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Berta Zuckerkandl
La mia Austria
Ricordi 1892-1937
A cura di Reinhard Federmann
Edizione italiana a cura di Giuseppe Farese
Archinto
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«Il n’y a pas de souvenirs
superflus quand on a à peindre
la vie de certains hommes.»
Charles Baudelaire
«Raconter un peu de cette histoire
individuelle, qui, dans
l’histoire, n’a pas d’historien.»
Edmond de Goncourt
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Berta Zuckerkandl: ovvero dell’impegno umano e sociale
Subito dopo la prima guerra mondiale il poeta e drammaturgo francese Paul
Géraldy incontra per la prima volta a Vienna lo scrittore Hugo von Hofmannsthal e nel corso della conversazione si parla, fra l’altro, di Berta Zuckerkandl, una nota giornalista viennese, che teneva anche un rinomato salotto
frequentato da artisti, politici e intellettuali viennesi ed europei. L’eccellente
biografo della Zuckerkandl, Lucian O. Meysels, chiederà molti anni dopo a
Paul Géraldy, ormai novantacinquenne, che aveva conosciuto e stimato la signora, per altro traduttrice di alcune sue commedie, di tracciargli uno schizzo
caratteriologico della stessa. Ed ecco la risposta: «Berta Zuckerkandl è stata la
persona più notevole che abbia mai incontrato. Il contatto con lei era totale.
Lei era la gaiezza intima, la naturalezza, era piena di umorismo, leggiadria e
carisma. Riempiva lo spazio con charme e allegria. Incantava la sua casa con
la felicità. Durante tutta la mia lunghissima vita non ho incontrato nessuno
che fosse capace di procurarmi una così completa sensazione di equilibrio e di
concordia. Lei era in parte intellettuale e in parte sentimentale. Trasmetteva
il suo charme a tutto ciò che sfiorava. Berta invecchiava, ma era senza età. In
vita mia ho conosciuto innumerevoli grandi personalità, ma nessuna che la
eguagliasse. Nulla era per lei difficile. Ma tutto interessante. Lei possedeva
leggerezza e profondità al contempo. Quando si parlava con lei, l’intesa era
totale e spontanea. E quale capacità di giudizio aveva! La sua familiarità poteva annullare grandi distanze. Lei era a Vienna, io a Parigi. Ma in realtà non
l’ho mai abbandonata. Berta entrò nella mia vita e lì trovò per sempre il suo
posto. Lei era l’amicizia totale».1 Berta era figlia di Moriz Szeps (1834-1902),
un ebreo originario di Leopoli, capoluogo della Galizia austriaca, che si era
trasferito a Vienna negli anni Cinquanta dell’Ottocento e si era iscritto all’università frequentando con successo vari corsi, ma concependo anche subito una intensa passione per il giornalismo. Sicché presto abbandonò gli studi
ed entrò a far parte del giornale «Die Presse», foglio precursore della famosa
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«Neue Freie Presse». Poco dopo Szeps fu assunto dal giornale di orientamento politico liberale «Morgenpost», divenendo ben presto caporedattore. Come
non di rado accade, Moriz s’invaghì di Amalie, figlia del direttore del
«Feuilleton» del giornale e poco dopo la sposò. Berta nacque il 13 aprile
1864, seconda di cinque figli, l’anno dopo Moriz fondò un proprio giornale,
«Neues Wiener Tagblatt», che divenne ben presto un foglio di formato e diffusione internazionale. Berta cominciò giovanissima a collaborare al giornale
del padre, e si rivelò fin dagli inizi una giornalista letterariamente e politicamente capace, anticonformista e tenacemente impegnata contro la borghesia
conservatrice e in parte anche antisemita. Berta aveva ricevuto un’educazione
culturale, per così dire familiare, sotto l’egida della madre, che «come moglie
dell’influente pubblicista politico Moriz Szeps aveva inaugurato un salotto divenuto ben presto un vivace punto di attrazione che ospitava uomini politici,
parlamentari e finanzieri, così come poeti, attori, aristocratici, donne di mondo e persone semplici. In quel salotto non c’era posto per snobismo e arroganza.»2
Un fondamentale elemento di formazione liberal-sociale Berta aveva recepito di riflesso dall’amicizia del padre con il principe ereditario Rodolfo d’Asburgo, giovane colto, liberale, poco amato e mai capito dal padre, l’imperatore Francesco Giuseppe. Decisiva anche per la formazione di Berta fu di sicuro la conoscenza del padre con l’uomo politico francese Georges Clemenceau, il cui fratello Paul aveva sposato nel 1886 Sophie, la sorella di Berta.
Clemenceau era un feroce avversario di Bismarck e aveva ventilato la possibilità di impostare un tentativo di alleanza austro-francese contro la Germania, tentativo che purtroppo non andò mai in porto. Il contatto con la
Francia, in particolare con Parigi, dove risiedeva la sorella, suscitò in Berta,
già di per sé capace di entusiasmarsi per tutto, un’immediata passione per le
arti figurative, la letteratura e la musica. Moriz Szeps, dal canto suo da sempre amante della Francia, nel 1883 organizzò nella propria casa una interessante serata invitando un popolare attore francese dell’epoca, Constant Benoit Coquelin, e un famoso attore del Burgtheater, Adolf von Sonnenthal.
Quella sera Berta, che aveva allora diciannove anni, conobbe Emil Zuckerkandl, un giovane e già famoso professore di Anatomia, che frequenterà ben
presto la casa degli Szeps e poco dopo chiederà la mano di Berta. Le nozze
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avranno luogo il 15 aprile 1886 e la coppia si trasferirà a Graz, dove Emil insegnava all’università. Qualche tempo dopo egli venne chiamato dall’università di Vienna e rientrò nella sua città, dove Berta inaugurò un leggendario
salotto, che ospiterà il fior fiore della società culturale viennese e mitteleuropea. Helene von Nostitz, moglie del diplomatico Alfred von NostitzWallwitz, tratteggia con particolare grazia il «Salon»: «Come devo descrivere
l’atmosfera così piacevole e movimentata del salotto di Berta Zuckerkandl,
che è del tutto diversa dall’immagine variopinta di Vienna? Berta era chiara
e graziosa, nuova, percepiva intensamente il Nuovo. Era amica di Klimt e
Mahler e pioniera delle Wiener Werkstätten [Laboratori viennesi per le arti
decorative]. Lei agiva come un fiore esotico nel suo variegato arredamento
realizzato da Hoffmann. I suoi capelli rossi ardevano incandescenti sulle stoffe colorate e i suoi occhi marrone scuro lampeggiavano come fuoco. Perlopiù
la si trovava seduta sul suo lungo divano, circondata da giovani pittori, poeti
e musicisti, che si trovavano sempre molto bene da lei, perché lì spirava
un’aria diversa, liberatoria. Qualcosa di autonomo, d’irreale, mai pesante,
l’avvolgeva piacevolmente. Si era con lei sempre ottimisti nel credere a un futuro, per quanto fosco potesse apparire.»3
Purtroppo il 29 gennaio 1889 il principe Rodolfo si suicidò a Mayerling
con la sua giovane amante, la diciassettenne baronessa Mary Vetsera; Moriz
Szeps perse così uno dei suoi più cari amici, che aveva perorato con lui la causa del liberalismo di sinistra, opponendosi alla ottusità e al conservatorismo
di Francesco Giuseppe. Berta pubblicò nel giornale paterno un toccante elogio di Rodolfo: «Egli morì a causa dell’Austria. Perché egli dubitava del futuro della patria. Morì per il rigido dispotismo del padre. Morì perché amava
la libertà e vide solo repressione. Morì perché presagì in modo davvero profetico la disgregazione della patria. Perché percepì come un cupo incubo la bieca figura dell’imperatore Guglielmo II di Prussia, perché gravava su di lui in
modo insopportabile l’antipatia contro l’unione austro-tedesca. Egli morì perché l’anima ribelle di questo grande spirito oppose resistenza contro le pastoie che volevano ostacolarlo».4 Alcuni anni dopo, nel 1898, fu assassinata a
Ginevra da un anarchico la madre, l’imperatrice Elisabetta. L’imperatore
Francesco Giuseppe morirà il 21 novembre del 1916, nel pieno della guerra
mondiale, che sancirà la fine della monarchia asburgica.
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Berta non si accontentò certo del suo ruolo di «salottiera», ma divenne col
passar del tempo sempre più impegnata non solo come giornalista, ma anche
per quanto riguardava il mondo della politica e della cultura. Nel 1897, un
gruppo di artisti si dissociò dalla Società degli artisti figurativi di Vienna e
fondò la Secessione, una moderna organizzazione artistica alla quale parteciparono pittori, scultori, architetti, ingegneri, che proposero un radicale rinnovamento delle arti. Del gruppo facevano parte personaggi che divennero ben
presto famosi: Otto Wagner, Josef Hoffmann, Koloman Moser, Alfred Roller
e altri. Presidente della Secessione venne eletto Gustav Klimt, vice presidente Carl Moll. L’architetto Joseph Maria Olbrich costruì l’edificio della Secessione, che aveva come motto sul frontone: «Der Zeit ihre Kunst – Der Kunst
ihre Freiheit» (Al tempo la sua arte – all’arte la sua libertà) e venne inaugurato il 12 novembre 1898 con una mostra che ebbe un notevole successo.
Berta partecipò sin dall’inizio con coraggio polemico alla diffusione della
Secessione, difendendo a spada tratta, in numerosi interventi giornalistici, gli
artisti fondatori contro l’attacco dei tradizionalisti. L’artista Ludwig Hevesi
intervenne in difesa di Berta: «La scrittrice è stata per tutto il tempo una delle migliori sostenitrici della nostra battaglia per il rinnovamento artistico. La
sua qualità di fondo fu l’ereditato sangue giornalistico. Perciò lei aveva imparato in famiglia ciò che nessun altro può imparare. È stato straordinario come la nuova polemista, agguerrita sin dall’inizio, si è impegnata in prima linea con noi e si è schierata in modo abile e senza paura contro l’avversario.
Con la rapidità che hanno appunto i talenti ha imparato a far la guerra nella
guerra… E così accadde anche che nel salotto della scrittrice si parlò per la
prima volta della “Secessione” viennese. Lì s’incontrarono quei pochi moderni personaggi che diedero forma alla Secessione e iniziarono la lotta per il rinnovamento dell’arte a Vienna. Questo spirito d’iniziativa non ha abbandonato neanche dopo la scrittrice. Così a volte è stata lei a dire la prima parola
in situazioni importanti, come altre volte ha espresso un’opinione che nessun
altro avrebbe osato sostenere.»5
Dal corpo, per così dire, della Secessione nacque nel 1903 un nuovo organismo, le Wiener Werkstätten; alla fondazione parteciparono eminenti personaggi dell’arte viennese del tempo: Otto Wagner, Ludwig Hevesi, Koloman
Moser, Josef Hoffmann e altri e si formò il concetto di Jugendstil. Fra i pro10
tagonisti ci fu anche Gustav Klimt, che non sostenne solo la pittura, ma mise anche in luce il valore degli oggetti d’uso comune come mobili, lampade e
ornamenti vari. La novità non piacque, ci furono scontri e nel 1908 una conferenza del noto architetto Adolf Loos, «Ornamento e delitto», fece scalpore.
Berta, pur accettando in parte l’opinione dei puristi e di Loos, si schierò con
lo scrittore Hermann Bahr dalla parte delle Werkstätten, che lei apprezzò subito e in un articolo del 19 settembre 1908 nella «Wiener Allgemeine Zeitung» prese le difese dei fondatori dell’istituzione: «Essi non producono solo
ciò che riguarda l’arredamento di una casa (come mobili, tappeti, stoffe, vetri
colorati, borchie, lampade ecc.), essi praticano anche l’arte libraria, lavoro di
metalli nobili, sviluppo di manifesti, costruzione di case, arte del giardinaggio
e arte del teatro. Essi sono in tutte queste manifestazioni creativi.»6
In realtà Berta fu battagliera in tutti i campi e forse si può dire che si era
creata in lei una simbiosi fra arte e politica. Per esempio prese posizione a favore del vecchio sogno del defunto principe Rodolfo, che proponeva un’alleanza austro-francese per limitare la supremazia militare della Prussia. In seguito, nel corso della Grande guerra, Berta ebbe l’idea di «una pace separata
tra Francia e Austria che provocherebbe la rapida fine di questa più terribile
di tutte le guerre. Sarebbe una vittoria per tutte le nazioni. Sophie come francese e io come austriaca potremmo dare una mano. Si capisce che non ho dimenticato che è nostro dovere non tradire l’alleata Germania. E so che questa
alleanza renderà difficile qualsiasi trattativa. Tuttavia una rapida fine della
guerra è di sicuro anche la salvezza della Germania». Purtroppo i tentativi di
una pace separata fallirono; nel 1917 in Russia era scoppiata la rivoluzione
bolscevica, la missione di Berta si rivelò un sogno. All’inizio di ottobre lei tornò a Vienna. La guerra era praticamente finita, il destino dell’Austria segnato. Il 3 novembre l’Austria-Ungheria concluse l’armistizio con gli alleati, sei
giorni dopo abdicò Guglielmo II, due giorni dopo l’imperatore Carlo I. L’Assemblea nazionale proclamò la Repubblica dell’Austria tedesca. Berta si convinse che le vicende belliche avevano profondamente mutato l’equilibrio dei
paesi europei e abbandonò i suoi impegni politici dedicandosi alla traduzione
in tedesco di circa 120 lavori teatrali di noti autori francesi; i più importanti
furono: Il viaggiatore senza bagaglio di Jean Anouilh e La guerra di Troia
non si farà di Jean Giraudoux. Nel frattempo il regista Max Reinhardt e lo
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scrittore Hugo von Hofmannsthal ebbero l’idea di dar vita a un Festival teatrale a Salisburgo. Hofmannsthal scrisse in proposito a Berta: «Max Reinhardt
e io dal momento che l’Impero si è politicamente inabissato, vogliamo mantenere in vita la sua anima. Ma lei deve essere il nostro araldo. Deve annunciare nel suo giornale che un’Austria vive e non scomparirà mai». Un’esortazione che lei mise subito in atto. Nella «Wiener Allgemeine Zeitung» del
24 gennaio 1919 pubblicò un importante articolo, La prima cosa: «L’impero
va in rovina. Un trono crolla. Un popolo si solleva. Un nuovo ordine mondiale albeggia. Un nuovo ordinamento statale viene elaborato. Nulla di esistente resta negli antichi parametri. E cos’è la prima cosa che sorge da questo
Caos? Un Festival dedicato a Mozart a Salisburgo! Un tempio consacrato al
più divino di noi, simbolo dell’indistruttibile carattere austriaco, emblema di
un’imperturbabile natura, riconoscimento religioso mondiale dell’Austria.»7
Il 22 agosto 1920 ebbe luogo sul piazzale del Duomo di Salisburgo la prima rappresentazione di Jedermann (Ognuno), un dramma di Hugo von
Hofmannstahl del 1911, del tutto rielaborato per l’occasione. Il regista Max
Reinhardt aveva fatto in modo che le ultime parole del dramma venissero
pronunciate al tramonto. Quando Jedermann veniva salvato suonarono le
campane, dalla chiesa giunse il suono della musica corale e dell’organo e colombe si levarono in aria. Il successo fu straordinario. Berta pubblicò una critica entusiastica nella «Wiener Allgemeine Zeitung».
Nel frattempo, anche se delusa, Berta iniziò di nuovo a interessarsi di politica e a immaginare il futuro dell’Austria unita alla Francia, soprattutto perché l’emergente nazionalsocialismo godeva di sempre più consenso pubblico
e trovava numerosi aderenti in particolare fra i giovani. Nel gennaio 1933
Berta si recò come di consueto a Parigi e fece visita all’amico Paul Painlevé
ammalato; mentre discutevano egli venne all’improvviso chiamato al telefono e apprese che il presidente della Repubblica di Weimar Paul von Hindenburg aveva nominato Adolf Hitler cancelliere del Reich, affidandogli la
formazione di un gabinetto. Painlevé fu profondamente turbato e affermò:
«Oggi comincia forse la morte della cultura dell’Europa. E una cosa simile accade nel ventesimo secolo. Povera, povera Austria».8 Il 20 maggio 1932 il ministro dell’Agricoltura Engelbert Dolfuss, membro del Partito cristiano sociale, aveva ottenuto la carica di cancelliere dell’Austria, il 25 luglio 1934
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Dolfuss fu ucciso da sicari nazisti nell’ufficio della cancelleria. Subito dopo
venne nominato cancelliere il cattolico di destra, ministro della Pubblica
istruzione, Kurt von Schuschnigg. L’11 marzo 1938 il cancelliere Schuschnigg
si dimise e due giorni dopo, il 13 marzo, ebbe luogo il cosiddetto «Anschluss»,
cioè l’annessione dell’Austria alla Germania. La notte dall’11 al 12 marzo
1938 divenne per Berta Zuckerkandl un incubo che la tormenterà per anni.
Sul Ring, al calar delle ombre, i nazionalsocialisti prendono il comando della
città, alcuni in camicia bruna e bracciali con la croce uncinata, altri ancora in
abiti civili sciamano sullo Heldenplatz e il Volksgarten, verso il Ballhausplatz
e issano sul balcone di un palazzo la bandiera nazista. Il 13 marzo Berta può
osservare dalla finestra di casa l’ingresso di Adolf Hitler a Vienna. Tredici
giorni dopo l’occupazione tedesca Berta è seduta nel treno che la porterà a
Parigi, e darà per sempre l’addio a Vienna; una volta in Francia si rifugia presso la sorella Sophie, riprende l’attività letteraria e scrive le sue memorie, che
usciranno a Stoccolma.9
Due anni dopo, il 14 giugno 1940 truppe tedesche occupano Parigi, Berta
ha 76 anni ed è costretta a rifugiarsi ad Algeri dove s’impegnerà subito nella
resistenza, creando fra l’altro una rubrica radiofonica dedicata agli alleati
francesi e inglesi che combattevano contro i nazisti e dove resterà col figlio
Fritz, che aveva ottenuto la cittadinanza francese e si era arruolato nell’esercito; erano con lei anche la nuora Trude e il nipote Emile. Purtroppo gli strapazzi della seconda fuga avevano logorato la forte fibra di Berta, che si ammalò gravemente e sarà accompagnata dal figlio a Parigi con un aereo militare e ricoverata in una clinica dove morirà ottantunenne il 16 ottobre 1945.
Verrà sepolta nel cimitero parigino Père-Lachaise.
Lucian O. Meysels conclude la biografia della Zuckerkandl con una interessante osservazione: «I numerosi articoli di Berta – usciti soprattutto nella
“Wiener Allgemeine Zeitung” e nel “Neues Wiener Journal” – mostrano l’autrice come ardente patriota austriaca, pacifista e combattente per l’umanità e i
diritti dell’uomo e naturalmente vivace propugnatrice dell’arte moderna»,
Meysels si chiede poi: «Come mai ha potuto il suo nome essere del tutto dimenticato nella Vienna degli anni Ottanta, mentre esso è ancora oggi sempre
presente in una delle più importanti opere lessicali dell’area linguistica angloamericana: Webster’s Biographical Dictionary? Forse si tratta di una tardiva
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