questo effetto che implica tutta una serie di adempimenti amministrativi,
burocratici, che possono evidentemente rallentare la attuazione, realizzazione delle
operazioni di concentrazione proprio perché questa operazione è assoggettata al
controllo parallelo di due autorità nazionali, è stato attuato questo regolamento del
2004 che consente alle imprese di sottoporsi unicamente al controllo da parte della d
commissione dell‟autorità antitrust comunitaria anche se non vengono superate le
soglie di fatturato che vi ho indicato in precedenza.
Questo crea un meccanismo di unico controllo da parte della commissione che
sostituisce il proprio potere di controllo a quello delle varie autorità nazionali.
A parte questo caso specifico, una operazione di concentrazione è rilevante da parte
della nostra autorità nazionale, o in altri casi il riferimento è sempre il criterio del
fatturato.
Da questo punto di vista i livelli di fatturato che devono essere superati vengono
stabiliti periodicamente dalla autorità antitrust proprio perché si tratta di parametri
quantitativi che variano nel tempo. Basta che venga superato uno di questi due
parametri: basta che fatturato delle imprese interessate sia superiore a circa mezzo
miliardo di euro e il fatturato dell‟impresa in cui è prevista la deposizione, il cambio
del controllo sia superiore a 45 milioni di euro. Basta che si superi uno di questi
parametri e c‟è il controllo da parte dell‟autorità antitrust nazionale.
Si deve tener conto, per il fatturato non, solo delle imprese direttamente interessate
al fenomeno della concentrazione, ma anche del fatturato di tutte le imprese che
fanno parte del gruppo di concentrazione. Questo ha un effetto particolare:
calcolando anche il fatturato che riguarda tutte le imprese che fanno parte del
gruppo, si ha l‟effetto di sottoporre a controllo un gran numero di operazioni di
concentrazioni. Ogni anno l‟autorità antitrust valuta un sacco di operazioni di
concentrazione.
Questo porta un effetto indesiderabile. È chiaro che dal controllo da parte
dell‟autorità necessaria, c‟è effetto di rallentare la realizzazione delle operazioni di
concentrazione. Si tratta di una scelta ben precisa da parte del nostro legislatore
87
perché mediante il controllo delle concentrazioni si ha anche controllo dell‟autorità
indipendente sull‟assetto industriale dei nostri vari mercati nazionali.
Teniamo presente che concretamente quando l‟operazione supera le soglie di rilevanza
nazionale comunitaria, le autorità prevedono che l‟operazione debba essere realizzata
a condizione che l‟autorità competente antitrust nazionale abbia data il proprio ok
all‟operazione. L‟autorizzazione è inserita negli accordi contrattuali delle parti che
sono coinvolte con condizione sospensiva della realizzazione delle operazioni stesse.
Se la condizione sospensiva non si realizza l‟operazione non viene posta in essere dalle
parti interessate.
Qual è l‟oggetto, cosa deve valutare l‟autorità? Se questa operazione comporta il
rafforzamento o la costituzione di una posizione dominante in modo da eliminare o
ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza su un determinato mercato.
L‟autorità antitrust deve valutare se l‟operazione di concentrazione comporta una
costituzione o rafforzamento di posizione dominante in modo da eliminare o ridurre in
modo duraturo la concorrenza sul mercato.
Abbiamo questa particolare situazione in cui i soggetti interessati devono comunicare
questa operazione, che è in grado di modificare l‟assetto concorrenziale di un
determinato mercato, perché comporta la modifica del controllo delle imprese
interessate e, una volta che è stata effettuata questa operazione è stata sottoposta
all‟attenzione dell‟ autorità antitrust, la quale deve valutare se astrattamente questa
operazione sia in grado di costituire questa posizione dominante sul mercato in modo
stabile e duraturo in modo da limitare o addirittura eliminare la concorrenza su un
determinato mercato.
In questo contesto l‟autorità anti trust deve individuare qual è il mercato rilevante. I
margini di discrezionalità sono molto ampi. Occorre valutare quale sarà il futuro
andamento concorrenziale da parte dei soggetti delle imprese che sono interessate
alle operazioni di concentrazione. Da questo punto di vista bisogna tenere conto del
fatto che l‟effetto anti concorrenziale (limitazione o riduzione della concorrenza)
deve essere sostanziale e duraturo.
Occorre anche proiettare nel tempo la valutazione da parte dell‟autorità antitrust. Da
questo punto di vista ciò rende ancora più complessa la valutazione delle autorità
antitrust interessate. Possono venire in rilievo tutta una serie di valutazioni di tipo
prognostico, tra cui in molti casi risulta determinante valutare quale sia il grado di
concorrenza potenziale a cui sono esposti i mercati.
In fase di concentrazione si può esserci un rafforzamento di posizione dominante da
parte dell‟impresa interessata, ma allo stesso tempo il mercato è oggetto di sviluppo
tecnologico particolarmente significativo in cui vi sono barriere all‟entrata, e il
mercato è esposto ad una concorrenza potenziale significativa, questo può portare
l‟autorità antitrust ad operazioni di concentrazione anche se l‟operazione di
concentrazione stessa ha un effetto direttamente equitativo della concorrenza sul
mercato.
88
Un esempio può essere quello di una operazione di acquisizione di Teletu da parte di…
che ha portato l‟acquisizione di Sky, monopolista sul mercato dei servizi televisivi a
pagamento. In questo caso l‟operazione è stata, sulla base di alcune condizioni ha avuto
l‟ok da parte dell‟autorità antitrust, in ragione concorrenza potenziale, operatore
esposto a concorrenza nel mercato dei servizi a pagamento.
La valutazione è molto complessa nell‟ambito del controllo sulle concentrazioni; per
indurre margini di discrezionalità, sono state tentate varie linee guida, tra le quali
l‟ordinamento comunitario del 2004.
Bisogna tenere conto della valutazione di determinati fattori: valutare la quota di
mercato interessante per la valutazione della concentrazione nel tempo; valutare il
potere economico e finanziario delle imprese interessate, valutare le possibilità di
scelta. Consumatori e produttori hanno la possibilità che si sviluppi una concorrenza
potenziale sul mercato interessato (barriere all‟entrata per l‟ingresso di nuovi
concorrenti sul mercato interessato). Bisogna anche tener conto dell‟evoluzione del
progresso scientifico e tecnologico anche in relazione ai prodotti.
Teniamo conto che autorizzare o meno una concentrazione è una valutazione
complessa. In certi casi può essere sottratta alla competenza delle autorità antitrust,
in particolare dalla nostra antitrust nazionale. Questo è avvenuto negli ultimi anni: si è
assistito ad un maggior interessamento della politica sull‟assetto industriale di
determinati mercati. Vi sono determinati casi in cui il governo, l‟autorità di indirizzo
politico, può dettare criteri generali a cui si deve attenere per autorizzare operazioni
di concentrazione che sarebbero vietate tenendo conto di rilevanti interessi generali.
Articolo 26 della nostra legge antitrust.
Può essere che il governo indichi criteri generali astratti, determinate situazioni in cui
per rilevanti interessi dell‟economia nazionale, una determinata operazione che non
supererebbe il vaglio dell‟antitrust nazionale, può comunque essere autorizzata.
Questa operazione è utilizzata soprattutto per il perseguimento di politiche
economiche, da parte del nostro governo, che sono dirette alla costituzione dei
campioni nazionali.
Quei soggetti particolarmente forti, che hanno potere economico all‟interno del
nostro mercato nazionale e possono essere in grado di competere a livello europeo e
globale. Un esempio di questa situazione si ha nel caso Alitalia, in cui si è consentito
che vi fosse un unico operatore su una linea particolarmente significativa, nel mercato
del trasporto aereo nazionale: Milano Roma. Si è consentita la realizzazione di una
posizione monopolistica per consentire la realizzazione di una operazione di
concentrazione ritenuta strategica nell‟ambito della politica economica.
Teniamo anche presente che vi sono operazioni di concentrazione autorizzate anche
se comportano la creazione o il rafforzamento della posizione dominante su
determinati mercati.
Questo vale anche per imprese in stato di crisi. Sono previsti certi orientamenti da
parte della Commissione europea. C‟è la possibilità di tentare la posizione di una
impresa in situazione di crisi irreversibile e quando gli asset, i beni dell‟azienda
89
sarebbero stati acquistati da un altro soggetto che opera sul mercato. Sono tollerate
operazioni di concentrazione di salvataggio di impresa in crisi anche quando queste
operazioni di salvataggio comportino la creazione o il rafforzamento di posizione sul
mercato in modo stabile e durevole.
Una volta che queste valutazioni complesse sono state effettuate, è necessario
arrivare alla formulazione di un giudizio. Questo giudizio può essere positivo, che
sarà comunicato alle imprese interessate che potranno procedere all‟esecuzione delle
operazioni di concentrazione. In base all‟ordinamento comunitario e in base alnostro
ordinamento si ritiene che abbia analogo effetto costitutivo anche il fatto che
l‟autorità non si pronunci entro un certo termine.
Si prevedono meccanismi di silenzio assenso, per evitare che le parti che vogliano
realizzare l‟operazione di concentrazione debbano necessariamente attendere l‟ok da
parte dell‟autorità antitrust competente in cui è previsto che se l‟autorità non si
pronuncia entro un certo termine più o meno lungo l‟operazione può essere realizzata.
L‟autorità antitrust può ritenere che l‟operazione di concentrazione è incompatibile col
trattato e può vietarla. Se nonostante il divieto si procede, allora l‟autorità può
erogare sanzioni pecuniarieparticolarmente significative, determinate in proporzione
al fatturato di imprese interessate ma può anche ordinare alle imprese interessate
misure di deconcentrazione, ritornare alla situazione che queste imprese avevano
prima della realizzazione delle operazioni di concentrazione.
Una possibilità di cui spesso si avvalgono le autorità antitrust, spesso in modo sempre
più frequente è quella che le autorità autorizzino operazioni di concentrazione a
determinate condizioni. A condizione che le imprese interessate apportino al progetto
determinate modifiche che lo rendono più tollerabile sul piano degli effetti anti
concorrenziali che hanno le operazioni di concentrazione.
Se questi impegni non vengono rispettati dalle parti interessate c‟è la possibilità di
erogare sanzioni pecuniarie e prevedere la deconcentrazione e così via. Le misure
correttive imposte dalle antitrust come condizioni per l‟ok della concentrazione
possono essere di due tipi:
 Misure collettive di tipo strutturale
 Misure collettive di tipo comportamentale
Misure correttive di tipo strutturale riguarda la cessione di aziende, rami d‟aziende
e società da parte delle imprese che realizzano la concentrazione. Negli ultimi anni, si
è assistita ad una serie di concentrazioni nel settore bancario che hanno riportato il
rafforzamento sul piano dimensionale di alcune banche sul nostro mercato.
Queste operazioni hanno modificato la struttura del mercato bancario, dei servizi
bancari. In molti casi le operazioni sono state autorizzate a condizione della
dismissione da parte di imprese interessate di sportelli, società bancarie controllate a
concorrenti.
90
Soprattutto queste misure correttive sono previste nel caso in cui la concentrazione
determina un effetto restrittivo della concorrenza più significativo. Abbiamo visto
che dovevano essere ceduti sportelli, nelle aree territoriali in cui la concentrazione
avrebbe comportato una riduzione effettiva della concorrenza.
Misure di tipo correttivo comportamentale. Abbiamo quelle che prevedono l‟obbligo
di garantire approvvigionamenti, determinate forniture ai concorrenti anche dopo
l‟operazione di concentrazione. È chiaro che la possibilità dell‟autorità antitrust di
autorizzare una operazione di concentrazione sottoponendola a determinate condizioni
aumenta ancora di più il potere discrezionale delle autorità antitrust e, negli ultimi
anni, questo potere di autorizzazione condizionata viene sempre più utilizzato dalle
autorità antitrust nazionali comunitarie, sicché l‟effetto è limitare operazioni di
concentrazione per le quali non sia ipotizzabile nessuna misura collettiva da attenuare
gli effetti anticoncorrenziali connessi all‟operazione di concentrazione stessa.
Vengono vietate solo quelle operazioni di concentrazione per le quali non c‟è nessuna
misura collettiva tale da rimediare gli effetti anti competitivi connessi alla
concentrazione stessa. Questo fa si che tutte le volte in cui l‟autorità antitrust apre
l‟istruttoria nell‟ambito della valutazione delle operazioni di concentrazione siano le
stesse parti che propongano all‟autorità antitrust delle misure collettive. Queste
misure correttive sono una sorta di negoziato tra l‟autorità antitrust e le parti in
coinvolte nell‟operazione di concentrazione, in modo da prevenire all‟autorizzazione
dell‟operazione di concentrazione stessa da parte dell‟autorità.
La prossima volta finiamo la parte sulla concorrenza e iniziamo quella sui servizi
pubblici.
02/04/2012
Oggi e domani vorrei concludere la parte del corso relativa alla disciplina della
concorrenza e poi dovremmo incominciare la parte relativa ai cosiddetti servizi
pubblici.
Riprendendo il discorso abbiamo visto le discipline generali in materia di concorrenza
del diritto antitrust comunitario e del diritto nazionale , adesso dobbiamo vedere più
precisamente come funzionano più precisamente
l‟Autorità Garante della
concorrenza e del mercato, l‟autorità nazionale che opera l‟applicazione del diritto
antitrust, e a livello comunitario la Commissione europea e quali sono i procedimenti
che, ai fini dell‟applicazione del diritto antitrust, devono seguire queste autorità.
Ricordo un dato che avevo già detto in precedenza. Vi è una regola di riparto
nell‟applicazione del diritto antitrust comunitario e del diritto antitrust nazionale,
fattispecie in violazione alle norme della concorrenza sottoposte al vaglio dell‟autorità
antitrust, a fattispecie sottoposte che sono invece sottoposte al vaglio della nostra
autorità nazionale, la regola di riparto è quella del pregiudizio del commercio degli
stati membri.
Se una violazione del diritto antitrust, una intesa restrittiva, o abuso di posizione
dominante è tale da pregiudicare il commercio fra più stati nell‟UE e mettere a
91
repentaglio il funzionamento del mercato interno, mercato rilevante che abbia
dimensioni comunitarie, allora diventa applicabile il diritto antitrust comunitario. Se
non c‟è pregiudizio del commercio fra gli Stati membri allora si applica il diritto
antitrust del paese ove è stata posta in essere la violazione.
Abbiamo visto però anche, per quanto concerne l‟applicazione delantitrust comunitario,
che vige un principio di decentramento. L‟applicazione del diritto antitrust
comunitario è anche decentrata, demandata alle autorità antitrust dei vari paesi
membri anche se la violazione ha una rilevanza comunitaria, questo per evitare che
sulla commissione si concentrino tutta una serie di adempimenti di controllo, e di
procedimenti che rischierebbero di paralizzarla.
Da questo punto di vista vi è questa regola di decentramento per cui sono chiamate ad
applicare il diritto comunitario le varie autorità antitrust dei paesi membri. Abbiamo
visto anche come, per quanto concerne il controllo sulle concentrazioni, la regola di
riparto è più semplice: controllo diretto a valutare se quella operazione di
concentrazione è in grado di costituire o rafforzare una posizione dominante con
effetto anticoncorrenziale.
In questo caso la regola di riparto è stabilita in base alla dimensione economica della
concentrazione che si calcola valutando il fatturato delle imprese coinvolte nella
stessa operazione di concentrazione. Sono stabilite delle soglie superate le quali la
operazione di concentrazione è sottoposta dal controllo preventivo da parte della
commissione, e altre soglie superate le quali c‟è il controllo preventivo da parte
dell‟Autorità Garante della concorrenza e mercato.
La commissione. La norma che assegna la competenza in materia antitrust alla
commissione sul diritto antitrust è l’articolo 105 del trattato. La commissione è una
autorità antitrust del tutto peculiare. La commissione è un po‟ l‟organo di governo
dell‟UE, è del tutto peculiare il fatto che il trattato abbia assegnato questa funzione
di applicazionedi norme che presiedono il buon funzionamento dei mercati a livello
europeo ad un soggetto che ha posizioni di governo, di amministrazione,
evidentemente anche tutte quelle varie politiche che, sulla base del trattato, sono
assegnate agli organi della stessa UE.
All‟interno dell‟UE vi è una particolare direzione, la direzione generale, presieduta da
un commissario europeo, che si occupa specificamente dell‟applicazione del diritto
antitrust. Non è tutta la commissione che si occupa dell‟applicazione del diritto
antitrust, bensì una particolare direzione stabilita al suo interno. La commissione è
suddivisa in tante direzioni, ciascuna con la propria competenza tematica. Ciascuna
direzione è presieduta da un commissario nominato dal presidente della commissione.
L‟assegnazione è peculiare. Nei vari paesi non solo europei ma anche negli USA,
l‟assegnazione del compito antitrust è assegnata ad autorità amministrative
indipendenti, soggetti, organi che sono slegati, indipendenti rispetto al potere politico,
al potere che esprime un determinato indirizzo di governo dell‟economia in un
particolare mercato.
92
Occorre dire che in virtù di questa regola di decentramento, questa peculiarità
dell‟ordinamento europeo è meno rilevante perché ormai la commissione è chiamata ad
applicare il diritto antitrust soltanto in alcuni e specifici casi, che in parte ho
richiamato anche in precedenza, cioè sostanzialmente la Commissione europea ha
assunto il ruolo di sovrintendere, supervisionare l‟applicazione del diritto antitrust da
parte delle autorità nazionali.
La commissione vigila che le autorità nazionali diano una applicazione uniforme sulle
applicazioni antitrust, soprattutto quelle stabilite nei trattati. La commissione
interviene soltanto in alcuni specifici casi. Sostanzialmente quando una particolare
intesa, un abuso di posizione dominante interessi mercati che sono collocati all‟interno
di tre stati membri dell‟UE; è necessario intervenire perché vi è il pericolo che le
autorità nazionali applichino in modo disomogeneo e non uniforme determinate regole
in materia antitrust e poi anche quando sia necessario assumereuna
determinataposizione interpretativadi fronte ad un problema concorrenziale nuovo,
rispetto al quale non si è mai affermato a livello comunitario e della commissione, ma
anche della giurisprudenza comunitaria, della corte di giustizia delle comunità europee
un orientamento consolidato.
C‟è un problema antitrust nuovo che richiede una analisi complessa rispetto ad
orientamenti già consolidati. Le autorità nazionali possono sottoporre la questione alla
commissione che è chiamata a svolgere il ruolo di determinare qual è l‟orientamento in
materia antitrust rispetto a questa nuova problematica.
La commissione poi invece ha un‟esclusiva competenza per il controllo delle
concentrazioni al di sopra delle soglie di un certo fatturato in base al regolamento del
2003. In questo caso quando c‟è una concentrazione di dimensione comunitariaoccorre
fare riferimento alla commissione che ha mantenuto questo controllo esclusivo.
Abbiamo visto in precedenza che vi sono casi in cui una concentrazione non supera le
soglie di dimensione che le danno rilevanza comunitaria, che danno alla concentrazione
un rilievo comunitario, ma allo stesso tempo interessano i mercati di più stati membri.
In questo caso sarebbe necessario notificare l‟operazione a tutte le autorità nazionali
dei paesi membri interessati, si crea quindi il rischio che le autorità nazionali si
pronuncino in modo differente rispetto ad un‟unica operazione di concentrazione.
Vi è la necessità per le imprese interessate di avviare un procedimento di controllo
presso le autorità antitrust nazionali per evitare questa complicazione, questo
problema, si è previsto che le imprese interessate possano decidere di notificare le
operazioni di concentrazione e di sottoporle al controllo solo della commissione
europea, questo è il cosiddettoone stock control.
Anche se le operazioni di concentrazione hanno una dimensione comunitaria, per
evitare questa frammentazione dei procedimenti di controllo, la stessa operazione è
sottoposta unitariamente alla commissione europea. Nel nostro ordinamento, la
funzione di tutela della concorrenza spetta alla Autorità della Concorrenza e del
mercato.
93
Prevista dall‟articolo 10 legge 287 1990, la commissione è una organizzazione
complessa, ha un certo numero di dipendenti, funzionari, ma ci interessa vedere il
vertice organizzativo dell‟autorità antitrust. Il vertice è composto da un collegio, 5
membri, adesso sono stati portati a 3 a causa di questi ultimi provvedimenti di
riduzione del costo degli apparati dello Stato, anche se la autorità garante della
concorrenza è indipendente, questi provvedimenti l‟hanno riguardata. I commissari
antitrust, le persone fisiche che fanno parte del collegio che sta al vertice
dell‟autorità antitrust sono passati da 5 a 3, .
Il presidente ed i commissari sono nominati con atto del presidente della repubblica
previo parere del presidente di camera e del senato i quali devono scegliere in comune
intesa, i commissari antitrust tra persone dotate di competenze, tecniche specifiche,
con particolari qualificazioni. Il presidente dell‟autorità Antitrust è stato
recentemente nominato, prima era il professorCalà (ora sottosegretario alla
presidenza del consiglio dei ministri), adesso è il professor Pitruzzella.
Durano in carica 7 anni, mandato particolarmente lungo. Vedremo che sia le modalità di
nomina che le garanzie che assistono la carica del commissario antitrust sono dirette
a salvaguardare l‟indipendenza della autorità stessa. Il fatto che la funzione di tutela
della concorrenza sia attribuita ad un organo dello Stato che rientra nelle categorie
delle Autorità amministrative indipendenti è un fatto abbastanza nuovo nel nostro
ordinamento.
È un fatto abbastanza atipiconegli ordinamenti come il nostro che hanno un apparato
amministrativo particolarmente importante;è più tipico di altre esperienze giuridiche,
soprattutto è tipico dei paesi anglosassoni, dove l‟apparato della pubblica
amministrazione è più contenuto. Nei paesi come il nostro vige il criterio monistico
dell’amministrazione.
Organi dello Stato che devono curare l‟ attuazione delle leggi, dei provvedimenti
emanati dagli organi dello Stato che hanno una funzione legislativa, la pubblica
amministrazione è sono sostanzialmente in rapporto di servizio rispetto al governo. I
ministeri delle PA sono in un rapporto di funzionalità diretta rispetto al potere
politico. Servono determinati scopi decisi a livello governativo. Questo è un principio
tipico delle PA. Già nei paesi come il nostro quello della responsabilità ministeriale. Vi
deve essere qualcuno, ministro o dirigente che è responsabile di determinati atti
della PA.
In paesi come quelli anglosassoni con una posizione giuridica diversa rispetto alla
nostra, che non hanno apparati amministrativi cosi imponenti, non vi è il principio della
responsabilità ministeriale. Il potere governativo è separato dal potere
amministrativo. Chi si occupa di amministrare la cosa pubblica sulla base di
determinate leggi decise dagli organi legislativi sono strutture distinte rispetto al
livello sia funzionale sia organizzativo e rispetto al governo, al potere esecutivo. In
questi paesi l‟apparato amministrativo è soprattutto costituito, nei paesi anglosassoni,
è formato da organi nominati da agenzie, commissioni, comitati e così via.
94
Questi organi sono organi di aggiudication, di aggiudicazione. Non soltanto si
preoccupano di attuare determinate regole che sono previste nell‟ordinamento, ma
anche di risolvere le controversie che possono venire in essere tra i privati cittadini e
la stessa pubblica amministrazione.
Queste agenzie normalmente si pongono in una posizione di neutralità, terzietà,
indipendenza rispetto ai vari interessi economici. Queste agenzie che caratterizzano i
sistemi amministrativi dei paesi anglosassoni sono state esportate anche nei nostri
ordinamenti che sono retti dal principio monistico della pubblica amministrazione, sulla
cui base sono nate queste autorità amministrative indipendenti.
Autorità amministrative indipendenti perché sono state poste al vertice di particolari
settori dell‟economia a cui sono state assegnate funzioni che necessitano non solo di
specifiche competenze tecniche, ma anche in qualche modo di indipendenza,autonomia
rispetto al potere politico da parte di soggetti che sono chiamati ad applicare
determinate norme. Questo accade tipicamente nell‟ambito del diritto della
concorrenza, dove si tratta di applicare determinate regole che assicurano il
mantenimento del regime concorrenziale, senza che in questo tipo di valutazioni
entrino in gioco interessi, decisioni di tipo di politica economica o altre decisioni che
hanno a che fare con la politica industriale di un determinato paese. Si tratta di
applicare le regole in materia di concorrenza.
Da qua, per assicurare questa garanzia di indipendenza e autonomia delle autorità
amministrative indipendenti, sono state previste regole che riguardano sia le modalità
di nomina dei componenti di queste autorità amministrative indipendenti, sia la durata
della loro carica, sia soprattutto la possibilità di revocare, rispetto al mandato
ricevuto, i componenti delle autorità amministrative indipendenti.
Abbiamo numerosi esempi di autorità amministrative indipendenti nel nostro
ordinamento. Primo esempio è l‟autorità garante. In questo novero possono rientrare la
Consob, l‟autorità per le Garanzie delle Comunicazioni, l‟autorità per l‟energia elettrica
ed il Gas ed altre autorità che in realtà non ci interessano in questa sede.
Quali sono le modalità dinomina?Per l‟Autorità garante l‟abbiamo detto: si tratta di
nomina che promana dai presidenti di camera e senato. Nel caso della Autorità per le
Garanzie e Telecomunicazioni c‟è un meccanismo di nomina complesso, in questo caso
si deve distinguere tra la nomina del presidente dell‟Autorità che spetta al PDR su
proposta del presidente del consiglio dei ministri, rispetto alla nomina degli 8
commissari che costituiscono il garante dell‟autorità in materia di garanzie delle
comunicazioni, l‟AGCM.In questa autorità abbiamo 8 commissari, 4 di questi fanno
parte della commissione per le reti e infrastrutture, 4 altri commissari fanno parte
della commissione per i prodotti e servizi. All‟interno dell‟AGCM abbiamo un
presidente e due commissioni, ciascuna delle quali si occupa di diversi temi di
interesse del regolatore. Gli 8 commissari dell‟ AGCM sono nominati mediante elezione
da parte del senato e della camera dei deputati.
Anche per i commissari della Consob che sono 3, abbiamo nomina del PDR sottoposti a
PDC. In tutti questi casi in cui il potere di nomina è effettuato con atto del PDR, su
95
proposta del PDC, è necessario acquisire il previo parere da parte delle commissioni
parlamentari competenti. IL provvedimento di nomina prevede questo passaggio
parlamentare.
La commissione parlamentare competente si esprime, deve deliberare il proprio
parerea maggioranza qualificata, normalmente i 2/3 dei componenti della commissione.
Ciò assicura che venga nominato come componente dell‟autorità un soggetto che ha
ricevuto il voto favorevole sia da parte della maggioranza che da parte
dell‟opposizione, dovrebbe garantire una nomina bipartisan della componente
dell‟Autorità indipendente. Meccanismi di nomina dei vari componenti sono complessi,
soprattutto diretti a garantire che vengano nominati soggetti che godono del favore
dell‟approvazione da parte sia del governo della maggioranza, sia da parte
dell‟opposizione.
Questo per garantire autonomia e indipendenza agli stessi componenti delle autorità
dipendenti. Si prevede poi che i componenti delle autorità indipendenti rimangano in
carica per 7 anni; questo per garantire l‟indipendenza necessaria ai componenti
dell‟autorità indipendente rispetto ad un determinato governo, e quindi assicurare la
permanenza del mandato per un periodo più lungo che normalmente è di una
legislatura.
In più vi sono una serie di regole che prevedono che le autorità indipendenti possano
godere di entrate proprie, avere una sorta di autonomia finanziaria. Questo vale per
la Consob, l‟Autorità per l‟energia elettrica e il Gas, la stessa BDI, ma anche per
l‟AGCM cioè l‟autorità per le garanzie delle comunicazioni che si autofinanziano
mediante forme di imposizione diversa che gravano sui soggetti vigilati.
Esempio. Le varie società quotate, oppure gli intermediari sottoposti a vigilanza della
Consob, devono versare determinati importi che vadano ad alimentare un fondo
distribuito presso la stessa Consob che ne finanzi il funzionamento. Discorso un po‟
diverso per l‟autorità antitrust, Autorità Garante che riceve uno stanziamento da
parte del ministero del tesoroannuale, deciso dal governo, dal Ministero del Tesoro,
sempre di più si prevede che tutte le volte in cui l‟autorità antitrust è chiamata a
valutare una determinata operazione, le imprese soggette a controllo debbano versare
importi che confluiscono presso la stessa autorità garante e che sono diretti a
finanziarne le spese. Questo vale in materia di controllo per le concentrazioni. Le
imprese devono anche pagare determinati importi che servono per finanziare la stessa
autorità garante.
Questo vale anche per le somme che costituiscono sanzioni pecuniarie che l‟autorità
garante irroga nei confronti di imprese che abbiano posto in essere violazioni in
materia di concorrenza: intese e abuso di posizione dominante. Una parte di queste
sanzioni (anche di ammontare contingente= è trattenuto dall‟autorità garante per
garantirne l‟indipendenza economica rispetto al governo.
Un punto importante sul quale mi soffermerò tra oggi e domani è che l‟autorità
garante per la concorrenza e il mercato è preposta alla disciplina generale in materia
di concorrenza, quella descritta in queste prime lezioni, quella prevista dalla legge
96
antitrust e dal trattato. Vi sono anche delle discipline speciali in materia di
concorrenza. Vi è una disciplina generale e anche discipline speciali, che si applicano
alla concorrenza in determinati settori.
Quali sono le discipline settoriali? Nel manuale si fanno tre esempi:concorrenza nel
settore bancario, nel settore della editoria e della radiodiffusione e concorrenza
nel settore del gas naturale. Vedremo il contenuto di queste discipline settoriali
della concorrenza. Occorre dire che un tempo l‟applicazione di queste discipline
settoriali era demandata alle autorità di regolazione di quel particolare settore.
Facciamo un esempio. Nel caso del settore bancario, abbiamo due tipi di regole che
hanno un determinato assetto concorrenziale nel settore. Anzitutto la disciplina
generale in materia di concorrenza, e in secondo luogo,determinate norme che fanno
capo al TUB, che prevedono che l‟acquisto di una banca debba essere sottoposto al
controllo da parte di una autorità.
Un tempo, queste regole generali in materia di concorrenza, sia queste specifiche che
si applicano alla concorrenza nel settore bancario,erano di competenza della BDI, che
è l‟autorità di vigilanza sottoposta al controllo delle banche e a garantire il
funzionamento del sistema creditizio nel nostro ordinamento. Questo determinava una
serie di problemi.
Si attribuiva alla BDI (autorità che si occupa di vigilanza nel settore bancario) una
funzione ulteriore, regolare anche la concorrenza nel settore bancario. Questo può
creare un problema perché le funzioni di vigilanza sono svolte sulla base di
determinati obiettivi che il legislatore assegna all‟Autorità di vigilanza. Obiettivo
principale è garantirestabilità del sistema bancario, la sana e prudente gestione
delle banche, il fatto che le banche vengano gestite senza entrare in crisi, essendo
dotate di tutte le risorse organizzative e patrimoniali per poter svolgere in modo
patrimonialmente sicuro le proprie attività. Vi è un interesse alla stabilità del sistema
bancario delle singole banche, quello che ha di mira la vigilanza bancaria, posta in
essere dalla BDI.
Questo obiettivo di stabilità può porsi in contrasto al mantenimento concorrenziale
nel settore bancario. Se una autorità deve valutare per esempio una concentrazione
nel settore bancario, sul piano della concorrenza c‟è un interesse contrapposto
rispetto a quello dell‟autorità di vigilanza. L‟autorità di vigilanza che deve garantire la
sana e prudente gestione desidera che vengano poste in essere operazioni di
concentrazione perché queste garantiscono maggiore stabilità al sistema, crescono dal
punto di vista dimensionale le banche, diventino più solide, più forti.
Dal punto di vista concorrenziale questo può non essere desiderabile. Le
concentrazioni diminuiscono tendenzialmente il numero di operazioni sul mercato e
differiscono il livello di concorrenza che si può sviluppare nel mercato.
Questo discorso per dire che concentrare la funzione di controllo in capo alla vigilanza
di un determinato settore può essere controindicato perché rischia di inquinare
l‟applicazione del diritto antitrust, quanto meno rischia che l‟applicazione del diritto
97
antitrust sia fatta tenendo conto di obiettivi diversi e confliggenti rispetto a quelli
che sono tipici nel diritto antitrust.
Questo è il motivo per cui anche queste discipline settoriali in materia di concorrenza
sono state mano a mano trasferite alla competenza dell‟ Autorità garante per la
concorrenza e il mercato. Anche la concorrenza tra le banche oggi è di competenza
dell‟Autorità garante. Questo per evitare che si creino queste discrasie, queste
problematiche nell‟applicazione delle regole antitrust.
L‟autorità garante è dotata di tutta una serie di poteri di accertamento, di
repressione, di regolazione, di erogazione di sanzioni, adottare misure di vario genere,
addirittura potere adottare misure cautelari.
Ha poi un potere generale, di segnalazione, nel senso che tutte le volte in cui vengono
adottati da parte del potere legislativo determinate leggi che sono in grado di
alterare il funzionamento di un determinato mercato, viene richiesto all‟autorità
garante di garantire un parere sul disegno di legge, sullo schema del provvedimento
legislativo che dev‟essere emanato. L‟autorità garante esprime il suo parare in
funzione degli obiettivi che sono posti nella sua competenza, mantenimento di assetto
concorrenziale del mercato e promozione della stessa concorrenza.
L‟autorità garante ha poi anche altre funzioni, oltre la tutela della concorrenza, è
chiamata ad applicare le norme prevista in materia di pubblicità ingannevole
comparativa; norme in materia di pratiche commerciali scorrette,norme a tutela del
consumatore; ha altre funzioni che le sono state assegnate nel tempo da
provvedimenti legislativi. È tenuta ad applicare norme in materia di conflitti di
interessi su soggetti che compiono determinate cariche politiche (funzione estranea
al diritto antitrust).
Recentemente, in materia di servizi pubblici, è stato assegnato all‟autorità antitrust il
potere di esprimersi sulla legittimità di una assegnazione diretta per lo svolgimento di
un particolare servizio pubblico da parte di enti locali. Vi sono casi in cui gli enti
possono decidere di affidare lo svolgimento, la gestione di servizio pubblico
direttamente ad una società che è espressione dello stesso ente locale.
Questo contravviene la regola generale secondo la quale l‟assegnazione dei servizi
pubblici da parte degli enti pubblici dev‟essere fatta con gara, mettendo a gara il
servizio di gestione, quando invece si deroga a questa regola nell‟assegnare
direttamente (senza gara) il servizio pubblico ad un particolare soggetto pubblico che
è espressione dell‟ente locale che affida il servizio, allora viene chiesto all‟autorità
garante di esprimersi sul fatto che sussistano determinati presupposti e requisiti che
rendono possibile questo affidamento diretto senza gara.
Oltre a questo, l‟autorità garante svolge anche altre funzioni stabilite in
provvedimenti legislativi che sono stati di volta in volta emanati dal legislatore.
L‟autorità garante è autorità amministrativa indipendente mono funzione, nella
concezione originale della legge antitrust, della legge 287, doveva sostanzialmente
applicare il diritto della concorrenza, doveva avere come stella polare, come obiettivo
principale, garantire la concorrenzialità dei nostri mercati.
98
Il fatto di assegnare nuove funzioni che non sono semplice applicazione del diritto
della concorrenza snatura quella che è la vocazione dell‟autorità antitrust, sicché al
suo interno devono partecipare funzionari che hanno competenze di genere diverso
rispetto a quello che sarebbero richieste se si trattasse soltanto di applicare il
diritto antitrust. In più in seguito alla crisi del 2007 si è assistito ad una sottrazione
di competenze in materia antitrust da parte dello Stato.
In base alla legge del 2008 è stato previsto che in particolari casi determinate intese
vietate, concentrazioni vietate, possono essere legittimate, autorizzate, sulla base di
una decisione assunta dal governo. Determinate violazioni del diritto antitrust possono
essere sottratte alla valutazione da parte dell‟autorità antitrust, quando una
particolare situazione sia ritenuta necessarie per ragioni di politica economica.
Esempio tipico che si fa è il caso Alitalia che ha portato ad una serie di operazioni di
concentrazione tra vettori che sono state sottratte alla valutazione dell‟Autorità
Garante della Concorrenza e del mercato.
Dicevo prima che l‟Autorità garante ha tutta una serie di poteri di accertamento,
poteri di assumere decisioni, erogare sanzioni, poteri ispettivi e così via. È chiaro che
l‟esercizio di questi poteri deve avvenire nell‟ambito di un procedimento disciplinato
dalla legge.
L‟esercizio di potere da parte dell‟autorità garante determina conseguenze
pregiudizievoli, delle limitazioni, nella sfera delle imprese, dei cittadini, che vengono
interessati dall‟autorità garante. È necessario che l‟attività dell‟autorità garante sia
procedimentalizzata in modo molto preciso.
Da questo punto di vista, abbiamo un regolamento adottato dal PDR, regolamento 217
del 1998 che disciplina i procedimenti che vengono posti in essere dall‟autorità
garante, soprattutto nei casi di applicazione delle norme antitrust nazionali che delle
norme antitrust europee.
Abbiamo un regolamento interno dell‟autorità che stabilisce come si snoda il
procedimento da parte della stessa autorità. Accanto a questo regolamento interno
abbiamo una legge generale che disciplina il procedimento delle PA, legge 241 1990,
legge generale sul provvedimento amministrativo, che prevede che tutte le volte in cui
la PA ha a che fare con i cittadini deve seguire un determinato iter procedimentale,
essere nominato il responsabile del procedimento, inviate determinate comunicazioni
al privato cittadino, vi sia un obbligo di motivazione da parte della PA, e che sia
assicurato un contradditorio tra la PA e il privato cittadino, in modo che il privato può
far valere le proprie ragioni nell‟ambito del provvedimento aperto alle PA.
Il regolamento interno del 1998 della autorità garante si pone in una relazione di
specialità con la legge generale del procedimento amministrativo, 241 del 1990. Ai
procedimenti posti in essere dall‟Autorità garante si applica il proprio regolamento
interno. Soltanto laddove questo regolamento interno preveda determinate regole, una
disciplina specifica di particolare aspetto, allora si può applicare la legge generale sul
provvedimento amministrativo, 241/1990. È chiaro che il regolamento interno i
dell‟autorità garante del 1998 è concepito e prevede disposizioni molto simili a quelle
99
che sono previste nella legge generale sul procedimento amministrativo, legge 241 del
1990.
Vi sono poi ulteriori atti, provvedimenti chevengono emanati dall‟autorità e che
disciplinano i criteri cui l‟autorità si atterrà nel decidere determinate situazioni. Sono
atti dell‟autorità garante che stabiliscono linee guida rispetto alla propria attività in
particolari settori. Questi atti hanno il valore di circolari interpretative.
L‟autorità garante in relazione a determinati aspetti della propria attività pubblica
documenti per anticipare gli orientamenti della stessa autorità per una particolare
situazione rispetto ad una particolare fattispecie. Servono ai soggetti interessati per
anticipare le valutazioni da parte dell‟autorità garante rispetto a determinati fatti
economici.
Vediamo i procedimenti un po‟ da vicino. I procedimenti che pone in essere l‟autorità
garante sono molto diversi a seconda che si tratti di valutare una intesa restrittiva o
abuso di posizione dominante ovvero una operazione di concentrazione.
Per quel che riguarda le intese restrittive o abuso di posizione dominante l‟autorità
garante può procedere facendo indagini conoscitive su un determinato mercato.
L‟autorità garante lo fa spesso, se andate sul sito dell‟Autorità vedete le varie indagini
conoscitivi, ed anche atti caratterizzati da assetti particolari in settori industriali
particolarmente industrializzati, monopolistici. Queste indagini conoscitive sono di
tipo generale, non determinano conseguenze per le imprese che sono fatte oggetto
dell‟indagine da parte dell‟autorità garante.
Vi sono invece poi quei procedimenti diretti all‟accertamento di violazioni della legge à
antitrust. In questo caso apre l’istruttoria. Se agisce sulla base della legge
comunitaria, deve informare la commissione europea del fatto di aver aperto
l‟istruttoria a sospetto della determinata violazione della legge antitrust.
L‟istruttoria è molto complicata, è preceduta da una fase di preistruttoria. Prima di
comunicare alle imprese interessate il fatto che l‟autorità garante sospetti la
violazione di determinate norme antitrust, è necessario che internamente nella stessa
autorità garante si formi un fondato convincimento che queste norme sono state
vietate, che c‟è stata una intesa, cartello o abuso di posizione dominante, questa è la
preistruttoria.
Se la preistruttoria ha esito positivo allora autorità garante comunica alle imprese
interessate che è stata aperta un‟istruttoria e comunica la violazione che la stessa
autorità sospetta sia posta in essere. Vero e proprio atto formale posto in essere
dall‟autorità garante, comunicato alle imprese interessate rispetto al quale possono
presentare deduzioni, proprie osservazioni, le imprese interessate possono essere
sentite e così via.
In questi casi,dopo che è stata aperta l‟istruttoria, l‟autorità ha anche il potere di
adottare misure cautelari. Cosa sono? Sono misure che tendono ad evitare che si
determini il pregiudizio che è connesso alla violazione del diritto antitrust. L‟autorità
antitrust sospetta un determinato abuso di posizione dominante, apre l‟istruttoria, se
è necessario per evitare che il pregiudizio diventi irreparabile anticipare gli effetti di
100
una successiva decisione che potrà essere assunta dalla stessa autorità garante, allora
la stessa Autorità può assumere la misura cautelare.
In qualche modo richiede alle imprese interessate di astenersi da determinati
comportamenti imprenditoriali. Lo fa evidentemente imponendo una determinata
restrizione alle imprese interessate. Queste misure cautelari possono essere
adottatenei casi più gravi: sospetto che ci sia stata una violazione, è verosimile anche
sulla base di una valutazione sommaria, quale quella che può essere posta in essere, al
momento dell‟istruttoria, è verosimile che un‟infrazione è stata posta in essere.
Altro presupposto è che ci sia stato il periculum in mora, intervenire direttamente
senza attendere l‟esito dell‟istruttoria per evitare che si verifichi un pregiudizio, un
danno, che non può essere più rimediato successivamente. La nozione di queste misure
cautelari può essere decisa in casi gravi. Ci sono casi gravi in cui l‟autorità può
decidere misure cautelari anche senza sentire le imprese interessate. Vengono
assunte queste misure solo dopo che vengano state sentite in via di urgenza le imprese
interessate.
Dopo che l‟istruttoria è stata chiusa, (lunga), rispetto alla quale la legge non stabilisce
limiti di tempo, davanti alla quale le imprese interessate possono far valere le proprie
opinioni, depositare le proprie memorie, osservazioni, durante la fase di istruttoria si
svolge un contraddittorio tra l‟autorità garante e le imprese interessate. Se
l‟istruttoria arriva al sospetto che aveva aperto l‟istruttoria stessa, si arriva ad una
decisione che consiste nell‟astenersi da comportamenti che costituiscono violazione
della disciplina antitrust.
Se le imprese interessate non pongono fine a questi comportamenti l‟autorità
antitrust irroga dellesanzioni pecuniarie.Vi sono dei casi in cui, oltre alla decisione
che comporta l‟eliminazione delle infrazioni al diritto antitrust, l‟Autorità antitrust
può direttamente sanzionare l‟impresa interessata chiedendole di pagare determinate
somme molto consistente, in grado di incidere in forma significativa sul conto
economico delle imprese interessate.
È chiaro che tutto questo complesso procedimento, avrebbe poco senso se l‟autorità
antitrust non potesse avvalersi di strumenti incisivi per poter acquisire informazioni,
conoscenze, in grado di supportare le proprie valutazioni. L‟autorità antitrust è dotata
di potere strumentare a fini probatori, può richiedere documenti alle intese
interessate, e può anche avvalersi di organi che normalmente sono differenti rispetto
alla funzione di polizia giudiziaria, si avvale della guardia di finanza e così via. Può
quindi erogare sanzioni amministrative, pecuniarie di vario genere.
Se l‟autorità antitrust agisce applicando il diritto antitrust comunitario, quando arriva
la decisione, la nostra autorità garante deve avvisare la commissione della decisione
che l‟Autorità garante ha assunto.
Il procedimento istruttorio, avviene anche più spesso, si può anche concludere anche
positivamente. All‟esito dell‟istruttoria l‟autorità accerta che non ci sono state
violazioni delle norme in materia di concorrenza, non ci sono state intese, abuso di
posizione dominante e così via. Vi sono casi in cui le imprese interessate possono
101
evitare l‟emanazione di una decisione sanzionatoria da parte dell‟autorità garante
mediante l’assunzione di impegni.
Ciò è previsto dal 14 ter. Il procedimento può concludersi anche senza l‟accertamento
dell‟infrazione laddove le parti abbiano presentato, alla stessa autorità, determinati
impegni che siano in grado di superare i limiti anti concorrenziali che erano oggetto
dell‟istruttoria dell‟autorità garante.
Le imprese interessate ricevono la notizia dell‟avvio dell‟istruttoria. Anziché
difendersi contestando la violazione delle norme antitrust, scendono a patti con
l‟Autorità garante, scendono a patti promettendo comportamenti economici, in grado
di superare gli effetti anticoncorrenziali provocati dalle condotte oggetto di
istruttoria.
È chiaro che questi impegni assunti dalle imprese interessate sono oggetto di una
contrattazione da parte delle imprese interessate. Le imprese interessate possono
prendere determinati impegni, attenersi a determinate condotte imprenditoriali,
l‟autorità può ritenere questi impegni non sufficienti, può chiederne ulteriori, può
chiedere un rafforzamento di questi impegni e così via.
Prima che l‟autorità adotti una posizione ufficiale è necessario che questi impegni
siano resi noti al mercato, a tutti i soggetti interessati, ai concorrenti delle imprese
coinvolte nell‟istruttoria, anche ai clienti. Gli impegni vengono pubblicati in modo che
tutti i soggetti interessati possano proporre le proprie osservazioni e alla fine
l‟Autorità garante decide se accettare o meno questi impegni proposti dalle imprese
interessate.
La decisione di accettare questi impegni da parte dell‟autorità garante ha l‟effetto di
provocare la chiusura del procedimento istruttorio. Questa sorta di procedimento
crea una specie di patteggiamento tra l‟autorità garante e le imprese interessate, che
ha effetti molto positivi per le imprese interessate. Se chiudono l‟istruttoria con
decisione con la decisione con impegni evitano una decisione diversa da parte
dell‟autorità antitrust, in particolare la decisione negativa da parte dei loro confronti;
evitano che l‟istruttoria si chiuda con l‟accertamento di violazione del diritto
antitrust, questa violazione è stata paralizzata dagli impegni assunti in fase di
istruttoria.
Questo effetto è particolarmente positivo per un motivo specifico, ha a che fare con
l‟applicazione del diritto antitrust. Occorre dire che il diritto antitrust è applicato
dall‟Autorità Garante in Italia, dalla commissione e così via. Il diritto antitrust
formato da norme di legge, competenti ad applicare il diritto antitrust sono anche i
giudici. La legge antitrust numero 283 stabilisce che giudice competente a conoscere
le norme in materia antitrust sia anche la corte di appello della giurisdizione ove ha
sede l‟Autorità.
Possiamo chiederci quale rapporto sta tra il rapporto dell‟autorità garante e quello dei
giudici. Teniamo conto che il diritto antitrust comunitario può essere applicato da
tutti i giudici nazionali. Qualsiasi giudice ordinario può essere chiamato ad applicare il
diritto antitrust comunitario.
102
Strana situazione in cui abbiamo una sorta di doppio binario in cui da un lato il diritto
è applicato dall‟Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, cioè autorità
amministrative indipendenti, dall‟altro lato anche i giudici ordinari possono applicare il
diritto antitrust se ritengono che vi possano essere state violazioni delle regole in
materia di concorrenza.
Questa situazione di doppio binario è stata razionalizzata. Diverse sono le finalità
dell‟applicazione del diritto antitrust posta in essere dall‟autorità garante e quella
posta in essere dai giudici.
L‟autorità garante della concorrenza e del mercato, applica le norme antitrust in
funzione dell‟interesse generale, mantenimento dell‟assetto concorrenziale dei
mercati, per evitare che vengano poste in essere condotte che pregiudicano la
concorrenza dei mercati. L‟Autorità garante applica il diritto antitrust in funzione
dell‟interesse generale, che tutti i cittadini hanno nei confronti che si mantenga
assetto concorrenziale (non si creino abusi di posizione dominante, non si creino
cartelli). Tutti noi abbiamo interesse che i mercati siano efficienti e che non ci siano
abusi a danno dei consumatori.
L‟autorità antitrust irroga sanzioni pecuniarie ma non stabilisce che determinati
importi debbano essere pagati in favore di determinati soggetti: cittadini,
consumatori o concorrenti delle imprese che hanno posto in essere determinate
violazioni del diritto antitrust. Non condanna le imprese interessate che hanno posto
in essere determinate violazioni al risarcimento dei danni in favore di questo o
quest‟altro soggetto.
L‟autorità antitrust applica il diritto antitrust in funzione del perseguimento
d‟interesse generale al mantenimento dell‟assetto concorrenziale nel mercato. Diverso
il ruolo dei giudici che intervengono a tutela dei diritti di specifici soggetti, interessi
privati, non intervengono a tutela dell‟interesse generale per il mantenimento della
concorrenza nel mercato. I giudici applicano il diritto antitrust quando ci sono clienti
cittadini, clienti, concorrenti di imprese che vengono accusati di aver violato il diritto
antitrust. I giudici ordinario intervengono in tutela di posizioni giuridiche soggettive.
In altri termini il giudice interviene quando c‟è un concorrente di una impresa che ha
dato vita ad un cartello. Ovvero il cliente dell‟impresa vuole essere risarcito dei danni
che ha subito in conseguenza dell‟esistenza di quel cartello. Danni che possono essere
normalmente di tipo economico che consistono in maggiori prezzi che sono stati
richiesti.
Come vedete, vi è una confusione o sovrapposizione tra la funzione dell‟autorità
garante della concorrenza e del mercato e la funzione che i giudici, l‟apparato
giudiziario, svolgono nell‟ambito dell‟applicazione del diritto antitrust. Intervengono a
tutela di posizioni giuridiche individuali. Accertano l‟applicazione del diritto antitrust
in funzione del riconoscimento da parte di soggetti a vedersi risarciti rispetto a danni.
È chiaro che questo contesto delle decisioni con impegni le imprese interessate hanno
interesse a senza che l‟autorità garante abbia accertato la violazione di una norma
antitrust, senza che l‟autoritàabbia accertato che vi sia stato abuso di posizione
103
dominante ovvero che è stata posta in essere una intesa restrittiva della concorrenza.
Se il procedimento si conclude con l‟accertamento dell‟infrazione, allora i soggetti lesi
dall‟infrazione, clienti e concorrenti potranno andare dal giudice ordinario a chiedere
il risarcimento dei danni.
In effetti sempre più spesso accade che dopo che l‟autorità garante ha accertato le
infrazioni inizino evidentemente dei procedimenti di fronte alla giustizia ordinaria da
parte dei soggetti lesi da comportamenti anticoncorrenziali per vedersi riconosciuti i
danni che i soggetti hanno subito in conseguenza di questi comportamenti.
Un ruolo importante è svolto dalle associazioni dei consumatori, associazioni che sono
in grado di farsi portatrici di interesse che sono diffusi sul mercato. È chiaro che le
azioni di risarcimento danno della norma antitrust sono ostacolate da problemi di
azione collettiva. Il singolo cliente dell‟impresa che ha posto in essere il cartello o
abuso di posizione dominante non ha interesse ad agire individualmente, perché i costi
connessi dalla propria azione individuale superano di gran lunga i benefici economici
che il soggetto potrebbe ritrarre dall‟azione individuale.
Problema che ha fatto si che nel tempo le cause presso i giudici ordinari di violazione
del diritto antitrust siano state sostanzialmente molto poche. Oggi come oggi la
situazione è destinata a cambiare per due motivi principali. Da un lato il nostro
ordinamento riconosce la legittimazione a far valere i danni anche dalle associazioni
dei consumatori, dall‟altro lato perché ormai è diventata per una serie di
problematiche, legge anche nel nostro ordinamento la possibilità di promuovere azioni
collettive a tutela di interessi omogenei da parte di categorie di soggetti.
Ultima cosa prima di finire la lezione. Altro particolare procedimento che può essere
avviato da parte delle autorità antitrust ha a che fare con i programmi di clemenza.
Cosa sono? Misure che l‟autorità antitrust può concedere per far emergere intese
restrittive della concorrenza che sono mantenute segrete. In qualche modo vi è una
norma della legge antitrust che prevede questi programmi. La possibilità per le
imprese che fanno parte di un cartello rimasto segreto fino a quel momento e che si
autodenunciano di godere di una sorta di immunità dall‟applicazione delle sanzioni che
diversamente dovrebbero essere sottoposte.
Immunità che ha lo scopo di fare immergere cartelli mantenuti segreti. Questa sorta
di immunità costituisce un forte incentivo per le imprese che fanno parte di questi
accordi segreti ad autodenunciarsi, denunciare l‟esistenza del cartello.
Questi programmi sono contenuti in una serie di documenti, emanati dalla stessa
Autorità Garante. Si prevede che l‟immunità sia prevista dall‟impresa che per prima
fornisce fattivi elementi di collaborazione informativi che siano in grado di dare
evidenza all‟esistenza di questo cartello segreto.
Chi per primo denuncia l‟esistenza del cartello segreto e porta notizie ha forte
incentivo a farlo perché può godere dell‟immunità totale dell‟applicazione delle sanzioni
pecuniarie che sono previste. Le altre imprese sia pure denunciate che però
forniscono una fattiva collaborazione, possono godere di determinati sconti, riduzioni,
104
rispetto all‟importo delle sanzioni pecuniarie che diversamente sarebbero applicate.
03/04/2012
Ieri abbiamo visto il tema dei poteri di cui le autorità antitrust dispongono, questi
poteri sono esercitati e fatti valere nell‟ambito di procedimenti che sono differenziati
a seconda della finalità dello stesso procedimento.
Rimangono da vedere i procedimenti in materia di promanazione delleconcentrazioni,
procedimento di cui ho già parlato brevemente. Parlavamo ieri di controllo sulle
concentrazione, articoli da 16 a 19 legge 287/1990.
È un procedimento che inizia con una notifica dell‟operazione da parte delle imprese
interessate: consiste nell‟attribuire all‟autorità antitrust tutti dei modelli
standardizzati predisposti dalla stessa autorità antitrust. Nell‟ambito di questi
modelli occorre anzitutto segnalare le caratteristiche dell‟operazione di
concentrazione ma soprattutto occorre indicare quali sono i mercati rilevanti
interessati dall‟operazione di concentrazione, anche qual è la quota di tali mercati che
è posseduta da parte dell‟operazione di concentrazione.
Una volta avvenuta la notifica, la autorità antitrust apre un procedimento che
inizialmente consiste in una sorta di pre istruttoria, l‟autorità antirust ha 30 giorni
per valutare se l‟operazione di concentrazione appare meritevole di una analisi più
approfondita sul piano concorrenziale. Entro questi 30 giorni l‟autorità garante,
antitrust deve comunicare alle imprese interessate se intende o meno aprire una
propria istruttoria.
Opera il meccanismo del silenzio assenso. Se l‟autorità antitrust non comunica
l‟apertura dell‟istruttoria, allora si deve ritenere che l‟autorità antitrust si sia
pronunciata positivamente, ha dato il suo nullaosta, il suo assenso e le parti possono
procedere. Silenzio vale come assenso e le parti possono procedere.
Se si apre l‟istruttoria formale? Comunicazione alle imprese interessate ed inizia un
vero e proprio procedimento concorsuale nell‟ambito del quale la autorità antitrust
valuterà tutti gli elementi a sua disposizione e gli ulteriori elementi conoscitivi
interessati, l‟esisto della quale l‟autorità ha tre possibili pesi.
Autorizzare l‟operazione di concentrazione, autorizzare l‟operazione di concentrazione
sottoponendo l‟operazione a determinate condizioni.Abbiamo visto l‟ipotesi
dell‟autorizzazione con intendi, l‟operazione viene ritenuta compatibile con le norme in
materia di concorrenza. Le imprese interessate pongano in essere delle misure
comportamentali per eliminare in modo significativo gli effetti anticoncorrenziali. Da
questo punto di vista abbiamo visto come sono possibili dismissionecon aste,di rami
aziendali di imprese che si concentrano, cessione di partecipazioni. Fornire
determinati concorrenti di determinati prodotti, a determinati prezzi.
Il procedimento di controllo preventivo delle concentrazioni non avviene in
contradditorio con le imprese, ma è un procedimento che l‟autorità garante lo pone in
essere in modo unilaterale. Svolgere tutti gli accertamenti di tipo istruttorio sulla
base della documentazione fornita dalle imprese interessate. Se l‟autorità garante
105
assume un esito negativo, in questo caso è possibile che vengano ascoltate le imprese
interessate e possano far valere la propria posizione, presentare osservazioni,
memorie e così via.
È chiaro che se poi i privati contemperano alla decisione dell‟autorità garante sono
previste da un lato sanzioni pecuniarie particolarmente significative a carico delle
imprese interessate e dall‟altro lato è possibile che l‟autorità garante decida che
queste imprese interessate debbano attuare misure di deconcentrazione. Debbano
porre in essere operazioni societarie per arrivare ad una situazione di fatto che
sussistevaprima che l‟operazione di concentrazione fosse attuata.
Come dicevo anche ieri, accanto a questa disciplina generale in materia di concorrenza,
abbiamo discipline speciali che si applicano a particolari settori. Sono quelle relative al
settore delle telecomunicazioni di massa, alle banche e al gas naturale (ci torneremo
quando parleremo di servizi pubblici, la distribuzione del gas naturale è un servizio
pubblico che sostanzialmente ha il controllo e competenza delle autorità locali=.
Settore delle comunicazioni di massa. Decreto legislativo del 2005 167 che
all‟articolo 43 vieta la posizione dominante nel mercati che costituiscono il sistema
delle telecomunicazioni. In questo caso la legge dispone che questo sistema integrato
delle telecomunicazioni, mercato dell‟editoria, televisivo, radiofonico, mercato dei
mezzi di comunicazione di massa, possano essere costituite posizioni dominanti.
Abbiamo visto come nell‟ambito della disciplina generale della concorrenza non è
vietata la posizione di una impresa dominante, ma il compimento di atti e
comportamenti che possano costituire abuso di posizione dominante detenuto da una
determinata impresa.
La posizione dominante è individuata secondo determinati punti percentuali di
concentrazione delle imprese che operano in questi mercati. Si calcolano determinati
indici, le imprese che operano sui mercati non possono raggiungere la costituzione di
posizione dominante.
Altra importante misura riguarda l’accesso ai mercati delle comunicazioni di massa.
Le frequenze radiofoniche e le frequenze nel senso di trasmettere programmi
televisivi digitali sono assegnate agli operatori mediante un piano nazionale di
assegnazione sulla base di meccanismi di asta competitiva. Questo decreto legislativo
2005 prevede che una medesima impresa, anche attraverso società controllate, non
possa essere titolare licenze assegnate mediante questo sistema di asta, che le
consenta la diffusione di più del 20% dei programmi televisivi e radiofonici che
abbiamo su terrestri in ambito nazionale.
Abbiamo delle discipline speciali dirette a preservare un assetto concorrenziale nel
mercato delle comunicazioni di massa. La prima è una misura che tende a preservare
un determinato assetto statico del mercato, impedire che nell‟ambito di questi
mercati vi sia un operatore che detiene una quota di mercato particolarmente
significativa.
La seconda misura riguarda la fase di accesso al mercato, il contenimento delle licenze
per eseguire programmi televisivi e radiofonici sulle frequenze terrestri, è diretta a
106
far si che queste frequenze possano essere assegnate ad una pluralità di soggetti
diversi. Più soggetti possono aver accesso al mercato delle trasmissioni radio
televisive.
Vi sono poi ulteriori misure previste sempre in questo decreto legislativo che
riguardano i limiti di concentrazione della raccolta pubblicitaria. Vengono posti
addirittura dei limiti ai ricavi complessivi in termini pubblicitari che le imprese
possono ottenere nell‟ambito di questi mercati.
È previsto il divieto alle società che superano determinati valori in termini assoluti dei
ricavi del sistema integrato delle telecomunicazioni di poter acquisire o costituire
imprese editrici di quotidiani nazionali. Se una determinata impresa raggiunge una
quota dei ricavi complessivi ottenibili su questi mercati, questa impresa non può
accrescere ulteriormente la propria dimensione acquisendo o costituendo imprese
editrici di quotidiani nazionali.
In questo sistema vi sono tutta una serie di limiti e divieti che riguardano la
dimensione delle imprese che riguardano il sistema integrato delle telecomunicazioni,
molto più stringenti rispetto a quello che abbiamo visto sulla disciplina generale in
materia di concorrenza. L‟obiettivo di queste disposizioni non è solo quello di
preservare l‟assetto concorrenziali di questi mercati che costituiscono il sistema
integrato delle telecomunicazioni, l‟obiettivo finale non è soltanto quello della
concorrenza, mantenere condizioni di monopolio sostenibile. L‟obiettivo è più
ambizioso: quello di garantire il pluralismo dell‟offerta informativa sul mercato, il
fatto che sul mercato possano operare più soggetti in grado di garantire il pluralismo
dei mezzi di informazione.
Questa tutela del pluralismo dei mezzi di informazione è un obiettivo che va al di là
degli obiettivi di efficienza economica, o tutela dei consumatori in materia di
concorrenza, ma ha anche a che fare con la garanzia del funzionamento delle
istituzioni democratiche del nostro ordinamento, obiettivo ulteriore rispetto a quello
tipico delle discipline antitrust.
Questo è il motivo per cui si impedisce la costituzione di posizioni dominanti all‟interno
dei mercati, ovvero le imprese che operano nei mercati possano raggiungere
determinati livelli dimensionali. Ciò significa che vi sono operatori dominanti e si
impedisce l‟ingresso sul mercato di nuovi operatori, che siano in grado di preservare
la pluralità delle voci e opinioni devono essere garantite ai cittadini, in modo che i
cittadini possano scegliere nell‟ambito del mercato. Questo sistema complesso di
regolazione del mercato è sottoposto all‟Autorità per le garanzie nelle
Telecomunicazioni, composta da 4 organi:
- Presidente
- Commissione per le reti e infrastrutture composta da 4 commissari
- Commissione per i prodotti e servizi, composta da 4 commissari
- Consiglio dell‟autorità per le garanzie AGCM composto da presidente e da tutti
gli 8 commissari
107
Anche questa autorità per le garanzie della comunicazione, l‟AGCM opera sulla base di
regolamenti interni, dispone di determinati poteri previsti dal decreto legislativo del
2005 e soprattutto ha la possibilità di accertare se una impresa o un gruppo di
imprese ha superato i limiti dimensionali previsti dal decreto legislativo 2005.
Si apre un‟istruttoria, nel caso in cui l‟esito di questa istruttoria in cui le imprese
interessate possono presentare le proprie osservazioni e considerazioni, se si ritiene
che queste soglie valutative soglie siano state superate, vi sia una impresa che
minaccia il superamento, allora si dispone che questa posizione dominante venga
smantellata imponendo alla impresa dominante che ha superato determinati livelli
dimensionali di dismettere rami d‟azienda, partecipazioni.
Se questi provvedimenti non vengono attuati, la stessa autorità sanzioni
amministrative e pecuniarie. Vi sono poi anche ulteriori norme, che riguardano il
cosiddetto affollamento pubblicitario, che fissano limiti giornalieri relativi alla
programmazione, orari di messaggi pubblicitari, tempi di affollamento che non possono
essere superati da imprese che si occupano di programmi radiotelevisivi e radiofonici.
Questi limiti sono fissati sia su base oraria, limiti giornalieri, settimanali, disciplina
complessa. Nel caso di superamento di limiti l‟AGCM ha la possibilità di erogare delle
sanzioni amministrative pecuniarie che dipendono dalla significatività del
superamentodegli stessi limiti.
Vi sono poi delle particolari norme introdotte nel 2008 e 2009 relative alla
commercializzazione di programmi televisivi e radiofonici di determinati trasmissioni
sportive. Anche qua c‟è l‟assegnazionedi questi diritti in modo da preservare un certo
programma di concorrenza. Questa disciplina settoriale della concorrenza è una
disciplina che sostituisce quella generale prevista dalla legge 287, è diretta ad
obiettivi di pluralismo che sono in parte diversi rispetto a quelli che sono propri delle
discipline generali antitrust. Per provvedimenti relativi ai limiti dimensionali delle
imprese, l‟AGCM sente l‟autorità antitrust, e in qualche modo si prevedono forme di
coordinamento fra le due autorità.
Altra disciplina settoriale riguarda le banche, di cui ho parlato ieri e riprendiamo
oggi. Disciplina settoriale dell‟attività bancaria, TUB decreto legislativo 385/1993.
Questo TUB all‟articolo 19 prevede l‟acquisto di partecipazioni nel capitale di banche.
Le banche sono quelle società che sono state autorizzate all‟esercizio dell‟autorità
bancaria nei nostri mercati. L‟attività bancaria consiste nel raccogliere risparmio,
esercizio del credito.
Sono previste delle norme che subordinano l‟acquisto di partecipazione di un certo
livello da parte delle banche ad una preventiva autorizzazione da parte della Banca
d‟Italia. Questa autorizzazione è necessaria tutte le volte in cui vi sia un soggetto che
viene a detenere più del 10% del capitale di una banca. È necessaria autorizzazione
tutte le volte in cui la partecipazione supera il 20-30-40% (più del 10%) del capitale
della banca, comporta che il soggetto arriva a detenere una posizione di controllo sul
capitale della banca e assume una posizione di influenza dominante relativamente alla
gestione di una banca.
108
L‟autorizzazione è lasciata alla Banca d‟Italia, è una autorizzazione preventiva che
deve essere data prima che venga effettuata l‟operazione che determina il
superamento di queste soglie di partecipazione. È una autorizzazione che la Banca
d‟Italia rilascia discrezionalmente sulla base di parametri di valutazione diversi
rispetto a quelli che invece deve osservare l‟autorità garante della concorrenza quando
valgono le operazioni di concentrazione.
La Banca d‟Italia può autorizzare o meno le acquisizioni di questa partecipazione a
seconda se ritiene che il mutamento dell‟assetto di controllo della banca possa in
qualche modo influire sulla sana e potente gestione della banca stessa. Mutamento
dell‟assetto proprietario della banca, può essere garantita la sana e prudente gestione
della banca stessa. La banca nonostante il fatto che la sua compagine sociale è
cambiata, può mantenersi stabile sui mercati, mantenere la propria solidità
patrimoniale, essere in grado di continuare ad operare la propria attività garantendo il
rispetto di tutte le leggi e regolamenti che devono essere osservati quando si svolgono
attività bancarie sul mercato.
Le ragioni che stanno alla base dell‟autorizzazione della BDI sono in parte diversi
rispetto a quello che stanno alla base del controllo dell'esercizio di concentrazione da
parte dell‟autorità garante, è una stabilità delle banche di far fronte alle proprie
obbligazioni di tutelare il risparmio raccolto in modo adeguato.
L‟ operazione può essere vietata laddove, tenuto conto delle partecipazioni
dell‟acquirente, la BDI ritenga che a seguito dell‟operazione di concentrazione e
acquisto della partecipazione non possa essere garantita la sana e prudente gestione
della banca.
In questo caso abbiamo di nuovo una disciplina che ha effetti sull‟assetto
concorrenziale del mercato delle attività bancarie, questo controllo da parte della
BDI si sovrappone ai poteri di controllo che spettano invece all‟autorità antitrust, in
questo caso poteri di controllo che sono assegnati alla BDI si pongono accanto ai
poteri di controllo che spettano all‟autorità garante della concorrenza e del mercato.
Le banche sono soggette al controllo generale, norme in materia di concorrenza
previste dalla legge antitrust e del trattato, e sono sottoposte alla vigilanza per
quanto concerne l‟assetto, l‟acquisto di partecipazioni al capitale. Per quel che
concerne il settore bancario abbiamo una disciplina generale della concorrenza
applicata dall‟Autorità Garante e una disciplina speciale della concorrenza applicata
dalla BDI.
Un tempo l‟assetto delle competenze non si poneva in questi termini. Anche
l‟applicazione nel settore bancario delle discipline generali in materia di concorrenza
era demandato alla BDI che non soltanto valutava la partecipazione al capitale di
banche, ma l‟applicazione di norme generali in materia antitrust al mercato bancario.
Abbiamo già considerato un paio di lezioni fa che questo ulteriore ruolo assegnato alla
BDI da parte dell‟autorità antitrust nel settore bancario poneva qualche problema
perché, nel valutare l‟assetto del mercato bancario era possibile che la BDI non
seguisse considerazioni basate sugli aspetti concorrenziali del mercato, ma in qualche
109
modo basasse le proprie valutazioni su obiettivi legati alla vigilanza del settore
bancario.
Numerosi esempi su questo problema. Qualche anno fa vi è stata una fase di mercato
in cui si è assistito a numerose operazioni di concentrazione nel settore delle banche,
operazioni di fusione tra banche, in quei casi la BDI aveva dimostrato poteri antitrust
nel settore bancario non soltanto valutando gli effetti concorrenziali dell‟operazione
di concentrazione ma anche non autorizzando le operazioni di concentrazioni sulla base
di considerazioni ulteriori che non erano esclusivamente legate all‟impatto
concorrenziale sul mercato.
Questo ha sollecitato un intervento del legislatore nel 2005, legge sul risparmio, che
sostanzialmente ha sottratto la competenza in materia antitrust alla BDI
assegnandola all‟Autorità garante. Anche per il mercato bancario la disciplina della
concorrenza è demarcata dall‟autorità antitrust.
Doppio controllo: alla BDI quando le operazioni di concentrazione superano le soglie
dimensionali viste in precedenza; all‟autorità garante, tutte levolte in cui le operazioni
di concentrazione superano le soglie dimensionali previste dalla legge antitrust.
Altro esempio di disciplina settoriale è nel settore delgas naturale. Decreto
legislativo 164/2000, decreto Letta, che ancora oggi contiene le disposizioni di
riferimento per il funzionamento del mercato nella filiera del gas naturale.
In questo caso, la necessità di prevedere una disciplina speciale in questo settore
deriva da due considerazioni. La prima è questa: alcune attività che rientrano nella
filiera del gas sono sostanzialmente liberalizzate. Sono attività che prima erano
gestite da un unico operatore che poi sono state liberalizzate, alcuni segmenti della
filiera sono stati liberalizzati.
Allo stesso tempo abbiamo il problema che anche le attività neutralizzate può
continuare ad essere presente l‟ex monopolista, varie società del gruppo Eni. Un
soggetto ha una posizione dominante nell‟ambito del mercato. Quindi nell‟ambito di
questo mercato è previsto che l‟operatore dominante, ex monopolista, non possa
superare determinati tetti che riguardano la quota di mercato detenibile dall‟ex
monopolista.
Il discorso è abbastanza complicato, nel manuale è molto sintetizzato. Queste misure
antitrust prevedono tetti alla quota di mercato che possono essere detenuti
dall‟operatore in posizione dominante. Al di là di queste considerazioni quantitative, in
questo caso abbiamo un esempio di misura antitrust cosiddetta asimmetrica, pone
limiti quantitativi alle quote di mercato all‟operatore dominante, ma non pone gli stessi
limiti a carico dei concorrenti. Questo per favorire l‟accesso ai mercati liberalizzati
da parte dei concorrenti dell‟operatore in posizione dominante.
Si crea una asimmetria delle misure di regolazione per favorire l‟accesso al mercato
da parte dei concorrenti del monopolista per sviluppare, promuovere la concorrenza in
un determinato mercato. Per quanto concerne l‟applicazione di questa disciplina
settoriale bisogna sentire l‟Autorità garante della concorrenza e del mercato, prima di
adottare le disposizioni deve sentire l‟Autorità di regolazione del settore.
110
A questo punto possiamo iniziare a parlare di SERVIZI PUBBLICI. Il discorso sui
servizi pubblici è stato toccato brevemente nelle lezioni precedenti, cercherò di
attenermi nella maniera maggiore possibile al manuale.
Bisogna suddividere l‟esposizione relativa alla materia della regolazione dei servizi
pubblici in due parti: una prima parte riguarda le disposizioni generali in materia di
servizi pubblici, in questo contesto vedremo l‟evoluzione della disciplina in materia di
servizi pubblici avvenuta nel corso del tempo, riprendendo alcuni concetti visti a inizio
corso dobbiamo distinguere due fasi fondamentali:
- una prima fase di regolazione dei servizi pubblici, precedente al momento in cui
si è effettivamente manifestato l‟impatto del diritto comunitario anche sui
mercati che riguardano i servizi pubblici, l‟assetto tradizionale prima che
facessero sentire i loro effettianche nel nostro ordinamento le direttive di
liberalizzazione, che a fine anni „80 il legislatore ha emanato;
- Evidentemente vedremo
qual è stato l‟impatto
conseguente a seguito
dell‟adozione di queste direttive di liberalizzazione. Il discorso in linea generale
può essere molto sintetico. Ciascun servizio pubblico ha una propria disciplina
settorialemolto specifica, dedicheremo alcune lezioni per esaminare alcune
discipline settoriali in tema di servizi pubblici molto dettagliatamente.
Le discipline settoriali sono molto complicate, possono essere ricordate soltanto
genericamente, per dare l‟idea di come funziona il mercato. Punto importante sul quale
cominciare, parlando di servizi pubblici, è dare una nozione presente nel nostro
ordinamento.
Nozione che in realtà, per esempio, non è riconosciuta nell‟ordinamento comunitario. Il
servizio pubblico può essere inteso in senso soggettivo e oggettivo nell‟ambito della
dottrina.
Si parla di servizio pubblico in senso soggettivo se l‟attività è gestita dai pubblici
poteri, PA, da un soggetto pubblico direttamente od indirettamente. Tutte le volte in
cui c‟è regolazione di una determinata attività economica, di un determinato servizio, e
sono in capo alla PA si parla di servizio pubblico in senso soggettivo.La PA è
responsabile dell‟erogazione dei servizi ai cittadini; lo può fare sia direttamente o
indirettamente attraverso particolari articolazioni.
Servizio pubblico oggettivo ha a che fare col fatto che una determinata attività
economica sia gestita anche avendo riguardo a determinati interessi generali.
L‟attività economica non ha soltanto come unico scopo di ritrarre un lucro in senso
oggettivo o soggettivo, ma è anche svolta sulla base di considerazionidi interesse
pubblico, proprio perché si tratta di una attività che consiste nell‟erogazione di servizi
considerati essenziali per una determinata collettività di cittadini.
I servizi che possono essere considerati essenziali variano nel corso del tempo, tenuto
conto dell‟evoluzione, delle esigenze dei cittadini, dell‟evoluzione tecnologica. Da
questo punto di vista il servizio pubblico in senso oggettivo è una nozione
111
necessariamentedinamica, si evolve sulla base dell‟evoluzione delle esigenze primarie,
fondamentali delle persone.
Sono ritenuti essenziali quei servizi che in qualche modo consentono l‟attuazione dei
precetti costituzionali. Prendiamo l‟articolo 2 e 3 della costituzione.Articolo 2 “ La
Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell‟uomo, sia come singolo, sia
nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità...”.
Articolo 3 eguaglianza formale e sostanziale al comma 2 c‟è l‟eguaglianza sostanziale.
“è compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che,
limitando di fatto la libertà e l‟eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l‟effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all‟organizzazione
politica, economica e sociale del paese”.
Da questo punto di vista si pone un dovere in positivo da parte dello Stato di
rimuovere ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo
della persona umana. È necessario che lo Stato e le PA si facciano carico
dell‟erogazione di servizi essenziali fondamentali per consentire a ciascun cittadino di
poter fruire di un livello di prestazioni del servizioche gli consentano di sviluppare il
proprio concetto di dignità sulla base di diritti sostanzialmente omogenei.
Questo compito dello Stato asseconda il mutamento delle esigenze fondamentali dei
cittadini. Anche qui occorre tener conto del fatto che non soltanto i singoli stati
nazionali devono perseguire questo compito, obiettivo, ma anche sempre di più questo
compito è fatto proprio da parte delle istituzioni europee: si afferma non soltanto una
nozione di cittadinanza a livello nazionale ma anche europea, in cui è la stessa UE
attraverso i propri organi e istituzioni che si fa carico di riconoscere determinati
diritti fondamentali in capo a tutti i cittadini. Su questa base istituzionale da sempre
c‟è stata una forte presenza del mercato rispetto allo svolgimento di determinate
attività economiche.
Le modalità di questo intervento sono state diverse nel tempo. Nel libro si ricordano
determinate norme che già subito dopo l‟unificazione del Regno d‟Italia sono state
emanate per portare sotto il controllo pubblico lo svolgimento di determinate attività
economiche.
Norma fondamentale è quella in materia di municipalizzazionedei servizi pubblici
locali, ad esempio l‟attività di gestione dei servizi idrici che era in qualche modo
appannaggio di monopolisti privati. Ciò portava distorsioni, allora le municipalità
decisero di appropriarsi delle società che erogavano questi servizi. Questo avviene
sulla base di una legge del 1903 in materia di pubblici servizi locali, che consentiva agli
enti locali di gestire determinate attività. In generale abbiamo numerosissimi esempi,
dagli anni 1960 e anche più avanti, c‟è stata la nazionalizzazione della gestione delle
attività elettriche.
Sulla base del regime tradizionale dei servizi pubblici dobbiamo trattare due temi: il
primo è quello della riserva originaria. In base a queste leggi che prevedevano il
trasferimento al potere pubblico lo svolgimento di determinate attività economiche e
sulla base dell‟articolo 43 cost. si prevedeva che l‟esercizio di queste attività
112
economiche non potesse essere svolto da soggetti diversi rispetto allo Stato o alle PA.
Questo è il meccanismo di riserva: lo svolgimento di quella attività è riservata allo
Stato. Evidentemente il meccanismo di riserva creava diritti di monopolio esclusivi,
che impedivano a qualsiasi soggetto di operare nel settore economico.
Altra caratteristica del regime tradizionale del servizio pubblico è quello della
gestione diretta da parte del settore pubblico. La gestione pubblica del servizio che
può essere diretta od indiretta. È il settore pubblico che si fa carico della gestione
del servizio che può essere gestito direttamente da parte del soggetto pubblico
ovvero indirettamente, attraverso un ente pubblico, una persona giuridica distinta
rispetto alla PA.
Facciamo due esempi. Fino alla fine degli anni ‟80 il servizio ferroviario era gestito da
una azienda che faceva parte della PA. Era la stessa PA, ministero dei trasporti, che
si faceva carico di erogare il servizio ferroviario. Successivamente nel 1985 l‟azienda
autonoma delle ferrovie dello stato è stata trasformata in ente pubblico, in una
persona giuridica distinta rispetto al ministero dei trasporti. Addirittura poi ulteriore
passo in avanti: l‟ente FS è stato trasformato in SPA (nel 1992) e quindi, la gestione
da parte dello stato è divenuta ancora più evidente. Lo Stato per effettuare
determinate prestazioni di erogazione dei servizi ferroviari si avvale di una persona
giuridica di diritto privato, come è in effetti una SPA.
Così anche è accaduto per l’ENEL, costituito con la legge del 1962 in materia di
nazionalizzazione delle attività nel settore elettrico. Era un ente pubblico che forniva
queste attività di mercato trasformato poi in SPA.
Occorre ricordare che la trasformazione degli enti pubblici in SPA è stato il risultato
di leggi emanate nei primi anni novanta che hanno previsto la trasformazione in SPA,
di tutta una serie di enti pubblici statali che erogavano determinati servizi. Eni Enel,
poste italiane Efime altri soggetti.
Allo stesso tempo è stata mantenuta in capo a questi soggetti la competenza ad
erogare le relative prestazioni di servizio, sulla base di meccanismi diversi, uno era
quello della concessione amministrativa.
16/04/2012
Dobbiamo continuare col tema dei servizi pubblici. Il tema dei servizi pubblici lo
facciamo riprendendo l‟esposizione contenuta nel manuale. Dobbiamo fissare
alcunipunti, che costituiscono anche un po‟ uno sviluppo rispetto alle indicazioni
contenute nel libro. Con riferimento al regime generale dei servizi pubblici occorre
riprendere qualche considerazione.
La esposizione del tema avviene in tre parti. Una prima parte in cui è illustrata la
disciplina che generalmente si applica a quelle attività che possiamo ricomprendere
nella categoria dei servizi pubblici del regime tradizionale, quello che è prevalso e che
era applicato prima delle direttive di liberalizzazione, che dagli anni 1990 hanno
interessato anche i nostri mercati. Dopo questa parte sul regime tradizionale vi è una
113
parte che concerne il regime generale che consegue a questo periodo di
liberalizzazione dei mercati. Vi è una sorta di rivoluzione per quel che concerne la
disciplina dei servizi pubblici in generale. È una evoluzione che può essere illustrata
mettendo in evidenza alcuni elementi qualificanti di questa nuova disciplina dei servizi
pubblici, mettendo in risalto motivazioni di tipo economico. Vi è poi una terza parte,
sintetica, riguarda le discipline speciali che si applicano ai servizi pubblici.
Come vi avevo detto, ciascun servizio pubblico rappresenta un mercato a sé stante
contraddistinto da una disciplina settoriale specifica e analitica e anche tecnicamente
complessa. Non soltanto occorre analizzare le leggi che danno il quadro legislativo di
massima che si applica ad una determinata attività che può essere qualificata come
servizio pubblico, ma bisognerebbe anche vedere la normativa tecnica, di settore, che
è stata adottata dalle varie autorità di regolazione col compito di regolare uno
specifico settore.
Facciamo un esempio: nel caso della energia elettrica dalla produzione alla vendita,
oltre a parlare di alcune leggi generali che danno un quadro di riferimento bisogna
parlare delle varie direttive di regolazione che nel corso del tempo ha emanato
l‟autorità di regolazione, in particolare l‟Autorità per l‟energia elettrica e il gas.
Naturalmente l‟analisi settoriale cerca di fare capire come funziona uno specifico
settore e poi dà delle chiavi di lettura per interpretare ed inquadrare la disciplina dei
settori.
Partendo del regime tradizionale, ho già anticipato qualcosa, si caratterizzava
innanzitutto per un regime di riserva. Alcune attività considerate come servizi
pubblici non potevano essere svolte da soggetti diversi rispetto al potere pubblico,allo
Stato, o alle autorità e agli enti locali.
In questi settori operava il regime della riserva originaria. Lo stato riservava a sé lo
svolgimento di queste attività economiche, indipendentemente dal fatto che ci fosse
un assetto monopolistico, che fossero caratterizzate da monopoli naturali che
impedivano che il mercato potesse avere un assetto di tipo concorrenziale.
In secondo luogo, dopo il meccanismo della riserva originaria, il tratto essenziale è che
queste attività erano gestite direttamente dallo stato e da enti pubblici o
indirettamente, avvalendosi di soggetti, di imprese, enti pubblici, che avevano la
specifica missione di fornire ai cittadini, utenti, agli utenti determinate prestazioni di
servizi.
Questi soggetti erano soggetti pubblici, enti pubblici economici, a partire da un certo
punto anche SPA in cui per legge sono stati trasformati in enti pubblici economici per
l‟erogazione di certi servizi. Facciamo il caso di ENEL. Nel libro sono ricordati molti
esempi. Nel 1963 le attività del settore elettrico sono state oggetto di
nazionalizzazione, sono state trasferite imperativamente allo Stato. Lo Stato svolgeva
queste attività tramite ENEL, ente pubblico economico, certo grado di economicità.
Dai primi anni 1990 è stato trasformato in società per azioni. Oggi è una società per
azioni quotata in cui lo Stato detiene una posizione di maggioranza relativa; ancora
114
oggi ENEL è una società per azioni sottoil controllo dello Stato, sia pure tramite quota
di ENEL posseduta tramite società holding.
Questo regime di gestione indiretta avveniva spesso tramite lo strumento giuridico
del tutto particolare: la concessione. La concessione è un atto che da un lato
costituisce un provvedimento amministrativo perché viene deciso unilateralmente dallo
stato, dall‟altro lato regola un rapporto economico tra il soggetto concedente e
concessionario, per cui contiene anche delle previsioni che ricordano nuovi contratti di
diritto privato.
Con la concessione lo Stato trasferiva ad un soggetto diverso, nell‟esempio
precedente ENEL e altri settori, il potere di gestire determinate attività economiche.
Questa prerogativa era gestita da un soggetto diverso dallo Stato pur sempre
sottoposto al controllo dello Stato o di enti pubblici. La concessione aveva l‟effetto di
garantire un diritto esclusivo al concessionario. Lo Stato, tramite la concessione,
trasferiva ad un soggetto (o una pluralità di soggetti) il potere di svolgere
determinate attività economiche.
Esempio per rendere concreto quello che vi sto raccontando. Nel 1992 c‟è stata una
legge che trasforma in SPA vari servizi pubblici: ENEL, ENI, Ferrovie dello Stato,
Poste Italiane e così via. Si è posto il problema di come questi soggetti potessero
continuare a svolgere la loro attività. All‟epoca si decise di utilizzare lo strumento
della concessione. Mentre in precedenza era la legge istitutiva dell‟ente, di ENEL,
ENI, poste italiane, dopo la loro trasformazione in società per azioni il loro potere di
svolgere attività economiche era garantito mediante concessioni che lo Stato
accordava a questi soggetti. Diritto esclusivo di svolgere quelle determinate attività.
Non solo, era previsto che questi soggetti rimanessero nella sfera di controllo dello
Stato, erano stati trasformati in società per azioni, si era avuta una privatizzazione
della forma giuridica di soggetti che gestivano servizi pubblici. Ma non si è verificato
il trasferimento di questi soggetti ai soggetti privati.
Una cosa è la privatizzazione formale trasformazione di enti pubblici in soggetti di
diritto privato; altra è a privatizzazione sostanziale (soggetti fuoriescono dalla sfera
del controllo dello stato, per essere assoggettati al controllo di soggetti privati).
Questo era un regime monopolistico, nel senso che in ciascun mercato dei servizi
pubblici non vi era concorrenza, ma lo Stato gestiva questi servizi pubblici,
direttamente o indirettamente. Un assetto monopolistico in cui la concorrenza era del
tutto assente. Questo perché lo Stato, attraverso questo regime monopolistico,
(concessioni, gestione diretta) è in grado di avere il controllo diretto della qualità,
della quantità dei servizi pubblici che venivano erogati ai cittadini; poteva avere un
controllo, delle finalità sociali che evidentemente stanno alla base dell‟erogazione dei
servizi pubblici. Lo Stato decide quali servizi pubblici potevano essere forniti e
garantiti ai cittadini, controllare i prezzi.Soprattutto aveva anche un controllo della
gestione delle attività dal punto di vista dello sviluppo economico e sociale del paese,
per investimenti che devono essere effettuati.
115
Gli obiettivi sociali che stanno alla base dell‟ erogazioni di questi servizi erano decisi
dallo Stato. Lo Stato decideva lo svolgimento di determinate attività economiche,
orientandole in modo molto forte.
È chiaro che questo regime di monopolio era in contrasto con le regole che abbiamo
visto nella nostra costituzione, articolo 41 si prevede la libertà di iniziativa economica
e privata, e anche a livello comunitario dove si prevedeva, come regola principale per
tutti i mercati unici, quello della concorrenza, principio concorrenziale.
Si poneva quindi questo problema di aprire anche i mercati dei tradizionali servizi
pubblici alla concorrenza; allo stesso tempo garantendo quelle finalità sociali
connesse all‟erogazione di determinati servizi pubblici. Due obiettivi in contrasto tra
di loro e che, nel regime tradizionale il problema veniva risolto questo problema in
modo semplice, mediante un regime di gestione diretta monopolista da parte dello
Stato. Si tratta di coniugare le ragioni di libera iniziativa economica, concorrenza, con
gli obiettivi sociali connessi allo svolgimento di determinati servizi.
Occorre dire che questo contrasto tra l‟apertura alla concorrenza e gli obiettivi
sociali che stanno alla base dell‟erogazione di queste attività è stato risolto dopo molti
anni dalla sottoscrizione del trattato istitutivo delle CE. Per molti anni,infatti, è stato
mantenuto in piedi il regime monopolistico tipico dell‟erogazione dei servizi pubblici. Vi
sono due norme del trattato, che hanno l‟obiettivo di mantenere la gestione diretta
dei servizi pubblici.
Vi è una regola che afferma che è indifferente se quella attività imprenditoriale sia
gestita da un soggetto pubblico ad un soggetto privato. Principio che sostanziamente
sancisce lairrilevanza della proprietà
pubblica o privata di una determinata
impresa (articolo 295). È irrilevante se una impresa è in mano ad un soggetto privato
a patto che siano applicate le medesime regole, nel caso in cui è di proprietà di un
soggetto pubblico o nel caso in cui sia di proprietà di un soggetto privato.
L‟altra regola è l’articolo 106 del trattato su funzionamento dell‟UE che prevede una
deroga all‟applicazione dei principi in materia di concorrenza, a favore delle imprese in
cui soggetti erogano servizi pubblici. ricorderete, su questo torneremo, in base
all‟articolo 106, è previsto che le regole in materia di concorrenza, si applichino dei
confronti dei soggetti che operano nei servizi di interesse economico e generale nei
dei limiti in cui le regole sulla concorrenza non impediscano di assolvere la specifica
missione di interesse generale che è loro affidata.
In base a questa norma del trattato, se il perseguimento di un obiettivo sociale, da
parte di una impresa contrasta con il regime generale concorrenziale, allora è
necessario prevedere una deroga, non applicare il regime concorrenziale a questa
impresa, per consentirle di assolvere lo specifico compito di interesse generale che è
stato ad essa assegnato.
Leggiamo l‟articolo 106 al paragrafo 2 così avete un riferimento più preciso: “Le
imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi
carattere di monopolio fiscale, sono sottoposte alle norme dei trattati, ed in
particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme
116
non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione
loro affidata”.
Se l‟applicazione delle regole di concorrenza può impedire il raggiungimento di
determinate finalità sociali decise dallo stato o dalle amministrazioni pubbliche, allora
le regole di concorrenza non si applicano, abbiamo un regime speciale che si applica a
questi soggetti.
Soltanto a partire dagli anni 80 e 90 si è avuta la coscienza che per attuare i principi
di libertà all‟interno del mercato europeo, andassero liberalizzati anche questi settori
dei servizi pubblici. Sono state emanate direttive di liberalizzazione,che hanno posto
in discussione, e hanno soppresso, sia pur gradualmente, i regimi di riserva originaria
che caratterizzavano i mercati europei.
Primo esempio riguarda il servizio delle telecomunicazioni, uno dei primi aperti ad un
regime maggiormente concorrenziale. Piano piano sono seguito anche altri servizi:
settore elettrico, distribuzione di gas, servizi postali, trasporto ferroviario e così via.
I vari settori considerati come servizi pubblici sono stati oggetto di direttive di
liberalizzazione. Fa eccezione il trasporto pubblico su gomma (trasporto locale)
perché è stato fatto oggetto di una materia specifica e settoriale all‟interno del
trattato dell‟UE, in cui fa anche eccezione la gestione dei servizi idrici, mai stata
oggetto di liberalizzazione a livello comunitario.Tutti gli altri settori sono state
oggetto di direttive di liberalizzazione, ciascun mercato andava liberalizzato sia pure
gradualmente.
Cosa vuol dire liberalizzazione? Si è attuata gradualmente, non è che immediatamente
c‟è stata una direttiva che prima si basava sulla legge di nazionalizzazione delle
istituzioni Enel, mercato monopolistico, da un giorno all‟altro diventasse
concorrenziale. La liberalizzazione è stata graduale, tant‟è che alcuni mercati non
sono stati liberalizzati. Come si è arrivati a questa liberalizzazione?
Innanzitutto sono stati soppressi i regimi di riserva originaria. Si è previsto che
quelle leggi che prevedevano che il servizio potesse essere svolte dallo stato e
amministrazioni pubbliche dovessero essere annullate; ciò a causa di un recepimento
delle varie direttive comunitarie di liberalizzazione.
Secondo passaggio importante è stato quello di prevedere che determinate fasi che
prima venivano svolte da un unico soggetto, dal monopolista legale, potessero essere
svolte da soggetti diversi. Si è distinto, a livello comunitario, tra le varie fasi della
filiera che contraddistinguono un certo servizio pubblico.
Facciamo l‟esempio gas e dell‟energia elettrica. Il regime di riserva originaria prevede
che ENEL producesse energia elettrica, la distribuisse a livello locale, e poi si
occupasse della vendita dell‟energia elettrica aivari utenti; monopolio verticalmente
integrato.
Con le direttive di liberalizzazione ci si rende conto che ciascuna di queste attività
può essere ritenuta separata dall‟altra dal punto di vista tecnico,e, per ciascuna di
queste attività può essere individuato un mercato distinto.
117
Altro esempio: gas naturale. Eraassegnato in regime di monopolio a ENI, svolto
tramite società controllate dallo stesso ente, il settore monopolistico ricomprendeva
la produzione di gas naturale, la ricerca, la prospezione e distribuzione di idrocarburi,
l‟approvvigionamento, il trasporto del GAS tramite il sistema di gasdotti nazionali, la
sua distribuzione a livello locale e la vendita.
Queste attività erano giunte in monopolio a ENI, in luogo anche qui ciascuna di queste
fasi è stata trattata dal punto di vista normativo come un mercato distinto. Questo
perché, per alcune di queste fasi, è possibile che il mercato si sviluppi in senso
concorrenziale. Soltanto in alcune fasi della filiera sono presenti situazioni i che si
contraddistinguono come monopolio naturale.
Nel caso dell‟energia elettrica, soltanto la fase di produzione e trasmissione è
monopolio naturale. In questa fase dell‟attività è necessario avere la gestione di una
rete infrastrutturale, è una fase dell‟attività che si contraddistingue, che si
caratterizza per essere monopolio naturale. Le fasi di attività a monte e a valle, di
trasmissione e distribuzione non sono monopolio naturale e possono essere
liberalizzate, così come è stato fatto nel corso del tempo.
Per questi settori che possono essere liberalizzati, si passa da un regime di
concessione ad un regime di accesso al mercato diverso, in cui o prevale una libertà di
accesso al mercato da parte di qualunque soggetto, ma questo avviene soltanto
raramente, ovvero è prevista non tanto una concessione, ma autorizzazione o licenza
per lo svolgimento dell‟attività da parte dell‟impresa.
Mentre nel vecchio regime per svolgere una attività di servizio pubblico era
necessario ricevere una concessione da parte dello Stato, cioè un atto col quale lo
Stato trasferiva al privato il potere di svolgere attività economica, nel regime
liberalizzato basta che lo Stato rilasci autorizzazione, strumento amministrativo più
semplice rispetto alle concessioni. L‟autorizzazione è rilasciata purché l‟impresa
possegga determinati requisiti che la rendono idonea ad operare in un determinato
mercato.
In altri settori, ad esempio nelle telecomunicazioni, abbiamo un regime di
autorizzazione generale. Viene emanato un atto generale sulla cui base ciascuna
impresa può accedere al mercato.
Però, anche questo regime di liberalizzazione e apertura al mercato dei servizi
pubblici si pone il problema di garantire la fruibilità di questi servizi pubblici generale
da parte dei cittadini, si pone il problema di garantire che lo svolgimento di queste
attività non sia completamente assoggettato alle regole del mercato, ma che vengano
assicurati obiettivi sociali che stanno alla base di determinate attività economiche.
Nel caso dell‟energia elettrica il fatto che ciascun cittadino abbia diritto di essere
allacciato alla rete di distribuzione dell‟energia elettrica, abbia il diritto di ricevere
l‟energia elettrica a prezzi non eccessivi, nonostante i costi che possono essere
connessi all‟erogazione del servizio in determinate situazioni. Uguale discorso può
essere fatto per il gas naturale e servizi idrici.
118
Questi obiettivi sociali, in precedenza, erano gestiti dallo Stato che si faceva garante
dello svolgimento di queste attività economiche. Lo Stato può aprire il mercato alla
concorrenza, lo Stato da imprenditore nei servizi pubblici diventa regolatore. Si
riserva il ruolo di stabilire quali siano le regole che devono essere rispettate per lo
svolgimento di queste attività economiche che prima erano riservate allo Stato e alle
amministrazioni pubbliche. L‟attività di regolazione è svolta spesso tramite le autorità
amministrative indipendenti.
Come vedete, passaggio importante da mettere in evidenza, con le direttive di
liberalizzazione, si ha un mutamento del ruolo dello stato che diventa regolatore dei
vari settori considerati, sulla cui base le varie imprese che hanno accesso al mercato
dei servizi pubblici devono fornire ai cittadini, agli utenti.
Altro intervento di regolazione che può riguardare l‟apertura dei mercati dei servizi
pubblici alla concorrenza, stabilisce anche le misure di regolazionechegli stati membri
devono assumere per l‟erogazione di quei servizi pubblici.
Vari obiettivi ricordati anche nel libro. Parto dall‟ultimo, obiettivo di tipo sociale.la
regolazione mira ad assicurare che nonostante l‟apertura dei mercati, determinate
garanzie vengano soddisfatte: determinato livello di qualità dei servizi, un certo livello
di prezzo, gestione generalizzata; il fatto che il mercato non sia abbandonato alla
concorrenza.
Una delle altre misure di regolazione mira a superare il problema del fatto che
determinate fasi dello svolgimento dell‟attività di servizio pubblico sono di tipo
monopolistico. Determinate fasi della filiera dello sviluppo dell‟energia elettrica sono
gestite dalla presenza di infrastrutture di rete non duplicabili di proprietà di un unico
soggetto.
Problema che si deve porre il regolatore, sulla base dell‟ apertura dei mercati alla
concorrenza, è evitare che la presenza di situazioni monopolistiche possa intralciare
lo sviluppo della concorrenza in quei settori che possono essere liberalizzati.
Garantire che tutti i soggetti abbiano accesso a condizioni eque e non discriminatorie
all‟infrastruttura essenziale.
Attualmente l‟attività di vendita dell‟energia elettrica (ci sono un sacco di offerte per
passare al mercato libero) è liberalizzata. Chi vuole vendere energia può farlo nei
confronti dei cittadini. Per poter fornire l‟energia elettrica, occorre che l‟energia
elettrica passi anche attraverso la rete di distribuzione nazionale e locale. Occorre
che il fornitore di energia elettrica abbia accesso alla rete di distribuzione nazionale
e anche alla rete locale.
Primo compito del regolatore è stabilire le condizioni di accesso alle reti da parte
delle imprese che operano sui mercati liberalizzati. Altro esempio nel gas naturale.
L‟attività di vendita del gas naturale è ormai liberalizzata. Chi vuole vendere gas
all‟utente deve aver accesso non solo alla rete dei gasdotti nazionali, ma anche alla
rete di distribuzione locale. Occorre quindi che il regolatore stabilisca le condizioni di
accesso alla rete in modo equo e non discriminatorio, per impedire che il proprietario
119
della rete, determini condizioni di accesso alla rete che possano ostacolare lo sviluppo
della concorrenza nei mercati liberalizzati, nei mercati a valle.
Si avverte questo problema a richiamo di una situazione in cui il mercato dei servizi
pubblici costituiva un monopolio integrato. L‟ex monopolista pubblico è anche, spesso,
proprietario della rete che serve ai concorrenti del monopolista pubblico per poter
svolgere i servizi a valle. Monopolista pubblico non solo è proprietario delle reti, ma è
anche presente nei mercati a valle. Ha interesse a rendere particolarmente oneroso,
gravoso l‟accesso alle reti da parte dei concorrenti.
Prime misure di regolazione da parte delle autorità indipendenti hanno ad oggetto
l‟accesso alle reti. Fare in modo che la necessità di avere accesso alle reti non
costituisca un impedimento, un ostacolo allo sviluppo della concorrenza.
Non soltanto questo tipo di intervento è necessario, rendere neutrale dal punto di
vista concorrenziale l‟accesso le reti, ma è necessario un intervento che serva per
favorire le imprese che si affacciano ai mercati liberalizzati. Nei nostri mercati
nazionali veniamo da una situazione in cui vi è l‟ex monopolista che ha una posizione
dominante sul mercato, e potrebbe facilmente ostacolare il dispiegamento della
concorrenza sui mercati, è necessario che, per sviluppare la concorrenza, la posizione
dominante dell‟ex monopolista pubblico venga smantellata. O comunque venga favorito
l‟accesso al mercato da parte dei nuovi entranti.
Questo è il motivo per cui nella prima fase della liberalizzazione sono state adottate
misure asimmetriche. Misure che prevedevano una cessione di capacità produttiva,
quote di mercato da parte dell‟ex monopolista pubblico in favore dei nuovi entranti sui
mercati, e allo stesso tempo prevedevano che questi nuovi entranti potessero godere
di posizioni di particolare vantaggio, particolare privilegio, nell‟accesso allo stesso
mercato.
È per questo che sono misure asimmetriche: misure di regolazione che tendono a
favorire un competitore rispetto all‟altro, questo in considerazione del fatto che il
mercato è contraddistinto dalla presenza dell‟ex monopolista pubblico che ha una
posizione dominante. È per questo che è necessario favorire i concorrenti dell‟ex
monopolista pubblico.
Altro tipo di misura tipica nel settore dei servizi pubblici, e che tende a favorire
l‟affermazione di un regime concorrenziale nel settore dei servizi che possono essere
liberalizzati, è diretta ad impedire i cosiddetti sussidi incrociati.
Ciò riguarda il fatto che l‟ex monopolista pubblico possa sovvenzionare condizioni di
offerta particolarmente vaste, convenienti nei mercati liberalizzati, con i proventi che
ottiene nei mercati ancora monopolistici.
Facciamo un esempio. Nell‟ aprire i mercati alla concorrenza nel settore del gas
naturale, si corre il rischio che l‟ex monopolista, ostacoli la concorrenza nel settore
della vendita
offrendo condizioni particolarmente vantaggiose, antieconomiche,
sovvenzionando queste condizioni con i profitti che ottiene nel settore di attività nei
quali è ancora monopolista, nel settore della distribuzione, caratterizzato dalla
presenza di monopolio naturale.
120
Attraverso la distribuzione, il distributore del gas, sovvenziona tariffe di vendita del
gas particolarmente basse, convenienti, si attua così un sussidio incrociato tra
distribuzione e vendita del gas che impedisce che nel settore della vendita si sviluppi
la concorrenza.
Come si fa a superare il problema dei sussidi incrociati? La prima misura consiste
nel disintegrare gli ex monopolisti verticalmente integrati: imporre la separazione
societaria, funzionale ed organizzativa, delle società che operano in tutte fasi della
filiera dell‟attività economica. In tutti i settori, nella maggior parte dei settori, sono
previste misure di separazione societaria e organizzativa.
Esempio nella vendita del gas naturale: chi opera nel settore deve vendere gas
naturale con una società separata rispetto a quella che si occupa della distribuzione
del gas naturale. Occorre che i soggetti che operano in questi settori svolgano le
attività tramite soggetti distinti, autonomi. Le autorità di regolazione hanno di volta
in volta adottato direttive per la separazione societaria dei vari soggetti che prima
operavano in modo verticalmente integrato.
Queste misure di separazione societaria non risolvono tutti i problemi. Anche se è
previsto questo obbligo, nulla vieta che le due società autonome l‟una rispetto all‟altra
siano proprietarie del medesimo azionista, ciò avviene ancora oggi.
Facciamo un esempio. ENI è presente in tutte le fasi della filiera del gas naturale
anche se l‟autorità di regolazione e le direttive comunitarie hanno previsto misure di
separazione contabile e societaria, quindi l‟obbligo per il gruppo ENI di essere
presenti nelle varie fasi della filiera con società separate e autonome; ciò non toglie
che queste società facciano parte al medesimo gruppo.
Non c‟è un obbligo di separazione di tipo proprietario. Mediante queste misure di
separazione societarie di tipo contabile si rendono più trasparenti i sussidi incrociati
tra una società e l‟altra che fanno parte del medesimo gruppo. È impossibile che
vengano eliminate le distorsioni connesse alla mancanza di una vera autonomia, di
società che fanno parte delle diverse fasi del servizio pubblico.
Questo è il motivo per cui, negli ultimi tempi, si parla di vendita da parte degli ex
monopolisti delle società proprietarie delle reti. In Italia la rete di gestione nazionale
è di proprietà di una società che si chiama SNAM rete gas, di proprietà del gruppo
ENI. Ciò che si discute è che ENI debba dare al soggetto terzo la partecipazione di
controllo di SNAM rette gas per renderlo del tutto autonomo, .
Altro punto di regolazione che si adotta in questi settori è stabilire le tariffe di
accesso alle reti, alle infrastrutture essenziali, stabilite dall‟autorità di regolazione
la quale stabilisce quali sono le tariffe di accesso, il costo per l‟accesso da parte
dell‟operatore alle infrastrutture essenziali. Bisogna far si che il costo dell‟accesso
non abbia effetti anticoncorrenziali nei mercati liberalizzati.
Un altro tipo di misure di regolazione riguarda il funzionamento tecnico dei mercati.
Mercati che sono stati oggetto di liberalizzazioni distinguendo le varie fasi della
filiera, dell‟attività complessivamente integrata, in modo tecnicamente possibile e
121
chiaramente un po‟ artificiale. Dal punto di vista economico è efficiente che vi fosse
un unico operatore integrato nello svolgimento di determinate attività.
Le varie attività tecniche, distribuzione e vendita dell‟energia elettrica, sono
connesse dal punto di vista tecnico l‟una con l‟altra. È necessario quindi che il
regolatore adotti misure per impedire che la separazione funzionale tra le varie
attività di cui si compone il servizio non crei problemi nell‟erogazione del servizio agli
utenti.
Per esempio nel momento di crisi negli approvvigionamenti del gas naturale, è
necessario che anche se le varie fasi dell‟attività che vanno dall‟approvvigionamento ,
dall‟importazione del gas fino alla vendita sono separate l‟una dall‟altra, in un momento
di particolare deficit, questo non deve provocare il collasso dell‟intero sistema.
Oppure si possono creare problemi nell‟approvvigionamento di energia elettrica sulle
varie reti di distribuzione. Le varie fasi sono separate ma è necessario che il sistema
funzioni in modo che i cittadini non abbiano problemi nonostante il fatto che si
possono creare problemi nella fase di trasmissione.
Le autorità di regolazione devono incaricarsi di garantire il funzionamento del
sistema complessivamente considerato anche se in questo sistema operano più
soggetti, ciascuno dei quali si occupa di una fase della filiera rispetto alle altre.
Questo è il motivo per cui in questi mercati sono stati previsti delle borse in cui è
possibile per i soggetti approvvigionarsi della materia prima in ogni momento in modo
da garantire continuamente la fornitura del servizio.Abbiamo la borsa elettrica,
quella avvio della borsa del gas naturale. Ci sono misure tecniche per garantire
l‟efficiente funzionamento del mercato anche in momenti di crisi di
approvvigionamento della materia prima.
È necessario che l‟autorità stabilisca l‟organizzazione su questi mercati in modo
coordinato. Cosa da evitare, che si creino interruzioni di servizio, e che quindi venga
meno la garanzia della continuità del servizio stesso.
Infine, il tipo di regolazione più importante è la regolazione che ha obiettivi di tipo
sociale: atti a garantire la fruizione uniforme e diffusa di questi servizi essenziali.
Oggetto di liberalizzazione,sono misure fondamentali per i cittadini, gli utenti,. Sono
servizi che attendono al soddisfacimento di bisogni essenziali, acqua, elettricità, gas
trasporti, telecomunicazioni, servizi postali e così via.
È necessario che tutti, indipendentemente dai costi associati alla fornitura del
servizio, abbiano la possibilità di fruire del servizi a condizioni economicamente
sostenibili indipendentemente dalla condizione economica del singolo utente.
È chiaro che determinati obblighi di prestazione siano garantiti in ogni caso. A questo
si riferisce l‟articolo 106 quando parla di possibili deroghe al mercato concorrenziale,
per garantire gli obiettivi sociali alla base di questi servizi.Non solo, l‟articolo 14 del
trattato sul funzionamento, introdotto col trattato di Lisbona, è specificamente
diretto a questi obiettivi sociali.
L‟art. 14 stabilisce che “Fatti salvi l‟articolo 4 del trattato sull‟UE e gli articoli 93, 106
e 107 del presente trattato, in considerazione dell‟importanza dei servizi di interesse
122
economico e generale nell‟ambito dei valori comuni dell‟Unione, nonché del loro ruolo
nella promozione della coesione sociale e territoriale, l‟Unione e gli stati membri,
secondo le rispettive competenze, e nell‟ambito del campo di applicazione dei trattati,
provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in
particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri
compiti”.
Cosa si stabilisce? Si stabilisce, con l‟articolo 14, che lUE riconosce l‟importanza della
funzione sociale, che è connessa all‟erogazione di determinati servizi, e riconosce la
possibilità per gli stati membri di prevedere misure dirette a far si che l‟erogazione di
questi servizi funzioni in modo corretto, in modo da poter realizzare questi obiettivi
economici e sociali.
Si riconosce la possibilità di unna regolazione di tipo sociale nello svolgimento di
queste attività economiche. Si tratta di una regolazione che ha finalità di tipo
redistributivo. Consente ,evidentemente, che la fruizione generalizzata di questi
servizi pubblici determinando dei costi ulteriori, supplementari, siano finanziati dalla
fiscalità generale.
Vengono finanziati in due modi: intanto con i sussidi incrociati, consentendo che la
fornitura dei servizi a condizioni non economiche da parte di un soggetto sia
finanziata mediante il riconoscimento di diritti esclusivi di quel servizio per un
determinato ambito territoriale.
Cosa vuol dire? Vuol dire che si riconosce la possibilità che il diritto di monopolio per
un determinato ambito territoriale in favore di un determinato soggetto incaricato
della fornitura del servizio, in modo che il soggetto possa finanziare la fornitura del
servizio a condizioni antieconomiche con i profitti che realizza negli ambiti di
mercato maggiormente profittevoli.
Questo comporta un sistema regolatorio complesso, in cui in qualche modo è
riconosciuta la legittimità sia pure a determinate condizioni, di diritti esclusivi.
Sistema regolatorio complesso strutturato in modo da garantire il finanziamento di
maggiori costi che soggetti incaricati supportano per garantire la fruizione generale a
condizioni accessibili da parte di tutti i cittadini e tutti gli utenti.
Un altro punto importante di queste misure di regolazione riguarda la qualità del
servizio. Non soltanto va garantita la fruizione generalizzata del servizio, non solo va
garantita l‟accessibilità dei prezzi, ma che il servizio sia garantito sia uniformemente
sulla base di determinati livelli quantitativi.
Da questo punto di vista in Italia è prevista da parte degli erogatori dei servizi
l‟adozione delle cosiddette carte dei servizi. L‟autorità di regolazione predetermina in
modo uniforme e standard, determinati di livelli qualitativi di erogazione del servizio
che devono essere rispettati da parte di imprese che operano sul mercato.
Ciascuna impresa deve adottare una carta di servizi, nella quale si obbliga a
determinate prestazioni sulla base di determinati standard che diventano vincolanti
nei confronti degli utenti. Da questo punto di vista, per quanto concerne il
123
livelloqualitativo del servizio, occorre rispettare standard predeterminati dall‟autorità
di regolazione.
In Italia nella maggior parte dei servizi pubblici è necessario adottare queste carte
dei servizi pubblici che i cittadini devono poter conoscere in modo da sapere qual è il
livello dei servizi che dev‟essere loro assicurato. Prevedono meccanismi di rimborso
automatico nei casi in cui questi standard nonvengono rispettati dal regolatore.
17/04/12
Ricordavo ieri le misure di regolazione di tipo socialeche vengono adottate per
garantire determinati livelli di prestazioni nel settore dei servizi pubblici e
soprattutto la fruizione universale del servizio da parte di tutti i cittadini.
Siccome questi obiettivi sociali possono comportare dei costi supplementari a carico
della società che viene incaricata di gestire il servizio pubblico proprio perché si
tratta di garantire le prestazioni nel caso in cui, in un mercato concorrenziale, la
prestazione comporterebbe costi eccessivi e sarebbe antieconomica.
Abbiamo visto le imprese che offrono servizi di interesse economico generale si
trovano costrette, da parte dell‟autorità di regolazione e comunque delle autorità
locali che in ogni ambito territoriale svolgono il servizio, ad offrire queste prestazioni
anche in situazioni dove non avrebbe interesse ad offrirle. Questo comporta
ovviamente dei costi supplementari che occorre in qualche modo finanziare.
Facciamo un esempio relativo ai servizi di trasporto pubblicolocale, si parla di
razionalizzazione delle linee di trasporto, tagli e così via. Ci sono, in ambiti territoriali,
zone del mercato dove la prestazione del servizio diventa antieconomica, tanto più che
il prezzo del biglietto del trasporto pubblico locale viene mantenuto ad un livello tale
da poter consentire la fruibilità del servizio per la generalità degli utenti. Ciò
comporta costi che devono essere finanziati, le alternative possono essere varie e
diverse.
In primo luogo un trasferimento di risorse da parte dei soggetti pubblici che hanno
interesse alla prestazione del servizio. Si stabilisce, su base contrattuale, quali sono
gli obblighi di prestazionea carico della società che deve offrire il servizio in un
determinato ambito territoriale e poi si stabiliscono compensazioni monetarieper
compensare questi extracosti che la società incaricata sopporta per offrire il servizio
in situazioni dove l‟offerta è antieconomica.
Un secondo modo è il fatto di riconoscere alla società che offre il servizio pubblico
una esclusiva in ambito territoriale. Ciò avviene anche in ambiti di trasporto pubblico
locale, ma anche in altri ambiti di mercato, dove l‟impresa incaricata dalla gestione del
servizio è in grado di compensare i costi supplementari che supporta per offrire le
prestazioni antieconomiche con i profitti che ricava in ambiti di mercato che sono più
redditizi e profittevoli. Questo è il sussidio incrociato dell‟offerta.
Tutte queste misure di regolazione, che hanno diversi scopi di tipo sociale, per
garantire determinati obiettivi che hanno una finalità di tipo redistributivo, cioè
124
sostenere la domanda dei servizi da parte di quelle fasce della popolazione che
evidentemente non potrebbero sopportare i costi economici connessi all‟offerta del
servizio stesso.
Poi ci sono misure di regolazione dirette a favorire la liberalizzazione del mercato.
Abbiamo parlato ieri delle misure asimmetriche, che creano dei vantaggi a favore delle
imprese che intendono accedere al mercato liberalizzato, ovvero anche quelle misure
che intendono favorire e sviluppare la concorrenza nel mercato dei servizi pubblici,
sono misure che garantiscono, disciplinano e regolamentano l‟accesso alla rete,
infrastrutture essenziali del servizio a condizioni eque e non discriminatorie.
Poi abbiamo altre misure di tipo tecnico di regolazione per garantire il
funzionamento efficiente dei mercati, nei settori garantiti da regole di funzionamento
particolarmente complesse, approvvigionamento di risorse necessarie per garantire
l‟offerta del servizio.
Abbiamo parlato a questo proposito del mercato dell‟energia elettrica, distribuzione
del gas naturale, dove è necessario garantire la continuità del servizio, risorse,
materie prime che servono per produrre energia elettrica e gas.
Tutte queste misure di regolazione complesse vengono a comporre un quadro
regolamentare molto articolato, ormai sempre di più sono affidate a delle autorità
indipendenti. Ricordo anche brevemente le leggi che hanno portato alla costituzione di
queste autorità competenti nel settore dei servizi pubblici.
Legge 481/1995 legge istitutiva delle autorità di regolazione indipendenti, si
connette alla legge 474 del 1994, legge sulle privatizzazioni, dove si prevedeva che
prima che lo Stato, gli enti pubblici, potessero procedere con la dismissione del
controllo di società operanti nel settore dei servizi pubblici, prima di procedere ad
una vera e propria privatizzazione sostanziale dei servizi pubblici, che prima era in
mano un po‟ allo Stato e amministrazioni pubbliche, lo Stato dovesse costituire nel
settore oggetto di liberalizzazione una autorità amministrativa indipendente.
Questa norma sanciva proprio quello che vi spiegavo in precedenza. Lo Stato nel
momento in cui decideva di cessare la funzione di gestore diretto del servizio
pubblico, doveva assumere una diversa funzione, quella di regolatore. Per svolgere
questa funzione di regolazione necessaria nell‟ambito dei mercati per coniugare
l‟apertura del mercato alla concorrenza con obiettivi sociali che stanno alla base di
questi servizi, è affidata questa funzione ad organi appositamente istituiti: le autorità
di regolazione.
Nell‟istituire queste autorità di regolazione, la legge del 1995 stabiliva diverse
finalità dell‟autorità di regolazione. Finalità che sono molteplici, diverse, e anche un po‟
eterogenee, si pongono in contrasto l‟una con l‟ altra. la regolazione deve promuovere
la concorrenza, garantire determinati livelli di qualità dei servizi, la diffusione e
distribuzione dei servizi in modo omogeneo sull‟intero territorio, deve garantire la
tutela degli utenti.
I vari obiettivi che vengono fissati in capo al regolatore, sono quelli di garantire la
promozione e la concorrenza, allo stesso tempo garantire la fruizione e diffusione del
125
servizio sull‟intero territorio nazionale, sistema tariffario trasparente per garantire
l‟equilibrio del gestore, ma deve garantire anche la fruizione del servizio in modo
omogeneo sull‟intero territorio.
Si pone a carico della regolazione l‟obiettivo di garantire la concorrenza dei mercati,
ma anche prevedere misure per garantire la fruizione di accessibilità del servizio. Il
regolatore deve contemperare obiettivi che possono essere anche confliggenti fra
loro.
La legge del 1995 conferisce anche poteri di controllo, poteri precettivi in favore
delle autorità amministrative indipendenti, in modo che l‟autorità si possa fare carico
della regolazione complessiva in un determinato settore. Al regolatore è assegnato il
compito non solo di prevedere le norme di regolazione sulla base della cornice
legislativa che si applica nel settore,ma anche poteri di dirimere le controversie fra
gli utenti e gli operatori del settore
La legge del 1995 in realtà nell‟istituire questa regolazione poi prevedeva soltanto la
istituzione dell‟Autorità per l‟energia elettrica e il gas. Successivamente, nel 1997 è
stata istituita l‟Autorità per le Garanzie e Telecomunicazioni. All‟epoca, con la legge
del 1995, era previsto che venissero istituite attività di regolazione nei servizi idrici,
postale e settore dei trasporti.
Poi questa ipotesi è stata abbandonata, nel tempo non è mai stata attuata salvo che
recentemente perché, dal 1995 ad oggi non sono mai state istituite autorità di
regolazione nei servizi idrici, postale e nel settore dei trasporti, in realtà vi era un
complesso di regole che venivano emanate da vari livelli istituzionali.
Solo recentemente, in base ai decreti legge di liberalizzazione, si è prevista
l‟istituzione di una Autorità dei Trasporti,l‟anno scorso era stata istituita una Autorità
di regolazione nel settore dei Servizi Idrici, però poi è stata soppressa e le sue
funzioni sono state assegnate all‟Autorità per l‟energia elettrica e il gas.
Soltanto recentemente si è completato il quadro delle autorità di regolazione nel
settore dei servizi pubblici. D‟altro canto, in alcuni settori strategici, sempre di più si
è visto come fosse necessario che anche lo Stato intervenisse in questi settori per
far fronte a momenti di crisi nella fornitura di questi servizi, sicché si è assistito
anche ad una erosione dei poteri attribuiti alle autorità amministrative indipendenti,
mediante la previsione dei vari poteri riconosciuti ai vari organi dello stato, poteri di
indirizzo strategico della attività delle autorità di regolazione, o addirittura poteri di
tipo sostitutivo, sono stati riconosciuti interventi all‟amministrazione statale nel caso
in cui l‟autorità di regolazione non emanasse in tempi prestabiliti determinati atti.
Questa esigenza si è manifestata per indirizzare il funzionamento di determinati
mercati particolarmente importanti come quelli energetici, in linea con quella che è poi
la politica economica generale da parte del governo.
Dal punto di vista istituzionale le autorità amministrative indipendenti dovrebbero
svolgere i loro compiti di regolazione in modo del tutto indipendente e autonomo
rispetto al potere politico.
126
Questa erosione dei poteri delle autorità amministrative indipendenti negli ultimi 4-5
anni, in realtà va un po‟ in contrasto con gli indirizzi legislativi a livello comunitario.
Nelle direttive di ultima generazione si prevede che nei mercati istituzionali devono
esserci autorità indipendenti rispetto ai governi nazionali, indipendenti sia rispetto ai
governi nazionali, ma anche rispetto agli operatori del settore, si devono mantenere
posizioni di terzietà, indipendenza.
Ricordiamo che, come dicevo ieri, la liberalizzazione dei mercati dei servizi pubblici è
avvenuta sull‟impulso di direttive comunitarie che si sono succedute nel tempo. Come
ricordavo anche, questo processo di liberalizzazione è stato graduale. A queste
direttive degli anni ‟90 ne sono succedute altre, evidentemente hanno continuato
questa opera che consiste nel prevedere misure di sempre maggiore apertura dei
servizi pubblici alla concorrenza.
Ad esempio, nei mercati dei servizi elettrici, si è stabilito che la quota di mercato
degli utenti finali della vendita di energia elettrica dovesse essere aperta alla libera
concorrenza. All‟inizio si prevedeva che soltanto i grandi utenti di energia elettrica
potessero avere il potere di condizioni di fornitura dell‟energia elettrica liberalizzata
(circa il 50%) poi si è aperta la concorrenza anche nei clienti domestici, questo è fatto
progressivamente tramite quote da liberalizzare che aumentarono nel corso del
tempo.
Vediamo adesso qualche cenno su queste discipline speciali nei vari settori: energia
elettrica, servizi postali, telecomunicazioni e trasporto. Dirò qualcosa anche sul
settore dei servizi idrici.
Energia elettrica e gas. Bisogna partire dal regime originario della riserva, della
nazionalizzazione dei servizi, legge 1643/1962 che aveva previsto la nazionalizzazione
dei servizi elettrici e quindi la riserva di tutte le attività in favore di un ente pubblico,
ENEL poi trasformato in SPA. Il diritto comunitario ha poi imposto profonda
modificazione di questo regime. Il che è avvenuto con a tutta una serie di direttive, la
prima della quale è una del 1996, poi a questa ne sono seguite altre, secondo e terzo
pacchetto energia, del 2003 e 2009, abbastanza recente. Ciascuna di questa direttiva
è stata recepita nel nostro ordinamento con leggi dello Stato, decreti legislativi.
Dobbiamo ricordare il decreto legislativo 79/1999 che ha recepito la prima direttiva
di liberalizzazione,e poi la legge Marzano, 239 del 2004 che ha recepito la seconda
direttiva di liberalizzazione. È importante ricordare come alla base dell‟apertura dei
mercati e della concorrenza vi è una attività legislativa sia di livello comunitario e poi
con il recepimento da parte del nostro legislatore nazionale.
Le direttive hanno stabilito una separazione tra le diverse fasi del servizio. Abbiamo
vanno considerate separatamente la produzione, la trasmissione, la gestione della rete
di trasmissione, l‟attività di distribuzione a livello locale e la vendita.
L‟attività di produzione di energia elettrica è considerata libera. Abbiamo misure di
tipo asimmetrico che tendevano a diminuire il potere di mercato degli ex monopolisti
pubblici. Si sono previste delle misure legislative in base alle quali ENEL SPA dovesse
cedere mediante delle aste la propria capacità produttiva.
127
Veniva stabilito, nelle varie leggi succedute nel tempo, un tetto massimo di capacità
produttiva che può essere detenuto da un singolo produttore (tetto del 50%). ENEL
costretta a vendere la propria capacità produttiva vendendogruppi di centrali di
produzione ai propri concorrenti. Sono state fatte delle gare, delle aste delle centrali
ex ENEL comprate da gruppi dell‟ex monopolista pubblico, un esempio è ENIPower,
società vendute mediante procedure di asta, privatizzazione, che erano proprietarie
di un certo numero di centrali che già appartenevano all‟ex monopolista pubblico.
Sono state poi adottate nel corso del tempo, misure dirette a favorire la costruzione
e gestione di nuove centrali di produzione di energia elettrica, mediante meccanismi di
autorizzazione unica, prevedendo un‟unica procedura autorizzativa relativa alla
costruzione della centrale, in modo da snellire i vari provvedimenti burocratici
necessari per completare la costruzione della centrale. Nonostante l‟autorizzazione
pubblica l‟iter è molto lungo e complesso.
Abbiamo poi l‟attività di trasmissione, consiste nel far viaggiare l‟energia elettrica
sulle grandi reti di trasmissione, sulle grandi dorsali in alta tensioneche attraversano
il nostro paese. Oltre l‟attività di trasmissione è prevista anche quella di
dispacciamento, misure complesse. Sono misure tecniche, emanate dal regolatore,
dirette a garantire l‟esercizio coordinato degli impianti di produzione e delle reti di
trasmissione, che sia immessa nelle reti un quantitativo di energia diretto, giorno per
giorno, a soddisfare la domanda.
Per garantire questo obiettivo è necessario che l‟energia elettrica venga immessa
sulla rete da parte degli importatori in modo coordinato, visto che la rete di
trasmissione è unica,che non vi siano né eccessi di offerta, né deficit nella domanda.
Per questo bisogna adottare misure di dispacciamento, che garantiscono l‟esercizio
coordinato non solo degli impianti di produzione ma anche della rete di trasmissione.
La rete è unica, è una attività di monopolio naturale, che è oggetto di un regime di
riserva, affidata in concessione ad soggetto che è il gestore della rete di trasmissione
nazionale. Questo soggetto si chiamava ERGR, soggetto costituito e di proprietà di
ENEL spa che era anche proprietaria della rete di trasmissione nazionale.
L‟ex monopolista pubblico era non soltanto attivo nella produzione distribuzione e
vendita, ma anche proprietario della rete di trasmissione e gestore della rete di
trasmissione nazionale. Un problema quindi di potere di mercato del monopolista
pubblico, che poteva pregiudicare quanto meno intralciare lo sviluppo della
concorrenza in quegli ambiti di mercato che potevano essere liberalizzati.
Prima del 2004 avevamo una situazione in cui la gestione della rete era assegnata ad
un soggetto sottoposto al controllo di ENEL ma distinto, mentre la proprietà della
rete di trasmissione rimaneva in capo a ENEL. Nel 2004 è stata istituita la società
Terna, a cui è stata trasferita la proprietà di trasmissione, e alla quale sono stati
assegnati i compiti di gestione della rete di trasmissione nazionale.
Terna è fuoriuscita dal controllo di ENEL, è controllata dalla Cassa Depositi e
Prestiti. Il gestore della rete di trasmissione ha compiti importanti: allacciare alla
rete di trasmissione tutti i soggetti che ne facciano richiesta in base a condizioni
128
tecniche ed economiche stabilite dall‟Autorità per l‟energia elettrica e il gas. Terna
(gestore della rete) deve allacciare alla rete di trasmissione gli impianti di produzione.
Questo è un problema importante, ci sono centrali di produzione molto importanti,
producono tanti megawatt; altri impianti di produzione più piccoli, li troviamo ad
esempio nel settore delle energie rinnovabili.
Alla rete si allacciano le reti di distribuzione locale, a noi ci interessa di più come
cittadini e utenti, abbiamo un monopolio naturale. La rete di distribuzione locale è una,
l‟attività di distribuzione per essere efficiente ha una determinata scala minima, oggi
in realtà Enel è stata costretta a cedere le reti di distribuzione locale a soggetti
concorrenti. A Genova Enel ha ceduto la rete di distribuzione locale ad Iren. Il
gestore che si occupa di gestire la rete, medio bassa gestione che arriva alle casse dei
cittadini è unico (monopolista), l‟attività viene svolta sulla base di una concessione
rilasciata dal ministero dello sviluppo economico su base trentennale; il gestore, il
distributore locale dev‟essere indipendente sotto il profilo organizzativo e
decisionale, e si pone quel problema visto ieri della separazione societaria fra i
soggetti che pur appartenendo ad un medesimogruppo si occupano delle diverse fasi
dei servizio.
Dietro Iren avremo una società distinta autonoma, rete di distribuzione locale, che è
distinta, separata rispetto alla società che si occupa della vendita dell‟energia
elettrica ai clienti finali. Vi è una separazione di tipo societario, amministrativa e
contabile. La società proprietaria che si occupa della vendita fa parte del medesimo
gruppo ed evidentemente non è autonoma.
Per garantire la disponibilità dell‟energia elettrica,è stata istituita una borsa
elettrica in cui vengono scambiati quantitativi di energia elettrica, in modo da
garantire la continuità del servizio. E soprattutto cercare di far si che i prezzi
possano scendere sulla base di meccanismi di scambi organizzati nel mercato di borsa
in cui gli operatori si scambiano energia elettrica. La borsa elettrica è gestita da una
società, Gestore del mercato elettrico sottoposta al controllo del GSE (Gestore dei
Servizi Elettrici), società controllata dal ministero dello sviluppo economico.
Questo mercato ha la finalità di garantire trasparenza dei prezzi da un lato e
dall‟altro lato cercare che i prezzi si formino sulla base di meccanismi di domanda e
offerta. Fare anche in modo che i fornitori possano avere sempre disponibilità di
energia elettrica.
Passiamo all‟attività di vendita. La vendita è stata liberalizzata gradualmente, ma
ancora oggi permangono forme di tutela per soggetti deboli sul piano contrattuale, i
clienti domestici e le piccole imprese. Mentre il mercato è generalmente liberalizzato,
c‟è una quota molto consistente che costituisce il Servizio di maggior tutela, può
decidere di non passare all‟offerta di servizio liberalizzata (prezzi che si formano
liberamente sul mercato), ma di acquistare servizi elettrici, comprare energia
elettrica alle condizioni decise dall‟Autorità per l‟energia elettrica e il gas.
Vi è unservizio di maggior tutela in cui la vendita e le condizioni contrattuali della
vendita sono stabilite da parte dell‟autorità di regolazione fino al momento in cui
129
l‟utente non decide di passare al libero mercato, valutando le offerte che vengono
proposte dagli operatori.
Un utente può anche decidere di entrare nel libero mercato ma anche di uscirne e
rientrare nel servizio di maggior tutela, regime di prezzi amministrati e condizioni
contrattuali decisedall‟autorità per l‟energia elettrica e il Gas. I contratti nell‟ambito
del servizio di maggior tutela stipulati tra l‟impresa di vendita e i clienti sono
contratti che ricalcano le condizioni contrattuali che sono decise dall‟ ‟autorità. Negli
altri casi, quando uno opta per il libero mercato sottoscrive un contratto che è stato
predisposto dall‟operatore a condizioni contrattuali stabilite dall‟operatore, in un
regime che dev‟essere concorrenziale.
Come viene garantito questo servizio di maggior tutela sul piano della fornitura? Si
tratta di clienti che hanno decisodi non concludere un contratto sul libero mercato,
ma vogliono mantenere le condizioni standard prefissate dall‟Autorità per l‟energia
elettrica e il gas, è un meccanismo complesso che funziona mediante la attività di un
soggetto, acquirente unico, controllato dal gestore dei servizi energetici, da GSE
spa,che si si occupa di acquisire sul mercato dai produttori approvvigionamenti di
energia elettrica tali da soddisfare la domanda di energia elettrica dei clienti tutelati
per un certo periodo di tempo.
L‟acquirente unico anche operando su base pluriennale, programma la domanda di
energia elettrica e espressa dal mercato in maggior tutela, e poi va sul mercato e
acquisisce capacità di produzione di energia elettrica per acquisire domanda di
fornitura espressa dagli utenti che decidono di rimanere in questo
regime
amministrato.
Nel corso del tempo a livello di produzione, sono stati creati obblighi di
diversificazione della capacità produttiva. Da questo punto di vista dobbiamo
distinguere tra fonti energetiche rinnovabili efonti non rinnovabili. Abbiamo l‟energia
idroelettrica, solare, geotermica, energia prodotta da biomasse (combustione di
determinate frazioni dei rifiuti urbani) ,energia eolica, energia che non comporta il
consumo di idrocarburi, gas.
Chiaramente l‟incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili
è avvenuta sulla base di disposizioni di legge che hanno finalità di tutela ambientale.
Cosa si è previsto inizialmente? La direttiva del 2001 prevedeva che i produttori di
energia elettrica, dovessero emettere una quota minima di energia prodotta da fonti
rinnovabili, sostanzialmente il 2-3% del totale di energia emessa sulla rete di
trasmissione doveva essere prodotta da fonti rinnovabili.
Questo obbligo di immettere sul mercato la quota di energia prodotta da fonti
rinnovabili poteva essere risolto in due modi. O immettendo sul mercato la quota,
producendo energia da fonti rinnovabili; ovvero comprando dei certificati (certificati
verdi) che venivano rilasciati ai produttori di energia da fonti rinnovabili. Vi era un
certo numero di soggetti che producevano energia da fonte rinnovabili, e a fronte
della quantità di energia prodotta il GSE rilasciava dei certificati che potevano
essere anche venduti sul mercato, in particolare ai produttori di energia da fonti
130
tradizionali per consentire a questi produttori di soddisfare l‟obbligo di vendere una
quantità minima di energia prodotta da fonti rinnovabili.
Sempre per ragioni di tipo ambientale, legate al tema dell‟emissione nell‟atmosfera di
CO2, ai produttori di energia elettrica di fonti rinnovabili vengono riconosciuti
determinati privilegi. Per esempio una priorità per il dispacciamento dell‟energia sulla
rete di trasmissione nazionale.
L‟energia prodotta da fonti rinnovabili viene immessa sulla rete di trasmissione
nazionale con priorità rispetto all‟energia prodotta con le fonti tradizionali. Infine, si
discute anche negli ultimi tempi, i produttori da fonti rinnovabili godono di un sistema
di incentivazione di sostegno alla produzione che è particolarmente significativo in
termini economici.
Ai produttori sono riconosciute tariffe fisse, o incentivate. La energia prodotta da
fonti rinnovabili veniva ritirata dal mercato, dal GSE, o dall‟ acquirente unico, a prezzi
incentivati,ad un maggiore costo, maggiore prezzo di quello che si sarebbe formato sul
mercato, questo evidentemente per incentivare la produzione di energia da fonti
rinnovabili. Questi prezzi incentivati si scaricano sugli utenti finali perché vengono poi
riversati nella bolletta.
Oggi come oggi prevalgono regimi di conto energia, in cui chi produce energia da fonti
rinnovabili ha diritto ad una sorta di remunerazione costante nel tempo, a prezzi non
incentivati ma più o meno in linea con quelli di mercato, e questa remunerazione è
riconosciuta indipendentemente dal fatto che l‟energia venga immessa o meno sulla
rete di trasmissione; remunerazione riconosciuta dal fatto che l‟energia prodotta da
fonti rinnovabili sia effettivamente consumata o meno.
Altro tema importante è quello del risparmio energetico, incentivato e sovvenzionato.
Ci sono delle leggi che hanno stabilito obblighi di incremento del risparmio energetico
a carico dei grandi produttori/distributori di energia elettrica, con l‟obbligo di
efficientare le strutture di distribuzione, in modo da realizzare risparmi energetici
con minor dispersione dell‟energia elettrica distribuita.
Da questo punto di vista e sono state costruite nel tempo società specializzate nel
realizzare risparmi energetici, le cosiddette ESCO. A fronte dei risparmi di energia
realizzati venivano riconosciuti dei certificati rappresentativi delle quantità di
energia risparmiata, titoli rappresentativi dell‟efficienza energetica del distributore, i
cosiddetti certificati bianchi.
Opera un meccanismo di mercato del tutto peculiare. Viene stabilito un obbligo di
risparmio energetico a carico del distributore che può assolverlo risparmiando
energia elettrica rendendo più efficiente la propria rete di distribuzione, ovvero
acquistando sul mercato certificati bianchi, ovvero titoli di efficienza energetica che
rappresentano il livello di risparmio energetico che è realizzato dal distributore più
virtuoso.
Quello che importa allo stato, al regolatore,alla CEE è il risultato finale, che vi sia una
quota complessiva di energia prodotta da fonti rinnovabili, ovvero una quota
complessiva di risparmio energetico che viene comunque conseguito.
131
Gas naturale. Abbiamo tutta una serie di direttive, interventi normativi, varie
direttive di liberalizzazione che a livello comunitario si sono susseguite nel tempo,
all‟inizio avevamo unico monopolista pubblico, ENI, che era ed è tutt‟ora l‟operatore
dominante sul mercato in tutte le fasi della filiera nel settore del gas naturale.
Nel nostro ordinamento la legge fondamentale è una legge del 2000, il decreto
legislativo 264 che ha recepito la prima direttiva di liberalizzazione nel settore del
gas naturale. Recentemente è stato emanato un ulteriore decreto legislativo,39/2011
che ha recepito le ultime discipline in tema di liberalizzazione.
Al di là di questo, l‟assetto l‟impostazione legislativa è molto simile al mercato dei
servizi elettrici. Anche qua sono considerate separatamente le varie fasi dell‟attività
di distribuzione del settore del gas naturale a partire dall‟attività di produzione del
GAS che nel nostro paese avviene soltanto in minima parte. Consiste nella ricerca di
idrocarburi, attività monopolizzata da ENI, oggi è possibile svolgere su base di una
concessione ed autorizzazione esclusiva per ricerca e coltivazione di idrocarburi.
Dobbiamo distinguere evidentemente varie fasi dell‟attività. Innanzitutto
l’importazione, gran parte del Gas è prodotto da paesi terzi, poi trasporto del gas
sulle grandi reti ditrasporto, col sistema dei gasdotti nazionali; poi di nuovo il
dispacciamento, distribuzione del gas a livello locale, vendita di gas agli utenti finali.
Importante è la fase dello stoccaggio. Abbiamo vari tipi di stoccaggio, ad esempio
stoccaggio strategico. Stoccaggio significa quell‟ attività di conservazione del gas in
determinati depositi, normalmente i giacimenti di gas e altri depositi, serve per
garantire l‟offerta di gas in ogni momento, anche in momenti in cui l‟offerta di gas è in
calo, per garantire un bilanciamento del sistema dell‟offerta di gas sul nostro mercato.
Anche qua, qualunque soggetto che vende gas sul mercato deve avere una determinata
capacità di stoccaggio, ma allo stesso tempo i giacimenti sono sostanzialmente pochi, è
necessario (siamo in presenza di una infrastruttura essenziale) che venga garantito ai
distributori e ai produttori di gas un accesso alla capacità di stoccaggio che è
espressa complessivamente nel nostro sistema, sulla base di tariffe di stoccaggio
stabilite dall‟autorità di regolazione.
Anche qua vi è il problema della presenza dominante dell‟ex monopolista pubblico,
anche qua si è proceduto stabilendo delle quote massime di gas che potevano essere
immesse nel sistema da parte di un unico operatore.
Questo meccanismo delle soglie massime che potevano essere immesse nel sistema da
parte di un unico produttore, è stato poi progressivamente abbassato nel corso del
tempo. Oggi abbiamo soglie massime variabili, dipendono da una serie di fattori che
sono state ritoccate recentemente.
È importante ricordare che se un singolo operatore supera queste soglie massime di
gas che può immettere sul mercato, è obbligato a vendere la quantità di gas in eccesso
agli altri operatori sulla base di aste pubblichea cui gli altri operatori, i concorrenti,
possono partecipare. Sono veri e propri programmi di gestione forzosa del gas da
parte dell‟operatore dominante, in modo da garantire gli altri operatori, concorrenti,
132
abbiano la capacità di accedere, ed abbiano la disponibilità della risorsa indispensabile
per operare sui mercati a valle, della vendita.
23/04/2012
Stavamo parlando del servizio del gas, praticamente stavamo parlando dei vari tetti e
volumi di gas che possono essere immessi nel nostro sistema da parte di un unico
operatore, tetti diminuiti nel corso del tempo, diretti a consentire che un unico
operatore anche tramite le sue società controllate facenti parte del medesimo gruppo
abbia una posizione di monopolio nell‟ambito di un determinato mercato. Se si superano
certe soglie l‟operatore dominante deve cedere le quantità di gas in eccesso che
possono essere destinate alla vendita.
La attività di importazione di gas naturale che è strategica nel nostro sistema del gas,
dipendiamo dalla materia prima che ci arriva da paesi terzi, con l‟attività di
importazione è soggetta ad una mera autorizzazione. Chi importa gas deve dimostrare
all‟autorità che autorizza l‟attività, di avere contratti di approvvigionamento, la
possibilità di approvvigionarsi sul mercato.
Un‟altra condizione importante, occorre dimostrare che chi importa gas abbia una
adeguata capacità di stoccaggio, è quella attività di immagazzinaggio in giacimenti
naturali del gas che è destinato alla vendita;questi giacimenti naturali che sono
sostanzialmente i giacimenti ormai esausti da cui si estraeva il gas destinati alla
coltivazione del gas. Questi giacimenti sono indubbiamente pochi nell‟ambito del
nostro paese.
La maggior parte sono detenuti dall‟operatore dominante, dal gruppo Eniin particolare
prima da una società che si chiamava Stogi, oggi confluita nell‟ambito di Snam Rete
Gas, la disponibilità dei giacimenti è un ulteriore esempio di infrastruttura essenziale,
nel senso che se una impresa vuole operare sul mercato come venditore di gas deve
avere accesso ai giacimenti di stoccaggio e al gas stoccato in questi giacimenti di
proprietà dell‟operatore dominante.
C‟è un intervento da parte dell‟Autorità di regolazioni che deve prevedere le
condizioni affinché l‟accesso alla capacità di stoccaggio avvenga a condizioni eque e
non discriminatorie. Lo stoccaggio è importante perché è richiesto che ciascun
operatore nel settore del gas abbia una certa capacità di stoccaggio. L‟idea è che il
gas a disposizione degli impianti di stoccaggio sia in grado di modulare l‟offerta sul
mercato anche in situazioni di crisi in cui l‟importazione di gas entra in situazione di
deficit. Questa garanzia della fornitura di Gas viene attuata attingendo a queste
riserve di gas che sono collocate all‟interno dei sistemi di stoccaggio.
Questo sistema del gas naturale deve funzionare in modo da garantire la disponibilità
di gas, sia attingendo a gas immesso nel sistema di trasporto, sia attingendo al gas che
invece è stoccato negli impianti di stoccaggio.
Un‟altra fase della filiera soggetta a regolazione è la distribuzione del gas, fase che
riguarda il trasporto del gas dalla rete di gasdotti nazionali alle case dei cittadini. La
133
retedi gasdotti ha varie fonti di allaccio che corrispondono alle reti di distribuzione
locali normalmente detenute dalle imprese distributrici. Ciascuna impresa
distributriceha una propria rete di distribuzione a livello locale e chi vuole fornire il
gas al cliente finale deve avere accesso anche alla rete di distribuzione locale, e quindi
si pone un problema di monopolio per quanto concerne l‟attività di distribuzione locale,
quindi un problema potenziale di distorsione della concorrenza del mercato a valle
nella vendita del gas.
Le reti di distribuzione locale sono gestite dalle imprese di distribuzione. L‟ambito
dell‟attività di distribuzione è di tipo locale, visto che questo segmento della filiera
del gas è monopolistico, nell‟ambito del decreto legislativo del 2000 che disciplina le
attività del settore del gas in modo generale, è previsto che il diritto di gestire la
rete di distribuzione locale, deve essere messo a gara, deve essere fatto oggetto di
una gara a cui possono concorrere le varie imprese di distribuzione nel nostro
territorio.
Questa è una cosa tipica in questi settori dei servizi pubblici , in certi segmenti della
attività dove non è possibile sviluppare la concorrenza nel mercato, si cerca di
prevedere una concorrenza per il mercato. Visto che il servizio di distribuzione è di
monopolio, (non vi può essere concorrenza nella rete di distribuzione) allora la
concorrenza si sposta a livello dell‟ottenimento di gestire l‟attività monopolistica.
Si fanno delle gare, procedure competitive concorrenziali tra i vari operatori che
concorrono tra di loro per ottenere la gestione del servizio monopolistico: da
concorrenza del mercato a concorrenza per il mercato, per il diritto di gestire il
servizio in quel determinato mercato. La concorrenza dipende dal fatto che a queste
gare, per ottenere il diritto di monopolio, partecipino più operatori che competono fra
di loro nelle offerte che formano sia sul piano tecnico, sia sul piano industriale che
economico, al fine di ottenere questo diritto monopolistico.
Passiamo all‟attività di vendita completamente liberalizzata salvo che per il mercato
dei clienti domestici e piccole imprese, dove è previsto, analogamente a quanto
abbiamo visto essere previsto nel settore della vendita di energia elettrica, un
servizio di maggior tutela dove le tariffe, gli standard qualitativi sono fissati
direttamente dall‟autorità di regolazione.
Anche qua abbiamo nel settore della vendita un sistema in base al quale determinate
categorie di clienti hanno la possibilità di optare per condizioni di vendita di maggior
tutela che sono stabilite dall‟Autorità di regolazione, ovvero hanno la possibilità di
accedere alle condizioni previste dal libero mercato; si tratterà evidentemente di
comparare tra la offerta di mercato libero di gas rispetto a quella garantita dal
servizio di maggior tutela.
Le condizioni di fornitura del mercato libero diventano più convenienti rispetto al
servizio di maggior tutela, se il mercato libero è effettivamente concorrenziale, sul
mercato libero si confrontano offerte effettivamente competitive, la convenienza
dell‟accesso al mercato libero dipende dal grado di concorrenzialità che si sviluppa in
questo mercato.
134
Nel nostro paese vi è la possibilità, per i clienti domestici, di accedere al servizio del
gas naturale alle condizioni che si sviluppano nel mercato libero. Questa condizione
andrà verificata nei prossimi anni. Per adesso non vi è grande differenza fra i prezzi
del mercato libero e gli altri.
La regolazione è attribuita all‟Autorità per l’energia elettrica e il gas, indipendente,
tre commissari attualmente, prima erano 5, e un presidente, nominati in base ad
meccanismo di nomina che garantisce l‟indipendenza dei commissari rispetto alla
maggioranza politica parlamentare. I commissari sono nominati dal presidente della
repubblica su proposta del ministro competente. Soltanto dopo che la commissione
parlamentare competente (dell‟industria) ha espresso un parere favorevole alla nomina
della persona con 2/3 dei componenti, con una maggioranza che dovrebbe garantire
una sorta di accordo sul nome del commissario sia da parte della maggioranza che della
opposizione.
L‟autorità ha una certa autonomia finanziaria, organizzazione complessa. Ad essa sono
assegnate le attività di regolazione dei servizi idrici. È una organizzazione complessa,
finanziata dai contributi posti a carico degli operatori. L‟autorità ha vari compiti. Sono
sostanzialmente di tipo consultivo ma anche di amministrazione attiva.
L‟autorità è chiamata ad esprimere il proprio parere tutte le volte in cui si tratta di
emanare delle leggi, o assumere atti amministrativi che hanno una incidenza, un
impatto sul settore del gas naturale. Poteri anche di tipo normativo, regolamentare,
poteri propri in quanto autorità di regolazione per molti aspetti.
Importantissimo le modalità di accesso e le tariffe di connessione tra le reti,
stabilisce le direttive che servono per garantire la separazione organizzativa tra gli
operatori del gas che sono verticalmente integrati, che operano in diverse fasi della
filiera, tra le misure regolatorie tipicamente usate in questi settori vi è l‟obbligo della
separazione amministrativa tra le articolazioni di impresa che si occupano delle
diverse fasi della filiera.
L‟autorità di regolazione definisce gli standard qualitativi del servizio che devono
essere rispettati dagli operatori. Normalmentel‟attività di regolazione è posta in
essere dall‟autorità secondo modalità abbastanza innovative, tipiche dell‟autorità di
regolazione. Prima di emanare un provvedimento di regolazione, l‟autorità pubblica dei
documenti di consultazione, una misura di regolazione, dove sono indicate quali sono
le linee guida che l‟autorità intende seguire, chiedendo a tutti soggetti interessati, gli
operatori e non solo, di esprimere le proprie valutazioni su questa misura di
regolazione che viene proposta.
L‟autorità fornisce anche propri chiarimenti, prende posizioni rispetto alle
osservazioni che le sono pervenute dai soggetti interessati, e infine adotta il proprio
provvedimento, che assume la forma di deliberazioni assunte dall‟autorità, quindi dai
tre commissari.
Negli ultimi anni questi poteri(di indirizzo, decisionale) che l‟autorità esercita in piena
autonomia, sono stati ridimensionati per effetto di una serie di provvedimenti
legislativi che hanno esteso i poteri del governo, soprattutto far fronte per
135
consentire che si faccia fronte, in modo tempestivo,alle crisi del settore settore a
causa della capacità di regolazione del sistema.
Vi è poi una autorità di regolazione a livello europeo, che è una agenzia istituita in
seno alla commissione europea, che ha come organo decisionale un comitato composto
dai rappresentanti dei vari regolatori, delle varie autorità di regolazione dei vari paesi
dell‟UE. Non ha effettivi poteri di regolazione, intervento nei vari mercati nazionali,
ma serve per promuovere la cooperazione e l‟ adozione di misure di regolazione che
possono essere coordinate. Tanto più che la disciplina in materia di gas naturale è
stata modificata sulla base di direttive comunitarie di liberalizzazione.
Potere che viene riconosciuto all‟agenzia europea riguarda le condizioni di accesso alle
reti del gas transfrontaliere, se ne discute molto. Sono stati incorporati progetti che
devono essere fatti propri dalle autorità comunitarie perché interessano l‟UE nel suo
complesso, sistema di funzionamento del gas naturale a livello europeo.
È corretto che la competenza diretta ad adottare le misure di regolazione che
riguardano queste reti transfrontaliere siano assegnate all‟autorità di regolazione di
livello istituzionale comunitario. È soltanto un caso isolato di competenza di tipo
regolatorio, decisionale, mentre come abbiamo visto, la regolazione all‟interno di un
paese membro è affidato ad autorità di regolazione nazionali. Le direttive europee
dicono che le autorità devono essere indipendenti rispetto ai vari interessi degli
operatori, indipendenti rispetto all‟indirizzo politico e rispetto agli interessi degli
utenti finali. Questo peril settore del gas naturale.
Altro settore su cui possiamo dire qualcosa è quello dei TRASPORTI DI LINEA. È un
settore complesso: trasporto pubblico, trasporto collettivo, rispettoal quale abbiamo
il trasporto ferroviario, aereo e marittimo. Si può distinguere in base all‟oggetto del
trasporto: trasporto di merci o di persone.
Nel caso di servizio pubblico ci si riferisce al trasporto di persone, sia di tipo
ferroviario che di trasporto su gomma, ovvero aereo e marittimo. Esempio tradizionale
di intervento del settore pubblico nei sevizi di trasporto di linea è il
trasportoferroviario. Fino a poco tempo fa, inizio anni „70 operava un monopolista
pubblico verticalmente integrato. Le ragioni della monopolizzazione non erano legate
all‟esistenza di un‟ infrastruttura significativa, che garantisce il trasporto
interregionale, regionale e su scala locale, ma da ragioni di tipo politico
Dal punto di vista giuridico il settore dei trasporti è garantito da prezzi sociali.
Tradizionalmente sono state previste tariffe, prezzi per i servizi di
trasporto,particolarmente favorevoli e accessibili alla generalità di utenti. Questo ha
creato una situazione di deficit strutturale delle imprese del monopolista pubblico, e
quindi sostanzialmente qualsiasi politica di liberalizzazione in questo settore deve
fare i conti col problema del prezzo del servizio.
La liberalizzazione implica che vi sia un punto di equilibrio tra gli obiettivi sociali del
servizio rispetto alla sviluppo di un‟ effettiva concorrenza nel settore.
Anche qua sono state emanate numerose direttive di liberalizzazione da parte delle
istituzioni comunitarie, la strada che si è perseguita (tratto comune dei servizi
136
pubblici) è quella dellaseparazione della rete rispetto alla erogazione del servizio di
trasporto. In realtà questa separazione è stata attuata mediante l‟adozione di misure
di separazione organizzativa e contabile tra il soggetto che detiene e gestisce
l‟infrastruttura di rete rispetto ai soggetti che erogano il servizio di trasporto.
Anche in questo caso è necessario che le condizioni di accesso alla rete la possibilità.
per le imprese che erogano il servizio di trasporto ferroviario, di utilizzare la
ferroviaria e nazionalesiano stabilite in modo da non creare ostacoli alla concorrenza
nel settore dei servizi di trasporto ferroviario: queste condizioni devono essere eque
non discriminatorie e trasparenti.
Nel nostro paese il gestore dell‟infrastruttura ferroviaria è, a parte alcuni casi dove
ci sono concessionari privati, una società di nome RFI, società che è distinta e
separata rispetto a Trenitalia, società che si occupa dei servizi di trasporto
ferroviario. Le due società fanno parte di Ferrovie dello Stato spa, ex monopolista
pubblico.
I servizi di trasporto ferroviario possono essere erogati da imprese ferroviarie
diversamente costituite, queste che competono con Trenitalia spa, solo dopo aver
ottenuto una licenza di impresa ferroviaria, rilasciata dall‟autorità di regolazione,
vedremo essere una emanazione del ministero dei trasporti, a condizione e una volta
che si siano soddisfatti certi requisiti.
Quali sono? L‟impresa ferroviaria deve dimostrare di avere materiale rotabile, deve
avere i locomotori che siano adeguati dal punto di vista tecnico e tecnologico per
svolgere i servizi ferroviari su particolari tratte. Deve avere un personale
incaricatoincaricato della gestione di questi locomotori che sia dotato di competenze
e professionalità, e poi idonee coperture assicurative.
Una volta che i requisiti sono soddisfatti, l‟impresa ottiene la licenza ferroviaria da
parte del ministero dei trasporti.
È chiaro che l‟accesso alle infrastrutture essenziali, la rete ferroviaria non è
semplice,
non può essere garantito a tutte le imprese ferroviarie. L‟accesso
all‟infrastruttura è una risorsa scarsa. Rete Ferroviaria Italiana deve mettere a gara
il diritto di accedere all‟infrastruttura ferroviaria facendo viaggiare i propri treni,
facendo viaggiare i propri locomotori.
Le imprese ferroviarie mettono a disposizione i propri locomotori, personale, per far
funzionare le carrozze, i vagoni su determinate tratte interessanti dal punto di vista
commerciale e imprenditoriale. La condizione iniziale per svolgere questi servizi di
trazione è di avere accesso alla infrastruttura essenziale. Le imprese devono aver
stipulato con RFI una convenzione che consente di aver accesso alla struttura
ferroviaria. Rete Ferroviaria Italiana, nel scegliere fra gli operatori, deve fare delle
gare scegliendo procedure in cui vengono comparate le varie offerte di servizi di
trasporto formulate dalle imprese ferroviarie che competono tra di loro.
Tutto questo sistema che è complesso, a maggior ragione nel trasporto ferroviario
deve essere garantito un uso coordinato ed efficiente delle infrastrutture della rete
ferroviaria, è oggetto a regolazione appannanggiodi articolazioni amministrative del
137
ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che è sostanzialmente il proprietario
sia del gruppo Ferrovie dello stato, a cui appartengono Trenitalia e reti ferroviarie
italiane; vi è il problema di scarse indipendenza da parte del regolatore nazionale.
Questo è uno dei motivi per i quali recentemente è stata istituita, con decreto legge,
la Autorità dei trasporti come autorità di regolazione indipendente e autonoma
rispetto al ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
L‟autorità di regolazione ha compiti tipici, cioè quello di garantire l‟accesso
all‟infrastruttura a condizioni eque e non discriminatorie, ma nel caso del settore
ferroviario ha anche il potere di dirimere le controversie fra il gestore della rete
ferroviaria e le varie imprese nel caso vi siano motivi di contrasto.
Nel caso del trasporto ferroviario, altro obiettivo è quello della sicurezza dello stesso
sistema di trasporto ferroviario. Per l‟adozione degli standard tecnici, misure per
garantire il servizio del trasporto è stata istituita anche nel nostro paese l’autorità
nazionale per la sicurezza nelle ferrovie ha un compito tecnico di emanare le norme
dirette a garantire la sicurezza nel trasporto ferroviario e rilasciare una serie di
certificazioni a favore delle imprese ferroviarie.
In tutto questo sistema, vi è un altro problema: garantire la fruizione del servizio in
modo generalizzato a determinate condizioni di prezzo. Nel caso del settore
ferroviario, tradizionalmente, le condizioni di prezzo per i servizi di trasporto, sono
state definite in termini sociali.
Abbiamo tutta una disciplina che concerne le condizioni sulla cui base il servizio viene
offerto ai cittadini, utenti finali, ai clienti. Queste discipline, confluiscono in un
regolamento comunitario del 2007, che è volto ad uno specifico obiettivo. Definire cin
quali modalità le
autorità competenti possono intervenire rispetto al diritto
comunitario nel settore del trasporto pubblici passeggeri per garantire la fornitura
dei servizi di interesse generale, che siano più numerosi sicuri, di miglior qualità e
offerti a prezzi inferiori rispetto a quelli che il libero gioco del mercato
consentirebbe di offrire.
Il regolamento comunitario serve per garantire l‟offerta di servizi di trasporto
ferroviario passeggeri di persone, a condizioni migliori rispetto a quelle che si
formerebbero spontaneamente sul mercato in base ad un semplice calcolo di
convenienza economica fatto dalle imprese ferroviarie. Si prende atto che il settore,
se liberalizzato, porterebbe alla formazione di prezzi eccessivi rispetto a quelli
desiderabili sul piano sociale, necessità di intervento pubblico cui le varie autorità che
hanno la possibilità di definire determinate erogazioni del servizio che siano
desiderabili sul piano sociale.
Facciamo un esempio. Se c‟è un determinato comune, o un insieme di comuni, che
vogliono che il trasporto pubblico ferroviario e su gomma siano garantiti a
determinate condizioni di prezzo, è necessario che venga stabilita un rapporto tra
l‟autorità amministrativa che può imporre determinate condizioni di fornitura del
servizio e gli operatori, l‟operatore chiamato a fruire del servizio a quelle condizioni
che sono determinate a livello politico.
138
Lo strumento con cui si attua questo scambio, accordo, è il contratto di servizio. Un
accordo tra una autorità competente ed un operatore del servizio col quale si affida
all‟operatore la gestione e la fornitura del servizio di trasporto pubblico su un ambito
territoriale. A Genova l‟ambito territoriale urbano è affidato, tramite un contratto di
servizio, ad un soggetto, AMT, sia per il trasporto urbano su trasporto, questo vale
anche per il trasporto ferroviario urbano genovese.
Il contratto di servizio cosa prevede? Le condizioni di erogazione del servizio che
sono decise dall‟autorità competente, spesso dalle amministrazioni locali, vengono
ritenute desiderabili sul piano sociale per garantire l‟accesso indiscriminato del
servizio da parte di tutti i cittadini
Prevede obblighi di continuità dei servizi, di tariffe, condizioni particolarmente
vantaggiose, condizioni di favore per determinate categorie di utenti. L‟obbligo per
l‟operatore di fornire i servizi di trasporto anche in segmenti di mercato, settori,
località, dove l‟operatore non avrebbe interesse a fornire lo stesso servizio. Tutta
una serie di obblighi che vengono denominati obblighi di servizio pubblico, e che sono
oggetto tra gli altri, del contratto di servizio.
In cosa consistono in generale? Nell‟obbligo di prestare il servizio in una misura e
secondo quantità che l‟operatore stesso non fornirebbe se seguisse il proprio
interesse commerciale. Mediante il contratto di servizio, in realtà si pongono a carico
dell‟operatore dei costi supplementari, degli extracosti, supportare costi ulteriori
che l‟operatore del servizio di trasporto non sarebbe disposto a sopportare se
seguisse il proprio interesse commerciale. Da qui la necessità che il contratto di
servizio definisca quanti sono questi costi supplementari che l‟operatore deve
sopportare per adempiere agli obblighi di servizio pubblico che gli sono imposti.
Primo problema quantificare i costi supplementari del servizio pubblico,e secondo
problema trovare delle forme che consentano all‟operatore di sovvenzionare i costi
supplementari e coprirli in modo che venga garantito l‟equilibrio economico finanziario.
Abbiamo un problema sostanziale perché la definizione di questi costi è un problema
significativo, perché è necessario che queste risorse ulteriori che vengono assegnate
all‟operatore per coprire questi costi non coprano eventualisue inefficienze, carenze.
È chiaro che il fornitore del servizio ha due modi per finanziarsi: anzitutto i ricavi che
ottiene direttamente dagli utenti, in secondo luogo queste compensazioni che riceve
dall‟autorità pubblica a copertura ulteriore dei costi che non riesce a coprire con un
prezzo del servizio che viene incassato direttamente dai clienti.
Quanto più sono definiti chiaramente gli obblighi di servizio pubblico a carico del
gestore del servizio, tanto più vengono specificati questi obblighi di servizio che viene
richiesto all‟operatore di soddisfare, tanto più è facile calcolare i costi associati alle
prestazioni di servizio supplementari che gli viene chiesto di adempiere. È più facile in
qualche modo, definire con maggiore precisione quei costi connessi all‟ erogazione del
servizio di cui gli enti pubblici devono farsi carico.
Lo strumento è quello del contratto di servizio che prevedrà secondo meccanismi
complicati, che soggetto pubblico debba in qualche modo trasferire determinate
139
risorse al servizio in un determinato ambito territoriale.
Meccanismo molto
complicato dal punto di vista contrattuale, questi sono i principi che stanno alla base di
questo settore.
Abbiamo poi il trasporto aereo. Mi limito a ricordare alcuni elementi essenziali.
Abbiamo due profili che vanno considerati. Anzitutto il trasporto aereo che ha una
dimensione comunitaria, riguarda il trasporto aereo internazionale o comunitario,
dall‟altro lato trasporto aereo nazionale, consiste in collegamenti tra scali posti
all‟interno del territorio nazionale, in questo caso si parla di servizi di cabotaggio,
termine che si utilizza anche nei servizi di trasporto marittimo.
Anche qua veniamo da una situazione di monopolio pubblico in cui sia il trasporto aereo
internazionale che nazionale erano garantitida un operatore nazionale di proprietà
dello Stato, Alitalia. Anche qua ci sono state varie misure di liberalizzazione decise a
livello comunitario, ma hanno interessato soprattutto i servizi di trasporto
internazionale.
Il servizio sia a livello comunitario che nazionale, è subordinato al rilascio di una
licenza, che è rilasciata dalle varie autorità di regolazione nazionali sul settore aereo,
se ha il possesso di determinati requisiti. Deve avere anzitutto il certificato di
operatore aereo che è subordinato ad una serie di requisiti di ordine tecnico
particolarmente complessi e così via.
Uno dei punti più importanti del processo di liberalizzazionedelle rotte all‟interno
dell‟UE. Dal 1997 i vettori che hanno ottenuto una licenza a livello comunitario,
possono gestire servizi di trasporto aereo all‟interno della Unione europea. È anche
stato liberalizzato il servizio di cabotaggio interno; un tempo i servizi di trasporto
aereo delle rotte nazionali, erano riservati ad una unica compagnia di bandiera ad un
operatore, determinata nazionalità. Nel 1997 questo regime comunitario il vettore può
operare sia sulle linee aeree all‟interno dell‟UE ma anche quelle linee aeree che
riguardano i collegamenti nazionali.
Evidentemente il discorso cambia per il trasporto aereo internazionale. Si tratta di
vedere se i paesi hanno stipulato accordi bilaterali con i paesi internazionali con i quali
esistono collegamenti di trasporto aereo. Vi stata una liberalizzazione dei servizi di
trasporto aereo, ma anche in questo caso la liberalizzazione rischiava di escludere
dall‟offerta di servizi determinate tratte interessanti sul piano commerciale, che non
sono redditizie.
È previsto che lo Stato possa individuaredeterminate collegamenti col territorio
nazionale non appetibili dal punto di vista commerciale e assumersi la garanzia del
servizio anche su queste tratte non interessanti sul piano commerciale. Questo viene
fatto in Italia riguarda tutti i collegamenti aerei e nazionali attraverso l‟imposizione di
obblighi di servizio pubblico.
Nel senso che lo Stato assume su di sé l‟obbligo di garantire servizi di trasporto sulla
linea non molto redditizia, poi bandisce una gara per scegliere un vettore aereo che
sia disponibile a garantire i servizi per questa tratta. Lo stato si fa poi carico di
compensare i maggiori costi che il vettore aereo sopporta garantire il servizio in una
140
tratta che non è interessante dal punto di vista commerciale, in modo che i servizi di
trasporto aereo siano garantiti in base a criteri di regolarità, accessibilità dei prezzi
e così via.
Normalmente queste gare vengono fatte ogni 3 anni, comportano che su particolari
tratte vi sia un unico operatore. Non vi siano più operatori che competono tra di loro
in una situazione concorrenziale ma che l‟unico operatore abbia diritto di fornire il
servizio in regime di esclusiva.
Nel settore dei servizi di trasporto aereo, anche per i servizi di trasporto pubblico,
vi sono delle linee, dei servizi aperti al un regime concorrenziale e vi sono collegamenti
proprio perché meno interessanti sul piano imprenditoriale, che vengono garantiti dallo
stato sulla base di questi meccanismi di cui abbiamo discusso.
Anche qua abbiamo dei problemi per l‟effettiva apertura della concorrenza anche nelle
tratte interessanti sul piano commerciale. Il principale di questi
problemi è
rappresentato dalla possibilità per tutti vettori di accedere alle infrastrutture
aereoportuali in determinate fasce orarie.
Le infrastrutture sono gli aeroporti. In particolare la possibilità di avere accesso agli
aeroporti in determinate fasce orarie che sono più interessanti dal punto di vista
commerciale. Qua è intervenuta la legislazione comunitaria, in base alla quale è stato
previsto che gli operatori portuali devono assegnare i diritti di accesso alla struttura
sulla base di procedure aperte e non discriminatorie, con tutta una serie di difficoltà
legate alle deroghe a questa messa a gara, dell‟accesso all‟infrastruttura aeroportuale
in determinate fasce orarie (slot) perché, sostanzialmente, i vettori aerei che
detenevano questi slot, non erano propensi ad abbandonarli, sicché sono state
introdotte deroghe, a livello comunitario, a questa possibilità di accedere su base non
discriminatoria.
I servizi di trasporto aereo sono soggetti ad una ulteriore normativa comunitaria, è
necessario che intervenga il legislatore comunitario, le istituzioni europee, per
garantire che i servizi di trasporto aereo vengano svolti in condizioni di sicurezza, in
modo coordinato, sulla base di regole uniformi, e così via.
In realtà ci sono state una serie di regolamenti che sono stati adottati dalla
commissione europea diretti a realizzare il cielo unico europeo, un sistema di
controllo di garanzia del sistema di trasporto aereo coordinato a livello comunitario.
Vi è un problema non solo di accesso alle infrastrutture aeroportuali che è una risorsa
scarsa, ma lo è anche la possibilità di transitare nei cieli comunitari in determinate
fasce orarie. Si è pensato che queste esigenze di coordinamento potessero essere
meglio soddisfatte sulla base della legislazione comunitaria anziché creare meccanismi
di coordinamento fra le legislazioni dei vari paesi membri dell‟Unione europea.
A livello comunitario è stata prevista una Agenzia Europea per la Sicurezza Aerea,
volta a garantire un livello uniforme e adeguato di sicurezza per tutti i vettori che
operano nel mercato pubblico.
141
30/04/2012
Completiamo il tema dei sevizi pubblici. Adesso dobbiamo parlare, seppur molto
velocemente, delle comunicazioni elettroniche, i servizi di telefonia, gestione di rete,
trasmissione di dati. Anche qui arriviamo da una situazione in cui i servizi di
telecomunicazione erano riservati allo Stato, questo valeva fino ai primi anni 1970 in
una condizione di paradigma tecnologico molto diversa rispetto a quella attuale.
Basti pensare alla telefonia mobile, all‟accesso alla rete, ciò ha reso evidente che
poteva essere conveniente per più operatori moltiplicare le reti di trasmissione dei
dati. Si sono determinate le condizioni per uno sviluppo molto forte della concorrenza
in questo settore.
Le autorità europee hanno preso atto di questa situazione del mercato, eci sono state
direttive di liberalizzazione (è stato uno dei primi settori ad essere liberalizzato).
Ancora oggi vi è una produzione della Comunità europea in tema di comunicazioni
elettroniche molto ampia.
Nel 1996 una direttiva ha stabilito che il settore fosse da considerare pienamente
concorrenziale. Liberalizzazione piena del settore delle telecomunicazioni, la
conseguenza è stata l‟abrogazione dei diritti di esclusiva riconosciuti a determinate
imprese, e soprattutto anche la definizione di alcune condizioni per la adozione di
misure di regolazione da parte delle autorità nazionali avente ad oggetto il
funzionamento del mercato liberalizzato.
Ancora oggi la produzione della comunità europea in materia di comunicazioni
elettroniche è molto ampia, tant‟è che anche le misure regolamentari che possono
essere adottate dai regolatori nazionali nel nostro paese, devono essere sottoposte
ad un vaglio preventivo da parte della commissione europea. Ormai i mercati delle
comunicazioni elettroniche sono liberalizzati ma hanno una dimensione comunitaria: è
necessario che le misure di regolazione dei vari paesi membri siano dotate di una
certa uniformità in modo da non intralciare il complessivo dimensionamento del
mercato. Un operatore della telefonia mobile opera nel nostro paese, mercato, ma
offre servizi anche in altri mercati europei, vi è il problema dei concorrenti
competono a livello europeo.
È chiaro che la normativa comunitaria deve anche tenere il passo delle nuove frontiere
tecnologiche che di anno in anno si profilano all‟orizzonte. In particolare vi è il tema
delle infrastrutture di retedi nuova generazione, quindi la possibilità di creare
queste nuove infrastrutture di rete che consentono la trasmissione di dati, servizi su
banda ultra larga, ed è evidente che in questo momento la regolazione a livello
comunitario ha l‟obiettivo di favorire lo sviluppo di queste nuove infrastrutture.
Sulla base di queste direttive, nel 2003 è stato emanato il decreto legislativo 259,
codice delle comunicazioni elettroniche, dove sono raccolte le norme nazionali di
recepimento delle varie direttive comunitarie che sono state emanate
successivamente nel corso degli anni oggetto di modifiche che consentono di recepire
la normativa comunitaria.
142
Proprio per riflettere il principio della piena concorrenza nel settore delle
comunicazioni elettroniche, quali sono i principi di massima che sono previsti nel
codice delle comunicazioni?
Anzitutto è previsto che l‟accesso al mercato non sia sottoposto a nessun tipo di
provvedimento amministrativo. Non vi è licenza,
non vi è una autorizzazione,
tantomeno una concessione dello stato ma vi è un regime di autorizzazione generale
che vale per quegli imprenditori che, a determinate condizioni, vogliono incominciare a
costruire sul mercato questi servizi di comunicazioni.
In alcuni casi, l‟uso di determinate frequenze radio è subordinato alla concessione di
una licenza. Il problema di una regolazione è quello di garantire, di prevedere un
assetto regolamentare che ponga tutti gli operatori che sono presenti sul mercato di
avere condizioni concorrenziali uniformi, paritarie, e quindi di imporre degli obblighi
agli operatori che detengono un significativo potere di mercato.
Nel codice delle comunicazioni elettroniche sono previsti obblighi a carico
dell‟operatore dominante, Telecom Italia. Per esempio si prevede che gli operatori
hanno il diritto, l‟operatore dominante ha l‟obbligo di negoziare le condizioni di accesso
alla rete di sua proprietà sulla base di determinate condizioni. Questa negoziazione
non avviene su base meramente commerciale, ma avviene sulla base di condizioni e
tariffe predeterminate dall‟autorità di regolazione l‟Autorità garante delle
telecomunicazioni.
In più l‟autorità si fa garante della possibilità di adottare delle misure regolamentari
ulteriori a carico dell‟operatore dominante.A tal fine dev‟essere adottata una
procedura complessa che prevede il coinvolgimento dei soggetti che operano sul
mercato, non soltanto dell‟operatore dominante, attraverso la pubblicazione di un
documento di consultazione relativo alla misura di regolazione che dev‟essere
adottata, e prevede un procedimento che prevede il coinvolgimento della commissione
europea per evitare che si generi distorsione delle condizioni di funzionamento del
mercato a livello comunitario.
Queste misure regolamentari che possono essere poste a carico dell‟operatore
dominante consiste nell‟obbligo di separazione funzionale della rete di accesso. Qua
abbiamo il solito problema che vale in questo settore come negli altri caratterizzati
dalla presenza di infrastruttura di rete. L‟infrastruttura della rete comporta dei costi
che non devono essere sottostimati.
Anche in questo settore abbiamo un operatore dominante presente sia nella fase
dell‟attività che riguarda la gestione della rete sia in quella che riguarda l‟erogazione
dei servizi. Vi è l‟obbligo di creare una separazione organizzativa tra l‟azienda che
gestisce la rete rispetto a quella che eroga il servizio. Questa separazione può essere
imposta, ovvero può essere anche volontaria.
Nel nostro paese, in effetti, abbiamo avuto un esempio di separazione funzionale e
volontaria attuata dall‟operatore dominante, è stata Telecom Italia che ha proposto
all‟autorità di regolazione le modalità tecniche con cui attuare la separazione
funzionale tra la struttura di rete e le società che erogano i servizi, dopo tutta una
143
serie di negoziazioni, è stata creata una struttura separata, che si chiama Open
Access, che viene gestita da un organismo di vigilanza che è composto anche da
soggetti che vengono nominati dall‟AGCOM.
Si tratta di una separazione funzionale, nel senso che la rete di gestione è e continua
ad essere di proprietà di Telecom Italia; semplicemente è stata creata una unità
commerciale distinta, sottoposta a vigilanza da parte di un comitato di soggetti, di un
gruppo di persone, che in parte vengono designati dall‟autorità.
Uno dei problemi della regolazione è quello di favorire la realizzazione di reti
tecnologicamente avanzate. Il problema è banalmente quello di favorire gli
investimenti da parte degli operatori nella realizzazione di nuove strutture di rete. È
necessario che, per favorire gli investimenti, agli operatori debba garantita una certa
remunerazione del capitale investito, altrimenti non si avrebbero gli investimenti
necessari.
Compito del regolatore è consentire il mantenimento agli operatori intenzionati ad
effettuare gli investimenti di diritti esclusiva sulle reti che hanno realizzato in modo
da remunerare l‟investimento e il capitale investito.
I problemi del regolatore riguardano come conciliare la necessità di aprire le reti
(anche più avanzate) all‟accesso da parte di tutti gli operatori in modo da garantire la
concorrenzialità nel mercato, e dall‟altro lato riconoscere agli operatori che vogliono
investire nelle reti tecnologicamente avanzate di diritti di esclusiva per un periodo di
tempo sufficienti per remunerare l‟investimento effettuato.
Un altro tema importante è quello, nonostante il settore sia pienamente liberalizzato,
di garantire un pacchetto minimo di servizi a tutti i cittadini. Occorre garantire
anche in questo settore il servizio universale, un pacchetto minimo di servizi cui tutti
possono aver accesso a costi, condizioni ragionevoli.
Nel caso dei servizi delle comunicazioni elettroniche, il servizio universale è
individuato, consiste nell‟obbligo di garantire l‟accesso alla rete telefonica pubblica
(rete di telefonia fissa), la fornitura di servizi di informazione sugli abbonati,
installazione degli apparecchi telefonici pubblici, le cabine, sempre meno diffuse sul
territorio, e poi sono previste norme di servizi universali , previsti servizi a favore di
clienti svantaggiati. Questo è l‟insieme dei servizi minimi che costituisce il servizio
universale.
Come funziona il servizio universale? Il servizio universale è posto a carico degli
operatori, in generale è posto a carico di tutti coloro che vogliono svolgere servizi sul
mercato. Se uno vuole operare nel settore dei servizi di telecomunicazioni sa che ha di
fronte questa alternativa: o offre, in parte, quei servizi che rientrano nell‟ambito del
servizio universale, o se decide di non offrirli, deve contribuire ai costi che sono
associati alla fornitura di questi servizi. La fornitura del servizio universale comporta
dei costi che nessun operatore sopporterebbe se considerasse esclusivamente il
proprio interesse commerciale.
È necessario che questi costi supplementari siano finanziati dal sistema. Il
meccanismo per finanziare i costi è di questo genere: o ti impegni a fornire il servizio
144
alle condizioni previste dal regolatore ovvero contribuisci ad un fondo che serve per
finanziare i fondi del servizio universale.
Il regolatore, anno per anno, calcola i costi del servizio universale (quanto costa
garantire il pacchetto minimo di servizi), e poi, in qualche modo, stabilisce in quale
misura ciascuno degli operatori è tenuto a contribuire a questi costi.
L‟operatore può contribuire a questi in due maniere. Da un lato direttamente
offrendo il servizio (pagando i costi), ovvero trasferendo al fondo un determinato
importo in denaro che costituisce la quota del servizio universale.
Tendenzialmente accade che il servizio universale è fornito dall‟operatore dominante,
Telecom Italia, il quale anno per anno deve inviare all‟autorità garante delle
comunicazioni i dati per ricostruire i costi che l‟operatore ha sopportato per offrire
questi servizi. Il regolatore verifica i costi e stabilisce in quale misura ciascuno dei
concorrenti di Telecom Italia, deve contribuire alla copertura di costi.
Questo pacchetto minimo che costituisce il servizio universale deve variare tenendo
conto delle esigenze e dei bisogni espressi dalle comunità dei cittadini e clienti. Nel
2009 è emanata una direttiva, prevede che il servizio universale deve prevedere la
connessione ad una rete fissa che sia in grado di conseguire un accesso efficace e
veloce ad internet. L‟individuazione del servizio universale deve tener conto
dell‟innovazione tecnologica e, allo stesso tempo, risponde sempre dei ritardi rispetto
alle esigenze che si manifestano sul mercato e che sono espresse dai cittadini.
Ricordiamo l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, già ricordata varie volte
nelle lezioni. Quello che interessa evidenziare è che è una autorità indipendente. I
suoi componenti sono stati drasticamente ridotti per effetto di queste ultime
manovre adottate sia dal governo Monti che da altri governi per il contenimento della
spesa pubblica, i componenti e i commissari sono eletti con meccanismi che
garantiscono indipendenza rispetto al governo. L‟organismo di regolazione istituito a
livello comunitario è il Berec (regolamento 2009, Organismo dei regolatori europei
delle comunicazioni elettroniche), serve per costruire un raccordo tra le autorità di
regolazione per i paesi membri.
SERVIZIO POSTALE. Altro servizio pubblico importante, oggetto di progressiva
liberalizzazione. Proveniamo da una legge del 1973 che prevedeva che i servizi di
raccolta, distribuzione della corrispondenza fossero di esclusiva competenza dello
Stato che li dava in concessione ad una società, oggi Poste italiane spa.
Questo regime di esclusiva e di riserva in favore di Poste era temperato dalla
possibilità per i direttori provinciali degli uffici delle poste di dare in concessione a
terzi determinati servizi. Si poteva solo subconcedere la gestione dei servizi di
propria competenza a soggetti terzi, ciò avveniva per quel che concerneva la consegna
delle raccomandate, servizi postali a valore aggiunto, quelli che si contraddistinguono
rispetto al livello di raccolta di consegna della posta ordinaria.
Questo abbandono del regime tradizionale di riserva in favore di una maggiore
liberalizzazione dee mercato, è avvenuto soltanto in tempi recenti per effetto di una
direttiva 1997 e 2008 che ha attuato una più decisa liberalizzazione del settore che
145
supera il tradizionale regime di riserva. Sono esclusi i servizi che interessano
l‟esercizio di funzioni sovrane da parte dello stato, nel caso dei servizi postali è
escluso dalla liberalizzazione il servizio di notifica di atti giudiziari e così via.
Il servizio postale anche qua liberalizzato comprende tutte le fasi della filiera e
quindi la raccolta, smistamento, trasporto e la distribuzione della posta fino al suo
recapito. Questi servizi sono liberalizzati, ma di nuovo nel caso dei servizi postali è
mantenuto in regime di esclusiva il servizio universale.
Si tratta di un insieme di servizi che si ritiene necessario garantire a tutti i cittadini
a prezzi accessibili. Nel caso dei servizi postali, il servizio universale è posto in
esclusiva all‟operatore Poste Italiane SPA, in esclusiva sino al 2026. Quali servizi
rientrano nel servizio universale?
Esso comprende la raccolta, trasporto, lo smistamento e la distribuzione di plichi
postali fino a due chili e pacchi postali fino a venti chili. Questi servizi di
corrispondenza ordinaria devono essere garantiti a condizioni accessibili a tutti i
cittadini, evidentemente garantendo una rete di punti di raccolta e consegna di uffici
postali presenti nel territorio nazionale. Ciò comporta costi che devono essere
sostanzialmente remunerati.
Nel caso dei servizi postali vi è un ulteriore problema di distinguere in modo chiaro,
evidente, i soggetti della struttura funzionale aziendale che è necessario per svolgere
il servizio universale, rispetto a quelle strutture funzionali allo svolgimento di servizi
complementari rispetto al servizio universale. Una cosa è la posta ordinaria, un‟altra il
corriere espresso, i servizi di corrispondenza personalizzati e così via.
Teniamo conto che Poste italiane oltre avere l‟incarico di garantire il servizio
universale postale nel territorio nazionale opera poi anche in tutti i servizi postali a
valore aggiunto, ma opera anche in altri mercati complementari rispetto a quello dei
servizi in questione.
È importante che siano previsti obblighi di separazione funzionale tra il soggetto
incaricato della prestazione dei servizi universali e le strutture che fanno capo a
questo soggetto che si occupa di attività diverse e si distinguono rispetto al servizio
universale.
Questa separazione funzionale non è mai stata attuata sino in fondo, tant‟è che ancora
oggi nella struttura di Poste italiane non è possibile distinguere dal punto di vista
societario, la società che gestisce il servizio universale rispetto a quelle che oltre il
servizio universale offre sul mercato anche altri servizi.
Questo vale non solo per poste Italiane spa ma anche per altri soggetti che
concorrono con Poste Italiane e possono essere grandi operatori autorizzati, con
licenza del ministero, a prestare anch‟essi il servizio universale.
Anche in questo settore vi è una autorità di regolazione: Agenzia nazionale di
regolamentazione del settore postale. In questo caso, proprio perché il servizio
postale è stato uno degli ultimi settori interessati alla liberalizzazione, anche questa
agenzia di regolamentazione del settore postale non è organizzativamente separata
distinta e autonoma rispetto al ministero delle telecomunicazioni.
146
Nonostante questa mancata attuazione di effettiva autonomia organizzativa e
finanziaria dell‟autorità, il regolatore deve comunque definire il servizio universale, le
tariffe sulla cui base il servizio universale dev‟essere prestato, determinati standard
di qualità dei servizi che sono sottoposti a regolazione e così via.
L‟agenzia è composta da un collegio composto da tre membri: dal presidente, direttore
generale che cura l‟attuazione dei provvedimenti di regolazione che vengono di volta
in volta adottati dall‟agenzia.
Il libro conclude la panoramica dei servizi pubblici accennando ai SERVIZI PUBBLICI
LOCALI la cui organizzazione è di competenza degli enti locali: comuni province,
comunità montane, città metropolitane non le regioni. Vi sono una serie di servizi
pubblici la cui organizzazione non è di competenza dello Stato ma di competenza dei
vari enti locali.
Veniamo proprio nel nostro ordinamento da una lunga tradizione legislativa in cui la
competenza della erogazione di numerosissimi servizi pubblici spettava agli enti locali.
Nei primi del 1900 fu emanata una legge, regio decreto, sulla municipalizzazione dei
servizi pubblici. Si prevedeva tutta una serie di servizi (cimiteri, trasporto pubblico,
gas) che spettavano alla competenza degli enti locali. Erano loro che dovevano
garantire lo svolgimento di questi servizi alle proprie comunità territoriali di
riferimento.
Questo regio decreto del 1905 prevedeva addirittura che alcune di queste attività
potessero costituire oggetto di privativa, un regime di esclusiva a favore degli enti
locali i quali poi svolgevano queste attività mediante proprie articolazioni
organizzative, delle proprie aziende (aziende municipalizzate), poi chiamate aziende
speciali dei vari comuni.
A partire dagli anni „90, legge 142/1990 sono state trasformate in società per azioni.
Oggi, facendo un piccolo esempio, a Genova abbiamo un soggetto, che è Iren, quello
che si occupa della gestione dei molti servizi pubblici locali dopo una serie di
operazioni di aggregazione con altre società operanti nel medesimo settore, Iren è
erede della vecchia Amga, Azienda Municipalizzata Gas e Acqua di Genova. .
Tradizionalmente i servizi pubblici locali erano oggetto di una disciplina legislativa
generale in materia di servizi pubblici locali. Cosa è successo? Che molti di questi
servizi sono stati considerati separatamente da parte del legislatore comunitario,
sono stati oggetto di direttive settoriali di liberalizzazione, che hanno inciso su
questa disciplina settoriale dei servizi pubblici locali prevista a livello nazionale.
Esempio. Tradizionalmente si considera servizio pubblico locale la distribuzione del
gas. Abbiamo visto come questo servizio è stato fatto oggetto di direttive di
liberalizzazione da parte del legislatore comunitario. Oggi si è creata questa strana
situazione in cui gli enti locali hanno dovuto subire una progressiva erosione delle
proprie competenze per effetto delle direttive comunitarie di liberalizzazione.
Questo vale anche per i servizi di trasporto pubblico collettivo locale. La gestione del
trasporto su gomma a livello locale era di competenza degli enti locali, ancora oggi lo è,
ma è stata fatta oggetto di una normativa sempre più cospicua e complessa di origine
147
comunitaria. L‟ambito applicativo della disciplina generale in materia di servizi pubblici
locali si è molto ridotto, tenendo conto che un servizio di competenza degli enti locali
(gestione dei servizi idrici) è stato escluso dall‟applicazione delle norme dei servizi
pubblici locali per effetto del referendum dell‟anno scorso. Tra i quesiti del
referendum, uno aveva ad oggetto anche questa disciplina.
Anche negli ultimi anni il dibattito sulla privatizzazione della gestione dei servizi
pubblici locali è stato molto ampio e diversificato. È stato oggetto di numerosissimi
interventi legislativi e da ultimo da un decreto legge numero 138 2011 che recepisce
nel nostro ordinamento le modifiche della precedente disciplina in materia di servizi
pubblici locali che si sono avute per effetto di questo referendum abrogativo.
Questo decreto legge 138/2011, ha un ambito di applicazione che è tendenzialmente
limitato. Lo stesso decreto legge prevede che non si applichino le norme di gestione
dei servizi pubblici localial servizio idrico, servizio di distribuzione del gas (oggetto di
sua disciplina specifica), distribuzione dell‟energia elettrica, servizio di trasporto
ferroviario e regionale, gestione delle farmacie comunali.
Rimane molto poco. Cosa ancora oggi è qualificabile come servizio pubblico locale e
quindi oggetto di questa disciplina? Sostanzialmente i servizi di gestione del ciclo
integrato dei rifiuti, i servizi ambientali di raccolta, trasporto e smaltimento dei
rifiuti solidi urbani. Altri servizi, manutenzioni del verde pubblico, edifici pubblico,
sono servizi che gli enti locali hanno la facoltà di assumere in proprio.
Queste nuove norme, decreto 2011, pone una serie di condizioni affinché sia
legittimata l‟assunzione in proprio da parte degli enti locali allo svolgimento delle
attività economiche. Anche in questi settori si è avuta una liberalizzazione che viene
attuata ponendo tutta una serie di vincoli, condizioni, che devono essere soddisfatte
prima che l‟ente locale possa essere legittimato ad assumere su di sé il compito di
gestire una determinata attività economica.
È infatti previsto che l‟‟ente deve adottare una sorta di delibera quadro in cui verifica
se determinate attività economiche possano essere liberalizzate. Attività che prima
svolgeva il comune, l‟ente locale in proprio tramite le proprie strutture organizzative,
tramite le proprie società. Il comune deve verificare se sia necessario, per garantire
determinati obiettivi sociali di diffusione e distribuzione generalizzata del servizio,
mantenere regimi di esclusiva per lo svolgimento di quella attività economica, ovvero
se gli obiettivi possano essere realizzati aprendo il servizio alla concorrenza.
Questa delibera, molto complicata, viene richiesta agli enti locali: verificare se
determinati servizi possano essere aperti alla concorrenza o mantenuti nel regime di
esclusiva, deve essere inviata all‟Autorità garante della concorrenza e del mercato
che deve esprimere il proprio parere sulle conclusioni che ha raggiunto l‟ente locale.
L‟ente locale, laddove abbia ravvisato la necessità di mantenere dei diritti di esclusiva
di determinate attività economiche deve mettere a gara questi diritti di esclusiva,
deve fare una gara per scegliere il soggetto che si dimostri il miglior possibile gestore
di quel determinato servizio, sia dal punto di vista tecnico sia sul piano economico,
148
perché è il soggetto che si impegna a richiedere ai cittadini delle tariffe più
contenute.
Questo decreto legge del 2011 prevede condizioni dettagliate per lo svolgimento di
questa gara. Qua vi è un problema molto forte per l‟efficacia di queste procedure di
gara, bandite dagli enti locali per affidare la gestione di questi servizi. Molto spesso
chi partecipa alla gara sono società controllate dallo stesso ente locale o al cui
capitale l‟ente locale partecipa. In altri termini l‟ente è il soggetto che bandisce e che
deve aggiudicare la gara,e allo stesso tempo è un soggetto che partecipa al capitale di
uno dei concorrenti che partecipa alla gara. Vi è un problema di conflitto d’interessi
in capo all‟ente locale di cui il decreto legge cerca di farsi carico ipotizzando delle
soluzioni prevedendo che i componenti della commissione che deve proclamare il
vincitore della gara devono essere autonomi e indipendenti rispetto all‟amministratore
locale.
Una seconda modalità per assegnare il diritto di gestire questi servizi è, oltre alla
gara, quello per l‟ente locale di mettere a gara non tanto semplicemente la gestione
del servizio, bensì la funzione di una partecipazione, non inferiore al 40% del capitale,
nella società a cui è affidata la gestione del servizio. Questo è un secondo modello di
gestone dei servizi pubblici locali, conosciuto come modello della società mista: ad
essa partecipa un ente locale, socio pubblico, ma ad essa partecipano anche soggetti
privati, scelti mediante la effettuazione di una procedura di gara che non ha ad
oggetto solo la gestione del servizio, ma anche l‟acquisizione di una partecipazione
nella società che domani dovrà gestire il servizio.
In questo caso si ha di nuovo una gara il cui oggetto è più articolato, complesso, si
parla di gara a doppio oggetto, nel caso in cui si scelga come modello di gestione
quello della società mista.
Perché gara a doppio oggetto?Perché la gara è diretta a selezionare sia il soggetto,
partner industriale, in grado di garantire, mediante la sua partecipazione alla società
mista, le migliori condizioni di gestione del servizio. Allo stesso tempo deve essere
scelto il soggetto che offre di più, in termini economici,
per acquisire la
partecipazione nel capitale della società mista. Ecco perché gara a doppio oggetto: da
un lato la gara ha ad oggetto le condizioni sulla cui base il partner privato si dichiara
disponibile a gestire il servizio, dall‟altra parte ha ad oggetto le condizioni economiche
sulla cui base il partner privato si dichiara disponibile ad acquisire la partecipazione
della stessa società.
Perché si è scelto questo modello? Tradizionalmente i servizi pubblici locali sono
sempre stati gestiti da società che sono emanazione degli enti locali, al cui capitale gli
enti partecipano. Ad esempio Iren, ma ci sono una miriade di società che svolgono le
attività sui nostri mercati.
Siccome questa disciplina dei servizi pubblici locali è stata oggetto di numerosissimi
interventi legislativi, nel corso degli ultimi 10-15 anni, è stato impossibile per il
legislatore romperequesta posizione storica consolidata, e quindi era difficile imporre
agli enti locali di mettere a gara servizi che tradizionalmente erano gestiti da società
149
di proprietà degli enti locali o comunque alle quali gli enti locali partecipavano
direttamente. Si è quindi decisa una possibilità mediana di prevedere la possibilità per
gli enti locali di aprire il capitale delle proprie società alla partecipazione dei soggetti
privati, da qui la società mista. Anziché mettere a gara il servizio metti a gara il
partner industriale che diventerà socio della mia società da cui è gestito il servizio.
Vi è però un terzo modello gestionale, quello tradizionale ma la cui attuabilità è stata
ristretta, la cosiddetta gestione diretta del servizio da parte dell’ente locale
mediante una propria società. L‟ente locale, anziché mettere a gara il servizio, ovvero
la partecipazione della società che gestisce il servizio, continua a gestirlo
direttamente mediante la propria società.Assegna questo compito di gestire il servizio
con propria società direttamente, senza fare alcuna gara.
Mentre negli altri modelli di gestione abbiamo una sorta di esternalizzazione per la
gestione del servizio, qui l‟ente decide di gestire il servizio in proprio, mediante una
propria società. Questo è il cosiddetto modello in houseproviding, in cui l‟ente locale
gestisce il servizio pubblico in proprio mediante una propria società, quello che è
sempre stato fatto.
La possibilità di gestire in house il servizio è stata significativamente limitata, proprio
perché si possa avere questa gestione in house occorre che il servizio oggetto
dell‟affidamento abbia un valore complessivamente inferiore ai 900 mila euro annui. Si
possono gestire in proprio, in house, da parte degli enti locali, soltanto servizi che
hanno una dimensione economica non particolarmente significativa.
È necessario che la società a cui è affidata la gestione del servizio sia controllata al
100% dall‟ente pubblico locale e soprattutto che quest‟ultimo abbia potere di
influenza di controllo molto forte sulla stessa società. Dev‟essere evidente che questa
società è una società che nella gestione del servizio si atterrà in modo univoco alle
direttive che riceverà da parte dell‟ente locale.
7/05/2012
Dobbiamo affrontare il tema delle PRIVATIZZAZIONI. La privatizzazione è la
sostituzione di una disciplina di diritto pubblico con una disciplina di diritto privato.
Può riguardare l‟attività, i soggetti e i beni pubblici.
La privatizzazione dei soggetti può essere formale o sostanziale. La prima determina
la trasformazione di un ente pubblico in un soggetto di diritto privato, la seconda
comporta la cessione a soggetti privati della società trasformata.
Accade che la proprietà o la quota di una persona giuridica privata della società passi
dall‟amministrazione, dai soggetti pubblici ai soggetti privati. L‟ente è ceduto ai
soggetti privati.
È chiaro che la privatizzazione formale è condizione del presupposto della
privatizzazione sostanziale, della successiva cessione ai soggetti privati del controllo
della società trasformata. Soltanto con la privatizzazione sostanziale si ha un effetto
di effettivo arretramento dello Stato, di tutte le amministrazioni, degli enti locali
dalla propria presenza in un determinato settore economico.
150
Lo Stato continua ad essere imprenditore, titolare, di una determinata attività
economia anche qualora l‟attività sia gestita da una società anche se è di proprietà
dello stato o degli enti pubblici. Solo se effettivamente la proprietà del soggetto
titolare passa a soggetti privati si può dire che lo stato abbia abbandonato la sua
presenza in un determinato settore economico. Ciò è avvenuto nei settori delle
telecomunicazioni: lo Stato ha ceduto le proprie partecipazioni nella società a
TelecomItalia, società proveniente da un processo di privatizzazione formale in base
ad un certo percorso è stata trasformata da ente pubblico in società.
Successivamente le partecipazioni che lo stato deteneva di Telecom Italia, sono state
cedute a privati.
Quando parliamo invece di privatizzazione dell’attività ci riferiamo sostanzialmente
ad un fenomeno che abbiamo già considerato più volte nell‟ambito del corso, il fatto
che un‟attività anziché essere disciplinata da norme di diritto pubblico, da leggi che
prevedevano che una determinata attività dovesse rimanere di esclusiva pertinenza,
competenza dello Stato ed enti pubblici, questa attività passa ad essere regolata alla
disciplina di diritto comune, che si applica a qualsiasi attività imprenditoriale, salvo
essere oggetto di una regolazione specifica.
Si passa dall‟assoggettamento dell‟attività ad un regime di riserva di tipo pubblicistico
all‟apertura di questa attività alle regole di diritto privato tra cui anche le regole in
materia di concorrenza. Quando si parla di privatizzazione delle attività, questo è un
termine usato in modo improprio, si dovrebbe parlare di liberalizzazione di una
determinata attività economica. L‟attività prima riservata allo stato ed enti pubblici,
ed assoggettata a regime pubblicistico, viene liberalizzata e assoggettata alle regole
che normalmente si applicano allo svolgimento delle attività imprenditoriali, tra cui
anche le regole in materia di concorrenza.
Normalmente di liberalizzazione, privatizzazione di attività si può parlare quando ci si
riferisce anche ad attività di tipo imprenditoriale. Non si può parlare di concorrenza,
attività di tipo erogativo, che consistono nell‟erogazione dei servizi ai cittadini che
non hanno un ritorno economico (esempio nelle erogazione di prestazioni previdenziali,
di tipo socio assistenziale: attività che non hanno un mercato di riferimento, non
hanno caratteristiche di economicità ma anche per scelta giuridica rispetto alle quali
non è possibile ipotizzare forme di mercato di tipo concorrenziale).
Però vi sono stati dei casi, ricordati nel libro, di privatizzazione di attività meramente
erogative ovvero anche, il fatto che abbia demandato, delegato, assegnato a soggetti
privati, lo svolgimento di attività tipiche dei pubblici poteri, che attengono allo
svolgimento di funzioni amministrative. L‟attività tipica della funzione amministrativa
è quella della certificazione: ne abbiamo bisogno per avere determinati documenti,
per ottenere determinate prestazioni da parte dello stato e della pubblica
amministrazione.
Anche questo tipo di funzioni amministrative sono state assegnate a soggetti privati.
Lo stato ha deciso di non produrre più in proprio queste funzioni di tipo
151
amministrativo, ma di assegnare lo svolgimento di queste funzioni di tipo
amministrativo a soggetti privati.
Esempio particolare. Nel settore degli appalti pubblici, quegli appalti che pubblica
amministrazione aggiudica per ottenere la fornitura di servizi, la realizzazione di
opere, è necessario che le imprese che vogliono ottenere l‟appaltoconcorrono tra di
loro essendo in possesso di determinate certificazioni.
L‟attività di certificazione che fa riferimento all‟esercizio di una funzione pubblica
non è più svolta dallo stato, dalle PA, ma demandato alle SOA, società di attestazione,
che svolgono una attività tipicamente di competenza dei pubblici poteri. In questo
caso abbiamo un fenomeno diverso rispetto a quello prima considerato della
liberalizzazione. Lo stato per ragioni di efficienza, delega a soggetti privati lo
svolgimento di funzioni che tipicamente appartengono allo stato, si parla di
impropriamente di esternalizzazione.
Lo stato anziché produrre in proprio un servizio, un‟attività che è tipicamente statale,
che non è attività imprenditoriale che può essere aperta alla concorrenza, delega,
assegna il compito di svolgere l‟attività ad un soggetto privato, con una conseguenza
molto particolare: che il soggetto privato si trova a svolgere attività con funzione
tipicamente pubblicistica.
Abbiamo un soggetto privato che svolge una attività che però mantiene il suo
carattere pubblicistico, la sua funzione pubblicistica, e quindi il fatto che questa
attività continui ad essere assoggettata a determinate regole di diritto
amministrativo, che sono regole del tutto peculiari che riguardano quella specifica
attività. Abbiamo nel caso delle esternalizzazioni il determinarsi di una situazione
assolutamente particolare. Abbiamo soggetti privati che svolgono attività che
continuano ad essere regolate dal diritto pubblico, dal diritto amministrativo.
Normalmente il fenomeno dell‟esternalizzazione delle amministrazioni pubbliche
assoggettate a soggetti privati è un caso molto particolare, normalmente quando si
parla di privatizzazione ci si riferisce ad un fenomeno in cui alla privatizzazione del
soggetto privato che svolge una determinata attività, si accompagna anche la
privatizzazione del regime giuridico dell‟attività svolta dallo stesso soggetto; sia
privatizzazione del soggetto siaprivatizzazione dell‟attività.
Le privatizzazioni nella maggioranza dei casi hanno riguardato una situazione in cui la
privatizzazione di un soggetto presente in un determinato settore economico, sia
accompagnata anche con la liberalizzazione delle attività svolte da questo soggetto.
Esempio sempre nel caso di Telecom Italia,la privatizzazioni del vecchio ente pubblico
che svolgeva i servizi nel nostro ordinamento, la trasformazione in Spa e la successiva
cessione a soggetti privati si è anche accompagnata anche con la liberalizzazione dei
servizi di telecomunicazione nel nostro ordinamento. Normalmente alla privatizzazione
si accompagna un fenomeno di liberalizzazione.
Prima di vedere alcuni casi di privatizzazione, bisogna ricordare, sempre in una
prospettiva storica, qual era la situazione e quali erano le caratteristiche dei soggetti
che sono stati oggetto di privatizzazione. Da questo punto di vista si devono fare
152
alcune distinzioni nell‟ambito della più ampia categoria delle imprese pubbliche, di quei
soggetti pubblici che svolgono attività di tipo imprenditoriale.
Anzitutto abbiamo le cosiddette imprese organo, imprese pubbliche organo della
pubblica amministrazione. Cioè un‟impresa che fa parte dell‟organizzazione della
pubblica amministrazione, e che quindi non si distingue in senso giuridico dalla pubblica
amministrazione. La pubblica amministrazione, tra i vari compiti, svolge anche attività
imprenditoriali di erogazione dei servizi che hanno una loro economicità e che possono
essere considerati attività di tipo imprenditoriale.
In certi casi accade che la PA che svolge una determinata attività economica lo faccia
non direttamente ma attraverso una propria articolazione organizzativa separata:
azienda che fa capo ad un determinato ministero. In questi casi abbiamo l‟esperienza
delle aziende autonome che hanno una separazione di tipo funzionale contabile e
organizzativa rispetto alla PA a cui fanno capo e sostanzialmente rimangono pubbliche
amministrazioni, con tutte le conseguenze del caso.
Se un soggetto è considerato come parte della pubblica amministrazione, come parte
del ministero, è soggetto a tutte le regole di contabilità che si applicano alle PA,
regole diverse rispetto a quelle che si applicano ai soggetti che svolgono attività
imprenditoriali.
Altro tipo di impresa pubblica è quello dell‟impresa ente pubblico. Un soggetto
pubblico ma che è distinto, dal punto di vista giuridico, rispetto alla PA, allo stato,
ente locale e così via. Tratto caratterizzante dell‟impresa ente è il fatto che vi sia
un‟autonomia dal punto di vista della personalità giuridica del soggetto che svolge
attività economica rispetto alla PA di riferimento.
Il soggetto che è autonomo, e che viene denominato ente pubblico, è pur sempre un
soggetto pubblico, è pur sempre un soggetto pubblico, disciplinato non dalle norme
proprie del codice civile, non è una società, una associazione, ma l‟ente pubblico ha
propria disciplina organizzativa che si ritrova nella legge che lo istituisce e che lo
disciplina.
Ente pubblico svolge attività imprenditoriale e assoggettata al regime di diritto
privato. È questo il caso degli enti pubblici economici, a tutti gli effetti, che
svolgevano attività imprenditoriale e che hanno caratterizzato la legislazione dei
nostri mercati, per molti anni, fino alla fine degli anni ‟80.
Infine abbiamo un terzo tipo di impresa pubblica, quello ordinato in forma privata.
Abbiamo l‟ente pubblico che si trasforma in società, società di proprietà di enti
pubblici nel senso che gli enti pubblici controllano la società detenendone il controllo e
la maggioranza delle partecipazioni, e quindi in questo caso, la pubblicità dell‟impresa è
sostanzialmente connessa al fatto che la società rimanga di proprietà di un soggetto
pubblico. In questi casi abbiamo un totale assoggettamento del soggetto che svolge
l‟attività economica sia al diritto privato sia dal punto di vista oggettivo che
soggettivo, il soggetto svolge attività imprenditoriale, in più è costituito sotto forma
di diritto privato, ha una personalità giuridica di diritto privato.
153
Occorre dire che, nel corso degli anni, il fenomeno di impresa pubblica svolta sotto
forma di spa, è caratterizzato da tutta una serie di particolarità che hanno
determinato una forte differenziazione della spa partecipata dagli enti pubblici, dalla
PA, rispetto alle società partecipate dai soggetti privati.
In moltissimi casi, le società partecipate dai soggetti pubblici sono state oggetto di
una serie di discipline derogatorie rispetto al modello di società previste dal codice
civile. Si parla di società di diritto speciale, cioè società che, nella loro disciplina
organizzativa, presentano vistose deroghe rispetto alle norme del codice civile che
generalmente disciplinano l‟organizzazione delle società per azioni, società di capitali.
In molti casi un elemento caratteristico, necessario, di una società in base alla
disciplina del codice è lo scopo di lucro: oggettivo soggettivo, inteso come finalità di
distribuzione di utile ai soci della società. In molti casi le società dello Stato non
avevano e non hanno ancora oggi scopo di lucro, mancano di un elemento che
tipicamente caratterizza la fattispecie delle SPA del nostro ordinamento.
Sono società che, dal punto di vista causale, si differenziano notevolmente rispetto
alla società prevista nel codice civile. Sono società in cui l‟oggetto sociale non è
determinato liberamente dai soci ma è previsto da una legge, la legge che ha previsto
la costituzione della società da parte dello stato, e prevede quale debba essere
l‟oggetto sociale della società. Ovvero ancora che la nomina di amministratori e sindaci
non venga decisa dall‟assemblea dei soci ma spetti di diritto ad un determinato ente
pubblico, ad una determinata amministrazione pubblica.
Si tratta di società di diritto speciale proprio perché, nella loro organizzazione,
prevedono questo elemento di specialità che le differenzia rispetto alle regole delle
società previste in base al nostro ordinamento.
Addirittura vi sono società partecipate che devono essere obbligatoriamente
partecipate dagli enti pubblici, nel senso che il loro capitale non potrebbe essere
trasferito a soggetti privati, questo soprattutto per le e società che svolgono funzioni
supplementari rispetto a determinate amministrazioni pubbliche. Per queste società è
prevista che l‟amministrazione pubblica di riferimento debba necessariamente
detenere una partecipazione di controllo prevalente del capitale della società.
Quarto modo di organizzazione è il gruppo pubblico. Cioè, sostanzialmente, in questo
caso la articolazione dell‟impresa pubblica è più complessa perché abbiamo,
sostanzialmente, una situazione al cui vertice è posta la pubblica amministrazione, il
ministero competente. Qualche lezione fa ho ricordato che negli anni ‟60 era istituito
il Ministero delle partecipazioni statali, oggi soppresso. Organizzazione complessa al
cui vertice c‟è un ministero, ovvero anche un comitato in cui siedono i rappresentanti
dei ministeri, per esempio comitato CIP, Comitato Interministeriale per la
Programmazione economica, che ha la funzione di coordinamento dello svolgimento
delle attività di un determinato settore economico.
Al di sotto di questo, dagli anni ‟60 agli anni ‟80 c‟erano enti pubblici di gestione che
svolgevano il ruolo di holding del gruppo pubblico. Al di sotto trovavamo le società
154
partecipate dagli enti di gestione che svolgevano attività operative nei diversi
mercati. Fenomeno complesso che si articolava in vari livelli.
Per esempio, da questo punto di vista, ricordiamo l‟IRI, ente di gestione che aveva il
compito di gestire, coordinare la gestione di partecipazioni dello stato in varie società
che svolgevano determinate attività economiche nel mercato. Questa organizzazione
complessa della presenza pubblica nell‟economia determinava tutta una serie di
obbligazioni, sicché si parla di modello di gruppo pubblico che è stato abbandonato nel
corso del tempo.
A questa situazione della presenza pubblica in determinati settori economici si è
giunti attraverso il fenomeno delle privatizzazioni. È un fenomeno che è sempre stato
presente nel nostro ordinamento, nella nostra economia, ma è diventato molto
rilevante a partire dalla fine degli anni ‟80, soprattutto per due motivi: il primo è
quello della necessità dello stato di ridurre il proprio indebitamento, una
motivazione legata all‟esigenza dello stato di fare cassa, di realizzare determinate
entrate attraverso la dismissione delle partecipazioni in società controllate o
partecipate dallo stesso Stato o comunque dagli enti pubblici.
In secondo luogo, il fenomeno delle partecipazioni era legato all‟esigenza di
riorganizzare la presenza pubblica nell‟economia che assumeva queste configurazioni,
ma è una presenza caratterizzata da sprechi, inefficienze, proliferazione di enti,
occupazione da parte dello stato di spazi dell‟economia che potevano essere lasciati al
settore privato. Un controllo di efficienza, fenomeno della presenza pubblica
dell‟economia era pervasivo e il livello qualitativo dei servizi pubblici erano inadeguato,
si sentiva la necessità di trasformare la forma giuridica dell‟impresa pubblica,
soggetto potenzialmente imprenditoriale in società. In secondo luogo l‟esigenza dello
stato di fare cassa attraverso la dismissione delle partecipazione dei soggetti
trasformati.
Questo disegno complessivo che incomincia ad attuarsi a partire dagli anni ‟90, è
stabilito da tutta una serie di disposizioni legislative, nel libro molto dettagliate,
occorre ricordare alcune norme. Una legge importante è la 359/1992 che prevede,
all‟articolo 15, la trasformazione in spa di tutta una serie di enti pubblici di gestione,
enti pubbliciposti al vertice di gruppi di società pubbliche. Ricordiamo la
trasformazione dell‟ l‟IRI, l‟ENI, l‟INA, ENEL.
Questa trasformazione, questo articolo 15 della legge 359/1992 prevede la
privatizzazione formale di questi grandi enti pubblici economici. Prima erano enti
pubblici economici di gestione ora trasformati in società. Occorrono attività di tipo
esecutivo, cioè la disposizione legislativa, innanzitutto è chiaro che bisognava
individuare il capitale sociale iniziale delle società derivanti dagli enti pubblici
economici. Vi è una disciplina che prevedeva che il capitale sociale iniziale della
società derivante della trasformazione fosse fissato in misura uguale al capitale di
dotazione dell‟ente pubblico preesistente. Ogni ente aveva il suo capitale di dotazione.
In secondo luogo, questi enti pubblici trasformati attività lo svolgimento di regole
dell‟attività e le leggi istitutive di questi enti prevedevano che determinate attività
155
fossero riservate esclusivamente a questi enti pubblici. In questo modo si svolgeva il
problema di come trasferire lo svolgimento di quelle attività che prima erano
riservate loro per legge.
La legge 259 prevedeva che questi enti pubblici rimanessero attribuite agli stessi enti
in forza di concessione. Si prevedeva che la società per azioni, derivante dalla
trasformazione dell‟ente pubblico, rimanesse concessionaria dello svolgimento di
quelle medesime attività che prima svolgeva l‟ente pubblico.
Questo tipo di previsione, l‟attribuzione mediante concessione dello svolgimento di una
determinata attività economica, può sembrare,dal punto di vista sostanziale, molto
simile al fatto che quella attività fosse svolta da un determinato ente. Esempio:
nazionalizzazione delle attività elettriche. Questa legge prevedeva che determinate
attività nel settore dell‟energia dovessero essere svolte esclusivamente da ENEL. Con
la trasformazione di ENEL in SPA si è previsto invece che ENEL SPA avesse il diritto
a svolgere queste attività che prima le erano assegnate per legge in base ad una
concessione.
Dal punto di vista sostanziale lo strumento sortisce i medesimi effetti. Cambio di
prospettiva se le partecipazioni possono essere trasferite a soggetti privati, titolari
di attività cui ENEL sono concessionarie.
Questo è un punto molto importante da sottolineare. Questa soluzione nell‟attribuire
ai soggetti derivanti dalla trasformazione del regime di concessione, determina il
pericolo potenziale di trasferire, dalla mano pubblica, attività gestita in un mercato
sostanzialmente monopolistico ad un soggetto privato; cioè il rischio trasferimento a
soggetti privati di diritti di monopolio che prima spettavano alla mano pubblica.
Questo senza che siano state fatte gare, procedure competitive, per assegnare il
diritto di monopolio in base al soggetto privato. In base alle regole comunitarie,
quando deve essere assegnato il diritto di svolgere in esclusiva una determinata
attività economica, questo diritto esclusivo va messo a gara fra i soggetti che vogliono
partecipare allo svolgimento dell‟attività economica.
In questo caso, delle privatizzazioni che si sono realizzate nei primi anni ‟90, il diritto
di monopolio è stato assegnato mediante concessione ex lege a determinate società
che all‟epoca erano ancora in mano pubblica (società di proprietà dello stato), ma che
successivamente avrebbero formato oggetto di operazioni di privatizzazione
sostanziale, avrebbero formato oggetto di cessione ai soggetti privati.
Vi sono state anche altre leggi che hanno previsto la partecipazione di enti pubblici,
nel libro è ricordata la 59/1997, Bassanini bis, che ha previsto la trasformazione in
società di tutta un‟altra serie di enti pubblici. Ancora oggi questa attività di
privatizzazione, attività legislativa che prevede l‟obbligatoria trasformazione di enti
pubblici in società, teniamo presente che ci sono norme e leggi che dispongono che
enti pubblici economici e non economici debbano essere trasformati in società o
soppressi.Caso di ente nazionale Anas, trasformato recentemente in Spa, nel libro si
ricordano un sacco di esempi, Ente Nazionale di Assistenza al Volo, e così via.
156
Nei primi anni ‟90 abbiamo le prime leggi che prevedono la trasformazione di enti
pubblici economici in SPA e l‟attribuzione a questi enti pubblici dalle medesime attività
che prima svolgevano come enti pubblici, poi abbiamo ancora oggi una serie di leggi che
prevedono la trasformazione di enti pubblici in società, programmi di riordino degli
enti, in modo da determinare una maggiore efficienza dell‟ente pubblico, una sua
riorganizzazione dal punto di vista organizzativo.
Privatizzazione sostanziale. Una volta che l‟ente è trasformata in società si tratta di
stabilire sulla base di quali regole possa essere ceduto il controllo a soggetti privati.
Da questo punto di vista la norma fondamentale è il decreto legge 332/1994
trasformato poi in legge, la 474/1994 che è la cosiddetta legge sulle privatizzazioni,
la legge che stabilisce in base a quali procedure lo stato, gli enti pubblici e le
amministrazioni pubbliche in generale, possono cedere le proprie partecipazioni delle
società trasformate a soggetti privati.
Questa legge sulle privatizzazioni è divisa in due parti. Si distingue l‟ipotesi in cui
l‟oggetto di privatizzazionesostanziale non svolge servizi pubblici ovvero sia una
società che svolge i servizi pubblici. In generale, nei primi articoli di questa legge, si
prevedono le modalità con cui lo stato può mettere in vendita le partecipazioni.
La regola fondamentale è che lo stato quando cede deve farlo con modalità
trasparenti e non discriminatorie. Lo stato non può vendere sulla base di trattative
private, negoziando col soggetto le proprie partecipazioni, ma deve mettere a gara
l‟acquisto della partecipazione da parte di tutti i soggetti potenzialmente interessati.
Occorre che vengano poste in essere procedure dove tutti i soggetti possano
formulare un‟offerta relativa all‟acquisizione della partecipazione.
È chiaro che le situazioni relative alle numerosissime società in cui lo stato possedeva
privatizzazioni erano molto diversificate, si prevedeva che le modalità specifiche
potessero essere decise con decreto del PDC che doveva prevedere quali modalità
doveva seguire di volta in volta a seconda delle caratteristiche specifiche delle
società da privatizzare, fermo restando il principio di porre in essere modalità di
vendita in cui si prevedevano forme di asta per l‟acquisizione di partecipazioni daparte
dei soggetti privati.
Con una deroga, se il valore economico della partecipazione fosse inferiori a 50 milioni
di euro, sono previste in questi casi modalità di dismissione più semplici. Per esempio
cessione a investitori istituzionali mediante meccanismi di asta con modalità meno
onerose dal punto di vista degli adempimenti e delle modalità attuative.
Si prevedeva una norma in base alla quale lo stato avrebbe potuto procedere con
modalità alternative di dismissione nel caso in cui avesse deciso di individuare un
dubbio stabile di azionisti di riferimento, decideva di dismettere le partecipazioni in
una determinata società. Anziché venderle all‟asta, individuava, con un meccanismo di
negoziazione, un gruppo di imprenditori che si facevano carico della gestione della
società delle privatizzazioni garantendo determinate condizioni di gestione per un
certo periodo di tempo. Questa modalità di gestione è stata adottata molto
raramente, modalità di vendita che si pone in contrasto col principio generale della
157
legge sulle privatizzazioni che in realtà discende dallo stesso trattato istitutivo della
CE.
Tutte le volte in cui lo stato decide di vendere il proprio bene, il proprio asse e le
proprie partecipazioni che svolgono un‟attività economica non lo può fare liberamente,
ma deve scegliere l‟acquirente secondo meccanismi di asta competitivi secondo
procedure di gara.
Questo per due motivi: anzitutto dev‟essere data la possibilità a tutti gli imprenditori
in un determinato settore, a tutti i soggetti che possiedono determinate
caratteristiche, la possibilità di acquisire quella partecipazione che normalmente da
diritto di gestire una determinata attività economica in regime di esclusiva, in una
situazione quasi monopolistica.
In secondo luogo le PA hanno l‟obbligo di vendere le proprie aste ai migliori produttori
possibili reperibili sul mercato. Occorre dire che quando lo stato ha proceduto alla
privatizzazioni, cessione a privati delle proprie partecipazioni a società oggetto di
trasformazione, lo ha fatto secondo procedure di gara. In molti casi,all‟alternativa
alla gara, si è proceduto con operazioni di diffusione delle privatizzazioni sul mercato,
mediante procedure che prevedevano la quotazione delle partecipazioni, delle azioni
della società oggetto di privatizzazione.
Anziché vendere le partecipazioni della società privatizzata a determinati
imprenditori, si è deciso di procedere con la quotazione delle partecipazioni nella
società. Su questo apriamo un piccolo inciso. Occorre ricordare che per ottenere la
quotazione delle azionidella società, è necessario che le azioni siano diffuse sul
mercato, siano essi investitori istituzionali, di dettaglio.
Una delle regole di ammissione è che queste azioni siano sufficientemente diffuse sul
mercato, ci sia un flottante (quota di capitale) che non sia detenuto da singoli specifici
soggetti, ma sia diffuso sul mercato, detenuto da un‟ampia platea di soggetti, ciascuno
dei quali detiene la partecipazione al capitale della società superiore ad una
determinata soglia.
È necessario che per detenere le partecipazioni sul mercato, vengano poste in essere
operazioni di collocamento. È necessario che le azioni vengano cedute, collocate sul
mercato tramite gli intermediari, le banche e così via. In molti casi le operazioni di
liberalizzazione dei primi anni „90 sono state attuate mediante le operazioni di
collocamento sul mercato di quote di società privatizzate, caso di ENEL, ENI.
Queste operazioni si sono svolte anche in più fasi. Una prima fase lo stato ha
apportato una certa quota di capitale, successivamente è collocata sul mercato una
ulteriore quota. Sicché il risultato finale è stato che la società privatizzata è stata
ammessa alla quotazione ma lo stato ha mantenuto una partecipazione significativa nel
capitale delle società oggetto di privatizzazione. Questo vale ancora oggi per
ENI/ENEL dove il primo azionista è ancora lo stato e il restante capitale è diffuso sul
mercato, tra azionisti che hanno partecipazioni significative, ma in maggioranza
relativa: lo stato è il primo azionista della società privatizzata.
158
La legge 474 prevedeva regole particolari per la dismissione delle partecipazioni dello
stato di società che svolgono particolari servizi pubblici. La norma della legge 474
prevedeva che prima lo stato alienasse, cedesse, il controllo di una società operante
nel settore dei servizi pubblici, dovessero essere costituite autorità di regolazione
del settore di servizio pubblico in cui operava la società oggetto di privatizzazione.
Prima di cedere a soggetti privati la possibilità di nominare, avere il controllo di
diritto di una società che esercitava la attività nei servizi pubblici, occorresse
istituire una autorità di regolazione indipendente.
Questo per evitare che l‟operazione di privatizzazione comportasse un impedimento
del monopolio dal pubblico al privato. Occorreva che prima del trasferimento del
controllo della società fosse istituita un‟Autority il cui ambito fosse sottoposto a
misure di regolazione.
Non solo, per quelle società si prevedevano disposizioni ulteriori dirette a far si che lo
stato potesse mantenere un controllo della società nonostante la privatizzazione e che
quindi la società fosse ceduta ai privati.
Innanzitutto erano previsti i poteri speciali. Prima della cessione al soggetto privato
era previsto che lo stato potesse inserire nello statuto della società determinati
diritti particolari che lo stato si riservava nonostante il fatto che lo stato cessasse di
essere azionista o abbassasse in modo significativa la partecipazione delle società.
Sono le golden shares. In deroga alle regole ordinarie, si prevedevano prerogative
particolari che spettavano allo stato di dire, esprimere una propria posizione sulla
gestione della società nonostante la perdita di controllo della società stessa.
Quali erano i poteri che lo stato si riservava e ancora oggi presenti negli statuti di
società oggetto di privatizzazione? Il primo era potere di veto, di opporsi
all‟effettuazione da parte della società di operazioni straordinarie particolarmente
significative: fusioni, scissioni, cambiamento dell‟oggetto sociale. In secondo luogo,
nonostante di fatto avesse perso controllo della società, mantenere il diritto di
nominare un amministratore della società non esecutivo, privo di deleghe operative.
Poi altri ulteriori diritti di opposizione alla conclusione di patti parasociali tra i soci
della società, oppure diritto di opposizione all‟assunzione di partecipazione nell‟ipotesi
in cui queste acquisizioni superassero una determina somma.
È importante ricordare come in base a questi poteri speciali lo stato si conservasse
una sorta di potere di ingerenza una volta che la società fosse stata privatizzata. Il
contenuto di questi poteri speciali è stato negli anni successivamente modificato.
Sono state modificate le leggi che prevedevano le condizioni sulla cui base lo stato
fosse legittimato a esercitare questi poteri speciali. In quali condizioni lo stato può
avvalersi di questi poteri speciali che si riserva nello statuto della società
privatizzata?
Qua il problema, nello stabilire le condizioni modificate nel corso del tempo, è di
compatibilità fra i poteri speciali e principi dell‟ordinamento comunitario. Qual è la
prospettiva dell‟ordinamento comunitario? Quella della libera circolazione dei capitali,
della libertà di investimento.
159
La logica del legislatore comunitario è: la società è stata privatizzata, l‟attività che è
oggetto, che viene gestita è stata liberalizzata, è quindi impensabile e contrario alle
disposizioni che lo stato possa mantenere dei poteri di influenza sulla gestione della
società. Si è scelto di liberalizzare il settore, privatizzare la società e questo
mantenimento di prerogative speciali allo stato è incompatibile con queste scelte di
fondo che sono state fatte da un determinato stato dell‟Unione europea.
In particolare ci sono tutta una serie di sentenze della corte di giustizia in cui si
diceva che la previsione dei poteri avesse avuto l‟effetto di limitare l‟ingresso di
soggetti e capitali stranieri nel capitale delle società privatizzate. Questo vale per
l‟Italia come per altri paesi eurpei. Questa limitazione sarebbe contraria alla libera
circolazione dei capitali, libertà di investimento.
Vi sono casi in cui possono essere previste deroghe, eccezioni, ai principi di libertà, in
particolare di capitali in base al trattato. Ciò è possibile se la deroga è derivata da
ingenti motivi di interesse generale relativi a ordine pubblico, sicurezza pubblica,
sanità pubblica, difesa e così via.
In questi casi, se vi sono queste giustificazioni che stanno alla base del mantenimento
da parte dello stato del potere di influenza sulla gestione della società privatizzata,
allora è prevista la deroga alle libertà di circolazione. In altri termini è necessario
che l‟esercizio dei poteri speciali da parte dello stato di società privatizzate, si
giustifichi in base alla necessità di salvaguardare determinati interessi fondamentali
dello stato, attinenti ad ordine pubblico, sicurezza pubblica, difesa e così via. Dal
punto di vista del diritto comunitario i poteri speciali sono compatibili in certi
limitatissimi casi.
C‟è un contrasto con le istituzioni europee e le nostre leggi, decreti, che hanno
determinato le condizioni sulla cui base possono essere esercitati i diritti speciali,
proprio perché sulla base delle istituzioni comunitarie, i poteri speciali che sono
previste nelle nostre leggi e lasciano discrezionalità ai soggetti a cui è demandato
l‟esercizio di questi poteri speciali.
Non solo, ma occorre anche ricordare che con una legge del 2005 è stata introdotta la
possibilità di prevedere, nello statuto di queste società in cui lo stato detiene una
partecipazione rilevante, le cosiddette……., diritti particolari riconosciuti a particolari
categorie di azionisti.
Qual è il motivo per il quale queste società privatizzate vengono previsti poteri
speciali, una posizione privilegiata dell‟azionista pubblico rispetto agli altri azionisti? È
semplice, si vuole evitare che le nostre grandi SPA, che derivano da questi processi di
trasformazione degli enti pubblici in SPA, cadano nelle mani dei loro grandi
concorrenti internazionali; lo stato non vuole correre il rischio di perdere il controllo
totale dei campioni nazionali, delle società che operano nei settori strategici che
operano nella nostra economia nazionale (ENEL, ENI, Finmeccanica). Si prevedono
regole che rendono possibile allo stato ed enti pubblici di opporsi all‟ingresso di
determinati soggetti privati nel capitale di queste società.
160
È chiaro che questa esigenza di salvaguardare il controllo della gestione dei grandi
gruppi pubblici, si pone in contrasto con la libertà circolazione del capitale. È possibile
che una società pubblica, una volta che è stata quotata, sia oggetto di una offerta
pubblica di acquisto da parte di un suo concorrente straniero. Le operazioni sono
significative dal punto di vista economico ma nulla esclude che un domani, proprio
perché ci sono società quotate che lanciano un‟OPA per cercare di arrivare a
detenere una partecipazione significativa del capitale.
Questo è il motivo per cui è stata istituita la pillola avvelenata. I soggetti che
detengono una particolare categoria di azioni di richiedere l‟emissione di ulteriori
azioni o strumenti finanziari al verificarsi di determinati eventi. Lo Stato mantiene
una partecipazione del capitale di una società. Nell‟ipotesi in cui questa società sia
oggetto di una scalata, opa da parte di un concorrente, lo stato si riserva il diritto di
richiedere che la società faccia degli aumenti di capitale che hanno l‟effetto di
accrescere la partecipazione dello stato da parte della stessa società, con l‟effetto di
disincentivare, rendere difficoltosa l‟acquisizione del capitale della società stessa da
parte di questo offerente. Per questo si chiamano pillole avvelenate: sono azioni in cui
il detentore il privilegio di chiedere un aumento di azioni della stessa categoria
aumentando il numero di azioni necessario sostanzialmente per acquisire il controllo
della determinata società.
L‟acquisizione del controllo della società richiede che il potere non venga esercitato da
parte dei soggetti interessati, il diritto di chiedere l‟emissione delle azioni. Ciò rende,
la presenza delle categorie speciali di azioni, non acquisibile la società da parte di
investitori esteri.
08/05/2012
Parlavamo ieri delle privatizzazioni ed eravamo arrivati all‟analisi della legge
474/1994 che disciplina le modalità con cui lo Stato e gli enti locali possono
dismettere, cedere partecipazioni nelle società dai paesi detenute. Avevamo visto
come la legge distingue a seconda che la società oggetto di partecipazione gestisce
pubblici ovvero non li gestisce.
La stessa legge sulle privatizzazioni prima che porti a termine una procedura di
privatizzazione che determina la perdita del controllo della società da parte dello
stato o dell‟ente di riferimento è necessario da un lato che venga istituita una autorità
di regolazione del settore in cui opera la società privatizzata, e la possibilità di
inserire nello statuto della società determinate regole che consentono allo stato,
all‟ente di mantenere un certo potere di coerenza sulla gestione della società posta in
privatizzazione tra queste regole. Queste sono le regole dei poteri speciali che il
soggetto pubblico si attribuisce in via statutaria e che consentono di dire la propria
opinione, autorizzare, vietare lo svolgimento di determinate operazioni da parte della
società, per esempio operazioni straordinarie: fusioni, scissioni, acquisto di
partecipazioni.
161
Abbiamo visto anche come queste norme che prevedono il mantenimento dal parte
dello Stato degli enti pubblici un potere ininfluente sulle società oggetto di
privatizzazione, sono disposizioni che vengono viste con sospetto, o addirittura che si
pongono in contrasto con le disposizioni del trattato sul funzionamento dell‟UE perché
pongono dei limiti alla libertà di azione della società posta in privatizzazione e
disincentivano gli investitori stranieri, gli investitori esteri dall‟investire in queste
società.
D‟altro canto, le motivazioni che stanno alla base di questi poteri speciali che lo stato
mantiene nelle società privatizzate, è quello di impedire che le società vadano a finire
in mani della proprietà di soggetti che in qualche modo sono sgraditi rispetto allo
Stato. Si tratta di società che hanno un interesse strategico nell‟ambito di una
economia nazionale: pensiamo a ENI, ENEL, Finmeccanica che non vuole cedere il suo
gruppo.
Vi erano poi delle norme sulla legge delle privatizzazioni che prevedevano ulteriori
regole statutarie particolari per le società privatizzate. Questo coerentemente con
uno degli gli obiettivi che stanno alla base delle procedure di privatizzazione che era,
come alternativa alla cessione del capitale della società, della partecipazione ad un
unico investitore privato, quello di favorire la diffusione delle azioni della società
presso il pubblico dei risparmiatori.
In molti casi le privatizzazioni si sono realizzate mediante la diffusione delle azioni
delle società da privatizzare sul mercato mediante offerte pubbliche e il
contenimento della quotazione della società privatizzata.
Uno dei modelli di privatizzazione che ha portato la legge 74/1994 è quello di
privatizzare una società ad azionariato diffuso, modello delle public companies, tipico
delle economie anglosassoni: società in cui i soci non possiedono una percentuale
significativa del capitale della società ma il capitale della società è detenuto dal
mercato, da investitori al dettaglio, ovvero anche investitori istituzionali, senza che
ciascuno di essi abbia il potere di influenza dominante sulla gestione della società.
Il modello della public company è rimasto teorico. La maggior parte delle società
oggetto di privatizzazione o hanno dei soci di controllo a cui fanno riferimento, in
molti casi in realtà la diffusione sul mercato delle azioni delle società privatizzate si è
accompagnata con il mantenimento da parte dello stato dalla posizione di un socio di
controllo, di primo azionista, con maggioranza relativa della società privatizzata.
Esempio che si fa in questi casi è quello di ENI. Una società che ha gran parte del
capitale diffuso sul mercato, detenuto da investitori istituzionali in parte. Il socio ha
la maggioranza relativa è lo Stato tramite un soggetto che detiene la partecipazione
che è la Cassa depositi e prestiti.
Per favorire questo modello della public company (legge 74/1994) erano previste due
clausole: una poneva un limite al possesso azionario del singolo azionista della società
oggetto di privatizzazione, si poteva prevedere nello statuto della società che, in
nessun caso, un singolo azionista diverso dallo Stato o ente locale di riferimento,
potesse detenere una partecipazione superiore al 5%nella società.
162
Questa norma creava veri e propri ostacoli di tipo giuridico al fatto che un soggetto
privato potesse arrivare a detenere una partecipazione particolarmente significativa
nel capitale della società. In secondo luogo si prevedeva che (in caso di limiti al
possesso azionario)per la nomina degli amministratori e sindaci occorreva prevedere
meccanismi di voto di lista, il potere di nominare amministratori e sindaci della
società è attribuito proporzionalmente ai vari soci della società, in modo che il socio di
controllo, che ha la maggioranza dei voti nella società, non sia in grado da solo di
esprimere la totalità degli amministratori e sindaci della società, ad un certo punto la
nomina degli amministratori e sindaci è attribuitaai soci di minoranza; un meccanismo
che consente che negli organi di controllo della società vi sia una rappresentanza
anche con delle minoranze azionarie.
Una modalità particolare di privatizzazione è stata attuata in riferimento a delle
SPA, con la legge 259 del 1993, e poi si è attuata una modalità particolare di
privatizzazione della società perché si trattava evidentemente, come abbiamo già
detto parlando nel settore dell‟energia, di smantellare, diminuire il potere di mercato
monopolistico che Enel deteneva nel settore dei servizi energetici.
Prima della privatizzazione, si è posto ad ENEL di cedere, mediante procedure di asta,
una consistente parte delle proprie centrali di produzione di energia elettrica. Questo
è stato fatto, sostanzialmente, costituendo tre società, le tre Genco,Generetion
companies, società di produzione, queste centrali sono state conferite in tre società
distinte, in ciascuna delle quali la partecipazione di queste società sono state messe
all‟asta da parte di ENEL.
Sono state previste queste procedure di vendita che queste società non potessero
essere vendute a società partecipanti in misura superiore al 30% da enti pubblici, in
modo da evitare che si creasse una sorta di ripubblicizzazione delle società di energia
elettrica messe in vendita da Enel.
Le 3 Gencosono state vendute a Intesa Italia, che poi una di queste è stata ceduta al
gruppo spagnolo Intesa finita sotto il controllo della stessa Enel per effetto di una
OPA. Una Genco è stata comprata da Eni Power a cui partecipa anche Iren.
Diciamo che la privatizzazione di Enel è stata attuata con una serie di cautele per
evitare che questa procedura di privatizzazione si accompagnasse in modo armonioso,
con il programma di liberalizzazione del mercato elettrico nel nostro paese, in cui
ENEL che deteneva una posizione dominante, essendo l‟ ex monopolista pubblico.
A questo fine, è stato previsto che, una norma del 2001, decreto legge 2001/192 che
nessun operatore straniero potesse acquisire partecipazioni superioreiall‟1% in società
operanti nel settore dell‟energia elettrica e il gas; una clausola di sbarramento per
società che operano nel settore dell‟energia elettrica e il gas. In particolare questo
divieto era posto a carico di società controllate da altre amministrazioni pubbliche e
che detengono una posizione dominante nel proprio mercato interno.
Che cosa vuol dire? Si imponeva un divieto alle grandi altre società pubbliche europee
di acquisire partecipazioni significative nel capitale delle nostre società operanti nel
settore dell‟energia elettrica e del gas. Questa misura è stata prevista in un momento
163
particolare, nel momento in cui vi era il gruppo (Enerp) equivalente di ENEL
nell‟economia francese che aveva acquisito una partecipazione significativa nel capitale
della società Edison, secondo operatore di mercato elettrico nel nostro paese. Questa
misura voleva impedire che un grande monopolista francese, produttore di energia
elettrica, diventasse un operatore dominante anche nel nostro paese. Questo avrebbe
ostacolato la piena liberalizzazione dei mercato elettrico anche nel nostro paese.
Nel settore dell‟energia elettrica e il gas le procedure di liberalizzazione sono attuate
tenendo ben presente
l‟obiettivo di garantire che la privatizzazione dell‟ex
monopolista pubblico non comportasse nell‟ingresso del nostro mercato un operatore
dominante o un monopolista di un altro paese dell‟Unione europea, perché
evidentemente si sarebbe prodotto un assetto di mercato contrastante con gli
obiettivi di liberalizzazione previsti. D‟altro canto queste limitazioni sono previsti non
solo nel nostro ordinamento ma anche in altri ordinamenti europei.
Un‟altra privatizzazione più familiare, è quella che è stata posta in essere con
modalità derogatorie, ha riguardato Alitalia. Sono state emanate una serie di norme
proprio per Alitalia, in questo caso le deroghe erano date dal fatto che si trattava di
privatizzare Alitalia che era in una profonda crisi economica e finanziaria della
società.
È stato previsto che la cessione del controllo di Alitalia dovesse essere effettuata
non con la procedura dell‟asta pubblica ma individuando operatori disponibili ad
acquisire il controllo di Alitalia mediante una procedura di trattativa privata. Come
ricorderete la procedura di privatizzazione di Alitalia si è caratterizzata per altri due
elementi:
- Gli assetproduttivi inerenti al trasporto aereo e passeggeri e alle linee sono
state conferite ad una società in grado di continuare le attività svolte da
Alitalia;
- Gli asset non produttivi sono stati conferiti ad una società destinata ad essere
liquidata e posta in amministrazione straordinaria con una procedura analoga di
fallimento, procedura liquidatoria.
Altra caratteristica è stata che la società che ha ereditato gli asset operativi
dell‟azienda è stata fusa con uno dei principali concorrenti di Alitalia, la società
Airone, anch‟essa che era in una situazione di difficoltà finanziaria. La procedura di
privatizzazione si è accompagnata ad una operazione di concentrazione fra i due
principali concorrenti nel nostro mercato nazionale per quel chee riguardava i voli di
linea all‟intero del mercato nazionale.
Questo ha fatto si che si fosse creato una sorta di monopolista per alcune linee nel
nostro mercato, e ciò ha comportato che il legislatore dovesse intervenire con una
deroga alla legge antitrust che prevede norme sul controllo sulle concentrazioni che
impongono una valutazione preventiva delle concentrazione al fine di verificare se la
concentrazione sia idonea a perseguire una posizione dominante tale da pregiudicare il
164
mantenimento della concorrenza sul mercato. La fusione tra Alitalia e Airone portava
ad una situazione di questo genere.
Da qui la necessità di derogare le norme sulla concentrazione da parte dell‟autorità
garante e quindi fare in modo che l‟autorità garante potesse soltanto, anziché vietare
l‟operazione di concentrazione tra Alitalia e Airone, che pure era necessaria per
garantire la sopravvivenza dell‟ Alitalia risanata,l‟autorità garante fosse obbligata a
dare l‟OK alla creazione di questo monopolista imponendo tutta una serie di condizioni
e limiti, in modo che la società non abusi del proprio potere di mercato.
Oggi come oggi Alitalia è controllata da una società, dalla CAI,Compagnia Aerea
Italiana, che controlla Alitalia al 75%,il restante 25% è stato acquisito da Air
France. Allo stesso tempo è stata istituita una company per altri asset interessanti
dal punto di vista territoriale, destinata ad essere liquidata nell‟ambito della
procedura di amministrazione controllata.
Nel libro è ricordata la procedura del tutto particolare della privatizzazione di
Tirrenia, che è il risultato del tema che abbiamo visto velocemente della
liberalizzazione delle rotte marittime, appannaggio esclusivo non solo di Tirrenia ma
anche di altre società regionali che svolgevano servizi di cabotaggio, di collegamenti
con alcune piccole isole delle regioni italiane. Vi era la società Toremar che collegava
la Toscana con le isole dell‟arcipelago toscano (Isola d‟Elba e così via);Siremak
partecipata da Tirrenia operava nel territorio della Sicilia.
In questo caso si è scelta una procedura non straordinaria, ma quella di un‟asta
pubblica, all‟esito della quale una cordata di imprenditori italiani operanti nel settore
del trasporto marittimo di merci e passeggeri si è aggiudicata la procedura, ma con
l‟incognita derivante dal fatto che Tirrenia, nel corso degli anni, è stata beneficiaria
di consistentissimi aiuti di stato da parte del nostro stato per garantire la
sopravvivenza.
C‟è una procedura di indagine che è stata avviata dalla CE diretta a valutare se
Tirrenia possa essere ceduta a soggetti privati pur con tutta la consistente mola di
aiuti di stato che dovranno essere garantiti alla stessa Tirrenia da parte del nostro
stato per assicurarne la sopravvivenza.
Queste privatizzazioni che ho ricordato sono state poste in essere dallo Stato, dagli
enti locali, che le ha poste in essere mediante un suo organo specifico e poi la
direzione generale del tesoro ha gestito nel corso degli anni queste procedure di
privatizzazione che, dal punto di vista dei risultati, non hanno portato ai risultati
sperati.
Se è vero che nel corso degli anni molte imprese pubbliche, in forma di imprese
organo, ente, investivano in molte attività del nostro mercato e sono state
trasformate in società, ci sono state quindi molte privatizzazioni formali, in molti casi
la privatizzazione sostanziale, si era realizzata soltanto parzialmente. Restano sotto
il controllo dello stato tantissimi soggetti che sono stati trasformati in società
private: ENEL, Poste Italiane, ENI, Ferrovie dello Stato, ENAM, la RAI,
Finmeccanica, Terna e così via. Moltissime tra le più importanti società industriali
165
della nostra economia sono ancora sotto il controllo dello stato nonostante il fatto che
siano state oggetto di procedura di procedura delle privatizzazioni.
Negli statuti sono previsti poteri speciali a favore dello stato. Si tratta di società
non sono completamente assoggettate al regime giuridico di diritto privato che si
applica a tutte le altre società per azioni. Sono società caratterizzate da elementi di
commistione tra regimi di diritto pubblico e regimi di diritto privato che le rendono
differenti rispetto alle altre società che operano sul mercato con cui concorrono con
queste società perché non sono libere di determinare il proprio assetto organizzativo.
Il libro fa una analisi delle procedure di privatizzazione che prosegue considerando
tutta una serie di casi specifici a partire dalla privatizzazione delle ferrovie dello
stato, privatizzazione di Poste Italiane, privatizzazione di Telecom, ENAV e così
via.Su questo direi che ci possiamo soffermarcisolo su alcuni esempi di procedure di
privatizzazione. Ciascuna procedura è contraddistinta da una sua storia particolare su
cui si è pervenuti all‟attuale assetto della società, ma è eccessivo ai fini del corso
considerare puntualmente queste singole vicende di privatizzazione.Soffermiamoci su
alcuni specifici esempi per la loro rilevanza, anche per spiegare l‟ordinamento attuale
di alcuni soggetti che operano sul nostro mercato.
Ricordiamo Cassa depositi e prestiti. Organo che aveva due compiti. È il soggetto che
raccoglie risparmi sul mercato tramite la raccolta che si attua negli uffici postali,
sottoscrizione di tutti quei titoli e conti correnti che sono gestiti da poste Italiane
SPA. È un soggetto a cui affluiscono in misura significativa il risparmio delle famiglie
italiane, in particolare di quelle famiglie che investono con i propri risparmi sugli
strumenti dello Stato.
Tradizionalmente questo risparmio è stato impiegato dallo Stato tramite Cassa
depositi e prestiti con due finalità: dapprima di finanziare gli enti pubblici, gli enti
locali per quel che concerneva la realizzazione di opere pubbliche di vario genere, in
particolare per quelle funzionali allo svolgimento dei servizi pubblici che, nel corso
degli anni, erano di competenza degli enti locali. Pensiamo agli acquedotti, reti di
distribuzione del gas. Gli enti locali con Cassa depositi e Prestiti servivano per
finanziare i propri investimenti, ma anche per finanziare la propria spesa corrente.
In secondo luogo è anche il soggetto che, nel corso degli anni, ha finanziato le società
che svolgevano i servizi pubblici. Ad un certo punto il legislatore ha sentito l‟esigenza
di trasformareCassa depositi e Prestiti in spa al fine di dotarla di una forma giuridica
più conforme al contesto operativo in cui la cassa depositi e prestiti è destinata ad
operare, è un istituto di credito, sia pure per una finalità di interesse pubblico. Si è
operata una privatizzazione formale senza prevedere quella sostanziale, senza
prevedere che parte del capitale CDP potesse essere ceduto a soggetti privati.
Non solo, la privatizzazione di CDP si è accompagnata con tutta una serie di misure per
distinguere in modo separato, netto, le attività tipiche di Cassa depositi e prestiti
stessa. Da un lato le attività confluite nella gestione separata, quelle tradizionali di
finanziamento degli enti pubblici. Gli enti locali prevedono tramite questa gestione
separata sotto potere di indirizzo del ministero dell‟economia.
166
Per le restanti attività di Cassa depositi e prestiti? Cassa depositi e la gestione
autonoma opera come un vero e propriosoggetto di diritto privato, inserito in una
logica di mercato per finanziare opere, soggetti di vario genere, a tassi comparabili a
quelli in cui i soggetti possono essere finanziati nell‟ambito del mercato.
In realtà una parte del capitale di Cassa depositi e prestiti è stata ceduta alle
fondazioni bancarie, quelle che controllano il capitale delle Banche nel nostro
ordinamento, una percentuale del capitale di Cassa depositi e prestiti è stata
mantenuta al Ministero dell‟economia.
Non solo, ma lo stato ha trasferito alla Cassa alcune importanti partecipazioni delle
società privatizzate, in particolare Terna, gestisce la rete di trasmissione nazionale e
così via. In qualche modo Cassa depositi e Prestiti è stata trasformata in una sorta di
ente di gestione delle partecipazioni statali.
Non solo, ma proprio per l‟ingente mole di risorse finanziarie che sono state attribuite
a Cassa depositi e prestiti, si è previsto che, tramite una propria gestione autonoma,
possa intervenire nel capitale di società che hanno bisogno di ricevere dei
finanziamenti. Cassa depositi e Prestiti ha costituito, nel corso del tempo, fondi
comuni di investimento per intervenire nel capitale di società che necessitano di
risorse per sviluppare le proprie attività.
In particolare, la Cassa depositi ha istituito un Fondo Strategico Italiano, la cui
missione è quella di intervenire nel capitale di imprese di rilevante interesse nazionale,
in tutte quelle situazioni in cui lo stato voglia salvaguardare l‟assetto proprietario di
queste società.
Cassa depositi e Prestiti è diventata lo strumento di intervento dello stato nel
capitale di società cui lo Stato decide di partecipare per evitare che queste società
possano finire nelle mani di investitori stranieri.
Privatizzazione delle banche pubbliche. Anche su questo il libro dedica alcune
pagine, a noi ci interessa ricordare alcuni concetti fondamentali che hanno portato
all‟assetto attuale delle nostre banche. Partiamo dal fatto che in Italia le banche
erano soggetti controllati da enti pubblici. Vi erano 6 istituti di credito di diritto
pubblico e tantissime casse di risparmio, anche queste soggetti di diritto pubblico.
Poi vi erano alcune grandi società per azioni, le cosiddette banche di interesse
nazionale: Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano, Banco di Roma, che erano
costituite sotto forma di società e poste in esseresotto il controllo diretto dello
stato.
Attuare la privatizzazione formale delle banche pubbliche è stato reso difficoltoso
per alcuni motivi:non tutte le banche avevano una struttura di associazione. In molti
casi non era possibile individuare i soggetti pubblici che partecipavano al capitale della
banca. In molti casi gli enti pubblici erano organizzati sotto forma di fondazione e
quindi, era impossibile trasformare la banca pubblica in società per azioni.
Cosa si è fatto allora? Si è prevista una operazione di liberalizzazione attuata
mediante il conferimento delle banche, delle aziende bancarie, in una società neo
costituita con l‟assegnazione delle partecipazioni della banca beneficiaria del
167
conferimento dell‟azienda bancaria ad una fondazione, divenuta titolare del controllo
della banca pubblica.
Abbiamo avuto due operazioni di conferimento, società per azioni e creazione di
fondazioni bancarie, il cui scopo principale era quello di detenere le partecipazioni di
controllo delle banche. In altri casi, si è voluto operare mediante vendita,
trasformazione dell‟ente pubblico in spa e successiva dismissione delle partecipazioni.
La vicenda relativa alle banche pubbliche ha due profili di interesse. Il primo è legato
al fatto che innanzitutto si trattava di assegnare un particolare statuto giuridico, una
missione, un assetto organizzativo, alle fondazioni bancarie che erano venute a
detenere la partecipazione al capitale delle banche.
È chiaro che queste fondazioni sono divenute titolari dipatrimoni molto importanti che
doveva essere messo a servizio di rilevanti scopi di pubblico interesse. Si trattava di
designare da un lato l‟assetto organizzativo delle fondazioni bancarie e dare a loro un
indirizzo operativo, come utilizzare queste ingenti risorse finanziarie che derivavano
dal fatto di essere azionisti di controllo, azionisti molto importanti dei nostri enti di
credito. Si è disegnata una governance in base alla quale vi sono degli organi di
indirizzo e di controllo i cui componenti sono designati dagli enti locali di riferimento
in quel determinato territorio; quello a cui in precedenza facevano riferimento le
banche trasformate in SPA.
Si è assegnato alle fondazioni bancarie il compito di utilizzare le risorse per scopi di
utilità sociale. Lo statuto di ciascuna fondazione bancaria prevede in modo specifico
quali sono le attività di erogazione che possono essere perseguite dalla stessa
fondazione. Non solo attività di erogazione, ma anche attività imprenditoriali sia pur
finalizzate allo svolgimento di determinate attività sociali.
La struttura organizzativa di controllo delle fondazioni bancarie è molto complessa. Si
distingue in organi di diritto, una sorta di comitato esecutivo e assemblea dei
partecipanti. Si tratta sostanzialmente di organi di indirizzo e controllo i cui
componenti sono espressione degli enti locali e degli enti territoriali di una
determinata area del nostro Paese.
Per quanto riguarda le società bancarie, che svolgono attività bancaria e controllate
dalle fondazioni, una legge del 2001, aveva previsto che le fondazioni bancarie
dovessero dismettere il controllo delle società bancarie da essi partecipate.
Cosa che è avvenuta in alcuni casi, in altri no.Abbiamo esempi, nella maggior parte dei
casi, le nostre banche sono sotto il controllo di soggetti privati e, nell‟ambito di questa
struttura delle banche, le fondazioni bancarie detengono ancora partecipazioni
significative, ma non il controllo di diritto della società bancaria.
Alle fondazioni partecipano, accordi di sindacato, patti parasociali con i soggetti ai
quali si trasferiscono le fondazioni bancarie. La governance delle società bancarie è
complessa, il controllo fa in parte fa capo ai soggetti privati e in parte alle fondazioni.
C‟è stata una sentenza della corte costituzionale che ha riconosciuto la natura privata
delle fondazioni bancarie, anche se la loro struttura organizzativa non è assibilabile a
quella delle fondazioni disciplinatedal codice civile, ha una struttura organizzativa
168
peculiare e soprattutto, ancora oggi, le fondazioni bancarie operano sotto la vigilanza
del ministro dell‟economia, anche se i loro organi di governo sono espressione degli enti
territoriali di riferimento.
Abbiamo parlato finora di privatizzazione dei soggetti, degli enti, delle imprese che
svolgono determinate attività economiche e delle varie modalità, sia pur con esiti
contrastanti, con cui è avvenuta nel corso del tempo la dismissione da parte dello
stato partecipazioni di società.
Dobbiamo accennare alla privatizzazione dei beni dello stato ed enti pubblici, il
patrimonio immobiliare pubblico. Qua è importante mettere in evidenza solo alcuni
concetti fondamentali. In base a quello che è previsto nel codice i beni pubblici si
distinguono in:
- Beni demaniali: le poste, il lido del mare, gli acquedotti, determinati beni
definiti dalla legge come appartenenti al demanio, non sono alienabili in alcun
modo, sono beni fuori commercio, non possono essere ceduti dall‟ente pubblico.
Possono formare oggetto di concessione, tant‟è che oggi come oggi molti beni
del demanio vengono concessi ai soggetti privati;
- Beni patrimoniali indisponibili degli enti pubblici, beni che normalmente sono
indisponibili in quanto vincolati ad una destinazione pubblica, con un particolare
uso dell‟ente pubblico ne è proprietario. Per esempio gli uffici, sedi delle varie
sedi della PA. Questi beni possono essere resi disponibili sulla base di un
provvedimento amministrativo dell‟ente pubblico che ne è proprietario;
- Beni disponibili: beni che possono essereliberamente venduti da parte delle PA
che ne sono proprietari. Dobbiamo distinguere a seconda che il proprietario si a
la PA, lo Stato e i vari ministero, gli enti locali, ovvero enti pubblici come gli enti
previdenziali: Inps Inail.
Si discute sulla dismissione del patrimonio immobiliare dello stato per il disavanzo
pubblico accumulato nel corso degli anni. Come sappiamo, anche leggendo i giornali, il
patrimonio immobiliare dello stato e degli enti pubblici è molto consistente.
Oggi se ne parla, bisogna sapere che queste operazioni di dismissione sono state poste
in essere in modo consistente nel corso degli anni, a partire dai primi anni ‟90. Sono
state poste in essere con modalità diverse, che non hanno sortito gli effetti
desiderati.
Importante ricordare quali sono state le modalità principali con cui lo stato ha cercato
di vendere, del tutto o in parte, il proprio patrimonio immobiliare. Una prima modalità
è quella della costituzione da parte dello stato ed enti pubblici di fondi immobiliari
pubblici.
Cosa sono? Fondi di investimento il cui patrimonio è investito in beni immobili.
Sostanzialmente l‟operazione di dismissione del patrimonio pubblico avveniva mediante
conferimento dallo Stato o da parte della pubblica amministrazionedei propri immobili
nel patrimonio di questo fondo. A fronte di questo conferimento, assegnazione di
immobili, emette quote di partecipazione che sono assegnate allo stato, all‟ente
169
pubblico, e che possono essere collocati sul mercato presso investitori istituzionali,
investitori al dettaglio e così via.
Si crea una operazione il cui oggetto di dismissione non sono direttamente gli immobili,
bensì quote di partecipazione ad un fondo d‟investimento che è proprietario del
patrimonio immobiliare pubblico.
Secondo esempio.un po‟ più complicato, è quello delle operazioni di cartolarizzazione.
Sono state poste in essere per gli immobili dello stato ma in parte anche per gli
immobili delle regioni, per esempio gli immobili delle ASL.
Qual è la tecnica dell‟operazione? Qui vengono ricordate le operazioni Ship, che hanno
avuto esito sostanzialmente negativo. Importante è ricordare la tecnica utilizzata
nelle operazioni di cartolarizzazione. Un immobile viene ceduto, un certo compendio
immobiliare, un pacchetto, un gruppo di immobili di valore molto significativo viene
ceduto ad una società di cartolarizzazione che paga gli immobili ceduti dallo stato
finanziandosi con un gruppo di banche, istituti di credito, che diventano creditrici
della società di cartolarizzazione che ha acquistato questi immobili.
A questo punto la società di cartolarizzazione emette delle obbligazioni, che vengono
collocate sul mercato, che vengono sottoscritte dagli investitori e che vengono
rimborsate mediante la dismissione dei beni dell‟ente pubblico della società di
cartolarizzazione.
Ho omesso un passaggio: mediante le risorse raccoltecon le obbligazioni emesse sul
mercato e sottoscritte dagli investitori la società di cartolarizzazione rimborsa il
debito contratto per acquisire gli immobili, eche è stato finanziato dagli istituti di
credito.
Abbiamo una prima fase in cui la società di cartolarizzazione acquista gli immobili
finanziandosi con debito bancario. Seconda fase in cui la società di cartolarizzazione
emette prestito obbligazionario sottoscritto dal mercato e con i proventi derivanti dal
prestito obbligazionario viene pagato il debito bancario. A questo punto la società di
cartolarizzazione deve rimborsare gli investitori che hanno sottoscritto le
obbligazioni, e lo fa sulla base di un programma di vendite di durata pluriennale degli
immobili che ha acquisito.
Una tecnica complessa questa della cartolarizzazione, perché viene utilizzata? Perché
in questo modo, lo stato anziché vendere pezzo per pezzo i vari immobili che fanno
parte del proprio patrimonio, li può vendere in blocco ottenendo immediatamente le
risorse che la società paga finanziandosi con le banche.
Mediante operazioni di cartolarizzazione, lo stato e gli enti pubblici possono incassare
le risorse finanziarie derivanti dagli immobili; diversamente potrebbero incassare
soltanto, nel corso del tempo, in rapporto all‟andamento delle vendite dei propri
immobili.
In effetti la terza modalità che è stata attuata per realizzare la trasmissione del
patrimonio pubblico è quella della vendita sul mercato mediante procedure di asta. In
questo contesto è delegata all‟Agenzia del Demanio la possibilità di alienare beni
immobili di società dello stato in blocco, cosa che l‟agenzia del demanio può fare
170
chiaramente però anche in funzione dell‟andamento del mercato immobiliare. Queste
vendite che vengono poste in essere hanno ulteriori difficoltà connesse nel porre in
essere vendite frazionate del patrimonio dello stato.
Le cessioni del patrimonio immobiliare hanno interessato gli enti previdenziali, in
questi casi la cessione degli immobili degli enti previdenziali è stata attuata mediante
la costituzione di operazioni di cartolarizzazione o la costituzione di società, di fondi
immobiliari pubblici le cui quote sono state poi collocate sul mercato.
Conclusioni. Bisogna dire che, come ricordavo in precedenza, il tema delle
privatizzazioni ha comportato un forte arretramento dello stato dal mercato e quindi
una diminuzione del tasso di presenza dello stato nel mercato tramite società
controllate o partecipate dallo stesso stato, ma sicuramente questo arretramento non
è stato completo, perché come dicevo in precedenza, ancora oggi gran parte delle
società oggetto di privatizzazione sono ancora partecipate dallo stato ma soprattutto
sottoposte a poteri di ingerenza da parte dello stato che si esercitano sotto diverse
forme.
Queste società privatizzate sono società che, pur operando in molti casi in mercati
concorrenziali e liberalizzati, hanno uno statuto organizzativo, regole statutarie
speciali che si differenziano rispetto alle società che concorrono sui mercati.
In molti casi questa specialità, anche dal punto di vista organizzativo delle società
privatizzate, è giustificata dal fatto che si tratta di società che,continuano ad essere
presenti in mercati importanti nella nostra economia nazionale e svolgono ancora oggi
importanti servizi pubblici, si tratta di società strategiche per determinati interessi
del nostro stato, pensiamo al settore della difesa e così via.
Questi elementi di specialità che caratterizzano le società privatizzate, sono ampi e
forti che hanno fatto ritenere la giurisprudenza che si tratta di finte società per
azioni che, nonostante la natura giuridica privata che hanno assunto, continuano ad
essere soggette a particolari regole di diritto amministrativo.
È venuta fuori, soprattutto nell‟ambito della giurisprudenza amministrativa, una teoria
in base alla quale in molti casi siamo in presenza di enti pubblici sotto forma di società
per azioni. L‟ente pubblico avrebbe assunto una diversa veste giuridica ma, dal punto di
vista della sostanza vi sarebbe un ente pubblico sotto forma di società per azioni che,
nella sostanza, rimarrebbe comunque ente pubblico, sottoposta ad enti pubblici di
vario genere.
Questo complica il quadro. Nel nostro ordinamento abbiamo un terzo genere di
soggetti giuridici che operano sui mercati che si pone accanto alle SPA agli enti
pubblici che sono regolati dall‟autorità amministrativa. Abbiamo questo terzo genere
di soggetti che sono le spa che hanno natura sostanziale di ente pubblico, proprio
perché lo stato mantiene un forte interesse allo svolgimento della relativa attività.
15/05/2012
La lezione di domani, 16 maggio è sospesa. Dobbiamo fissare la data del secondo
compitino: martedì 5 giugno 2012, due settimane prima del primo appello.
171
Oggi volevo parlare del penultimo capitolo del vostro libro, che riguarda il
CONTROLLO DELLA FINANZA PUBBLICA.
È un tema molto complesso, nel vostro libro è ricordato nella sua architettura
istituzionale, come, quali sono i soggetti che hanno competenze in materia di controllo
della finanza pubblica, e quali sono le finalità di questo controllo, e soprattutto anche
la sua evoluzione nel corso del tempo, come spesso avviene nell‟ambito del libro di
Cassese, vi è sempre questa attenzione all‟analisi del tema nella sua prospettiva
storica, come il fenomeno sia economico e giuridico si è sviluppato nel corso del tempo.
Questo vale anche nel controllo della finanza pubblica che ha subito una modificazione
radicale negli ultimi anni, possiamo constatare ancora oggi, verificando giorno per
giorno, il grado di pervasività della presenza delle istituzioni europee sulle decisioni in
materia di finanza dei vari stati membri, nell‟attuale situazione e nella crisi del debito
sovrano di alcuni stati, il tema della finanza pubblica non è più di esclusivo
appannaggio dei singoli stati membri, bensì è diventata una questione di livello
europeo, a cui vengono fornite risposte comunitarie, sia pure tramite gli organi di
governo dei vari stati membri.
Il tema della finanza pubblica è di grande attualità, ha una finalità diversa rispetto al
passato. All‟inizio del „200 la dimensione della spesa pubblica era nell‟ordine del 10%
del PIL e oggi, come sappiamo, le dimensioni sono ben diverse, intorno al 60% del PIL.
È un tema anche teorico molto importante che viene messo in evidenza sul vostro
libro, sul quale vorrei soffermarmi.
La crescita delle dimensioni della spesa pubblica è andata di pari passo con l‟aumento
del ruolo dello Stato come erogatore di servizi pubblici di tipo imprenditoriale nei
confronti dei cittadini ma anche servizi di vario genere, previdenziale, servizi sociali
e così via. La spesa pubblica va di pari passo con l‟affermazione del modello del
welfare, in cui lo stato si fa carico dell‟erogazione di determinate prestazioni a
beneficio dei cittadini e ne sopporta i costi.
In questo caso abbiamo lo stato non come regolatore di attività economiche, bensì
come erogatore di prestazione di servizi a favore dei cittadini. Lo stato finanzia
questa propria attività con la fiscalità generale, con le tasse che riscuote
coattivamente dai cittadini.
Abbiamo da un lato lo Stato che,dal lato della raccolta, ottiene risorse mediante
l‟imposizione fiscale, secondo le regole che si applicano all‟imposizione fiscale, regole
di tassazione progressiva; vi sono vari tipi di tassazione che hanno dei loro criteri ed
una propria logica che qua non dobbiamo considerare.
Dall‟altro lato lo stato utilizza queste risorse per finanziare l‟erogazione dei servizi a
favore dei cittadini. Lo stato, nell‟ambito della finanza pubblica interviene, è diventato
quasi una sorta di intermediario finanziario, nel senso che raccoglie risparmio dai
cittadini e lo utilizza per erogare determinate prestazioni.
Punto importante che viene messo in evidenza è questo: i criteri sulla cui base lo stato
raccoglie le risorse dei cittadini mediante imposizione fiscale, non sono gli stessi sulla
cui base lo stato eroga prestazioni ai cittadini. Le regole sulla cui base i cittadini
172
vengono tassati, sono regole molto diverse, complesse, a seconda del tipo di
imposizione, di quale tassazione stiamo parlando, hanno una determinata logica,
seguono determinati criteri. Sono regole secondo cui lo stato chiede un determinato
ammontare di risorse che vengono utilizzate per erogare prestazioni ai cittadini su
criteri di erogazioneche ancora una volta differenziati e non necessariamente
coincidenti con i criteri sulla cui base lo stato ha erogato queste risorse.
Mediante la finanza pubblica, l‟imposizione fiscale, lo stato svolge una funzione
importante di redistribuzione delle risorse all‟interno del sistema economico tra fasce
della popolazione, fra i cittadini. Questa funzione redistributiva, è essenziale al
funzionamento dello stato e risponde a logiche di tipo politico a seconda degli indirizzi
dei governi che succedono ad una determinata economia, un determinato stato.
Questa distribuzione può essere più o meno forte, più o meno marcata a seconda del
tipo di orientamento politico dell‟apparato amministrativo, del governo.
Questo tema della redistribuzione è fondamentale quando si parla di finanza pubblica
e quando si decide come le risorse devono essere dirette ad alimentare un certo tipo
di spesa piuttosto che un altro. È chiaro che questo tipo di analisi non è in rilievo,
tanto le finalità della spesa, piuttosto le modalità con cui lo stato decide di spendere
determinate risorse in favore di determinati servizi, di soddisfare determinati
bisogni, e in particolare le regole della contabilità dello stato, di contabilità pubblica,
regole molto particolari che sono molto diverse rispetto a quelle che voi studiate
quando si parla di imprese private, regole assolutamente peculiari anche nelle loro
caratteristiche significative rispetto alle regole di qualsiasi altra organizzazione.
Parleremo un po‟ di contabilità pubblica, brevemente, per vedere gli obiettivi
fondamentali, in che modo viene esercitato il controllo sulla finanza pubblica: legge
finanziaria, bilancio dello stato, e quali sono i poteri che hanno le autorità europee nel
rispetto di determinate regole di finanza pubblica.
Questa funzione redistributiva che viene svolta mediante la finanza pubblica ha alcune
caratteristiche, anzitutto la funzione redistributiva si basa su regole che variano di
anno in anno. Mentre la regolazione avviene sulla base di regole, decreti ministeriali, di
delibere dell‟autorità di regolazione che fissa regole che devono durare per un certo
periodo di tempo, nel caso della spesa sociale, cambiano anno per anno.
Gli strumenti di contabilità sulla cui base la spesa sociale è organizzata, sono
strumenti che hanno un orizzonte temporale annuale. In secondo luogo, la spesa
redistributiva dello stato è condizionata da tutta una serie di circostanze
macroeconomiche che lo stesso stato deve tenere conto quando decide le dimensioni
quantitative del proprio intervento redistributivo sul mercato.
Basti pensare in questi giorni all‟importanza del differenziale sui tassi di interesse
emessi dallo stato tedesco, e quanto questo differenziale sia importante per
orientare le scelte di programmazione finanziaria dello stato.
In terzo luogo, nell‟ambito di questa funzione redistributiva, lo stato non si pone come
regolatore, ma piuttosto come fornitore di servizi ai cittadini. Non si pone in una
posizione di supremazia, tipica dello stato che regola, governa un determinato settore
173
economico, un determinato mercato. Lo stato eroga prestazioni e utilità agli stessi
cittadini.
È chiaro che la capacità dello stato di distribuire risorse ed erogare servizi ai
cittadini dipende dall‟ammontare di risorse che lo stesso stato ha a disposizione.
Soprattutto dipende anche dalla possibilità che lo stato ha di controllare l‟impiego di
queste risorse e di programmarle. Programmare l‟impiego delle risorse e controllare se
le risorse sono state utilizzate per raggiungere un determinato scopo oppure no e
quale è stato il risultato che è stato ottenuto.
Nei vari periodi storici in cui lo Stato ha cercato di adottare delle misure, delle leggi,
per controllare l‟impiego delle risorse pubbliche e quindi la spesa pubblica, viene in
rilievo l‟introduzione dell‟articolo 81 della costituzione, norma fondamentale in
materia di bilancio dello stato e finanza pubblica, il quale dice alcune cose importanti.
Importante è il 3 comma:“con la legge di approvazione del bilancio non si possono
stabilire nuovi tributi e nuove spese”.
4 comma :“ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese, deve rivendicare i
mezzi per farvi fronte”; si prevede che qualsiasi legge che comporti maggiori spese o
nuove spese rispetto a quelle oggetto della programmazione finanziaria che si attuano
con la legge di stabilità, chiamata legge finanziaria, qualsiasi legge che comporti
maggiori spese o nuove spese, deve indicare i mezzi per farvi fronte, deve avere una
propria copertura finanziaria.
Il principio della copertura finanziaria delle leggi, si spiega col fatto che il nostro
ordinamento, il soggetto che ha il potere di iniziativa in materia di leggi è il
parlamento, soggetto che non ha in mano la programmazione finanziaria dello stato. È
necessario che, tutte le volte in cui viene emanata, da parte del parlamento, una legge
che comporta un maggiore carico nella spesa pubblica, sia necessario anche indicare
misure che servono per coprire queste maggiori spese poste a carico del bilancio dello
stato.
Al terzo comma dell‟articolo 81 viene regolato anche il bilancio dello stato.
Evidentemente deve essere approvato di anno in anno con una legge che non può
prevedere nuovi tributi e nuove spese. Questo perché il bilancio dello stato è un
documento che rappresenta l‟ammontare della spesa pubblica e l‟ammontare delle
entrate che si è registrato in un determinato esercizio finanziario.
Anche nel caso dello stato il bilancio non fa che registrare qual è stato l‟andamento
delle entrate e l‟andamento delle spese in un determinato esercizio finanziario; il
bilancio di per sé non può stabilire nuovi tributi/entrate/spese.
Lo strumento che si usa per intervenire per istituire nuovi tributi o prevedere nuove
spese è quella che veniva chiamata legge finanziaria: strumento utilizzato dallo stato,
presentato dal governo ed approvato dal palamento, per modificare sul fronte delle
entrate e delle spese, i provvedimenti in grado di incidere sul bilancio dello stato.
Oggi come oggi non è più la legge finanziaria, ma si chiama legge di stabilità e ha un
orizzonte temporale più lungo di quello che erano le leggi finanziarie, è triennale.
174
Come vedremo tra breve questa incoerenzacon la necessità dei vari stati membri
dell‟unione, di programmare in un arco temporale più lungo le proprie entrate e spese.
L’articolo 81 al primocomma prevede che le camere, approvino ogni anno i bilanci e
rendiconto consultivo presentati dal governo. Bilancio dello stato e rendiconto
consultivo sono atti obbligatori presenti nel nostro ordinamento, atti che fotografano
l‟andamento della spesa pubblica, delle entrate di un certo esercizio finanziario che è
scandito temporalmente in modo molto preciso.
Nel caso in cui questo bilancio consuntivo non sia approvato anno per anno, vi è un
problema perché lo stato entra, questo vale anche per le altre amministrazioni,
nell‟esercizio provvisorio, che non si può protrarre per un periodo superiore a 4 mesi.
Il bilancio dello stato è un documento contabile, ed è articolato in maniera molto
complessa. Nel nostro libro sono ricordate le varie articolazioni: vari programmi,
missioni, del bilancio dello stato, quindi le varie voci, le varie poste che compongono il
bilancio dello stato. Voci e poste molto diverse rispetto al bilancio delle società. È
inutile addentrarci su questi particolari. Basta ricordare che il bilancio è articolato in
funzione di unità di spesa, capitoli di spesa che sono di competenza dei vari ministeri e
delle varie amministrazioni.
Il bilancio ha un effetto redistributivo anche soprattutto all‟interno della pubblica
amministrazione stessa, nel senso che specifica l‟ammontare delle risorse che ciascuna
articolazione della PA e i ministeri hanno a disposizione per seguire, svolgere
determinate funzioni di pubblico interesse. Queste risorse vanno poi differenziate a
seconda che si tratti di risorse che devono essere destinate ad una certa
amministrazione, ad un certo ministero per finanziare la spesa corrente, ovvero spese
per investimenti e così via.
Qua l‟articolazione effettiva del bilancio dello stato è molto complessa, basti
ricordare il fatto che prevede determinati ammontari di risorse che sono destinati a
finanziare la spesa delle varie amministrazioni
rientrano nell‟ambito
dell‟amministrazione dello stato.
Il libro ricorda l‟andamento della spesa pubblica nel corso del „900 e ricorda le tappe
fondamentali che hanno determinato l‟incremento della spesa pubblica. Incremento
qualitativo e quantitativo delle prestazioni che lo stato si è fatto carico a favore dei
cittadini.
Ricordiamo 3 momenti fondamentali: negli anni 60 si è esteso l’obbligo scolastico,
questa estensione fino alla scuola media, lo stato si è fatto carico di istituire e
gestire le scuole necessarie per gestire questi obblighi.
Negli anni ‟70 è stata introdotta la pensione sociale: riconosciuta a tutti i cittadini, a
partire da un certo ambito di età e indipendentemente dall‟ammontare delle risorse
che il singolo cittadino ha erogato allo stato. La pensione sociale è riconosciuta ai
cittadini che versano in condizione di maggiore bisogno, per lo stato è una spesa
sociale molto forte.
175
In terzo luogo, negli anni ‟70 abbiamo l’istituzione del SSN, ulteriore carico di spese
sociali assunto dallo stato dal quale proviene anche l‟aumento notevolissimo della spesa
pubblica che si è avuto a partire dagli anni ‟50 e ‟60.
È chiaro che in tutto questo contesto, si è cercato di porre rimedio o di prevedere
strumenti di controllo della crescita dell‟ammontare della spesa pubblica e soprattutto
delle destinazioni della spesa pubblica.
In primo luogo nel libro è ricordato il fenomeno della spesa sommersa. Può accadere
che il parlamento approvi leggi che non hanno un effetto finanziario visibile,
immediato, ma che hanno un effetto finanziario mediato, che danno luogo a maggiori
spese. Pensiamo all‟istituzione di un nuovo ufficio all‟interno della PA ovvero alla
creazione di un nuovo ente pubblico destinato allo svolgimento di determinate attività
di interesse pubblico.
Temi di questo genere erano particolarmente frequenti fino agli anni ‟70, incremento
molto forte della spesa pubblica senza che questo incremento fosse tenuto sotto
controllo, perché l‟effetto finanziario della legge non era rilevabile ma si manifestava
nel corso del tempo.
Da qui la necessità che ogni legge di iniziativa del governo deve avere, come
documento di accompagnamento, una relazione tecnica da parte del ministero
competente e della ragioneria generale dello stato, che deve quantificare quali sono gli
oneri, le spese e i costi connessi ad una determinata disposizione legislativa.
In effetti, andando a vedere gli atti preparatori di una determinata legge, se andate
sul sito della camera o del parlamento e andate a vedere i lavori preparatori, vedete
sempre che vi è una relazione tecnica che è predisposta dalla ragioneria generale dello
stato che quantifica quali sono gli oneri che conseguono alla determinazione di una
determinata legge. Questo per dare un significato all‟articolo 81, che prevede l‟obbligo
di copertura finanziaria di nuove leggi dello stato.
Il problema che si registrava nonostante questo obbligo di relazione tecnica che
spiegasse la copertura finanziaria di una determinata legge, non ha risolto tutti i
problemi. Sostanzialmente questo meccanismo non consente di tenere sotto controllo
qual è il disavanzo dello stato in una prospettiva temporale lunga.
È stato necessario nel corso del tempo passare da una logica di copertura finanziaria
di una singola legge ad una logica di copertura del saldo netto del bilancio dello stato,
di quello che viene chiamato disavanzo pubblico, la differenza fra le entrate e i costi
della spesa pubblica nel suo complesso.
Quale esigenza di garantire questa copertura delle spese dello stato non solo sulla
base dell‟effetto finanziario che le spese producono nel corso di un determinato anno,
ma anche prospetticamente, soprattutto quando una determinata legge determina
delle spese che hanno un orizzonte temporale esteso.
Su questa materia è intervenuta più volte la corte costituzionale nel specificare che
questo obbligo previsto dal comma 4 articolo 81 non si riferisce solo alla copertura
della spesa annuale che lo stato sopporta in conseguenza dell‟emanazione di una
176
determinata legge, ma anche della spesa pluriennale che deriva dall‟adozione di una
determinata legge.
Anche se su questo vi sono alcuni temperamenti e la giurisprudenza non è così rigida, è
necessario che lo stato quando emana una legge con spese pluriennali debba anche
indicare i mezzi di copertura di queste spese pluriennali e quindi delle entrate,
riduzione di spesa, che possano, su base pluriennale, far fronte a queste maggiori
spese.
In questo contesto di programmazione pluriennale viene in rilievo il DPEF, oggi
Documento di Economia e Finanza, adesso è il cosiddetto DEF la cui redazione è
rimasta allo stato sulla base di leggi comunitarie e che serve allo stato di
programmare i suoi interventi in un arco temporale triennale.
Come dicevo, soprattutto a seguito delle recenti crisi, si è avuto modo di verificare
l‟inadeguatezza dei meccanismi di controllo della spesa pubblica che i singoli stati
membri possono attuare. Si è sentita la necessità di rafforzare il ruolo operativo delle
varie istituzioni europee. Si può dire ormai che le decisioni di finanza pubblica sono
assunte dagli stati membri in coordinamento tra di loro. Vengono assunte dai governi
degli stati membri dopo la fine di un processo che è servito ai vari governi per
coordinare la propria programmazione finanziaria.
Bisogna ricordare le varie tappe con cui si è arrivati alla situazione attuale. La prima
tappa si ha con il trattato di Maastricht del 1992, trattato che interviene sulle
decisioni di finanza pubblica degli stati membri disponendo alcuni principi di massima.
Anzitutto il principio di massima previsto nel trattato del 1992 è che gli stati membri
devono perseguire una crescita sostenibile sul piano economico e devono soprattutto
garantire la sanità e stabilità delle finanze pubbliche. Soprattutto è introdotto
l’articolo 104 che prevede il divieto di disavanzo pubblico eccessivo: “gli stati
membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi”. Disavanzo pubblico => differenza
fra entrate e spese dello stato in un determinato esercizio finanziario. Debito
pubblico => ammontare totale delle passività dello stato emesse dallo stato a cui deve
far fronte per pagare i relativi interessi.
Con il protocollo sulla procedura dei disavanzi eccessivi vengono stabiliti parametri, sia
per i disavanzi pubblici sia per l‟ammontare totale di debito pubblico che può essere
emesso da uno particolare stato.
Il disavanzo è coperto mediante indebitamento, mediante un aumento dell‟ammontare
totale del debito pubblico.
Questo protocollo, legato al trattato di Maastricht stabiliva questi parametri. Valori
di riferimento:
- 3% inteso come ammontare massimo del disavanzo pubblico, effettivo, previsto
rispetto al PIL di un determinato stato membro. Disavanzo diventa eccessivo se
supera il 3%
- Per il debito pubblico rapporto 60% tra debito pubblico e PIL che non deve
essere superato.
177
Molti stati membri hanno passato questi parametri fissati dal trattato. A garantire il
rispetto di questi parametri il protocollo allegato al trattato prevede una procedura
di sorveglianza molto complessa e che consiste in un accertamento del superamento
da parte di uno stato membro di questi valori di riferimento e poi anche sanzioni
irrogate a carico dello stato membro che non ha posto in essere le misure necessarie
per poter rientrare e allinearsi con i criteri di riferimento previsti dal trattato di
Maastricht.
La maggioranza degli stati membri non rispetta i valori di riferimento. Si è ritenuto
con il trattato di Amsterdam di intervenire su questa materia stabilendo una
procedura diversa per garantire il rispetto di determinati obiettivi di finanza
pubblica.
Mentre il trattato di Maastricht interviene successivamente, e la comunità europea
interviene soltanto dopo che i valori di riferimento non sono stati rispettati, con gli
strumenti previsti dal trattato di Amsterdam si prevede la possibilità di strumenti di
intervento preventivi, che impediscono che determinati traguardi sono previsti dai
trattati europei, non vengano ottenuti, raggiunti dai vari stati membri.
In particolare col trattato di Maastricht è stato previsto il patto di stabilitàe
crescita che consiste in alcuni regolamenti del consiglio europeo che pongono
l‟obiettivo del pareggio di bilancio.
Il patto di stabilità deve essere rispettato dagli stati membri, prevedono tutti quei
meccanismisulla cui base le varie decisioni di finanza pubblica devono essere attuate
in modo che vengano raggiunti gli obiettivi fissati nel patto di stabilità.
Il problema è quello dei limiti che lo stato e il governo ha nel controllare la spesa
pubblica. Ai fini del rispetto dei parametri del patto di stabilità è necessario che lo
stato non controlli solo la spesa pubblica, ma è necessario che abbia anche il potere di
controllare le decisioni di spesa pubblica attuate dalle amministrazioni locali: regioni
comuni, province città metropolitane, i vari enti territoriali.
Qua però abbiamo un problema, la nostra costituzione costituisce autonomia, anche
finanziaria, seppure con limiti, ai vari enti territoriali. Autonomia alle regioni,
autonomia agli enti locali, e cosi via. È necessario che per attuare il patto di stabilità
europeo tra i vari paesi membri, vengano adottati anche patti di stabilità interni, tra
lo stato e vari livelli delle autonomie territoriali. Questo è stato fatto negli ultimi
anni con leggi ordinarie: sono stati previsti dei vincoli alla finanza locale, alla finanza
degli enti territoriali, per consentire agli enti locali di raggiungere gli obiettivi di
finanza pubblica previsti a livello europeo.
Da questo punto di vista sono stabiliti determinati obblighi a carico delle regioni e
degli enti locali, di riduzione e contenimento del proprio disavanzo. In senso proprio
soltanto di recente si può parlare di disavanzo di enti locali, ci sono meccanismi
premiali di incentivazione nel rispetto degli obblighi di rientro da parte degli enti
locali. Più le regioni, gli enti locali, si dimostrano virtuosi e rispettano questi obblighi
di contenimento posti al loro carico, più lo stato riconosce determinate sovvenzioni o
178
condizioni di favore nella messa di disposizione di risorse dello stato alle stesse
autonomie locali.
Lo stato è intervenuto con leggi che hanno determinato altri meccanismi di controllo
della finanza locale. Previste riduzioni di spesa, riduzione del personale, riduzione di
spesa per le spese correnti a carico degli enti locali. Tutta una serie di leggi che hanno
posto un obbligo agli enti locali, oltre che all‟amministrazione locale, di ridurre il costo
totale di eventuali apparati amministrativi, sforzo da parte dello stato di
contenimento della spesa pubblica complessivamente intesa.
Questo ha impattato dal punto di vista qualitativo la pesa pubblica. Si è posto il
problema del contenimento della spesa sanitaria, di competenza delle regioni. Sicché,
per quanto concerne la riduzione della spesa sanitaria, la difficoltà per le regioni di
assicurare gli obiettivi di contenimento nei confronti dello stato, di volta in volta
vengono stipulati dei patti individuali, separati, tra ciascuna regione e
l‟amministrazione dello stato che valgono anno per anno, proprio perché è difficile
stabilire obiettivi di rientro e ottenimento del disavanzo applicabili a tutte le regioni.
In altri termini si parla di regionalizzazione del patto di stabilità. Ciascuna regione è
soggetta ad un patto di stabilità distinto rispetto a quello delle altre regioni.
Queste regole non hanno portato ad effetti positivi, sicché ancora oggi stiamo
assistendo alla crisi dei debiti sovrani, in conseguenza del fatto che il debito dello
stato è sfuggito al controllo sia del paese membro emittente sia in generale a livello
comunitario.
Da qua la necessità di non orientare l‟azione delle istituzioni comunitarie in funzione di
una diminuzione del disavanzo dei singoli paesi membri, ma anche in funzione della
riduzione del debito pubblico dei vari paesi membri. Secondo il legislatore comunitario
riducendo il rapporto di disavanzo deficit/pilsi sarebbe ottenuta anche una riduzione
del debito pubblico PIL. Questo non si è verificato e allora si è intervenuti in modo
diverso.
Andiamo a parlare del TFUE, trattato di Lisbona, che prevede questa attrazione in
ambito comunitario delle decisioni di finanza pubblica dei vari paesi membri. Le
decisioni sono assunte per un coordinamento fra paesi membri e le istituzioni
comunitarie in modo da garantire una convergenza di queste decisioni in materia di
spesa e finanza pubblica.
Questo come si è attuato nell‟ambito del TFUE? Si sono previste nuove istituzioni
comunitarie che dovevano garantire un meccanismo permanente di gestione di crisi
finanziarie e funzione di stabilizzazione della moneta unica europea, adottando
eventualmente, il potere di intervenire nell‟ambito del mercato unico europeo per
evitare e rimediare ad eventuali situazioni di crisi.
L‟istituzione è l‟ESRP, ha questo compito molto complicato di garantire, individuare i
rischi sistemici a cui sono esposti i vari paesi membri e adottare provvedimenti ai fini
di evitare situazioni di crisi.
L‟ESRP è collocato all‟interno di una nuova governace di istituzioni comunitarie che
sovrintendono alle varie istituzioni economiche dei paesi membri. Infatti è stata
179
istituita la cosiddetta EBA, autorità bancaria europea, che sovrintende al
funzionamento delle varie autorità di vigilanza bancarie e comunitarie. Poi abbiamo
un‟altra autorità, l‟ESM per mercati e la sicurezza, che controlla i mercati finanziari a
livello europeo; altra autorità europea nelle assicurazioni e pensioni.
Questa autorità, apparato comunitario, che ha la funzione di prevenire ed individuare
questi rischi sistemici, fa parte di questo insieme di autorità previste a livello
europeo.
Soprattutto, strumento importante che viene messo nelle mani dell‟ESBR, è quello di
gestire determinati fondi che vengono attivati col contributo di vari paesi membri che
hanno portato il collasso, il default degli stati membri come emittenti di debito
sovrano.
Il mandato dell‟ESBR è molto preciso: mantenere stabilità finanziaria, vigilanza macro
prudenziale. Quando verifica che si stanno manifestando determinati sintomi di crisi
di un paese membro può intervenire formulando raccomandazioni al paese membro
affinché ponga in essere misure di finanza pubblica per far fronte alle situazioni di
crisi che stanno manifestando.
In questi tempi si discute se queste raccomandazioni devono rimanere non vincolanti
come sono attualmente ovvero sono raccomandazioni che siano vere e proprie
direttive, raccomandazioni vincolati dirette ai vari stati membri.
Il fatto di dotare l‟ERSBR di un cambiamento così importante, determina una modifica
del trattato perché implica un abbandono da parte degli stati membri di intervento
sulle decisioni di finanza pubblica.
In secondo luogo, col trattato di Lisbona si è intervenuto sul patto di stabilità
europeo, di crescita, proprio perché in precedenza, non era stabilito in modo preciso
quale fosse, dovesse essere, il ritmo, il tasso di riduzione di debito pubblico adeguato
per raggiungere obiettivi di pareggio previsti nel trattato di Amsterdam.
Si prevede che gli stati membri debbano formulare delle proposte alla commissione
europea per chiarire le misure che i vari paesi membri, stati europei, intendono
adottare per arrivare ad una riduzione del debito entro un certo periodo di tempo,
tenuto conto di tutta una serie di circostanze, di fattori che possono rendere questo
programma di rientro più o meno flessibile a seconda del tasso di crescita
dell‟economia, andamento dei mercati, del livello d‟ indebitamento.
È necessario che i paesi membri facciano proposte che la commissione deve accettare
e portano l‟assunzione di un impegno vincolante a carico dei vari paesi membri, che non
può essere deviato almeno in modo significativo.
Tant‟è che nei casi in cui si registrino spostamenti rispetto agli obiettivi concordati
con la commissione, essa ha il potere di emanare delle raccomandazioni che sono
dirette a sollecitare l‟adozione di misure di correzione da parte dello stato membro.
Addirittura si prevede che la commissione provvede queste misure di correzione, lo
stato membro deve costituire un deposito fruttifero pari allo 0,2% del PIL per
dimostrare il proprio impegno a porre in essere queste misure correttive imposte dalla
commissione europea.
180
Un terzo modo con cui si è intervenuti è l‟adozione della procedura del semestre
europeo. È un periodo di tempo, nell‟ambito del quale, si concentrano le decisioni di
finanza pubblica ai fini di programmazione finanziaria da parte di tutti gli stati
membri, in modo che tutte queste decisioni da parte dei vari paesi membri possano
essere assunte in modo coordinato, con un arco temporale più o meno omogeneo in
modo che gli stati membri possano passare alla fase attuativa di decisioni di politica
economica e finanza pubblica che sono state già condivise a livello europeo.
Attraverso questa procedura del semestre europeo si ottiene il risultato di
armonizzare e coordinare ex ante le varie decisioni di finanza pubblica da parte dei
paesi membri. Soprattutto si consente alla commissione europea di intervenire su
queste decisioni prima che vengano assunte dai vari paesi membri. I vari paesi membri
devono concordare con la commissione quali sono gli interventi che vogliono attuare
anche ai fini di contenimento o riduzione del disavanzo pubblico previsti nel patto di
stabilità.
21/05/2012
Siamo arrivati alla conclusione del corso. Stavamo vedendo nell‟ultima lezione, il tema
del controllo della spesa pubblica, della finanza pubblica.
Le ultime cose che ho fatto riguardavano la riforma dei meccanismi di governo a
livello europeo per realizzare il controllo sulla finanza pubblica. Abbiamo visto come da
un certo numero di anni a questa parte si sia intervenuti sia sulle istituzioni europee
che svolgono questa funzione di controllo delle decisioni di finanza dei vari paesi
membri, abbiamo visto la costituzione delle autorità sovranazionali, ESRB, organismo
sovranazionale che ha funzioni di supervisione e controllo del rischio sistemico
all‟interno dei vari paesi membri e altre istituzioni comunitarie per esempio l‟autorità
di vigilanza europea sulle banche, sui mercati, che si sovrappongono alle autorità di
vigilanza nazionali subentrando lo svolgimento delle relative funzioni.
Abbiamo visto come il passaggio di consegne e competenze tra i paesi membri e l‟UE in
materia di controllo della finanza pubblica si sia accompagnato ad una revisione dei
requisiti e vincoli che a livello europeo sono stati stabiliti in relazione ai conti dei vari
paesi membri e quindi modifica del patto di stabilità e crescita ha previsto l‟obiettivo
del pareggio di bilancio e meccanismi ancora abbastanza indeterminati per raggiungere
questo obiettivo.
Abbiamo visto anche che le stesse decisioni dei vari paesi membri in materia di
finanza pubblica devono essere assunte in modo coordinato con gli altri paesi membri
e devono essere sottoposte ad una valutazione preventiva da parte delle istituzioni
comunitarie in un periodo di tempo precedente rispetto al momento in cui le varie leggi
sono assunte dai parlamenti nazionali.
La disciplina del semestre europeo, in cui tutte le decisioni di finanza pubblica, lo
stesso bilancio di previsione dei singoli stati, documento di programmazione economica
e finanziaria, vengono sottoposti preventivamente al vaglio della commissione europea
181
e del consiglio in modo che le dimensioni quantitative, le misure che di volta in volta
vengono decise dai paesi membri mediante la propria politica economica siano
coordinate e assunte da parte degli altri paesi membri.
Tutta una architettura di misure che definiscono come il controllo della finanza
pubblica non sia una questione dei singoli stati ma sia ormai fondamentale oggetto di
misure di coordinamento sostanziali da parte della Unione europea.
In questa cornice si situano la approvazione, nel nostro ordinamento, delle varie leggi
che compongono la manovra finanziaria, leggi sulla cui base lo stato programma il
proprio fabbisogno e il proprio indebitamento, e tiene sotto controllo il proprio debito.
Il primo atto adottato dal Parlamento è il cosiddetto Documento di Programmazione
economica e finanziaria, oggi DEF, deve essere presentato entro il 10 aprile di ogni
anno e successivamente approvato entro il mese di settembre.
Il DEF è quel documento in base al quale lo stato programma le proprie entrate e
spese in un arco pluriennale che corrisponde a quello del bilancio pluriennale dello
stato che ha un orizzonte temporale di tre anni. Successivamente dopo la
approvazione del DEF, deve essere presentato il bilancio di previsione dello stato
insieme alla legge di stabilità.
Il bilancio dello stato ha una durata annuale, la legge di stabilità ha una durata
triennale. La legge di stabilità è rinnovata anno per anno sulla base di una rivalutazione
dei suoi contenuti.
Il bilancio di previsione è un vero e proprio bilancio dello stato: sono previste entrate
e spese secondo una disposizione peculiare, tipica della contabilità dello stato,
secondo obiettivi o missioni e programmi di spesa. Punto importante della legge del
bilancio è che la legge autorizza lo stato ad effettuare determinate spese. Lo stato
non può impegnare risorse verso determinate obiettivi se la spesa non è prevista nel
bilancio previsionale.
Il bilancio è approvato dal parlamento. Con l‟approvazione del parlamento si ha l‟ anche
approvazione delle decisioni di spesa rappresentate nel bilancio dello stato. Come
abbiamo visto queste missioni, obiettivi e programmi, sono articolati in capitoli che
prevedono dotazioni di risorse in favore delle singole articolazioni della PA in
particolare dei ministeri: ci sono determinati fondi destinati ad un ministero piuttosto
che un altro e devono essere spesi in vista di determinati programmi evidenziati e
articolati all‟interno del bilancio statale di previsione.
Un punto importante che ha subito evoluzione è il criterio sulla cui base è redatto il
bilancio dello stato. Tradizionalmente redatto secondo un criterio di competenza:
evidenziava le entrate e le spese che dovevano essere incassate impegnate ed
effettuate nel corso di un determinato anno finanziario.
Questo comportava un problema notevole: l‟evidenziazione di residui attivi e passivi
in modo consistente. Lo stato ancora oggi non paga nel corso del medesimo esercizio le
spese che ha impegnato, non eroga materialmente i pagamenti delle uscite e spese
programmate per un determinato esercizio finanziario, questo comporta
l‟evidenziazione di residui passivi.
182
Allo stesso tempo non tutte le entrate accertate come di competenza dell‟esercizio
vengono incassate nel corso dell‟esercizio, ciò comporta l‟evidenziazione di residui
attivi.
Questo determinava un effetto di impossibilità di determinare l‟effettivo pagamento
dello stato in termini finanziari anno per anno, sicché il bilancio di previsione diventava
poco significativo. In più è del tutto evidente che, in sede di bilancio consultivo, era
necessario tenere conto dell‟effettuazione di spese che si effettuavano nel corso
dell‟esercizio ma che erano state programmate in esercizi precedenti; così come era
necessario accertare entrate le previste in esercizi precedenti..
Il criterio di competenza non consentiva che il bilancio svolgesse in pieno la funzione
di controllo di bilancio della spesa pubblica. Si è abbandonato questo criterio per
accogliere il e adesso si ragiona per cassa. Nel 2009 è stato previsto che il bilancio
previsionale dovesse essere redatto solo sulla base di un criterio di cassa tenendo
conto di uscite ed entrate effettive nel corso dell‟esercizio.
Anche la legge di stabilità, bilancio pluriennale, è redatta secondo un criterio di cassa,
anche se la legge di stabilità ha un orizzonte di tre anni. Non serve per autorizzare
impegni e pagamenti da parte dello stato ma per tenere sotto controllo, prevedere
l‟andamento della spesa pubblica complessiva nel corso del successivo triennio.
Insieme con il bilancio previsionale e annuale e la legge di stabilità, devono essere
presentate delle manovre collegate al bilancio. Provvedimenti sono anche quelli che
abbiamo visto nel corso degli ultimi tempi, provvedimenti che fanno riferimento alla
legislazione fiscale, prevedendo nuovi tributi, l‟orientamento della commissione
tributaria e così via, che si accompagnano alle leggi di contabilità e di bilancio e che
ne sostengono i contenuti, le previsioni.
Entro il 30 giugno deve essere presentato il rendiconto consultivo e anche il
cosiddetto bilancio di assestamento, necessario per apportare quelle correzioni al
bilancio previsionale che siano necessarie in conseguenza dell‟individuazione di residui
attivi e passivi rispetto all‟ammontare delle spese ed entrate he si erano prospettate.
Il bilancio di assestamento è un bilancio di aggiustamento dei residui attivi e passivi.
Solo dopo l‟assestamento è possibile che il parlamento approvi il rendiconto, il bilancio
finale dello stato per un determinato arco di tempo.
L‟attività dello stato si snoda in alcune principali leggi di bilancio, non è una procedura
complessa. Bisogna tenere conto del fatto, costatazione degli ultimi anni, che la
procedura di approvazione di queste leggi di bilancio, che viene svolta all‟interno del
regolamento, è sempre una procedura complessa, quindi in molti casi è necessario che
si concluda entro i termini previsti dalla legge per assicurare il coordinamento tra le
decisioni di finanza con i singoli e quelle degli altri stati in modo che si possa avere
una forma di controllo europeo delle dimensioni della spesa pubblica dei singoli stati
membri.
Altro tema da affrontare è la gestione della liquidità dello stato. Come gestisce lo
stato i propri pagamenti ed entrate, il suo servizio di tesoreria? Come ho già
ricordato, lo stato ha un servizio di tesoreria accentrato presso la Banca di Italia, la
183
quale gestisce servizi di tesoreria da fine „800. Questo conto di tesoreria è un conto
che da fine della seconda guerra mondiale ha presentato regolarmente degli scoperti,
dei saldi passivi anche molto consistenti.
Nel corso degli anni ‟60 si era previsto, per legge, quale potesse essere il massimo
scoperto a cui poteva arrivare lo stato nella gestione del suo servizio di tesoreria, si
attestava attorno al 15%. In realtà con questa legge si istituzionalizzava, si rendeva
fisiologico il fenomeno di finanziamento da parte della BDI del fabbisogno di liquidità
dello stato mediante la previsione del limite massimo allo scoperto che lo stato può
avere sul suo conto presso la BDI.
Questo scoperto diventava un modo fisiologico per lo stato di coprire il suo
fabbisogno. La BDI doveva reperire, testare denaro allo stato di cui aveva necessità
per coprire questo scoperto di c/c; la BDI lo faceva imponendo sul mercato delle
risorse necessarie, tenuto conto del fatto che lo scoperto di conto corrente ha un
interesse molto basso, attorno all‟1%.
Proprio perché lo scoperto di c/c è un meccanismo per finanziare la spesa pubblica,
era necessario che le decisioni di politica economica e quelle monetaria fossero
mantenute in capo a due soggetti diversi. Da qua la decisione tradizionale, nel nostro
ordinamento e in altri ordinamenti, di attribuire la competenza delle decisioni di
politica monetaria alla BDI che svolge la funzione finanziaria dello stato attraverso il
meccanismo dello scoperto di conto corrente.
Questo meccanismo è stato vietato dal trattato delle istituzioni comunitarie. In
particolare il 104 del TFUE, nel momento in cui si è attribuito alla BCE e al SEBC la
competenza per le decisioni di politica monetaria, allo stesso tempo si è vietata la
concessione di scoperti di conto, o qualsiasi altra forma di anticipazione bancaria e
creditizia sia da parte della BDI che della stessa BCE. A partire dall‟approvazione del
104 del trattato è vietato che gli stati vengono finanziati mediante scoperti di conto
corrente da parte delle proprie banche centrali. Ancora oggi lo stato ha un servizio di
tesoreria gestito da BDI ma il conto corrente non può mai presentare saldi negativi.
Altro modo con cui le banche centrali finanziavano la spesa dello stato, il suo
fabbisogno finanziario, era mediante l’acquisto di titoli emessi dallo stato. Acquisto
non tanto in sede di mercato secondario (acquisto di titoli già emessi e presenti nel
portafoglio di banche o altri investitori), bensì acquisto di questi titoli in sede di
mercato primario, in fase di emissione. In base a leggi degli anni ‟70 era previsto che
la BDI dovesse, in base ad accordi co ministero del tesoro, garantire il collocamento
sul mercato di tutti i titoli che erano immessi dal tesoro stesso.
Nel caso in cui i collocamenti di titoli di stato, di BOT, non avesse avuto buon fine, e
la domanda di titoli non era sufficiente, vi era la BDI che forniva una garanzia e quindi
acquistava i titoli di stato che non fossero stati sottoscritti dal mercato, una sorta di
garanzia, di acquirente residuale.
Anche questa è una forma di finanziamento dello stato da parte delle Banche centrali
che si pone in contrasto con i trattati europei. Fin dagli anni ‟80 la banca centrale e la
184
BDI ha abbandonato la funzione residuale di acquisizione di titoli non collocati sui
mercati.
Questo discorso lo riprendiamo tra breve parlando di situazione attuale di crisi dei
debiti sovrani. Assistiamo sempre di più ad interventi della BCE che fa operazioni di
salvataggio in base a programmi di acquisto dei titoli di stato. Questa funzione di
salvataggio è sempre svolta sul mercato secondario, mediante acquisto di titoli di
stato che sono già in circolazione.
In effetti, a partire dal TFUE, le funzioni di politica monetarie sono passate dalla BDI
alla BCE, o per meglio dire, al SEBC di cui la BCE fa parte insieme ai governatori delle
varie banche nazionali dei paesi membri. La situazione di crisi finanziaria ha costretto
la BCE ad avviare un piano di salvataggio mediante acquisto di titoli di stati dei paesi in
crisi, questo per salvaguardare l‟euro come moneta unica all‟interno dell‟unione.
Accanto a questa funzione svolta dalla BCE è stato costituito il fondo salvastati,
viene dotato di risorse finanziarie da parte dei paesi membri in base a certi
parametri, e interviene proprio nell‟ambito dei piani per diffondere liquidità ai paesi
membri in crisi.
Un altro tema importante da ricordare parlando di finanza pubblica, è quello che
concerne la spesa deglienti a finanza derivata. Ricordiamo un elemento importante.
la legge di bilancio previsionale, il rendiconto e bilancio di aggiustamento, sono
documenti contabili che concernono lo stato, inteso come PA, contrapposto ad altri
enti che fanno parte della PA ma che non sono stato, gli enti locali: comuni provincie
oppure le regioni.
Vi sono enti che non fanno parte all‟apparato dello stato ma cui lo stato contribuisce in
via ordinaria. Sono enti di erogazione che forniscono servizi, svolgono funzioni dello
stato che si autosostentano ma che devono essere finanziati dallo stato e che quindi
gravano sul bilancio dello stato.
Abbiamo una incongruenza perché le leggi di contabilità ordinarie riguardano un certo
perimetro di entrate e spese che non coincide con l‟ammontare complessivo della spesa
che è posta a carico dello stato, proprio perché questa spesa viene posta in essere da
soggetti che non sono contemplati nell‟ambito del bilancio dello stato.
Esigenza di allargare la portata dal fatto che le leggi finanziarie dovessero essere
prese in considerazione non tanto dallo Stato in senso stretto ma bensì il settore
pubblico allargato.
Questo è il motivo per cui l‟Istat anno per anno, produce un elenco di tutti gli enti che
sono rilevanti per calcolare la spesa complessiva dello stato e di tutte le sue diverse
articolazioni. In questo elenco rientrano non solo le articolazioni dello stato, i vari
ministeri e così via, ma anche tutta una serie di agenzie che vengono ordinate dallo
stato ma che hanno una contabilità separata.
In questo elenco dell‟Istat rientrano gli enti territoriali, regioni ed enti locali, i quali
hanno una propria contabilità separata, proprio perché si tratta di enti che hanno una
loro autonomia finanziaria che viene garantita in base alla nostra costituzione.
185
Come abbiamo visto è necessario non solo tenere conto della spesa dello stato in senso
stretto, è necessario anche tenere conto della spesa dei vari enti territoriali che
hanno una loro contabilità separata.
Da qui la necessità di coordinare il modo con cui lo stato e le varie PA e gli enti locali
redigono la propria contabilità. Qua abbiamo un regolamento 2004 che, dopo tanti
anni, ha previsto che tutta una serie di enti dovessero essere assoggettati ad una
disciplina contabile, omogenea ed uniforme in modo che la spesa pubblica possa essere
tenuta sotto controllo, possa essere calcolata sulla base di criteri uniformi.
In secondo luogo, vi è la necessità, proprio perché è lo stato che risponde nei
confronti della comunità europea nel rispetto del patto di stabilità e crescita, lo stato
stesso deve verificare le dimensioni di spesa pubblica che sono imputabili alla spesa
delle regioni, degli enti locali. Questa esigenza di controllo della spesa degli enti locali
si scontra con un altro problema del federalismo fiscale. In base al 119 cost. deve
essere attuato e se ne discute molto negli ultimi anni.
In realtà questo disegno di evoluzione in senso federalista dell‟ordinamento non ha
trovato una sua completa attuazione. È sempre più evidente che le stesse regioni ed
enti locali stanno perdendo la propria autonomia finanziaria soprattutto in situazione
di crisi, sicché le stesse regioni ed enti dipendono sempre di più dall‟amministrazione
statale. È necessario porre in essere manovre di ri-equilibrio a dimensione statale e
che non possono essere poste in essere dai singoli enti locali.
Bisogna ricordare, da questo punto di vista, che gli enti locali hanno una loro
autonomia finanziaria. Le singole regioni approvano le proprie leggi finanziarie, il
proprio bilancio di previsoni, i il proprio rendiconto, come anche i singoli enti locali,
singole province. Tutto questo nel rispetto di regole previste dal patto interno di
stabilità e crescita previsto dagli enti statali.
Veniamo adesso all‟ultimo capitolo del libro, è un po‟ un capitolo di evidenziazioni di
quelle che sono le regole generali della disciplina pubblica dell‟economia, delle regole
sullo stato in economia, che si sono manifestate a partire dagli anni ‟80 fino ai giorni
nostri.
Tendenze generali che vengono illustrate in linea di sintesi, proprio per far vedere in
quale tipo di panorama possono essere considerate le varie discipline settoriali che
abbiamo ricordato in precedenza.
La prima tendenza generale, a partire da fine anni „80 del 900 è una consistente
riduzione della sfera pubblica; arretramento della presenza dello stato all‟interno del
mercato. Questo arretramento della sfera pubblica e soprattutto l‟arretramento della
presenza degli stati nazionali all‟interno dei mercati come attori protagonisti del
mercato, come effettivamente produttori di beni e servizi in alternativa rispetto al
settore privato.
Anzitutto primo dato da considerare è quello della crescente globalizzazione dei
mercati nazionali; il fatto che si siano persi i confini delle singole economie nazionali.
186
Il fenomeno globalizzazione ha comportato la necessità di riarchitettare i meccanismi
con cui il settore pubblico controlla l‟economia globale.
Laddove i singoli stati non sono più in grado di controllare il fenomeno economico in
senso globale, c‟è la possibilità degli stati nazionali di aggregarsi ad organismi
sovranazionali con ambito di competenze più ampio rispetto a quello dei singoli stati
nazionali. Abbiamo visto come questo fenomeno si sia realizzato a livello europeo
attraverso l‟attuazione di agenzie di regolazione europee. Questo vale anche a livello
più ampio, mondiale e globale.
Sempre più con questi organi di controllo delle economie sovranazionali, questi
organismi globali, vi è la presenza non soltanto dei rappresentanti dei vari stati
nazionali, ma anche la presenza di rappresentanti di ONG, ovvero la presenza di
rappresentanti nel settore privato, maggiori istituzioni nel privato. Si tratta di
riorganizzazione delle modalità con cui il settore pubblico controlla l‟andamento
dell‟economia globale.
Globalizzazione anche nella architettura istituzionale della funzione di controllo dei
poteri pubblici. Questo è un tema ancora oggi in evoluzione. Tradizionalmente la
funzione di controllo dell‟economia era allocata, era assegnata ad organi dei singoli
stati nazionali, mentre la necessità di ripensare l‟architettura istituzionale ha portato
a risultati in corso di definizione.
In secondo luogo il controllo dello stato in economia si è accompagnato a un‟
espansione dei poteri di controllo assegnati all’UE. Ormai, tramite i suoi organi,
assume tutta una serie di decisioni, che pure esprimono poteri di sovranità che un
tempo erano di competenza dei singoli stati membri.
L‟affermazione dei poteri dell‟UE che si sostituiscono a quelli degli stati membri, si è
accompagnata ad una affermazione anzitutto in senso economico dell‟UE, prima come
ricordato nel libro, le istituzioni sono servite a creare le basi e i presupposti per la
creazione di un mercato unico a livello europeo nei vari servizi. Soltanto
successivamente quando il mercato unico si è affermato, l‟UE ha svolto la sua funzione
di armonizzazione, si è voluto ipotizzare che l‟UE si sostituisse allo stato per quel che
concerne le decisioni di politica economica.
In questo contesto la disciplina della concorrenza svolge un ruolo significativo. La
disciplina della concorrenza non è più di per sé da sola sufficiente. È necessario che a
livello europeo vengano spostate decisioni di politica economica, decisioni che
spettavano agli stati membri su quale tipo di prestazioni, di erogazione, quale tipo di
servizi mettere a disposizione per i cittadini.
È chiaro che non si possono neanche lasciare agli stati decisioni che possono
determinare delle diseguaglianze tra i vari paesi membri per quel che concerne gli
strumenti di politica economica. Pensiamo alla politica fiscale.
Ormai sempre di più la politica fiscale è diventata una questione comunitaria. Se è
vero che, a livello di singoli stati membri, la decisione è rimasta di competenza dei
singoli governi, è anche vero che le decisioni vengono assunte in un contesto europeo,
sulla base di direttive stabilite a livello europeo.
187
Altro tema che rientra nel fenomeno del complessivo arretramento dello stato in
economia è costituito dalla proliferazione delle autorità amministrative indipendenti
che, in qualche modo, si sostituiscono allo stato nella funzione di determinare le regole
di funzionamento di un determinato settore economico.
Le autorità indipendenti sono slegate dal governo, sicché possono decidere l‟assetto
regolamentare di un settore dell‟economia anche indipendentemente dalle decisioni di
politica economica di un determinato governo. Questo sviluppo è anche la conseguenza
di una impostazione derivante dal diritto comunitario che vuole che la funzione di
regolazione sia svolta da un soggetto indipendente rispetto agli interessi in gioco, in
particolare l‟interesse degli operatori.
Ancora oggi sono presenti degli operatori controllati o partecipati dallo stato. Lo
stato non può svolgere la funzione di competitore, operatore sul mercato, allo stesso
tempo non può essere un soggetto che prevede regole di funzionamento sullo stesso
mercato.
Altra forma di arretramento si è avuta con il fenomeno delle privatizzazioni. Hanno
sancito il fatto che lo stato garantisse la propria presenza in economia attraverso
strutture organizzative di tipo privatistico, attraverso persone giuridiche di tipo
privato. Non solo, col fenomeno della privatizzazione sostanziale si è assistito alla
dismissione delle partecipazioni dello stato mediante proprie imprese e quindi anche
un arretramento in senso proprietario da parte dello stato della propria presenza in
economia.
22/05/2012
Riprendiamo l‟esposizione dell‟ultimo capitolo del libro di Cassese. Si tratta di trarre
delle indicazioni generali e linee di tendenza rispetto ad alcuni fenomeni che abbiamo
visto nel corso delle precedenti lezioni, in modo da delineare in modo complessivo e
comprensivo quali sono i tratti caratterizzanti dell‟assetto dello Stato, dei pubblici
poteri, rispetto al mercato e alle attività economiche nel loro complesso.
In questo capitolo finale, Cassese cerca di delineare dei tratti comuni, delle linee
conclusive che siano in grado di interpretare l‟assetto della nuova costituzione
economica, di come è organizzato a livello istituzionale l‟intervento dello stato
nell‟economia.
Le linee di tendenza principali sono da un lato, da anni ‟70 fino a qualche anno fa, fino
al 2006-2007, momento in cui si sono evidenziati i segni della crisi economica
globale,la prima linea di tendenza è la riduzione della sfera pubblica. A fronte di un
massiccio intervento dello stato nello svolgimento delle attività economiche che aveva
caratterizzato il nostro ordinamento fino alla metà degli anni „80, a partire dagli anni
‟80, per tutta una serie di fenomeni che ricorderò brevemente, si è assistito ad una
progressiva riduzione della presenza dello stato nel mercato e ad un mutamento del
ruolo di esso, che da attore del mercato, dallo svolgimento di una funzione di
produttore di beni e servizi, ha modificato la sua funzione e si pone come regolatore
delle attività economiche.
188
Di fronte alla crisi economica mondiale,finanziaria dell‟economia reale, si è assistito ad
una riespansione della sfera pubblica e quindi nuove forme di intervento dello stato in
economia, ricordiamo ancora oggi quanto sia importante l‟intervento degli stati e delle
organizzazioni sovranazionali per far fronte a queste emergenze economiche.
Si tratta adesso di vedere quali sono gli effetti, come si è manifestato questo
arretramento della presenza dello stato dal mercato, questa progressiva riduzione
della sfera pubblica. È un fenomeno complesso che va interpretato nel senso che
riguarda soprattutto l‟organizzazione tradizionale dello Stato, inteso come stato
nazionale, come apparato pubblico e organizzato nei vari governi nazionali, per esempio
a livello di unione europea, attraverso i governi nazionali dei paesi membri.
Primo fenomeno che porta una riduzione della sfera pubblica è stato quello della
globalizzazione, che più che altro ha portato una riorganizzazione globale della
presenza pubblica, del modo con cui i soggetti pubblici rispondono a fenomeni
economici globali, al fatto che i mercati si stiano globalizzando.
Una risposta in termini di intervento, di regolazione, da parte dei singoli stati
nazionali è insufficiente e da qui la necessità che gli apparati nazionali si organizzino
in reti, organizzazioni sovranazionali che hanno finalità di tipo settoriale, pensiamo al
comitato di Basilea, quello che detta gli standard per la supervisione delle istituzioni
creditizie a livello globale, formazione del patrimonio di vigilanza e altre misure che
sono necessarie alle istituzioni creditizie per fronteggiare i rischi che sono connessi
alle attività svolte dalle banche.
In questo caso il comitato di Basilea è un organismo sovranazionale costituito da tutta
una serie di soggetti che rappresentano gli stati nazionali, i regolatori, funziona a
livello globale per fronteggiare le sfide e necessità che sono evidenziate dal mercato
del credito globalizzato. Da questo punto di vista è necessario un intervento da parte
dei singoli regolatori nazionali, e anche da parte del regolatore europeo. Sarebbe
sufficiente e necessario che i vari regolatori si consolidino, si organizzino in organismi
più grandi in modo da comportare standard di regolazione che siano condivisi da tutti i
vari soggetti a livello globale.
Sotto certi punti di vista la globalizzazione determina non tanto una riduzione della
presenza della sfera pubblica, del tasso di regolazione delle attività economiche, ma
piuttosto una sua ri organizzazione a livello globale. Di fronte alla globalizzazione dei
mercati deve esserci una globalizzazione delle istituzioni giuridiche che servono per
dare un assetto di governo ai mercati globalizzati.
In questi organismi ed istituzioni globali, e soprattutto alla formazione delle decisioni
di questi organismi, partecipano non solo i rappresentanti di istituzioni internazionali,
ma anche di rappresentanti di soggetti privati, i rappresentanti di istituzioni che non
fanno parte dell‟amministrazione, per esempio associazioni non governative, con il
contributo che anche queste associazioni private possono fornire per la
determinazione degli standard di regolazione un determinato fenomeno globale.
Un secondo modo con cui si manifesta questa riduzione della presenza dello stato
nell‟economia è semplicemente quella del fatto che in questo caso lo stato arretra,
189
diminuisce il suo potere a livello di presenza nel mercato, ma in questo caso lo stato
nazionale sostituisce a sé un organo sovranazionale e cioè l‟Unione europea, ai cui livelli
si spostano molte decisioni che un tempo erano di competenza dello stato. Lo stato
diventa quasi esecutore di decisioni di politica economica che vengono assunte non più
a livello statale, bensì a livello di Unione europea e di organi competenti, consiglio e
commissione.
L‟Unione europea diventa il regolatore della concorrenza, si occupa di abolire le
barriere commerciali, gli ostacoli alla piena affermazione dei principi di libera
circolazione stabiliti dal trattato, controlla l‟attività degli stati quando questi
prestano aiuti alle loro imprese, si occupa di armonizzare le legislazioni statali, svolge
una serie di compiti di tipo legislativo, regolatorio, che sostituiscono l‟intervento
statale.
Da questo punto di vista è importante notare come questa sostituzione dell‟UE allo
stato è coerente con il disegno economico che sta alla base della creazione dell‟unione
europea, che è anzitutto un disegno di creazione di un mercato unico a livello
europeo in cui tutte le imprese possono concorrere tra di loro, dovendo rispettare
regole in materia di concorrenza e del resto potendo concorrere tra di loro in modo
pienamente efficace e ad ambo i pari.
È chiaro che le imprese per concorrere ad ambo i pari, le imprese devono utilizzare
strumenti eguali, in questo contesto si inserisce la adozione della moneta unica a livello
europeo. Se il mercato è unico, è necessario che le imprese devono organizzare i
propri pagamenti sulla base di un‟ unica moneta, sennò la concorrenza tra imprese
soffrirebbe delle differenze determinate dai tassi di cambio tra le varie valute dei
paesi europei.
Se non vi fosse una moneta unica a livello europeo, la concorrenza risulterebbe
falsata, perché nel gioco concorrenziale peserebbe anche la politica monetaria decisa
da ciascuno stato membro e da questo punto di vista l‟adozione dell‟euro e il controllo
della sua stabilità è funzionale alla creazione del mercato unico europeo e alla
affermazione del principio di piena concorrenza.
In questo contesto si inserisce anche il controllo dell‟ UE, in particolare sugli aiuti di
stato, in modo chei singoli governi non siano ammessi nella condizione di aiutare le
proprie imprese a discapito delle altre imprese europee.
In questo contesto l‟UE si sostituisce allo Stato. Sotto certi punti di vista si ha si una
riduzione della presenza dello stato, della sfera pubblica, ma questa riduzione della
presenza pubblica è compensata da un aumento che consiste in uno spostamento di
livello decisionale dalla sfera statale a quella delle istituzioni europee.
In questo contesto, questo spostamento del potere decisionale dallo stato all‟UE
riguarda anche le decisioni in materia di spesa pubblica e quanto meno una parte
consistente delle decisioni. Dopo il trattato di Maastricht e contenimento del
disavanzo, dell‟indebitamento, e del debito pubblico, gli stati ormai non sono più
titolari nel decidere le dimensioni della propria spesa pubblica. Il potere di bilancio
degli stati nazionali è stato assegnato alle istituzioni europee almeno per una parte,
190
per la dimensione quantitativa della spesa pubblica che ciascuno stato può decidere,
proprio perché le dimensioni della spesa pubblica devono essere rispettose dei
parametri di bilancio stabiliti a livello europeo.
Gli stati possono decidere come la spesa pubblica può essere distribuita, sono ancora
titolari nel determinare le decisioni di spesa pubblica. A livello quantitativo le decisioni
di spesa pubblica ormai sono sottratte all‟autonomia degli stati.
Un'altra conseguenza delle politiche di liberalizzazione imposte dai trattati ai vari
stati membri è quella della disaggregazione dello stato, per meglio dire, si tratta
della trasformazione del potere di intervento dello Stato che si determina a seguito
della istituzione delle autorità indipendenti.
Tradizionalmente lo stato interveniva in economia e determinava le regole di
intervento in un settore economico mediante un intervento diretto. A seguito del
processo di liberalizzazione a questo intervento diretto dello stato mediante il
ministero e attraverso gli enti pubblici, si sostituisce un intervento del tutto indiretto
di regolazione che si attua mediante l‟istituzione delle autorità amministrative
indipendenti.
In un mercato che dev‟essere liberalizzato è necessario che l‟autorità che detta le
regole del gioco sia un soggetto neutrale, indipendente rispetto ai vari interessi in
gioco, e quindi indipendente anche rispetto all‟amministrazione e decisioni di politica
economica. Questo non è vero in senso assoluto, lo stato si riserva poteri sostitutivi
rispetto al potere di regolazione delle autorità indipendenti, ma più in generale, anche
questa può essere considerato un effetto di riduzione della presenza della sfera
pubblica in economia. Non è lo stato, inteso in senso tradizionale, che è presente nel
mercato, bensì l‟intervento dello stato si attua attraverso la attività di queste
autorità indipendenti che sono slegate rispetto alla organizzazione tradizionale dello
stato.
Altro fenomeno evidente di arretramento dello stato in economia è quello della
privatizzazioni. Vuol dire trasformazione degli enti pubblici economici in spa e poi
privatizzazione sostanziale,cessione del controllo di partecipazione degli enti pubblici
trasformati a soggetti privati.
La privatizzazione implica una diminuzione della presenza pubblica nel mercato. Lo
stato cerca di essere imprenditore e gestore di pubblici servizi. Questo
evidentemente a seguito dei processi di liberalizzazione ma assume un diverso ruolo.
Nei mercati liberalizzati in cui la presenza delle imprese pubbliche è minore, è
necessario che lo stato diventi regolatore del funzionamento del mercato.
Mentre prima lo stato nei regimi di riserva poteva decidere quali prestazioni, quantità,
quali prezzi fornire ai cittadini. Una volta che il mercato è stato liberalizzato è
necessario che le regole di funzionamento siano decise in modo diverso da parte dello
stato. soprattutto attraverso le decisioni delle autorità amministrative indipendenti lo
tato assume la veste di regolatore del mercato.
Questo non comporta una diminuzione del numero di regole pubblicistiche che
comportano il funzionamento di un determinato mercato. In altri termini il fenomeno
191
si manifesta come una trasformazione della presenza dello stato sul mercato. Mentre
prima era presente direttamente come produttore e gestore di servizi, adesso la sua
presenza si manifesta come regolatore di determinate attività economiche di pubblico
interesse.
Questi fenomeni con cui si è manifestata la riduzione e arretramento della sfera
pubblica, da luogo ad una serie di contraddizioni, suscitano tutta una serie di
interrogativi. La globalizzazione economica implica un allargamento dei mercati, un
ripensamento della organizzazione dei pubblici poteri che devono rispondere a nuove
necessità di tipo globale. In economia globalizzata si devono porre zone franche della
regolazione, ambiti di mercato globalizzato che sfuggono al potere di controllo delle
nuove istituzioni globalizzate.
Quando parliamo di spostamento dei poteri dallo stato all‟UE si pone il problema che
l‟UE non è una federazione di stati, ha quindi dei limiti all‟affermazione dei suoi poteri
nell‟intervento nell‟economia e si pongono dei limiti da parte dell‟UE nel tener sotto
controllo la gestione dei vari stati membri.
Allo stesso modo, l‟affermazione delle autorità indipendenti ha anch‟essa delle
contraddizioni, delle controindicazioni proprio perché esse sono soggetti che sfuggono
al controllo politico e assumono decisioni che possono avere effetti in termini
redistributivi, di politica economica, ma senza che queste decisioni possano essere
sottoposte ad un controllo da parte delle istituzioni politiche.
Il governo, gli stati nazionale devono rispondere davanti ai cittadini delle decisioni di
politica economica, sfuggono al controllo diretto da parte dei cittadini, che si esprime
nelle forme tradizionali della politica.
Allo stesso tempo abbiamo visto come il processo di liberalizzazione che ha riguardato
i servizi pubblici sia un processo che ha cambiato l‟assetto dei mercati ma ha fatto
venir meno la necessità che ai cittadini siano garantite determinate prestazioni, sia
garantito il diritto di accedere ai servizi essenziali. È necessario anche nei mercati
liberalizzati ripensare alle modalità di intervento dello stato nel mercato liberalizzato
in modo da conciliare gli obiettivi, le prestazioni essenziali a favore dei cittadini col
funzionamento del mercato concorrenziale.
Le privatizzazioni hanno determinato un arretramento della sfera pubblica, tasso di
presenza dello stato nell‟ambito del mercato, e in molti casi passaggio di diritti di
monopolio dal pubblico al privato, regimi di preferenza nell‟ambito dei quali vi sono
soggetti che godono di posizioni di privilegio, maggior potere economico rispetto ai
concorrenti. Le imprese privatizzate, sono imprese che in molti casi hanno una loro
posizionedi potere di mercato; ciò limita lo sviluppo in senso concorrenziale nello
stesso mercato.
Fenomeni di riduzione della presenza dello stato nell‟economia, che sono fenomeni
complessi, che hanno delle ambiguità, contraddizioni, e che hanno anche delle cause.
Le cause sono molteplici, diverse, di tipo normativo. La privatizzazione, la
liberalizzazione dei mercati è stata imposta agli stati membri dalle varie direttive di
liberalizzazione, principi di libertà di circolazione del trattato e così via. Di fondo
192
anche le scelte dei trattati che sono sanciti nei vari articoli del trattato dell‟UE sono
la conseguenza di un diverso modo di intendere la presenza dello stato in economia da
parte delle istituzioni comunitarie.
Si era convinti, a livello comunitario, che dopo la stagione dell‟interventismo fosse
necessario un arretramento della presenza dello stato nel mercato, in modo da
liberare le forze economiche presenti negli stessi mercati. Questa condizione si è
accompagnata alla constatazione del fallimento del modello di impresa pubblica.
Sono fatti che risalgono a parecchi anni fa. Negli anni 80-90 uno dei temi principali
era quello delle inefficienze degli enti pubblici, imprese pubbliche, monopolisti statali,
nell‟introdurre beni e servizi. Questa inefficienza ha portato la condizione che fosse
necessario cambiare passo. Abbandonare il modello a cui si inquadrava la presenza
pubblica sul mercato per adottare quello di liberalizzazione, passaggio della
trasformazione della funzione dello stato da imprenditore a stato regolatore.
Altra causa che ha portato alla riorganizzazione del ruolo degli stati nell‟economia è
stato quello della deteritorizzazionedelle attività economiche. I fenomeni economici
non hanno una loro collocazione territoriale ben precisa.
I mercati si aprono, acquisiscono, le imprese si deteriorizzano hanno varie sedi, ormai
le imprese più importanti sono presenti nei vari mercati nazionali e quindi è necessario
che, la risposta dei poteri pubblici debba tenere conto di queste dimensioni dei
fenomeni economici e da qui c‟è la necessità di abbandonare il modello di controllo
dell‟economia basato sulle amministrazioni statali, sui governi nazionali per sviluppare
forme di controllo di governo di tipo globale, più ampie e più vaste.
Di fronte a questi fenomeni abbiamo avuto lagrande crisi del 2008, prima
dell‟economia immobiliare, reale, finanziaria. Oggi è crisi dell‟economia reale anche
sociale in cui la propensione al consumo da parte dei cittadini, delle persone è
diminuita.
Di fronte a questa crisi è necessario intervenire, fenomeni di riespansione della sfera
pubblica, nuove forme di intervento da parte dello stato in economia. In questa
situazione di crisi i mercati falliscono, è necessario un intervento da parte dello stato
che acquista nuove forme.
È chiaro che di fronte alla crisi la risposta deve essere di tipo globale. È necessario
che vengano stabiliti obiettivi comuni, vengano anche determinati modelli di azione
congiunta da parte degli stati nazionali.
Un esempio sono i vari organismi entro i quali gli stati nazionali si riuniscono per poter
offrire risposte onnicomprensive, globali rispetto ai problemi determinati dalla crisi
economica mondiale. Esempio, pensando anche a questi giorni, è quello del G20, G8,
modelli di organizzazione della risposta pubblica ai problemi dell‟economia mondiale
nuovi, innovativi, e che porta discontinuità rispetto alle alle decisioni che prima erano
affidate agli stati nazionali.
Nel libro si ricorda il Financial Stability Word, istituzione di governo dell‟economia in
cui fanno parte i rappresentanti delle banche centrali, gli operatori, i rappresentanti
delle istituzioni sovranazionali come il FMI, Ocse, la Banca Mondiale. Un comitato che
193
è composto da quei soggetti che hanno il potere di intervenire, determinare degli
standard di regolazione che devono necessariamente essere coordinati tra di loro per
poter fornire delle risposte efficaci a fronte delle nuove sfide dell‟economia
globalizzata.
È necessario che i vari stati membri agiscano congiuntamente. Gli stati nazionali
conservano il potere di decidere forme di intervento a favore delle proprie imprese.
Come nel 2008-9 gli stati nazionali decidono di intervenire per salvare le proprie
banche, operatori finanziari. In questi casi è necessario che vengano stabiliti
meccanismi di azione congiunta. È un quadro di azione decisa da organi sovranazionali
in modo che non si creino arbitraggi regolamentari, in modo che gli operatori si
spostino in stati dove la regolazione è meno pervasiva.
Da qua la necessità di superare la dimensione nazionale dei poteri di governo
dell‟economia mediante l‟istituzione di comitati, di organi di regolazione sovranazionali,
sia a livello europeo che sovranazionale in modo che la regolazione dei fenomeni
economici, dei mercati sia uniforme e non presenti differenze e simmetrie che
consentano alle imprese di sfruttare queste differenze a proprio vantaggio
insediandosi laddove la regolazione è meno pervasiva.
Questo nuovo intervento dello stato in economia, salvataggio delle banche, immissione
di liquidità ha un costo che si sta manifestando in modo molto pesante in questi anni.
Determina evidentemente la crisi dei governi degli stati nazionali, la crisi dei debiti
sovrani, il problema della crisi si sposta dal livello dell‟economia a quello dei governi
nazionale anche se i debiti sovrani portano problemi relativi al costo del denaro per i
singoli stati nazionali e così via.
La risposta è quella di una riespansione della sfera pubblica. È chiaro che l‟intervento
non può che essere affidato a organismi sovranazionali che rappresentano forme di
collaborazione di tipo solidaristico tra gli stati.
La situazione è in evoluzione. Le forme di collaborazione sono tutte un po‟ da
sperimentare. Ve ne sono alcune più collaudate. Vi sono anzitutto forme di controllo
multilaterale, quelle già viste previste in attuazione del patto di stabilità e crescita
che è stato introdotto dopo il trattato di Amsterdam, ma vi sono nuove forme di
collaborazione e interventi da parte degli stati che si stanno sviluppando, si stanno
sperimentando e che servono per tenere sotto controllo i debiti degli stati sovrani.
Abbiamo il fondo salva stati a livello europeo, una forma di assicurazione che gli stati
hanno posto in essere per sostenere la autonomia degli stati europei in crisi, in modo
da garantire stabilità al meccanismo della moneta unica.
Questa riespansione della sfera pubblica assume forme nuove, che sono ancora oggi in
corso di definizione. Come questo sviluppo potrà determinarsi è ancora assolutamente
incerto.
È chiaro che si può dare per acquisito il superamento del modello dello stato nazionale
nel sistema del governo dell‟economia. È del tutto evidente che sarà necessario porre
in essere, creare una architettura di governo dell‟economia sovranazionale secondo
nuovi criteri e nuove forme che però sono tutte da ipotizzare.
194
195