TESI carlo di vito su soc operaie

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Carlo Di Vito
Per la storia
della mutualità in
Friuli:
la Società Operaia
di Mutuo Soccorso
ed Istruzione di
Cividale
1869 - 1923)
UDINE
Università degli Studi
Facoltà di Economia
Corso di Laurea in Economia Bancaria
Anno accademico 1999 - 2000
CAPITOLO I
CENNI SUL MOVIMENTO MUTUALISTICO IN EUROPA E IN
ITALIA DOPO L’UNITÀ
1.
Origini e diffusione in Europa del mutuo soccorso
La rivoluzione industriale in Inghilterra non fu semplicemente un fenomeno
di natura economica. Accanto al cambiamento dei processi tecnici di produzione e
alla meccanicizzazione delle lavorazioni, si assistette a profondi cambiamenti del
tessuto sociale e culturale. Come rilevato da molti studiosi, per leggere
criticamente il fenomeno non bisogna escludere nessun aspetto di cambiamento
occorso in quel periodo. Bisogna anzi evidenziare la stretta complementarietà tra
fenomeni solo apparentemente non correlati, che contribuirono in svariate
direzioni al processo di sviluppo.
Le organizzazioni di mutuo soccorso, che per prime si svilupparono in
Inghilterra, furono dunque il frutto di un complesso mutamento sociale e non solo
economico che attraversò tutto il proletariato di fabbrica a partire dalla seconda
metà del ‘700. La classe operaia e le categorie artigiane più deboli si fecero
promotrici di un movimento di solidarietà basato sulla ricerca di soluzioni
concrete ai problemi legati ai cambiamenti sociali in corso, alla difficoltà di alcuni
soggetti di rimanere sul mercato, alle aspettative di un miglioramento sia
economico che sociale.
Accanto a questi aspetti bisogna ricordare la quasi totale assenza di una
legislazione sociale in buona parte dei Paesi europei. In particolare in Inghilterra
la poor law, pur offrendo condizioni minime di sopravvivenza, privava il cittadino
2
di tutti i suoi diritti civili e politici, rendendolo completamente privo di ogni
dignità sociale.
Le prime forme di organizzazioni assicurative, nate per soccorrere in caso di
bisogno i lavoratori, furono i box clubs, a cui seguirono poco dopo i penny clubs e
gli halfpenny clubs1. Queste istituzioni erano ancora prive delle caratteristiche
tipiche delle società di mutuo soccorso, ma cominciavano a offrire risposte
concrete ai lavoratori espulsi dal processo produttivo o venutisi a trovare in
condizione di particolare bisogno. La forbice tra i ricchi e i poveri in Inghilterra
assunse dimensioni sempre più ampie e alla condizione di disagio e di insicurezza
tipica dei lavoratori di fabbrica si unirono anche gli artigiani, i dipendenti delle
piccole produzioni e i lavoratori dediti all’industria a domicilio. La risposta a
questo disagio venne dalle friendly societies, le prime società di mutuo soccorso
in senso moderno, costituite da soci di diverse estrazioni ma con i medesimi
problemi. Esse si rivolgevano a tutti i lavoratori esposti al rischio di malattia,
infortunio o disoccupazione, indipendentemente dall’appartenenza al “proletariato
di fabbrica”.
Inoltre furono lo strumento grazie al quale si organizzarono i lavoratori nelle
loro prime campagne di rivendicazione dei propri diritti nei confronti dei
proprietari. Queste organizzazioni diedero di fatto sostanziosi contributi ai
lavoratori impegnati nelle loro battaglie per ottenere migliori salari e più umane
condizioni di lavoro. Si può dunque pensare alle organizzazioni mutualistiche
come nuove forme associative dei lavoratori, una sorta di proto sindacato, ma con
caratteristiche differenti rispetto alle vecchie corporazioni di mestiere.
Nell’arco di pochi anni le friendly societies si diffusero raccogliendo
l’adesione entusiasta di moltissimi lavoratori: all’inizio dell’Ottocento le società
erano circa 7000 con 600.000 soci. La potenza espressa da una simile
organizzazione non poteva non turbare il Parlamento inglese, che a causa dei
crescenti tumulti e delle rivendicazioni avanzate dai rappresentanti dei lavoratori,
1
Queste ultime due prendevano il nome dall’ammontare del versamento che ciascun socio
sosteneva periodicamente.
3
emanò leggi restrittive sulla libertà di associazione. Ciò pose le società di mutuo
soccorso in condizione di clandestinità, esasperando gli animi di molti lavoratori2.
Solo nel 1825, dopo l’abrogazione delle Combination Laws, a seguito di un
crescente stato di disagio delle masse popolari, riprese corpo l’idea del mutuo
soccorso, non più visto come strumento a tutela del povero inteso come soggetto
“socialmente pericoloso”, ma come mezzo di auto-aiuto per le persone in
difficoltà, peraltro titolari dei diritti civili. Accanto alle società di mutuo soccorso
cominciarono a operare anche i primi sindacati organizzati dei lavoratori e
movimenti politici con precise istanze da sostenere nelle sedi istituzionali. Alle
società mutualistiche rimase solo un compito di soccorso materiale e non più
anche di rivendicazione, ruolo avocato ora da altre organizzazioni. Ciò però non
frenò il movimento mutualistico che si espanse durante tutto l’Ottocento.
In altri Paesi europei il movimento si diffuse con ritardo e con un tasso di
crescita legato al vario percorso politico ed economico affrontato. In Francia, ad
esempio, il processo sia pure non rapidissimo di industrializzazione e il vivace
dibattito sociale intorno alle condizioni del proletariato portarono in poco tempo a
una massiccia diffusione delle società di mutuo soccorso3.
Nella statistica sulle società di mutuo soccorso del 1878 sono contenuti i
dati relativi alla dimensione del fenomeno nei principali Paesi europei. Le cifre si
riferiscono nella maggioranza dei casi a dati raccolti nel corso del 1878,
permettendo una piena comparabilità con l’Italia.
Il Paese di maggior diffusione del fenomeno mutualistico era l’Inghilterra,
che toccava la cifra ragguardevole di 24.137 società. Il numero complessivo di
soci era decisamente sopra la media rispetto a ogni altro Paese europeo: 4.692.175
soci, cinque volte superiore al secondo Paese per numero di iscritti4. Il totale delle
2
3
L. GHEZA FABBRI, Solidarismo in Italia fra XIX e XX secolo, Torino 1996, p. 9.
Luzzatti cita come esempio da imitare la societé de secours mutuel et de prêts d’honneur,
associazione che in Francia contribuiva sia alla crescita del ceto proletario che alla diffusione del
credito popolare basato sul prestito d’onore (L. LUZZATTI, La diffusione del credito e le banche
popolari, a cura di P. PECORARI, Venezia 1997, pp. 113-114).
4
La statistica inglese era solo parzialmente attendibile in quanto solo 12.300 società diedero
notizie particolareggiate. I dati relativi agli iscritti erano pertanto approssimativi. Inoltre la
4
entrate delle società inglesi era pari a 303.715.325 lire, contro i 17.624.212 di
quelle italiane. A seguire si collocava la Francia, dov’erano attive 6.293 società, di
cui 4.474 approvate e solo 1.819 autorizzate5.
Un altro Paese in cui era particolarmente diffuso il fenomeno del mutuo
soccorso era la Prussia. I dati riferiti al 1874 segnalavano la presenza di 4.877
società con 785.280 soci. Nel computo delle società censite non erano incluse 88
casse fra minatori (knappsschaftskasse), le quali contavano tra soci ordinari e
straordinari 263.000 iscritti circa. Le entrate di queste casse erano superiori
persino al totale raccolto dalle classiche società di mutuo soccorso.
Veniva successivamente un altro Paese anglosassone, la Scozia, con sole
753 società ma ben 592.275 iscritti, quindi la Baviera, con 1.695 società e 465.212
aderenti e infine l’Austria con 860 sodalizi e 306.678 soci6.
Tabella 1. Le società di mutuo soccorso in Europa nel 1878
Stato
Inghilterra
Francia
Prussia
Scozia
Baviera
Austria
Italia
Danimarca
Belgio
Irlanda
Mecklenburg Scwerin
Baden
Norvegia
Wuttemberg
Totale
Società
Soci
N. soci
medio
194
134
161
787
274
357
138
132
186
85
24.137
6.293
4.877
753
1.695
860
2.091
744
246
503
4.692.175
842.177
785.280
592.275
465.212
306.678
288.999
97.905
45.673
42.551
259
40.668
157
215
131
36
42.840
25.804
17.800
4.843
8.248.040
120
136
135
-
Patrimonio
303.715.325
85.732.388
15.260.291
16.684.150
39.816.620
7.645.035
17.624.212
2.091.094
1.841.908
3.795.600
262.247
1.511.277
255.425
496.235.572
Patrimonio
medio
12.583
13.623
3.129
22.157
23.491
8.890
8.429
2.811
7.487
7.546
1.220
11.536
7.095
-
Fonte: Statistica delle Società 1878 cit., pp. XX-XXIII.
classificazione delle società censite evidenziava la seguente distribuzione: su 12.300 società,
10.105 erano friendly societies, 1.996 societies with branches, 42 working man’s clubs e quindi
una serie minore di altre tipologie di società (M.A.I.C., Statistica delle Società di mutuo soccorso.
Anno 1878, Roma 1880, p. XXII).
5
Le società approvate erano quelle riconosciute legalmente secondo il decreto del 1852, mentre le
autorizzate erano quelle semplicemente conformi alla normativa del codice penale. (Ibid., p. XX).
6
Anche in Austria, come in Prussia, oltre alle società di soccorso classiche (gewerbliche
hilfskasse), erano molto diffuse le corporazioni tra minatori (knappsschafs-bruderladen).
5
In Italia la situazione era decisamente meno prospera: le società erano
2.091, ma i soci raggiungevano la modesta cifra di 288.999 unità.
2.
La diffusione dell’esperienza mutualistica in Italia
Il mutuo soccorso prese piede in Italia con molto ritardo rispetto ad altri
Paesi europei. Tale ritardo è imputabile a diversi fattori. in primo luogo l’elevata
frammentazione del Paese in piccoli Stati non facilitava il diffondersi omogeneo
di queste istituzioni. In particolare non bisogna dimenticare che le legislazioni
erano diverse tra Stato e Stato e che pertanto, a fronte di un’apertura a fenomeni
associativi tra i lavoratori in alcune zone, si verificava una chiusura abbastanza
netta in altre. Il caso piemontese è un esempio indicativo di questa realtà
composita. Lo Statuto albertino, ad esempio, prevedeva la possibilità di
associazione tra i lavoratori e tale disposto ne faceva una carta statutaria
notevolmente all’avanguardia in quel momento in Italia. La maggiore apertura
istituzionale verso le associazioni di mutuo soccorso non è però sufficiente a
spiegare le ragioni per cui nelle regioni del nord-ovest si svilupparono con
maggiore rapidità società mutualistiche già nel corso dei primi anni
dell’Ottocento.
Una
delle
spiegazioni
si
ricollega
al
processo
di
industrializzazione che comunque sembra affiorare con una certo anticipo in
queste zone del Paese, ma anche al legame con il vecchio corporativismo, di cui le
prime SMS portavano alcuni segni identificativi. In questa fase iniziale delle
organizzazioni mutualistiche prevalse una struttura professionale, molto simile
esteriormente alle vecchie organizzazioni corporative. Nel periodo successivo
alcuni sodalizi nacquero con una diversa natura: non si rivolgevano più
esclusivamente a una precisa categoria, ma ambivano ad accogliere quanti più
soci possibile delle più varie estrazioni ma uniti dagli stessi bisogni. Molto spesso
la creazione di una società di mutuo soccorso avveniva per volontà di soci
6
filantropi, imprenditori o sacerdoti, che così ripercorrevano a distanza di molti
anni l’esperienza delle prime friendly societies inglesi.
Con l’Unità e con l’avvio del processo definito di “piemontizzazione” degli
Stati annessi al nuovo Regno, la diffusione delle società di mutuo soccorso fu
rapida. Un evidente ritardo permaneva nelle province venete e in quella romana,
dove solo in un secondo momento il processo prenderà corpo.
Dal 1861 in poi gli istituti si moltiplicarono con rapidità e anche con una
certa capillarità su tutto il territorio nazionale. Se prima di quella data in
Piemonte, e in misura minore in Lombardia, le società di mutuo soccorso erano
già presenti, altrettanto non si poteva dire per il resto dei compartimenti del Paese.
Dai dati riportati nella terza statistica ministeriale sulle SMS7 si evince che
l’Umbria, le Marche, gli Abruzzi e praticamente tutto il Mezzogiorno non
conoscevano le possibilità offerte dal mutuo soccorso.
Tabella 2. Società di mutuo soccorso presenti in Italia prima dell’Unità e
successiva diffusione fino al 1878
A n n o d i fo n d a z io n e
C o m p a r tim e n ti
P ie m o n te
L ig u r ia
L o m b a r d ia
V e n e to
E m ilia
U m b r ia
M arch e
T o scan a
Roma
A b ru z zi e
M o lis e
C a m p a n ia
P u g lie
B a s ilic a ta
C a la b r ie
S ic ilia
S ard eg n a
R egno
7
A n te r io r e
al 1850
14
T o ta le
1
7
1
F in o a l
1878
387
66
312
146
190
48
106
213
52
-
-
43
43
1
1
50
1
1
2
186
79
71
12
26
116
33
1900
80
71
12
26
117
35
2086
10
5
10
1
1
6
1
D al 1850 al
1861
106
17
31
10
9
493
83
343
156
199
48
107
220
53
Fonte: Statistica delle Società 1878 cit., p.VI.
Le precedenti rilevazioni erano state effettuate per conto del ministero dell’Agricoltura Industria
e Commercio nel 1862 e nel 1873.
7
Il Piemonte era dunque capofila nel mutuo soccorso8, ma nel corso di pochi
anni emersero, per la vivacità con cui prendeva piede l’iniziativa, anche la
Lombardia e in particolare l’Emilia, la Toscana e il Veneto. Nell’arco di poco
meno di un ventennio gli istituti decuplicarono, concentrando la propria
distribuzione nel nord del Paese. Le ragioni di tale dislocazione furono in parte
politiche e in parte economiche. Il Meridione nel periodo successivo
all’unificazione accolse con freddezza l’estensione del sistema fiscale e del
centralismo piemontese. Ciò era in spiegabile con l’incapacità da parte della
classe politica unitaria di interpretare e dare risposte alle istanze sociali che
venivano dal sud del Paese. Il fenomeno del brigantaggio non fu altro che
un’espressione del disagio di una comunità che vedeva aggravare la propria
miseria e vedeva pertanto spegnersi le proprie capacità di riscatto sociale. Nel
Mezzogiorno l’attività economica si concentrava in agricoltura e, alla luce di
quanto riportato nell’inchiesta ministeriale, poche società di mutuo soccorso
annoveravano tra i propri soci gli agricoltori. Delle 1900 società censite solo 217
confermavano la presenza di contadini e braccianti agricoli tra le proprie fila ma, a
confermare ulteriormente la scarsa capacità di penetrazione nel sud del Paese di
queste istituzioni, la gran parte si concentrava in Piemonte9.
Il numero complessivo di soci nel 1878 era di poco superiore alle 331 mila
unità, con un saldo positivo rispetto al 1873 di 113 società e di 220 mila soci
rispetto al 1862. Le società censite nel 1878 raccoglievano un patrimonio
complessivo di circa 21 milioni (l’equivalente di circa 123 miliardi di lire del
199910), per un totale di entrate annue pari a 5.179.322 lire e spese per 3.565.490.
Inoltre ciascuna società richiedeva ai propri iscritti una tassa d’ammissione, che in
alcuni casi era unica mentre in altri variava in base all’età di ciascun socio. Nel
primo caso la media della tassa era di 2,84 lire, mentre nel caso di tasse variabili si
passava da una media minima di 1,93 lire a una massima di 10,87 lire.
8
La sola città di Torino nel 1878 contava 186 società (Statistica delle Società 1878 cit., p.VI).
9
Ibid., p.VII.
10
http://www.istat.it/Anotizie/Acom/bildem/serie.html
8
Analogo discorso valeva per i contributi annuali che i soci versavano alla
società. La media dei contributi nel caso questi fossero stati unici era di 9,40 lire,
oscillavano da un minimo di 7,61 a un massimo di 14,34 lire nel caso di contributi
variabili in base all’età del socio. La composizione della base sociale era
difficilmente qualificabile in base alle professioni svolte dai soci. In particolare
più del 66 per cento dei soci era iscritto in società genericamente definite operaie
o di mutuo soccorso senza alcun’altra specificità. Tra le società categoriali o
multiprofessionali riscuotevano il maggior numero di adesioni quelle tra
agricoltori, braccianti e artieri (12 per cento del totale degli iscritti su base
nazionale), le mutue tra ex militari, reduci e veterani (4,8 per cento), le società tra
commercianti e commessi (1,4 per cento) e quelle tra maestri, professori e
insegnanti in genere (1,1 per cento)11. Rimanevano altri 33 tipi di società
professionali di minore rilievo.
Tabella 3. Le società di mutuo soccorso in Italia per regioni e gli iscritti tra il 1885 e
il 1904
Anno
Regioni
1885
Società
Piemonte
Liguria
Lombardia
Veneto
Emilia
Umbria
Marche
Toscana
Roma
Abruzzi e
Molise
Campania
Puglie
Basilicata
Calabrie
Sicilia
Sardegna
Regno
1894
Iscritti
Società
Saldo tra 1904 e
1894
1904
Iscritti
Società
Iscritti
Società
Iscritti
816
125.310
1.330
184.405
1.339
178.300
9
-
254
35.100
360
38.020
335
40.695
-25
6.105
2.675
667
107.238
1.025
170.796
1.179
197.427
154
26.631
342
54.425
559
87.752
694
97.928
135
10.176
427
80.649
511
85.417
520
104.214
9
18.797
108
14.109
170
20.354
175
20.884
5
530
218
28.402
342
43.122
360
41.150
18
434
64.848
595
86.106
639
90.429
44
145
23.329
274
40.956
185
27.951
162
23.196
193
23.958
133
403
63.570
500
58.718
318
245
37.350
210
26.613
99
12.855
78
8.802
105
14.434
158
433
41.224
38
4.436
4.896
730.475
-
1.972
-89
-
13.005
13.112
-60
-
10.846
40.531
-182
-
18.187
109
13.262
-101
-
13.351
43
4.444
-35
-
4.358
18.009
113
10.696
-45
-
7.313
349
36.564
344
39.086
-5
68
7.094
49
5.917
-19
-
1.177
6.722
936.686
6.535
926.026
-187
-
10.660
4.323
2.522
Fonte: rielaborazione da FABBRI, Solidarismo in Italia cit., pp.44-45 e p. 63.
11
M.A.I.C., Annuario statistico italiano 1889-1890, Roma 1891, p. 305.
9
L’evoluzione del mutuo soccorso fu molto rapida negli ultimi decenni del
secolo.
Nelle rilevazioni statistiche del 1885, del 1894 e infine del 1904 furono
inseriti i dati relativi all’intera dimensione del fenomeno in Italia. Il numero delle
società crebbe in modo significativo e quasi sempre generalizzato tra il 1878 e il
1894. In questo intervallo le SMS erano più che triplicate, raggiungendo una
discreta diffusione su tutto il territorio nazionale.
La rielaborazione dei dati dell’inchiesta del 1885 permette di valutare anche
il grado di radicamento delle società di mutuo soccorso tra la popolazione.
Confrontando i dati relativi alle società e agli iscritti su base regionale con quelli
della popolazione calcolata al termine del 1888 è possibile analizzare in che modo
le società raccogliessero nella popolazione delle varie regioni consenso ed iscritti.
Tabella 4. Popolazione, società e grado di diffusione delle SMS nel 1885.
Regioni
Piemonte
Liguria
Lombardia
Veneto
Emilia
Umbria
Marche
Toscana
Lazio
Abruzzi e
Molise
Campania
Puglie
Basilicata
Calabrie
Sicilia
Sardegna
Regno
Popolazione
Società
esistenti
Popolazione
Percentuale
Iscritti per
iscritti sulla
per singola
ogni società
popolazione
società
3.264.643
938.070
3.963.499
3.055.425
2.326.182
616.287
1.008.724
2.360.609
969.965
816
254
667
342
427
108
218
434
145
4.001
3.693
5.942
8.934
5.448
5.706
4.627
5.439
6.689
154
138
161
159
189
131
130
149
161
3,8%
3,7%
2,7%
1,8%
3,5%
2,3%
2,8%
2,7%
2,4%
1.417.732
162
8.751
143
1,6%
3.084.508
1.711.105
550.458
1.342.453
3.225.916
729.612
30.565.188
403
245
99
105
433
38
4.896
7.654
6.984
5.560
12.785
7.450
19.200
6.243
158
152
130
137
95
117
149
2,1%
2,2%
2,3%
1,1%
1,3%
0,6%
2,4%
Fonte: rielaborazione da Annuario statistico italiano cit., pp. 58-63.
Il Piemonte anche in questo caso ricopriva il ruolo di regione leader per il
livello di iscritti rispetto alla popolazione. A seguire si trovava la Liguria che,
10
sebbene vantasse un numero esiguo di società, aveva un rapporto iscrittipopolazione molto alto. In generale, si nota come tutto il Mezzogiorno si
collocasse sotto la media nazionale (anche se Puglia e Basilicata erano vicine al
dato medio italiano). Tra le regioni del Nord, l’unico dato fortemente in contrasto
con l’andamento medio era quello del Veneto, regione in cui la diffusione delle
SMS era decisamente tra le più basse (circa la metà rispetto al Piemonte e alla
Liguria e superiore solo ad Abruzzo, Calabria, Sicilia e Sardegna).
Il periodo tra il 1894 e i primi anni del secolo segna una fase di
rallentamento nel processo d’espansione. Non si può parlare in modo univoco di
fase di recesso del mutuo soccorso, poiché i dati evidenziano alcune difformità
specie se il fenomeno è letto per aree geografiche. Mentre nel nord e nel centro
del Paese la mutualità continuava a riscuotere successo e a crescere, nelle regioni
del Sud si assisteva a un rapido calo sia delle società che dei soci. Tra le due
ultime rilevazioni il numero complessivo di società diminuì nel complesso, ma,
mentre nel nord le società nell’insieme aumentarono, nel sud si assistette a una
contrazione di circa il 30 per cento delle società esistenti. Il processo di
scioglimento di alcune società era in realtà cominciato alcuni anni prima: già nel
1894 in alcune regioni meridionali si registrava una diminuzione delle società
rispetto all’85. Il fenomeno è parzialmente spiegabile con il mancato sviluppo
industriale e artigiano delle regioni meridionali ma ciò non giustifica le ragioni
che portarono a una prima esplosione del fenomeno e a un rapido
ridimensionamento dello stesso. Secondo alcuni studiosi del problema
meridionale del mutuo soccorso, il rapido ridimensionamento delle società fu in
parte attribuibile a una gestione personalistica dei sodalizi, molto spesso usati
come serbatoio di voti per il raggiungimento di cariche importanti e poi
abbandonati al loro destino. Altri trovano nel legame tra proprietà latifondista e
monarchia una delle possibili ragioni dello scarso riscontro ottenuto dal
mutualismo al Sud. Scrive a tale proposito Saccomanno:
La monarchia attua nella logica della conquista regia, la piemontizzazione dell'Italia, e così
inglobò nei suoi meccanismi assistenziali e paternalistici, le varie organizzazioni mutualistiche,
che proprio per essere istituzionalizzate finirono per espandersi a macchia d'olio […] Nelle
11
campagne, in cui la proprietà nella stragrande maggioranza è a carattere latifondistico, vige una
feudalità intoccabile, per cui due classi si distinguono nettamente: i proprietari, spesso deleganti ai
"fattori" l'immediato sfruttamento delle terre e dall'altra i contadini poveri, le cui condizioni di
arretratezza e sfruttamento sono ben comprensibili sapendo che non solo erano lontani da un
rapporto di mezzadria, ma spesso non garantiti da alcun contratto.
La feudalità meridionale, incoraggiata e favorita subito dopo l'unificazione, e che pertanto
si era resa degna alleata nell'espansione a tutta la penisola del potere sabaudo, dopo questa prima
fase di assestamento era divenuta un peso per la formazione di uno stato unitario moderno […] La
feudalità invece era legata a un modo di produrre e di vegetare, non certo adeguato ai tempi, senza
dire (è questo è il fatto più importante) che il meridione veniva accettato nella sua funzione di
arretratezza come serbatoio di manodopera e che per questa ragione trovava il latifondista
meridionale e l'industriale del nord su sponde completamente opposte: una situazione analoga a
quella che largo modo si era verificata in Inghilterra e che aveva fatto dire a Riccardo: "l'interesse
del proprietario terriero è sempre in contrasto con quella di tutte le altri classi sociali"12.
Alla diminuzione delle società mutualistiche era corrisposto un calo anche
nel numero degli iscritti, benché in misura inferiore (circa l’1 per cento secondo i
dati del 1904). Nel Centro-Nord i soci erano addirittura aumentati, ad eccezione
del Piemonte, delle Marche e del Lazio (qui il calo fu particolarmente sensibile
con 13.000 iscritti in meno in un decennio). Nel Meridione i soci tendevano a
calare a una velocità impressionante: 52.710 iscritti in meno in soli 10 anni, pari al
29 per cento degli iscritti di tutto il Mezzogiorno.
I patrimoni delle società al termine del 1904 erano molto cresciuti. Questo
fu possibile da un lato, grazie alla costante superiorità delle entrate sulle uscite,
ma anche in virtù del modesto peso sino a quel momento ricoperto dalla voce
“pensioni” sugli esborsi sostenuti dalle società13.
12
R. P. SACCOMANNO, Storia sociale del comune di Grimaldi (1905-1925), pubblicato sul sito
http://digilander.iol.it/grimaldi.
13
Le cifre in grassetto sono espresse in lire correnti dell’epoca. Le cifre sottostanti sono espresse
in miliardi di lire mediante la rivalutazione rispetto al 1999 del valore di una lira nei rispettivi anni.
12
Tabella 5. Il patrimonio delle società di mutuo soccorso in Italia tra il
1873 e il 1904.
1873
Patrimonio
Entrate
Uscite
9.351.580
58,3
3.207.950
20,0
2.098.391
13,1
1878
21.141.662
124,3
5.179.322
30,5
3.565.490
21,0
1885
32.200.840
208,8
7.566.128
49,1
5.404.205
35,0
1904
72.395.544
450,4
14.532.425
90,4
11.790.028
73,3
Fonti: FABBRI, Solidarismo in Italia cit., p. 73; Statistica delle Società 1878 cit.,
p. XIV-XV; Annuario statistico italiano cit., p. 319.
I patrimoni delle società manterranno il proprio potere d’acquisto fino
all’inizio della prima guerra mondiale, quando nel 1919 la lira si sarà svaluterà di
due volte e mezzo rispetto al 1914. In quel momento la sopravvivenza di molte
società sarà messa a dura prova e solo pochi sodalizi saranno in grado di
sopravvivere.
1.
Caratteri del mutualismo italiano
L’attività mutualistica è stata considerata a lungo un fenomeno marginale e
accessorio del cooperativismo. La crescente importanza che assunse, con il
passare degli anni, il movimento cooperativo spiega in parte le ragioni che fecero
passare in secondo piano l’importanza della mutualità in Italia
Ciò non toglie che il cooperativismo e il mutuo soccorso abbiano avuto un
legame molto stretto nella loro fase iniziale. Il movimento mutualistico, in molte
occasioni, diede impulso alla nascita di cooperative di consumo e di produzione.
In questo tipo di esperienza si evidenzia come la radice ideale e morale delle due
forme associative fosse comune, anche se entrambe offrivano risposte differenti
13
sulla base ciascuna delle proprie specificità. Da un lato vi era la volontà, da parte
delle società di mutuo soccorso, di garantire ai lavoratori strumenti di difesa e di
tutela della propria condizione che il sistema di garanzia sociale non era in grado
di offrire, dall’altro lato le cooperative avevano come scopo, tra gli altri, quello di
creare nuove opportunità di lavoro e condizioni di consumo più favorevoli per i
propri soci. Le diverse direzioni in cui il cooperativismo si mosse costituirono una
delle ragioni fondamentali del successo e della durata nel tempo di queste
particolari imprese. La forma cooperativa fu usata per rispondere alle domande di
credito, di consumo di prodotti alimentari, di abitazione di molti soggetti deboli.
La cooperativa, intesa come tipologia d’impresa economica, seppe raccogliere le
domande di piccoli produttori e consumatori offrendo loro risposte convenienti.
Seppe inoltre adattarsi, sino ai giorni nostri, alle mutevoli condizioni
dell’economia, riuscendo a modificare la propria organizzazione ma mantenendo
lo spirito solidaristico iniziale.
Il cooperativismo divenne anche veicolo di sviluppo delle idee politiche per
diversi gruppi, dai moderati ai mazziniani. In particolare per Mazzini la forma
cooperativa era vista come l’associazione di capitale e lavoro, una forma di
organizzazione sociale che lo Stato si doveva impegnare a promuovere14. La
cooperativa era dunque ritenuta un’organizzazione interclassista, in grado di
promuovere un percorso di emancipazione del lavoratore, rendendolo protagonista
dello svolgimento economico e produttivo del sistema.
A differenza di quest’ultima, la mutua assistenza tra i lavoratori ha assolto i
suoi scopi per un periodo più limitato, essendo gradualmente superata nei suoi
scopi da una maggiore attenzione verso le problematiche sociali da parte della
legislazione del nuovo Stato unitario.
Gli interventi legislativi che nel 1883 istituirono la Cassa Nazionale di
assicurazione contro gli infortuni e nel 1898 l’assicurazione obbligatoria per gli
operai furono gli esempi più significativi di come lo Stato si sia preso carico dei
problemi dei lavoratori, superando le concezioni volontaristiche e privatistiche di
14
Z. CIUFFELOTTI, Dirigenti e ideologie, in Il movimento cooperativo in Italia. Storia e problemi,
a cura di G. SAPELLI, Torino 1981, p. 92.
14
autotutela degli operai. Questo processo di graduale estensione delle leggi del
nuovo welfare produsse un progressivo indebolimento del movimento
mutualistico che, nel corso di alcuni anni, perse buona parte delle originarie
ragioni che ne avevano guidato lo sviluppo15.
Limitare l’importanza delle Società di mutuo soccorso, considerandole una
parentesi durata poco più di una cinquantina d’anni, sarebbe scorretto e non
contribuirebbe a chiarire le ragioni di un progressivo mutamento sociale e politico
della classe operaia in Italia.
Per alcuni, oltre a essere state una radice indispensabile della cooperazione,
le SOMSI hanno rappresentato una prima forma di rappresentanza organizzata
tesa a far fronte ai problemi legati al primo timido sviluppo industriale del
Paese.Le Società operaie si inserirono in un vuoto creato dalla crisi delle
tradizionali istituzioni caritative e dalla contemporanea assenza di una moderna
legislazione sociale. La crisi delle vecchie strutture a protezione dei lavoratori e i
mutamenti degli stessi nuclei familiari causarono numerosi problemi, che si cercò
di superare con la costituzione di strutture e organizzazioni idonee a fornire
un’adeguata difesa a soggetti deboli in questa fase di transizione storica e
culturale. Pertanto le società di mutuo soccorso furono, prima ancora che una
concreta risposta ai nuovi problemi economici e sociali, una prima forma
organizzativa dinanzi alla crisi dei vecchi ordinamenti. Le SOMSI possono quindi
essere considerate elemento anticipatore in attesa che maturasse un reale sviluppo
industriale e che altre organizzazioni si facessero carico delle istanze dei
lavoratori.
Gli scopi che si prefiggevano le società di mutuo soccorso erano stabiliti
negli statuti approvati dalle singole assemblee generali. Analizzandone alcuni si
riscontra una tendenziale analogia nel loro insieme. Piccole differenze erano
dovute o ai caratteri specifici dei singoli sodalizi o a minime differenze
terminologiche che comunque non modificavano il significato e lo scopo
perseguiti da ciascuna società:
15
FABBRI, Solidarismo in Italia cit., p. 18.
15
Scopo principale della Società è di recarsi mutuo soccorso fra gli operai con i fondi
sociali all’occasione che o per malattia o per vecchiaia derivi incapacità, di provvedere coll’opera
propria ai necessari bisogni della vita […] La Società ha pure fra i suoi intendimenti quello di
favorire, promuovere e diffondere la istruzione, la moralità e il sincero affratellamento nelle classi
operaie; nonché di recare qualche alleviamento nei più gravi casi eziandio alle vedove e agli orfani
di queste classi..16
Appare evidente come le società mutualistiche avessero come principale
progetto il superamento delle drammatiche condizioni di incertezza in cui si
trovavano quanti ricavavano dal proprio lavoro lo stretto necessario per vivere. Il
soccorso avveniva tra pari, sia mediante il reciproco aiuto, aspetto, questo, tipico
delle confraternite, sia mediante la costituzione di un sistema mutualistico dove
era possibile assicurarsi per quasi tutte le sventure che potevano occorrere ai
lavoratori.
Si diede vita insomma a dei primordiali e spesso insufficienti
“ammortizzatori sociali”, strumenti che, con il passare degli anni e l’incedere
veloce, anche se tardivo, del processo di industrializzazione nel nostro Paese,
furono pienamente accolti nel novero delle leggi fondamentali e imprescindibili
dello Stato.
Come in ogni fenomeno innovativo e allo stesso tempo di transizione, è
difficile trovare un indirizzo univoco o elementi universalmente validi per
spiegare il fenomeno nelle sue diverse fasi. La realtà delle società di mutuo
soccorso è tanto più varia quanto più sono estesi l’ambito geografico di
osservazione e il periodo di riferimento. Le diverse anime che attraversarono il
movimento non permettono di collocare questo fenomeno all’interno di una
precisa linea di pensiero o corrente politica.
E’ certo che le società mutualistiche furono in grande maggioranza
portatrici di idee di progresso nel campo sociale, basandosi su una morale
attivistica e laica, almeno in una prima fase. L’avversione di alcuni dei fondatori
verso i precetti della Chiesa ma non verso le massime evangeliche spiegano in
16
SOMSI, Statuto con disposizioni regolamentari della Società di mutuo soccorso fra gli operai di
Cividale, Cividale 1869, art. 2 e 3.
16
parte le ragioni del riconoscimento che lo stesso Pio IX conferì a questi sodalizi
nel 184917. Ciò non toglie che in alcuni casi le organizzazioni cattoliche ebbero la
capacità di costituire società di mutuo soccorso tra gli agricoltori, in quanto nelle
campagne e nel mondo rurale rimanevano fortemente radicati le tradizioni e il
senso di appartenenza alla Chiesa cattolica. Nelle zone a più forte
industrializzazione, al contrario, prevalse una crescita delle società di matrice
laica e anticlericale.
Esiste peraltro una differenza tra la posizione laica e quella anticlericale
assunta da alcune società. La scelta laica era interpretabile come un’opzione di
neutralità rispetto alle ingerenze dirette della Chiesa all’interno del movimento
mutualistico. Per taluni versi la laicità del sodalizio garantiva un’equidistanza sia
rispetto alle posizioni confessionali sia a quelle più rigidamente antiecclesiastiche.
L’anticlericalismo praticato da alcuni sodalizi si inseriva invece in un processo di
forte caratterizzazione ideologica. Sotto questo profilo la nascita di società
qualificatesi come cattoliche, democratiche, mazziniane, socialiste, fu il segnale di
una contrapposizione ideologica forte che puntava a contrassegnare il territorio e
certi ambiti sociali.
In una prima fase le società nascevano con scopi puramente mutualistici e
senza uno specifico orientamento politico. In questo periodo ebbero un grande
sviluppo le società di stampo professionale, all’interno delle quali si trovavano
lavoratori che svolgevano il medesimo tipo di attività. Analogie si possono
riscontrare con le vecchie corporazioni di arti e mestieri, anche se, rispetto a
queste ultime, vi era una diversità di approccio al problema della tutela dei
lavoratori. Mentre nelle corporazioni si tendeva a manifestare uno spirito di
solidarietà completamente volontaristico e occasionale, nelle società di mutuo
soccorso si affermò, sia pure con una certa approssimazione, il principio del
“diritto alla prestazione”. E’ evidente la differente impostazione tra le due
tipologie che, nel primo caso, era riconducibile a un interventismo assistenziale a
tutela anche del decoro della corporazione, mentre nel secondo alla costruzione di
un sistema di intervento caratterizzato dall’aiuto economico, dalla solidarietà,
17
FABBRI, Solidarismo in Italia cit., p. 23.
17
dalla comunanza dei fondi e da un preciso ordinamento statutario che non sancisse
semplici possibilità per i soci ma precisi diritti.
Numerose società al loro interno annoveravano figure di soci non effettivi,
spesso coincidevano con soggetti non appartenenti al mondo artigiano od operaio:
si trattava di notabili, filantropi, benestanti e, più in generale, di esponenti della
borghesia cittadina che si riconoscevano nell’ala più “progressista” della società e
che si rendevano promotori dei sodalizi. I loro contributi consistevano spesso in
elargizioni di denaro o in prestazioni gratuite inerenti alla propria attività
professionale, qualora si trattasse di medici, avvocati o altro.
I motivi che spingevano a partecipare alla creazione e alla diffusione di tali
sodalizi variavano da luogo a luogo e da circostanza a circostanza. In alcuni casi si
trattava di un’iniziativa meritoria senza alcun fine se non quello di giovare a
quanti versavano in condizioni economiche di difficoltà o di incertezza; in altri
casi si trattava di creare una struttura che potesse fungere da veicolo delle proprie
idee politiche, le quali influivano sull’orientamento e la gestione delle società.
Questo secondo caso è stato forse il più diffuso in Italia nel periodo
immediatamente successivo all’Unità. Intorno alle società di mutuo soccorso si
scatenò una dura lotta che vide coinvolte tutte le forze politiche e sociali
dell’epoca.
Lo sviluppo del movimento che, con il passare degli anni, aumentava le
proprie dimensioni rendeva la guida e la funzione di indirizzo dello stesso molto
ambita. Numerosi furono gli scontri tra le parti che vivacemente si affrontavano
sul terreno politico per l’acquisizione del controllo del movimento mutualistico.
Le prime schermaglie si manifestarono subito dopo l’unificazione del Regno,
quando le posizioni del Mazzini, che da molti anni si era reso promotore di un
radicale cambiamento all’interno delle nascenti associazioni, furono formalmente
ufficializzate al congresso delle società operaie del 1861 a Firenze. L’idea di
Mazzini era incentrata sulla costituzione di una federazione delle società operaie
che divenisse la base sulla quale costruire un’opposizione antimonarchica e
antigovernativa. Egli voleva affermare il ruolo autonomo delle società
mutualistiche dallo Stato, anche se esse ne surrogavano le funzioni nei settori
della previdenza e dello sviluppo sociale del lavoratore.
18
La posizione dei moderati sosteneva la totale estraneità delle società operaie
alle vicende politiche che attraversavano il Paese18. È evidente come anche tale
posizione fosse espressione di una determinata concezione politica. Sono
eloquenti in proposito le osservazioni del ministro dell’Agricoltura, pubblicate in
margine alla relazione sulle società di mutuo soccorso del 1864. Egli sosteneva
che l’autonomia delle società era essenziale per permetterne lo sviluppo, e ai soci
il governo doveva solamente garantirne la libertà e la sicurezza. Un’eccessiva
politicizzazione di queste istituzioni avrebbe fatto smarrire gli obiettivi per cui
erano nate. Sul tema riguardante l’organizzazione interna della società il ministro
riteneva necessaria un’impostazione che decentrasse il potere amministrativo e
organizzasse le società secondo categorie professionali. Queste considerazioni,
invero, costituivano un limite al principio del mutuo soccorso: la nascita delle
società mutualistiche in Italia e in tutta Europa fu riconducibile al superamento di
una logica di tipo corporativistico che sino a quel momento aveva caratterizzato
l’associazionismo. Una prima preoccupazione del governo consisteva nella
possibilità che si formasse una federazione per raccogliere le varie società sul
territorio nazionale (come auspicato dal Mazzini); una ulteriore era legata al
timore che la creazione di società generali potesse mettere in relazione ambienti
associativi differenti tra loro con pericolosi sviluppi dal punto di vista politico. Le
differenti letture del fenomeno mutualistico sono dunque connaturate alle diverse
angolature politico-ideologiche dell’epoca.
Nonostante le raccomandazioni della commissione permanente incaricata di
preparare il congresso di Firenze per evitare che si affrontassero temi di natura
politica durante il congresso stesso, le discussioni si orientarono da subito in
quella direzione. I moderati affrontarono i democratici e i mazziniani, sostenendo
la necessaria estraneità della politica dalla vita delle società, ma l’approvazione
dell’ordine del giorno in cui si riconosceva la legittimità di affrontare questioni
18
Esponente di spicco di questa scuola di pensiero fu Luigi Luzzatti, il quale sostenne con forza la
teoria del self-help in campo economico. Nel suo saggio sulle banche popolari Luzzatti individuò
nelle società di mutuo soccorso uno strumento utile per raggiungere questo scopo (CIUFFELETTI,
Dirigenti e ideologie cit, p. 99).
19
politiche ritenute utili alla crescita delle società e a un loro consolidamento, portò
all’abbandono da parte dei moderati del congresso, il che aprì una scissione
all’interno del movimento. Ciò diede la possibilità alla corrente mazziniana di far
approvare all’assemblea generale le proprie istanze: suffragio universale,
unificazione delle società, laicità dell’istituzione, promozione di una cultura
operaia e sociale19.
Quel congresso segnò dunque la prima sconfitta da parte della componente
liberale e moderata che nella prima fase aveva guidato il mutuo soccorso in Italia.
Ciò non significò che le forze liberali che si riconoscevano nella Destra storica
abbiano abbandonato il terreno della mutualità, anche se tra le società e il governo
crebbe in tal modo il distacco politico.
In una fase successiva della storia delle società di mutuo soccorso i sodalizi
divennero anche uno strumento per sostenere la lotta dei lavoratori. In questa
materia le posizioni delle società furono diverse: molte di esse passarono dalla
sostanziale estraneità al pieno appoggio della causa dei salariati.
In Italia diverse società supportarono le lotte dei lavoratori per il
raggiungimento di migliori condizioni di vita e di lavoro. Si assistette in alcuni
casi al passaggio da una ragione “sociale” dell’attività di queste istituzioni a una
vera e propria ragione “sindacale”. Alcune società fecero passi decisi in questa
direzione, altre sostennero posizioni più ambigue, ma ciò non tolse che in alcuni
casi si sia cominciato ad accostare alla classica attività mutualistica anche una
forma di soccorso ai lavoratori per far fronte ai mancati guadagni derivanti
dall’adesione ai primi scioperi20. Si trattava di un appoggio indiretto alla causa dei
lavoratori delle società di mutuo soccorso, le quali, non potendo sostenere la causa
19
R. ZANGHERI, Nascita e primi sviluppi, in ZANGHERI-GALASSO-CASTRONOVO, Storia del
movimento cooperativo in Italia 1886-1986, Torino 1987, pp. 6-12.
20
I. BARBADORO Il
sindacato in Italia. Dalle origini al 1908, Milano 1979, p. 11. In alcune società,
inoltre, conviveva accanto al fine mutualistico lo spirito di rappresentanza categoriale. In certi casi,
nelle società di mutuo soccorso professionali, la dirigenza svolgeva anche un ruolo di
rappresentanza locale della categoria nelle vertenze con i proprietari.
20
Ciò era possibile specie in quelle società ove più marcata risultava la presenza delle componenti
di matrice socialista e del movimento operaio.
20
dei lavoratori in modo esplicito, permettevano a questi ultimi di adoperare lo
strumento dello sciopero senza subirne le ricadute economiche21. Queste posizioni
furono diversamente accolte all’interno del movimento mutualistico.
Emerse già dai primi congressi delle SOMSI la tendenza di una parte degli
studiosi e promotori del movimento a inglobare la mutualità organizzata
all’interno del più generico corpus del movimento operaio. Questa tendenza fu
rigettata da altre componenti del mutualismo, le quali sostenenevano che la
funzione di tutela delle esigenze dei settori più deboli della società svolta dalle
mutue non poteva coincidere con il sistematico inserimento delle stesse all’interno
degli strumenti di lotta del nascente movimento operaio. Nel congresso del 1861
era emersa una netta disapprovazione dell’utilizzo dello strumento dello sciopero,
in quanto elementi di scissione tra imprenditori e operai22.
Nuove tensioni e forti contrapposizioni sui temi organizzativi delle società
di mutuo soccorso si manifestarono con l’affermarsi del socialismo organizzato in
Italia. La piena maturazione e la reale penetrazione nel territorio dei socialisti
avvenne solo in una fase di sviluppo avanzato del mutualismo. Secondo alcuni, la
progressiva ascesa socialista coincise addirittura con la prima fase di declino delle
società operaie. L’azione sindacale contro lo sfruttamento capitalistico acquisiva
forma e sostanza dopo la maturazione dell’autocoscienza delle condizioni di
lavoro imposte e dei bisogni operai. Le rivendicazioni dei socialisti non sempre si
avvalsero, come strumento di propaganda, delle strutture del mutualismo al quale
peraltro rivolsero dure accuse e verso cui manifestarono un atteggiamento di
chiusura. L’ala più avanguardista del sindacato e del socialismo non esitava a
definire “vecchiume mutualistico” le società operaie che, a suo giudizio, erano
spesso troppo compromesse a causa della composizione sociale spiccatamente
interclassista23. Essa vedeva nella continua espansione dei sodalizi un forte freno
allo sviluppo della classe operaia. La presenza numericamente imponente di soci
21
Questa posizione rispecchiava fedelmente la visione dei democratici e dei mazziniani, che
sostenevano contro la lotta di classe l’interclassismo nella sue varie forme (cooperative e società di
mutuo soccorso principalmente).
21
filantropi, animati da spirito paternalistico, alla guida delle società rendeva i
sodalizi istituzioni non “degli operai” e dei lavoratori in genere, bensì semmai
delle istituzioni “per gli operai”. Sarebbe mancata in sostanza un’autonoma
organizzazione delle società mutualistiche, tanto che alcuni temettero che esse si
potessero trasformare in un tranello per il povero e in una sicurezza solo per il
ricco. L’interpretazione socialista tendeva a considerare le SOMSI lontane dalle
esigenze concrete dei lavoratori, nonché strumento di controllo e di mantenimento
della pace sociale al servizio delle forze moderate. Si sosteneva, a esempio, che le
organizzazioni mutualistiche si sarebbero dovute occupare di una politica volta al
miglioramento delle condizioni di lavoro dell’operaio, prevenendo in questo senso
le malattie e gli infortuni, piuttosto che prodigarsi nella raccolta di denaro da
ridistribuire al lavoratore ammalato o infortunato. In questo senso appare evidente
come la polemica tra le emergenti leghe di resistenza, di ispirazione socialista e
anarchica, e i sodalizi mutualistici avesse come fondamento il diverso scopo che
le associazioni avrebbero dovuto raggiungere (per i liberali e i moderati il
controllo e la conservazione dell’ordine sociale vigente, per i mazziniani la
creazione di un sistema democratico e repubblicano). La critica alle società di
mutuo soccorso provenne esclusivamente da quella parte che maggiormente
metteva in discussione il loro ruolo, e che ne relativizzava l’effettiva influenza
sociale, ritenendole anzi un semplice lenimento di un malessere sociale molto
acuto. Nel corso dell’ultimo ventennio dell’Ottocento questa posizione divenne
sempre più accentuata e giunse a considerare le società di mutuo soccorso
completamente prive di ogni attributo classista e “proletarie” solamente perché
composte in prevalenza da operai24. Queste valutazioni non evitarono che
esponenti socialisti partecipassero con interesse ai sodalizi, a volte con il semplice
scopo di limitare l’influenza delle componenti politiche moderate già presenti nei
23
24
,BARBADORO,Il sindacato in Italia cit.,pp. 8-9.
I socialisti guardavano criticamente alle società di mutuo soccorso generiche, in cui erano
rappresentati soci di estrazione e professioni differenti. Ritenevano, infatti, che questo non
contribuisse alla maturazione di una coscienza di classe, elemento indispensabile per
l’emancipazione dei lavoratori.
22
consigli delle società, in altri casi con il preciso obiettivo di ottenere il controllo
degli organi di governo delle SOMS.
I sindacalisti si trovarono a sostenere, contro i democratici, posizioni vicine
a quelle espresse, alcuni anni prima, dagli esponenti della Destra storica circa
l’inopportunità di costituire società multiprofessionali. Mentre da un lato si
temeva la diffusione tra diversi settori e professioni delle idee mazziniane, per la
componente socialista l’interclassismo non avrebbe mai permesso la nascita di
una coscienza operaia, confusa dalla presenza di idee e istanze diverse tra loro. In
realtà è difficile pensare che nelle città di modeste dimensioni potessero sorgere
associazioni professionali, per ragioni strettamente pratiche. Mentre nelle grandi
città, nelle quali si era già avviato un processo di industrializzazione, era possibile
raccogliere un numero di soci con professioni omogenee se non uguali, nei piccoli
centri della periferia o nelle città dove solo da poco avevano preso piede nuove
attività produttive, era spesso difficile raccogliere anche solo un numero minimo
di soci che potessero permettere di fondare un’associazione professionale.
Infine la forte contrapposizione tra la resistenza e le società mutualistiche fu
in parte dovuta al differente riferimento culturale e sociale. La riproposizione di
idee elaborate a difesa di un proletariato di fabbrica non italiano, che viveva in
sistemi in cui già da tempo si era avviato un processo spinto di industrializzazione
e dove il capitalismo aveva già mostrato alcuni dei sui aspetti deteriori, non
sempre poteva essere aderente alla realtà nazionale. La rapida velocità di
circolazione delle idee determinò l’adesione ai principi e alle rivendicazioni di una
classe operaia europea sostanzialmente diversa da quella italiana di fine
Ottocento. Le strutture delle società anglosassoni sul cui modello erano sorte
quelle italiane, presentavano livelli numerici decisamente superiori di aderenti e
una longevità che le consorelle italiane ancora non potevano vantare. In Italia la
classe sociale predominante nelle SMS non sempre era in grado di recepire le
istanze di progresso espresse dal lavoratore inglese, in quanto permaneva un forte
legame con attività agricole e artigianali; la fabbrica moderna rivestiva ancora un
ruolo marginale nel processo di sviluppo economico del Paese.
Il lento percorso di industrializzazione di alcune aree del Paese portò a un
irrigidimento delle posizioni politiche sia nell’ambito delle società, sia all’esterno
23
di esse. In questo quadro l’aumento della conflittualità tra le parti condusse da un
lato alla nascita di nuove organizzazioni a tutela dei lavoratori (sindacati e
confederazioni operaie), dall’altro al progressivo allontanamento degli operai
dalle SOMSI. Questo ulteriore sviluppo, accanto al parziale trasferimento delle
funzioni delle società allo Stato, contribuì alla fase di declino del movimento. In
questo contesto si venne a formare una larga base di lavoratori che nei primi anni
del nuovo secolo assunse le connotazioni di una vera e propria classe: quella degli
artigiani, dei piccoli imprenditori, dei commercianti, dei minori proprietari
terrieri. Venne a delinearsi una classe che aveva come principale caratteristica la
propria autonomia economica e sociale, tale da renderla equidistante tanto dalla
classe dominante borghese o agraria che dal cosiddetto “proletariato”. Sempre più
le proposte di parte moderata e quelle mazziniane di associazione del capitale con
il lavoro furono ritenute come utile strumento per appianare il conflitto sociale e
tuttavia non come reali soluzioni ai problemi della nascente classe operaia.
2.
Nascita e sviluppo del mutualismo in Friuli.
Il mutualismo friulano si sviluppò subito dopo l’Unità. La nascita delle
prime società di mutuo soccorso rappresentava un ulteriore passo verso la piena
integrazione dei territori friulani nel sistema politico e sociale del Regno d’Italia.
Furono gli stessi esponenti del governo a sostenere la necessità che anche in
queste zone del Paese sorgessero delle istituzioni che offrissero un segno del
cambiamento in corso nella società e nel sistema politico.
In Friuli, al pari delle altre realtà italiane, la nascita delle SMS trovarono
impulso anche se non confessato, nel bisogno di proselitismo che animava uomini
e partiti politici. Per tale ragione molti esponenti di spicco della politica locale e
nazionale le tennero a battesimo e le considerarono come un proprio feudo, del
quale servirsi per la propaganda. Con questo processo di politicizzazione, volto a
mantenere il controllo su di una fascia dell’elettorato assecondandone le richieste,
24
si realizzò nello stesso tempo anche la prima forma di contributo popolare alla
vita pubblica25.
La nascita delle società di mutuo soccorso in Friuli non avvenne
casualmente subito dopo l’unificazione. Nel progetto del Sella, allora
commissario del re al seguito dell’esercito in Friuli, le organizzazioni di mutuo
soccorso tra gli artigiani avrebbero dovuto sostenere la parte moderata dei liberali
(della quale era esponente autorevole) contro quella più progressista, democratico
garibaldina. La preoccupazione del Sella era giustificata dalla nascita a Udine di
organizzazioni mazziniane che spesso si raggruppavano intorno a delle
pubblicazioni giornalistiche, come ad esempio “La voce del popolo”, primo
quotidiano del Friuli libero, nato nel luglio del 1866 e di ispirazione liberal
progressista. Già nel 1865 a Udine uscì il settimanale “L’artiere”, giornale diretto
da Camillo Giussani, il cui scopo era quello di offrire delle risposte alle
problematiche sociali della “classe lavoratrice”. Nelle colonne di questa
pubblicazione già si parlava della possibilità di costituire in Friuli delle mutue tra
lavoratori, seguendo l’esempio di molte altre città del Regno26. La pubblicazione
divenne per un brevissimo periodo organo di stampa ufficiale della società di
mutuo soccorso di Udine in quanto cessò le pubblicazioni nel 1867 dopo poche
uscite.
Per attuare il suo progetto il Sella si affidò alle proprie capacità e all’aiuto di
uno dei più importanti esponenti del giornalismo friulano di fine Ottocento:
Pacifico Valussi. L’esponente del governo capì l’importanza della stampa come
mezzo per far diffondere i propri progetti tra i cittadini friulani e per tale ragione
conferì al noto giornalista friulano la direzione di un giornale che facesse da
contro altare alla “Voce del popolo”.
Il Valussi dal canto suo nell’accettare l’incarico espose al Sella la necessità
di procedere con rapidità nella soluzione di alcuni tra i più importanti problemi, e
25
T. TESSITORI, Le società operaie di mutuo soccorso nella storia politica del Friuli, in S.O.M.S.I.
CIVIDALE DEL FRIULI, Cenni storici nel centenario di Fondazione. Cividale 1970, p. 15.
25
tra questi vi era anche la costituzione, prima in Udine e poi nei maggiori centri
della regione, di una società di mutuo soccorso tra gli operai27. Il Sella, nel dare
attuazione a questo progetto, da un lato profuse il proprio impegno diretto a
sostegno dell’iniziativa di cui condivideva lo scopo e nelle quali individuava un
fruttuoso ritorno in termini politici; dall’altro coinvolse coloro che meglio
avrebbero potuto incidere sull’opinione pubblica, evitando così una pericolosa
deriva progressista. Il Sella partecipò ad incontri pubblici nei quali spese parole di
elogio nei confronti di chi si rendeva promotore di iniziative meritorie e dirette al
benessere pubblico. Ne fu un esempio l’incontro che tenne a Pordenone
nell’ottobre del 1866 durante il quale, oltre ad elencare le molteplici funzioni delle
società operaie, conferì un primo contributo ai fondatori del sodalizio28. Per dar
vita al sodalizio udinese, Sella convocò presso la propria residenza 32 tra gli
artigiani di maggior fama, i quali, compresa l’importanza e la bontà dell’iniziativa
sottoscrissero una prima bozza dello statuto. Il commissario diede inoltre lettura di
una lettera del podestà Giacomelli29 in cui si manifestava il pieno appoggio
morale e materiale all’iniziativa, garantendo una sede presso gli uffici comunali e
un primo lauto contributo per le spese d’impianto30.
Le prime società friulane furono dunque quelle di Udine e di Pordenone,
entrambe sorte nel 1866 a distanza di pochi mesi, cui seguì poi S. Vito (1867),
Spilimbergo (1868) e Cividale (1870). In particolare, il sodalizio udinese nacque
sulla base dello schema predisposto dalla consorella di Vicenza, dalla quale mutuò
ordinamento e disposto statutario. Da quel momento in poi il movimento
26
La costituzione di una società di mutuo soccorso a Udine era stata proposta nel 1865 senza
risultati di fatto, causa lo scarso interesse con cui il municipio accolse la proposta (C. GIUSSANI,
Parole e fatti, «L’ARTIERE UDINESE», 8 ottobre 1865, pp. 113-114.).
27
C. RINALDI, Il giornalismo politico friulano dall’Unità d’Italia alla resistenza, Udine 1986, p.
75-76.
28
P. GASPARDO, Un secolo, oggi: la storia dell'Operaia e di Pordenone nella scuola di disegno
"Andrea Galvani" 1872-1975, Pordenone 1977, p. 11.
29
Lo stesso Giacomelli sostenne più volte la necessità di costituire una società di mutuo soccorso
dalle pagine de “L’ARTIERE UDINESE”.
26
mutualistico in regione crebbe e di diffuse con una discreta capillarità toccando
principalmente i centri più importanti dal punto di vista artigianale, commerciale e
industriale del territorio.
In questa prima fase la lotta per il controllo delle società era limitata alle due
componenti liberali del panorama politico, entrambe caratterizzate da una forte
posizione anticlericale. Il dibattito tra Destra e Sinistra storica catalizzò
l’attenzione dell’opinione pubblica nel corso dei primi anni dopo l’annessione,
cominciando a marcare delle differenze programmatiche all’interno dello
schieramento liberale31. La successiva ascesa della Sinistra al governo del Paese
cui si legò il fenomeno del trasformismo scossero il quadro politico regionale,
dando possibilità a nuove formazioni di guadagnare gradatamente la scena.
La situazione della mutualità nella provincia friulana in questo periodo è
descritta nella statistica ministeriale del 1878. In Friuli a quella data furono
censite 16 società di mutuo soccorso, di cui 7 nella sola Udine. Tra le più
importanti oltre a quella operaia udinese vi erano quelle di Pordenone, di S. Vito,
di Cividale, di Spilimbergo e di S. Daniele e la società con sede a Udine che
raccoglieva e reduci delle patrie battaglie.
L’intera provincia contava 3.270 soci iscritti alle mutue, di cui solo una
minima parte donne. A questo proposito la società di Cividale fu quella che
raccolse il maggior numero di lavoratrici in rapporto al numero complessivo dei
soci (circa il 23 per cento del totale degli iscritti). La società udinese raccolse
nell’arco di poco più di un decennio 1.007 soci, una cifra davvero ragguardevole e
pari a un terzo degli iscritti dell’intera provincia. A seguire per numero di iscritti
si trovava la società di mutuo soccorso di Pordenone, con 549 iscritti (solo
uomini), quella tra gli ex combattenti di Udine (364 soci), quindi quella tra gli
30
JACOB e COLMEGNA, Società di mutuo soccorso ed istruzione di operaj, «L’ARTIERE UDINESE»,
26 agosto 1866, pp. 278-279.
31
Gli stessi Valussi e Giussani, rispettivamente direttore e vicedirettore del “Giornale di Udine”
cominciarono a far emergere posizioni differenti: il primo, liberale conservatore; il secondo più
aperto alla questione sociale. Per tale ragione, con la vittoria della Sinistra storica nel 1876,
Giussani si staccò definitivamente dal “Giornale di Udine” per fondare e dirigere “La patria del
Friuli” (RINALDI, Il giornalismo politico friulano cit., p. 96.).
27
operai del distretto di S. Vito (349) e quella di Cividale (236). La società udinese
era la più importante per numero di soci iscritti anche rispetto alle vicine province
del trevigiano e di Venezia32. A Venezia, ad esempio, le società di mutuo soccorso
erano complessivamente 18, per la gran parte professionali, e tra queste solo
quella tra gli operai meccanici e i fabbri superava i 300 soci33.
L’ammontare del patrimonio delle società variava notevolmente da società a
società: la SMS di Udine disponeva di un patrimonio pari a 111.099 lire,
equivalente alla metà del totale dei patrimoni dei sodalizi friulani e pari a ben otto
decimi del totale dei patrimoni delle società della provincia di Treviso. La società
udinese possedeva anche il miglior rapporto di capitalizzazione rispetto alle altre
società, raggiungendo la soglia delle 110 lire di patrimonio pro capite (la media
nazionale era di 64,49 lire e quella del Veneto di 69,32). Solo le società di
Pordenone, Spilimbergo e il Consorzio filarmonico udinese avevano un
patrimonio pro capite superiore alla media regionale ma il dato è giustificabile in
alcuni casi dalla giovane età dei sodalizi, in gran parte nati dopo il 1870. I sussidi
medi giornalieri oscillavano tra le 1,5 lire e i 50 centesimi. Ogni società decideva
autonomamente la cifra da concedere ai propri soci in caso di malattia e il periodo
massimo di soccorso, commisurando il contributo alla propria capacità
patrimoniale. Le società con un maggior numero di anni potevano offrire con il
passare e grazie all’accumulazione di patrimoni via via maggiori, sussidi più alti,
salvo mantenere sempre l’equilibrio di bilancio.
Nella successiva statistica del 1885 le società friulane erano 39, di cui solo
36 risposero ai questionari ministeriali. Durante questo periodo erano nate diverse
società tra cui quelle di Codroipo (1878), di Latisana e Tolmezzo (entrambe nel
1881)34 e di Tarcento. (1883). I soci effettivi ammontavano complessivamente a
6.549, mentre il numero di sussidiati durante l’anno era stato pari a 1.364 unità. Il
patrimonio delle 36 società censite era di 451.555 lire, secondo solo a quello della
32
N. PANNOCCHIA, Il movimento sindacale e cooperativo nella sinistra Piave dalle origini al
primo dopoguerra, Portogruaro 1994, pp. 52-55.
33
Statistica delle società 1878 cit., pp. 174-177.
34
E. MARIGLIANO, Figli dell’officina, siam figli della terra, Pordenone 1998, p. 20.
28
provincia di Venezia e di poco inferiore a quello della provincia patavina. I sussidi
concessi erano pari a 28.028 lire.
Tabella 6. Le Società di mutuo soccorso in Friuli nel 1878.
1866
1866
1.007
549
111.099
40.453
110,3
73,7
6.315
3.295
Sussidi
giorn.
medio
1,5
1,3
1867
349
4.720
13,5
1.717
1,0
1867
1870
122
236
9.767
12.752
80,1
54,0
675
798
0,7
1,1
S.O.M.S. I.
1870
171
10.759
62,9
494
1,0
Udine
Ass. operai tipografi
italiani
1874
23
137
6,0
70
1,0
Gemona
S.M.S. fra gli operai
1875
70
2.771
39,6
73
1,3
Udine
Società dei sarti
Consorzio filarmonico
udinese
1875
51
914
17,9
117
1,0
1875
27
2.224
82,4
90
1,5
S.O. Nodo ferreo
1875
16
971
60,7
-
-
S.O.M.S
Soc. fra parrrucchieri e
barbieri
1876
94
1.244
13,2
-
-
1876
45
571
12,7
1.367
3,8
-
-
-
-
-
7,4
-
-
Comune
Denominazione
Udine
Pordenone
S. Vito al
Tagliamento
Spilimbergo
Cividale
S.O.M.S.I.
S.O.M.S.I.
S.M.S. fra gli operai del
distretto
S.M.S. fra gli operai
S.O.M.S.I.
S. Daniele
Udine
Moggio
Udinese
Buttrio
Udine
Data di
fondaz.
Soci al Patrimonio Patrimonio Sussidi
1878
al 1878
procapite erogati
Udine
Società dei reduci delle
patrie battaglie
1878
364
Pordenone
Società dei reduci delle
patrie battaglie
1878
81
Udine
Soc. dei falegnami,
cooperativa di lavoro
1878
65
483
3.270
200.232
Totale
-
52
43 13.696
0,5
1,1
Fonte: M.A.I.C., Statistica delle società 1878 cit., pp. 284-287 e pp. 174-177.
La sconfitta della Destra storica e il trasformismo della Sinistra succedutagli
al governo, diedero spazio alla nascita di numerosi schieramenti politici. Anche i
cattolici, fino a quel momento estranei alla vita politica cominciarono a prendere
coscienza del proprio ruolo all’interno del sistema sociale e dell’opinione
29
pubblica. Gli atteggiamenti anticlericali dei liberali avevano scavato un solco
netto tra le forze che sostenevano la Chiesa e il mondo politico, costringendo
queste ultime a dotarsi di autonome strutture sino a quel momento in mano ai
liberali. Queste strutture interessavano vari aspetti della vita dei cattolici: si
trattava di casse di risparmio, di mutue per il bestiame e di società di mutuo
soccorso35. Il fiorire di queste istituzioni non cancellava il ritardo della diocesi
udinese rispetto a quelle venete, anche se da quel momento era possibile
intravedere un ritrovato spirito di aggregazione intorno alle opere confessionali
anche in Friuli36. Tali iniziative furono principalmente introdotte nel mondo
rurale, dove maggiore era l’attaccamento delle persone ai valori diffusi dal clero.
Nelle campagne si favorirono largamente le scuole serali, gli acquisti collettivi di
concimi, di attrezzi per l’agricoltura e di quanto necessario per aiutare i contadini
nella loro opera. Allo sviluppo del movimento cooperativistico cattolico contribuì
in modo particolare l’Enciclica “Rerum Novarum” del 1891 di papa Leone XIII37.
Il movimento così descritto assumeva sempre più i connotati di una forza politica
numericamente rilevante e ben organizzata, anche se non ancora ufficialmente38.
Al risveglio dei cattolici, rispondevano i socialisti i quali, affacciatisi sullo
scenario politico della provincia solo a fine Ottocento, riscuotevano crescente
consenso tra i lavoratori. La posizione dei socialisti friulani rispetto alle società di
mutuo soccorso cambiò nel corso degli anni. In una prima fase tra i socialisti
prevalse la diffidenza verso le SMS, dominate a fine Ottocento dalle personalità
35
Nel 1901 le società di mutuo soccorso cattoliche erano 12, tra cui emergevano per importanza
quelle di Udine, Buia, Gemona e Cividale (TESSITORI, Le società operaie cit., p. 17.).
36
37
T. TESSITORI, Storia del movimento cattolico in Friuli, Udine 1989, p. 62
Elementi per la storia della cooperazione nel Friuli-Venezia Giulia, a cura della REGIONE
AUTONOMA FRIULI-VENEZIA GIULIA, Trieste, p. 43.
38
Accanto al movimento cattolico “ortodosso”, nel periodo immediatamente successivo
all’annessione, si era sviluppato un movimento riformista e scismatico alla cui guida si collocò il
sacerdote Giovanni Vogrig. Questi sosteneva, in contrasto con la Chiesa romana, la necessità una
riforma della Chiesa cattolica su basi democratiche e in armonia con lo stato laico (RINALDI, Il
giornalismo politico friulano cit., pp. 165-168.).
30
della borghesia liberale. Il congresso delle società operaie friulane che si tenne a
Udine nel 1896, avvalorò ulteriormente la tesi dei socialisti i quali scrissero:
Il congresso operaio di domenica scorsa al Minerva a noi ha fatto l’effetto né più né meno
che di uno scambio di idee tra alcuni valentuomini – non v’ha dubbio – ma che di operaio non han
veste ne nome. Come assemblea operaia, il congresso è stato dunque una disillusione. […] Se
alcuni avvocati, professori, proprietari e direttori di imprese industriali non possono e non devono
essere – quali si atteggiano – i soli naturali e legittimi tutori e rappresentanti degli interessi del
proletariato, la colpa è più di questo che di quelli, ai quali è abdicato, con l’inerzia e l’incoscienza,
le sue funzioni e i suoi diritti. […] Una sola nota stridente ci fu e passò inavvertita (o non la si
volle rilevare, forse per quella tale preoccupazione di non sciupare l’idillio generale, sul quale in
buona parte fonda anche l’equivoco delle società di mutuo soccorso): l’attacco abbastanza violento
per quanto non esplicito, al nostro partito, da parte del repubblicano avvocato Policretti39.
Le posizioni intransigenti dei socialisti erano in realtà più propagandistiche
che concretamente percorribili. Escludere dalle società tutti coloro che non fossero
appartenuti alla classe operaia e trasformare le mutue in strumenti al servizio della
lotta di classe era irrealizzabile40. I toni esasperati del primo periodo socialista si
smorzarono e lasciarono spazio ad una fase di dialogo, più improntata ad un
riformismo graduale delle società che a delle autentiche rivoluzioni strutturali. Il
cambiamento divenne lampante quando esponenti illustri del socialismo friulano
riuscirono a raggiungere il controllo di talune società, come a Udine nel 1907.
L’avvocato Giovanni Cosattini, esponente di spicco dei socialisti udinesi,
nominato relatore della commissione per le modifiche allo statuto della Società
dichiarò in un’intervista:
Noi intendiamo di dare alla società un nuovo indirizzo in tutta la sua manifestazione; un
indirizzo “commerciale” su tutta la linea. Per spingerla occorrono molte cose e molta buona
volontà. Intanto bisogna fare molta reclame: reclame sui giornali, reclame murale, numeri unici,
conferenze. Insomma, grande propaganda. L’orientamento moderno ha bisogno di essere fatto
conoscere: la cosa bisogna lanciarla nel suo essere fuori della politica. Io credo che in questo modo
la Società riuscirà ad attrarre – coi vantaggi offerti – certo quattro-cinque mila soci. [La Società]
39
Il congresso delle società operaie del Friuli, «L’OPERAIO», 17-18 ottobre 1896.
40
TESSITORI, Le società operaie di mutuo soccorso cit., pp. 18-19
31
dovrà pensare a costruire un capace locale per fare la casa del popolo, casa nella quale dovranno
trovar sede tutte le associazioni e le istituzioni: operaie, politiche e sociali, dal circolo socialista al
circolo costituzionale41.
In quella circostanza il Cosattini si dimostrò favorevole anche all’adesione
della Società udinese alla Cassa nazionale di previdenza, nonostante la posizione
nazionale della CGL, esposta al VII congresso nazionale delle società di
resistenza42, che ne decretava il fallimento dal punto di vista pratico. Da queste
posizioni emerse il dualismo interno al movimento socialista: da una parte la
corrente più rigida e classica, dall’altra quella più elastica ed attenta ai fermenti
degli ambienti democratico-borghesi di cui il Cosattini si fece portavoce.
Ambedue le componenti erano essenziali sia in termini di elettorato che in termini
di presenza nell’ambito della società friulana. Questo tipo di atteggiamento fu
dunque necessario per non perdere ulteriore terreno nei confronti del movimento
cattolico nei confronti del quale si cominciavano a perdere posizioni43.
41
42
Nuovi orizzonti alla Soc. Operaia, «IL LAVORATORE FRIULANO», 25 luglio 1908.
A. CABRINI, P. CHIESA, Proposte di assicurazioni sociali in Italia, a cura della
CONFEDERAZIONE GENERALE DEL LAVORO, Torino 1908, p.10-11.
43
G. RENZULLI, Economia e società in Carnia fra 800 e 900. Dibattito politico e origini del
socialismo, Udine 1978, p. 285.
32
CAPITOLO II
LA CONDIZIONE SOCIO ECONOMICA DEL DISTRETTO DI
CIVIDALESE TRA FINE OTTOCENTO E PRIMO NOVECENTO
1.
L’andamento demografico a Cividale tra il 1862 e il 1921
Per meglio cogliere alcuni aspetti del mutamento delle condizioni
socioeconomiche avvenute nella città nel corso di un sessantennio, è necessario
porre attenzione anche all’andamento demografico. Di seguito sono riportati
alcuni dati statistici inerenti all’evoluzione della popolazione nel distretto di
Cividale e in particolare nella città stessa, il cui esame permette di dimensionare il
fenomeno e di compararlo rispetto ad altre realtà della provincia.
Si può partire anzitutto dall’analisi dei dati forniti dal Ciconi44, il quale nel
1862, in epoca antecedente all’annessione, tracciò un profilo della provincia
friulana sotto molteplici angolature. I dati offrono nel complesso un quadro
sufficientemente ricco anche se molto sintetico. Oltre al censimento della
popolazione, sono indicati la superficie dei singoli comuni, il numero di famiglie,
di abitazioni, delle ditte censite, delle frazioni e inoltre la rendita in lire austriache
accertata in ogni comune. In alcuni casi le cifre paiono incomplete o scarsamente
decifrabili, in altri mancano indicazioni che rendano comparabili i dati con quelli
relativi a censimenti successivi. In ogni caso queste rilevazioni sono utili per
offrire una panoramica generale sulla condizione dei comuni del Cividalese.
I dati riportati dal Ciconi, seppure utili a comprendere nelle linee generali le
condizioni della provincia friulana, sarebbero stati di maggiore interesse se più
specifici in alcuni aspetti qualitativi: ad esempio avrebbero potuto permettere di
44
T. CICONI, Udine e la sua provincia, Udine 1862, p. 502.
33
capire la composizione di un nucleo familiare oppure la tipologia produttiva o
commerciale delle ditte censite45, o ancora la composizione della rendita.
8
8
5
6
5
8
2
6
2
10
2
5
4
7.166
2.707
2.944
795
1.331
3.530
910
2.624
1.066
2.904
1.249
935
2.526
5
Totali
Case
Ditte Censite
Superficie
Rendita in L.
austr.
1.970
1.211
830
518
394
2.068
298
650
464
1.728
700
340
1.326
47,741
33,347
27,250
17,375
11,766
43,605
10,820
26,905
10,940
33,077
14,740
17,483
27,475
122.220
28.365
69.486
8.923
24.050
47.217
17.163
56.515
28.277
61.629
34.721
11.306
55.006
2.256
714
21,600
54.266
7
2.511
2.025
33,481
32.740
83
35.454
15.236
377,605
651.884
6631
Cividale
Attimis
Butrio
Castel del monte
Corno di Rosazzo
Faedis
Iplis
Manzano
Moimacco
Povoleto
Premariaco
Prepoto
Remanzaco
S. Giovanni di
Manzano
Torreano
Famiglie
Abitanti
6791
Comuni
Frazioni
Tabella 7. Il distretto di Cividale nel 186246
Fonte: CICONI, Udine e la sua provincia cit., p. 502.
Tra i pochi dati non soggetti a eventuali interpretazioni, ci sono quelli
inerenti alla popolazione e alla superficie del comune e del distretto. La densità
45
Nella relazione del comizio agrario di Cividale del 1870 le ditte censite dedite alll’attività
agricola sono ben 16.160, (M. DE PORTIS, Sullo stato dell’agricoltura nel distretto di Cividale
nell’anno 1870. Relazione del Comizio agrario di Cividale, «Bullettino dell’Associazione agraria
friulana», XIV, (1871); con tutta probabilità, data la tendenziale coincidenza, il numero delle ditte
riportato dal Ciconi era riferito a quelle dedite all’attività agricola.
46
Il dato della superficie è indicato senza alcuna specifica unità di misura. Sembra in ogni caso
scontato ritenere che il valore espresso sia da considerarsi in chilometri quadrati, riferendosi
all’estensione di ciascun comune.
34
media di abitanti per chilometro quadrato a Cividale era circa doppia (150
ab./Km2) rispetto a quella di altri comuni fatta eccezione per Buttrio, Corno e San
Giovanni dove la densità superava i 100 abitanti per chilometro quadrato. Il
rapporto tra il numero di abitanti e il numero delle ditte censite si può considerare
come un valido indice del grado di frammentazione della proprietà.
Mediamente nel distretto si contava una ditta ogni 2,5 abitanti, con punte
massime nel Manzanese (4 abitanti per ditta) e minime a Torreano, (1,2 abitanti
per ditta). Considerando inoltre che il numero medio di componenti per famiglia
nel distretto era di 5 persone, appare chiaro come in alcuni casi vi fossero,
statisticamente, fino a 3 ditte per famiglia. Operando un raffronto con le realtà dei
distretti che meno presentavano una vocazione agricola, sia per lo sviluppo
dell’industria sia per la concentrazione di parte delle attività nel commercio,
risulta evidente come l’orientamento produttivo di alcune aree del distretto
cividalese fosse marcatamente agricolo.
L’andamento della popolazione nel periodo successivo all’annessione del
Friuli al Regno si può osservare dall’analisi dei censimenti ministeriali47. In primo
luogo può essere utile effettuare un’analisi comparata delle cifre inerenti alla
popolazione residente e a quella presente, dalla quale emerge, se esiste,
l’eventuale flusso migratorio del mandamento o del comune.
47
ISTITUTO CENTRALE DI STATISTICA, Popolazione residente e presente dei comuni. Censimenti
dal 1861 al 1971, tomo 1, pp. 198-203, Roma 1977.
35
Tabella 8 Popolazione presente e residente del distretto di Cividale nei censimenti dal 1871 al 1921
1871
Comune
Cividale
Attimis
Buttrio
Corno di Rosazzo
Faedis
Ipplis
Manzano
Moimacco
Povoletto
Premariacco
Prepotto
Remanzacco
San Giovanni
Torreano
Totale distretto
Residenti
Presenti
8.413
2.726
1.986
8.238
2.624
1.946
4.056
3.935
2.870
1.164
3.336
3.577
2.808
1.139
3.315
3.482
2.850
2.290
2.706
35.974
1881
Saldo
(P-R)
Residenti
Presenti
8.118
2.793
2.008
8.205
2.714
1.958
4.026
3.874
2.784
1.131
3.505
3.443
2.784
1.089
3.424
3.416
2.796
2.253
2.661
-175
-102
-40
0
-121
0
-62
-25
-21
-95
0
-54
-37
-45
2.861
2.330
2.775
35.197
-777
35.774
1901
Saldo
(P-R)
Residenti
Presenti
9.041
3.468
2.240
9.061
3.439
2.219
4.863
4.785
1911
Saldo
(P-R)
3.399
1.253
4.005
3.806
3.370
1.239
3.950
3.815
2.762
2.298
2.720
87
-79
-50
0
-152
0
0
-42
-81
-27
0
-99
-32
-55
3.218
2.708
3.151
3.213
2.684
3.096
20
-29
-21
0
-78
0
-29
-14
-55
9
0
-5
-24
-55
35.244
-530
41.152
40.871
-281
Residenti
Presenti
10.031
3.993
2.445
9.886
3.108
2.413
5.314
4.569
3.930
1.333
4.498
3.925
3.845
1.225
3.995
3.669
3.529
3.089
3.505
3.208
3.049
3.197
45.592
Saldo
(P-R)
Saldo
(P-R)
Residenti
Presenti
-145
-885
-32
0
-745
0
-85
-108
-503
-256
0
-321
-40
-308
11.622
4.099
2.610
11.409
3.851
2.583
5.637
5.295
3.983
1.390
4.606
3.950
4.033
1.345
4.314
3.755
3.840
3.267
3.607
3.695
3.285
3.470
-213
-248
-27
0
-342
0
50
-45
-292
-195
0
-145
18
-137
42.164 -3.428
48.611
47.035
-1.576
Fonte: ISTITUTO CENTRALE DI STATISTICA, Popolazione residente e presente dei comuni. Censimenti dal 1861 al 1971.
36
1921
L’analisi del flusso della popolazione nel corso del cinquantennio evidenzia
sia a Cividale sia nell’intero distretto una continua crescita. La differenza tra
popolazione residente e popolazione presente a una certa data dovrebbe
corrispondere approssimativamente al numero degli emigranti temporanei48.
E’ bene tuttavia precisare che i dati qui riprodotti, relativi ai censimenti
della popolazione, non riguardano specificamente i fenomeni migratori. A questo
proposito va ricordato che alcuni studi effettuati nel corso dei primissimi anni del
Novecento dimostrarono la reale incidenza del fenomeno migratorio nel Friuli. In
particolare, Giovanni Cosattini, membro del consiglio direttivo del Segretariato
dell’emigrazione di Udine, fornì un quadro presumibilmente attendibile del
fenomeno migratorio temporaneo nella provincia. Alcuni dati sono discordanti
con quelli del censimento ministeriale, ma si deve ritenere il lavoro del Cosattini
maggiormente attendibile, quantomeno per la ricchezza dei dati e della
documentazione49.
Per quanto concerne più specificamente la realtà di Cividale, si osserva
nell’intervallo che intercorre tra il primo censimento e quello del 1921 una
crescita della popolazione di circa il 38 per cento. Il livello di crescita è in linea
con quello dei comuni del distretto, in alcuni casi talora, il tasso di incremento ha
superato persino il 50 per cento: un esempio di questo fenomeno si riscontra nel
comune di Attimis, dove la popolazione nel corso di mezzo secolo crebbe del 50,3
per cento.
48
Nella presentazione del volume riepilogativo dei dati dei censimenti della popolazione si
legge: “La popolazione residente di ciascun comune è costituita dalle persone aventi dimora
abituale nel comune, anche se lontani dal comune alla data del censimento perché
temporaneamente in altro comune o all’estero. La popolazione presente è costituita dalle persone
presenti nel comune alla data del censimento e aventi in esso dimora abituale, nonché dalle
persone presenti nel comune stesso ma aventi dimora abituale in altro comune o all’estero.”.
ISTITUTO CENTRALE DI STATISTICA, Popolazione residente e presente cit.
49
G. COSATTINI, L’emigrazione temporanea del Friuli, Udine 1903 (ristampa anastatica a cura
della Direzione regionale del Lavoro Assistenza Sociale ed Emigrazione della Regione Autonoma
Friuli-Venezia Giulia, Udine-Trieste 1983), pp.6-7.
37
E’ interessante notare come, nello stesso comune, il tasso di scostamento tra
la popolazione presente e quella residente tocchi un saldo negativo nel corso dei
primi anni del ‘900 di circa il 22 per cento. Pur prevalendo la popolazione
residente rispetto a quella presente, è da notare come Cividale, nei censimenti del
1881 e del 1901, presenti dei dati in controtendenza rispetto agli altri comuni del
distretto. Questa situazione è in parte spiegabile con la presenza nel comune di
numerosi abitanti della vicina Slavia, i quali erano impiegati come forza lavoro
per un certo periodo dell’anno nelle campagne del comune. Questi lavoratori
erano particolarmente apprezzati per le loro qualità caratteriali e per la loro
abnegazione. Erano soliti affittare delle abitazioni nelle campagne limitrofe alle
mura della città, dove trascorrevano buona parte dell’anno impiegati nei lavori
agricoli. Nonostante quest’afflusso, nel comune di Cividale vi era una sostanziale
coincidenza tra presenti e residenti: lo scostamento difficilmente superava il 2 per
cento della popolazione residente, dato questo che si colloca ben al disotto della
media dell’intero distretto.
Tabella 9.Differenza percentuale tra popolazione presente e residente
1871
1881
1901
1911
1921
Distretto
-2.1 %
-1,48%
-0,68%
-7,5%
-3,2%
Cividale
- 2%
1%
0,22%
-1,4%
-1,8%
Fonte: Elaborazione da ISTITUTO CENTRALE DI STATISTICA, Popolazione residente e presente cit.,
p.
La città di Cividale non sembra particolarmente interessata da fenomeni
migratori anche se esprimere un giudizio netto a tal riguardo, basandosi
sull’esclusiva lettura del saldo tra presenti e residenti, potrebbe apparire
un’eccessiva forzatura. Secondo il Cosattini, le differenze tra i dati dei censimenti
e quelli da lui raccolti sono rilevanti. Mentre il dato sull’emigrazione temporanea
nel distretto di Cividale nel 1879 è in linea con quello desumibile dal censimento,
nel dato del 1889 la forbice tra le due rilevazioni si allarga. Dal confronto poi dei
dati del censimento del 1901, riferiti alla differenza tra residenti e presenti,
38
emerge una sensibile discrepanza rispetto al quelli forniti dal Cosattini,50 che per
l’intero distretto quantifica il fenomeno dell’emigrazione temporanea in quasi
2300 unità.51
Si può però osservare come altrove, in altri comuni contermini al capoluogo,
la situazione fosse ben diversa, assumendo connotazioni marcatamente rilevanti
anche da un punto di vista sociologico. In questi casi il fenomeno migratorio si
rifletteva anche sulle abitudini e sugli usi tipici della popolazione, facendo
maturare un cambiamento culturale internamente alle famiglie interessate dal
fenomeno.
Alcune valutazioni sono ugualmente possibili, anche tenendo in debita
considerazione i giudizi storici espressi nel corso degli anni sul fenomeno
migratorio e sui suoi vari aspetti.
In primo luogo è necessario evidenziare come nel corso degli anni in Friuli,
vi sia stata una progressiva discesa delle popolazioni che abitavano la montagna in
direzione della pianura. Questo processo è stato in parte indotto dal progressivo
sviluppo industriale delle zone del piano. Nel caso specifico del Cividalese i più
intensi flussi migratori riguardarono la zona della Slavia e non tanto i territori del
distretto stesso. Le Valli del Natisone presentavano una frammentazione della
proprietà terriera talmente elevata da non permettere a tutte le famiglie di coltivare
con profitto i propri campi. In alcuni casi, un campo (3.505 metri quadrati) a San
Pietro al Natisone portava spesso 70 e anche 80 numeri mappali52. Secondo alcuni
studiosi del problema migratorio in Friuli, tra le ragioni dell’emigrazione sono
dovute alle relazioni che intercorrevano tra padrone e colono53. Molto spesso
difatti, dopo la scomparsa del capofamiglia, il padrone affidava la conduzione dei
50
In realtà nello stesso censimento del 1901 compaiono dati inerenti alla popolazione presente sia
abitualmente sia occasionalmente. Tra i presenti occasionali nella sola Cividale figuravano ben
204 persone. Inoltre compare anche il dato degli assenti, che ammontano complessivamente a 184
unità. Il numero di assenti riferito all’intero distretto ammonta a 764 persone, di cui 421 in altro
comune del Regno, 75 presso altre famiglie del comune e 268 all’estero.
51
COSATTINI, L’emigrazione temporanea cit., p. 30.
52
B.M. PAGANI, L’emigrazione friulana dalla metà del secolo XIX al 1940, Udine 1968, p. 106.
53
Ibid., pp. 107-109.
39
propri terreni al figlio del colono che riteneva degno di maggior fiducia,
inducendo i restanti componenti del nucleo familiare a cercare un altro tipo di
lavoro o a recarsi all’estero per sfuggire alle condizioni, spesso sfavorevoli, che si
prospettavano rimanendo in patria.
L’andamento dei salari nelle campagne evidenziava una certa stabilità nel
corso degli anni.54 Alcuni miglioramenti si erano verificati, ma servivano a mala
pena a compensare l’aumento del costo della vita. Nel frattempo anche
l’andamento dei prezzi all’ingrosso, tendenzialmente stabile sino al periodo
precedente la prima guerra mondiale, non rendeva molto redditizio il commercio
dei prodotti agricoli, erodendo ulteriormente il reddito delle famiglie coloniche. Il
livello medio dei salari nel comparto agricolo era, in ogni caso, minore rispetto al
livello delle retribuzioni percepite dagli operai impiegati nelle poche industrie. La
sia pure modesta spinta industriale che Cividale seppe creare nel corso degli anni
fu in grado di assorbire, almeno in parte, coloro che abbandonavano il settore
primario. Pertanto i fenomeni migratori verso altri centri maggiormente dinamici
dal punto di vista industriale, furono modesti. Bisogna inoltre aggiungere la forte
tradizione commerciale della città e lo sviluppo del settore dei servizi.55
Come spiegato precedentemente, l’affermare che la popolazione non fosse
sensibile al fenomeno migratorio è da prendere con le dovute cautele. Nella
tabella sotto esposta si può rilevare come a Cividale si riscontri un elevato tasso di
popolazione assente rispetto al totale della popolazione presente. La peculiarità
del capoluogo, rispetto ad altri comuni del distretto, risiede nella capacità di
54
Secondo la relazione del De Portis, il livello medio del salario giornaliero nel 1870 durante il
periodo estivo nelle campagne si aggirava intorno a 1,3 lire. Dall’inchiesta sulle condizioni del
lavoro salariato e dei coloni, emerge che il salario medio nel 1911 era di circa 1,45 lire al giorno. Il
salario era dunque cresciuto mediamente dell’11,5%, a fronte di un aumento del costo della vita
nello stesso periodo di circa 15 punti percentuali.
55
Nel 1925 Antonio Rieppi censisce nella sua guida ben 327 attività commerciali e piccolo-
industriali E 43 professionisti tra avvocati, ragionieri, geometri e medici (A. RIEPPI, Forum Julii.
Guida popolare di Cividale e del circondario, Cividale 1925, pp. 147-162).
40
compensare l’emigrazione verso l’estero e verso altri comuni del Regno con quasi
pari livello d’immigrazione.56
Tabella 10. Popolazione presente e assente a Cividale nel 1921
Popolazione presente
Comune
Popolazione assente
Assenti/
Presenti
(%)
Totale
Abituale
Occasionale
Totale
In altri comuni
Estero
Attimis
4071
4021
50
306
212
94
7,5
Buttrio
2583
2547
36
63
59
4
2,4
Cividale
11409
10791
618
831
407
424
7,3
Corno di
Rosazzo
1949
1928
21
48
45
3
2,5
Faedis
5075
5048
27
361
254
107
7,1
Ipplis
1035
1017
18
90
53
37
8,7
Manzano
4033
3862
171
121
109
12
3,0
Moimacco
1345
1316
29
74
51
23
5,5
Povoletto
4314
4310
4
296
262
34
6,9
Premariacco
2720
2714
6
129
98
31
4,7
Prepotto
2222
2206
16
110
73
37
5,0
Remanzacco
3742
3724
18
110
73
37
2,9
San Giovanni
3285
3226
59
41
28
13
1,2
Torreano
3470
3434
36
173
107
66
5,0
Totale
51253
50144
1109
2753
1831
922
5,4
Fonte: MAIC, Censimento della popolazione del Regno d’Italia al 1° dicembre 1921, XVIII: Veneto,
Roma 1927, pp. 44-48.
56
Si potrebbe ipotizzare che la popolazione presente occasionalmente corrisponda verosimilmente
alla popolazione proveniente da altri comuni o distretti. Particolarmente interessante è notare come
le assenze di cittadini recatisi all’estero si concentrassero più nel centro cittadino che nelle
periferie. Considerando che la gran parte degli abitanti del centro costituivano la componente non
agricola della forza lavoro, sembrerebbe così avvalorato il dato provinciale che evidenzia una
crescita non solo quantitativa dell’emigrazione, ma anche qualitativa sotto il profilo professionale.
41
Il fenomeno migratorio tese a concentrarsi in quelle zone del distretto ove
maggiore era la tradizione agricola e dove le industrie mancavano quasi del tutto.
A questo proposito è interessante notare che due realtà industriali emergenti, come
Manzano e San Giovanni al Natisone, videro invertita la tendenza passando da un
saldo presenti/residenti negativo a uno positivo, segno di un processo di
industrializzazione avviatosi con decisione nel dopoguerra.
Secondo alcuni, l’emigrazione era invece da considerarsi come un fattore
prioritario al successivo sviluppo industriale, grazie all’apporto di risorse che gli
stessi emigranti riversavano sulle famiglie rimaste in patria. L’emigrazione
temporanea, in effetti, spesso dava luogo al trasferimento nelle zone di residenza
di capitali destinati al miglioramento della piccola proprietà agricola. Il processo
d’accorpamento della proprietà agricola, sino a quel momento molto frammentata,
avrebbe costituito uno dei fattori prioritari per la crescita dei capitali necessari
all’industria. Accanto a questo aspetto bisogna però osservare come la rimanente
parte dei risparmi in possesso degli emigranti non sempre fosse diretta a
finanziare le poche industrie nate nelle zone di residenza. Spesso infatti gli stessi
risparmi non investiti in acquisti di terreni nel paese di provenienza prendevano la
strada dell’estero, andando a finanziare gli stessi imprenditori che offrivano
lavoro, agevolati così a promuovere ulteriore l’immigrazione. Il lavoratore dunque
sosteneva con il proprio risparmio l’emigrazione, facendo così un servizio a di
coloro che cercavano miglior sorte all’estero57.
57
PAGANI, L’emigrazione friulana cit., p. 115
42
2.
La popolazione del distretto di Cividale nel 1871
La fotografia della popolazione nella sua distribuzione per professioni così
come emerge dal del censimento del 1871, costituisce un elemento significativo
del quadro sociale di Cividale nel periodo successivo all’annessione.
A differenza di quanto si potrà leggere nel censimento del 1911, i dati
raccolti in quello del 1871 si riferiscono esclusivamente alla popolazione. Quello
di seguito riportato è il quadro complessivo degli abitanti del distretto suddivisi
per tipo di attività lavorativa.
In primo luogo emerge la chiara prevalenza dell’attività agricola rispetto
alle altre attività produttive. L’agricoltura, la pastorizia, l’allevamento del
bestiame e la silvicoltura erano le principali attività produttive del distretto, con
circa il 40% di occupati sul totale. Come in quasi in tutte le attività lavorative, il
lavoro era svolto prevalentemente dagli uomini, che su un totale di 14.494 addetti
erano ben 10.720.
La categoria dei lavoratori impiegati nelle produzioni industriali, forse la più
eterogenea, è scarsamente comparabile tra tutte quelle elencate: vi si affollano
categorie tra loro molto differenti, che difficilmente possono essere considerate
industriali in senso proprio. Riepilogando il dato relativo alla popolazione, con
molta probabilità all’interno di ogni comparto produttivo sono state inserite tutte
quelle attività di natura e dimensione artigiana, che in altre successive rilevazioni
saranno escluse dal novero delle officine industriali vere e proprie. E’ tuttavia
possibile osservare come le produzioni più sviluppate fossero, nell’ordine, la
produzione di tessuti, le attività nel campo dell’alimentazione, del vestiario, e
infine le attività edili e di manutenzione delle strade. Una certa rilevanza denotano
infine le industri metalliche, anche se con tutta probabilità si trattava di semplici
laboratori fabbrili artigianali. Solo nell’industria alimentare, che peraltro non è
facile capire a che cosa si riferisca, l’attività lavorativa era svolta quasi per il 50
per cento da donne. Emerge chiaramente la limitata eloquenza di questi dati da un
punto di vista qualitativo, non essendo possibile risalire alle singole manifatture
all’interno di ciascuna categoria produttiva.
43
Questo limite risulta ancor più evidente nell’analisi del dato relativo al
commercio. In questo caso il dato non e disgregato in ulteriori sottocategorie,
limitandosi alla sola risultanza complessiva dell’indagine. Bisogna notare che la
distinzione tra fabbricanti e negozianti, prevalentemente di tessuti e manifatture,
non sempre fu fatta, in quanto molti uffici comunali riunirono fabbricanti e
negozianti nella medesima categoria58. La categoria dei commercianti ne risultava
così danneggiata, mentre la manifattura industriale risultava eccessivamente
gonfiata. Analogo discorso vale per le produzioni industriali dell’industria
alimentare, che comprendeva i commercianti di prodotti alimentari.
Nella categoria dei trasporti figuravano anche i conduttori di alberghi e
coloro che affittavano camere o immobili ammobiliati; erano esclusi dal novero di
queste attività coloro che svolgevano semplice attività di ristorazione o mescita di
bevande, salvo offrissero ospitalità al forestiero. In ordine alla proprietà occorre
precisare che non tutti i proprietari censiti erano proprietari di beni immobili: della
categoria facevano parte anche i capitalisti, i percettori di vitalizi, i pensionati e
altre figure, senza che fosse possibile distinguere tra coloro che possedevano terre,
immobili o altri beni. Nel censimento si tentò di attuare una distinzione tra
proprietari ed esercenti, senza però riuscirvi. Non era certo il censimento lo
strumento più utile per tale scopo.
E’ poco probabile che coloro che svolgevano più di un’occupazione
indicassero la loro particolare posizione, sebbene nelle istruzioni stampate a tergo
della scheda del censimento si raccomandasse di indicare, con riferimento alla
professione o condizione, quella che ciascuno reputava essere la principale: in
altre parole, quella che forniva la maggior parte dei mezzi di sussistenza, senza
tralasciare di indicare le occupazioni secondarie.
58
STATISTICA DEL REGNO D’ITALIA, Popolazione classificata per professioni. Culti e infermità
principali. Censimento 31 dicembre 1871, III, Roma 1876, pp. VII – XI.
44
Tabella 11. Popolazione al 31 dicembre 1871 divisa per gruppi e
categorie di professioni. Distretto di Cividale del Friuli
Categorie
1871
1911
Differenza
Produzione delle materie
prime
14494
25038
10544
Produzioni industriali
3070
4798
1728
Commercio
99
1127
1028
Trasporti
Proprietà mobiliare ed
immobiliare
Personale di servizio
Difesa del Paese
Amministrazione pubblica e
privata
Culto
65
188
123
453
-453
611
18
693
468
82
450
251
106
-145
186
182
-4
Giurisprudenza
Professioni sanitarie
18
35
19
58
1
23
Istruzione ed educazione
50
156
106
Belle Arti
4
8
4
Lettere e scienze
14
27
13
Professioni girovaghe
8
-8
Personale di fatica non fisso
59
-59
Senza professione e a carico
19156
11888
-7268
Totale
38591
44756
6165
Fonte: M.A.I.C., Censimento della popolazione al 31 dicembre 1871, vol. III,
Roma, pp. 152-153.
45
3.
Agricoltura e commercio
Un quadro indicativo delle condizioni dell'agricoltura e dell'allevamento nel
distretto di Cividale intorno al 1870 si trova nella relazione del Comizio agrario di
Cividale59, redatta dal suo segretario, il dott. Marzio De Portis60.
La relazione, particolarmente dettagliata e articolata, consente di analizzare
il livello di sviluppo dell'attività agricola nel distretto di Cividale61, con particolare
attenzione al capoluogo. Essa, svolgendosi per punti, tocca tutti gli aspetti critici e
di maggiore importanza della condizione agraria, nonché vari aspetti sociali,
tecnici ed economici, offrendo un quadro sufficientemente esaustivo.
Il lavoro descrive anzitutto le caratteristiche podologiche del distretto le
principali colture, rappresentate da frumento, sorgoturco, orzo, segala,
cinquantino, fagioli, erba medica, trifoglio, ravizzone, rape, viti, gelsi, frutta (Va
rilevata la scarsa formazione dei contadini, escluse rare eccezioni; ciò comportava
una coltivazione basata ancora su tecniche tramandate oralmente di padre in
figlio. Inoltre la scarsa presenza di bestiame rapportato all’estensione di superficie
coltivata determinava un’insufficienza di concime, che tra l'altro era prodotto con
poca cura e scarso vantaggio. Questo insieme di fattori, a cui si dovevano unire la
elevata frammentazione della proprietà agricola, l'incidenza delle imposte e la
59
M. DE PORTIS, Sullo stato dell’agricoltura nel distretto di Cividale nell’anno 1870. Relazione
del Comizio agrario di Cividale, «Bullettino dell’Associazione agraria friulana», XIV, (1871) pp.
531–553.
60
Il conte Marzio De Portis, ingegnere, fu relatore del Comizio agrario di Cividale e contribuì alla
raccolta di dati e informazioni per la stesura dell’inchiesta agraria Jacini, per la quale fece da
corrispondente per il distretto di Cividale. Fece inoltre parte della Società nazionale, comitato
segreto che operò nella fase precedente alla seconda guerra di indipendenza, strumento della
politica del Cavour, il cui scopo era quello di perseguire un modello di Stato unitario e
indipendente sulla base di quello piemontese, fortemente ispirato a principi liberali e di buon
governo.
61
Del distretto di Cividale facevano parte 14 comuni oltre il capoluogo: Attimis, Buttrio, Castello
del Monte, Corno di Rosazzo, Faedis, Ipplis, Manzano, Moimacco, Povoletto, Prepotto,
Premariacco, Remanzacco, S. Giovanni e Torreano.
46
carenza di capitali, rendeva le coltivazioni dei grani addirittura sotto il profilo
economico. Le malattie dei gelsi e delle viti, che, particolarmente negli anni
precedenti avevano colpito la zona non concorsero certo allo sviluppo del settore
agricolo Cividalese.
Un ulteriore elemento d’analisi riguarda l'organizzazione dell'attività
all'interno dei fondi. Molto spesso sullo stesso terreno si effettuavano
contemporaneamente
differenti
colture;
difficilmente
nell'agricoltore
si
riscontrava l'interesse ad adeguare la qualità delle coltivazioni alle caratteristiche
dei terreni. Occorre ricordare come nel distretto di Cividale i terreni presentassero
conformazioni e qualità differenti, che si adattavano a determinati tipi di colture, e
che, se coltivati in modo adeguato, avrebbero offerto buoni risultati.
La condizione sinora descritta non era la stessa per tutto il distretto. In
alcune zone, tra cui Cividale, Moimacco, Premariacco, Buttrio, Manzano e S.
Giovanni, il livello di sviluppo dell'attività agricola non era da considerarsi basso.
Anzi, in specie per alcuni tipi di colture, si ottenevano ottimi risultati. Differente
la situazione di Remanzacco, ove la gran parte della popolazione contadina
riteneva maggiormente remunerativo commerciare il fieno, utilizzando i bovini a
propria disposizione per il trasporto di questo o di altri prodotti da vendere su
mercati lontani, privando i campi coltivabili di concimazione e di manodopera e
impoverendoli ulteriormente. La produzione agricola subì un vistoso calo tra il
1869 e il 1870.
47
Tabella 12. Produzione cerealicola e superficie coltivata tra 1869 e il 1870
Superficie
Raccolto
Raccolto
coltivata
1869
1870
(in ettari)
(in quintali)
(in quintali)
Frumento
6.600
60.000
48.000
-12.000
Sorgo
4.400
52.000
40.000
-12.000
Fagioli
1.200
1.000
-200
Segale
1.800
1.500
-300
4.700
164.500
61.100
-103.400
6.600
92.400
56.100
-36.300
22.300
371.900
207.700
-164.200
Prodotti
Foraggi di prati
artificiali
Foraggi di prati
naturali
Totali
Differenza
Fonte: Elaborazione da DE PORTIS, Sullo stato dell’agricoltura cit., p. 533.
In realtà nella stesura della relazione il Comizio agrario dovette fare i conti
con la reticenza e la diffidenza dei contadini nei confronti di coloro che
raccoglievano dati e statistici: il dato raccolto, quindi, molto spesso era di
carattere approssimativo e stimato nel suo ammontare complessivo.
La coltivazione di piante da frutto era in fase di espansione. Di particolare
interesse era la coltivazione di susine, ciliegie e pesche. Anche la qualità dei
prodotti era eccellente e tutto ciò favoriva una produzione superiore alle necessità
del consumo, che trovava molto spesso la via dei mercati esteri.
Interessante è la descrizione della viti-vinicoltura. Da quanto riportato nella
relazione del De Portis, la viticoltura fu l'attività in cui si manifestò un primo
grande cambiamento nelle tecniche sia di coltura che di trasformazione del
prodotto. In precedenza la coltivazione della vite aveva subito dei duri colpi,
anzitutto per il diffondersi di malattie e, in seconda battuta, per la scarsa
applicazione di tecniche più razionali di coltivazione. I filari erano distanti tra loro
da 3 a 10 metri e ciascun filare si presentava costituito da alberi distanti tra loro
circa 2,5 metri tra i quali si innestavano le viti. Questo sistema di coltura, specie
48
nelle zone pianeggianti del distretto, poco si prestava a conseguire una buona resa,
poiché non favoriva l'esposizione delle viti al sole né la loro aerazione. Ne
derivava una produzione di uva non perfettamente matura e quindi di vini acerbi e
non conservabili. Dopo una fase di stasi, a seguito dell'introduzione del solfato, la
coltivazione riprese vigore. Furono innestati nuovi vitigni di uve scelte, passando
dalle viti straniere, per la maggior parte ungheresi, a quelle nostrane; si introdusse
la coltivazione della vite non più maritandola con alberi, bensì con pali, tecnica
ritenuta più redditizia. Queste trasformazioni dunque rilanciarono la produzione
vitivinicola, che nelle zone collinari, e del Collio in particolare, raggiunse il suo
massimo risultato. In queste plaghe si producevano vini tipici, quali la ribolla, il
piccolit, il refosco e il marzamino; sopra tutti primeggiava però il cividino, vino
bianco da imbottigliamento, tipico del Cividalese.62
In generale però la produzione di vino non si poteva dire di qualità: i vini
spesso erano "fiacchi", poco coloriti, scarsamente conservabili e spesso soggetti
ad acidificazione. Queste deficienze non favorirono la commercializzazione del
prodotto che, per essere appetibile, avrebbe dovuto godere di una buona durata nel
tempo e di uno standard di qualità costante.
Il commercio dei prodotti agrari rappresentò per Cividale un fattore di
sviluppo e di crescita economica: la città costituì un importante riferimento
commerciale sia per il distretto sia per la parte della Slavia italiana.
La produzione di cereali calcolata in un arco decennale era in media
superiore al consumo. Parte della produzione del distretto veniva venduta nei
mercati che si tenevano a Cividale durante l'anno.
Prima del 1867 i dati relativi al commercio settimanale di alcuni prodotti
agricoli erano i seguenti:
62
Le zone collinari coltivate a viti erano stimate in circa 2000 ettari, con terreni argillo-calcare-
marnosi che molto bene si prestavano alla produzione di uve di qualità (M. DE PORTIS, Sullo stato
dell’agricoltura, cit., pp.534-535).
49
Tabella 13. Prodotti agricoli commercializzati a
Cividale nel 1867
Prodotto
Granoturco
Frumento
Segala
Avena
Fagioli
Farro
Castagne, marroni
Pomi di terra
Fieno
Quantità
Ettolitri
250
30
8
8
10
4
Quintali l'anno
5.000
1.000
8.000
Fonte: DE PORTIS, Sullo stato dell’agricoltura cit., p.
535-536
Il commercio dei prodotti agrari, a partire dal 1867, subì un crollo dovuto
in grande misura al venir meno del commercio con la Carinzia e con le zone
confinanti rimaste all'Austria. Le quantità di cereali commerciati quasi di
dimezzarono. La causa del mancato commercio dei prodotti agricoli era
imputabile all'introduzione, da parte dell'Austria, dei dazi doganali sui prodotti
provenienti dai territori italiani. In realtà il commercio con la vicina Austria era
una forma di scambio di prodotti tipici, sia agricoli che animali, di cui i due paesi
abbondavano. L'acquisto di prodotti cerealicoli da parte dei carinziani e delle
popolazioni del Collio a sud-est di Cividale si bilanciava con la vendita di prodotti
quali burro, frutta, legna, capretti e altro sul mercato locale.
I difficili rapporti commerciali tra questi territori danneggiavano le
economie di entrambi i Paesi, anche se la situazione più svantaggiosa si
riverberava sull'economia dei produttori di vino del distretto di Cividale. Il vino
acquistato sino a quel momento sui mercati locali e quindi trasportato in Austria
venne sostituito con quello prodotto nelle zone del Collio rimaste sotto la
dominazione austriaca. Ciò era reso particolarmente conveniente dalla possibilità
di usufruire di apposite bollette di transito, che accompagnavano le merci
acquistate nel loro trasporto attraverso il distretto. Questa attività era spesso
50
interpretata come una beffa verso i contadini costretti a subire le conseguenze
della drastica riduzione del commercio del vino.
Da questa denuncia venne l’invito rivolto alle autorità di abolire la bolletta
di transito sulle merci acquistate nelle zone del Collio, favorendo in tal modo una
rinascita del commercio del vino e di altri prodotti con la Carinzia. Per supplire ai
mancati introiti del commercio con l'estero dei vini, il mercato cividalese di
questo prodotto tenderà a spostarsi verso il circondario udinese.
Tra le altre attività di scambio di prodotti agricoli bisogna ricordare l'attivo e
lucroso commercio della frutta: in particolare le prugne e il relativo distillato, le
castagne e i marroni, commercializzate principalmente con l'Ungheria e la
Germania.
Per quanto riguarda il progresso tecnico e le macchine impiegate nello
svolgimento dell'attività agricola, ben poco si può dire. L'attività era svolta ancora
per la maggior parte con strumenti arcaici. Alcuni miglioramenti furono possibili
grazie all'introduzione di aratri di nuova concezione che però erano privilegio di
pochi, dato il loro elevato costo. A San Giovanni di Manzano un fabbro
produceva strumenti a costo più basso rispetto alla media, assai diffusi in quella
zona. A Cividale erano operanti un trebbiatoio ad acqua e due trebbiatoi a vapore,
locomobili di proprietà di Edoardo Foramiti. Questi due ultimi strumenti erano
fatti circolare sul territorio del distretto nel periodo della trebbiatura con buoni
risultati. In cambio del servizio reso i contadini corrispondevano una tassa di
trebbiatura, variabile tra il 5 e il 6 per cento.63
La situazione del bestiame nel distretto si presentava non particolarmente
rosea: in particolare, la situazione dei bovini non era delle migliori, a causa di una
generale scarsità di animali da lavoro rispetto all’estensione totale delle superfici
arabili64. Le superfici coltivate a grano erano nell'insieme pari a 18.736 ettari e
quelle lasciate a prato a 7.195 ettari, a fronte di un numero di capi bovini,
63
64
DE PORTIS, Sullo stato dell’agricoltura cit., p. 537.
Nel distretto si lamentava soprattutto la quasi assenza di tori, che potevano garantire un
incremento del numero di capi. La proporzione tra tori e mucche risulta di 1 a 453. Spesso quindi
51
compresi i vitelli, di circa 12.300 unità, con la media di un capo ogni 1,5 ettari di
terreno coltivato a grano e di 2,1 ettari compresi anche i prati. Una situazione di
deficienza dunque, anche se in fase di miglioramento rispetto a decenni
precedenti.
I cavalli nell'intero comprensorio erano 848, dei quali la maggioranza era
importata. Per la gran parte venivano dalla Carinzia, dalla Croazia, dalla bassa
Friulana e dalle zone di confine austriache.
Gli ovini erano nel loro complesso circa 4.000, per lo più montoni e pecore;
i prodotti della pastorizia erano pochi: prevalentemente burro, di scarsa qualità, e
formaggio in limitate quantità per il consumo delle famiglie più povere.
I suini, presenti quasi nelle stesse proporzioni, 4.500 circa, erano bestie di
buona qualità diffuse presso quasi tutte le famiglie contadine.
Cividale risultava il centro di più importante del distretto per la
macellazione e il relativo smercio delle carni65. Il commercio del bestiame
avveniva in soli tre comuni del distretto: Cividale, dove aveva sede un mercato
mensile e tre fiere annuali, Attimis e Faedis. Interessante è il dato relativo al
numero di macellazioni di suini e bovini nel 1870:
Tabella 14. Numero di capi bovini e suini macellati a Cividale e nel distretto
durante l’anno 1870 (tra parentesi la percentuale rispetto all’intero distretto)
Bovini
Cividale
Intero distretto
%
buoi
196
198
99,0%
vacche
30
43
69,8%
vitelli sotto 6 mesi
894
894
100,0%
vitelli sotto l'anno
42
532
7,9%
26
0,0%
3264
24,5%
vitelli sopra l'anno
Suini
800
Fonte: DE PORTIS, Sullo stato dell’agricoltura cit., p. 535-536
si doveva ricorrere all'utilizzo di tori di fuori distretto, il che comportava notevoli difficoltà date
dalla scarsità di questi animali in provincia.
65
A testimonianza di ciò è da rilevare l'aumento del numero di macellai presenti a Cividale, che da
tre passò a quattro, più uno nelle frazioni. Inoltre, al contrario di quanto accadeva prima, non
avvenivano più gli acquisti di bovini da ingrasso su altre piazze, ma anzi se ne esportavano sia
verso Gorizia che verso Trieste
52
Nel corso del 1870 negli undici mercati svoltisi a Cividale si posero in
vendita ben 7.322 capi bovini di oltre un anno. Fu impossibile raccogliere i dati
sia per le quantità di vitelli che per il numero di suini e ovini commerciati; da
notare cheper queste ultime due specie si svolgevano mercati con frequenza
settimanale.
Il mercato dei bovini rappresentava il fiore all'occhiello degli scambi con
altri distretti e regioni. I bovini da ingrasso e i vitelli sotto i 6 mesi venivano
venduti anche sulle piazze di Udine, Gorizia e Trieste e in alcune località oltre il
Tagliamento. Molti animali giovani erano smerciati con la Toscana, dove la razza
nostrana dava buoni risultati. Gli allevatori del distretto partecipavano, oltre che ai
mercati locali, anche a quelli di Udine, Palmanova, Tricesimo e Tarcento.
Il commercio degli ovini era invece piuttosto fiacco: le poche esportazioni
di questi capi erano dirette in prevalenza verso Venezia e il Trevigiano.
Un commercio piuttosto fiorente era quello dei polli, rivolto soprattutto al
mercato di Trieste: il mercato settimanale del bestiame minuto era affollato di
commercianti triestini che spesso acquistavano quantitativi elevati di capi. Si
stimava l'ammontare annuo del commercio di tali prodotti in complessive 100120.000 lire.66
4.
Proprietà, struttura sociale e vita rurale.
Un primo dato di assoluta rilevanza è quello concernente la divisione della
proprietà e il valore della stessa.
Il valore dei terreni attorno al 1870 si collocava tra un minimo di 420 e un
massimo di 2.000 lire l’ettaro. Nell’intero distretto risultavano esservi ben 81.259
appezzamenti in proprietà di 16.160 ditte censuarie67. La frammentazione della
proprietà era dunque elevatissima, in particolar modo nelle zone montane del
distretto, ma, sia pure in misura minore, nelle aree del piano. Nel comune di
66
M. DE PORTIS, Sullo stato dell’agricoltura nel distretto di Cividale cit., pp. 538-542.
67
Ibid., pp. 16-17.
53
Torreano, ad esempio, la misura media di ogni appezzamento era pari a 1,89 ettari
e il rapporto tra popolazione e ditte era pari a 1,2. La situazione muta nel
Manzanese, dove la misura media di ogni appezzamento raggiungeva i 4,64 ettari
e il rapporto tra popolazione e numero delle ditte era di 4,42. Il valore medio
riferito al complesso di tutti i comuni del distretto era di 2,33 ettari per
appezzamento, con un rapporto ditte/popolazione di 2,3. La rendita media minima
di ogni ditta era di 31,81 lire, con punte minime e massime rispettivamente di
13,29 lire nel comune di Castello del Monte e di 72,98 lire nel comune di
Manzano. Tuttavia nel 1882 i dati relativi al valore, alla rendita lorda e a quella
netta dei terreni risultavano mutati. Nell’inchiesta agraria Jacini sono contenute
delle informazioni più chiare e dettagliate circa il rendimento dei terreni. Per ciò
che concerne il valore di un ettaro di terra, nel distretto di Cividale nell’anno 1880
esso si aggirava sulle 1.845 lire per un terreno di ottima qualità, sulle 1.174 lire
per uno mediocre e sulle 637 lire l’ettaro per quello più scadente68. La rendita
lorda di un’annata di media produzione era, per un ettaro di ottima qualità, di 320
lire, per uno di media qualità di 242 lire, e infine per quelli più scadenti di 138
lire. Ma intercorrevano differenze notevolissime perché, ad esempio, mentre per
un ettaro di ottima qualità a Buttrio la rendita arriva a sorpassare le 500 lire, a
Torreano si raggiungevano appena le 220 lire; così pure avveniva per i terreni di
bassa qualità: nel comune di Faedis, ad esempio, raggiungevano una rendita di
170 lire, mentre in comune di Corno arrivavano appena a 42 lire. Nel distretto non
vi erano poderi di qualche ampiezza coltivati direttamente dai proprietari, né da
grossi fittaioli.
La rendita media netta del proprietario, per ettaro, si può ritenere fosse di 60
lire e quella del colono di 184 lire. Vi erano però ampi divari: Povoletto con 26
lire rappresentava la minima rendita del proprietario, e Torreano con 92 lire la
68
E. MORPURGO, Le condizioni della proprietà rurale e della economia agraria ne Veneto, in Atti
della giunta per l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, IV, Roma 1882, p.
346.
54
minima del colono, mentre Premariacco la massima del proprietario con 91,42 lire
e del colono con 251,18 lire.69
Il patto colonico si modificava secondo le diverse zone e la qualità dei
terreni. L’uso era di affittare i fondi per una data quantità di frumento, in ragione
della superficie e della qualità del terreno coltivato. A Cividale si commisurava il
canone d’affittanza in modo da lasciare al contadino una discreta remunerazione
delle sue fatiche; gli aumenti avevano luogo solo per l’accresciuta fertilità del
suolo o per sopperire all’incremento delle pubbliche imposte70. Nella zona dei
colli, il pagamento dell’affitto consisteva in una modesta quota di frumento o
granturco e nella cessione di una certa quantità d’uva e di due terzi del vino
ottenuto con il rimanente prodotto. A questo si aggiungeva spesso anche la
cessione di metà della frutta coltivata e raccolta sui fondi. A pagare l’affitto delle
case coloniche si provvedeva con il versamento di una determinata somma di
denaro, cui spesso si aggiungevano diverse regalie, quali pollame, uova, o
particolari prestazioni bracciantili. La durata delle affittanze era solitamente di un
anno, anche se alle volte venivano stipulati contratti con durata pluriennale.
L’inizio dell’anno agrario si calcolava dall’11 novembre.
La condizione dei coloni era di sufficiente agiatezza: quasi tutti
possedevano una propria attrezzatura rurale e le stalle garantivano un’ulteriore
risorsa in termini di prodotti sia da consumare sia da vendere. Anche
l’alimentazione si realizzava con il consumo di tre pasti giornalieri,
sufficientemente abbondanti e regolari71.
69
70
M.A.I.C., Atti della giunta per l’inchiesta agraria cit., pp. 378-379.
Si legge nella relazione del corrispondente cividalese dell’inchiesta agraria: “Quei pochi
proprietari che nel determinare l’affitto vogliono avere almeno un reddito del 5% del capitale
investito, trovano qualche volta coloni, ma quasi sempre gente disperata o viziosa, che è larga di
promesse e alla quale, in fin dei conti, il padrone è costretto a condonare il debito perché se ne
vada. Negli anni dell’emigrazione duravasi fatica a trovare coloni. Molti fittaioli sono indebitati
per le cattive annate, il vino e i bozzoli essendo andati perduti e perfino la rendita della stalla
essendo compromessa” (Ibid, pp. 465-466).
71
L’ordinaria alimentazione dei coloni si basava sul consumo di tre pasti: “La mattina, il più
spesso, polenta sola, al mezzodì polenta e una minestra, generalmente di leguminose, e talvolta
55
Negli atti dell’inchiesta agraria Jacini si trovano alcune informazioni circa il
consumo medio di alcune dettate alimentari nelle famiglie contadine:
per famiglia composta di sei persone tra uomini e donne grandi e piccoli, si
può calcolare pel mantenimento occorrere annualmente: granturco ettolitri 31,89,
minestre leguminose ettolitri 2,30, un suino del medio peso di 120 kg, olio kg.
12,50, sale kg. 70. Per vestirsi si può calcolare una spesa media per anno di lire
400.
Tra le varie figure che popolavano le campagne cividalese in quel periodo si
trovava anche una particolare classe di villici, i sottani, lavoratori giornalieri che
prendevano in affitto una casa con piccoli terreni aratori circostanti e lavoravano
alle dipendenze del padrone di casa, di alcuni coloni o della municipalità per
svolgere i lavori pubblici disposti. La retribuzione giornaliera di questi lavoratori
si aggirava mediamente tra le 1,3 lire del periodo estivo, dove maggiore era la
richiesta di manodopera nei campi, e le 0,86 di quello invernale.
Interessante è osservare come gli eventuali danni derivanti dalle grandini
fossero ripartiti tra proprietari dei terreni e coloni. Il colono corrispondeva al
proprietario l’equivalente in denaro del grano stabilito per canone, mentre il
proprietario concedeva una riduzione della metà della quantità pattuita in vino,
frutta e bozzoli.
Molti dei fondi erano gravati da censi e decime in favore di chiese o di
privati e quasi tutto il territorio era gravato dal quartese, a favore dell’ex Capitolo
dei canonici di Cividale, della mensa arcivescovile di Udine o dei singoli parroci.
una piccola porzione di carne di suino, la sera polenta con verdura cotta o cruda, discretamente
condita.” La dieta dei sottani era sempre a base di polenta, più povera e peggio condita rispetto
quella dei coloni, ma in ogni caso la quotidiana alimentazione si componeva sempre di tre pasti.
“Prima d’ora nei paesi vinicoli i coloni avevano la loro piccola scorta di vino per le feste e per
l’epoca dei maggiori lavori; ora pochi ne hanno; in generale però anche in giornata si fanno una
bibita di acqua, fatta fermentare con le vinacce riscaldate con la fermentazione, di cui usano
specialmente nei lavori d’estate. Nel rimanente dell’anno la loro bibita è l’acqua. Il contadino che
può spesso ricorre all’osteria per bere un po’ di vino.” (MORPURGO, Patologia del contadino
veneto, in Atti della giunta per l’inchiesta agraria cit., p.150).
56
Un approfondimento merita il tema del frazionamento della proprietà rurale,
fenomeno assai diffuso in Veneto, debitamente analizzato nell’inchiesta agraria,
che fornisce cifre e dati illuminanti.
Il frazionamento della proprietà si può analizzare sotto una duplice
angolatura: dal punto di vista del valore morale, si deve ritenere che la piccola
proprietà svolgesse una funzione conservatrice dei vincoli sociali e domestici,
stimolando le capacità lavorative e favorendo l’attaccamento alla terra da parte dei
contadini; per quanto riguarda il valore economico, la piccola proprietà presenta
invece un risvolto negativo, poiché essa non era in grado di promuovere lo
sviluppo dell’economia per l’impossibilità da parte dei piccoli proprietari terrieri
di disporre dei capitali necessari.
La speranza di ottenere condizioni migliori di vita e il tentativo di emulare
le classi più abbienti portava molto spesso i contadini a un ulteriore frazionamento
della proprietà a seguito degli acquisti di piccoli lotti di terreno. Tutto ciò
comportava una minore capacità di raccogliere capitali e di coltivare i terreni con
profitto e con economie di scala. Dall’inchiesta agraria emerge che anche a
Cividale la proprietà era suddivisa in tante diverse mani, che certo non
costituivano un unico stato sociale differentemente a quanto avveniva in passato72.
In assoluto il distretto di Cividale contava, tra i distretti friulani, il numero
maggiore di proprietari con rendita fondiaria, complessivamente 23.224. Di questi
possedeva una rendita fondiaria inferiore alle 100 lire il 96 per cento del totale,
pari esattamente alla media provinciale. La punta massima si raggiungeva a
Moggio con il 100 per cento dei proprietari con rendita fondiaria inferiore alle 100
lire e quella minima a Codroipo con il 92 per cento, segno evidente che
nell’insieme la piccola proprietà con rendita bassa era assai diffusa. Il dato
complessivo della provincia di Udine era il più alto subito dopo Belluno, mentre
per le altre province venete la percentuale oscillava tra il 90 e il 79 per cento.
72
“A Cividale vi sono proprietari dissestati che debbono cedere la terra posseduta, contadini che
raggruzzolano laboriosamente qualche capitaluccio, mediocri negozianti che desiderano di avere
una piccola proprietà, non per guadagno ma a conforto della vita.”, MORPURGO, Altre notizie sul
57
Sebbene il problema dell’elevato frazionamento della proprietà fosse presente in
tutto il Veneto, in Friuli il fenomeno assumeva una valenza maggiore. Da molti
considerata un limite allo sviluppo agrario, l’atomizzazione della proprietà era
fortemente diffusa nel distretto di Cividale. Benché il territorio contasse
un’estensione di superficie coltivabile tra le più elevate nella provincia di Udine,
nei comuni del Cividalese si contavano 2,3 ettari di terreno per ogni proprietario,
circa mezzo ettaro in meno rispetto alla media provinciale. Moltiplicando la
rendita media per ettaro con il numero medio di ettari di terreno per proprietario,
si ottiene la rendita media per proprietario, che risultava essere di circa 30 lire
contro le 25,6 della media provinciale.
La rendita censuaria media per proprietario in provincia, se raffrontata con
quelle delle altre province venete, era inferiore, a eccezione della provincia di
Belluno Infatti la rendita censuaria media per proprietario calcolata nelle
rimanenti province del veneto era di 122 lire, con punte massime di 198 a Venezia
e minime a Vicenza con 58 lire.
Ulteriore elemento d’interesse nell’analisi della proprietà e della sua
frammentazione è quello legato al numero e al valore dei trasferimenti di proprietà
effettuati nel distretto tra il 1871 e il 1879. In questi nove anni nel distretto si
conclusero ben 8.366 vendite volontarie di terreno, per un ammontare
complessivo di 10.665 ettari di superficie coltivabile. Tali trasferimenti di
proprietà riguardavano generalmente appezzamenti di terreno di modeste
dimensioni, mediamente poco meno di 1,3 ettari ciascuno. La superficie
produttiva trasferita di proprietà fu pari al 20 per cento del totale, e interessò circa
il 36 per cento dei proprietari. Il valore medio di un ettaro di terreno trasferito era
pari a 1032 lire. Le vendite con importi al di sotto delle 3.000 lire, inferiori
pertanto a circa tre ettari di terreno, furono il 64 per cento del totale (circa 5.400) e
riguardarono complessivamente 7.094 ettari73.
valore commerciale della terra e sul suo credito, in Atti della giunta per l’inchiesta agraria cit., p.
351.
73
MORPURGO, Le condizioni della proprietà cit., p. 326
58
L’analisi dei dati evidenzia come intorno alla piccola e media proprietà il
movimento fu particolarmente vivace. Queste osservazioni offrono una duplice
chiave di lettura della dinamica: se le vendite di terreni di piccole e medie
dimensioni avessero portato a una diminuzione dei proprietari, e quindi a un
aumento della superficie coltivabile per agricoltore, si potrebbe considerare il
fenomeno positivamente, in quanto diretto a compattare la proprietà
eccessivamente frammentata. Se invece i terreni avessero esclusivamente avessero
cambiato titolarità, nessun beneficio legato alla crescita delle singole ditte si
sarebbe manifestato. Non è possibile giungere a una conclusione univoca su
questa complessa realtà. Una delle poche considerazioni che si possono fare
riguarda il trend delle cessioni: mentre in Friuli il movimento della proprietà
atteneva quasi esclusivamente ai piccoli poderi, nel Veneto la compravendita dei
terreni riguardava in modo più vario sia i piccoli appezzamenti che i medi e i
grandi.
Interesse maggiore costituisce l’analisi del valore complessivo della
proprietà trasferita a Cividale: un ammontare di poco superiore agli 11 milioni di
lire, pari a circa un quinto del valore complessivo dei trasferimenti dell’intera
provincia. Le ragioni di questi cambi di proprietà furono diverse: in primo luogo
le vendite potevano essere stimolate dall’emigrazione permanente. Per coloro che
lasciavano per sempre la propria terra nasceva l’esigenza di cederne la proprietà.
Per altro verso i lavoratori stagionali potevano investire i risparmi raccolti
all’estero, o comunque lontano dal proprio domicilio, nell’acquisto di terreni: in
questo modo domanda e offerta avevano buone possibilità di incontrarsi, grazie
anche al progressivo abbandono della vita rurale da parte di quanti trovavano
occupazione nell’industria. Un’ulteriore spiegazione potrebbe essere data dalle
difficoltà economiche legate alla conduzione della piccola proprietà, molto spesso
gravata da un’elevata fiscalità e spesso non in grado di offrire al contadino nulla
di più dello stretto necessario. In tal senso una possibile via d’uscita da questa
condizione poteva consistere in un maggiore sacrificio per acquistare nuovi terreni
da aggiungere a quelli già posseduti, trasformando la propria attività di semplice
sussistenza in un’ “attività d’impresa”, attuando una produzione basata su criteri
di maggiore economicità e su tecniche innovative. L’investimento in fondi da
59
parte dei risparmiatori si lega anche al mancato decollo industriale dell’economia
cividalese: il capitale necessario per l’acquisto di terreni si può considerare come
un mancato investimento di risorse nella produzione industriale, priva di
dinamismo proprio ma anche di una solida struttura finanziaria74.
74
MORPURGO, Le condizioni della proprietà cit., p. 322
60
Tabella 15. Dati numerici sulla superficie, sulla proprietà, sulla rendita censuaria e sul numero dei proprietari nella provincia di
Rendita cens.
media per
ettaro
Rendita cens.
media per abit.
Rendita
censuaria
Totale
Abitanti /
Proprietari
più di
mille
Popolazione
al 31/12/1878
da 101 a
1000
Ettari per
proprietario
da 1 a 100
Superficie
produttiva
Ettari
Distretti
Numero dei proprietari aventi rendita fondiaria
pari a lire
Proprietai con
rendita
inferiore a 100
Udine e in alcuni suoi distretti
Cividale
22.083
1.050
91
23.224
96
53.440
2,3
40.131
2
698.729
17,41
13
Moggio
8.452
198
3
8.474
100
36.039
4,2
13.545
2
58.412
4,31
2
Pordenone
19.954
759
76
20.789
96
14.407
0,69
59.488
3
658.387
11,07
46
San Daniele
16.180
466
30
16.676
97
22.796
1,4
30.977
2
363.871
11,78
Spilimbergo
18.414
344
17
18.775
98
40.270
2,1
34.415
2
284.915
8,27
7
Tolmezzo
21.273
456
45
21.774
98
66.170
3
35.194
2
228.403
6,48
3
Udine
20.007
1.118
83
21.208
95
35.633
1,7
69.143
3
768.584
11,12
22
200.590
7.016
643
208.249
96
496.137
2,4
495.016
2,2
5.350.737
10,81
10,7
Provincia
16
Fonte: MORPURGO, Le condizioni della proprietà cit., p. 312.
61
62
1.
La viabilità principale e secondaria nel distretto
Un problema assai sentito da tutta la popolazione e dai commercianti in
particolare era quello della viabilità. La carenza della rete viaria del distretto fu
una questione già sollevata da Pacifico Valussi75quando, allora presidente della
Camera di Commercio di Udine, stese la relazione sulle condizioni economiche
della provincia friulana all’inizio dei primi anni cinquanta dell’Ottocento. Questa
situazione si riverberava sulle possibilità di sviluppo economico di tutto il
distretto, che con nuove e sicure vie di comunicazione avrebbe potuto estendere il
commercio dei propri prodotti su altri mercati. In realtà le cronache del tempo
riferiscono di una sufficientemente completa rete stradale nelle zone pianeggianti
del distretto, anche se erano ancora pochi i ponti che attraversavano i diversi corsi
d’acqua. Questa carenza era particolarmente avvertita nelle zone in cui la strada
che da Cividale portava a Udine attraversa i torrenti Torre e Malina. Dopo le
piogge questa arteria primaria tra le due città rimaneva inagibile per due o tre
giorni, specie ai carichi pesanti, con grave danno sia per il commercio che per
l’agricoltura. Nella zona montana del distretto rimanevano poco praticabili le vie
di comunicazione, sia per il carattere accidentato del territorio, sia per l’elevato
costo della messa in costruzione delle opere necessarie. Spesso si sollecitava un
concorso tra gli abitanti di queste zone, i relativi comuni e il governo per
provvedere in economia ad aprire sentieri percorribili dai carri, ma risultava
impossibile far accordare reciprocamente abitanti di diverse zone e con diverse
esigenze .
In particolare si lamentava la mancanza di due strade, di cui però si era già
effettuata la progettazione: la strada che da Attimis avrebbe portato a Nimis,
comune del distretto di Tarcento, indispensabile per mettere in comunicazione i
due distretti di Tarcento e di Cividale. Essa avrebbe completato la strada
75
P. VALUSSI, Rapporto sullo stato dell’industria e del commercio della provincia del Friuli negli
anni 1851 e 1852, Udine 1853 (riedizione: Archivio storico dell’industria italiana, Bologna 1983,),
p.138-140
63
pedemontana di collegamento tra le valli del Tagliamento, del Natisone e dello
Judrio. Occorreva inoltre costruire la strada che da Albana, lungo la sponda destra
dello Judrio, in territorio italiano, avrebbe dovuto portare sino nella valle
omonima. Essa avrebbe aperto un facile sbocco al commercio dei prodotti di
quella fertile vallata e avrebbe evitato i numerosi passaggi da uno Stato all’altro,
come fino a quel momento accadeva. Da sottolineare che la costruzione di questo
tratto stradale avrebbe potuto incontrare il concorso di tutti gli abitanti della
sponda austriaca, che fino a quel momento erano anch’essi sprovvisti di una
comoda via di comunicazione.
Sempre con riferimento alle comunicazioni e ai trasporti, decisiva per lo
sviluppo di Cividale fu la costruzione della linea ferroviaria che la univa a Udine.
Terminata nel 1885, essa diede la possibilità di collegare la città con il capoluogo
di provincia sia per il trasporto passeggeri che per quello merci e dei prodotti
agricoli e industriali. La funzione strategica della ferrovia permise l’insediamento
e lo sviluppo di grandi industrie nel periodo che precedette e seguì la prima guerra
mondiale, nonché l’incremento dei mercati di bestiame e prodotti agricoli. Lo
stesso insediamento della Società italiana cementi sorse, nel 1910, nelle
immediate adiacenze della ferrovia, e il cui tracciato non si discostava molto
dall’ubicazione dei maggiori plessi industriali della città.
Nel corso del primo decennio del Novecento prese corpo l’idea di
prolungare la linea ferroviaria da Cividale in direzione dei territori austriaci
attraverso le valli del Natisone76. Questo progetto fu a lungo discusso in sede
provinciale, ma il precipitare degli eventi che portarono allo scoppio del conflitto
nel 1914, fu un ostacolo insormontabile alla realizzazione dell’opera. In questo
modo l’espansione e la crescita economica del Cividalese e delle valli prospicienti
dovettero subire un drastico ridimensionamento. Durante la guerra fu costruita
una ferrovia a scartamento ridotto per uso militare che conduceva sino a Caporetto
truppe e mezzi occupati al fronte. Al termine del conflitto la tratta passò sotto il
76
Il tragitto della linea ferroviaria, secondo l’ultimo progetto, avrebbe interessato Cividale, Azzida
e infine Canale, in territorio allora austriaco e oggi sloveno (P. PETRICIG, Quella ferrovia non s’ha
da fare. Nesojena zeleznica, San Pietro al Natisone 1999, pp.85-97).
64
controllo e l’amministrazione della Società veneta, che gestiva anche la UdineCividale. Non pochi erano però i problemi da risolvere: un numero insufficiente di
corse giornaliere, lo scartamento ridotto e il tracciato troppo tortuoso. Tra
proclami e impegni assunti a vari livelli amministrativi, la vita della tratta
Cividale-Caporetto terminò nel 1933 senza suscitare particolari clamori né tra la
popolazione né tra gli esponenti politici dell’epoca77.
Bisogna infine ricordare che nel 1921 fu costruita dalla Società italiana dei
cementi una ferrovia a scartamento ridotto lunga circa 10 km. che allacciava le
cave di marna esistenti nel comune di Tarcetta, nelle valli del Natisone, allo
stabilimento di Cividale.
77
PETRICIG, Quella ferrovia non s’ha da fare cit., pp.85-97.
65
2.
Le
condizioni
dell’industria
cividalese
nella
statistica
ministeriale del 1890
L’analisi della condizione industriale e commerciale è più complessa
rispetto a quella inerente all’attività agricola che anche in prosieguo di tempo
risulterà l’attività prevalente e con il maggior numero di addetti del Cividalese.
Ciò non significa che nel distretto e nel suo capoluogo non vi fosse la
presenza di attività industriali, ma lo sviluppo del settore fu inferiore rispetto alle
possibilità e alle attese. Nonostante Cividale rappresentasse un centro di
riferimento sia sotto l’aspetto culturale che commerciale per l’intero Friuli, il
numero dei plessi industriali fu sempre modesto e raramente di primo livello.
Nella statistica industriale redatta tra il 1889 e il 1890 per conto del
ministero di Industria Agricoltura e Commercio si trovano alcune importanti
indicazioni circa la condizione delle industrie nella Provincia di Udine78.
Dall’insieme delle notizie riferite è possibile estrapolare alcuni dati sulle
condizioni specifiche del Cividalese; è possibile inoltre compararli con le
condizioni dell’intera provincia o di alcune dei maggiori centri friulani.
La statistica ministeriale riguarda comparti differenti dell’industria friulana,
individuandone quattro categorie: 1) le industrie minerarie, metallurgiche,
meccaniche e chimiche; 2) le industrie per le lavorazioni alimentari; 3) quelle
tessili; 4) le industrie “diverse” 79. Ciascuna categoria risulta suddivisa in modo
più analitico i diverse tipologie specifiche d’industrie censite.
In riferimento alla prima categoria d’industrie, si osserva come fossero
scarsamente presenti nel Cividalese fabbriche meccaniche e chimiche, mentre un
78
M.A.I.C., Statistica industriale. Notizie sulle condizioni industriali della provincia di Udine,
Roma 1890, (riedizione anastatica promossa dall’Associazione degli industriali della provincia di
Udine, Bologna, 1982).
79
Tra le industrie diverse figurano molteplici tipologie manifatturiere. Tra le più importanti
sicuramente quelle inerenti alla produzione di oggetti e strumenti in legno, ma anche le concerie di
pelli, le fabbriche di cappelli sia di lana che di paglia, le tipografie.
66
certo interesse ricoprì l’attività estrattiva e quella metallurgica. In merito a
quest’ultima produzione, bisogna precisare che la statistica non comprende le
attività fabbrili, che presentavano caratteristiche più marcatamente di bottega
artigiana che di opificio in senso proprio. In effetti sono riportate solo le principali
attività di carattere industriale svolte in modo organizzato e che potevano definirsi
come attività di fabbrica. Questo criterio non considerò quindi la numerosa
schiera di lavoratori che, pur operando in settori in qualche modo legati al
secondario, non erano occupati in aziende con i caratteri organizzativi
dell’impresa. A Cividale esistevano e operavano con successo diversi laboratori
fabbrili, le così dette “farie”, che però mantenevano una connotazione più simile
alla bottega artigiana che all’officina industriale. La statistica stessa precisa come,
a esempio, nella sola città di Udine fossero presenti circa 100 officine di fabbro
ferraio, oltre a numerose altre attività non inserite nel computo delle attività
industriali della città. Quanto emerge dallo studio industriale sulla provincia è
dunque solo una parte dell’attività del settore secondario svolta sul territorio, alla
quale si dovrebbe aggiungere anche una statistica sulle attività minori.
Una delle principali attività presenti sul territorio del distretto era quella
legata all’estrazione di pietre dalle numerose cave della zona. In questo senso
nelle colline prospicienti a Cividale il territorio era ricco di cave di pietra da
taglio, di ghiaie e di sabbie. L’attività estrattiva per la verità non riguardava solo
Cividale, ma anche numerosi comuni delle immediate vicinanze. E’ opportuno
ricordare che, a seguito dell’introduzione dei dazi doganali, i fiorenti commerci di
pietre con i paesi austriaci e del Carso subirono un brusco rallentamento e in
alcuni casi addirittura cessarono dopo il 1866, mentre si mantenne vivo solo il
commercio locale nell’ambito della provincia.
67
Tabella 16. Attività estrattiva nel distretto di Cividale e nelle zone limitrofe nel 1890
Numero dei lavoratori maschi
N°
Cave
Prodotto
Produzione
annua media
(tonnellate)
Cividale
1
Pietra
piacentina
Corno di Rosazzo
3
Faedis
Comuni
Numero
medio dei
giorni
lavorati
Adulti
Sotto i 15
anni
Totale
2
3
-
3
200
Pietra
comune
4230
18
-
18
150
4
Pietra
arenaria
420
20
-
20
200
Torreano
14
Pietra
piacentina
600
34
9
43
230
Totale distretto di
Cividale
22
-
-
75
9
84
195
Totale distretto S.
Pietro al Nat.
11
-
-
46
3
49
231
Totale provincia
Udine
62
-
-
316
32
348
200
Fonte: M.A.I.C., Statistica industriale cit., p.
Appare evidente come la gran parte dell’attività di estrazione di pietre e
ghiaia della provincia di Udine si concentrasse nel Cividalese e nelle limitrofe
valli del Natisone. Le cave presenti nei due distretti costituivano più della metà
delle risorse dell’intera provincia, occupando circa il 40 per cento del totale degli
addetti del settore.
Altra attività importante in termini sia quantitativi di produzione sia di
occupazione era quella legata alle fornaci di calce e laterizi80. La statistica censì 5
fornaci attive nel territorio del comune, delle quali 4 intermittenti e 1 di tipo
80
La presenza di diverse fornaci di modeste dimensioni, sparse su tutto il territorio friulano, è in
parte dovuta alle caratteristiche del prodotto da costruzione edile, di modesto valore unitario e di
notevole peso e ingombro. Il trasporto avrebbe aumentato il costo del prodotto e sarebbe stato
comunque difficoltoso a causa del sistema viario poco sviluppato.
68
Hoffmann a 12 camere. Gli addetti del settore erano complessivamente 97, tutti
maschi, di cui 84 adulti e 13 di età inferiore a 15 anni81.
Lo stabilimento di maggiore importanza era senza dubbio quello sorto
nell’immediata periferia di Cividale, in località Rubignacco, ad opera di una
società in nome collettivo, le “Fornaci di Rubignacco”; costituitasi con un capitale
di 53.480 lire, operava con una fornace a ciclo continuo per la produzione di calce
comune82e con un forno Hoffmann a 12 camere per la produzione di laterizi83. Lo
stabilimento era in grado di produrre circa 2.142.000 pezzi l’anno grazie a questo
forno. La produzione occupava gli addetti per 7 mesi continuativi. Delle rimanenti
fornaci censite non vi sono particolari notizie: erano destinate alla produzione di
calce comune trattandosi prevalentemente di piccoli forni a fuoco intermittente
che producevano quasi esclusivamente per il commercio locale. Queste fornaci
erano presenti in molti comuni del territorio provinciale, ma nel complesso
avevano un ruolo marginale rispetto agli opifici di maggiori dimensioni. Erano
sfruttate materie prime raccolte in loco, sia per la trasformazione sia per la
combustione, e il funzionamento nel corso dell’anno non superava quasi mai i 20
giorni di attività.
Come già ricordato, la produzione chimica a Cividale e più in generale nel
distretto era quasi completamente assente, eccezion fatta per un piccolo
stabilimento dedito alla produzione di olio di colza, il cui proprietario, Miani
Pietro, occupava nella produzione solo due operai per complessivi 100 giorni di
lavoro l’anno84.
Le industrie alimentari del territorio non erano particolarmente sviluppate.
Lo studio del ministero non riportava dati specifici sui singoli mulini per la
macinazione dei cereali. Nel 1889, secondo i dati statistici, operavano in provincia
614 mulini con 1096 operai addetti. Il numero molto elevato di mulini e quello
relativamente basso degli addetti evidenziano come molti degli esercizi censiti
81
82
M.A.I.C., Statistica industriale cit., p. 60
La produzione di calce comune nel territorio del comune di Cividale ammontava
complessivamente a 1.010 quintali l’anno.
83
M.A.I.C., Statistica industriale cit., p. 57
69
svolgessero un’attività di modeste dimensioni. Il 92 per cento dei mulini macinava
un quantitativo di cerali inferiore ai 5.000 quintali l’anno (1.668 quintali in media
a mulino). A Cividale, come in gran parte della provincia, la macinazione si
svolgeva in piccoli mulini azionati da motori idraulici.
Nonostante l’assenza di grandi mulini per la macinazione dei cereali, a
Cividale era presente una fabbrica per la produzione di paste da minestra. La ditta
di Strazzolini Feliciano produceva circa 2 quintali di pasta al giorno, occupando
per 260 giorni all’anno 2 operai85.
Un’attività di rilievo svolta nel distretto riguardava la fabbricazione di
spiriti: delle 238 distillerie agrarie attive presenti nella provincia di Udine, ben
148 operavano nel distretto cividalese, impiegando 296 operai su 438 addetti
complessivi in provincia86. Oltre a queste distillerie era presente nel 1870 a
Cividale una fabbrica di birra, sorta alcuni anni prima87. Dopo un primo periodo
in cui essa godette di ottima fama e di un buono smercio anche su altri mercati,
l’azienda interruppe la produzione della bevanda dopo pochi anni, a causa del
modesto quantitativo di produzione e del peggioramento qualitativo del prodotto.
Sempre in riferimento alle industrie alimentari, bisogna ricordare come tra
le cinque fabbriche di acque gazzose operanti in provincia una svolgeva la propria
attività a Cividale, impiegando un solo addetto.
Altro comparto di notevole interesse nel comune di Cividale fu quello
tessile, in cui lo sviluppo occupazionale fu maggiore, coinvolgendo tra l’altro un
gran numero di donne escluse dall’inserimento in altri tipi di industrie. L’attività
tessile si svolgeva prevalentemente nell’ambito della seta e in quello del cotone. A
Cividale erano attivi ben 8 opifici serici, in cui si praticava principalmente la
trattura. Le altre fasi della sericoltura, ovvero la torcitura, la lavorazione dei
cascami e la tessitura, erano poco praticate in regione e comunque svolte in pochi
opifici di maggiori dimensioni.
84
M.A.I.C., Statistica industriale cit., p. 69.
85
Ibid., p. 77.
86
Ibid., p. 78.
87
DE PORTIS, Stato dell’agricoltura cit., p. 14.
70
La trattura della seta era un’attività già da tempo largamente diffusa. Nel
1870 nel comune erano state censite complessivamente 40 filande per un numero
complessivo di 526 occupati88. Nel 1890 negli 8 stabilimenti le bacinelle attive
erano complessivamente 81, di cui 64 a vapore e 17 a fuoco diretto, mentre quelle
inattive erano 46. Il personale occupato comprendeva solo su 3 maschi adulti,
mentre il rimanente era composto da donne, di cui 155 adulte e 14 sotto i 15 anni
di età. La forza lavoro complessivamente impiegata ammontava pertanto a 172
unità, con una media annua di 204 giorni lavorati.
Passando all’industria del cotone, bisogna rilevare come tale attività
ricoprisse un ruolo non irrilevante nel panorama industriale del distretto. Il
numero di occupati nella tessitura, ad esempio, era inferiore solo a quello di
Pordenone, Udine, Osoppo e Fiume. In questi centri però, operavano
prevalentemente telai di tipo meccanico a una o più navette e in misura
mediamente doppia rispetto a quelli semplici manuali presenti a Cividale.
In particolare a Cividale nell’industria della tessitura del cotone operava
esclusivamente un opificio di grandi dimensioni, quello di Biagio Moro, dedito
alla produzione di tele colorate. In questa attività erano impiegati ben 70 telai a
mano a una e più navette, con 125 operai tra maschi e femmine (inclusi gli addetti
alla tintoria), occupati mediamente per 270 giorni l’anno. Per i lavori preparatori
alla tessitura l’azienda faceva uso di 2 motori idraulici della potenza di 4 cavalli
ciascuno. Presso lo stabilimento funzionava una tintoria, che era annoverata tra le
principali della provincia sia per dimensione che per qualità. Sempre presso lo
stesso stabilimento avveniva la lavorazione della canapa e del cotone misto al lino
o alla canapa, cui erano dedicati 10 telai. Altri telai in opifici minori operavano
questo tipo di produzione, facendo di Cividale, insieme a Verzegnis, Lauco e
Tolmezzo, uno dei centri più importanti di questa produzione in tutto il Friuli.
Sempre in territorio comunale operava un piccolo opificio di proprietà di
Giuseppe Caneva, nel quale erano occupate 10 operaie con nove telai a mano.
L’attività svolta da questa piccola fabbrica era rivolta alla produzione di scialli
88
Ibid., p. 12.
71
reticolati in lana e seta. La produzione complessiva raggiungeva le 2.000 unità
annue e occupava le lavoratrici circa 300 giorni l’anno.
Complessivamente sul territorio del comune erano dislocati 110 telai a
mano, i quali occupavano 110 maschi adulti, 39 ragazzi sotto i 15 anni e 28
donne, per un totale di 177 addetti, con una media di giorni lavorati di circa 270.
Le tintorie esistenti erano 6 (di cui una con motore idraulico) e disponevano
in totale di 46 caldaie e vasche, occupando 20 lavoranti per circa 300 giorni
l’anno.
Nel distretto era diffusa l’industria tessile casalinga. Questo fenomeno non
era limitato al solo distretto di Cividale ma si estendeva a tutta la provincia. La
produzione era prettamente limitata all’autoconsumo o a soddisfare le commesse,
da parte delle industrie maggiori. Era infatti abitudine diffusa lasciare presso il
domicilio delle tessitrici alcuni telai di proprietà delle fabbriche, sfruttando in tal
modo il lavoro domestico di donne che non esercitavano la tessitura a tempo
pieno89. Questo aspetto deve essere debitamente considerato perché in alcuni casi
i telai dichiarati dalle imprese comprendevano anche quelli domiciliati presso le
abitazioni.
Rimangono da analizzare le poche altre industrie di vario tipo presenti nel
comune. Il censimento statistico segnalava la presenza di una fabbrica di cappelli,
che occupava 4 persone, di cui 2 maschi, 1 donna e 1 fanciullo e che garantiva un
numero medio di giornate lavorate di circa 210.
89
Nel 1857 a Cividale iniziò la propria attività la ditta Spezzotti, la quale, facendo lavorare per
proprio conto circa 100 telai, riuniti in quelle che allora erano definite botteghe, occupò buona
parte della popolazione residente in Borgo S. Domenico e parte di quella di Borgo Brossana.
72
Tabella 17. Telai a mano per la tessitura casalinga nel distretto di Cividale
(1890)
Telai
Tessuti
Comuni
Attimis
Buttrio
Cividale
Corno di
Rosazzo
Manzano
Moimacco
Povoletto
Remanzacco
S. Giovanni di
Manzano
Torreano
Totale
16
7
8
lino,
canapa
10
7
5
materie
miste
4
2
-
-
-
-
-
-
lana
cotone
-
Totale
Numero
medio
annuo
giorni di
lavoro
30
14
15
180
60
200
8
8
250
1
5
-
8
1
10
8
2
5
10
180
300
60
90
-
-
13
13
290
31
28
10
56
10
115
200
Fonte: Statistica industriale cit., p.97
Vi era poi una conceria, di proprietà dei fratelli Vuga, con 20 vasche e tini
di concia. L’attività di conceria era un tempo assai diffusa in tutta la provincia,
ma, dopo l’introduzione dei dazi doganali del 1866 con l’Impero austriaco, il
mercato di questi prodotti subì un forte ridimensionamento. L’attività dei fratelli
Vuga esportava però con dazio ridotto cuoio da suola in tutto l’Illirico e in Istria.
La fabbrica occupava 10 maschi adulti per circa 300 giorni l’anno.
Era poi presente a Cividale una cartiera, dotata di un motore idraulico da 12
cavalli, che occupava 12 persone (6 maschi e 6 femmine) per complessivi 260
giorni l’anno, e una tipografia, dotata di due macchine celeri e di un torchio
semplice, in cui erano occupati 10 maschi, 1 donna e 2 ragazzi sotto i 15 anni di
età per 300 giorni l’anno.
Dalla statistica non emergono ulteriori industrie, fossero esse segherie,
fabbriche di sedie, di mobilio, di lavori in legno o altro. Questo, come ricordato, è
in parte imputabile alla natura artigianale di alcuni laboratori, non inseriti perciò
73
all’interno della statistica industriale. Dai dati estrapolati dalla statistica è
possibile tracciare un quadro riassuntivo del numero di persone complessivamente
impiegate nell’industria a Cividale.
Tabella 18. Riepilogo delle industrie presenti a Cividale nel 1890
Industria
Numero dei lavoratori
Numero degli
esercenti
Uomini
Donne
Totale
Cave
1
3
-
3
Fornaci
5
97
-
97
1
2
-
2
1
2
-
2
1
1
-
1
Trattura della seta
8
3
169
172
Tessitura del cotone
1
149
28
177
Fabbricazione
tessuti reticolati
1
-
10
10
Tintorie
6
-
-
20
Fabbriche di
cappelli
1
3
1
4
Concerie
1
10
-
10
Cartiere
1
6
6
12
Tipografie
1
12
1
13
Totale
29
288
215
523
Fabbriche olio di
colza
Fabbrica pasta da
minestra
Fabrica acque
gazzose
Fonte: M.A.I.C., Statistica industriale cit., p. 112-113
.
74
3.
L’evoluzione delle condizioni rurali e industriali nei primi
anni Novecento
Ulteriori informazioni sulla condizione dell’industria e del lavoro nel
Cividalese si possono ricavare dall’analisi dell’Inchiesta sulle condizioni di lavoro
dei salariati e dei coloni nella provincia di Udine”90. Questa indagine fu condotta
dall’Ufficio provinciale del lavoro con la finalità di conoscere la condizione dei
salariati dell’industria, del commercio e dell’agricoltura. I dati sono disaggregati
per mandamento: di ciascuno di essi è riportato il numero complessivo di salariati
diviso per mestiere, età, sesso, ore di lavoro, salario, lavoro notturno, nonché la
presenza di organizzazioni di mestiere sia dei datori sia dei lavoratori. L’inchiesta,
approvata dal Consiglio dell’Ufficio provinciale del lavoro nel 1908, fu portata a
termine nel 1909 e in seguito pubblicata nel Bullettino dell’associazione agraria
friulana nel 191191.
I dati raccolti per la compilazione dei prospetti sintetici dell’inchiesta, si
debbono ritenere incompleti, non sufficientemente chiarificatori circa le
dimensioni del fenomeno industriale. Nel caso delle industrie cividalesi appare
incongruo il dato riferito alle poche tipologie di imprese individuate e soprattutto
non coincidono i dati dell’inchiesta con quelli del censimento di pochi mesi
successivo. I dati relativi all’industria tessile a Cividale, alla data del censimento
nazionale (10 giugno 1910), evidenziano la presenza di 18 imprese con un totale
di 178 occupati. Analizzando i dati contenuti nell’inchiesta provinciale, risultano
operanti a Cividale diverse imprese del settore tessile, ma esclusivamente
setifici92, che occupavano complessivamente 60 persone. I dati raccolti sarebbero
dunque incompleti anche se, è bene precisarlo a parziale giustificazione dello
90
UFFICIO PROVINCIALE DEL LAVORO, Inchiesta sulle condizioni di lavoro dei salariati e dei
coloni nella provincia di Udine, Udine 1911.
91
La versione pubblicata sul Bullettino riporta solo parzialmente i dati dell’inchiesta, evitando in
particolare di esporre i dati inerenti ai salariati del settore industriale.
92
In realtà nei dati contenuti nell’inchiesta non compare il numero d’imprese facenti parte di una
categoria di aziende.
76
scostamento rispetto al dato del censimento, l’inchiesta si concentrava sui salariati
nell’industria. Sembra tuttavia emergere un divario troppo marcato tra le due
rilevazioni, che non permette di accettare come indicativi i dati statistici forniti
dall’Ufficio provinciale del lavoro.
Si possono ora analizzare altri aspetti della ricerca che possono aiutare a
ricostruire un quadro più completo delle condizioni del salariato nell’ industria del
primo Novecento. L’orario di lavoro impegnava tra le 10 e le 11 ore giornaliere,
in linea con la media delle ore di lavoro degli operai nelle imprese di tutta la
provincia. Vi erano differenze negli orari spesso legate alle tipologie di attività
svolte e non tanto all’organizzazione specifica della singola impresa.
Prevalentemente la giornata lavorativa si svolgeva durante il giorno, salvo delle
rare eccezioni. Il lavoro notturno era comunque limitato a poche fattispecie di
industrie, in prevalenza a quelle legate alla produzione di energia elettrica e alle
fornaci.
Il salario medio giornaliero calcolato nel distretto era per gli uomini pari a
2,85 lire, mentre per le donne si aggirava intorno a 1,45 lire. Il dato calcolato sulle
poche rilevazioni raccolte è pienamente corrispondente con quello calcolato per le
industrie del comune di Udine, dove la retribuzione media giornaliera era
calcolata in lire 2,86 per gli uomini e in 1,62 lire per le donne93.
La retribuzione delle donne era dunque mediamente inferiore a quella degli
uomini, salvo rare eccezioni. Per gli uomini, poi, le retribuzioni potevano essere
molto diverse all’interno dello stesso comparto produttivo o dello stesso opificio. I
salari più elevati raggiungevano mediamente le 6 lire al giorno, solitamente nelle
aziende e nei settori ove maggiormente erano sviluppate produzioni su larga
scala94. In queste imprese si trovavano anche le maggiori differenze retributive,
dovute alle diversità di mansioni e di ruoli che ciascun salariato doveva svolgere.
93
Nel distretto di Pordenone la retribuzione media per gli uomini era di lire 2,48, mentre per le
donne di 1,3 lire. Particolarità di questo distretto era la forte occupazione nel comparto industriale
delle donne, in rapporto di circa 2 a 1 con gli uomini.
94
La retribuzione più elevata veniva corrisposta a Udine ad alcuni salariati occupati nel settore del
lavorazione del ferro, del rame e di altri metalli. Anche in questo caso il salario minimo era di sole
0,25 lire mentre quello massimo raggiungeva le 10 lire al giorno.
77
Il progressivo avanzamento del processo di crescita dell’industria nel corso
degli anni si associò a un’analoga crescita delle strutture sindacali. La presenza di
organizzazioni di mestiere all’interno degli opifici può essere considerata come un
indice del grado di maturità del lavoratore rispetto alla propria condizione di
salariato e del livello di sviluppo del sistema industriale. Per ciò che concerne il
Friuli bisogna osservare come, nella provincia di Udine, vi fosse la quasi totale
assenza di organizzazioni sia di lavoratori che di padroni. L’unica eccezione
riguardava alcune imprese operanti nel settore tessile del Pordenonese, le cui
dimensioni erano le maggiori della provincia e assorbivano la quasi totalità degli
operai locali.
Con riferimento all’intero distretto di Cividale, alcune notizie sono riportate
nelle note e osservazioni a margine dell’inchiesta. In particolare emergeva la
domanda, da parte degli imprenditori, di costituire dei consorzi o delle
“federazioni” per la commercializzazione delle sedie prodotte a Manzano e a San
Giovanni al Natisone, industria che occupava in quel periodo circa 600 addetti.
Dalla parte dei lavoratori dell’industria della sedia del Manzanese (circa 400)
cominciavano a emergere le richieste di un aumento dei salari, della costruzione di
case operaie e delle cooperative di consumo95.
Nel distretto di Cividale gli occupati nel commercio sarebbero ammontati a
107 persone, di cui 99 uomini e 8 donne. Tuttavia secondo il censimento del 1911
nel settore erano occupate ben 1.127 persone. Il commercio era svolto
principalmente da piccole botteghe a conduzione familiare, in cui si faceva
affidamento sul lavoro dei familiari e solo in qualche caso di personale
dipendente. In particolare, a Cividale i salariati del commercio operavano nel
comparto delle ferramenta (7 addetti), in quello del commercio dei coloniali e dei
cereali (23 addetti) e nelle manifatture (23 addetti). Le ore di lavoro giornaliere
erano mediamente 11 e non si segnalava alcun caso di lavoro notturno. Il salario
giornaliero era compreso tra 1,3 e 5 lire, decisamente superiore rispetto alla
95
UFFICIO PROVINCIALE DEL LAVORO DI UDINE, Inchiesta sulle condizioni di lavoro, cit., p. 23
78
retribuzione percepita dai lavoratori maschi di Udine occupati nello stesso settore,
anche se su quella piazza la natura dei commerci era molto più varia96.
Non era presente nella provincia di Udine alcuna organizzazione di
categoria sia tra i salariati che tra i padroni, in ambito commerciale: i dipendenti
delle singole aziende erano assai pochi e distribuiti in numerose attività, quindi la
coscienza di classe che poteva animare gli operai riuniti nelle fabbriche era meno
sentita tra questi lavoratori.
Il lavoro salariato in agricoltura costituiva la principale fonte di occupazione
nel mandamento e nel comune. I dati riportati sono suddivisi, in riferimento al
comune di Cividale, per stagione, data la variabilità di personale occupato
nell’attività agricola nelle diverse fasi dell’anno. Nel periodo invernale l’impiego
di salariati nell’agricoltura era limitato a 1500 uomini, che prestavano il proprio
lavoro per 7 ore giornaliere e con un salario di 1,3 lire. Nel periodo primaverile e
autunnale la manodopera aumentava di più del doppio, mentre nel periodo estivo
cresceva ulteriormente, anche se solo di poche centinaia.
Tabella 19. Retribuzione media dei salariati in agricoltura nel 1909
Uomini
Stagione
Ore di
lavoro
Donne
Da 12 a
15 anni
Salario
Più di 15
anni
Salario
Da 12 a 21
anni
Salario
Più di 21
anni
Salario
Inverno
7
-
-
1500
1.03
-
-
-
-
Autunno
Primavera
10
500
1
2000
1.06
300
0.09
1000
1.02
Estate
11
500
1.02
2000
2
400
1.01
1200
1.05
Totale
1000
5500
700
2200
Fonte: UFFICIO PROVINCIALE DEL LAVORO DI UDINE, Inchiesta sulle condizioni di lavoro cit., p.
42.
Il numero di salariati impiegati in agricoltura nel comune di Cividale era il
più alto di tutti i comuni della provincia di Udine, con circa 4/5.000 addetti. Il
dato è il più rilevante anche sul piano mandamentale, con grossomodo 10.500
96
Facendo specifico riferimento alle tipologie merceologiche analoghe, la retribuzione dei salariati
in Udine era pari a 3.34 lire, pressoché analoga a quella dei lavoratori di Cividale.
79
salariati in totale. Il resto del distretto contava 5.592 addetti, circa la metà di quelli
censiti nella sola città ducale.97 Buona parte degli assunti del periodo estivo non si
possono considerare dei salariati in senso proprio, ma degli stagionali, presi alle
dipendenze durante l’estate a supporto degli altri lavoratori. Le stesse industrie
che non sempre offrivano lavoro per un intero anno ai propri dipendenti
lasciavano l’opportunità all’operaio di impiegare parte del proprio tempo nel
lavoro dei campi. Se le cifre raccolte nell’inchiesta fossero effettivamente reali, è
comunque curioso osservare come l’intera città nel periodo estivo abbandonasse
le altre attività per dedicarsi esclusivamente all’attività agricola.
Nel complesso la condizione dei salariati dell’intero mandamento di
Cividale non era tale da suscitare proteste: solo nel Manzanese e a San Giovanni
al Natisone alcuni lavoratori si lamentavano per il livello della retribuzione,
peraltro in linea con quella percepita dai salariati di Cividale, e per le troppe ore di
lavoro. I padroni, per contro, protestavano per l’elevato livello dei salari,
esprimendo il desiderio di vederli ridotti. Inoltre si auspicavano la realizzazione in
tempi rapidi di società agricole, di uffici per l’esportazione dei prodotti e di
mercati per lo smercio dei prodotti in loco. A Remanzacco la richiesta che veniva
dai proprietari terrieri era invece di poter accedere ai servizi della rete ferroviaria
per il trasporto dei prodotti, usufruendo di riduzioni sulle tariffe.
Nelle note dell’inchiesta si legge, tra l’altro, che buona parte dei lavoratori
salariati agricoli a Cividale appartenevano a famiglie coloniche. Questo dato
permette di cogliere con maggiore precisione alcuni aspetti legati alla condizione
dei coloni nel comune e nel mandamento.
97
Le dimensioni del fenomeno così come presentate dall’inchiesta dell’Ufficio provinciale del
lavoro, inducono a considerare le cifre non attendibili. Confrontandole infatti con quelle relative
alla popolazione del comune come desunte dal censimento del 1911, in cui gli abitanti
complessivamente erano circa 11.000, appare incongruo che ben 9.400 potessero essere occupati
come lavoratori salariati nell’agricoltura. E’ possibile stimare i lavoratori del settore primario in
circa 4-5000 unità, in altre parole la somma dei lavoratori abitualmente dediti all’attività agricola
più quelli che stagionali (saldo tra i lavoratori occupati nel periodo meno quelli occupati nel
periodo precedente. Vedi tab. 13).
80
Il patto colonico era molto diffuso nelle campagne. Nel solo comune di
Cividale si contavano circa 700 coloni, mentre i familiari ammontavano a 4.900.
Molte persone della famiglia colonica lavoravano come salariati nei campi,
alleggerendo in parte il peso del proprio mantenimento che gravava sul nucleo
familiare.
Le condizioni dell’affittanza erano diverse, sia in considerazione della
diversità di contratto, sia in relazione alla diversa fertilità dei territori. In generale
era possibile individuare tre tipi di contratti. Nel caso di conduzione a mezzadria,
il costo a campo dell’affittanza era compreso tra le 35 e le 40 lire, nel caso di
affitto si stimava in 45 lire e per l’affittanza promiscua la tariffa si fissava tra le 40
e le 60 lire a campo.
Per ciò che concerne le condizioni della vita colonica, alcune considerazioni
svolte a margine dell’inchiesta possono essere interessanti. In primo luogo la
crescita elevata della popolazione negli ultimi anni portava sempre più ad
abbandonare le proprie città e a cercare lavoro altrove. In particolare, sia nelle
zone della Slavia che in quelle collinari della cintura del Cividalese, la mancanza
di una buona rete stradale carreggiabile ostacolava lo sviluppo dell’economia
agraria. In queste condizioni era assai difficile costruire le case e le pertinenze
murarie per i coloni, a causa della problematicità e dell’elevato costo di trasporto
delle materie prime edili, rendevano così anche l’allevamento del bestiame poco
redditizio. Anche i terreni montuosi, particolarmente fertili, sarebbero stati
difficilmente sfruttabili a causa della carenza di vie di comunicazione. Nelle zone
pianeggianti del mandamento le condizioni dell’affittanza erano molto varie, in
virtù anche del differente stato di manutenzione dei fabbricati colonici, anche se si
notava un certo miglioramento delle loro condizioni. Uno studio sul patto
colonico, specie per le zone collinari, avrebbe potuto certamente introdurre delle
modifiche vantaggiose sia per i coloni che per i proprietari dei terreni.
I proprietari esprimevano il desiderio che i coloni fossero maggiormente
attaccati al loro lavoro nelle campagne e lamentavano che spesso fossero attratti
da affari estranei alla ordinaria conduzione dell’azienda. D’altro canto la richiesta
dei coloni era quella di poter allungare i contratti di affittanza, portandoli a
scadenze superiori a un anno. Inoltre essi auspicavano un miglioramento dei
81
fabbricati colonici, per dare impulso sia all’allevamento sia alla bachicoltura.
Infine chiedevano che venissero aumentate le quote loro assegnate per le giornate
di lavoro obbligatorie svolte per conto del proprietario.
Nel complesso le condizioni dell’agricoltura nel distretto risultarono
migliorate nel corso degli anni anche grazie all’opera delle cattedre ambulanti di
agricoltura. Queste istituzioni contribuirono in quel periodo a diffondere nei
comuni del circondario importanti informazioni sulle nuove tecniche colturali,
attraverso conferenze e campi dimostrativi. Una delle carenze ripetutamente
rilevate da molti osservatori del periodo era quella di una scuola mirata alla
diffusione delle conoscenze agronomiche per spingere i giovani studenti a
conseguire una più elevata produttività agricola. In tal senso lo stesso Valussi già
nel 1852 aveva deplorato che il territorio, a fortissima vocazione agricola, fosse
carente di idonei istituti di formativi98. Il comizio agrario di Cividale cercò di
individuare una possibile soluzione a questo problema mediante la trasformazione
delle scuole rurali in scuole elementari agricole, nelle quali l’insegnamento fosse
svolto da maestri formati presso un istituto tecnico. Inoltre si proponeva di
istituire concorsi per la stesura di appositi manuali contenenti le nozioni
fondamentali della pratica agricola, compilati in linguaggio non troppo tecnico e
di facile comprensione sia per i giovani studenti che per gli adulti frequentanti i
corsi serali. Questo tipo di attività era ostacolata dal forte attaccamento alla
tradizione orale, specie negli adulti, particolarmente refrattari alle novità.
La cattedra ambulante, il comizio agrario e, più in generale, l’opera della
Associazione agraria friulana, furono gli unici veicoli di diffusione delle nuove
tecniche agrarie99, consentendo il sorgere nei primi anni del Novecento a Cividale
di alcune importanti società volte a promuovere gli interessi dei lavoratori
agricoli. Tra queste si possono ricordare: nel 1903 la Banca agricola, nel 1920
98
VALUSSI, Rapporto sullo stato dell’industria e del commercio cit., pp.138-140.
99
Solo a partire dal 1920 è possibile individuare a Cividale la nascita in forma embrionale di un
istituto scolastico che, col passare del tempo, porterà al consolidamneto di un Istituto tecnico per il
conseguimento del diploma di perito agrario. A questo proposito si veda C. MATTALONI, Colonia
agricola e agenti rurali. Alle origini dell’istruzione agraria a Cividale, in Un bel percorso. I primi
quarant’anni dell’Istituto Tecnico Agrario di Cividale, Udine 1997, pp. 18-29.
82
l’Essiccatoio cooperativo bozzoli, le numerose camere d’incubazione per la
nascita in comune dei bachi, nel 1924 la Latteria sociale, che arrivò ben presto a
contare 180 soci, alcune cooperative agricole e infine i comitati permanenti per
l’organizzazione dei mercati del bestiame100.
Nell’ambito di un complessivo processo di sviluppo economico del
territorio si deve rilevare il ritardo con cui si approntarono gli strumenti per far
progredire anche il settore primario; ritardi tanto più gravi se si considera quanto
importante fosse per il complesso dell’economia cividalese l’attività agricola.
4.
Lo sviluppo dell’industria tra il 1890 e il 1921
Lo sviluppo industriale del distretto cividalese raggiunse il suo punto più
alto nel periodo compreso tra il 1890 e il 1911. Dalle notizie raccolte all’inizio e
alla fine di quel periodo emerge chiaramente che l’industria e le attività
commerciali raggiunsero l’apice della propria crescita. Dai dati relativi il
censimento del 1871 e allo stato dell’industria del 1890 si evidenzia l’incremento
di addetti al settore secondario. Questo fenomeno si collega con il processo di
sviluppo complessivo che coinvolge l’Italia in età giolittiana, seguendo il
passaggio da una fase depressiva a un vivace risveglio dell’economia e della
produzione agraria. E’ utile esaminare la crescita del settore industriale anche in
relazione a fenomeni di tipo demografico connessi ad altre realtà territoriali. In
questo senso, se è vero che il Friuli attraversò il processo industrializzazione
tipico di altre zone d’Italia con più lentezza, è altrettanto vero che non mancarono
spinte al passaggio da un’economia fortemente orientata al settore primario a una
industriale.
Dalle evidenze dell’inchiesta del 1890 e del censimento del 1911 emerge
che gli occupati nel settore industriale a Cividale passarono da 523 a 895. Questo
dato è ancor più significativo se si considera che le cifre per l’anno 1911 erano
100
A. RIEPPI, Forum Julii. Guida popolare di Cividale e del circondario, Cividale 1925, pp. 121-
124.
83
riferite alle imprese esercitate in apposito locale da non meno di due persone e
attive al 10 giugno di quell’anno o nei precedenti 12 mesi101. Il criterio di
classificazione era dunque più rigido rispetto a quello utilizzato nel 1890. Le
industrie con il maggior numero di addetti erano quelle del comparto edile e della
lavorazione dei minerali, seguite da quelle di trasformazione dei prodotti
alimentari e da quelle tessili. In primo luogo emerge un notevole
ridimensionamento dell’industria tessile. Questo comparto, che nel 1890 fungeva
da motore dell’industria locale, era relegato al terzo posto per importanza nel 1911
con un numero di addetti dimezzato. Il tessile, che quasi ovunque ebbe carattere
trainante nelle prime fasi di industrializzazione, subì un netto ridimensionamento,
senza però che si registrasse un sensibile incremento in nuovi comparti industriali.
Come nota il Parmeggiani, l’industria della provincia friulana, e di Cividale, non
compì il passaggio da un settore industriale tradizionale tipico delle economie
primordiali, a uno a più elevata intensità di capitali. Non si effettuò in pratica
l’evoluzione dai settori tradizionali, come quello del legno, dell’alimentare, dei
materiali da costruzione, a settori più innovativi come il metalmeccanico, il
chimico e quello per la produzione di energia. Analogamente a quanto accadde in
altre realtà, i comparti tipici della prima industria svolsero un ruolo polarizzante
delle risorse e allo stesso tempo di freno allo sviluppo di industrie in settori nuovi
e più dinamici. Fece eccezione il Pordenonese, dove l’ingente capitale investito
nell’industria tessile fu in grado di indirizzarsi negli anni anche verso altri
comparti produttivi102.
A Cividale la condizione di alcuni comparti industriali, oltre a non
realizzare il passaggio verso forme di industria più progredite, non consentì
neanche un accentramento delle risorse e della produzione in grandi opifici. Ciò
può essere interpretato come una delle ragioni della mancata espansione del
settore. Se da un lato si può ritenere che il passaggio da un’industria tradizionale,
101
M.A.I.C., Censimento degli opifici e delle imprese industriali al 10 giugno 1911. Dati
riassuntivi concernenti il personale e la forza motrice delle imprese censite, I, Roma 1913, p. 223.
102
N. PARMEGGIANI, Gli stadi dello sviluppo industriale nella provincia di Udine. Ricognizione
storica dal primo Ottocento ad oggi, Udine 1966, p 48-50.
84
tipica della prima fase dello sviluppo, a una a capitale più intensivo non sia un
automatismo, è anche vero che il reperimento di capitali ingenti non è possibile se
le industrie esistenti sono molte e di modeste dimensioni. Inoltre, come già
accennato, la frammentazione della proprietà agricola costituiva un ulteriore
limite al trasferimento di risorse dal settore primario a quello industriale. A
Cividale, il dato medio di persone addette a ciascuna impresa nel settore della
trasformazione dei prodotti agricoli e dell’allevamento oscillava tra le tre e le
quattro unità. Nel settore tessile la media di addetti era di 10 per opificio e nel
settore dell’edilizia e della lavorazione dei minerali la cifra saliva a 22 addetti. Le
industrie erano dunque di piccola o media dimensione, fatte poche eccezioni. Una
menzione particolare merita il settore delle industrie che operavano nel campo
delle costruzioni. Un notevole impulso alla crescita di questo comparto venne dal
finanziamento delle opere pubbliche realizzate nel comprensorio: le più importanti
furono la costruzione della tratta ferroviaria di collegamento con Udine,
l’acquedotto Poiana, le scuole, alcuni stabilimenti industriali e diverse opere
pubbliche cittadine, tra le quali palazzi e rete viaria.
Sintetizzando i risultati relativi all’intero distretto è possibile notare che se
da un lato la situazione industriale sembrò migliorare, sia pure con molti limiti e
contraddizioni, dall’altro l’iniziale periodo di sviluppo a cavallo tra i due secoli,
manifestò la tendenza a ridimensionarsi tra le due guerre. I dati del censimento del
1911 e quelli del 1921103, se raffrontati tra loro, evidenziano una fase stazionaria
nel processo di sviluppo industriale.
Mentre emersero nuove realtà industriali come Manzano e San Giovanni al
Natisone104, alcune piccole unità produttive scomparvero e non vengono sostituite
da nuove aziende. La carenza del settore metalmeccanico e in generale
dell’industria pesante è già sufficiente a spiegare il mancato sviluppo industriale
in queste aree e fu il segno inequivocabile di una scarsa propensione del capitale a
103
M.A.I.C., Censimento della popolazione 1921 cit., pp. 360 – 385.
104
Gli occupati nelle produzioni di sedie e laterizi nei due comuni, nei dati dell’inchiesta promossa
dall’Ufficio provinciale del lavoro nel 1911, ammontavano complessivamente a 745 (UFFICIO
PROVINCIALE DEL LAVORO DI UDINE,
Inchiesta condizioni di lavoro, cit., pp. 10-11).
85
indirizzarsi verso investimenti industriali. Nel periodo bellico, sia pure tra luci e
ombre, l’industria pesante e meccanica ebbe un notevole impulso produttivo, che
sebbene in parte riassorbito al termine del conflitto, diede il via a una marcata
caratterizzazione di alcune aree produttive del Paese105. Nella provincia friulana la
prevalenza di una struttura labour intensive fu un grave limite anche allo sviluppo
successivo dell’industria.
A questo fenomeno di carattere economico bisogna associare anche un
aspetto di carattere sociale. L’emigrazione in Friuli, che potrebbe essere un effetto
del mancato sviluppo, può essere considerata una delle concause del fenomeno.
Scrive giustamente il Parmeggiani:
Quando in altri termini una popolazione dotata di grandi energie lavorative comincia ad
assumere come costume tipico della sua esistenza economica la ricerca di un lavoro oltre i confini
del proprio ambito geo-economico e quando con il trascorrere del tempo questo costume diviene
un ambito professionale, […] si finisce con l’accogliere il fenomeno migratorio come una costante
nell’ambito della politica economica generale e si cessa di considerarlo per quello che esso è: una
variabile patologica che deve essere eliminata 106.
Mancata industrializzazione ed emigrazione possono essere considerati
fenomeni collegati tra loro in modo circolare e quindi interdipendenti. Era peraltro
difficile ipotizzare che nel clima socioeconomico e culturale di fine Ottocento e
inizio Novecento la possibilità di un intervento dello Stato per cercare di porre un
freno ai fenomeni migratori. Non era avvertita l’esigenza di intervento diretto per
indirizzare lo sviluppo economico. In questo senso, se il problema della mancanza
di opportunità per i lavoratori e per alcune qualifiche professionali poteva essere
risolto con l’emigrazione, si accettava questo fenomeno come soluzione del
problema. In virtù di questa logica si fece poco per accelerare lo sviluppo della
regione e dei suoi distretti: tutto era lasciato all’iniziativa dei singoli capitalisti e
imprenditori.
105
LEONARDI, Dalla guerra alla “grande crisi”, in LEONARDI-COVA-GALEA, Il novecento
economico italiano. Dalla grande guerra al “miracolo economio”, Bologna 1997, pp. 65-67.
106
PARMEGGIANI, Gli stadi dello sviluppo cit., pp. 52-53.
86
Tabella 20 Professioni o condizione della popolazione del distretto di Cividale suddivisa
per categoria secondo i dati dei censimenti del 1911 e del 1921.
Censimento 1911
Professioni o condizioni suddivise per
categoria
Censimento 1921
Maschi
Femmine
Totale
Maschi
Femmine
Totale
Agricoltura caccia pesca e allevamento
Industrie estrattive del sottosuolo
14153
248
10637
-
24790
248
17454
30
9161
-
26616
30
Industrie che lavorano e utilizzano i prodotti
dell'agricoltura, della caccia e della pesca
1396
644
2040
1431
313
1744
Legno
Materie analoghe al legno
Cereali
Frutti, verdura, semi
Prodoti animali
Spoglie animali
Carta
767
12
304
4
23
269
17
41
542
49
1
1
10
808
554
353
4
24
270
27
876
284
1160
270
9
275
1
21
8
-
291
9
283
1
Industrie che lavorano e utilizzano i metalli
282
1
283
361
0
361
Successive lavorazioni dei metalli comuni
234
-
234
320
-
320
Costruzioni meccaniche e grosse costruzioni
metalliche per l'agricoltura e i trasporti
33
-
33
34
-
34
Altre costruzioni meccaniche e lavorazione dei
metalli preziosi
Industrie che lavorano i minerali e costruzioni
edilizie, stardali, idrauliche
Preparazione e lavorazione dei minerali
Costruzioni edilizie, stradali e idrauliche
15
1
16
7
-
7
1142
45
1187
1356
9
1364
587
555
39
6
626
561
183
1173
3
6
185
1179
Industrie che lavorano e utilizzano le fibre tessili
303
903
1206
269
832
1101
Seta
Lino
Tessuti speciali
Vestiario e arredamento domestico
Lavorazione di fibre non specificate
Industrie chimiche
Industrie e servizi corrispndenti a bisogni
collettivi
Industrie poligrafiche
Produzione e distribuzione di forza motrice, luce,
acqua e calore
Trasporti
Servizi pubblici riguardanti l'igene, la sanità e
l'estinzione di incendi
Industrie non specificate
8
1
2
242
50
59
271
1
8
623
2
279
2
10
865
50
61
17
69
86
1
251
7
9
754
-
10
1005
7
221
21
242
449
19
468
16
-
16
19
3
22
12
-
12
27
-
27
188
21
209
403
16
419
5
-
5
-
-
-
-
-
-
260
34
294
87
Professioni o condizioni suddivise per
categoria
Censimento 1911
Censimento 1921
Maschi
Femmine
Totale
Maschi
Femmine
Totale
Commercio
632
495
1127
779
332
1111
Venditra di merci e derrate all'ingrosso e al inuto
261
252
513
250
78
328
Vendito di merci e derrate non specificate
Esercizi pubblici
58
242
242
58
484
171
230
75
177
246
407
Credito e cambio, assicurazione, mediazione,
commissioni, rappresentanze commerciali
71
1
72
128
2
130
Amministrazione pubblica e privata, professioni
liberali
Amministrazione pubblica
Amministrazione privata
Domestici e lustrascarpe
Difesa del paese
Culto
Insegnamento
Professioni sanitarie
Professioni e aziende legali
Lettere e scienze applicate
Arti belle
Condizioni non professionali
Professioni e condizioni non specificate
946
771
1717
1310
915
2225
84
14
78
468
154
63
33
19
27
6
1945
-
8
615
28
93
25
2
9943
-
92
14
693
468
182
156
58
19
27
8
11888
-
80
20
77
842
123
52
48
15
44
9
2335
227
1
2
554
2
2
14359
-
81
22
631
842
182
281
114
15
46
11
16694
227
Totale
21327
23462
44789
26008
25940
51948
59
229
66
Fonte: Rielaborazione da .M.A.I.C., Censimento della popolazione al 10 giugno 1911, IV,
Roma 1915, pp. 346-349 e M.A.I.C.; Censimento della popolazione 1921 cit., pp. 360-385.
88
Dai dati dei censimenti si possono trarre significative considerazioni circa le
dinamiche industriali del Cividalese. Nel 1871 l’ammontare complessivo di
occupati nell’industria era di 3.070, cifra che salì a 5.474 nel 1911 e che si attestò
a 5.369 nel 1921. Nell’ultimo decennio, a causa anche degli eventi bellici,
l’attività industriale subì una significativa flessione. Tale tendenza è ancor meglio
percepibile confrontando il numero di addetti rispetto al totale della popolazione:
se nel 1871 i 3.070 addetti al settore industriale rappresentavano circa l’8 per
cento della popolazione complessiva, nel 1911 si raggiungeva la soglia del 12 per
cento, che diminuiva a poco più del 10 per cento nel 1921.
Nel settore primario la situazione mutò, segnando un incremento
complessivo degli addetti. Dal 1871 al 1911 la percentuale di persone impiegate
nell’agricoltura passò dal 37,5 per cento al 55,3 per cento, mentre nel 1921 si
collocò attorno al 51,2 per cento. È interessante notare come buona parte
dell’incremento degli occupati del settore sia derivato dall’aumento delle donne
dedite all’attività agricola, le quali passano dal 25 per cento del 1871 al 43 per
cento dell’11, per poi ridiscendere al 34,4 per cento nel ’21. L’occupazione
femminile raggiunse il punto di massima espansione nel primo decennio del
Novecento, contraendosi poi nel periodo bellico e postbellico. Complessivamente
tra il 1911 e il ’21 le donne senza una condizione professionale aumentarono di
4.400 a fronte di un aumento complessivo della popolazione femminile di poco
inferiore alle 2.500 unità. La fuoriuscita delle donne dal mondo del lavoro si
verificò in misura maggiore nel settore dell’agricoltura, ma anche i comparti
tessile, della lavorazione del legno e dei prodotti affini furono molto penalizzati.
L’attività industriale del distretto, sebbene non in espansione, presentava
alcune interessanti realtà. Oltre ad alcuni opifici tessili di cui si è già detto, una
delle maggiori attività industriali di Cividale sorse nel 1910 ad opera della Società
italiana dei cementi, che costruì nelle immediate adiacenze della stazione
ferroviaria uno stabilimento per la produzione di cemento Portland. Lo sviluppo di
questo comparto si consolidò nei primi anni del Novecento. Grazie agli studi che
il Malignani dedicò a questo tipo di produzione, vennero scoperti nel Cividalese
in zone limitrofe delle valli del Natisone alcuni importanti giacimenti marnosi.
L’elevata qualità della materia prima avrebbe consentito di ottenere ottimi
89
prodotti finiti: si decise così di dare il via a una consistente produzione di cementi.
L’intero comparto si sviluppò in tempi rapidi, arrivando a contare nel dopoguerra
circa 1.000 addetti. A Cividale, nonostante la guerra avesse semidistrutto la
fabbrica, l’attività si sviluppò con notevoli investimenti. Il numero di operai
impiegati in un primo momento raggiunse le 250 unità, crescendo con il passare
degli anni e con l’aumento della produzione. Una crescita che secondo alcuni
avrebbe dato la possibilità di porre parzialmente rimedio alla disoccupazione
operaia e all’emigrazione locale107.
Un’ulteriore realtà industriale con l’investimento di capitali locali fu
l’opificio della società “Stabilimenti estratti tannici” che nel 1923 investì in
macchinari, terreni e strutture ben 3.000.000 di lire per la produzione di estratti da
concia. Impiegati nella fabbrica erano 100 operai. La produzione di ottima qualità
diede lustro in brevissimo tempo all’azienda che riuscì a vendere i suoi prodotti
sia nel Regno che all’estero.
Accanto a queste attività proliferò una moltitudine eterogenea di realtà di
tipo artigianale, numerose attività commerciali e diversi mercati di merci e
bestiame.
Eccetto pochi singoli casi, il tessuto economico cividalese non sembrò
essere connotato da decise spinte in direzione di un cambiamento. Si potrebbe
ritenere l’assetto economico della città equilibrato e composito allo stesso tempo.
La presenza industriale, come già nella prima metà dell’Ottocento, non prese il
sopravvento sulla produzione agraria che mantenne la propria posizione di
predominio. L’attività agricola, con il nascere dell’industria e con il suo sviluppo,
non perse assolutamente il suo ruolo né indebolì il suo peso nell’economia del
distretto. In realtà bisogna anche rilevare una certa resistenza latente al
cambiamento, a causa dell’influenza che alcuni ambienti economici e religiosi
avevano sulla popolazione. Emblematico è il caso del comparto agricolo, mai
supportato da un sistema finanziario adeguato alle esigenze dei contadini del
distretto.
107
RIEPPI, Forum Julii, cit., pp. 140-141
90
CAPITOLO III
LA NASCITA DELLA SOCIETÀ OPERAIA DI MUTUO SOCCORSO DI
CIVIDALE E I SUOI PRIMI ANNI DI ATTIVITÀ
1.
La nascita della Società Operaia di Cividale.
La nascita della Società operaia di mutuo soccorso di Cividale si lega al
processo di graduale espansione dei confini del Regno d’Italia. Solo con
l’annessione nel 1866 dei territori friulani al Regno infatti cominciarono a
diffondersi in molte località della provincia le istituzioni mutualistiche. Cividale
non rimase indifferente a questo processo di sviluppo delle istituzioni sociali. La
redenzione politica del Friuli fece affiorare nelle coscienze dei i più “illuminati”
una spinta riformatrice e innovatrice, che avrebbe permesso anche ai nuovi
territori di rinascere sia economicamente sia culturalmente.
L’artigianato locale e la popolazione contadina stavano vivendo una grave
crisi, legata alla completa mancanza di forme d’assistenza, di tutela del lavoro e di
formazione professionale. Lo scarso sviluppo intellettuale delle classi meno
abbienti indusse quanti erano più sensibili a tali problemi a di dotare le comunità
cittadine di strutture in grado di soddisfare, anche solo parzialmente, le nuove
esigenze dei lavoratori.
Iniziative per la creazione di un’associazione che raccogliesse attorno a sé il
numero più ampio possibile di operai e artigiani erano state avviate diversi anni
prima della costituzione ufficiale. Le prime notizie ufficiose a tale riguardo
risalgono al 1865, ancora nella fase della dominazione austriaca. Cronisti
dell’epoca informarono alcune notizie sull’impegno profuso da cittadini di
Cividale e di Pordenone per dar vita a società di mutuo soccorso tra gli artieri108.
108
Società di mutuo soccorso pegli artieri in Udine, «L’artiere Udinese», 30 luglio 1865, p. 33.
91
Gli studi effettuati portarono alla stesura di uno statuto, successivamente inviato a
Venezia per ottenerne l’approvazione delle autorità. Salve poche modifiche, lo
statuto fu redatto in conformità a quello che reggeva la Società di mutuo soccorso
di Venezia. Questa carta statutaria era stata infatti approvata dal governo austriaco
e proposta come modello nelle altre province. Tuttavia questo iniziale tentativo di
costituire una società di mutuo soccorso in Friuli non portò in un primo momento
a risultati concreti. Le risposte delle autorità tardarono e la medesima sorte toccò
poi all’iniziativa intrapresa dai pionieri del mutuo soccorso di Udine. I tempi
lunghi della burocrazia fecero scemare molto spesso l’iniziale entusiasmo e
lasciarono cadere nel dimenticatoio le buone idee e i buoni propositi. In altre
province venete la situazione era differente: la Società di Vicenza, presieduta da
Fedele Lampertico, nel 1865 contava più di mille soci e anche a Venezia
esercitavano la loro attività 4 società che raccoglievano più di 500 soci. La totale
mancanza di società di mutuo soccorso in Friuli prima della liberazione non
sembra dunque attribuibile a una mancanza di iniziativa da parte dei lavoratori,
ma a una precisa volontà politica del governo austriaco. A questa volontà si
associava la lentezza con cui i municipi, sotto la cui ala sarebbero dovute nascere
le società, procedevano nell’evadere le necessarie formalità109.
La stampa friulana esortò tutte le forze produttive a sostenere la causa del
mutuo soccorso, offrendo non solamente contributi ideali ma anche e soprattutto
finanziari. Queste tesi furono sostenute con vigore anche da Pacifico Valussi,
all’epoca direttore del Giornale di Udine e parlamentare eletto nel collegio di
Cividale. Valussi, che godeva della stima di Quintino Sella di cui aveva ripreso in
Friuli il progetto politico, sottolineò in vari interventi il ruolo delle società di
mutuo soccorso, quali istituti volti al bene comune e alla crescita socioculturale
della popolazione. In particolare, avuta notizia nel 1869 del tentativo di costituire
una società a Cividale, non mancò di elogiare i cittadini resisi promotori
dell’iniziativa110. In realtà sia per il Valussi che per il Sella la funzione di questi
istituti doveva essere quella di fornire una soluzione alternativa all’intervento
109
Parole e fatti, «L’artiere Udinese», 8 ottobre 1865, p. 113.
110
«Giornale di Udine», 12 agosto 1869.
92
dello Stato nel settore della previdenza e dell’assicurazione contro gli infortuni sul
lavoro e la malattia; uno strumento per evitare l’esplosione delle rivendicazioni
operaie e la diffusione di idee socialiste che, anche in queste zone, si andavano
diffondendo con rapidità. L’intero mondo liberale vide di buon occhio
l’espansione delle società operaie nel Paese, auspicandone l’apporto in materia
d’istruzione e soccorso dell’operaio. L’attività di questi sodalizi copriva un vuoto
dello Stato liberale dell’epoca, il quale non ipotizzava ancora un intervento diretto
in questa materia. Il ruolo e gli scopi del sodalizio, dato il loro lodevole fine, non
potevano essere avversati da alcuno schieramento politico. Il problema riguardava
semmai il modo con cui attuare gli scopi sociali, ambito, questo, in cui anime
diverse, con programmi e visioni differenti, si scontravano all’interno dei consigli
e nelle assemblee delle singole società. La separazione interna al movimento
liberale tra moderati e democratici e la presenza rilevante in alcune zone delle
forze clericali determinarono scontri vivaci all’interno delle società. A farne le
spese spesso erano le società stesse, che, dovevano mediare tra posizioni
contrapposte, assumevano talora decisioni di compromesso scarsamente efficaci.
Inoltre questi scontri spesso rischiavano di radicalizzare il conflitto, contribuendo
ad accrescere l’isolamento delle società e la diffidenza della comunità verso
queste iniziative. Questo e altri problemi affiorarono nel periodo immediatamente
successivo alla costituzione del sodalizio cividalese.
La prima riunione pubblica che coinvolse un cospicuo gruppo di cittadini si
svolse il 6 agosto 1869. All’assemblea, tenutasi presso la Birreria nazionale,
l’avvocato
Pietro
Brosadola,
nominato
per
acclamazione
presidente
dell’adunanza, ricordati brevemente i benefici delle società di mutuo soccorso,
chiese ai numerosi intervenuti di deliberare circa l’opportunità di costituire un
simile sodalizio anche a Cividale. Accolta la richiesta, fu nominata una
commissione di dodici membri scelti tra le varie arti, con il compito di raccogliere
le firme di tutti coloro che avessero manifestato l’intenzione di iscriversi al
sodalizio111. L’iniziativa intrapresa destò vivo interesse e motivo di grande
111
ASC, cart. 1: Atti amministrativi, fasc. 1: Anno 1869, doc.: Verbale assemblea del 6 agosto
1869.
93
soddisfazione da parte di tutti coloro che vedevano nella nascita della Società una
opportunità per potersi affrancare da una condizione di subalternità sia culturale
che economica. In realtà l’entusiasmo iniziale ebbe vita breve e l’azione
“guastatrice” di alcune forze molto radicate nella società civile non tardò a farsi
sentire.
Gettate le fondamenta del nascente sodalizio, l’attenzione dei promotori si
rivolse alla stesura dello statuto e alla nomina delle cariche sociali, incombenza
delicata che avrebbe in buona parte condizionato il successo dell’iniziativa. Nello
statuto si sarebbero infatti inserite le regole per lo svolgimento dell’attività, sia in
campo mutualistico che sociale. A tale scopo il 14 ottobre la commissione
convocò, a mezzo di avviso pubblico alla cittadinanza, un’assemblea per il 18
dello stesso mese, nella quale si sarebbe proceduto all’approvazione del nuovo
statuto e all’elezione del presidente della Società. Si ricordava inoltre ai cittadini
che nei principali luoghi pubblici della città era possibile associarsi al nuovo
sodalizio, apponendo la propria firma, sia come soci “protettori” sia come
“effettivi”. Il 18 ottobre furono raccolte le firme di coloro che si rendevano
disponibili ad aderire all’iniziativa. Le adesioni raccolte sino a quel momento
furono 153, di cui molte però erano condizionate alle disposizioni statutarie
regolanti il funzionamento della Società112: ciascun socio, infatti, si riservava la
possibilità di ritirare la propria firma fino all’approvazione dello statuto.
Persisteva in molti sottoscrittori qualche perplessità sulla Società e su chi se ne
avrebbe assunto la guida, segno evidente che il sodalizio non nasceva
completamente affrancato da vincoli e da pressioni di gruppi diversi connotati in
senso liberale moderato, progressista e cattolico.
Nel corso della riunione del giorno 18 ottobre intervennero 72 sottoscrittori
e i lavori si incentrarono sulla nomina delle cariche sociali113. Su proposta
dell’avv. Antonio Pontoni fu nominato presidente interinale della società Gio.
Batta Vuga e, su proposta di quest’ultimo, segretario Brosadola. Si approvò quindi
112
ASC, cart. 1: Atti amministrativi, fasc. 1: Anno 1869, doc. Dichiarazione di sottoscrizione.
Elenco delle firme.
113
ASC, cart. 1: Atti amministrativi, fasc. 1: Anno 1869, doc. Verbale assemblea 18 ottobre 1869.
94
la nomina della commissione per lo statuto, che si sarebbe dovuta comporre di 4
membri eletti dall’assemblea e di un presidente. Uno dei soci, Zanuttigh
Ferdinando, eccepì l’inutilità della commissione, in quanto sarebbe stato
sufficiente modificare uno degli statuti già in uso in Lombardia da molti anni. Il
segretario respinse la richiesta senza che alcuno intervenisse ulteriormente
sull’argomento. Si nominò quindi la commissione, il cui presidente risultò il dott.
Paolo Dondo114. Un gruppo di soci pose al giudizio del segretario una questione di
legittimità circa l’elezione per acclamazione del presidente, aprendo in seno
all’assemblea un lungo dibattito sulle regole per le votazioni. Alcuni ritenevano
necessario introdurre il voto a scrutinio segreto, altri procedere per voto palese.
L’assemblea approvò quindi la proposta del segretario che stabilì il voto
preventivo dell’assemblea sulle regole da adottare nelle votazioni.
I lavori della commissione non furono particolarmente lunghi, tant’è che a
distanza di meno di un mese dalla nomina fu possibile discutere la proposta di
statuto avanzata dagli incaricati. Le assemblee si concentrarono nella settimana tra
il 17 e il 23 novembre e raccolsero ogni sera presso la Birreria nazionale numerosi
sottoscrittori. Nel corso di queste assemblee gli interventi si susseguirono
numerosi e spesso fu difficile discutere più di una decina di articoli per sera. Tra
le questioni che maggiormente coinvolsero i presenti vi furono quelle legate
all’elargizione dei sussidi in caso di malattia. Alla posizione di alcuni soci, fautori
della necessità di una maggiore generosità verso i bisognosi di e minore rigidità
nella concessione dei sussidi115, rispondeva la commissione raccomandando
prudenza e serietà, specie nella prima fase di vita del sodalizio116. Inoltre
l’assemblea cassò la proposta di offrire sussidi anche nel caso di mancanza di
lavoro e di istituire un ufficio per procurare impiego ai soci presso i capibottega
della città. Questa indicazione, benché in sintonia con i principi ispiratori della
114
I membri eletti nella commissione erano i signori Piani Giuseppe con 56 voti, Cirant Antonio
con 52, Piutti Lorenzo con 44 e Braida Edoardo con 38 preferenze (Ibid.).
115
In particolare ci si riferiva al disposto dell’art. 22 che prevedeva l’accertamento della
condizione di bisogno del socio e fissava un importo del sussidio definito e uguale per tutti.
116
ASC, cart. 1: Atti amministrativi, fasc. 1: Anno 1869, doc.: Verbale assemblea del 18 novembre
1869.
95
società e utile ad allontanare i dissapori che sarebbero potuti nascere tra i soci, fu
considerata dannosa perché avrebbe messo la rappresentanza sociale in
difficoltà117.
Il 23 novembre le assemblee si conclusero con l’approvazione finale degli
88 articoli definitivi dello statuto e delle norme transitorie. Il giorno 26 novembre
la presidenza interinale della Società invitava tutti i soci e i cittadini che avessero
voluto prendere parte al sodalizio a intervenire all’assemblea per la votazione
degli uffici provvisori della Società ai sensi delle norme del nuovo statuto. A tale
riunione furono votati i 18 membri del consiglio e il vicepresidente. Quest’ultima
carica fu affidata all’avv. Dondo118, mentre le schede con i nomi dei consiglieri
furono spogliate il giorno successivo119. Sempre nella stessa data fu stabilita come
sede provvisoria della Società casa Hoffmann, in via Ristori.
A partire dal 3 gennaio 1870 si cominciarono a raccogliere le domande
d’ammissione a soci complete e definitive, invitando pertanto anche i soci che
sino a quel momento si erano iscritti come soci provvisori a regolare la propria
posizione. Con la successiva assemblea, svoltasi in data 20 marzo, furono
confermate le cariche sociali di tutti gli organi e il sodalizio divenne ufficialmente
operativo. La sottoscrizione definitiva del patto sociale contò 185 soci “operai”, di
cui 12 donne120.
L’entusiasmo iniziale con cui molti cittadini avevano aderito all’iniziativa si
smorzò già nel corso del primo anno di vita del sodalizio. Al termine del 1870 gli
iscritti scesero a 91, dimezzandosi rispetto al mese di marzo. L’emorragia
continuò anche l’anno successivo e al termine del 1871 i soci rimasti erano 53121.
117
ASC, cart. 1: Atti amministrativi, fasc. 1: Anno 1869, doc. Verbale assemblea del 16 novembre
1869.
118
ASC, cart. 1: Atti amministrativi, fasc. 1: Anno 1869, doc. Verbale assemblea del 26 novembre
1869.
119
ASC, cart. 1: Atti amministrativi, fasc. 1: Anno 1869, doc. Verbale assemblea del 27 novembre
1869.
120
SOMSI, 40 anni di vita della Società operaia di mutuo soccorso e istruzione di Cividale,
Cividale 1911, p. 6.
121
Idid., tavole.
96
Nel 1870 la politica italiana dovette affrontare la spinosa questione dei rapporti
Chiesa-Stato. L’ingresso a Roma dell’esercito nel settembre segnò la fine del
potere temporale dei papi. Nello stesso anno nel collegio di Cividale le elezioni
politiche videro l’affermazione netta del nobile avvocato Giovanni De Portis, già
sindaco della città, che espresse una posizione di moderata apertura nei confronti
del mondo cattolico, visto in quella fase storico-politica come nemico dell’unità
italiana122. Il sostegno a posizioni apertamente anticlericali non avrebbe garantito
l’appoggio degli ambienti ecclesiastici, in quella fase molto influenti in città.
Anche all’interno della Società le posizioni sostenute da una parte dei soci
assumevano una colorazione, a giudizio di alcuni, eccessivamente politica. Lo
dimostrò l’accesa discussione avvenuta nell’assemblea generale per nominare
Garibaldi presidente onorario. Alcuni tra i soci più rappresentativi del sodalizio si
scontrarono sulla questione, chi sostenendo l’importanza di questa decisione, chi
criticandone la convenienza. La scelta inoltre di conferire la presidenza onoraria
della Società a Giuseppe Garibaldi parve ad alcuni un gesto troppo “ardito”, non
opportuno tenendo conto dell’ambiente. La nomina dell’eroe dei due mondi aveva
un chiaro significato politico, sebbene il socio Adolfo D’Orlandi, presentando la
mozione ne avesse escluso una tale finalità123. Probabilmente furono il clima
122
Alla candidatura di De Portis fu contrapposta quella di Antonio Pontoni, avvocato di
Premariacco, che esercitò la professione nel Bellunese e dopo i fatti del ’48 fu mandato al confino
a Cividale. Rappresentante della Sinistra, vagamente progressista, fu consigliere comunale nonché
uno dei primi soci sottoscrittori della Società operaia. Venne eletto alla Camera dei deputati nel
1874 e nel 1876 (C. RINALDI, I deputati friulani a Montecitorio nell'età liberale, 1866-1919,
Udine 1979, pp. 361-362).
123
Il dibattito fu particolarmente acceso: vi fu chi chiese il ritiro della mozione, chi sostenne la
totale ininfluenza di tale atto rispetto ai reali interessi della Società (regolare riscossione delle
contribuzioni), chi ritenne necessaria una modifica allo statuto, chi propose il rinvio della
decisione, chi ricordò l’importanza di altre figure altrettanto meritevoli di ricoprire quel ruolo e
chi, infine, propose polemicamente di nominare presidenti onorari della Società i principi di casa
Savoia, cambiando la denominazione del sodalizio con “Società Operaia Reale”. Giunti al voto,
alcuni soci (G. Gabrici, E. Braida, G. Trevisan e G.P. D’Orlandi) si allontanarono dalla sala non
partecipando al voto, in aperto dissenso con la maggioranza dell’assemblea (ASC, cart. 1: Atti
amministrativi, fasc. 2: Anno 1870, doc. Verbale assemblea generale del 12 giugno 1870).
97
esterno alla vita della Società operaia e lo scontro interno che suggerirono ad
alcuni iniziali promotori dell’iniziativa mutualistica di prendere le distanze
dall’istituzione. Nel primo periodo di vita non mancarono gli attacchi rivolti ai
dirigenti, colpevoli di voler mischiare la politica con gli scopi nobili del sodalizio.
Dal canto loro questi si difesero a proprio merito i risultati che di mese in mese il
sodalizio raggiungeva e fissando nuovi traguardi nell’interesse dei soci lavoratori
e della collettività124.
2.
Aspetti di vita politica a Cividale e nella SOMSI tra fine
Ottocento e inizio Novecento
I primi anni di vita della Società videro dunque contrapporsi elementi del
liberismo sia moderato che progressista con rappresentanti dell’intransigentismo
cattolico. Nelle elezioni amministrative del 1873 si fronteggiarono uno
schieramento liberale e la lista clericale, che riuscì a prevalere. Il caso è
abbastanza singolare, in quanto solo in pochi comuni i clericali partecipavano con
proprie liste nelle competizioni elettorali. Il clima era molto incerto e i dibattiti
politici assai accesi.
Con l’elezione dell’avv. Pontoni al parlamento nel 1874, gli ambienti
liberali più progressisti colsero le prime affermazioni nella città125. Ma la politica
del trasformismo di Depretis tradì l’iniziale spinta riformista che caratterizzò i
primi anni di governo della Sinistra. L’ala più progressista si staccò dunque dallo
schieramento liberale, richiamandosi ai valori originari del riformismo liberale.
Anche sulla stampa locale cominciò a emergere una distanza sempre maggiore tra
gli esponenti vicini al Depretis e l’ala di parte progressista. Alla candidatura di
124
P. TURCO, Appunti su alcuni problemi di storia della Società operaia di Cividale, in Cenni
storici cit., p. 31-32.
125
L’avv. Pontoni fu uno dei soci promotori della Società operaia di Cividale
98
Vincenzo Bassecourt126 nel collegio di Cividale nel 1880, i progressisti
cominciarono a contrapporre propri candidati, peraltro con scarsi risultati. Nel
frattempo alcuni esponenti di prima fila della Società operaia cominciarono a
ottenere il consenso cittadino anche sotto il profilo politico. Nel luglio 1886 fu
infatti nominato sindaco Giacomo Gabrici, allora presidente della SOMSI. Il ruolo
che sarebbe spettato al giovane industriale era quello di “estirpare dal Consiglio
comunale il seme della discordia”, ridonando tranquillità alla vita amministrativa
e politica del Comune127.
La successiva elezione nel 1890 di Luigi De Puppi128 alla Camera dei
deputati segnava l’affermazione del liberalismo conservatore ma, allo stesso
tempo, l’ascesa del movimento radical-liberale-democratico cividalese, i cui
esponenti di maggior spicco erano l’avv. Carlo Podrecca, l’avv. Antonio Pollis e
Ruggero Morgante, all’epoca tutti soci della SOMSI.
Nel 1895 l’elezione del barone Elio Morpurgo nel collegio di Cividale
vedeva riaffermarsi con autorevolezza la componente cattolica cividalese. Il
Morpurgo, sebbene di origine ebraica, riuscì a costituire un comitato tra i notabili
cividalesi e a ottenere l’appoggio dei cattolici cividalesi che, come in gran parte
del Friuli, sostenevano gli esponenti liberali moderati. A Cividale il sogno delle
forze clericali si coronò nel 1909, quando alle elezioni amministrative comunali
una lista composta dai più illustri esponenti cattolici della città riuscì a
prevalere129. Oltre alla lista clericale, alla competizione elettorale si presentarono
la lista democratica e quella socialista. All’interno di ciascuna lista erano presenti
126
Vincenzo Bassecourt aderì alla Sinistra storica condividendo pienamente le posizioni del
trasformistiche di Depretis (RINALDI, I deputati friulani cit., pp. 183-184).
127
Habemus Pontificem, «Forumjulii», 10 luglio 1886.
128
De Puppi, che già nelle precedenti elezioni venne indicato come candidato per lo schieramento
conservatore, si schierò nella destra parlamentare. Alle elezioni sconfisse il candidato progressista
cav. ing. Francesco Zampari, illustre esponente della Società operaia di Cividale.
129
TESSITORI, Storia del movimento cattolico cit., p. 229.
99
elementi della Società operaia, distribuiti in prevalenza nella lista democratica130.
Ciò testimoniava che la Società si poneva al disopra delle parti politiche. I
cattolici riuscirono a eleggere tutti i 16 componenti del loro schieramento, mentre
solo 4 seggi di consigliere comunale furono aggiudicati ai democratici. Fu quindi
eletto sindaco della città l’avv. Giuseppe Brosadola, uno dei più influenti
esponenti del cattolicesimo friulano. Lo scarso favore incontrato in sede elettorale
dai socialisti non rispecchiava l’apprezzamento che essi riscuotevano in seno alla
SOMSI. Nello stesso anno fu infatti chiamato a ricoprire l’incarico di presidente
della Società operaia Ettore Zanuttini, esponente di punta dei socialisti
cividalesi131. Zanuttini ricoprì l’incarico fino al 1925, contribuendo a dare al
sodalizio una connotazione sempre più chiaramente politica. Negli anni seguenti
anche le elezioni politiche confermarono la vittoria dello schieramento liberale
moderato con il Morpurgo, segnando l’affermazione sempre più netta dei cattolici
su socialisti e forze radicali e progressiste132.
Il conflitto politico, particolarmente acceso, tra socialisti e fascisti porterà a
una crisi interna alla Società di mutuo soccorso durante i primi anni del governo
Mussolini. Verso la fine del 1925 le cronache così riferirono:
La Società operaia, infatti, in mezzo al rivolgimento che ha rinnovato l’anima popolare, è
rimasta appannaggio e roccaforte del socialismo cividalese impersonato in una sparuta e torbida
congrega di faziosi i quali, per alcuni mesi, non hanno fatto che attendere il Messia nel cecchino
assassinatore che avrebbe loro permesso di dare sfogo alla cocente brama di vendetta covata nel
cuore settario […] Per la prima volta dunque, domenica scorsa il Fascio prendeva risolutamente
posizione per entrare ufficialmente e decisamente nella vita di questo sodalizio presentando una
propria lista in transigentissima, di candidati per le cariche da rinnovare […] Tale mossa ha
sconcertato i dirigenti della Società, i quali hanno deciso di soprassedere alle annunciate elezioni
130
I soci della SOMSI erano così distribuiti nelle diverse liste: 4 soci su 16 candidati nella lista
clericale, 6 soci su 14 in quella democratica e 3 soci su 4 candidati nella lista socialista. (Elezioni
amministrative, «ForumJulii», 14 agosto 1909).
131
Fu inoltre direttore della Banca agricola cividalese fino a quando ne si dichiarò il fallimento
avvenuto nel 192 .
132
Il Morpurgo sarà rieletto ininterrottamente nel collegio di Cividale fino al 1919 (RINALDI, I
deputati friulani cit., p. 321).
100
per deliberare le dimissioni dei quindici consiglieri che avrebbero dovuto rimanere in carica […]
Poiché mancano le necessarie garanzie per il normale funzionamento dell’Ente; poiché l’attuale
consiglio non rappresenta più l’indirizzo politico del governo […] è bene che questi si ritirino
spontaneamente dalle cariche che ancora ricoprono per dare il passo a coloro che, sono designati ,
ormai, dall’unanime consenso a reggere le sorti del nostro popolo133.
Il clima interno alla Società era mutato e la convergenza delle varie anime
politiche intorno allo Zanuttini non sembrava più così netta134. Fu quindi facile
per i fascisti ottenere le redini del sodalizio, imponendo le dimissioni di tutti i
membri scomodi fino ad allora presenti negli organismi di governo della
SOMSI135. Il ruolo della Società di mutuo soccorso si era in realtà fortemente
ridimensionato. Molte delle competenze in materia previdenziale erano state
trasferite dalle società allo Stato, come ebbe a sottolineare anche il commissario,
nominato dal prefetto, che si occupò dell’amministrazione nel 1926136. La lotta
che pertanto si scatenò intorno al sodalizio e che si concluse con l’abdicazione a
favore delle forze filo governative, assunse più il carattere della battaglia
ideologica che del conflitto su questioni tecniche e organizzative. Lo scopo del
fascismo fu dunque quello di colpire la Società per ciò che essa rappresentava
idealmente, ossia per i suoi valori di democrazia e libertà, tralasciandone il ruolo
sociale ed economico e rendendola poco più che un ufficio alla totale dipendenza
del governo.
133
La crisi della Società operaia di M. S., «Giornale del Friuli», 24 dicembre 1925.
134
La figura di Ettore Zanuttini si legherà al processo celebrato, dinnanzi al Tribunale per la difesa
dello Stato, per il fallito attentato al Duce del novembre 1925 da parte di Zaniboni. In particolare,
lo Zanuttini, descritto come “fanatico socialista unitario”, avrebbe partecipato all’attentato
indirettamente garantendo all’attentatore la somma di lire 10.000 per finanziare le spese. Tale
somma sarebbe stata sottratta alla disponibilità della Banca agricola cividalese, fatto questo di cui
l’accusa non si riuscì a dimostrare la veridicità (Ettore Zanuttini dinanzi al Tribunale per la difesa
dello Stato, «La Patria del Friuli», 8 luglio 1927).
135
136
Solo due membri su 20 del consiglio di amministrazione del 1925 furono rinominati nel 1927.
ASC, cart. 17:Atti amministrativi dal 1926 al 1927, fasc. 1: Anno 1926, doc. Discorso ai
consiglieri e ai sindaci del commissario prefettizio.
101
3.
Lo statuto della Società Operaia
Uno dei primi problemi che la Società dovette affrontare fu la stesura di uno
statuto che definisse con chiarezza scopi, diritti e doveri dei soci, cariche e organi
sociali, natura dei soccorsi e quant’altro si fosse reso utile per il corretto
svolgimento della propria attività. Lo statuto rappresentava per la Società il
documento fondamentale con cui regolare i rapporti tra gli organi amministrativi e
i soci, una garanzia per gli iscritti circa i diritti che la propria posizione offriva, un
patto sociale con riferimento all’indirizzo e all’attività dell’associazione.
La Commissione nominata per procedere alla stesura della prima versione
del testo statutario, s’ispirò nella sostanza all’impianto normativo inserito nello
statuto della Società udinese, nata nel 1866. Il riferimento esplicito a tale fonte fu
fatto dalla Commissione, nel tentativo di armonizzare il proprio con gli altri statuti
delle associazioni consorelle che già operavano con fini analoghi137.
Lo statuto subì nel corso degli anni delle modifiche, che cambiarono parte
delle iniziali regole poste a fondamento della mutua, sia in senso organizzativo sia
in senso più propriamente tecnico, contabile e finanziario. Di seguito saranno
riportati alcuni dei principali nuclei normativi degli statuti succedutisi nei primi
anni di vita del sodalizio, cercando di offrire un quadro quanto più possibile
esaustivo delle principali norme fissate e delle eventuali modifiche138.
Negli articoli 2 e 3 del primo statuto erano contenuti gli scopi che la Società
si prefiggeva di raggiungere tramite la propria attività. Per le società operaie
sarebbe limitativo considerare come unico scopo perseguito l’attività di mutuo
soccorso. I sodalizi di questo tipo furono impegnati in diverse sfere della vita dei
propri soci, affiancando alla funzione più propriamente mutualistica anche una
serie d’iniziative e interventi volti a elevare intellettualmente e moralmente i
137
SOMSI, Statuto con disposizioni regolamentari della Società di Mutuo Soccorso fra gli operai
di Cividale, Cividale 1869. A chiarimento delle scelte della Commissione per lo statuto, nella
pubblicazione dello statuto fu inserito anche il rapporto di rassegna del progetto, esposto al
presidente della Società da parte del relatore della Commissione.
102
propri iscritti. La presenza di altri scopi rendeva queste istituzioni importantissime
nel contesto sociale. Difficilmente si sarebbe potuta ipotizzare una crescita delle
SMS se queste avessero occupato interamente il proprio tempo, e i fondi raccolti,
esclusivamente nel portare aiuti economici ai bisognosi. Affratellati dalla bandiera
comune del mutuo soccorso, tra i soci si sviluppava una rete relazionale che
rendeva le società dei micro sistemi sociali. In questo modo l’aspetto prettamente
economico assumeva un peso sì rilevante, ma non decisivo per il successo e la
crescita dei sodalizi: era necessario offrire, oltre al supporto materiale, anche
nuovi strumenti di crescita per coloro che s’iscrivevano alla Società. Si può quindi
affermare che agli scopi materiali si accompagnavano obiettivi di crescita
intellettuale, morale e in taluni casi di maturazione politica della classe operaia.
L’obiettivo prioritario determinato nell’art. 2 era quello di recare soccorso ai
propri soci, mediante l’utilizzo dei fondi sociali. Tali fondi avrebbero provveduto
ai necessari bisogni della vita del socio, qualora si fossero verificate malattie o
incapacità dovute alla vecchiaia. I fondi erano costituiti con il risparmio degli
operai, che si facevano carico del versamento dei relativi contributi mensili. La
Società realizzò tra i propri soci un grande valore, quello del solidarismo
attraverso la mutualità. Molto spesso il sussidio offerto non era in grado di
garantire il bisogno vitale di sicurezza del socio colpito da malattia o da
infortunio; alle volte era sufficiente a soddisfare solo le spese strettamente
necessarie alla sopravvivenza del socio e della sua famiglia. Nonostante ciò lo
spirito solidaristico dei soci non si affievolì, anzi si consolidò di fronte alla
possibilità di recare anche un piccolo giovamento a chi versava nel bisogno.
Tra le altre iniziative che in concreto la Società si riservava di poter attuare,
vi era quella di accorrere in soccorso delle vedove e delle famiglie dei soci
defunti, qualora si fossero trovate in condizioni di reale bisogno.
La SOMSI si rese inoltre promotrice di diverse iniziative sia di carattere
sociale sia economico. Tra le più importanti si ricordano l’istituzione di un
giardino infantile nel 1876, la fondazione di un Corpo di pompieri nel 1877,
138
In particolare con riferimento agli statuti entrati in vigore nel 1869, 1874, 1880, 1895, 1903 e
1922.
103
l’istituzione della Banca popolare cooperativa nel 1886; il tentativo di realizzare
un forno cooperativo nel 1901. Molte altre iniziative di minore rilievo sarebbero
da ricordare.
L’appartenenza alla Società imponeva ai soci anche doveri d’ordine morale.
A fronte delle opportunità che il sodalizio offriva ai singoli soci, era richiesto a
questi ultimi di non mantenere comportamenti pregiudizievoli l’onore della
propria persona, come ad esempio non subire condanne per reati di lucro,
assassinio, tradimento e altri simili. Tra le possibili cause d’esclusione, oltre l’aver
mentito o protratto oltremodo i tempi della malattia, vi era una serie di cause
inerenti al comportamento del socio, il quale per nessun motivo si sarebbe potuto
rendere colpevole di atti volti a screditare e disonorare la Società. Uno degli scopi
maggiormente perseguiti dall’associazione fu di combattere l’alcolismo, una delle
piaghe che più largamente affliggevano la popolazione di estrazione più umile.
Sotto questo profilo furono molte le battaglie e l’opera di sensibilizzazione che la
Società pose in essere per cercare di arginare un tale fenomeno, in primo luogo tra
i propri soci, ai quali era imposta una condotta dignitosa e priva d’eccessi139.
L’intento di fornire una adeguata formazione di base e professionale ai
propri soci era diffuso tra tutte le società, anche se nel caso di quella cividalese
l’attività d’istruzione ricoprì uno spazio e fruì di un investimento di risorse
davvero notevoli. Provvedere all’istruzione dei soci e dei propri figli divenne
scopo prioritario, da perseguire con ogni risorsa a disposizione. Tale
convincimento portò nell’arco di pochi anni all’istituzione di una scuola per i soci
e per i loro figli. All’art. 55 del primo statuto sono alcune indicazioni in questo
senso. Tra i diversi compiti che spettavano alla direzione, vi si includevano anche
quelli di curare che si formasse
una Commissione, la quale assum[esse] di riconoscere, se i mezzi di istruzione esistenti in
Cividale [fossero] sufficienti per una istruzione popolare adeguatamente alle esigenze dei tempi; e,
se, ed in quanto ne fosse ritenuto il difetto, la stessa procur[asse] l’opportuno provvedimento a
139
Nello statuto (art. 33) fu stabilito che le eventuali malattie veneree o provenienti dall’abuso di
sostanze alcoliche e le ferite riportate per risse non avrebbero dato diritto ad alcun sussidio
(SOMSI, Statuto con disposizioni regolamentari […] 1869 cit., p. 20).
104
seconda delle forze sociali, e della filantropica coadiuvazione de’ sinceri amatori del popolo e del
pubblico bene140”.
E’ qui evidente l’impegno manifestato per la diffusione della cultura e delle
competenze professionali da parte della SOMSI. In particolare è da osservare che
la funzione di istruzione di cui si faceva promotrice la Società non voleva essere
in concorrenza con quella offerta dalle pubbliche scuole, ma integrativa e
accessoria a quanto già offerto dalle istituzioni del Regno (che era peraltro poco).
Per attuare questo progetto la Società ricorse a tutte quelle componenti sociali
animate dalla sincera volontà di migliorare le condizioni delle classi più deboli.
Inoltre si cominciò ad avvertire l’esigenza di organizzare gli insegnamenti
scolastici secondo metodi innovativi per l’epoca, il che significava offrire
all’alunno non solo cognizioni di cultura generale, ma soprattutto competenze
professionali utili nello svolgimento del proprio lavoro.
Oltre a organizzare un’attività scolastica diretta a fini professionali, la
Società operò anche in settori educativi diversi, quali quello musicale, della
cultura popolare e dello sport141.
Tra i vari impegni assunti dai soci vi fu anche quello politicoamministrativo. Negli statuti della Società non fu mai fatto alcuno specifico
riferimento a propositi di carattere politico che essa si prefiggeva. In realtà le
attività stesse del sodalizio e alcune scelte significative furono un messaggio
chiaro sull’orientamento che la Società intendeva seguire. Alcuni dei soci più
illustri del sodalizio entrarono dagli anni ’80 negli organi amministrativi della
città, sino a giungere a ricoprire numerose cariche di prestigio all’interno della
municipalità. Nel condurre l’attività tipica dell’istituzione si rimase sempre fedeli
al principio secondo cui le società operaie avevano come solo scopo il
140
SOMSI, Statuto con disposizioni regolamentari […] 1869 cit., pp. 26-27.
141
La Società di Cividale si rese promotrice e sostenne negli anni il circolo musicale “Jacopo
Tomadini”; come pure la banda cittadina dal 1886 fino al 1923. Nel campo dell’istruzione
promosse nel 1902 la scuola educativa popolare, sostenne la scuola serale per emigranti, favorì
l’università popolare offrendole a disposizione i locali per le lezioni, organizzò incontri e
conferenze su temi di attualità. Nel campo dello sport creò una società di ginnastica, la quale però
non ebbe lunga durata.
105
miglioramento materiale e morale delle classi operaie e non quello alimentare la
lotta di classe.
4.
I soci
Un carattere distintivo della Società cividalese si ritrova nella qualifica dei
soci. A differenza di quanto accadeva in molte società sorte altrove, a Cividale si
preferì di non individuare differenti tipologie di soci, accomunandoli tutti sotto la
medesima disciplina contributiva. La ragione di questa scelta, ampiamente
discussa in sede di stesura dello statuto, fu motivata con forza in occasione della
presentazione del documento. La distinzione tra soci effettivi e soci onorari fu
evitata sulla base di una serie di informazioni raccolte da altre consorelle circa
l’ordinamento sociale da dare al sodalizio. La Commissione ritenne che la figura
del socio onorario, così come configurata in alcune società, fosse non consona allo
spirito dell’associazione e ai suoi scopi. In pratica il socio onorario, così come
previsto in altri ordinamenti, pur rinunciando al diritto di sussidio ed
impegnandosi ugualmente al versamento delle contribuzioni, manteneva sia il
diritto di voto sia il diritto di eleggibilità alle cariche sociali. Inoltre, anche
nell’eventualità che il socio onorario venisse a trovarsi in precarie condizioni
economiche, era previsto che nulla gli si sarebbe corrisposto nonostante avesse
regolarmente adempiuto l’obbligo di contribuzione. Una tale figura di socio non
poteva quindi che essere espressione dell’aristocrazia benestante dell’epoca. La
rinuncia ai benefici economici derivanti dal versamento delle quote contributive
evidenziava, secondo alcuni, da un lato il fine filantropico di questi soggetti e
dall’altro l’intento di ricoprire all’interno dell’istituzione un ruolo di prestigio o di
responsabilità. Questo tipo di atteggiamento era considerato rischioso, poiché si
temeva potesse snaturare lo spirito e lo scopo della Società. La contribuzione del
socio onorario era vista più come una sorta di carità fatta all’operaio, piuttosto che
una forma di uguaglianza di trattamento tra le parti. Se lo scopo della Società era
di dare la possibilità al lavoratore di risollevarsi anche moralmente dalla
condizione di asservimento in cui si trovava rispetto alle classi sociali più agiate,
106
figure di questo tipo avrebbero finito per destabilizzare l’equilibrio sociale
interno.
La Società non volle però escludere a priori la figura del socio filantropo,
prevedendo nello statuto all’art. 5 la possibilità di qualificare come soci ad onore
quanti, pur non partecipando direttamente al mutuo soccorso, svolgevano
prestazioni umanitarie verso la SOMSI e verso i lavoratori bisognosi. A costoro
veniva dunque concessa la titolarità di socio ma svuotata dei suoi contenuti: essi,
infatti, non potevano godere dei diritti elettorali sociali sia attivi che passivi.
Un’ulteriore particolarità concernente la condizione di socio all’interno
della Società cividalese riguarda la qualifica di operaio. A tale proposito la
Commissione volle da subito precisare nell’art. 1 che per operai s’intendevano
tutti gli individui, sia uomini che donne, i quali ritraessero il necessario per i
bisogni quotidiani della vita dall’esercizio di un’arte, industria, commercio,
professione o mestiere. All’interno della Società potevano convivere perciò
l’avvocato con il lavoratore di fabbrica, senza preclusione nei confronti di
chiunque. In questo modo si realizzava un grande principio di democrazia interna
alla SOMSI, anche se una simile valutazione avrebbe potuto comportare non
pochi rischi per la vita del sodalizio. La scelta di non accettare la figura del socio
onorario, associata a una così ampia qualificazione del “socio operaio”, che
conseguenze poteva portare nella vita della Società?
L’insieme delle scelte fatte portò ad una serie di conseguenze non
congetturate a quell’epoca, forse per superficialità o per mancata lungimiranza di
chi predispose lo statuto. In primo luogo non è paragonabile il sacrificio sostenuto
dall’operaio per le contribuzioni rispetto a quello del professionista o del
commerciante. Per il lavoratore salariato l’entità delle contribuzioni incideva
sensibilmente sulla valutazione di adesione alla società, in quanto poteva essere
considerata troppo gravosa in rapporto alla propria condizione, a fronte dello
scarso onere che essa ricopriva in relazione alla condizione economica di altre
figure professionali.142 Non ultimo, vi era un aspetto di carattere psicologico che
142
In alcune annate l’esclusione di soci dovuta al mancato pagamento delle quote mensili fu
particolarmente alta.
107
incideva sulle scelte e sulla partecipazione del soci più umili e meno istruiti alla
vita sociale, che vivevano con sudditanza il proprio rapporto con le figure che
all’interno della Società ricoprivano posizioni di maggiore influenza e
responsabilità. Essi naturalmente tendevano a delegare loro le cariche di
rappresentanza e di governo della società. I lavoratori più umili alle volte non
erano, o non si ritenevano in grado di contribuire in modo attivo alla vita sociale,
limitandosi pertanto a fruire dei benefici offerti dalla mutualità in cambio della
propria contribuzione.
Se a queste considerazioni si associa il contenuto di alcune disposizioni
statutarie, che ad esempio prevedevano che il socio ritenuto benestante comunque
non potesse usufruire dei sussidi in caso di malattia, ecco che la figura del socio
onorario, avversata in termini teorici, era, di fatto, legittimata per altra via dallo
statuto.
Il numero dei soci iscritti poteva essere illimitato, e originariamente
potevano presentare domanda d’iscrizione tutti gli operai dei distretti di San Pietro
e di Cividale aventi dimora fissa o abituale nella città. Questa disposizione fu poi
modificata nella successiva edizione dello statuto del 1874, in cui si eliminò il
criterio di provenienza mantenendo esclusivamente quello di residenza.
L’ammissione del socio avveniva con deliberazione votata a scrutinio
segreto dal consiglio. I requisiti che il socio doveva soddisfare per poter essere
ammesso a far parte del sodalizio, oltre a quello già ricordato della residenza,
erano quelli di: a) avere almeno 14 e al massimo 50 anni se uomo143 e almeno 16 e
al massimo 40 anni se donna; b) non essere affetti da malattie che avrebbero
potuto pregiudicare l’esercizio della propria attività lavorativa; c) esercitare una
delle professioni o mestieri qualificanti lo condizione di operaio; d) effettuare il
pagamento della tassa d’ammissione.Su quest’ultimo requisito molto spesso
furono apportate modifiche allo statuto. Nel corso degli anni si assistette a
numerose modifiche dell’importo della tassa d’ammissione e delle contribuzioni
143
Con le modifiche dello statuto del 1903 l’età massima per l’ammissione venne portata a 45 anni
(SOMSI, Statuto della Società operaia di mutuo soccorso fra gli operai in Cividale entrato in
vigore il 1° gennaio 1904, Cividale 1903, p. 6).
108
mensili. Le tasse d’ammissione per gli uomini e per le donne erano fissate nei vari
anni come segue:
Per gli uomini:
Età
1870
1874
1880
1895
1903
1922
14 – 20
0.5
0.7
1
1
1
1
20 – 30
1
1.2
1.5
1.5
1.5
2
30 – 40
1.5
1.7
2
2
2
3
40 – 50
2
2.2
3
6
6
6
Per le donne:
Età
1870
1874
1880
1895
1903
1922
16 – 20
0.
0.7
1
1
1
1
20 – 30
1
1.2
1.5
1.5
1.5
2
30 – 40
1.5
1.7
2
4
4
4
La tassa d’ammissione di ciascun socio era dunque commisurata all’età e al
sesso dello stesso. In particolare le somme aumentavano all’aumentare dell’età del
socio, evidentemente per compensare la minore contribuzione che avrebbe offerto
l’iscritto anziano alla costituzione del fondo sociale.
Il socio, una volta iscritto alla Società s’impegnava a rispettare le norme
dello statuto, rinunciando a rivolgersi alle autorità, comprese anche quelle
giudiziarie, in caso di controversie riguardanti i rapporti di diritto-dovere con la
Società144. In questo senso il valore della norma assumeva un significato
particolare, poiché qualificava il contratto d’adesione del socio al sodalizio come
un puro rapporto privatistico, le cui controverse interpretazioni erano sottoposte
esclusivamente alla valutazione degli organi sociali. Con quest’articolo dello
statuto la SOMSI introduceva una norma di autotutela che evitava ogni possibile
ingerenza da parte delle autorità giudiziarie in ordine a eventuali controversie, ma
144
SOMSI, Statuto con disposizioni regolamentari […] 1869 cit., art.17 , pp. 15-16
109
allo stesso tempo privava il socio di qualsiasi possibilità di tutela esterna rispetto a
decisioni a lui avverse145.
La discrezionalità concessa in alcuni casi agli organi sociali in rapporto a
scelte e decisioni riguardanti il singolo socio poteva costituire per quest’ultimo un
motivo d’incertezza e preoccupazione. In particolare ci si riferisce alle norme
riguardanti la messa in mora del socio, la sua esclusione dalla società, la
concessione di sussidi per invalidità, l’assegnazione di sussidi alla vedova e ad
altre disposizioni secondo cui le decisioni sarebbero spettate al consiglio, che
avrebbe valutato su parametri molto discrezionali.146
Quanto sino a questo momento osservato deve essere inquadrato nei fini
sociali che la SOMSI si poneva. L’ampiezza interpretativa attribuibile ad alcuni
articoli dello statuto poteva essere spiegata anche come la volontà di non
sottoporre a eccessive rigidità alcune procedure inerenti al soccorso del socio. In
questo senso si potrebbe pensare che alcune norme fossero volutamente
discrezionali, al fine di non dover privare il socio bisognoso della possibilità di
ottenere un sostegno dalla Società o di presentare le proprie ragioni a
giustificazione della sua posizione nei confronti degli organi sociali
Non bisogna dimenticare che lo scopo della Società era quello di garantire
soccorso ai soci che ne avessero avuto bisogno, e che pertanto, se da un lato vi
poteva essere l’interesse a escludere il socio che fraudolentemente cercava di
145
La norma, mutata nella forma ma non nel contenuto, rimase inserita nelle successive versioni
dello statuto. Neanche il riconoscimento giuridico servì a eliminare la possibilità di non
assoggettare le decisioni degli organi sociali all’autorità giudiziaria.
146
In riferimento alla concessione di sussidio l’art. 76 dello statuto specificava che: “nel
riconoscere lo stato di bisogno inteso all’art. 22 (il visitatore) non se lo formerà sulle basi di una
indiscreta discriminazione, né esigendo dal socio rivelazioni non spontanee; ma bensì calcolando
con giusta avvedutezza su quella comune opinione, che al momento gira rispetto allo stato
economico del socio medesimo”. E’ evidente il carattere discrezionale e la facile contestabilità da
parte del socio oggetto di decisione, circa le eventuali scelte effettuate dal visitatore della Società.
Nella revisione dello statuto operata nel 1874 questa norma fu abrogata con il relativo
accertamento dello stato di bisogno (SOMSI, Statuto con disposizioni regolamentari della Società
operaia di mutuo soccorso fra gli operai di Cividale giusta la revisione del 1874, Cividale 1874,
pp. 11-17).
110
ottenere quanto non gli spettasse, dall’altro il principio ispiratore doveva essere
quello di garantire il più possibile un concreto sostegno. Alcune disposizioni con
il tempo subirono delle modificazioni, riconducendo a un principio di maggiore
equità e certezza le decisioni assunte dalla Società, eliminando le possibili cause
di contestazione da parte del socio.
Un altro carattere distintivo della SOMSI di Cividale risiedeva nella
partecipazione delle donne al sodalizio. Sotto questo profilo emerse da subito lo
spirito riformatore e progressista della Società. La presenza era però limitata alla
sola partecipazione al voto, poiché le donne non potevano essere elette in nessuna
carica o ufficio. In Friuli, secondo l’inchiesta ministeriale del 1878, solo poche
società accettavano le donne come socie147.
Al socio spettava diritto di voto solo se maggiorenne. Dal 1880 il diritto di
voto fu esteso a ogni socio, ma rimase il divieto di eleggere minorenni e donne a
ricoprire cariche sociali. Con le modifiche dello statuto del 1903, che poi sarà
allegato ai documenti per ottenere il riconoscimento giuridico, fu fissata l’età
minima per esercitare il proprio diritto di voto in 18 anni, mentre rimase sino a
quel momento preclusa l’elezione a qualsiasi carica sociale per le donne.
5.
Cariche e uffici
Nel primo statuto e nelle successive modifiche furono inserite dettagliate
regole circa il funzionamento e la nomina degli organi e delle cariche sociali.
La nomina del presidente della Società spettava all’assemblea generale,
nella seduta di fine anno. L’elezione avveniva a maggioranza assoluta dei
partecipanti alle votazioni e, qualora non fosse stata raggiunta, si sarebbe
proceduto a un successivo turno di ballottaggio tra i due candidati con il maggior
numero di preferenze raccolte. La carica di presidente, oltre ad essere motivo di
onore per chi la copriva, era fondamentale per la vita della SOMSI. Tra le
attribuzioni conferite al presidente vi erano quelle di direzione sia delle assemblee
che dei consigli di direzione. Accanto a questo compito ve n’era un altro di
147
M.A.I.C., Statistica delle Società di mutuo soccorso. Anno 1878, Roma 1880, pp. 174-177.
111
importanza pari se non superiore: quello di rappresentanza della Società in
giudizio e all’esterno. Tale compito si ritiene dovesse essere particolarmente
delicato, poiché l’immagine stessa che la Società avrebbe offerto fuori delle
proprie mura coincideva spesso con quella del suo presidente. Per tale ragione la
scelta del presidente doveva ricadere su persone la cui stima interna ed esterna al
sodalizio fosse la più ampia possibile.
Anche per questo motivo con la revisione dello statuto del 1880 fu
introdotta la figura del presidente onorario, che al pari di quello effettivo non
poteva godere né di diritti di voto né dell’eleggibilità a nessuna carica sociale148.
Nello svolgimento delle proprie mansioni interne alla Società, il presidente oltre a
vigilare sul rispetto dello statuto da parte dei soci, degli organi e degli uffici
sociali, doveva rilasciare i mandati di pagamento sia per i sussidi sia per tutte le
eventuali spese debitamente approvate. Era dunque il primo responsabile anche da
un punto di vista finanziario e contabile, sebbene in questo ruolo coadiuvato da
appositi uffici.
Oltre al presidente era prevista l’elezione anche di un vicepresidente, la cui
nomina in un primo momento venne stabilità con analoga regola prevista per il
presidente. Successivamente tale incarico fu affidato d’ufficio al membro più
anziano della direzione. Con la riforma dello statuto del 1895 la carica di
presidente, come anche quella di membro della direzione, diventerà biennale, e
infine triennale dal 1903.
La direzione, d’emanazione consiliare, era eletta ogni anno per ricoprire
l’incarico di governo del sodalizio, facendosi carico di attuare le deliberazioni
prese dal consiglio. In particolare doveva sovrintendere agli interessi
amministrativi della Società, proponendo ciò che più si riteneva utile per la stessa,
avendo riguardo che i fondi raccolti fossero custoditi con cura e possibilmente
impiegati con profitto. L’orientamento della direzione circa l’impiego delle
somme raccolte non poteva prescindere dal consenso preventivo del consiglio.
Inoltre la direzione operava a stretto contatto con il cassiere della Società, dal
148
SOMSI, Statuto con disposizioni regolamentari della Società di Mutuo Soccorso fra gli operai
di Cividale entrato in vigore col dì 1 dicembre 1880. Cividale 1886, pp. 3-4.
112
quale esigeva mensilmente i conti verificandone ovviamente l’esattezza. Era
infine compito di quest’organo provvedere al personale di servizio presso la
Società, al materiale di cancelleria e al mobilio da destinare agli uffici.
Il numero di componenti della direzione, la cui scelta doveva ricadere tra i
membri il consiglio, era fissato originariamente in due persone più il presidente;
successivamente fu elevato a quattro soci con le modifiche statutarie del 1874.
Nel 1880 s’introdusse anche l’obbligo della verbalizzazione delle adunanze tenute
dalla direzione e dal consiglio, pena la nullità dell’adunanza stessa e delle
eventuali deliberazioni prese.
Spettava infine alla direzione la ricerca delle persone ritenute più idonee a
ricoprire gli uffici di medico sociale, cassiere, collettore e segretario, cercando le
persone più meritevoli di fiducia e disposte a ricoprire questi incarichi
possibilmente in maniera gratuita.
Il consiglio in seduta rappresentava l’assemblea della Società, entro i limiti
dettati dallo statuto. Era nominato dall’assemblea generale sulla base dell’esito
delle votazioni e dei risultati riportati da ciascun candidato. Il numero di
consiglieri inizialmente fu fissato in 18, in seguito fu portato a 20. Le sue funzioni
erano quelle di vigilare sul corretto svolgimento della vita sociale, con particolare
attenzione all’amministrazione economica e al decoro dell’istituzione. Il consiglio
si riuniva normalmente ogni due domeniche, salvo casi di particolare urgenza o
gravità. Tra i compiti consiliari vi era quello di nominare i membri della
direzione, i revisori dei conti e i visitatori.
I membri del consiglio, così come il presidente, la direzione, i revisori e i
visitatori, duravano in carica un anno solamente. Le prime disposizioni statutarie
prevedevano inoltre l’impossibilità di rielezione per più di due anni successivi,
con eventualità di deroga solo per i visitatori. Del consiglio non avrebbero potuto
far parte più di quattro soci appartenenti alla medesima arte, industria o
professione. In un secondo tempo le regole per la nomina dei consiglieri
mutarono: mentre precedentemente si nominava l’intero consiglio ogni anno, dal
1875 si sarebbe eletto solo un quinto dei venti membri. La sostituzione per il
primo anno avrebbe riguardato cinque membri estratti a sorte tra quelli eletti nel
’74, ma dagli anni successivi avrebbe interessato i cinque membri tra i più anziani
113
di nomina. In questa maniera nell’arco di quattro anni vi sarebbe stata una
completa rotazione dei componenti, anche se in realtà non vi era alcun limite alla
rieleggibilità del socio uscente. Lo scopo di questa norma era di mantenere una
certa continuità nelle scelte e nell’operato della SOMSI, evitando completi
stravolgimenti nella composizione dell’organo più rappresentativo della base
sociale.
Il consigliere eletto sarebbe rimasto in carica per quattro anni, fino a
diventare “anziano” nel consiglio ed essere poi sostituito. Dal 1903 il socio
consigliere decaduto per anzianità non poteva però essere rieletto se non dopo la
pausa di un anno.
La carica di visitatore, che rimarrà in vigore solo per pochi anni, era affidata
dal consiglio ad alcuni soci eletti dallo stesso. Ai visitatori competeva la facoltà di
visita, sorveglianza e controllo in ordine al perdurare delle cause che portavano il
socio a sospendere l’attività lavorativa e a richiedere il sussidio. Nel caso essi
avessero riscontrato delle irregolarità circa la concessione di un sussidio,
avrebbero dovuto informare con solerzia la presidenza della Società. Il visitatore
doveva anche accertare l’effettivo stato di bisogno del socio, effettuando una
classificazione sulla base delle condizioni economiche. I soci erano suddivisi in
ricchi, agiati, in condizioni di mediocrità, di ristrettezza, o poveri. I soci
appartenenti alle prime due classi non avrebbero ottenuto alcun sussidio in caso
d’incapacità al lavoro, mentre per gli altri si sarebbe proceduto con l’erogazione
del sussidio. L’incarico di visitatore fu abolito nel 1874 con la modificazione
dello statuto.
Nel 1895 in ottemperanza alle disposizioni del nuovo statuto, fu costituito
un comitato sanitario composto di cinque membri nominati dal consiglio, il cui
compito sarebbe stato quello di visitare almeno una volta la settimana i soci
malati, vigilando perché seguissero le prescrizioni mediche e fosse loro
regolarmente corrisposto il sussidio. Analogo comitato era previsto anche per le
socie, però con un numero di tre sole visitatrici149.
149
SOMSI, Statuto della Società di mutuo soccorso ed istruzione fra gli operai in Cividale entrato
in vigore il 15 settembre 1895, Cividale 1895, p. 31.
114
Questa materia era considerata particolarmente delicata, come dimostra
anche la soppressione e la successiva reintroduzione della figura del visitatore.
L’accertamento delle effettive condizioni per la concessione del sussidio era
indispensabile per evitare che i fondi destinati ai sussidi fossero indebitamente
elargiti, e inoltre costituiva un mezzo per verificare la correttezza e l’onestà del
socio che, qualora avesse mentito, si sarebbe esposto al provvedimento di
esclusione dal sodalizio.
Tra le altre cariche previste dallo statuto bisogna accennare a quella dei
revisori dei conti, che avevano l’obbligo di visionare la contabilità della Società
con cadenza mensile, segnalando eventuali errori e verificando la corrispondenza
delle uscite e delle entrate con le pezze giustificative. Dovevano inoltre
predisporre il resoconto annuale sull’andamento dei conti del sodalizio. Altro
compito molto importante era ricoperto dai collettori e dal cassiere. I primi si
occupavano di riscuotere le mensilità a carico dei soci, rilasciando ricevuta
dell’avvenuto pagamento, mentre il cassiere aveva l’obbligo di effettuare i
pagamenti autorizzati dal presidente e di gestire il denaro contante. Il segretario si
occupava di conservare e custodire i documenti e gli atti della direzione, di
redigere il verbale delle adunanze del consiglio e dell’assemblea, di tenere la
corrispondenza d’ufficio e di produrre le statistiche riguardanti la Società. Qualora
avesse svolto il proprio incarico gratuitamente, avrebbe avuto la possibilità di
essere coadiuvato nel suo ufficio da un supplente segretario. Con lo statuto del ’74
al segretario fu conferito anche il diritto di voto consultivo. Infine l’ultimo ufficio
era costituito dal medico sociale, che aveva come principale incombenza quella di
praticare la visita medico-sanitaria a tutti i soci malati e a coloro che intendevano
entrare a far parte della SOMSI. Al termine della visita era rilasciato il certificato
medico, da utilizzare come giustificativo per la richiesta del sussidio o per
certificare l’assenza di particolari patologie negli aspiranti soci.
La durata delle cariche e degli uffici, con l’eccezione dei revisori, era in un
primo momento illimitata, salvo la facoltà della Società di revoca. I revisori
duravano in carica un solo anno. Con le modifiche del 1880, lo statuto prevedeva
che la durata di ogni carica e ufficio non fosse superiore a un anno con scadenza
115
al 31 dicembre, fatta eccezione per il segretario che poteva rimanere in carica per
tre anni150.
Nello statuto entrato in vigore il 1° gennaio 1904 fu inserito, tra i vari uffici
della Società, il bidello della Scuola d’arte e mestieri, che lavorava alle dirette
dipendenze della SOMSI e doveva attenersi strettamente al regolamento
predisposto dal consiglio.
Sempre con lo stesso statuto si estendeva a cinque anni la durata di ciascun
ufficio della Società, a eccezione di quello legato al comitato sanitario, la cui
nomina era annuale. In tutti i casi rimaneva la possibilità di riconfermare nei
propri uffici i rispettivi titolari.
6.
La legge Berti sul riconoscimento giuridico delle società di
mutuo soccorso
La legge che portò al riconoscimento giuridico delle società operaie ebbe un
iter lungo e travagliato. La definitiva soluzione del problema si ebbe solo nel 1886
con l’approvazione del progetto dell’allora Ministro dell’agricoltura industria e
commercio Domenico Berti.
La questione del riconoscimento giuridico delle SOMSI si presentò sin dai
primi anni di vita di queste istituzioni. All’interno del movimento mutualistico le
posizioni sull’argomento erano diverse. Alcuni sostenevano la necessità di
concedere la personalità giuridica a tutte le società che ne avessero fatto richiesta,
semplicemente con la registrazione presso gli uffici del proprio comune, sul
modello della legge in vigore in Inghilterra. Altri erano dell’opinione che lo status
di persona giuridica per le associazioni mutualistiche si sarebbe dovuto concedere
solo su richiesta dei sodalizi; istanza da sottoporre al vaglio di un’apposita
commissione nominata dalle stesse società, la quale valutate le caratteristiche
delle richiedenti avrebbe dovuto esprimere parere favorevole o contrario.
Il primo progetto di legge presentato in Parlamento nel 1877 sul
riconoscimento giuridico, firmato dal ministro Majorana, muoveva in quest’ultima
150
Ridotti a due con le modifiche del 1895.
116
direzione. Nel disegno del ministro era previsto il rispetto di precisi requisiti da
parte di ciascuna società che avesse voluto ottenere la personalità giuridica:
l’attinenza al mutuo soccorso degli scopi del sodalizio, il mantenimento del libro
dei soci e delle tavole di malattia e mortalità e l’indicazione del tasso d’interesse
adottato per le tariffe applicate. Il motivo di questa rigidità era giustificato dalla
necessità di tutela dei singoli iscritti, ma allo stesso tempo non teneva conto della
realtà delle singole società. Queste molto spesso si reggevano sulla semplice
attività volontaristica di alcuni soci e di alcuni filantropi, ai quali non era
opportuno richiedere un numero elevato di adempimenti amministrativi151.
Nel dibattito svoltosi in occasione del primo congresso delle società di
mutuo soccorso, tenutosi a Bologna nel 1877, la maggioranza dei delegati delle
377 operaie convenute si espresse a favore di un modello simile a quello inglese,
secondo il quale, con l’iscrizione al municipio della propria città, si sarebbe
garantito lo status giuridico alla società. In questo caso la personalità giuridica
non diventava una concessione dell’autorità, ma un semplice atto dovuto,
indipendente dal parere favorevole o meno di qualsiasi tipo di commissione
all’uopo costituita.
L’orientamento contrario, espresso in quella sede, rispetto al contenuto del
progetto ministeriale fece in modo che il disegno di legge non arrivasse neanche
alla discussione parlamentare. L’approvazione di quel progetto, la cui
impostazione era avversata dagli stessi beneficiari, sarebbe stato un atto
politicamente poco opportuno per il Parlamento, specie in considerazione
dell’importanza assunta dal mutuo soccorso in Italia152.
Nel 1880 il Congresso nazionale delle società operaie, svoltosi a Bologna,
discusse nuovamente il problema relativo al riconoscimento giuridico delle
151
L.GHEZA FABBRI, Solidarismo in Italia tra XIX e XX secolo, Torino1996, pp. 27-28.
152
Ibid, p. 28. La partecipazione degli onorevoli Sella e Luzzatti al convegno di Parigi sulle
istituzioni di previdenza sociale tenutosi nel 1878 dimostrò l’interesse con cui il mondo politico
guardava a queste istituzioni. In particolare lo stesso Luzzatti sottolineò il ruolo delle società di
mutuo soccorso, considerate istituzioni utili alla crescita morale e civile delle classi più deboli (L.
LUZZATTI, La diffusione del credito e le banche popolari, a cura di P. PECORARI, Venezia 1997,
pp. 108-117).
117
istituzioni, prendendo in analisi il progetto di legge Miceli. In questo disegno di
legge erano previste tre sole condizioni necessarie e sufficienti per ottenere la
personalità giuridica: a) la congruità dei contributi richiesti ai soci in rapporto ai
sussidi e alle pensioni promesse; b) un numero di soci minimo tale da garantire il
probabile verificarsi delle medie statistiche sulla cui base erano promessi gli
emolumenti; c) la separazione dei libri contabili e dei fondi in base ai diversi rami
di attività della società. Lo scopo di questi paletti era che le società di mutuo
soccorso si dotassero di strumenti tecnici e professionali da utilizzare nel settore
dell’assistenza e dell’assicurazione153.
Il progetto fu approvato in Senato, ma successivamente, giunto al vaglio
della Camera, venne contrapposto ad un progetto della Commissione consultiva,
nel quale si prevedeva il superamento del rispetto dei parametri tecnici. La
discussione si arenò nuovamente e per l’approvazione della legge fu necessario
aspettare ancora alcuni anni.
Nel 1886 fu definitivamente approvata dal Parlamento la legge n. 3818 sul
riconoscimento giuridico delle società di mutuo soccorso, meglio nota come legge
Berti. Con questo provvedimento l’ottenimento della personalità giuridica si
basava sull’esistenza di un’unica condizione necessaria e sufficiente: la “finalità
di mutuo soccorso”. Il significato di questa dicitura era contenuto nell’art. 1 del
provvedimento, secondo cui il conseguimento della condizione legale di persona
giuridica era vincolato al perseguimento di almeno uno tra i seguenti fini:
assicurare ai soci un sussidio nei casi di malattia, d’impotenza al lavoro o di
vecchiaia, oppure soccorrere le famiglie dei soci defunti.
Non erano queste le uniche attività che una società di mutuo soccorso
poteva svolgere. Era previsto dall’art. 2 che i sodalizi potessero cooperare
all’istruzione dei soci e delle loro famiglie, che dessero un aiuto per acquistare di
attrezzature di lavoro e infine esercitassero ogni altro ufficio proprio delle
istituzioni di previdenza economica. Per fare questo genere di attività era
necessario che ciascuna società indicasse distintamente l’ammontare della spesa e
il modo in cui si sarebbero raccolti i fondi necessari, affinché il patrimonio della
153
GHEZA FABBRI, Solidarismo in Italia cit., p. 30.
118
società non fosse dissolto in attività estranee a quelle previste dalla legge e dallo
statuto dell’associazione. Questo aspetto della normativa frenò l’orientamento
delle società di richiedere il riconoscimento giuridico. In alcune realtà
l’impossibilità di effettuare spese estranee al fine mutualistico era considerata
come un vincolo al sostegno delle lotte sindacali degli operai. Lo scarso peso del
sindacato, ancora non sufficientemente maturo e radicato sul territorio, e le dure
lotte operaie con i primi scioperi rendevano talvolta indispensabile il contributo
economico delle società di mutuo soccorso a sostegno dei lavoratori.
Dopo l’approvazione, la legge Berti non raggiunse gli scopi che si
prefiggeva originariamente: a distanza di dieci anni il ministero osservava che
solo il 20 per cento delle società censite aveva richiesto il riconoscimento
giuridico. In parte le ragioni di questo fallimento erano imputabili anche alla
progressiva sfiducia dei cittadini nei confronti dello Stato, atteggiamento, questo,
rafforzato dalle manovre speculative e dalle crisi bancarie in corso in quegli anni.
Il ministro Grimaldi, titolare del dicastero di Agricoltura Industria e Commercio
all’epoca dell’emanazione della legge, svolse alcune indicative considerazioni in
proposito, inserite nella relazione accompagnatoria al testo normativo e diffuse a
tutte le società operaie fino a quel momento censite154. Il governo non mancò di
rilevare lo stampo marcatamente liberale della legge approvata in Italia, la quale
non consentiva alcuna ingerenza pubblica nella vita delle associazioni. Tutto ciò,
si legge, in sintonia con la volontà più volte manifestata da parte delle società di
non essere assoggettate a nessun tipo di controllo statale. La scelta del Parlamento
di non subordinare la concessione della personalità giuridica a particolari
parametri economici e finanziari non garantiva sufficientemente il ministero sulla
stabilità e solidità dei sodalizi. Il ministro non dimenticò di rilevare come ciascuna
società si sarebbe in ogni caso dovuta impegnare, anche se solo per proprio senso
di responsabilità, a seguire alcune norme minime nello svolgimento dell’attività.
In particolare, nel progetto originale disposto dal ministero era prevista la
154
ASC, cart. 12: Atti amministrativi dal 1903 al 1906, fasc. 3: Anno 1905, sottofasc.
Riconoscimento giuridico dell’ente. Contiene il testo della legge sul riconoscimento delle società
di mutuo soccorso corredata dalla relazione dell’allora ministro del M.A.I.C. Grimaldi.
119
costituzione di un ufficio speciale che, su richiesta delle società, avrebbe dovuto
fornire le indicazioni necessarie a garantire un adeguato supporto informativo sia
in materia legale che finanziaria. Il Parlamento cancellò questa disposizione,
asserendo che il ministero sarebbe stato in ogni caso in grado di fornire un
adeguato sostegno alle società, anche senza la creazione di un ufficio speciale. Per
tale motivo il ministro pose l’accento più volte sull’opportunità da parte degli
amministratori dei sodalizi di rivolgersi all’autorità governativa, specie per
ottenere indicazioni sull’amministrazione del patrimonio e l’elargizione dei
sussidi.
Il disposto dell’art. 2, combinato con le norme contenute nell’art. 10 inerenti
all’obbligo di inviare al ministero copia del bilancio e informazioni statistiche
sull’andamento della gestione, garantiva comunque all’autorità governativa un
potere di controllo molto forte sulle società. Si trattava in realtà di un controllo
successivo al conseguimento della personalità giuridica, mentre il vincolo di
bilancio era imposto solo sulle attività accessorie al mutuo soccorso, ma nel
complesso era sufficiente a evitare che i sodalizi svolgessero un’attività non
connessa agli scopi strettamente sociali.
La legge Berti escludeva la possibilità per le SOMS di ottenere il
riconoscimento giuridico qualora avessero solo erogato pensioni, poiché
quest’attività non era prevista tra quelle sufficienti a individuare il fine
mutualistico. E’ utile precisare che in questo caso il riconoscimento si poteva
ottenere solo mediante regio decreto secondo quanto disposto dal Codice civile
vigente. In realtà le società che si occupavano dell’erogazione delle pensioni in
senso proprio erano davvero poche. Generalmente le pensioni erogate erano simili
a sussidi più o meno prolungati nel tempo, che la società concedeva generalmente
dopo un certo periodo continuato di partecipazione del socio al sodalizio e previa
un’adeguata disponibilità di denaro.
Nel caso della SOMSI di Cividale già nel 1879 si pensò di istituire un
“fondo pensioni” per poter assistere i lavoratori iscritti da almeno 15 anni che per
ragioni di malattia cronica, vecchiaia o altro difetto non avessero più potuto
svolgere la propria attività lavorativa. La decisione presa mirava a costituire un
fondo sufficientemente solido per garantire al socio un decoroso sostegno
120
finanziario in caso di bisogno. Per tale ragione si fissò un limite minimo di
capitalizzazione del fondo prima di potervi fruire, in un primo momento pari a
20.000 lire, poi elevato a 30.000. Fino a quel momento il soccorso ai soci
bisognosi si sarebbe effettuato mediante l’utilizzo delle somme accantonate per il
mutuo soccorso.
L’attività svolta dalla Società non poteva considerarsi in senso stretto come
pensionistica. Per tanto, per ottenere la personalità giuridica, non dovette ricorrere
all’emanazione di un regio decreto, ma poté semplicemente rispettare l’iter
semplificato previsto dalla legge Berti
7.
Il riconoscimento giuridico della SOMSI di Cividale
Il riconoscimento giuridico della Società cividalese avvenne su delibera
dell’assemblea presa in data 4 luglio 1905155. In quella sede si conferì alla
direzione l’incarico di procedere con le necessarie pratiche, in modo che la
Società fosse dotata in tempi rapidi di propria personalità giuridica. Ottenuta
l’autenticazione dello statuto presso lo studio del notaio Paciani il 26 settembre
1905, la documentazione venne spedita al tribunale civile di Udine, il quale con
decreto n. 2136 del 12 ottobre 1905 concesse alla Società operaia di Cividale la
personalità giuridica, ordinando la trascrizione e la pubblicazione dello statuto.
La decisione assunta nell’assemblea del 4 luglio fu l’atto conclusivo di un
lungo dibattito sull’opportunità o meno di richiedere la personalità giuridica. La
relazione della commissione appositamente costituitasi per studiare la questione,
di cui facevano parte l’allora presidente del sodalizio dottor De Pollis e i soci
Vuga e Del Torre, costituì l’occasione per gli intervenuti di esternare le proprie
perplessità e diffidenze verso l’iniziativa156. La relazione si articolò sull’analisi dei
155
ASC, cart. 12 Atti amministrativi, fasc. 3: Anno 1905, sottofasc. Riconoscimento giuridico
dell’ente, doc. Verbale dell’assemblea generale dei soci del 4 luglio 1905.
156
ASC, cart. 12: Atti amministrativi, fasc. 3: Anno 1905, sottofasc. Riconoscimento giuridico,
doc. Relazione della Commissione per il riconoscimento giuridico al consiglio della Società
operaia di mutuo soccorso di Cividale.
121
vantaggi e dei possibili svantaggi derivanti dal legale riconoscimento. Tra i
vantaggi prospettati vi era in primo luogo quello di poter godere di diritti pari a
quelli spettanti a ciascuna persona fisica. La Società avrebbe pertanto potuto
accogliere in nome proprio eventuali donazioni o lasciti testamentari e ricorrere in
giudizio contro le decisioni avverse. Inoltre si riteneva che il riconoscimento
avrebbe accresciuto l’importanza morale rispetto a quella di cui la Società godeva
sino a quel momento. Altra ragione che muoveva in direzione favorevole
all’accoglimento della richiesta della commissione era data dai vantaggi
economici ottenibili con la registrazione al tribunale. Erano particolarmente
accattivanti le esenzioni dal pagamento delle imposte di bollo, di registro e
dall’imposta di ricchezza mobile.
Le ragioni contrarie al progetto, contenute nella relazione, erano in massima
parte legate al timore dell’ingerenza del governo e dell’autorità giudiziaria nella
vita del sodalizio. Su tale questione il relatore considerava la Società
sufficientemente tutelata, sostenendo la scarsa possibilità da parte del governo di
poter interferire sugli orientamenti sociali. Per quanto concerneva poi l’autorità
giudiziaria, questa aveva esclusivamente il compito di accertare l’esistenza delle
condizioni estrinseche fissate dalla legge e il loro rispetto successivo. Il parere
della commissione era dunque certamente favorevole all’accoglimento della
proposta discussa.
Dall’altro lato, coloro che nutrivano dubbi circa la convenienza
dell’operazione avevano per anni avversato il progetto in base a motivazioni più o
meno valide. Le ragioni di costoro furono analizzate in una lunga relazione inviata
alla SOMSI di Cividale dalla consorella udinese. La relazione era la stessa
discussa in sede assembleare dalla Società di Udine nel 1890, quand’era stato
proposto all’assemblea dei soci il riconoscimento giuridico157. Il documento
traccia un quadro esaustivo delle ragioni sia a favore sia contro il progetto di legge
ministeriale, offrendo inoltre interessanti notizie sulle cause del ritardo con cui,
157
ASC, cart. 12: Atti amministrativi, fasc. 3: Anno 1905, sottofasc. Riconoscimento giuridico
dell’ente, doc. Relazione sul riconoscimento giuridico della Società operaia Generale di Udine.
122
dopo l’approvazione della legge, le società chiesero di ottenere la personalità
giuridica.
Le ragioni del ritardo con cui fu recepito il provvedimento legislativo erano
parzialmente imputabili alle sentenze e alle decisioni dell’autorità giudiziaria
sull’interpretazione di alcuni articoli della legge. Molte società ritenevano
necessario che il governo riformasse la legge in senso migliorativo o che
quantomeno emanasse un regolamento attuativo che dirimesse le controversie. La
commissione consultiva sulle istituzioni di previdenza sostenne a questo proposito
che sarebbe stata sufficiente un’interpretazione meno letterale della normativa per
superare i problemi fino a quel momento affiorati, consentendo così alle
associazioni di eliminare le eventuali diffidenze.
Le ragioni contrarie non si limitavano a questa considerazione, peraltro più
imputabile al ministero e agli organi giudiziari che alla volontà delle società
mutualistiche.
All’interno delle società vi erano molteplici ragioni di dissenso. In primo si
dubitava della possibilità di adattare gli statuti alla nuova normativa. Nelle società
di mutuo soccorso ed istruzione, ad esempio, una delle attività principali era
costituita dall’istruzione, funzione, questa, che non rientrava nel novero delle
attività caratterizzanti il mutuo soccorso. In questo senso il problema sembrava
facilmente risolvibile grazie al disposto dell’art. 2 che inseriva, tra le attività
collaterali, l’educazione dei soci e dei propri figli.
La seconda obiezione sollevata riguardava le norme che prevedevano per i
soci amministratori della società l’iscrizione al sodalizio in qualità di membri
effettivi e non come soci onorari. La norma, volta a diminuire il peso dei soci
onorari all’interno delle società, non costituiva un grosso ostacolo, poiché molto
spesso i soci onorari non potevano ricoprire per statuto alcuna carica societaria e
in ogni caso la casistica in questo senso era molto limitata. Nella fattispecie della
Società cividalese questo problema fu risolto alla radice, escludendo la possibilità
di accettare soci onorari senza che questi rinunciassero a tutti i diritti di voto e di
eleggibilità spettanti ai soci ordinari.
L’obiezione forse più rilevante si legava al problema delle pensioni. Alcuni
soci ritenevano che, in base al disposto della legge, una volta ottenuto il
123
riconoscimento giuridico, le società non avrebbero potuto più erogare pensioni.
Questo punto, come già accennato, era tra i più controversi. In base alle
disposizioni dettate dal ministero di Grazia e Giustizia, i tribunali avrebbero
dovuto mantenere alto il livello di vigilanza su quelle società che stabilivano la
concessione di pensioni. Il richiamo era rivolto a vigilare su quelle società che
predisponevano contribuzioni non nella forma del sussidio ma di vitalizi veri e
propri. Per tale ragione, ritenendosi implicitamente ammessa l’elargizione di
sussidi continuativi, era importante distinguere tra pensioni e sussidi: le prime
erano determinate preventivamente ed erano accordate in misura fissa, mentre nel
caso dei sussidi si trattava di elargizioni non definite nell’ammontare (se non
nell’ammontare minimo) e legate alla disponibilità di fondi da parte della società.
La fianlità della norma era pertanto quella di evitare che alcune società attirassero
i soci promettendo loro delle pensioni decorso un certo numero di anni, senza però
che nessuna autorità vigilasse sul corretto mantenimento dei conti e della solidità
patrimoniale e finanziaria.
L’art. 1 della legge Berti stabiliva inoltre che il riconoscimento giuridico era
possibile solo per le società operaie di mutuo soccorso. Sorgevano pertanto alcuni
dubbi sulla natura delle società operaie: erano da ritenersi tali secondo la legge e
l’autorità amministrativa solo quelle che accoglievano operai o il criterio andava
interpretato in senso estensivo? L’amministrazione centrale, sulla scorta della
giurisprudenza prevalente, era indotta a considerare operaie le società che
comprendessero al loro interno anche commercianti, negozianti, coloni, maestri
elementari, impiegati comunali e simili. Nonostante ciò alcuni tribunali, specie nei
primi anni, respinsero le richieste d’iscrizione di alcune società perché non
formate da soli operai158.
158
Un caso di questo tipo accadde per la Società di mutuo soccorso di Casale, che vide
riconosciuto il proprio diritto a conseguire la personalità giuridica solo dopo sentenza favorevole
della cassazione di Torino sul provvedimento di diniego della corte d’appello di Casale. (ASC, cart
12: Atti amministrativi, fasc. 3: Anno 1905, sottofasc. Riconoscimento giuridico dell’ente, doc.
Relazione sul riconoscimento giuridico cit.).
124
Il superamento dei problemi e delle ambiguità interpretative della legge,
permise nel corso degli anni di superare le forti resistenze manifestatesi
inizialmente.
Nell’assemblea in cui a Cividale si discusse circa il progetto di
riconoscimento giuridico, le posizioni ostili sembravano superate159. Solo alcuni
soci avanzarono considerazioni critiche, che furono però con prontezza
controbattute da precisi interventi del presidente della Società. In particolare tra
gli interventi vi fu quello del socio Rizzi, il quale osservava come, secondo alcune
recenti teorie, anche le società non legalmente riconosciute potessero esercitare
legalmente qualunque diritto. Il socio Barbirato propose un ordine del giorno con
cui l’assemblea rinviava ogni decisione sino allo svolgimento del congresso delle
società federate. In quella sede sarebbe stato compito del direttivo dell’organo
federale sottoporre al governo una richiesta di modifica della legge in direzione
meno vincolistica. Svoltasi la discussione, l’assemblea passò alle votazioni. Sui
56 soci intervenuti espressero pare contrario 6 soci, si astennero 2, si assentarono
al momento del voto 3 e diedero parere favorevole i restanti 45 soci.
8.
La composizione della base sociale
Il numero dei soci iscritti alla Società operaia crebbe con regolarità nel
corso degli anni, raggiungendo il massimo sviluppo dopo una ventina di anni dalla
sua costituzione. Le iniziali difficoltà furono ben presto superate e già al termine
del secondo anno di attività facevano parte del sodalizio 149 soci, di cui 118
ammessi in quell’anno. Da quel momento in poi, per il periodo compreso tra il
1872 e il 1885, i soci aumentarono con un tasso medio di crescita annuo rispetto
all’anno precedente del 5,5 per cento circa. Al termine dell’anno 1885 i soci
complessivamente erano 346, di cui 252 uomini e 94 donne. Da questo momento
e fino al 1891 si assistette al periodo di massima crescita della Società: i soci
159
ASC, cart. 12 Atti amministrativi, fasc. 3: Anno 1905, sottofasc. Riconoscimento giuridico
dell’ente, doc. Verbale assemblea generale del 4 luglio 1905 cit..
125
aumentarono con un tasso medio annuo di circa il 7 per cento, raggiungendo le
540 unità. Il 1889 è l’anno in cui si verificò in assoluto il numero massimo di
nuove iscrizioni al sodalizio, ben 126.
Nel periodo successivo, il tasso di crescita medio annuo quasi si azzerò,
con scostamenti annui in genere non significativi. In particolare dal 1889 al 1909
il tasso medio annuo si attestò intorno a valori prossimi al 9 per cento, e nel 1922
fu dell’8 per cento. Nei rimanenti anni l’oscillazione non assunse livelli
particolarmente indicativi, salvo che nel periodo immediatamente successivo alla
guerra, allorché si registrò un calo degli iscritti principalmente dovuto ai numerosi
decessi dei soci.
La presenza femminile all’interno della Società ebbe un’importanza
fondamentale sul piano del complessivo sviluppo del sodalizio. In un primo
momento il numero delle socie fu del tutto marginale, cominciando a crescere nel
corso dei primi anni Ottanta e raggiungendo l’apice nel 1892, quando raggiunse le
177 unità. Le socie raggiunsero il loro culmine nel 1895, quando si superò il
rapporto di una socia ogni due soci. A partire da quel momento il numero delle
donne iscritte alla Società si mantenne stabile nel corso del periodo seguente,
attestandosi mediamente sul valore di circa 140 presenze l’ anno.
126
Tabella 21. Soci esistenti, ammessi, cessati e rimasti suddivisi per anno
Anno
1870
1871
1872
1873
1874
1875
1876
1877
1878
1879
1880
1881
1882
1883
1884
1885
1886
1887
1888
1889
1890
1891
1892
1893
1894
1895
1896
1897
1898
1899
Esistenti
al principo dell'anno
Uomini
Donne
83
53
146
148
151
153
158
158
183
195
209
223
246
254
248
252
307
325
310
372
347
363
345
338
332
309
313
318
304
8
4
3
7
17
23
39
46
45
47
49
58
73
71
86
94
121
128
132
157
156
177
172
165
157
168
144
145
144
Totale
0
91
57
149
155
168
176
197
204
228
242
258
281
319
325
334
346
428
453
442
529
503
540
517
503
489
477
457
463
448
Ammessi
Uomini
173
Donne
12
115
36
34
27
51
22
49
36
30
44
36
36
23
28
77
43
13
87
25
33
17
11
15
19
10
20
24
45
3
4
12
12
18
8
10
11
5
15
21
5
19
13
31
21
8
39
16
27
8
7
6
18
2
4
1
19
Totale
185
0
118
40
46
39
69
30
59
47
35
59
57
41
42
41
108
64
21
126
41
60
25
18
21
37
12
24
25
64
Cessati
per rinuncia,
per morte
decadenza, esclusione
ecc.
Uomini Donne
Uomini
Donne
Totale
1
89
4
94
1
29
4
34
22
4
26
1
33
34
31
2
33
1
25
5
31
1
45
2
48
1
21
1
23
1
24
10
35
2
1
22
8
33
1
15
3
19
2
1
28
5
36
2
1
11
5
19
2
1
26
6
35
2
27
4
33
3
21
5
29
1
21
4
26
1
1
24
13
39
2
1
26
3
32
3
1
22
13
39
5
1
45
16
67
4
1
13
5
23
5
4
30
9
48
6
2
12
12
32
4
3
17
11
35
3
3
39
4
49
2
3
4
23
32
4
2
11
1
18
3
35
2
40
7
2
8
1
18
Rimasti alla fine dell'anno
Uomini
83
53
146
148
151
153
158
158
183
195
209
223
246
254
248
252
307
325
310
372
347
363
345
338
332
309
313
318
304
334
Donne
8
4
3
7
17
23
39
46
45
47
49
58
73
71
86
94
121
128
132
157
156
177
172
165
157
168
144
145
144
160
Totale
91
57
149
155
168
176
197
204
228
242
258
281
319
325
334
346
428
453
442
529
503
540
517
503
489
477
457
463
127
448
494
Esistenti
al principo dell'anno
ini
4
7
3
6
0
7
4
6
7
3
3
0
2
6
6
6
6
6
7
3
8
7
5
7
6
Ammessi
per morte
Cessati
per rinuncia,
decadenza, esclusione
ecc.
Rimasti alla fine dell'anno
Donne
Totale
Uomini
Donne
Totale
Uomini
Donne
Uomini
Donne
Totale
Uomini
Donne
Totale
160
148
145
145
144
142
138
141
137
136
142
148
147
143
144
146
141
139
137
132
136
140
143
155
144
494
465
448
441
474
469
462
467
454
449
495
518
539
529
530
532
517
505
494
475
494
527
528
572
540
7
5
5
42
30
9
22
5
10
59
25
40
13
11
16
2
3
4
1
1
4
5
7
1
4
18
15
8
3
28
6
14
9
5
13
3
14
17
8
8
5
3
12
4
1
6
7
3
1
2
1
6
31
50
15
48
7
13
7
11
10
19
2
1
6
4
4
5
5
6
6
5
9
6
5
4
2
3
8
7
10
13
14
12
7
8
6
12
10
1
2
12
6
3
1
4
5
2
1
1
8
6
9
47
37
10
26
5
12
71
31
43
14
15
21
4
4
5
0
38
61
25
67
9
14
37
23
16
14
42
17
21
18
17
25
8
22
24
14
19
19
16
16
19
19
28
24
23
41
22
317
303
296
330
327
324
326
317
313
353
370
392
386
386
386
376
366
357
343
358
387
385
417
396
391
148
145
145
144
142
138
141
137
136
142
148
147
143
144
146
141
139
137
132
136
140
143
155
144
141
465
448
441
474
469
462
467
454
449
495
518
539
529
530
532
517
505
494
475
494
527
528
572
540
532
3
2
2
2
2
3
1
1
1
3
3
2
5
3
5
4
4
1
1
4
2
2
4
1
4
14
9
10
16
8
3
4
2
3
9
3
Fonte: Quarant’anni di vita della Società operaia cit, tavole; Quindi anni di operosità sociale cit., tavole.
128
Il numero di soci cessati, sia per morte che per rinuncia, decadenza,
reclusione o altra causa, fu mediamente pari al 9 per cento l’anno. Anche in
questo caso il maggior scostamento dei dati rispetto alla media si verificò nel
corso dei primi anni di vita, periodo in cui il turn over dei soci fu maggiormente
accentuato. Questo fenomeno è probabilmente imputabile alla necessità dei
lavoratori di poter meglio comprendere il funzionamento, gli scopi e l’importanza
dell’istituto mutualistico. Inoltre non bisogna dimenticare la naturale diffidenza
che molti provavano per forme di innovazione in campo sia culturale che
economico e sociale. I benefici derivanti dalla partecipazione alla Società non
erano immediati né sempre percepibili nel breve periodo. Era necessario che la
Società affrontasse un primo periodo di rodaggio, al quale sarebbe seguita una
definitiva crescita sia nel numero dei soci che nelle attività svolte.
Le professioni dei soci iscritti evidenziano come all’interno della Società
non vi fosse una componente professionale dominante sulle altre. La SOMSI di
Cividale non ricalcava i caratteri di quelle società categoriali o professionali che
accoglievano solo soci del medesimo ambito produttivo. Per tale ragione le
iniziative assunte dalla Società non potevano essere indirizzate ad una particolare
categoria di soci, ma tendevano a coinvolgere il più possibile tutti senza
discriminare alcuno.
La composizione della base sociale risultava molto eterogenea tra gli
uomini, meno tra le donne. Per verificare la rappresentatività di ciascuna categoria
all’interno della Società si sono comparati i dati relativi alla composizione
professionale dei soci in tre anni differenti160. Dal raffronto emergono le
variazioni nella compagine sociale nell’arco di un ventennio di vita del sodalizio.
Muratori, fabbri, falegnami e carpentieri, fornai, impiegati e scritturali e
infine negozianti erano le categorie più ampiamnete rappresentate: da solo questo
aggregato nel 1905 costituiva circa il 51 per cento dell’insieme di tutti i soci,
manifestandosi in crescita rispetto agli anni precedenti (era pari rispettivamente
42,3 per cento nel 1895 e 42 per cento nel 1883). Allo stesso tempo era possibile
160
I dati circa le professioni dei soci iscritti sono contenuti nei resoconti amministrativi degli anni
1883, 1895 e 1905.
130
individuare altre 28 categorie professionali, di dimensioni mediamente modeste:
tra esse erano maggiormente rappresentative quelle dei liberi professionisti, dei
calzolai e degli osti, mentre le altre non erano formate che da pochi lavoratori.
Emerge dai dati una sostanziale mancanza di operai, intesi nel senso classico del
termine: la base sociale era fortemente caratterizzata da profili professionali che si
potrebbero definire artigiani più che operai. Se si sovrappongono i dati relativi
all’inchiesta industriale del 1890 con quelli qui riprodotti emerge che solo pochi
lavoratori operanti nell’industria tessile e in quella dei laterizi aderivano alla
Società. Considerando inoltre che nel complesso questi lavoratori erano circa 250,
l’anomalia appare ancora più palese. In realtà dunque, il successo crescente della
Società non era tanto ascrivibile alla capacità di attirare i lavoratori dell’industria,
quanto quelli dei settori dell’artigianato locale. Questa conclusione è
ulteriormente avvalorata dai dati relativi alla componente femminile della SOMSI.
Tra le donne la maggior parte delle socie svolgeva l’attività di casalinga
(questa categoria da sola superava il 50 per cento delle iscritte). A differenza degli
uomini, nel caso delle donne le rimanenti categorie non erano particolarmente
numerose: le cameriere, le ostesse e le albergatrici e infine le sarte costituivano il
40 per cento delle socie. Analogamente a quanto osservato nel caso degli uomini,
le molte operaie occupate nelle industrie di lavorazione della seta non risultavano
iscritte alla Società
La categoria degli agricoltori era solo in misura minima rappresentata
all’interno della Società. La scelta di non aprire al mondo contadino era in parte
legata alla chiusura nei confronti del mondo “clericale”, di cui gli agricoltori erano
generalmente portabandiera, e in parte alla diffidenza dei contadini nei confronti
di istituzioni nuove rispetto alla tradizione popolare. Tale atteggiamento era in
parte giustificato dall’ignoranza e dal basso livello di scolarizzazione degli
agricoltori, ma anche da una campagna volta a dissuadere questi ultimi dal
partecipare alla Società. Non si spiegherebbero altrimenti le ragioni per cui, a
distanza di alcuni anni, a Cividale sarebbe sorta una società di mutuo soccorso
agricola cattolica.
131
Tabella 22. Soci iscritti raggruppati per sesso e professione
Anno
1905
% sul
totale
% sul
sesso
N.
7
5
1,5%
1,1%
2,1%
1,5%
N.
1895
% sul
totale
% sul
sesso
1883
% sul
totale
N.
% sul
sesso
26
2
5,6%
0,4%
8,5%
0,7%
20
2
6,6%
0,7%
8,5%
0,9%
Uomini
Agenti di commercio
Agricoltori e ortolani
Artisti, pittori, decoratori,
disegnatori e fotografi
Barbieri
Calzolai
Cappellai
Capi mastri, muratori e
scalpellini
Conciapelli
Custodi, uscieri e guardie
6
1,3%
1,8%
4
0,9%
1,3%
3
1,0%
1,3%
12
14
1
2,6%
3,0%
0,2%
3,7%
4,3%
0,3%
8
18
3
1,7%
3,9%
0,6%
2,6%
5,9%
1,0%
5
10
5
1,7%
3,3%
1,7%
2,1%
4,3%
2,1%
30
6,4%
9,1%
20
4,3%
6,6%
10
3,3%
4,3%
6
5
1,3%
1,1%
1,8%
1,5%
5
5
1,1%
1,1%
1,6%
1,6%
6
6
2,0%
2,0%
2,6%
2,6%
Esercenti professioni libere
13
2,8%
4,0%
11
2,4%
3,6%
12
4,0%
5,1%
Fabbri, bandai e battirame
Facchini, manovali e
giornalieri
Falegnami e carpentieri
Farmacisti
Fattorini, camerieri e
inservienti
Ferrovieri
Fornai, prestinai e offellieri
Fruttivendoli
15
3,2%
4,6%
14
3,0%
4,6%
13
4,3%
5,6%
6
1,3%
1,8%
5
1,1%
1,6%
3
1,0%
1,3%
33
4
7,0%
0,9%
10,1%
1,2%
22
4
4,8%
0,9%
7,2%
1,3%
10
3
3,3%
1,0%
4,3%
1,3%
5
1,1%
1,5%
5
1,1%
1,6%
-
-
-
4
19
-
0,9%
4,1%
-
1,2%
5,8%
-
21
2
4,5%
0,4%
6,9%
0,7%
13
1
4,3%
0,3%
5,6%
0,4%
Impiegati, scivani e studenti
33
7,0%
10,1%
18
3,9%
5,9%
22
7,3%
9,4%
Librai, cartolai e legatori
Macellai
Mediatori e commissionati
Negozianti, rivenditori
Orologiai e orefici
Osti, trattori, albergatori e
caffettieri
Possidenti e pensionati
Sarti
Setaiuoli e linaiuoli
Tappezzieri sellai
Tessitori
Tintori
Tipografi
Vetturali cocchieri stallieri
Maestri
Totale
3
5
3
38
9
0,6%
1,1%
0,6%
8,1%
1,9%
0,9%
1,5%
0,9%
11,6%
2,7%
3
4
2
34
10
0,6%
0,9%
0,4%
7,4%
2,2%
1,0%
1,3%
0,7%
11,1%
3,3%
4
4
30
5
1,3%
1,3%
9,9%
1,7%
1,7%
1,7%
12,8%
2,1%
11
2,3%
3,4%
17
3,7%
5,6%
13
4,3%
5,6%
10
5
2
3
3
8
5
5
328
2,1%
1,1%
0,4%
0,6%
0,6%
1,7%
1,1%
1,1%
69,9%
3,0%
1,5%
0,6%
0,9%
0,9%
2,4%
1,5%
1,5%
100,0%
10
7
2
1
4
8
3
4
3
305
2,2%
1,5%
0,4%
0,2%
0,9%
1,7%
0,6%
0,9%
0,6%
66,0%
3,3%
2,3%
0,7%
0,3%
1,3%
2,6%
1,0%
1,3%
1,0%
100,0%
8
3
1
1
2
8
3
5
3
234
2,6%
1,0%
0,3%
0,3%
0,7%
2,6%
1,0%
1,7%
1,0%
77,5%
3,4%
1,3%
0,4%
0,4%
0,9%
3,4%
1,3%
2,1%
1,3%
100,0%
75
14
2
6
16,0%
3,0%
0,4%
1,3%
53,2%
9,9%
1,4%
4,3%
86
20
2
6
18,6%
4,3%
0,4%
1,3%
54,8%
12,7%
1,3%
3,8%
36
5
1
2
11,9%
1,7%
0,3%
0,7%
52,9%
7,4%
1,5%
2,9%
17
3,6%
12,1%
16
3,5%
10,2%
10
3,3%
14,7%
27
141
5,8%
30,1%
19,1%
100,0%
27
157
5,8%
34,0%
17,2%
100,0%
14
68
4,6%
22,5%
20,6%
100,0%
Donne
Casalinghe
Cameriere e serve
Fruttivendole
Maestre
Ostesse, albergatrici e
caffettiere
Sarte, modiste e cucitrici
Totale
Fonte: ASC, RESOCONTI AMMINISTRATIVI DAL 1870 AL 1909, resoconti degli anni 1883, 1895 E1905.
132
9.
Entrate, uscite e patrimonio sociale
I bilanci della Società operaia di mutuo soccorso sono la testimonianza
concreta dello sviluppo che la mutualità raggiunse nel Cividalese nel corso degli
anni, non solo da un punto di vista morale o politico, ma anche nell’ottica più
concreta del supporto materiale ai lavoratori.
Accanto alle risultanze contabili di ciascun anno è opportuno analizzare
alcune norme significative contenute nello statuto della Società operaia. Una
norma introdotta già nella prima versione del testo statutario riguardava l’impiego
dei fondi da parte della Società: già si era stabilito che gli importi raccolti fossero
impiegati in modo sicuro e fruttifero. A questo criterio si aggiungeva quello legato
al tipo di impiego possibile: le somme si sarebbero dovute investire in mutui a
ipoteca legale, nell’acquisto di fondi pubblici, in mutui o depositi presso banche
popolari, casse di risparmio o magazzini cooperativi161. La scarsa discrezionalità
sulle forme d’investimento riservate alla direzione si collegava al bisogno di
tutelare il più possibile il patrimonio della Società da eventuali erosioni,
imputabili a investimenti azzardati o poco sicuri. La solidità finanziaria della
Società era una condizione irrinunciabile alla quale si doveva prestare particolare
attenzione. Il patrimonio, oltre a svolgere una funzione di garanzia verso i terzi nei
confronti delle obbligazioni assunte dalla Società, costituiva anche garanzia per i
soci rispetto alla loro aspettativa mutualistica. Spesso l’aspetto economico è stato
scarsamente considerato nello studio del mutuo soccorso, subordinato dalle
valutazioni sociali e politiche sul movimento. In realtà un bilancio in attivo era
una condizione irrinunciabile per far sì che il mutuo soccorso si diffondesse con
capillarità nel territorio. La grande importanza socio-politica del mutuo soccorso
era frutto del numero elevato di soci aderenti al progetto, le quali in primo luogo
chiedevano alle strutture mutualistiche di intervenire economicamente in caso di
bisogno. L’impossibilità di far fronte ai propri impegni avrebbe significato per le
161
Il deposito delle somme raccolte dalle società mutualistiche costituiva spesso una voce
importante della raccolta degli istituti di credito. In particolare per le banche popolari e le casse di
risparmio fu determinante l’apporto di questi capitali nella fase iniziale dell’attività.
133
Società la perdita di credibilità nei confronti dei soci e di credito politico e sociale
verso l’esterno162.
Con il passare degli anni il vincolo all’investimento dei fondi raccolti si
allentò. Nel 1895, con le modifiche introdotte allo statuto, si estese la possibilità
di investire in qualsiasi tipo di immobile e in valori pubblici; dal 1903 venne
superato definitivamente ogni tipo di limite all’investimento mantenendo solo il
criterio di fruttuosità. Tale scelta fu possibile grazie al consolidamento
dell’apparato amministrativo della Società, il quale sfruttava l’esperienza di ormai
numerosi anni di vita e la solidità patrimoniale acquisita.
Le decisioni sull’impiego dei fondi sociali erano di competenza del
consiglio d’amministrazione della Società o, in via più generale, dell’assemblea
dei soci. Le operazioni d’impiego erano effettuate dalla direzione, l’organo
amministrativo, la quale curava concretamente la gestione dei fondi. Nei primi
anni di vita del sodalizio lo statuto non concedeva alla direzione alcuna possibilità
di deliberare circa l’impiego o il ritiro di fondi; così come non era possibile
effettuare alcuna spesa se non autorizzata dal consiglio o dall’assemblea. Dal
1880 intervennero alcune modifiche volte a garantire un maggiore dinamismo
nella gestione. La direzione, nei casi di urgenza e nell’impossibilità di convocare
in tempi rapidi il consiglio, poteva effettuare spese per un ammontare massimo di
100 lire nel corso di un intero anno. Era evidente la necessità da parte della
Società di superare eccessive rigidità, che male si conciliavano con l’aumentato
numero di soci e il crescente volume di attività. L’esiguità dell’importo massimo
della spesa consentita e la responsabilità personale dei membri della direzione,
qualora non fosse stata approvata dal consiglio, inducevano in ogni caso a non
utilizzare con frequenza questo strumento. Nel 1922 furono eliminati i limiti alle
somme spendibili senza l’autorizzazione del consiglio, onde non dover procedere
a una modifica statutaria ogni qualvolta si fosse presentata l’esigenza di
aggiornare l’importo.
Le norme contenute nello statuto non consentivano alla Società di effettuare
manovre speculative o rischiose mediante l’utilizzo del capitale sociale. La
162
FABBRI, Solidarismo in Italia cit., p. 71.
134
necessità di deliberare in seno agli organi collegiali sulla destinazione del
patrimonio poneva indubbiamente freno alla eventuale spregiudicatezza dei
singoli amministratori. La severità con cui la Società decise di operare in questo
campo non mancò di dare i suoi frutti: il patrimonio, nel corso degli anni, crebbe
quasi costantemente e garantì la possibilità di svolgere con proficui risultati
l’attività mutualistica per diversi decenni.
Le risorse su cui la Società poteva contare provenivano da diversi tipi di
entrate: alcune di esse mantenevano nel corso degli anni un andamento crescente
costante, altre erano occasionali e sporadiche, altre furono legate allo stato di
salute dell’istituzione e alla sua capacità di penetrazione nel territorio.
La principale entrata di cui disponeva la Società era costituita dalla
contribuzione dei soci e dalle tasse versate in occasione dell’ammissione di nuovi
iscritti. La rilevanza di questa risorsa per la Società dipendeva dal numero di soci
iscritti e dalla capacità da parte dei soci di versare con regolarità la contribuzione
mensile. Accadeva spesso che alcuni soci non fossero in grado di adempiere con
puntualità ai propri doveri. In questi casi, specie nei primi anni di vita, si
concedevano dilazioni sui tempi di pagamento ai soci in condizioni di particolare
difficoltà, sempre che si trattasse di situazioni di disagio temporanee. Sul totale
delle entrate i contributi e le tasse d’iscrizione costituivano mediamente il 50 per
cento. Queste somme crebbero inizialmente con l’aumento dei soci e con il
progressivo adeguamento subito dalle tariffe nel corso degli anni. Nei primi anni
di vita, i contributi costituirono fino all’80 per cento delle entrate, per poi perdere
gradualmente d’importanza a mano a mano che la Società si dotava di un
patrimonio stabile e consistente. I contributi e le tasse d’ammissione erano le
uniche leve su cui la Società poteva agire direttamente per accrescere le proprie
entrate, sicché la loro gestione era particolarmente delicata: da un lato consentiva
la possibilità alla Società di ottenere eventuali aggiustamenti in caso di sbilanci
patrimoniali, dall’altro un’azione troppo spregiudicata al rialzo rischiava di
compromettere la fiducia e l’adesione dei soci al sodalizio.
Con l’istituzione della scuola d’arte e mestieri la Società fu in grado di
fruire di una serie di contributi concessi da diversi enti pubblici e da privati,
direttamente rivolti a finanziare l’attività d’istruzione. Le entrate così raccolte non
135
furono però sufficienti a coprire il reale costo della scuola, che rappresentò per
molti anni un capitolo di spesa assai rilevante nel bilancio della Società.
Le entrate straordinarie presentarono un andamento abbastanza altalenante.
L’origine di queste somme era la più disparata: balli sociali, pesche di
beneficenza, sottoscrizioni pubbliche, tombole, donazioni in denaro da parte delle
famiglie più benestanti dei soci defunti, contributi di enti per fini particolari e
altro. Tra le entrate straordinarie figura nel 1919 una somma particolarmente
elevata, derivante in parte dalla sottoscrizione di un prestito ottenuto dalla Banca
agricola per consentire alla Società di intervenire a favore degli esuli di guerra e
dei soci più gravemente colpiti dal conflitto. Questo intervento, eccezionale anche
per la sua entità economica, fece raggiungere alle entrate straordinarie un
ammontare complessivo pari al 32 per cento circa del totale incassato163. Senza
quella particolare circostanza, la voce delle entrate straordinarie non sarebbe
arrivata sopra il 15 per cento delle entrate, a riprova dell’importanza modesta che
questi introiti ricoprivano per la Società.
Una voce che crebbe con regolarità nel corso degli anni era rappresentata
dai redditi patrimoniali. Il loro continuo progresso derivò dal crescente patrimonio
e dal redditizio impiego che la Società riuscì a farne. I redditi patrimoniali
raggiunsero nel corso del periodo preso in esame il 16 per cento complessivo delle
entrate.
Le spese sostenute dalla Società sono raggruppabili in quattro grandi
categorie: le spese per il mutuo soccorso, quelle per l’istruzione, quelle generali
d’amministrazione e infine le spese straordinarie.
Tra le spese genericamente incluse nel mutuo soccorso vi erano sia le
indennità di malattia corrisposte ai soci e alle socie che le spese relative alla
concessione di sussidi di varia specie. Altra voce compresa tra le somme
pertinenti al mutuo soccorso era data dalle gratifiche pagate ai medici sociali per
l’attività svolta. Le indennità di malattia costituirono per il sodalizio la voce di
spesa più ingente: nel periodo preso in esame ammontarono complessivamente il
163
SOMSI, Resoconto generale della Società operaia di mutuo soccorso al 31 dicembre 1919.
Anno Il, Cividale 1920, pp. 4-5.
136
30 per cento circa del totale delle spese sostenute dalla Società. Le indennità per la
parte maggiore erano pagate ai soci maschi (più di due terzi del totale); per le
donne era però prevista una particolare indennità in caso di parto.
I sussidi che la Società concedeva ai propri soci erano di diverso tipo:
continui, per morte e per parto. Mentre le ultime due forme di sussidio non
pesarono che minimamente sul bilancio dell’associazione (entrambe per l’1 per
cento circa del totale delle uscite), i sussidi continui ebbero un peso sempre
maggiore sulle uscite. Considerati alla stregua di una vera e propria pensione, essi
furono erogati a partire dal 1899, e da quell’anno crebbero sino a superare le
indennità di malattia nel periodo immediatamente successivo alla guerra (1921).
Le gratificazioni ai medici e le spese straordinarie di beneficenza sarebbero
state poco rilevanti nel loro ammontare complessivo se nel 1919, al proprio
rientro dalla sede provvisoria in Roma, la Società non avesse badato a soccorrere i
soci e gli esuli tornati alle proprie abitazioni. L’intervento maggiormente urgente
da porre in atto nei confronti dei cittadini colpiti dalla disgrazia consisteva nel
fornire loro dei beni d’uso comune, quali stoviglie, lenzuola, coperte, utensili da
cucina e, se possibile, attrezzi per il lavoro. La Società si fece carico dell’acquisto
del materiale, che fu poi consegnato ai richiedenti in cambio dell’impegno di
restituire la cifra corrispondente al valore dei beni prelevati. Essa non intendeva
lucrare sull’iniziativa, chiedendo al beneficiario di rendere la somma equivalente
al prezzo di costo del materiale; non poteva però effettuare gratuitamente questa
operazione, dato l’ingente ammontare della cifra per cui si era esposta. L’acquisto
di materiale diede luogo a una spesa complessiva di 88.211,87 lire, importo
superiore all’intero patrimonio sino a quel momento accumulato dopo 50 anni di
attività164. Per la Società la somma stanziata rappresentava contabilmente un
credito concesso ai soci, i quali si sarebbero impegnati quanto prima a restituire il
dovuto. Tali ragioni spiegano come le spese straordinarie di beneficenza abbiano
raggiunto il 25 per cento delle spese totali.
164
SOMSI, Resoconto […] 1919 cit., p. 5.
137
Tabella 23. Entrate e uscite della Società operaia di Cividale tra il 1870 e il
1925.
1870
6,64
1068,75
245,50
1320,89
72,00
1871
65,64
699,37
107,00
872,01
24,00
1872
72,12
884,30
631,26
1587,68
14,00
1873
77,64
1236,05
350,61
1664,30
137,00
1874
143,96
1535,67
353,56
2033,19
105,00
1875
76,00
1627,20
1010,12
2713,32
348,00
22,60
5
191,00
37,8
Spese generali
d'amministrazione
Per altri
insegnamenti
Per morte
Per parto
Continui
Socie
Soci
Totale
Per la scuola d'arte
appicata all'industria
Sussidi
Gratificazioni a
medici e beneficenza
eccezionale
Indennità di malattia
Spese per l'istruzione
Spese straordinarie per
festeggiamneti , mobilio,
deprezzamenti, ecc.
Spese
Spese del Mutuo Soccorso
Straodinarie
Entrate per l'istruzione
Redditi patrimoniali
Anno
Contribuzione dei soci
Entrate
Totale
339,36
25,5
436,86
228,1
145
419,70
263,49
316,58
594,07
377
37,7
556,70
405,8
58
568,80
487,85
15
1079,65
1876
710,36
1907,60
820,20
3438,16
349,20
164,00
20,00
476,08
164,93
1174,21
1877
424,51
2105,95
609,73
3140,19
303,60
178,00
20,00
492,35
101,6
1095,55
500
2787,65
1878
514,29
2217,95
1879
632,36
2453,80
494,25
3226,49
573,60
184,00
40,00
230,00
852,88
4169,04
894,60
130,00
50,00
1880
697,00
2905,95
225,00
2901,57
6729,52
538,20
343,00
40,00
1881
779,47
3153,85
350,00
471,59
4754,91
1170,75
340,50
70,00
1882
898,41
3668,00
350,00
1127,79
6044,20
1534,50
376,50
120,00
1883
1025,99
3773,40
450,00
2784,35
8033,74
1586,25
501,00
80,00
523,15
644,95
103,40
568,1
1320,75
435,43
808,59
395,49
2560,71
717,19
846,34
219,54
3467,72
50,00
369,2
888,58
1009,53
4348,31
50,00
25,00
668,50
1032,60
830,21
4773,56
200,00
1884
1145,68
3976,15
450,00
839,89
6411,72
1740,75
446,00
160,00
20,00
675,70
920,12
502,45
4665,02
1885
1190,30
3887,80
650,00
462,21
6190,31
1260,50
504,00
120,00
57,00
863,15
956,95
127,93
3889,53
1886
1326,13
4600,05
900,00
695,02
7521,20
1653,00
634,50
140,00
40,00
1119,15
1137,90
190,96
4915,51
762,00
1079,43
121,79
4714,97
1876,04
946,40
127,91
7469,35
1887
1168,43
4899,70
750,00
448,46
7266,59
1788,75
743,00
180,00
40,00
1888
1191,05
4990,75
1400,00
569,12
8150,92
3246,00
883,00
160,00
80,00
150,00
1889
1319,42
5049,70
1150,00
790,15
8309,27
2752,25
829,00
100,00
40,00
150,00
1857,15
1028,28
2013,42
8770,10
1890
1341,25
5436,40
800,00
1184,94
8762,59
3558,50
1215,50
140,00
77,00
150,00
2249,17
1140,45
521,83
9052,45
1891
1327,10
5619,75
800,00
1674,42
9421,27
2994,75
1527,50
180,00
100,00
150,00
2153,03
1310,34
8415,62
1892
1450,67
5833,55
800,00
1062,00
9146,22
3390,75
1962,50
250,00
160,00
150,00
1701,72
1020,73
8635,70
1893
1384,65
5500,15
1000,00
424,81
8309,61
2628,75
1140,00
180,00
120,00
150,00
2063,66
952,25
231,73
7466,39
1894
1400,15
5349,80
923,50
369,94
8043,39
2431,75
1438,00
200,00
100,00
150,00
1725,33
866,69
436,54
7348,31
1895
138
1412,75
5117,15
934,00
312,45
7776,35
2190,25
1401,50
160,00
60,00
150,00
1727,81
1030,19
1429,59
8149,34
1896
1359,30
4861,40
632,50
56,77
6909,97
2411,00
1052,00
150,00
100,00
180,00
1649,35
927,93
22,00
6528,28
36,00
Spese del Mutuo Soccorso
245,50
1320,89
72,00
107,00
872,01
24,00
631,26
1587,68
14,00
350,61
1664,30
137,00
22,60
5
353,56
2033,19
105,00
1010,12
2713,32
348,00
191,00
820,20
3438,16
349,20
164,00
609,73
3140,19
303,60
178,00
494,25
3226,49
573,60
230,00
852,88
4169,04
894,60
225,00
2901,57
6729,52
538,20
343,00
40,00
350,00
471,59
4754,91
1170,75
340,50
70,00
Spese generali
d'amministrazione
Per altri
insegnamenti
Per morte
Per parto
Continui
Socie
Soci
Totale
Per la scuola d'arte
appicata all'industria
Sussidi
Gratificazioni a
medici e beneficenza
eccezionale
Indennità di malattia
Spese per l'istruzione
Spese straordinarie per
festeggiamneti , mobilio,
deprezzamenti, ecc.
Spese
Straodinarie
Entrate per l'istruzione
Entrate
Totale
339,36
25,5
436,86
228,1
145
419,70
263,49
316,58
594,07
377
37,7
556,70
405,8
58
568,80
487,85
15
1079,65
20,00
476,08
164,93
1174,21
20,00
492,35
101,6
1095,55
184,00
40,00
523,15
130,00
50,00
500
2787,65
37,8
644,95
103,40
568,1
1320,75
435,43
808,59
395,49
2560,71
717,19
846,34
219,54
3467,72
350,00
1127,79
6044,20
1534,50
376,50
120,00
50,00
369,2
888,58
1009,53
4348,31
450,00
2784,35
8033,74
1586,25
501,00
80,00
50,00
25,00
668,50
1032,60
830,21
4773,56
450,00
839,89
6411,72
1740,75
446,00
160,00
20,00
200,00
675,70
920,12
502,45
4665,02
650,00
462,21
6190,31
1260,50
504,00
120,00
57,00
863,15
956,95
127,93
3889,53
900,00
695,02
7521,20
1653,00
634,50
140,00
40,00
1119,15
1137,90
190,96
4915,51
762,00
1079,43
121,79
4714,97
1876,04
946,40
127,91
7469,35
750,00
448,46
7266,59
1788,75
743,00
180,00
40,00
1400,00
569,12
8150,92
3246,00
883,00
160,00
80,00
150,00
1150,00
790,15
8309,27
2752,25
829,00
100,00
40,00
150,00
1857,15
1028,28
2013,42
8770,10
800,00
1184,94
8762,59
3558,50
1215,50
140,00
77,00
150,00
2249,17
1140,45
521,83
9052,45
800,00
1674,42
9421,27
2994,75
1527,50
180,00
100,00
150,00
2153,03
1310,34
8415,62
800,00
1062,00
9146,22
3390,75
1962,50
250,00
160,00
150,00
1701,72
1020,73
8635,70
1000,00
424,81
8309,61
2628,75
1140,00
180,00
120,00
150,00
2063,66
952,25
231,73
7466,39
923,50
369,94
8043,39
2431,75
1438,00
200,00
100,00
150,00
1725,33
866,69
436,54
7348,31
934,00
312,45
7776,35
2190,25
1401,50
160,00
60,00
150,00
1727,81
1030,19
1429,59
8149,34
632,50
56,77
6909,97
2411,00
1052,00
150,00
100,00
180,00
1649,35
927,93
22,00
6528,28
36,00
lla Società operaia di mutuo soccorso e istruzione di Cividale, Cividale 1911, tavole; Quindici anni d’’operosità sociale, Cividale 1925, tavole.
139
I costi relativi all’istruzione incisero in modo rilevante sul bilancio sociale.
Contabilmente furono distinte due diverse voci di spesa: quella relativa alle uscite
genericamente computabili alla gestione della scuola d’arte e mestieri e quelle
relative ad altre spese destinate a diverse attività sempre nel settore
dell’istruzione. Per la scuola il sodalizio investì il 16 per cento del totale di spesa,
mentre alle iniziative minori, destinò solo l’1 per cento. L’ammontare
complessivo dell’esborso per questo tipo di attività è sicuramente notevole,
considerando anche che il periodo in cui queste spese si concentrarono è
compreso tra il 1879 e il 1917.
Le spese generali di amministrazione costituirono il 12 per cento delle spese
sostenute, e riguardarono tutti gli oneri sostenuti dalla Società per l’ordinaria vita
del sodalizio e per permettere il migliore suo funzionamento.
Infine l’ultimo capitolo di spesa riguardava l’insieme delle somme utilizzate
per organizzare manifestazioni e feste in occasione di particolari avvenimenti
(anniversari di fondazione del sodalizio, inaugurazione della ferrovia Udine –
Cividale, festeggiamenti pro Casa del popolo, raccolta di fondi a scopo di
beneficenza e altro) e per provvedere all’acquisto e all’ammortamento del mobilio
da destinare alla sede. In questa voce sono incluse, a partire dal 1910, anche le
somme pagate dalla Società alla Cassa nazionale delle assicurazioni sociali, che se
in un primo momento ebbero poco peso, dal 1921, in seguito all’obbligatorietà
d’iscrizione di tutti i soci, crebbero notevolmente. Il totale delle spese
straordinarie raggiunse l’8 per cento delle uscite.
La differenza algebrica tra entrate e spese di ciascun anno costituiva la
somma da destinare all’incremento del patrimonio. La Società, grazie alla oculata
gestione delle proprie entrate e delle proprie spese, riuscì, quasi ogni anno,
nell’intento di accrescere le somme destinate sia al fondo mutuo soccorso che al
fondo pensioni. L’ammontare complessivo di questi due fondi avrebbe potuto
essere ancora maggiore se il sodalizio non si fosse impegnato in iniziative
particolarmente onerose per le finanze sociali, come a esempio l’attività di
istruzione. Nonostante ciò, il patrimonio raccolto raggiunse in tempi abbastanza
brevi livelli di assoluta importanza. La statistica ministeriale del 1878 evidenziava
141
come, a soli otto anni dalla sua fondazione, la Società di Cividale era terza in
ordine di grandezza per ammontare del patrimonio sociale nella provincia di
Udine165.
Il patrimonio fu amministrato dalla Società ricorrendo a diverse forme di
investimento. Le diverse tipologie di strumenti finanziari e deposito utilizzatie
furono non solo orientati alla remunerazione del capitale, ma anche funzionali alla
particolare fase storica e politica attraversata.
Per i primi anni di vita del sodalizio non è facile recuperare fonti che
testimonino circa il tipo di investimento del capitale. Solo a partire dal 1875 una
parte cospicua del patrimonio fu prestata al comune di Cividale166. Per circa dieci
anni la Società mutuò al municipio delle somme di danaro sulle quali
l’amministrazione si impegnava a corrispondere un interesse annuale in misura
variabile tra il 4 e il 5 per cento. Negli ultimi anni in cui fu concesso a mutuo il
patrimonio della Società, l’ammontare del prestito raggiunse una somma
compresa tra le 14.000 e le 16.000 lire.
Dal 1879 la Società usufruì anche della possibilità di depositare le proprie
eccedenze contabili su due libretti di risparmio, aperti presso la cassa postale di
Cividale167. Su questi due libretti, di cui uno destinato in particolare ad accogliere
le somme destinate al fondo pensioni appena costituito, transitarono importi di
modesta entità e a partire dal 1887 entrambi vennero estinti, destinandone gli
importi ad altre forme di deposito.
Dal 1881 la Società investì parte del proprio capitale anche presso il Monte
di Pietà, unica istituzione creditizia in quel momento operante sul territorio
cividalese. Nel corso di circa vent’anni (fino al 1900) furono sottoscritte dalla
165
M.A.I.C., DIREZIONE DELLA STATISTICA GENERALE DEL REGNO, Statistica delle società di
mutuo soccorso. Anno 1878., Roma 1880, pp. 284-287.
166
Le cifre e i dati relativi alla composizione e alle diverse forme d’investimento del patrimonio
sono contenuti nei resoconti amministrativi della Società. Gli anni presi in esame vanno dal 1870
al 1925 (ASC, Resoconti amministrativi dal 1870 al 1909; Resoconti amministrativi dal 1910 al
1931).
167
SOMSI, Resoconto generale della Società operaia di mutuo soccorso al 31 dicembre 1879.
Anno IX, Cividale 1880.
142
Società diverse cartelle del prestito, per ammontare crescente e fino all’importo
massimo di lire 6.000. Nel 1883 inoltre furono aperte anche due cartelle del
Consolidato italiano, una per nominali 2.000 lire e l’altra per 1.000 lire. Queste
due cartelle furono mantenute fino a tutto il 1901, data in cui si preferì il rientro
dell’investimento.
Tra il 1885 e il 1888 la Società intrattenne rapporti di credito con due
banche udinesi. Nel 1885 fu decisa l’apertura di un libretto di risparmio presso la
Banca popolare friulana di Udine, sul quale fu versata parte dei mutui estinti con
il comune e parte dei depositi postali. L’anno successivo la Società aprì un conto
con la Cassa di Risparmio di Udine, sul quale fu versato l’ammontare rimanente
dei mutui municipali non ancora estinti (circa 14.000 lire). Queste operazioni
evidenziavano il bisogno sempre più sentito del sistema economico cividalese di
avere come controparti istituzioni finanziarie maggiormente dinamiche e in grado
non solo di offrire buone possibilità di investimento, ma anche finanziamenti a
condizioni favorevoli. In questo senso le due operazioni sopra ricordate non
furono che un passaggio interlocutorio che anticipò la nascita del rapporto con la
Banca cooperativa di Cividale168.
Nel 1887 cominciò a operare sul territorio la Banca cooperativa di Cividale,
istituzione creditizia fortemente voluta e promossa dalla Società di mutuo
soccorso. Lo stretto legame tra i due istituti portò, in brevissimo tempo, a
indirizzare la gran parte del patrimonio sui conti aperti presso il nuovo istituto di
credito. La decisione fu presa in sede di consiglio della Società su proposta di
alcuni soci che ritenevano doveroso collaborare all’avvio dell’attività della Banca.
Con il passaggio di buona parte del patrimonio sui conti aperti con la Banca
cooperativa si attuò anche per la prima volta una separazione contabile tra il fondo
pensioni e il fondo mutuo soccorso (o fondo sociale)169. In realtà la Banca in un
168
Il patrimonio della Società era fino a quel momento frazionato in piccoli investimenti con molti
soggetti. Tra il 1885 e il 1886 il patrimonio era suddiviso in 7 diverse tipologie di investimento,
segno questo evidente anche della difficoltà di trovare una controparte sufficientemente capace di
assorbire le sue disponibilità finanziarie.
169
SOMSI, Resoconto generale della Società operaia di mutuo soccorso al 31 dicembre 1886.
Anno XVI, Cividale 1887, pp. 11-14.
143
primo momento aprì due soli conti, uno destinato ad accogliere integralmente il
fondo pensioni e l’altro di conto corrente per lo svolgimento delle operazioni di
ordinaria amministrazione. Successivamente fu aperto un ulteriore conto, nel
1888, sul quale fu versato l’ammontare dei depositi fino a quel momento presenti
sui conti delle banche udinesi e che costituì il deposito a fondo sociale. Il libretto
di conto corrente fu estinto dopo pochi anni, accentrando per quanto possibile
tutte le somme su due soli libretti di deposito. L’operazione di concentrazione dei
fondi patrimoniali si concluse nel 1901, quando la Società li convogliò nei due
libretti della Banca cooperativa.
Questo accentramento delle risorse ebbe però vita breve. Nel 1906 si ruppe
il rapporto esclusivo che legava la Società alla Banca cooperativa. Venne infatti
deciso di destinare in parti uguali l’intero ammontare del fondo pensioni ad altre
due banche nel frattempo divenute operanti a Cividale: la Banca agricola e la
Banca popolare di credito. Le ragioni di tale scelta sono riconducibili
principalmente a fattori di carattere economico: i due istituzioni creditizi offrivano
infatti una remunerazione maggiore sui depositi (rispettivamente il 4,6 per cento
la Banca agricola e il 4,5 per cento la Banca popolare) rispetto alle condizioni
praticate dalla Banca cooperativa (il 4 per cento)170. Sebbene la Banca cooperativa
invitasse a riconsiderare le offerte proposte alla Società dagli altri istituti di
credito, non mutò la decisione di differenziare l’investimento delle risorse, segno
tangibile del clima di concorrenza crescente nel sistema finanziario della città, che
avrebbe prodotto benefici in senso economico generale.
L’entrata in guerra nel 1915 comportò per il governo italiano uno sforzo
finanziario notevole. Per far fronte al costo del conflitto si dovette procedere alla
collocazione sul mercato finanziario di diverse emissioni del prestito nazionale.
Tale collocazione fu promossa da personalità politiche e dai comitati di assistenza
civile tramite appositi organi costituiti al loro interno e denominati commissioni di
propaganda per il Prestito Nazionale. Fu in particolare l’on. Morpurgo che
170
La vicenda diede origine ad un acceso dibattito che rischiò di provocare una crisi in seno alla
rappresentanza sociale (ASC, cart. 12: Atti amministrativi dal 1903 al 1906, fasc. 4: 1906, appunti
manoscritti sulla distribuzione dei fondi patrimoniali).
144
sollecitò i cittadini di Cividale e del a intervenire a sostegno delle spese di guerra.
Le argomentazioni utilizzate per convincere i risparmiatori a sottoscrivere il
prestito erano di due ordini: da un lato si faceva leva sulle ragioni patriottiche,
dall’altro su quelle economiche. Il cittadino, che specie nelle zone del Cividalese e
delle Valli del Natisone meglio conosceva le difficoltà e il bisogno di mezzi per
l’esercito in guerra, era stimolato da continui richiami all’orgoglio nazionale e al
senso di sacrificio delle genti di queste zone:
In quest’ora solenne la Patria attende che ognuno compia il proprio dovere, che ognuno
cooperi come può al trionfo della grande impresa iniziata per la libertà dell’Italia, per la civiltà
dell’Europa. […] Ed ora, a soddisfare la necessità della guerra, il Governo chiama a raccolta una
nuova milizia, quella dei capitalisti e dei risparmiatori, grandi e piccoli, perché forniscano le armi
finanziarie che assicureranno la vittoria definitiva al diritto nazionale171.
Oltre a queste nobili ragioni i motivi che avrebbero dovuto spingere alla
sottoscrizione del prestito nazionale erano anche altri:
Non si tratta più, come in altri tempi, di dono, ma di prestito […] che offre condizioni
ottime di convenienza economica, che dà garanzia da esenzione da imposte presenti e future, di
inconvertibilità almeno decennale e di rimborso al valore nominale; che all’occorrenza, consente
facile il cambio in denaro, che è accessibile alle classi popolari perché frazionato in piccoli tagli e
con molte agevolezze di pagamenti rateali; che ha tutte le caratteristiche di un investimento sicuro
e proficuo. Il tasso supera il cinque per cento netto ed i nuovi provvedimenti fiscali danno il gettito
necessario per il pagamento dei futuri interessi.
Fu anche per queste ragioni che, dal 1915, la Società decise di
sottoscrivere quote del prestito, il primo anno si acquistarono 10.000 lire nominali
utilizzando parte dei depositi accantonati sul fondo sociale presso la Banca
cooperativa. L’anno successivo la Società decise di aumentare la propria quota di
investimenti nel prestito, sottoscrivendo ulteriori lire 20.000 nel terzo prestito
nazionale che furono pagate attingendo ai due conti della Banca agricola e della
Banca popolare contenenti il fondo pensioni. Nel 1917, con la collocazione del
145
quarto prestito nazionale, la SOMSI provvide a sottoscrivere ulteriori lire 10.000
nominali di prestito e a convertire quello precedente con il nuovo. Per la
conversione, il governo garantiva un premio pari al 3 per cento del valore
nominale del vecchio prestito, da pagarsi in contanti fino all’importo di 500 lire e
da convertire in titoli per importi superiori172. Complessivamente l’operazione
diede luogo a una sottoscrizione complessiva per 41.000 lire. Infine nello stesso
anno furono investite ulteriori lire 10.000 nel quinto e ultimo prestito nazionale.
Al termine del conflitto il prestito fu denominato Debito pubblico del Regno
d’Italia e, come tale, conservato dalla Società. Risultava così che più della metà
del patrimonio sociale dopo la guerra fosse investito in titoli del debito pubblico.
Al termine della guerra la situazione patrimoniale della Società sembrava
non aver subito particolari conseguenze. In realtà il successivo acquisto di
materiale da distribuire agli esuli e alle famiglie più colpite comportò non pochi
problemi di ordine finanziario. Delle 88.211, 87 lire spese, solo una minima parte
fu coperta con fondi immediatamente disponibili presso la Società. Per una parte
consistente, si ricorse alla concessione di un prestito della Banca agricola per
64.627,17 lire. Sebbene alcuni beneficiari nel corso del 1920 avessero restituito
l’equivalente in denaro di quanto prelevato e nonostante il contributo stanziato
alla Società da parte del comitato di assistenza civile e dal ministero per le Terre
liberate, la situazione appariva più difficile del previsto. I ritardi del ministero nel
concedere i rimborsi per i danni di guerra, uniti a una certa lentezza nel ritorno
delle somme dovute da parte dei soci, impedivano alla SOMSI di rientrare dal
debito con la banca, sul quale peraltro maturavano interessi cospicui. Al termine
del 1920 era evidenziata ancora una esposizione per complessive 72.696,6 lire.
Nel 1921 si operò una scelta volta a ridurre il debito complessivo con la banca:
parte del fondo per il mutuo soccorso fu girato a parziale pagamento del debito
(27.334,7 lire) con l’inserimento a bilancio di un credito verso soci per lo stesso
171
E. MORPURGO, Ai miei elettori del Collegio di Cividale!, Buttrio 1916 (ASC, cart. 49: Pratiche
diverse 1886-1917, fasc. 3: Prestito nazionale).
172
ASC, cart. 49: Pratiche diverse 1886-1917, fasc.: 3 Prestito nazionale, doc. Appunti
manoscritti.
146
importo, riducendo in tal modo l’esposizione bancaria a 45.974 lire173. La
situazione con il passare degli anni non subì particolari modifiche. Nel 1923 si
temeva che buona parte del credito verso i soci ancora da riscuotere non potesse
più essere recuperato, anche se continuavano i pagamenti di alcuni beneficiari del
materiale. Dopo sette anni, nel 1926 la Società reputò conveniente eliminare il
debito con la Banca agricola, pagando l’ammontare del debito residuo, pari a
19.560,82 lire ed evidenziando questa volta nel fondo pensioni il corrispondente
credito verso i soci.
La manovra, che nel complesso non avrebbe dovuto costare nulla alla
Società, si dimostrò più dispendiosa di quanto fosse stato possibile prevedere.
173
SOMSI, Resoconto generale della Società operaia di mutuo soccorso al 31 dicembre 1920.
Anno L, Cividale 1921, p. 4.
147
Figura 1. Andamento patrimoniale della Società (1870 - 1924)
100.000
90.000
Patrimonio
80.000
70.000
60.000
50.000
40.000
30.000
20.000
10.000
0
1870
1873
1876
1879
1882
1885
1888
1891
1894
1897
1900
1903
1906
1909
1912
1915
1918
1921
1924
Anni
Fondo mutuo soccorso
Fondo pensioni
Patrimonio complessivo
149
Fonte: 40 anni di vita della Società operaia cit., tavole; Quindici anni d’’operosità sociale cit., tavole.
150
Tabella 3. Il patrimonio della Società operaia di mutuo soccorso di Cividale (1870-1924)
Differenza
tra entrate e
uscite
Anno
Patrimonio al 31 dicembre
Fondo Mutuo
Soccorso ed
Istruzione
Fondo
Pensioni
Totale
1870
884,03
884,03
884,03
1871
452,31
1.336,34
1.336,34
1872
993,61
2.329,95
2.329,95
1873
1.107,60
3.437,55
3.437,55
1874
1.464,39
4.901,94
4.901,94
1875
1.633,67
6.535,61
6.535,61
1876
2.263,95
8.799,56
8.799,56
1877
2.044,64
10.844,20
10.844,20
1878
1.905,74
12.749,94
1879
1.381,39
13.776,44
12.749,94
354,89
14.131,33
1880
4.168,81
16.374,64
1.925,50
18.300,14
1881
1.287,19
17.317,09
2.270,24
19.587,33
1882
1.695,89
18.326,79
2.956,43
21.283,22
1883
3.260,18
19.427,31
5.116,09
24.543,40
1884
1.746,70
20.584,29
5.705,81
26.290,10
1885
2.300,78
25.953,43
2.637,45
28.590,88
1886
2.605,69
24.182,47
7.014,10
31.196,57
1887
2.551,62
26.009,45
7.738,74
33.748,19
1888
1889
-
1890
-
1891
681,57
25.970,20
8.459,56
34.429,76
460,83
24.962,12
9.006,81
33.968,93
289,86
24.048,46
9.630,61
33.679,07
1.005,65
23.368,42
11.316,30
34.684,72
1892
510,52
22.866,94
12.328,30
35.195,24
1893
843,22
22.882,76
13.155,70
36.038,46
1894
1895
-
695,08
22.865,49
13.868,05
36.733,54
372,99
21.903,25
14.457,30
36.360,55
1896
381,69
21.672,87
15.069,37
36.742,24
1897
451,06
21.521,16
15.672,14
37.193,30
1898
3.477,67
21.762,43
18.908,54
40.670,97
1899
469,17
21.124,65
20.015,49
41.140,14
1900
233,01
20.115,26
21.257,89
41.373,15
1901
1.959,85
20.955,21
22.377,79
43.333,00
1902
1.256,30
21.072,81
23.516,49
44.589,30
1903
1.265,35
21.223,21
24.631,44
45.854,65
1904
2.229,12
22.197,58
25.886,19
48.083,77
1905
974,87
21.957,89
27.100,75
49.058,64
1906
1.980,43
21.523,34
29.515,73
51.039,07
1907
932,04
21.043,02
30.928,09
51.971,11
1908
1.591,40
20.726,99
32.835,52
53.562,51
1909
2.434,06
21.390,40
34.606,17
55.996,57
1910
2.986,68
22.479,86
36.503,39
58.983,25
1911
1.953,78
23.303,61
37.633,42
60.937,03
1912
2.766,58
24.752,87
38.950,74
63.703,61
1913
1.782,50
25.284,47
40.201,64
65.486,11
1914
2.383,67
26.315,24
41.554,54
67.869,78
1915
799,65
25.736,29
42.933,14
68.669,43
1916
1.829,11
25.729,45
44.769,09
70.498,54
1917
2.643,64
24.898,93
48.243,25
73.142,18
1918
3.742,86
25.391,55
51.493,49
76.885,04
1919
550,32
23.993,10
53.442,26
77.435,36
1920
2.444,75
22.727,63
57.152,48
79.880,11
1921
4.452,51
22.790,94
61.541,68
84.332,62
1922
51,53
21.937,89
62.446,26
84.384,15
1923
7.452,14
28.646,38
63.189,91
91.836,29
1924
2.845,00
29.407,63
65.273,66
94.681,29
Fonte: 40 anni di vita della Società operaia cit., tavole; Quindici anni d’’operosità sociale cit., tavole.
151
10. La Società cattolica agricola di mutuo soccorso Leone XIII
La radicata presenza delle forze cattoliche nella città di Cividale e nelle
campagne circostanti permise, su iniziativa della Curia arcivescovile di Udine, di
costituire una società di mutuo soccorso di matrice cattolica. Il progetto si inseriva
nel novero delle molte iniziative che il movimento cattolico attuò sul finire del
secolo in tutto il Friuli. Fondata nel 1893, la Società non differiva molto rispetto
alle associazioni di mutuo soccorso laiche, delle quali ricalcava la struttura
organizzativa. Tra gli aspetti che maggiormente differenziavano questo tipo di
società rispetto alle consorelle vi era la marcata natura confessionale, che
imponeva ai soci una condotta di vita conforme ai precetti divini ed ecclesiastici.
La Società, benché dichiaratamente agricola, non sanciva nello statuto
l’impossibilità di iscriversi ad altri aspiranti soci dediti a mestieri differenti;
l’unica condizione indispensabile, non contemplata nella Società operaia, era che i
soci fossero devoti alla Chiesa cattolica. Nello statuto era infatti rimarcato che,
oltre al ruolo mutualistico, il sodalizio si proponeva di conseguire uno scopo
religioso mediante la diffusione di buone massime e lo scambio di buoni esempi
tra i soci174.
Alla Leone XIII non era concessa alle donne la possibilità di iscriversi:
potevano però figurare nel libro dei soci in qualità di socie benefattrici175. Tra le
cause di espulsione dei soci era prevista l’inosservanza dei doveri religiosi
prescritti dalla Chiesa, il mantenimento di una condotta infamante e l’adesione a
società o associazioni con spirito chiaramente contrario alla religione.
All’interno della Società era poi prevista la figura dell’assistente
ecclesiastico. Questi rappresentava l’autorità della Chiesa in seno al sodalizio ed
era nominato dall’Ordinario diocesano. Tra le sue funzioni vi era quella di fungere
da collegamento tra la Diocesi e la Società e di impedire che all’interno delle
assemblee si svolgessero discussioni o si prendessero deliberazioni concernenti la
174
Statuto della società cattolica agricola di mutuo soccorso Leone XIII, Cividale 1893, p. 5, art.
1.
175
Erano considerati benefattori coloro che donavano alla Società qualche bene o elargivano
offerte in denaro (Ibid., p. 6, art. 4).
152
fede o la morale. Ogni socio era tenuto al rispetto dell’assistente: i soci e
l’amministrazione era opportuno che tenessero conto delle sue osservazioni se
utili alla Società. Questa figura costituiva una sorta un ispettore inviato dalla
Curia, il cui scopo era di vigilare affinché la Società non tradisse il suo scopo
etico e religioso.
Sotto il profilo organizzativo una delle differenze maggiori rispetto alla
Società operaia consisteva nell’organizzazione territoriale: oltre alla direzione e
alla cassa, con sede a Cividale, la Società di mutuo soccorso cattolica poteva
costituire sezioni nelle parrocchie contermini, le quali erano a tutti gli effetti parti
integranti della Società. Le sezioni eleggevano un loro presidente, un segretario
con funzioni di cassiere, mentre il ruolo dell’assistente ecclesiastico era svolto dal
parroco o dal vice curato. Ogni presidente di sezione era di diritto consigliere
della Società madre. In questo modo il sodalizio riusciva a realizzare una
maggiore presenza sul territorio rispetto a quanto accadeva per la Società operaia;
ciò spiega come nel 1896, dopo pochi anni di attività, la Società potesse contare
già su 300 soci176. Essa cercò altresì di curare la partecipazione dei giovani al
sodalizio. Giacomo Guardiero, nel 1905, relazionando sulle società di mutuo
soccorso cattoliche, osservò che tra le sezioni giovanili maggiormente dinamiche
in Friuli una nota di merito spettava a quella di Cividale, che insieme a poche altre
operava attivamente sul territorio177.
Dalle poche norme contenute nello statuto si evince che l’attività di mutuo
soccorso si svolgeva in maniera analoga a quanto statuito nelle società laiche. La
tassa d’ammissione era più bassa di quella prevista per la Società operaia e anche
le contribuzioni mensili erano mediamente inferiori di due terzi (erano comprese
tra i 40 e i 60 centesimi, a differenza di quelle della Società operaia che andavano
da un minimo di 1 lira a un massimo di 1,8 lire). Le ragioni di tale scelta furono
presumibilmente legate alle condizioni di disagio in cui, specie nelle campagne,
vivevano molti lavoratori, ai quali non si poteva richiedere un contributo
maggiore. Il diritto al sussidio spettava dopo 6 mesi dall’iscrizione del socio ed
176
Il risultato fu possibile soprattutto grazie all’infaticabile opera svolta da don Luigi Mistruzzi,
fondatore e anima della Società (TESSITORI, Storia del movimento cattolico cit., p. 84).
177
Ibid., p. 194.
153
ammontava a 1 lira per i primi 90 giorni e a 50 centesimi per i successivi 90178(la
SOMSI concedeva il sussidio che ammontava a 1,5 lire per 90 giorni
complessivi). Dopo aver percepito per una volta il sussidio, il socio non aveva
diritto a percepirne un altro se non dopo 6 mesi dal primo.
Nello statuto non era poi contemplata la possibilità di concedere pensioni di
vecchiaia o sussidi continui per invalidità, manifestando la chiara volontà di non
offrire alcun trattamento previdenziale ai soci, viste le difficoltà della gestione di
questo settore e il notevole fabbisogno di fondi necessario allo scopo.
178
Statuto della società cattolica cit., p. 9, art. 12.
154
CAPITOLO IV
L’ATTIVITÀ MUTUALISTICA E PREVIDENZIALE
1.
Ordinamento tecnico e norme statutarie della Società
durante il primo trentennio di vita.
All’interno dello statuto redatto nel 1869 erano contenute tutte le norme per
disciplinare lo svolgimento tecnico dell’attività mutualistica della Società operaia.
Oltre al pagamento di una tassa d’ammissione, ogni socio era tenuto al
versamento di una contribuzione mensile che i promotori ritennero opportuno
differenziare per fasce d’età e per sesso dei soci. Questa scelta discordava con
quella della maggioranza delle società di mutuo soccorso italiane che preferivano
adottare un’unica quota contributiva per i propri soci179. Per agevolare il
pagamento da parte dei soci fu prevista in un primo momento anche la
corresponsione con periodicità settimanale del contributo. Questa facoltà fu
sospesa dopo pochi anni a causa delle difficoltà e dell’aggravio di lavoro che tale
operazione comportava per il collettore. Le contribuzioni mensili in lire correnti
previste per i soci nei diversi anni furono fissate come segue:
Tabella: Contribuzioni mensili versate dai soci, uomini e donne,
della SOMSI (1869-1922)
per gli uomini
Età
14 - 20
20 - 30
30 - 40
40 - 50
1869
0,8
1
1,2
1,4
1874
0,8
1
1,2
1,4
1880
0,8
1
1,2
1,4
1895
1
1,2
1,4
1,8
1903
1
1,2
1,4
2
1922
1,5
1,7
1,9
2,5
per le donne:
Età
1869
1874
1880
1895
1903
1922
Secondo
società di mutuo
16 - 20il ministero
0,5 più di due
0,5terzi delle0,5
0,9 soccorso
0,9 censite nel
1,41878 (oltre
20
30
0,75
0,75
0,75
1,1
1,1
1500) applicavano un contributo unico ai soci (Statistica delle Società 1878 cit., p.X).1,6
30 - 40
1
1
1
1,3
1,3
1,8
179
155
Il contributo mensile equivaleva mediamente alla retribuzione giornaliera di
un operaio o di un contadino ed era pertanto da ritenersi mediamente oneroso. Il
socio che non corrispondeva più di tre mensilità si riteneva decaduto, qualora non
avesse prodotto entro un mese delle adeguate giustificazioni. Spettava poi alla
direzione della Società verificarne l’accettabilità e stabilire i tempi e i modi per far
fronte ai pagamenti. Il socio moroso, ma non decaduto, non poteva comunque
godere di alcun sussidio fino al momento in cui avesse saldato quanto dovuto: se
non avesse corrisposto entro la data fissata l’importo concordato, la direzione
avrebbe provveduto a dichiararlo dimissionario e a cancellarlo dalla matricola dei
soci.
Dopo sei mesi dall’ammissione e dopo aver effettuato con regolarità i
pagamenti, il socio poteva richiedere di usufruire del sussidio giornaliero. Anche
il sussidio, come i contributi, variava in base al sesso dei soci e, negli ultimi anni
presi in esame, si differenziò in base al numero di giornate fruite dal socio.
Tabella: Sussidio percepito dai soci della Società operaia (1869-1922)
(in lire correnti)
Anno
1869
1874
1880
1895
1903
1922
Uomini
1
1,2
1,5
1,5
1,5 / 1 / 0,75
1/2
Donne
0,8
1
1
1
1 / 0,75 / 0,5
1,5 / 0,75
Fonte….
Per poterne fruire, il socio doveva essere colpito da malattia e versare in
condizione di bisogno. La condizione di bisogno doveva essere verificata dal
visitatore, il quale era tenuto a valutare con la necessaria avvedutezza le
condizioni economiche del socio richiedente. Il visitatore era quindi chiamato a
classificare il socio in cinque classi distinte: ricco, agiato, in condizioni mediocri,
di ristrettezza e di povertà. Se il socio non avesse fatto parte delle prime due
156
categorie avrebbe potuto usufruire del sussidio180. Il socio malato era inoltre
tenuto al versamento regolare del contributo mensile, che gli si sarebbe trattenuto
dal sussidio eventualmente elargitogli dalla Società.
La durata massima del sussidio era fissata in 90 giorni complessivi,
indipendentemente dal fatto che il socio ne usufruisse per una o più malattie nel
corso di un anno. Per il conteggio della decorrenza dell’anno cui imputare i giorni
di malattia la Società faceva riferimento al giorno in cui si percepiva il sussidio. Il
termine di 90 giornate non era però tassativo: era concessa la facoltà ai soci di
domandare al consiglio un’estensione del periodo, fatta salva la facoltà
dell’assemblea generale di accogliere o meno la richiesta. La cifra massima di cui
il consiglio poteva disporre in questo caso non poteva essere superiore alle 30 lire
se uomo, e alle 24 lire, se donna181. La procedura per ottenere il sussidio era
abbastanza macchinosa. Il socio colpito da malattia doveva infatti presentare
domanda all’ufficio di presidenza della Società corredandola con l’attestato del
medico, in cui doveva comparire il tipo di malattia, la presunta durata e la
dichiarazione che essa rendeva incapace il socio di svolgere l’ordinaria
professione. Inoltre sullo stesso attestato dovevano comparire le firme dei
visitatori incaricati di verificare lo stato di bisogno. Il socio che si fosse affidato
alle cure di un medico di città diversa da Cividale era tenuto a certificare
l’attestato di malattia dal sindaco della città in cui operava abitualmente il proprio
medico di fiducia. Se la durata della singola malattia si fosse protratta per più di
15 giorni, il beneficiario del sussidio doveva inviare alla presidenza della Società
un ulteriore certificato, e così di 15 giorni in 15 giorni.
Una volta terminata la malattia, o la causa di inabilità al lavoro, era dovere
del socio comunicarlo agli uffici o al proprio visitatore. Alla Società era concessa
la facoltà di verificare per mezzo del proprio medico o dei visitatori lo stato di
salute del socio, che, se si fosse reso colpevole di celare con malizia la fine della
malattia, sarebbe potuto incorrere nell’esclusione dal sodalizio.
180
Statuto 1869 cit., p. 34.
181
Questo importo con le successive modifiche statutarie fu aggiornato, collegandone la rettifica
dell’ammontare all’incremento dell’importo giornaliero dei sussidi.
157
La corresponsione del sussidio avveniva dal secondo giorno successivo alla
presentazione della domanda. Le somme spettanti al socio potevano essere ritirare
presso la sede della Società anche da terzi, salvo la presentazione di apposita
autorizzazione. Era facoltà della Società decidere con quale frequenza dare corso
ai pagamenti (quotidianamente, settimanalmente, ogni 15 giorni).
Alle socie era concessa la possibilità di fruire di un sussidio speciale per
parto (5 lire), non cumulabile con altre elargizioni nel caso si fossero manifestate
successive complicanze.
Speciali norme erano riservate a coloro che erano chiamati alla leva militare,
facevano parte della guardia nazionale o in ogni modo partivano volontari in
guerra. Per tutti costoro gli adempimenti amministrativi erano sospesi per tutto il
periodo in cui si trovavano sotto le armi. L’anzianità del socio era però sospesa, a
meno che egli avesse corrisposto i contributi anche in tale periodo. Al proprio
rientro i soci erano tenuti a presentare un regolare certificato medico in cui si
attestasse la loro condizione di efficienza fisica e la possibilità di riprendere, se
interrotti, i regolari pagamenti del contributo dovuto182.
Infine vi erano le norme relative alla concessione dei sussidi continui. I soci
con almeno 15 anni di anzianità e in condizioni di bisogno, per poterne fruire, si
dovevano trovare nella situazione di impossibilità a svolgere il proprio lavoro per
vecchiaia, malattia o altro. In quella prima fase non si stabilì l’ammontare del
sussidio, delegando tale compito all’assemblea su proposta della direzione. Il
socio che non avesse raggiunto i 15 anni di anzianità, ma si fosse trovato nelle
medesime condizioni, avrebbe potuto comunque chiedere il sussidio alla Società,
la quale avrebbe potuto concederlo tenendo conto sia delle proprie disponibilità
che delle condizioni economiche e di anzianità del richiedente.
La prima stesura dello statuto era carente in alcuni aspetti, ma soprattutto
migliorabile dal punto di vista dell’impianto normativo collegato alla funzione
mutualistica. Le prime importanti correzioni allo statuto e di modifica del
regolamento furono apportate nel 1874. In particolare l’assemblea approvò
l’aumento dei contributi mensili, del sussidio per parto e istituì il contributo alla
182
Statuto 1869 cit., p. 21.
158
famiglia in caso di morte del socio183. Le novità che determinarono più importanti
cambiamenti nella gestione riguardavano l’eliminazione dei visitatori e
l’introduzione dell’esonero dal versamento del contributo mensile184. Il primo
provvedimento permise di esplicare tutte le funzioni inerenti alla richiesta e alla
concessione dei contributi con maggiore rapidità rispetto a quanto previsto
inizialmente. Con l’eliminazione dei visitatori fu eliminata anche la norma che
prevedeva l’effettivo stato di bisogno: i sussidi da quel momento sarebbero
spettati a tutti i soci indipendentemente dalle loro condizioni economiche.
L’esonero dal pagamento del contributo riguardò i soci con più di 65 anni e le
socie con più di 60 anni, ai quali la Società permise di non pagare più le
contribuzioni e allo stesso tempo di godere di tutti i diritti di soci. La scelta, che
rispecchiava quanto era stato previsto anche presso la consorella udinese, era stata
avvalorata successivamente da alcuni calcoli statistici svolti proprio sui bilanci
della Società di Udine. In base a quanto fu pubblicato sull’Annuario statistico del
1881, il sodalizio udinese sarebbe stato in grado di garantire a ciascun socio il
godimento di un sussidio continuo una volta raggiunta l’età di 65 anni e allo
stesso tempo la possibilità di non pagare più alcun contributo sempre a partire
dallo stesso momento185. I riflessi di questa scelta si manifestarono diversi decenni
dopo l’introduzione della norma. Il progressivo invecchiamento della base sociale
fece crescere di anno in anno il numero dei soci con diritto di fruire di questa
vantaggiosa opportunità. L’esonero dalla contribuzione mensile si configurò
pertanto come una rendita vitalizia a favore del socio pari all’ammontare annuale
dei contributi non versati.
183
Il contributo per parto fu elevato a 10 lire, mentre quello alla famiglia del defunto fissato in 20
lire (Statuto 1874 cit., pp. 11-17).
184
185
Ibid., p. 12.
La relazione riportava in modo dettagliato i calcoli che dimostravano la possibilità di offrire ai
propri soci, oltre all’esonero dai contributi, un sussidio continuo una volta raggiunti i 65 anni
d’età, dell’ammontare di 72 lire per gli uomini e 55 per le donne (Relazione alla società di mutuo
soccorso degli operai di Udine sulla determinazione del sussidio continuo, ordinato dagli articoli
26 e 27 dello statuto sociale finora in vigore, in ANNUARIO STATISTICO PER LA PROVINCIA DI
UDINE, Udine 1881, pp. 222-234).
159
Nel 1880 la Società modificò ulteriormente l’ammontare dei contributi
mensili, garantendo però ai vecchi soci il diritto di pagare quanto stabilito al
momento della loro ammissione. I sussidi per gli uomini furono leggermente
aumentati e si stabilì che, qualora il socio colpito da malattia potesse lo stesso
proseguire nello svolgimento della propria attività lavorativa, il sussidio spettante
gli sarebbe stato ridotto della metà. Il nuovo art. 27 dello statuto contemplava la
possibilità che, nel caso si fossero manifestate malattie contagiose o epidemie
nella città o nel circondario, la Società costituisse apposite commissioni con lo
scopo di emanare norme eccezionali al fine di recare soccorso a quanti più soci
possibile ma senza esaurire interamente i fondi sociali. La norma più importante
introdotta quell’anno riguardò però il funzionamento del fondo pensioni. La
costituzione di questo fondo era avvenuta l’anno precedente, nel 1879, quando
con delibera assunta con il voto unanime di tutti i soci, fu approvata la proposta di
Antonio Cossio di costituire un fondo speciale per far fronte al pagamento dei
sussidi continui per i soci inabili al lavoro. Lo statuto stabilì che il fondo doveva
essere
amministrato
separatamente
rispetto
alle
altre
rendite
sociali,
incrementandolo annualmente con l’apporto dei proventi straordinari raccolti186.
Nel 1895 ulteriori modifiche allo statuto disciplinarono con più precisione
quest’ultimo aspetto. La Società doveva capitalizzare sul fondo l’ammontare dei
proventi straordinari e degli interessi maturati sui capitali depositati a quello
stesso scopo. Inoltre si impegnava a versare il 15 per cento dell’avanzo annuo di
gestione fino al raggiungimento dell’ammontare di 20.000 lire del fondo187. Lo
statuto per la prima volta fissava anche l’ammontare minimo del sussidio continuo
corrisposto al socio per incapacità al lavoro: vale a dire 150 lire annue per gli
uomini e 120 lire per le donne, somme entrambe pagabili con rate mensili
posticipate. Si precisò inoltre che tali importi potevano essere soggetti a modifiche
migliorative dal momento in cui il fondo pensioni, appositamente costituito, fosse
risultato sufficientemente capiente. L’ottenimento di un sussidio continuo da parte
della Società pregiudicava la possibilità da parte del socio di ottenerne quelli
186
Statuto 1880 cit., pp. 7-12.
187
Statuto 1895 cit., pp. 14-15.
160
temporanei: valeva il principio secondo cui era assolutamente vietata la
duplicazione dei sussidi.
Importanti modifiche all’ordinamento tecnico della Società furono apportate
nel corso del 1903188. In primo luogo si cominciò a porre rimedio alla questione
dell’esonero dal pagamento dei contributi. In particolare si elevò il limite d’età
necessario alle donne per l’esenzione, portandolo a 65 anni, e si fissò un limite
minimo di anzianità di 20 anni per poterne fruire. Cambiò in modo rilevante anche
la procedura di concessione dei soccorsi: si adeguarono i sussidi in base
all’ammontare complessivo dei giorni di malattia fruiti dal socio. Questi poteva
godere del sussidio pieno per i primi 60 giorni di malattia, di un sussidio pari a
due terzi per ulteriori 60 giorni e, qualora fosse stato iscritto per più di 15 anni al
sodalizio, poteva avere per altri 60 giorni un sussidio equivalente alla metà di
quello iniziale. In questo modo la copertura della Società di mutuo soccorso
passava da 90 a un massimo (teorico) di 180 giorni. Con l’ulteriore introduzione
della modifica del conteggio dei giorni sulla base dell’anno solare, un socio
caduto in malattia al principio del secondo semestre di un certo anno aveva la
possibilità di percepire il sussidio, qualora necessario, fino alla fine del primo
semestre dell’anno successivo. Inoltre in questo modo furono eliminati i sussidi
straordinari previsti per i soci, causa di imbarazzo per l’assemblea che doveva
concederli e di discriminazione tra chi li riceveva. Come sostennero
orgogliosamente i dirigenti della Società, una così lunga assistenza ai propri soci
era un motivo di prestigio che poche società in Italia potevano vantare189.
Il limite minimo per l’utilizzo del fondo pensioni fu portato a 30.000 lire e,
contestualmente, si eliminò il vincolo che imponeva di destinare al suo
incremento una quota fissa dell’avanzo di bilancio. Fu inoltre diminuito l’importo
annuo spettante alle donne come sussidio continuo riducendolo da 120 a 100 lire.
Lo statuto fissava quindi la somma minima giornaliera (50 centesimi per gli
uomini e 25 per le donne) che sarebbe spettata al socio come pensione nel
momento in cui il fondo avesse potuto cominciare ad operare.
188
Statuto 1903 cit., pp. 8-14.
189
40 anni di vita cit., p. 11.
161
Con questo ordinamento tecnico e le sue relative modifiche, la Società
svolse la propria funzione di mutuo soccorso fino ai primi anni del Novecento.
L’aiuto che la SOMSI poteva offrire ai propri soci non era particolarmente
cospicuo, ma costituiva in ogni caso un intervento non irrilevante a favore delle
classi più deboli. L’importanza di questo contributo fu decisiva soprattutto nel
corso del trentennio che intercorse tra l’Unità e la nascita dei primi strumenti
previdenziali voluti dallo Stato. La nascita di istituti previdenziali e assicurativi
pubblici giungeva in un momento in cui le società di mutuo soccorso
cominciavano a fare i conti con un progressivo invecchiamento della base sociale.
Lo spirito filantropico con cui erano nate rischiava di non essere più sufficiente
per garantirne la sopravvivenza: era necessario che esse svolgessero le loro
funzioni con sempre maggiore rigore scientifico e tecnico, lasciando meno spazio
ai generosi proclami che ne avevano caratterizzato la nascita.
In questo contesto anche la Società operaia di Cividale dovette misurarsi
con alcuni problemi di carattere organizzativo e tecnico che occorreva risolvere in
tempi brevi.
2.
Il bilancio tecnico del 1908
Nel corso del 1908 la direzione della Società redasse un bilancio tecnico
basandosi sui dati statistici raccolti nel corso dei due anni precedenti190.
L’iniziativa rientrò nell’ambito di una più complessiva opera di riorganizzazione
degli uffici della Società, operazione resasi necessaria per dotare il sodalizio di
strumenti tecnici e matematici idonei a valutare la correttezza della gestione.
La direzione stessa sosteneva il carattere specifico dell’istituzione, da
inquadrarsi non tanto tra le istituzioni di carità ma tra gli istituti di assicurazione
contro determinate eventualità, quali le malattie, la vecchiaia e la morte.
Occorreva pertanto stabilire dei criteri di operatività sulla base delle leggi
matematico-statistiche in grado di determinare con precisione l’ammontare dei
sussidi pagabili ai soci. La funzione del bilancio tecnico consisteva nello stimare,
190
Bilancio Tecnico, in Resoconto generale della Società operaia di mutuo soccorso al 31
dicembre 1908. Anno XXXVIII, Cividale 1909, pp. 12-23.
162
con il maggior grado di approssimazione possibile, gli impegni assunti verso i
soci e le entrate derivanti dai contributi versati. Il problema principale era legato
all’impossibilità di considerare gli avanzi di gestione come utili veri e propri:
nelle società di mutuo soccorso, e più in generale nelle imprese assicurative, il
sacrificio attuale del socio corrispondeva a un beneficio futuro di cui era
necessario stimare l’entità.
La prima operazione da svolgere consistette nel conteggio dei soci esistenti
alla data del 1° gennaio 1908, suddividendoli per sesso e quindi per età. Di ogni
categoria si determinava l’ammontare dei contributi annui versati in base alle
tariffe contributive vigenti al momento del loro ingresso191.
Utilizzando poi la legge sulla sopravvivenza della popolazione maschile
d’Italia e quella sulle malattie, dedotta dai dati delle società italiane di mutuo
soccorso, era necessario procedere al calcolo del valore attuale dei contributi
versati dai soci e del valore capitale degli impegni assunti dalla Società192. Si
ipotizzava inoltre un tasso d’interesse commerciale del 4 per cento l’anno e la
corresponsione delle pensioni a partire dal sessantacinquesimo anno di età. Per i
317 soci e le 137 socie fu dunque calcolato il valore attuale di una lira di sussidio
per ciascuna giornata di malattia, il valore delle pensioni corrispondenti ai
contributi pagati dai soci e il valore di una lira di sussidio ottenibile dalla famiglia
in caso di morte del socio. Dal calcolo si esclusero il valore attuale dei sussidi
191
La contribuzione di due soci coetanei poteva variare in base all’età in cui un socio effettuava
l’iscrizione, secondo le tabelle disposte dalla Società.
192
1.
In particolare la Società in quel momento si impegnava ad:
assicurare un sussidio giornaliero di malattia di 1,5 lire per gli uomini e 1 lira per le
donne; un sussidio di 10 lire alle puerpere; un sussidio non superiore a 150 lire ai soci
permanentemente inabili al lavoro;
2.
assicurare una pensione di vecchiaia pari al contributo annuo pagato dai soci, con
decorrenza dal sessantacinquesimo anno d’età;
3.
assicurare un sussidio di 20 lire in caso di morte alle famiglie del defunto;
4.
provvedere all’istruzione dei soci e degli operai in genere.
163
continui per inabilità e di quelli per parto, entrambi ritenuti poco significativi
perché limitati a pochi casi193.
La differenziazione del sussidio da pagare ai soci in caso di malattia,
introdotta con le modifiche del 1903, comportò la necessità di stabilire un valore
medio che rispecchiasse l’effettivo esborso sostenuto dalla Società. Per tale
ragione fu assunto il valore medio dei sussidi pagati ai soci uomini e donne
nell’arco degli ultimi 5 anni, pari rispettivamente a 1,36 lire e a 0,93 lire.
Un ulteriore problema riguardò i diritti acquisiti dalle socie precedentemente
al 1903 circa l’esonero dal pagamento dei contributi. Con le modifiche statutarie
che innalzarono anche per le donne il limite di età a 65 anni, alla maggior parte
delle socie spettava il diritto di ottenere l’applicazione delle condizioni precedenti,
le quali prevedevano l’esonero dal contributo all’età di 60 anni. Il calcolo del
valore attuale di queste somme fu fatto per le socie tenendo conto dell’età di
esenzione di 65 anni, analogamente agli uomini. Le socie iscritte dal 1904 furono
solo 12 e tutte di giovane età, sicché il valore attuale delle loro pensioni era molto
basso. Alle altre pensioni si applicò quindi un opportuno coefficiente che ne
attualizzasse il valore in modo da prevederne la fruizione a partire dai 60 anni.
Infine la stima delle spese amministrative avvenne sulla base della media
delle uscite sostenute per tale scopo nel corso degli ultimi 5 anni, ovvero il 20 per
cento del valore dei contributi. Il loro ammontare fu pertanto facilmente
determinato applicando l’aliquota così individuata al valore attuale dei contributi
precedentemente definito.
In base alle norme e agli aggiustamenti ora esaminati il bilancio tecnico
della Società veniva a essere il seguente:
193
I sussidi continui per inabilità al lavoro crebbero notevolmente subito dopo la guerra. Per le
partorienti l’onere derivante dai sussidi era invece da ritenersi contemplato all’interno della
casistica della legge sulle malattie, in quanto la gran parte delle socie era poco esposta ai rischi di
malanni attendendo prevalentemente alle faccende domestiche (Bilancio tecnico cit., pp. 16-17).
164
Tabella 24. Bilancio tecnico della Società operaia di mutuo soccorso
nell’anno 1908
Bilancio tecnico
Valore capitale attuale degli introiti
1.
2.
Patrimonio sociale depositato presso i
locali istituti di credito
Valore attuale dei contributi
Totale
L.
49.649,3
L.
L.
71.837,3
121.486,7
Valore capitale degli impegni
1.
2.
3.
4.
Valore attuale dei sussidi di malattia
Valore attuale delle pensioni equivalenti ai
contributi
Valore attuale dei sussidi per morte
Valore delle spese di esazione e
amministrazione
Totale
Avanzo tecnico
L.
86.270,3
L.
16.673,2
L.
4.133,0
L.
14.367,5
L.
121.444,0
L.
42,7
Fonte: Bilancio tecnico cit., p. 21.
La Società sosteneva però anche ingenti spese legate alla Scuola d’arte e
mestieri che assorbiva mediamente circa il 20 per cento delle contribuzioni
annuali. Inoltre a questa spesa bisognava aggiungere gli esborsi straordinari per lo
svolgimento di manifestazioni culturali e popolari, il rimborso delle spese
sostenute per rappresentanza e per l’acquisto di mobilio, in totale stimabili nel 3
per cento dei contributi. Se dunque si fossero inserite all’interno del bilancio
tecnico queste due ulteriori fonti di spesa, per un totale di 16.522,5 lire, l’avanzo
si sarebbe trasformato in un disavanzo effettivo di 16.479,8 lire. Sebbene le
evidenze contabili registrassero al termine di ogni anno un avanzo nominale, i
calcoli statistico-finanziari dimostravano l’impossibilità per il sodalizio di
assumere nuovi impegni utilizzando il fondo pensioni. Tale fondo, costituito da
30.928,09 lire, era impegnato in buona parte per pagare le pensioni equivalenti
all’esonero dai contributi e per la parte restante doveva essere riservato al
pagamento di eventuali sussidi continui194. Era necessario che la Società operasse
le necessarie modifiche che permettessero di ristabilire l’equilibrio tecnico,
evitando seri imbarazzi nel futuro.
194
In base alle disposizioni statutarie del 1903, per il funzionamento del fondo pensioni bisognava
attendere il raggiungimento della somma di 30.000 lire, somma raggiunta al termine del 1907. Il
mancato pagamento dei contributi dei soci con oltre 65 anni era stato impropriamente attribuito
fino a quel momento al fondo mutuo soccorso.
165
In particolare il sussidio di malattia per 180 giorni computabili con l’anno
solare, l’esonero dei contributi a 65 anni e l’ammontare delle spese per
l’istruzione pari al 20 per cento dei contributi erano impegni talmente gravosi da
non trovare condizioni simili in nessuna società della provincia195.
Se la SOMSI avesse evitato di concedere l’esonero dal pagamento dei
contributi e fosse stata in grado di ridurre le spese per l’istruzione al 10 percento,
sarebbe riuscita a produrre un avanzo tecnico di gestione abbastanza cospicuo
(circa 12.600 lire). Tale somma si sarebbe potuta utilizzare per aiutare i soci a
iscriversi alla Cassa nazionale di previdenza, garantendosi così una pensione per
la vecchiaia. La direzione, commentando i risultati emersi dai laboriosi calcoli
effettuati, affermava:
Le società di mutuo soccorso che contano, come la nostra, molti anni di vita, poggiano,
quasi nella loro totalità, sulle stesse basi empiriche della nostra, appunto perché al momento della
loro istituzione, nessuno s’è sognato di indagare se le probabili entrate bastassero a fronteggiare le
promesse fatte ai soci. Come si è detto, in una società di mutuo soccorso, le eccedenze attive
annuali non sono – come in un'altra azienda qualunque – una prova e neanche un indizio di
prosperità economica, perché parte dei contributi vengono anticipati dai soci per i bisogni futuri.
I calcoli riassunti negli esposti quadri, dimostrano che gli impegni aumentano
coll’invecchiare dei soci […] Infatti i resoconti annuali durante il primo ventennio si chiusero con
eccedenze attive che talora superarono le 3.000 lire e anche le 4.000 lire. Durante quest’ultimo
decennio invece, nonostante i maggiori introiti derivanti dal frutto dell’accumulato capitale, la
media di tali eccedenze si limita a L. 1.490, che – non tenendo conto delle straordinarie elargizioni
incassate – si riduce ad annue L. 890. Questa constatazione di fatto […] è più che sufficiente per
lasciar dubitare che, proseguendo di questo passo la Società può trovarsi improvvisamente, di
fronte al disavanzo amministrativo196.
Le proposte avanzate dalla direzione per evitare che si verificasse questa
condizione furono tre:
1.
adeguare l’importo dei contributi annuali dei soci maschi, dimostratisi
troppo bassi per garantire le condizioni stabilite nello statuto. Per le
195
Bilancio tecnico cit., p. 20.
196
Ibid., p. 22.
166
donne l’ammontare dei contributi era già sufficientemente elevato
rispetto alle condizioni di trattamento offerte. L’aumento medio dei
contributi proposto si aggirava intorno alle due lire l’anno197;
2.
limitare il diritto al sussidio a 180 giorni l’anno, non computabili più
con l’anno solare ma con decorrenza dal primo giorno di malattia, sia
per effetto sia di una che di più malattie;
3.
si proponeva infine di prelevare dal fondo pensioni la somma pari al
valore attuale delle pensioni vitalizie per l’esonero dei contributi
maturati fino a quel momento dai soci. Da tale fondo si darebbe dovuta
dedurre la quota annua corrispondente ai contributi che avrebbero
dovuto pagare i soci e passarla al fondo mutuo soccorso e istruzione.
Allo stesso tempo si sarebbe dovuta calcolare con apposita tabella,
compilata in conformità a criteri tecnici, la quota delle contribuzioni dei
nuovi soci, corrispondenti al valore capitale dell’esonero dai contributi
da conseguirsi ai 65 anni d’età. In questo modo dunque si sarebbe
ordinata la posizione dei soci già iscritti e si sarebbero fissati criteri più
rigorosi per tutti i nuovi iscritti, evitando dissesti finanziari. La quota
del fondo eccedente si sarebbe dovuta destinare al pagamento dei
sussidi continui per inabilità al lavoro e, in rapporto alla consistenza
delle eccedenze attive, per agevolare l’iscrizione dei soci alla Cassa
nazionale di previdenza.
Le soluzioni prospettate dalla direzione della Società non trovarono ascolto.
Nel corso del 1908 si svolsero diverse assemblee con lo scopo di discutere del
progetto e adottarne le soluzioni. In tutte le occasioni però non si riuscì a
raggiungere il numero minimo di soci per votare le modifiche dello statuto198. Gli
unici provvedimenti che la Società poté prendere furono quelli deliberati
197
L’ammontare delle quote di contribuzione fu calcolato mediante una ripartizione pro quota
delle spese della Società (ASC, cart. 13: Atti Amministrativi 1907-1911, fasc. 2: Anno 1908, doc:
Tabella dei contributi).
198
SOMSI, Resoconto […] 1908 cit., Cividale 1909, p. 3.
167
dall’assemblea il 19 maggio del 1909199, in cui si disponeva di porre a carico del
fondo pensioni le quote dovute dai soci non contribuenti e di riordinare la Scuola
secondo le proposte ministeriali, stanziando un contributo annuo fisso non
superiore al 20 per cento dei contributi versati dagli iscritti. In questo modo
l’appello lanciato dalla direzione non fu raccolto dai soci, mentre agli organi
amministrativi della Società non restava che ricercare nuove soluzioni al problema
del raggiungimento dell’equilibrio tecnico.
3.
Casi di malattia e sussidi corrisposti tra il 1870 e il 1924
Nelle prime fasi di vita la Società spese principalmente il proprio impegno
per aiutare gli iscritti colpiti da malattie o infortuni. Il problema delle pensioni di
vecchiaia giunse all’attenzione della dirigenza solo in un secondo momento.
199
40 anni di vita cit., p. 12.
168
Esso non era il solo avvertito dai soci: almeno altrettanto importante era
anche la possibilità di fruire di una piccola somma al verificarsi di incidenti sul
lavoro o malattie di altro genere. Per far fronte a questa richiesta, che ispirò la
nascita delle società di mutuo soccorso, la SOMSI di Cividale elargì sussidi ai
propri soci a partire dal primo anno di vita. Nel corso dei primi esercizi i casi di
soci sussidiati furono molto pochi, principalmente a causa delle complicate
procedure stabilite per ottenere il sussidio e per la necessità di attestare lo stato di
bisogno del richiedente. Modificate queste norme, il numero di interventi della
Società aumentò in modo sensibile. Nel 1879 si superò la soglia di un socio
assistito ogni 5 iscritti, e la media tese a salire con punte molto rilevanti nel 1890,
quando i casi di malattia sussidiati raggiunsero il 43,1 percento del totale dei
soci200. Sebbene nel periodo seguente al 1890 (tra il 1890 e il 1896 i dati si
attestarono mediamente intorno al 35 per cento) e negli anni successivi alla guerra
(tra il 1918 e il 1924 solo l’11 per cento) i dati avessero un andamento anomalo,
l’incidenza dei casi di malattia assistiti in rapporto al numero di soci iscritti nel
periodo 1870-1924 fu complessivamente del 20,8 percento. Il dato così strutturato
non evidenzia la differente incidenza della casistica sui due sessi. In particolare
non mette in luce la consistente differenza verificatasi nel corso dei primi
trent’anni di vita del sodalizio, quando i casi di malattia ponderati per il numero di
soci dello stesso sesso furono quasi doppi per le donne
Tabella 25. Incidenza dei casi di malattia ponderati
sul numero dei soci suddivisi per sesso (1870-1924)
200
Anni
Uomini
Donne
1870 - 1880
7,8%
15,4%
1881 - 1890
22,3%
40,5%
1891 - 1900
25,6%
42,5%
1901 - 1910
23,6%
27,5%
1911 - 1919
16,1%
21,8%
1920 - 1924
11,6%
11,5%
L’anomalia riguardante il 1890 è spiegabile con l’epidemia di influenza che colpì su vasta scala
la comunità cividalese e che produsse i suoi effetti anche per alcuni anni a seguire (SOMSI,
Resoconto generale della Società operaia di mutuo soccorso al 31 dicembre 1890. Anno XX,
Cividale 1891, p. 1).
169
La durata media di ciascun caso di malattia era di circa 24 giorni. Questo
risultato è in parte influenzato dall’andamento dei dati nel corso degli ultimi anni
presi in esame, in cui si evidenziava una crescita della durata media delle
infermità. Nel corso dell’ultimo decennio, in particolare, alla diminuzione dei casi
di malattia si associò un aumento della durata degli stessi. Raffrontando tra loro i
dati del 1910 con quelli del 1924 si osserva che, a fronte di una diminuzione
dell’incidenza dei casi di malattia (dal 20,3 al 10,9 per cento dei soci, con un
valore medio nel periodo pari al 15,8 per cento), era aumentata sensibilmente la
durata media delle infermità (da 23 a 38 giorni; media nel periodo 31 giorni). Per
spiegare questi dati si possono ipotizzare differenti circostanze. In primo luogo
poteva essersi verificato un miglioramento nelle condizioni di vita dei soci, quindi
minore era l’incidenza delle malattie dovute alla carenza di igiene e alla
malnutrizione. Una tesi ulteriore potrebbe invece rilevare la diminuzione delle
malattie tra le donne e relazionarla con l’aumento della durata media delle
infermità. Come osservato precedentemente, la minore incidenza dei casi di
malattia tra le donne conferiva maggiore importanza alla casistica legata alle
indisposizioni diffuse tra gli uomini. E’ possibile notare, dalla tabella riassuntiva
della casistica delle malattie nel 1907 (anno in cui l’incidenza dei casi di malattia
è equamente distribuita tra i sessi), che la durata media delle patologie tra gli
uomini superava quella delle donne (29 giorni per gli uomini, 24 per le donne)201.
Gli uomini erano più esposti a quelle malattie spesso derivanti da sinistri sul
lavoro (contusioni, ferite, fratture, amputazioni), la cui frequenza era più alta e la
cui cura richiedeva tempi mediamente più lunghi.
Tabella 26. Casistica e durata delle malattie dei soci suddivisi per sesso
nell’anno1907
Malattia
Uomini
Donne
Totale
Casi
Giorni
Casi
Giorni
Casi
Giorni
146
8
130
1
16
9
Contusioni
108
7
84
1
24
8
Lombaggine
201
SOMSI, Ferite
Resoconto generale della
operaia di1 mutuo soccorso
1906.
7 Società 109
8 al 31
8 dicembre 117
96
5
42
3
54
8
Febbre
Anno XXXVI,
Cividale 1907, pp. 13-15.
260
4
228
2
32
6
Reumatismi
57
4
42
1
15
5
Distrosioni
23
3
23
3
Flemmone
604
3
469 170 3
135
6
Ileo - tifo
112
2
112
2
Pneuomonite
63
2
63
2
Ernia
83
2
38
4
45
6
Bronchite
Fonte: elaborazione da Resoconto generale 1906, pp. 13-15.
171
Sulla base delle stesse rilevazioni i casi di malattia più diffusi riguardavano
contusioni, lombaggini, ferite di varia natura, febbri reumatiche e da
raffreddamento e reumatismi. La malattia che però produceva il più lungo decorso
era l’ileo-tifo, di cui si riscontrarono nel corso dell’anno sei casi per complessivi
604 giorni di sussidi pagati.
I sussidi giornalieri pagati dalla Società ebbero un andamento abbastanza
regolare nel tempo. L’unico aumento sensibile si registrò nel corso degli ultimi
anni, a causa degli aumenti stabiliti con le modifiche statutarie del 1922.
Complessivamente il valore medio del sussidio fu di 1,21 lire al giorno.
Il sussidio complessivo medio pagato dalla Società per ciascun episodio di
malattia crebbe nel corso degli anni a causa dell’allungamento del periodo di
malattia. Il valore di tale sussidio al termine del periodo era di 29,34 lire.
Infine è possibile calcolare il rapporto tra sussidi elargiti e contributi versati
dai soci. La SOMSI versò a titolo di sussidio, nel periodo compreso tra il 1870 e il
1924, la somma di 146.156,55 lire a fronte di 119.210 giornate di malattia. La
somma dei soci contribuenti al termine di ciascun anno raggiungeva la cifra
complessiva di 22.629, i quali nella loro totalità avevano corrisposto un contributo
pari a 247.319 lire. Il contributo medio versato ogni anno dai soci era pertanto di
10,92 lire, mentre i sussidi medi percepiti pro-capite erano pari a 6,45 lire l’anno.
172
Tabella 27. Casi di malattia, durata delle infermità e indennità pagate dalla SOMSI (1870 – 1924)
Uomini
Anni
1870
1871
1872
1873
1874
1875
1876
1877
1878
1879
1880
1881
1882
1883
1884
1885
1886
1887
1888
1889
1890
1891
1892
1893
1894
1895
1896
1897
1898
1899
1900
Casi di Giorni di
malattia durata
3
2
1
8
8
13
16
15
11
40
25
45
51
48
58
47
52
64
95
65
126
90
102
91
92
83
74
59
70
71
107
72
24
14
137
98
290
291
253
478
745
468
827
1.151
1.249
1.259
915
1.196
1.311
2.324
1.930
2.527
2.227
2.604
2.011
1.852
1.646
1.716
1.472
2.035
1.700
2.094
Donne
Indennità
pagate
72,00
24,00
14,00
137,00
105,00
348,00
349,20
303,60
573,60
894,60
538,20
1.170,75
1.534,50
1.586,25
1.740,75
1.240,50
1.653,00
1.788,75
3.246,00
2.752,25
3.558,50
2.994,75
3.390,75
2.628,75
2.431,75
2.190,25
2.411,00
2.118,00
2.785,25
2.389,50
3.022,50
Casi di Giorni di
malattia durata
-
2
-
29
-
5
5
6
6
10
18
22
31
32
35
36
43
44
58
44
91
81
94
76
77
79
59
44
45
57
66
191
164
178
184
130
371
373
406
565
469
612
703
789
945
885
1.321
1.784
2.151
1.392
1.638
1.485
1.154
1.422
1.074
1.492
689
Totale
Indennità
pagate
22,60
191,00
164,00
178,00
184,00
130,00
343,00
340,50
376,50
501,00
446,00
504,00
634,50
743,00
883,00
829,00
1.215,50
1.527,50
1.962,50
1.140,00
1.438,00
1.401,50
1.052,00
1.216,50
952,50
1.430,00
1.394,00
Casi di
malattia
3
4
1
8
8
18
21
21
17
50
43
67
82
80
93
83
95
108
153
109
217
171
196
167
169
162
133
103
173
115
128
173
Giorni di
durata
72
53
14
137
98
481
455
431
662
875
839
1.200
1.557
1.814
1.728
1.527
1.899
2.100
3.269
2.815
3.848
4.011
4.755
3.403
3.490
3.131
2.870
2.894
3.109
3.192
2.783
Indennità
pagate
72,00
46,60
14,00
137,00
105,00
539,00
513,20
481,60
757,60
1.024,60
881,20
1.511,25
1.911,00
2.087,25
2.186,75
1.744,50
2.287,50
2.531,75
4.129,00
3.581,25
4.774,00
4.522,25
5.353,25
3.768,75
3.869,75
3.591,75
3.463,00
3.334,50
3.737,75
3.819,50
4.416,50
Sussiodio
Durata media Rapporto
Sussidio
complessivo
della malattia casi/soci (%) giorn. medio medio per
caso
24,0
13,3
14,0
17,1
12,3
26,7
21,7
20,5
38,9
17,5
19,5
17,9
19,0
22,7
18,6
18,4
20,0
19,4
21,4
25,8
17,7
23,5
24,3
20,4
20,7
19,3
21,6
28,1
27,0
24,9
16,1
3,3%
7,0%
0,7%
5,2%
4,8%
10,2%
10,7%
10,3%
7,5%
20,7%
16,7%
23,8%
25,7%
24,6%
27,8%
24,0%
22,2%
23,8%
34,6%
20,6%
43,1%
31,7%
37,9%
33,2%
34,6%
34,0%
29,1%
22,2%
25,7%
25,9%
37,2%
1,00
0,88
1,00
1,00
1,07
1,12
1,13
1,12
1,14
1,17
1,05
1,26
1,23
1,15
1,27
1,14
1,20
1,21
1,26
1,27
1,24
1,13
1,13
1,11
1,11
1,15
1,21
1,15
1,20
1,20
1,59
24,00
11,65
14,00
17,13
13,13
29,94
24,44
22,93
44,56
20,49
20,49
22,56
23,30
26,09
23,51
21,02
24,08
23,44
26,99
32,86
22,00
26,45
27,31
22,57
22,90
22,17
26,04
32,37
32,50
29,84
25,53
Uomini
Anni
Casi di Giorni di
malattia durata
Donne
Indennità
pagate
Casi di Giorni di
malattia durata
Totale
Indennità
pagate
Casi di
malattia
Giorni di
durata
Indennità
pagate
Durata media
della malattia
Rapporto
casi/soci
1901
1902
1903
1904
1905
1906
1907
1908
1909
1910
1911
1912
1913
1914
1915
1916
1917
1918
1919
1920
1921
1922
1923
1924
85
70
61
68
72
81
88
86
78
78
77
80
77
65
85
50
40
34
37
50
50
42
42
44
1.753
1.445
1.469
1.084
1.898
2.329
1.494
1.529
2.008
1.579
2.035
1.715
1.877
1.411
1.586
1.776
1.426
1.810
1.752
1.814
1.832
1.294
1.394
1.754
2.341,50
2.022,75
2.113,50
1.500,50
2.599,00
3.039,00
2.064,00
2.188,50
2.630,00
2.199,25
2.314,50
2.412,75
2.539,00
1.948,00
2.311,00
2.345,50
1.967,00
2.440,50
2.280,00
2.457,25
2.474,75
2.411,00
2.581,00
3.016,00
46
53
47
34
43
33
42
39
26
27
33
29
53
38
34
27
23
26
15
16
18
20
15
14
767
1.406
956
605
889
807
870
920
901
846
898
843
1.562
1.160
1.130
928
585
991
387
369
491
475
356
492
689,00
1.258,50
887,50
562,25
858,25
745,75
792,00
848,00
814,50
771,25
802,25
766,75
1.417,00
1.053,00
1.016,25
847,75
543,75
938,00
387,00
368,25
489,25
712,50
489,00
709,50
131
123
108
102
115
114
130
125
104
105
110
109
130
103
119
77
63
60
52
66
68
62
57
58
2.520
2.851
2.425
1.689
2.787
3.136
2.364
2.449
2.909
2.425
2.933
2.558
3.439
2.571
2.716
2.704
2.011
2.801
2.139
2.183
2.323
1.769
1.750
2.246
3.030,50
3.281,25
3.001,00
2.062,75
3.457,25
3.784,75
2.856,00
3.036,50
3.444,50
2.970,50
3.116,75
3.179,50
3.956,00
3.001,00
3.327,25
3.193,25
2.510,75
3.378,50
2.667,00
2.825,50
2.964,00
3.123,50
3.070,00
3.725,50
19,2
23,2
22,5
16,6
24,2
27,5
18,2
19,6
28,0
23,1
26,7
23,5
26,5
25,0
22,8
35,1
31,9
46,7
41,1
33,1
34,2
28,5
30,7
38,7
29,2%
27,9%
22,8%
21,7%
24,9%
24,4%
28,6%
27,8%
21,0%
20,3%
20,4%
20,6%
24,5%
19,4%
23,0%
15,2%
12,8%
12,6%
10,5%
12,5%
12,9%
10,8%
10,6%
10,9%
Totale
3.172
76.980
106.189,20
1.917
42.230
39.967,35
5.089
119.210
146.156,55
24,0
20,8%
Fonte: 40 anni di vita cit., tavole; Quindici anni cit., tavole.
174
Sussiodio
Sussidio
complessivo
giorn. medio medio per
caso
1,20
23,13
1,15
26,68
1,24
27,79
1,22
20,22
1,24
30,06
1,21
33,20
1,21
21,97
1,24
24,29
1,18
33,12
1,22
28,29
1,06
28,33
1,24
29,17
1,15
30,43
1,17
29,14
1,23
27,96
1,18
41,47
1,25
39,85
1,21
56,31
1,25
51,29
1,29
42,81
1,28
43,59
1,77
50,38
1,75
53,86
1,66
64,23
1,21
29,34
Incidenza dei casi di malattia sui soci
50%
45%
40%
35%
30%
25%
20%
15%
10%
5%
0%
1870
1873
1876
1879
1882
1885
1888
1891
1894
1897
1900
1903
1906
1909
1912
1915
1918
1921
1924
1909
1912
1915
1918
1921
1924
1909
1912
1915
1918
1921
1924
Anni
Sussidio medio per caso di malattia
70,00
60,00
50,00
40,00
30,00
20,00
10,00
0,00
1870
1873
1876
1879
1882
1885
1888
1891
1894
1897
1900
1903
1906
Anni
Durata media di un caso di malattia
50
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
1870
1873
1876
1879
1882
1885
1888
1891
1894
1897
Anni
1900
1903
1906
4.
I sistemi previdenziali europei e l’origine di quello italiano
Sul finire dell’Ottocento in Italia si poté iniziare a produrre una nuova
legislazione orientata a salvaguardare la vita degli operai, a curarne l’igiene fisica
e morale, a evitare il verificarsi di incidenti sul lavoro, a escludere dai lavori
usuranti le persone più deboli (donne e bambini), e rivolta infine a riparare
economicamente alle cause di invalidità per gli infortuni occorsi sul lavoro.
A distanza ormai di molti anni dall’Unità era finalmente possibile
intervenire a favore della tutela sociale dei lavoratori.Tale intervento era stato
rinviato per troppi anni e affidato soltanto alla sensibilità e allo spirito filantropico
di pochi cittadini illuminati. La determinazione con cui i governi liberali
affrontarono il problema fu dovuta anche al continuo montare della contestazione
da parte delle rappresentanze sindacali degli operai, sull’ampia e complessa
questione economico-sociale del lavoro spesso stigmatizzavano la posizione
“distratta” dell’esecutivo.
In questo quadro le società operaie si trovavano a dover rispondere alla
domanda sempre più esigente dei soci, i quali chiedevano di ottenere non più
esclusivamente la copertura economica per il mancato guadagno in occasione
delle temporanee infermità, ma anche una garanzia minima per il futuro una volta
terminata la possibilità di lavorare. Le SMS, nate più sullo slancio solidaristico
che sulla base di rigorese leggi matematiche, soffrirono non poco nel momento in
cui si trovarono costrette a far fronte a queste richieste, peraltro legittimamente
avanzate dai lavoratori perché contemplate in molti statuti. Mentre le società
riuscivano ancora a garantire con una certa tranquillità e con risultati apprezzabili
i sussidi per malattia, la questione delle pensioni destabilizzò non poco
l’equilibrio economico e contabile di molti sodalizi. La legge del 17 marzo 1898
sull’obbligatorietà dell’assicurazione contro gli infortuni degli operai, sebbene
introducesse per la prima volta una triangolazione tra lavoratori, Stato e datori di
lavoro (tutti solidalmente impegnati economicamente a garantire il pagamento del
premio), non riscosse particolare attenzione da parte delle società mutualistiche.
176
Tale normativa era infatti rivolta solo a una minima parte di operai, lasciando
scoperta ogni forma di assicurazione per contadini, artigiani e lavoratori
impegnati nelle industrie meno pericolose, non offrendo alcuna risposta ai
numerosi soci delle mutue che in prevalenza appartenevano alle categorie sopra
citate202.
Se le SMS costituivano dunque ancora uno strumento efficace per
consentire di risolvere la questione dell’assicurazione nei casi di malattia, primo
gradino della scala previdenziale, non ci si poteva aspettare da questi sodalizi
ulteriori passi avanti. Le stesse società erano consapevoli che il loro ruolo sarebbe
stato superato con gli anni e con la progressiva affermazione del welfare; funsero
anzi, in alcuni casi, da capofila nelle battaglie per ottenere migliori condizioni di
tutela dei lavoratori. Il compito che esse ricoprirono da un certo momento in poi
fu di ponte ideale per comporre il rapporto, spesso conflittuale, tra capitale e
lavoro, lungo la strada delle conquiste sociali dei cittadini. Le società persero
parte dei loro ruoli istituzionali con il progressivo inserimento dello Stato nel
campo della previdenza, ma allo stesso tempo non furono smantellate, poiché se
ne riconobbe l’importante ruolo svolto nel passato e quello altrettanto importante
che avrebbero potuto ricoprire nella gestione della nuova previdenza, grazie alla
maggiore facilità con cui riuscivano a coinvolgere operai e artigiani. Le società
operaie non erano pertanto foglie secche in attesa di essere spazzate dal vento, ma,
come affermava lo stesso Luzzatti, “scuole primarie dell’umana previdenza”, rette
da un’alta idea morale: il principio dell’assoluta eguaglianza della dignità
personale, che sostituiva la beneficenza con la virtù del risparmio203, e quindi
utilissime istituzioni anche in questa fase di trasformazione.
La legge che istituì la Cassa nazionale di previdenza non fu un
provvedimento nato a seguito di una decisione improvvisa da parte dello Stato di
intervenire nel campo dell’assistenza sociale. Un lungo percorso e molti contributi
di personaggi illustri concorsero alla nascita di questa istituzione. Già Cavour, nel
202
Cassa nazionale di previdenza per la invalidità e la vecchiaia degli operai. Relazione dell’On.
Comm. Elio Morpurgo, a cura della CAMERA DI COMMERCIO DI UDINE, Udine 1904, p. 34.
203
P. CAPPELLANI, La Cassa nazionale di previdenza e la funzione delle Società operaie di M.S.,
Udine 1909, pp. 4-5.
177
1859, tentò di collaborare affinché fosse tradotto in legge il disegno di legge
Lanza, che però rimase lettera morta e no fu mai applicato a causa principalmente
delle più gravi e urgenti questioni che attraversavano l’Italia in quel momento. Lo
studio del progetto per istituire una Cassa pensioni per gli operai fu
successivamente sviluppato dai ministri Berti, Cairoli, Baccarini e Magliani.
Anche in questo caso altri interessi prioritari del Paese, appena uscito da anni di
disavanzo del bilancio e non in grado di sostenere un tale sforzo economico,
fecero sì che il progetto fosse accantonato. Da quel momento il problema della
previdenza pubblica fu molto discusso in sede parlamentare e la presentazione di
progetti di legge in materia fu incalzante. Al primo progetto del novembre 1881,
seguì la seconda proposta di legge Berti del 19 febbraio 1883, quindi quella
Grimaldi del 1° giugno 1885. Nel 1887 fu invece presentata la proposta di legge
di iniziativa parlamentare Vacchelli-Ferrari, successivamente riproposta nel 1889,
a cui fece seguito il controprogetto del Luzzatti nel 1890; quindi toccò al disegno
di legge Lacava nel 1893 e infine a quello Guicciardini del 13 aprile 1897 che
sfociò, finalmente, nella legge n. 350 del 17 luglio 1898, istitutiva della Cassa
nazionale di previdenza per la invalidità e la vecchiaia degli operai204.
Per fornire ai lavoratori un adeguato trattamento previdenziale, le proposte
di legge italiane si basarono sulle esperienze maturate in materia in diversi altri
Paesi europei durante tutto l’Ottocento.
In Francia nel 1850 fu votata una legge proposta dal deputato Mirabeau,
grazie alla quale si costituirono in tutto il Paese delle casse che raccoglievano il
risparmio dei lavoratori per poi restituirlo sotto forma di pensioni. Erano previsti
liberi contributi, a seconda delle possibilità ed esigenze; le pensioni venivano
liquidate in base alle risultanze delle tavole di mortalità e utilizzando un tasso di
capitalizzazione annuo del 5 per cento. Le casse ben presto dovettero affrontare
una situazione di deficit finanziario, legato alla scarsa fruttuosità dei capitali che,
investiti in titoli di Stato, non riuscivano a fruttare mai più del 4,5 per cento. La
cassa divenne pertanto non uno strumento a disposizione degli operai, quanto un
204
Cassa nazionale di previdenza cit., pp. 12-14.
178
sicuro rifugio per i capitali di molti benestanti che si vedevano corrispondere tassi
di interesse sui versamenti effettuati perfino superiori a quelli di mercato205.
Accanto a queste casse pubbliche in Francia riscosse un discreto successo
anche il sistema chatelusiano (dal nome dell’ideatore dei Prévoyants de l’Avenir),
dal quale trasse ispirazione anche l’italiana Cassa mutua cooperativa per le
pensioni206. Queste casse cooperative costituivano un esempio di mutualità libera
in cui non intervenivano né i soggetti privati né lo Stato207. L’aspetto più
interessante, rilevato da Ivanoe Bonomi nei suoi studi sulle istituzioni
previdenziali, riguardava la necessità che tra i fattori necessari al buon
funzionamento di questi istituti vi fosse il progressivo aumento dei soci. La
pensione dei soci con più di vent’anni di anzianità era liquidata non solo sulla
base dei contributi versati da questi ultimi, ma anche utilizzando gli interessi
maturati sui risparmi dei nuovi iscritti. Questi, a loro volta, avrebbero approfittato
di un analogo trattamento una volta giunti alla soglia dell’età pensionabile.
L’aspetto di maggior interesse, secondo lo studioso, era dato dal rapporto di
fratellanza e dal legame che così univa le nuove generazioni a quelle più vecchie:
si sottolineava dunque il ruolo rilevante non solo da un punto di vista economico,
ma anche sociale.
La Francia riformò la propria legge in materia previdenziale nel 1901,
mutuando quella belga, anch’essa emendata nel 1900 sulla base delle indicazioni
che emergevano nel progetto di legge approvato dal parlamento italiano.
In Germania il sistema previdenziale si basava su una visione connotata,
secondo l’on. Morpurgo208, dal “socialismo di stato”. Nella pratica il sistema si
basava sull’assicurazione obbligatoria dei lavoratori. In particolare, il sistema di
assicurazioni sociali tedesco prevedeva una compartecipazione alla spesa da parte
205
206
Ibid., pp. 15-16.
A. CABRINI – P. CHIESA, Proposte di assicurazioni sociali in Italia. Relazione pel VII
congresso nazionale delle società di resistenza, a cura della CONFEDERAZIONE GENERALE DEL
LAVORO,
207
Torino 1908, pp. 5-6.
Alle volte le Casse mutue investivano i loro risparmi nella promozione di attività di tipo
cooperativistico, sia nel campo del lavoro che della produzione e del consumo, con un ritorno non
solo economico ma anche sociale.
208
Cassa nazionale di previdenza cit., p. 17.
179
dello Stato, degli imprenditori e dei lavoratori. Il pagamento dei premi per le
assicurazioni sugli infortuni spettava integralmente agli imprenditori, quelle per
malattia erano in parte a carico dell’operaio (circa 2/3) e in parte a carico
dell’imprenditore, mentre i contributi per le pensioni di vecchiaia e invalidità
erano ripartiti tra imprenditori e lavoratori per circa 2/5 ciascuno, e quindi allo
Stato non spettava che un contributo di 1/5. Complessivamente, sul totale del
costo della previdenza tedesca, circa la metà della spesa era accollata ai datori di
lavoro, poco meno ai lavoratori209 e una minima parte (meno del 10 per cento)
allo Stato210. Le leggi tedesche prevedevano il pagamento della pensione di
invalidità dopo 5 anni di iscrizione, mentre per quella di vecchiaia bisognava
attendere i 70 anni, età in cui molti lavoratori avevano smesso già da anni di
lavorare.
In Inghilterra la previdenza era totalmente affidata all’iniziativa privata211.
La dottrina classica, individualistica, non era però dominata da egoismi, ma
temperata dal lungo e sapiente uso della libertà che caratterizzava le popolazioni
anglosassoni. La lunga storia del mutualismo inglese permetteva ai sodalizi di
erogare pensioni ai propri soci, soprattutto perché il metodo di calcolo delle
pensioni si basava sul sistema del premio naturale212. Sulla base di questo
principio, il calcolo dei contributi era variabile e dipendeva da ciò che occorreva
per liquidare la pensione di coloro che avevano già maturato il diritto.
La legislazione di paesi come la Nuova Zelanda e la Danimarca si basava
sulla concessione di una pensione alle persone con più di 60 anni e non in grado di
provvedere a sé e alla propria famiglia anche senza che esse avessero versato
alcun contributo. La concessione della pensione era però vincolata alla tenuta di
209
Le classi di contributo erano 5: l’ammontare del singolo versamento dipendeva dal guadagno
annuale del lavoratore.
210
CABRINI – CHIESA, Proposte di assicurazioni sociali in Italia, cit., p. 8.
211
Il tentativo di dare vita a casse d’assicurazione con il contributo dello Stato fu attuato da
Gladstone nel 1864, ma l’iniziativa fu di scarso successo, principalmente a causa del potere
economico e della forza numerica delle società mutualistiche inglesi (Cassa nazionale di
previdenza, cit., p. 19).
212
Lo stesso metodo era applicato anche negli Stati Uniti d’America.
180
una condotta esemplare; altrimenti si incorreva nella sospensione delle elargizioni
e nel ricovero presso gli ospizi pubblici.
5.
La Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la
vecchiaia degli operai
Con la legge del 17 luglio 1898 e successive modifiche del luglio 1901,
marzo 1094, dicembre 1906 e infine maggio 1907 si istituì anche in Italia un
istituto per garantire la possibilità ai lavoratori di assicurarsi un trattamento
pensionistico. La scelta del legislatore fu di costituire un ente morale autonomo
dallo Stato, soggetto solo ai controlli sui bilanci generali da parte del ministero di
Industria Agricoltura e Commercio e sui bilanci tecnici da parte del ministero del
Tesoro. L’autonomia dell’ente fu da più parti rilevata come elemento cruciale, per
evitare che sull’iniziativa si potessero creare facili speculazioni politiche. La legge
prevedeva infatti che nel consiglio di amministrazione della Cassa, oltre ai
rappresentanti governativi, vi fossero rappresentanti degli operai iscritti, degli
istituti di risparmio che contribuivano alla dotazione e al funzionamento della
Cassa, degli enti morali, delle società di mutuo soccorso e delle cooperative di
produzione. In realtà l’autonomia evocata era solo fittizia, come emergeva dallo
statuto dell’ente, secondo cui dei diciotto componenti del consiglio dell’istituto 10
erano eletti tra le citate categorie213, 8 erano proposti liberamente dal ministro di
Agricoltura Industria e Commercio. A essi si aggiungevano ulteriori membri di
diritto rappresentativi dei tre ministeri (Agricoltura Industria Commercio, Poste e
Tesoro), il direttore della Cassa depositi e prestiti e infine il direttore dell’ufficio
del lavoro presso il M.A.I.C. Al consiglio spettava il compito di predisporre la
normativa tecnica e le tariffe da applicare. La Cassa nazionale depositi e prestiti si
accollava l’onere della custodia e del servizio di cassa per conto dell’istituto di
previdenza gratuitamente.
213
Così distribuiti: 6 rappresentanti degli operai, 2 degli istituti di risparmio e 2 delle società
operaie (CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA, Testo unico di legge. Statuto, regolamento tecnico e
tariffe, Roma 1909, p. 6).
181
La dotazione iniziale della Cassa nazionale di previdenza era costituita da
un fondo patrimoniale di dieci milioni: cinque derivanti da biglietti consorziali
definitivi prescritti per effetto della legge 7 aprile 1881 sull’abolizione del corso
forzoso, e cinque derivanti dagli utili netti disponibili al 31 dicembre 1896 presso
le casse postali di risparmio214. Ulteriori fondi si sarebbero recuperati mediante:
1. la metà del valore dei biglietti prescritti per effetto della legge sugli istituti di
emissione e sulla circolazione dei biglietti di banca del 1900;
2. i conferimenti, i legati e le donazioni fatte da enti morali o da privati;
3. le somme dei libretti di risparmio postali prescritti in base alla legge n. 2779 del
1875 e assegnate inizialmente alla Cassa depositi e prestiti;
4. il capitale dei depositi presso la Cassa depositi e prestiti prescritti dalla legge n.
1270 del 1863;
5. un decimo dell’avanzo del fondo per il culto.
Le entrate annuali ordinarie della Cassa erano costituite dai 7/10 degli utili
netti annuali delle casse postali, la metà degli utili netti della gestione dei depositi
giudiziari, l’importo delle eredità vacanti devolute allo Stato, l’interesse annuale
sul capitale depositato e ogni altro provento eventualmente assegnato215.
Il fondo di invalidità era costituito dalla somma di dieci milioni assegnati
dallo Stato, dai 3/10 delle entrate annuali della Cassa, dalle somme eventualmente
spettanti ai familiari del socio iscritto nel ruolo dei contributi riservati e non
assegnate, da donazioni ed entrate straordinarie e dagli interessi maturati
annualmente sul fondo216.
La discrezionalità di scelta circa le forme di investimento dei fondi raccolti
era molto ampia: l’istituto poteva ricorrere all’acquisto di titoli del debito
pubblico, di titoli garantiti dallo Stato, di obbligazioni ferroviarie, di cartelle del
credito fondiario, a prestiti con comuni e province, a depositi fruttiferi presso la
Cassa depositi e prestiti e persino a immobili urbani217.
214
C.N.P., Testo unico di legge cit., pp. 8-9, art. 7-8.
215
C.N.P., Testo unico di legge cit., pp. 9-10, art. 9.
216
C.N.P., Testo unico di legge cit., pp. 10-11, art. 11.
217
C.N.P., Testo unico di legge cit., pp. 11-12, art. 12.
182
L’iscrizione alla Cassa era consentita ai cittadini di ambo i sessi che
prestavano servizio a opera o a giornata, o che generalmente svolgevano lavori
prevalentemente manuali, sia per conto di terzi che per conto proprio. Potevano
iscriversi alla C.N.P. anche i lavoratori a domicilio, i padroni, i piccoli bottegai, i
coloni, i mezzadri, i piccoli proprietari purché, ed era questa l’unica condizione,
nessuno di essi superasse le 30 lire annue di imposta di ricchezza mobile pagate
allo Stato218. L’iscrizione era consentita anche alle casalinghe senza che fosse
necessario il consenso del marito e ai minorenni senza il consenso di chi ne
esercitava la potestà. La normativa associava dunque nella medesima categoria
contadini, operai e artigiani, parificando tra loro tutte le categorie produttive in
questione219. La parificazione posta in essere dalla legge era un segno tangibile
della volontà del legislatore di accordare la possibilità a molti lavoratori di
ottenere una copertura previdenziale decorosa, offrendo una soluzione definitiva
alle richieste di molti comparti produttivi. Il plauso che alcuni esponenti del
mondo politico ed economico rivolsero all’iniziativa sottolineava il carattere
universale della normativa, che riconosceva l’utilità di tutti i settori economici per
la crescita del Paese220.
Una volta accertata la condizione operaia del richiedente, il nuovo iscritto si
doveva impegnare a versare la propria quota di contributi annuali consistenti in
rate dell’ammontare minimo di una lira per complessive 6 lire l’anno. Questo
importo costituiva l’ammontare minimo del versamento a carico del lavoratore per
poter fruire del contributo dello Stato; era però concessa all’operaio la facoltà di
concorrere con somme maggiori in base alle proprie disponibilità. Lo Stato
contribuiva alla formazione del conto individuale di ogni iscritto (sulla base del
quale avveniva il calcolo della pensione) mediante una quota di concorso,
218
Ciò significava non disporre di un reddito superiore alle 624 lire o, in alternativa, non possedere
terreni con rendita censuaria superiore alle 120 lire (CAPPELLANI, La Cassa nazionale di
previdenza cit., p. 7).
219
L’unica eccezione era stata concessa agli operai impiegati in lavori particolarmente usuranti
(fonderie, vetrerie, miniere, servizi ferroviari), cui era consentito un abbassamento della soglia
d’età pensionabile, portata da 60 a 55 anni. Per questi operai era però fissato un contributo annuo
minimo maggiore (C.N.P., Testo unico di legge cit., p. 12, art. 13; p. 16, art.19).
220
CAPPELLANI, La Cassa nazionale di previdenza cit., p. 7.
183
determinata in base alle entrate rimaste disponibili al termine di ciascun anno, una
volta effettuate le assegnazioni ai fondi patrimoniali e d’invalidità e, in ogni caso,
non superiore alle 10 lire per iscritto221. La quota di concorso era uguale per ogni
socio, indipendentemente dai contributi versati222.
Una volta raggiunta l’età di 60 anni e dopo 25 anni di iscrizione alla Cassa,
il lavoratore aveva diritto a vedersi liquidata una pensione di ammontare pari al
valore complessivo dei contributi versati e delle quote di concorso moltiplicate
per un apposito coefficiente contenuto nelle tabelle predisposte dal consiglio di
amministrazione della Cassa e basate sulle tavole di mortalità e sul valore degli
interessi commerciali ed aggiornate periodicamente. Il socio che avesse
posticipato la riscossione della pensione a 65 anni, versando per ulteriori 5 anni
contributi alla Cassa, avrebbe potuto fruire di un cospicuo aumento del vitalizio.
Ai soci sottoposti a lavori particolarmente usuranti era concessa la possibilità di
godere del trattamento pensionistico a partire dai 55 anni d’età, a fronte però di un
versamento annuo minimo di 9 lire. Per le donne l’età pensionabile era in ogni
caso fissata a 55 anni.
Essendo necessari almeno 25 anni di versamenti per usufruire della
pensione a 60 anni, si intuisce che l’età massima per potersi iscrivere era di 35
anni. Per evitare che si creassero discriminazioni tra lavoratori anziani e più
giovani, il testo unico di legge prevedeva la possibilità per i lavoratori con più di
35 anni di effettuare le iscrizioni abbreviate. Per ottenere la liquidazione della
pensione con questa modalità era necessario che l’operaio effettuasse il
versamento dei contributi per almeno 10 anni e che l’ammontare degli stessi fosse
calcolato aumentando il contributo annuo minimo di una lira per ogni anno di
abbreviazione223. Anche la cassa nel calcolare la propria quota di concorso
221
La quota di concorso era corrisposta solo se durante l’anno i contributi del socio avevano
raggiunto l’ammontare minimo di 6 lire.
222
Inizialmente la quota di concorso venne stimata in 6 lire l’anno, poi aumentata a 10 lire l’anno
per ogni iscritto (Cassa nazionale di previdenza, cit., p. 33).
223
C.N.P., Testo unico di legge cit., p. 16, art. 20.
184
avrebbe applicato lo stesso principio, sommando alla quota ordinaria una lira per
ogni anno oltre il trentacinquesimo d’età del lavoratore224.
La Cassa prevedeva inoltre due ruoli distinti: quello della mutualità e quello
dei contributi riservati. Nel caso di versamenti nel ruolo della mutualità l’iscritto,
in caso di morte prima del raggiungimento dell’età pensionabile, non poteva
lasciare ai propri eredi nulla di quanto corrisposto fino a quel momento. Gli iscritti
al ruolo dei contributi riservati, deceduti prima del conseguimento della pensione,
potevano trasmettere alla propria famiglia l’ammontare dei contributi accumulati
fino a quel momento (senza interessi). La scelta circa l’iscrizione a una delle due
sezioni era affidata alla volontà del lavoratore. La differenza sostanziale tra i due
ruoli si manifestava al momento della liquidazione della pensione: per gli iscritti
nella sezione della mutualità il trattamento economico era più vantaggioso rispetto
a quello assegnato agli iscritti nel ruolo dei contributi riservati. Era possibile
passare dal ruolo della mutualità a quello dei contributi riservati entro il
compimento del quarantacinquesimo anno d’età, senza alcun aggravio a proprio
carico. Viceversa, il cambio dal ruolo dei contributi riservati a quello della
mutualità era sempre possibile, senza limitazione d’età225.
La pensione per sopravvenuta invalidità dell’iscritto era corrisposta qualora
il socio fosse stato iscritto prima del compimento dei 50 anni e in ogni caso da
almeno cinque anni alla Cassa. Verificate queste condizioni, il socio aveva diritto
al pagamento di una pensione calcolata mediante la liquidazione delle somme fino
a quel momento accumulate sul proprio conto, ma in nessun caso mai inferiore a
120 lire. Per effettuare i pagamenti, nel caso in cui non si fossero dimostrati
sufficienti i fondi accantonati dal socio con il contributo dello Stato, la Cassa
224
Il contributo di un socio iscrittosi a 40 anni di età doveva comprendere la quota minima (6 lire)
più una lira per ogni anno successivo al trentacinquesimo (5 lire). La Cassa contribuiva in maniera
analoga con la quota di concorso (poniamo di 10 lire) più una lira per ogni anno successivo al
trentacinquesimo (5 lire). La quota annuale iscritta sul libretto del lavoratore era pertanto di 26 lire
(CAPPELLANI, La cassa nazionale di previdenza cit., p. 11).
225
C.N.P., Testo unico di legge cit., pp. 44-45, Regolamento tecnico, art. 6.
185
avrebbe dovuto attingere al fondo di invalidità appositamente costituito, fino al
raggiungimento dell’ammontare minimo della pensione226.
Considerate le disposizioni contemplate nella legge n. 350 del 1898, le
pensioni pagabili da parte della Cassa, sulla base delle condizioni vigenti nel 1909
potevano essere227 nel caso di iscrizione nel ruolo della mutualità le seguenti
Tabella 28. Pensioni pagabili nel 1909 dalla Cassa nazionale di
previdenza all’età di 60 anni
Iscritti nel ruolo della mutualità
Età al momento
dell'iscrizione
Contributo pagato dall'operaio fino alla data di liquidazione
della pensione (60 anni)
lire 6
lire 12
lire 18
lire 24
lire 36
20 anni
185
254
323
392
531
25 anni
141
194
247
300
406
30 anni
106
146
186
226
306
35 anni
78
107
136
165
221
Iscritti nel ruolo dei contributi riservati
Età al momento
dell'iscrizione
Contributo pagato dall'operaio fino alla data di liquidazione
della pensione (60 anni)
lire 6
lire 12
lire 18
lire 24
lire 36
20 anni
174
232
290
349
465
25 anni
133
178
223
268
358
30 anni
100
134
168
202
270
35 anni
74
99
124
149
199
Fonte: CAPPELLANI, La Cassa nazionale di previdenza cit., pp. 14-16
Se si fosse trattato di pensioni di lavoratori iscritti nel ruolo dei contributi
riservati l’ammontare del singolo versamento sarebbe stato minore Nel caso in cui
il contribuente avesse deciso di posticipare la chiusura della propria posizione e
ottenere la liquidazione della pensione dopo i 65 anni, il trattamento economico
avrebbe subito dei rilevanti miglioramenti:
226
C.N.P., Testo unico di legge cit., pp. 16-17, art. 21.
227
Le cifre riportavano in modo sintetico e semplificato l’ammontare delle pensioni calcolate sulla
base dei tassi di mortalità disponibili nel 1909, ipotizzando un tasso d’interesse del 3,5 per cento e
un contributo dello Stato pari a 10 lire l’anno per ogni iscritto.
186
Tabella 29. Pensioni pagabili nel 1909 dalla Cassa nazionale di
previdenza dopo i 65 anni d’età
Iscitti nel ruolo della mutualità
Età al momento
dell'iscrizione
Contributo pagato dall'operaio fino alla data di liquidazione
della pensione (65 anni)
lire 6
lire 12
lire 18
lire 24
lire 36
20 anni
327
450
573
695
941
25 anni
253
348
443
538
729
30 anni
193
266
339
411
556
35 anni
145
199
253
308
416
40 anni
105
174
213
253
332
Iscitti nel ruolo dei contributi riservati
Età al momento
dell'iscrizione
Contributo pagato dall'operaio fino alla data di liquidazione
della pensione (65 anni)
lire 6
lire 12
lire 18
lire 24
lire 36
20 anni
303
401
499
597
794
25 anni
234
310
386
462
614
30 anni
179
237
295
353
469
35 anni
134
177
221
264
351
40 anni
98
159
190
222
286
Fonte: CAPPELLANI, La Cassa nazionale di previdenza cit., pp. 14-16
6.
La Cassa nazionale di previdenza e le società operaie
All’interno del disposto normativo sulla Cassa nazionale di previdenza
erano inseriti degli articoli diretti a regolamentare il rapporto tra l’istituto e le
società operaie. Le SMS, che per anni avevano svolto il ruolo di istituti
previdenziali e assistenziali per gli operai, erano considerate interlocutori
privilegiati rispetto alla Cassa, dalla quale avrebbero goduto di condizioni
privilegiate per l’iscrizione dei soci.
L’articolo 16 della legge n. 350 (modificato dall’art. 9 della legge n. 685 del
30 dicembre 1906) stabiliva infatti la possibilità da parte della Cassa nazionale di
187
previdenza di assegnare quote speciali di concorso a favore delle società operaie e
di altre associazioni congeneri, qualora avessero provveduto ad iscrivere
collettivamente i propri soci. Se tra i soci iscritti vi fossero stati lavoratori già in
età pensionabile, per i quali la società avesse previsto da subito il pagamento di
una pensione, sarebbe stato possibile alla Cassa provvedere con un’integrazione
della pensione per complessive 10 lire l’anno. Inoltre era prevista la possibilità di
assegnare premi d’incoraggiamento alle società che avessero costituito presso i
propri locali sedi secondarie della Cassa, a compenso del servizio reso.
Il regolamento tecnico dell’istituto includeva una serie di articoli che
disciplinavano gli aspetti pratici del rapporto. In primo luogo erano considerate
società operaie tutte quelle legalmente riconosciute sulla base della legge n. 3818
del 15 aprile 1886 e quelle, riconosciute o meno, in cui la maggior parte dei soci
erano operai228.
Per le società era inoltre prevista la possibilità di iscrizione collettiva dei
soci. Si considerava tale l’iscrizione di tutti i soci, con la sola esclusione di quelli
non operai e di quelli con più di 50 anni. La società doveva inoltre impegnarsi al
versamento per conto dei soci del contributo minimo previsto dalla Cassa per
ottenere la quota ordinaria di concorso229. Se si fosse proceduto all’iscrizione con
tale modalità la Cassa si sarebbe impegnata a versare, oltre alla quota di concorso
ordinaria e straordinaria, anche una quota forfetaria pro capite di una lira, elevata
a due nel caso di iscrizioni abbreviate. Ai soci non operai era lasciata solamente
l’opportunità di iscriversi nel ruolo delle Assicurazioni popolari di rendite
vitalizie, senza la possibilità di fruire di alcun contributo da parte della Cassa di
previdenza. Il socio che avesse cessato di appartenere alla società di mutuo
soccorso avrebbe perso il diritto all’assegnazione di tutte le quote speciali230.
228
Erano inoltre parificate, se erogavano pensioni, le società cooperative di consumo, le casse di
previdenza delle amministrazioni pubbliche e le società di mutuo soccorso tra ex alunni delle
scuole elementari, purché per la maggior parte costituite da operai (C.N.P., Testo unico di legge
cit., pp. 50-51, Regolamento tecnico, art. 18).
229
C.N.P., Testo unico di legge cit., pp. 51-52, Regolamento tecnico, art. 22.
230
C.N.P., Testo unico di legge cit., p. 52, Regolamento tecnico, art. 23.
188
Alle società, che nello statuto prevedevano tra i propri fini sociali il
pagamento di pensioni, era inoltre concesso di abbreviare ulteriormente i tempi
per l’iscrizione dei soci con più di 50 anni, se uomini, e con più di 45, se donne.
La chiusura e la liquidazione del conto di questi iscritti, non poteva avvenire
prima dei limiti d’età normalmente applicati nei confronti degli iscritti ordinari
(60 anni per gli uomini e 55 per le donne)231.
Le società che avessero voluto iscrivere i propri soci collettivamente
sarebbero state tenute a dichiararlo alla sede centrale della Cassa, rimettendo una
copia dello statuto e il verbale dell’assemblea in cui si fosse espresso parere
favorevole, con allegato il relativo elenco dei soci da iscrivere. Le società inoltre
potevano svolgere un importante ruolo di tramite tra l’amministrazione centrale
della Cassa e gli iscritti. Nel caso di iscrizione collettiva, prestando le idonee
garanzie, le società operaie potevano esercitare tutte le operazioni ordinarie di
registrazione sui libretti, incasso e pagamento delle pensioni per conto della Cassa
centrale o delle sue amministrazioni periferiche. Questo ufficio era svolto su
domanda delle stesse società, le quali ricevevano in cambio della prestazione del
servizio un compenso determinato in misura fissa per ogni socio iscritto alla Cassa
alla fine dell’anno, i cui versamenti non avessero raggiunto l’ammontare
minimo232. Le operazioni svolte dalla società con la Cassa avvenivano su un conto
corrente fruttifero aperto per l’occorrenza, sul quale erano addebitati i pagamenti
eseguiti dalla Cassa per conto della società, e accreditati i versamenti dei
contributi pagati dai soci.
Le agevolazioni predisposte a favore delle società di mutuo soccorso erano
particolarmente favorevoli per i soci, che avrebbero potuto risolvere il problema
sempre più sentito della pensione. Alle società, poi, era offerta la possibilità di
riparare gli squilibri emersi dai bilanci tecnici e la difficoltà di provvedere al
pagamento delle pensioni basandosi solo ed esclusivamente sulle proprie forze.
Per tale ragione la pressione sulle società affinché iscrivessero i propri soci fu
sostenuta sia dal governo che dalle stesse forze produttive, che individuavano
nella Cassa una delle soluzioni più importanti per arginare il diffondersi del
231
C.N.P., Testo unico di legge cit., pp. 52-53, Regolamento tecnico, art. 24.
232
C.N.P., Testo unico di legge cit., pp. 50-51, Regolamento tecnico, art. 20.
189
malcontento nelle classi lavoratrici più povere e una concreta risposta alla
questione sociale.
7.
L’adesione della Società operaia di Cividale alla Cassa
nazionale di previdenza
I promotori della Cassa nazionale di previdenza ritenevano che i lavoratori
avrebbero aderito numerosi, vedendo finalmente esaudite le proprie richieste a
garanzia del futuro. Nella realtà le cose andarono meno bene rispetto a quanto
inizialmente ipotizzato. Le iscrizioni per i primi anni non decollarono; spesso
caddero nel vuoto i numerosi appelli rivolti agli operai da parte del governo. Le
stesse organizzazioni operaie e cooperative, che si erano battute a favore di una
legge sulla previdenza dei lavoratori, avevano accolto con freddezza la legge; le
poche centinaia di migliaia di iscritti a distanza di alcuni anni erano in parte
spiegabili con la scarsa propaganda svolta dalle società mutualistiche sui benefici
che l’iscrizione alla Cassa avrebbe portato ai lavoratori233.
Il primo congresso nazionale della previdenza tenutosi a Milano nel maggio
1900, cui parteciparono le società di mutuo soccorso, si prefiggeva un’attenta
valutazione della nuova normativa, per indicare ai lavoratori italiani se essa
rispettava effettivamente i criteri per i quali era stata a lungo reclamata. La Lega
nazionale delle cooperative, organizzatrice del congresso, sottolineava come
proprio dalle numerose assemblee delle società di mutuo soccorso fosse giunta
all’attenzione del parlamento la richiesta di offrire una risposta concreta ai
problemi della vecchiaia dei lavoratori, specie in un sistema sociale in cui i vincoli
familiari si andavano gradatamente allentando e in cui l’anziano non godeva più
delle stesse attenzioni di un tempo. La Lega, pur non dimostrando contrarietà al
233
Lo stesso Luzzatti sosteneva che, siccome dei 251.000 iscritti risultanti nel 1908 solo la minima
parte era espressione della previdenza spontanea mentre i rimanenti rappresentavano iscrizioni
obbligatorie a carico del governo o di imprenditori, la Cassa dopo un decennio di prova non era
ancora riuscita a realizzare il suo fine (CABRINI – CHIESA, Proposte di assicurazioni sociali in
Italia cit., p. 7).
190
provvedimento del parlamento e dichiarando la propria disponibilità a
confrontarsi sul terreno della previdenza per raggiungere un fine comune, invitava
le società di mutuo soccorso a vigilare sulle mosse del governo e a studiare la
legge al fine di migliorarla e renderla effettivamente fruibile da parte della massa
dei lavoratori operai. Emergeva un bisogno di capire e valutare l’effettiva
efficacia del provvedimento ed eventualmente di pubblicizzarne gli effetti benefici
tra i lavoratori, che poco sapevano delle effettive opportunità loro offerte. Le
società di mutuo soccorso diventavano in questa operazione di promozione della
Cassa uno strumento d’azione privilegiato per il governo, in quanto annoveravano
tra i propri iscritti un numero elevato di operai, già sensibili e del resto a questi
problemi234.
L’on. Morpurgo235, allora presidente della Camera di commercio di Udine,
rivolgendosi agli imprenditori della provincia osservava che, a differenza delle
assicurazioni private, la Cassa mancava di abili agenti assicuratori in grado di
spiegare il funzionamento dell’istituto e di raccogliere capillarmente i contributi
tra i lavoratori. Se non fosse stato possibile sostenere questo ruolo, era
quantomeno necessario che le società di mutuo soccorso offrissero il proprio
appoggio, non solo sotto il profilo della propaganda, ma anche sotto il profilo
pratico, operando come uffici staccati delle dipendenze locali e sfruttando a tal
proposito i vantaggi offerti dalla legge. Ma accanto alle società operaie dovevano
operare anche altre forze: gli organi del governo centrale, i comuni e le province
che si sarebbero dovuti far carico di iscrivere i propri dipendenti, gli industriali, le
234
Congresso nazionale della previdenza. Programma di lavoro per le società di mutuo soccorso,
a cura della LEGA NAZIONALE DELLE COOPERATIVE ITALIANE, Milano 1900, p. 2.
235
All’incontro promosso dall’Unione democratica udinese e tenutosi il 20 marzo 1904 presso la
sede della Camera di commercio di Udine, parlò anche l’on. Girardini, il quale ricordò agli
intervenuti i tentativi di iscrizione dei propri soci svolti dalla Società di mutuo soccorso di Udine
ma non concretizzatisi. L’assemblea in quella sede approvò un ordine del giorno in cui gli
imprenditori iscritti alla Camera di commercio si impegnavano a divulgare tra i propri operai i
nobili intenti della Cassa e a contribuire materialmente all’iscrizione (Cassa nazionale di
previdenza cit., pp. 49-50).
191
opere pie e gli istituti di credito, che avrebbero potuto contribuire con elargizioni
all’iscrizione abbreviata dei lavoratori più anziani236.
Se le iscrizioni a livello nazionale procedettero a rilento, la situazione in
provincia di Udine non fu sicuramente più rosea. Nel 1904 le iscrizioni raccolte
nell’intera provincia erano 708, di cui 361 nel ruolo della mutualità e 347 in
quello dei contributi riservati. Nella città di Udine gli iscritti erano appena 67 e si
concentravano nel ruolo dei contributi riservati237. L’unico esempio ammirevole
di solidarietà sociale fu quello della ditta Antonio Volpe di Udine, che approvò
nel 1901 un regolamento per iscrivere alla Cassa nazionale tutti gli operai con
almeno tre anni di servizio e con più di 20 anni d’età, accollandosi interamente le
spese238.
A distanza di qualche anno la situazione, seppur migliorata, non segnava
accelerazioni decise: nel 1908 alla Cassa di risparmio di Udine, sede secondaria
della Cassa nazionale, erano iscritti 608 lavoratori, di cui 300 residenti nel
comune di Moggio, iscrittisi per l’opera tenace di informazione e convincimento
dell’abate del luogo mons. Gori. Le altre iscrizioni erano per la gran parte di
operai delle più importanti fabbriche udinesi, come ad esempio del Cotonificio
udinese, o di altre ditte, o di contadini iscritti dai loro padroni, come nel caso dei
dipendenti del Tomasoni a Buttrio. Tra le società di mutuo soccorso le iscrizioni
procedevano a rilento e solo la società di Palmanova e quella tra i barbieri e i
parrucchieri di Udine aveva provveduto all’iscrizione collettiva dei propri soci239.
La Società operaia di mutuo soccorso di Cividale, dopo un primo periodo di
tiepido interesse verso la Cassa nazionale, cominciò a sviluppare i primi contatti
con l’istituto di previdenza nel corso del 1904. Il presidente della Società,
Giacomo Gabrici, con lettera del 20 maggio, contattò l’allora direttore generale
della Cassa, dott. Orazio Parretti, al quale illustrò la condizione della Società e
chiese chiarimenti per l’eventuale iscrizione dei soci. Gabrici stesso pose
236
Ibid., pp. 37-41.
237
Ibid., pp. 36-37.
238
Ibid., pp. 42-43.
239
All’esiguo numero di iscritti era da aggiungersi il numero di iscritti registrati presso gli sportelli
postali (CAPPELLANI, La Cassa nazionale di previdenza cit., pp. 19-20).
192
l’accento sulle difficoltà per il sodalizio di procedere all’iscrizione, pur
ritenendola vantaggiosa per i molti operai soci del mutuo soccorso. La SOMSI,
pur prevedendo nello statuto la corresponsione di una pensione per vecchiaia, fino
a quel momento non era stata in grado di soddisfare nessuno dei soci anziani, in
quanto l’utilizzo del fondo pensioni poteva essere impiegato per tale scopo solo
dopo il raggiungimento dell’ammontare di 30.000 lire. Per questa ragione la
Società fino a quel momento aveva provveduto solo a corrispondere sussidi
continui per invalidità ai pochi soci effettivamente inabili al lavoro, negando ogni
forma di pensione per vecchiaia. Nel caso di erogazione di pensioni d’anzianità la
Società non avrebbe però potuto discriminare tra soci ricchi e meno ricchi, abili e
inabili, poiché, ottemperando tutti ai medesimi doveri, avrebbero dovuto godere
dello stesso trattamento. Pertanto, se possibile e compatibilmente con le
disponibilità del sodalizio, la necessità era di procedere all’iscrizione collettiva e
indistinta dei soci. Le richieste di chiarimento avanzate dal presidente
riguardavano in modo particolare la possibilità di procedere con l’iscrizione in
massa di tutti i 474 soci, senza distinzione tra le varie categorie professionali. In
caso di accoglimento di questa prima istanza, era necessario sapere quale fosse
stata la somma da corrispondere per garantire ai soci con più di 60 anni una
rendita immediata240.
Il direttore generale della Cassa, rispondendo alla missiva della Società
operaia, illustrò le condizioni per procedere all’iscrizione collettiva dei soci: in
base alla legge vigente era necessario che la maggior parte dei soci iscritti alla
SOMSI fosse costituita da operai; per i soci che non si fossero trovati in quella
condizione era in ogni caso possibile l’iscrizione, ma non sarebbero spettate loro
le condizioni agevolate (che prevedevano quote di concorso da parte della Cassa),
essendo questo beneficio riservato esplicitamente dalla legge alla sola categoria
operaia241. Per costituire una pensione di 100 lire l’anno a favore dei soci con più
240
ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, lettera della SOMSI del 20
maggio 1904 alla direzione della Cassa nazionale di previdenza di Roma.
241
ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, lettera del 10 giugno 1904 della
Cassa nazionale di previdenza.
193
di 60 anni la Società si sarebbe dovuta impegnare a corrispondere prontamente
alla cassa la somma di 962 lire, ridotte a 783 se il socio avesse avuto 65 anni.
Sulla possibilità di iscrivere i soci alla Cassa nazionale secondo le
condizioni illustrate dalla direzione dell’ente nazionale di previdenza si trattò in
occasione del congresso regionale operaio del 1905 svoltosi a Cividale e
organizzato dalla Società operaia242. La direzione della Società, pur incoraggiando
l’iscrizione individuale dei soci ed elogiando l’opportunità offerta dal governo di
accordare la possibilità di iscrizioni abbreviate nel tempo, sottolineava la
difficoltà per i sodalizi di iscrivere collettivamente i propri soci, specie se nelle
società era nutrita la presenza dei lavoratori con più di 65 anni o prossimi a questa
soglia. Gli statuti delle società stabilivano infatti la perfetta uguaglianza di diritti e
doveri fra i soci, escludendo a priori la possibilità di procedere a iscrizioni parziali
o dei soli soci con meno di 35 anni. L’iscrizione collettiva di tutti i soci avrebbe
comportato una spesa enorme per le società: la direzione del sodalizio cividalese
dimostrò con semplici calcoli che in caso di iscrizione di tutti i suoi 470 soci243, si
sarebbero dovute versare alla Cassa circa 75.000 lire per assicurare a tutti gli
iscritti, con il compimento dei 65 anni, una pensione di 120 lire l’anno. Oltre a
questo esborso iniziale, la Società avrebbe poi dovuto provvedere annualmente al
pagamento di circa 2.550 lire a titolo di contributo minimo (6 lire per socio). La
direzione auspicava che nei confronti delle società di mutuo soccorso fossero
applicati criteri volti ad agevolare l’iscrizione collettiva, utilizzando a tal fine i
fondi pensione costituiti a tale scopo, ma in molti casi non sufficientemente
capienti per garantire il passaggio di tutti i soci alla Cassa nazionale244. Il
congresso approvò l’ordine del giorno proposto dalla SOMSI, in cui si invitavano
le società a promuovere l’iscrizione individuale dei soci più giovani e allo stesso
tempo ci si impegnava affinché, con nuovi provvedimenti, si effettuassero tutte
quelle riforme all’ordinamento della Cassa nazionale di previdenza necessarie per
242
ASC, cart. 57: Congressi, fasc. 3: IV Congresso operaio friulano (1905), doc. Tema pel
congresso: sull’iscrizione dei soci dei sodalizi operai alla Cassa nazionale di Previdenza.
243
Di questi 470 soci, 230 erano esonerati dal contributo iniziale, 195 avevano superato i 35 anni
d’età e 45 avevano più di 64 anni.
244
Il fondo pensioni della Società ammontava al termine del 1905 a 27.100 lire.
194
consentire ai sodalizi mutualistici di risolvere il problema delle pensioni di
vecchiaia.
Date le effettive dimensioni del problema, l’operazione di iscrizione
collettiva avrebbe avuto scarse possibilità di riuscita. Il progetto della Società
cividalese e di molte sue consorelle fu pertanto abbandonato in attesa di un
miglioramento delle condizioni di trattamento offerte dalla legge sulla Cassa
nazionale di previdenza. Alcune modifiche furono apportate alla legge n. 350 nel
corso del 1906, in cui si ritoccarono gran parte degli articoli, e, nel corso del 1907,
stessa sorte toccò allo statuto. Alla luce delle modifiche legislative, nel gennaio
1909 la SOMSI si rivolse nuovamente alla Cassa nazione di previdenza, facendo
presente che, raggiunto l’ammontare minimo per il funzionamento del fondo
pensioni, era necessario deciderne al più presto le modalità d’impiego245. Inoltre,
in base alle risultanze del bilancio tecnico del 1908, era emersa una seria difficoltà
da parte del sodalizio a far fronte ai propri impegni nei confronti dei soci sul tema
delle pensioni. I soci a quel momento iscritti erano 449, per la maggior parte
rientranti nella categoria degli operai.
La direzione della Cassa rispose dopo pochi giorni inviando una proposta
per l’iscrizione collettiva dei soci246. Per sommi capi il prospetto prevedeva:
1.
il versamento da parte della Cassa di una quota di concorso di 6 lire
per socio indipendentemente dal sesso purché non pensionato;
2.
per le socie tra i 40 e i 65 anni e per i soci tra i 45 e i 70 anni, il
contributo iniziale da parte della Società doveva ammontare rispettivamente
a 6.544 e a 26.801 lire, per un totale di 33.345 lire, pari circa all’ammontare
del fondo pensioni di cui disponeva la SOMSI;
3.
le pensioni sarebbero state liquidate, per le socie con più di 45 anni,
al compimento dei 65 anni e per un ammontare di 90 lire. Per gli uomini con
più di 45 anni la pensione sarebbe stata di 180 lire, liquidabili dopo il
compimento del settantesimo anno d’età. Per i soci di età inferiore a quella
245
ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, lettera della SOMSI del 31
gennaio 1909 alla direzione della Cassa nazionale di previdenza di Roma.
246
ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, lettera del 17 febbraio 1909
della Cassa nazionale di previdenza relativa all’iscrizione collettiva dei soci.
195
stabilita la pensione sarebbe stata tanto maggiore quanto più numerosi gli
anni di iscrizione alla Cassa;
4.
le pensioni di invalidità sarebbero state concesse solo ai soci iscritti
con meno di 50 anni e dopo almeno 5 anni di iscrizione alla Cassa.
L’importo della pensione non avrebbe potuto in ogni caso essere inferiore
alle 120 lire;
5.
per i soci con più di 70 anni e per le socie con più di 65 anni la
Società operaia avrebbe dovuto provvedere autonomamente, salvo la
volontà di costituire in loro favore una pensione con godimento immediato,
mediante il versamento del valore capitale corrispondente. In questo caso
l’istituto di previdenza si sarebbe impegnato ad aumentare di 10 lire l’anno
la pensione di ogni iscritto.
La direzione della Società ebbe modo di commentare il progetto in sede di
approvazione del rendiconto generale del 1908247. L’attivazione del progetto era
considerata particolarmente difficile in relazione alle condizioni economiche del
sodalizio in quel momento. La costituzione della rendita immediata a favore dei
23 soci esclusi avrebbe comportato un esborso notevole e inoltre i soci avrebbero
dovuto sopportare un aumento dei contributi annui per 6 lire, cifra esigua di fronte
alla possibilità di godere nel futuro della pensione, ma che, sommandosi a quanto
già dovuto dai soci, avrebbe reso ancora più difficoltosa la regolarità dei
versamenti. A questi elementi si aggiungeva l’esenzione dalla contribuzione dei
soci con più di 65 anni d’età, che con l’invecchiamento progressivo della base
sociale riduceva ogni anno il totale delle entrate contributive.
Verificata l’impossibilità di aderire al progetto, la Società abbandonò
nuovamente i rapporti con la Cassa nazionale, per poi riprenderli nel 1912. Nel
corso di quell’anno furono diversi i congressi sui temi della previdenza a cui
partecipò la Società operaia. Furono particolarmente interessanti e ricchi di utili
indicazioni sia quello tenutosi a Venezia nel mese di maggio, sia quello
dell’agosto svoltasi a Udine, entrambi preparatori al VI congresso nazionale di
Roma tenutosi nel mese di settembre. In quella sede particolare interesse suscitò
247
SOMSI, Resoconto […] 1908 cit., pp. 3-5.
196
nel delegato della SMS di Cividale, l’avv. Carlo Podrecca, l’intervento dell’on.
Luigi Rava sul tema dell’iscrizione dei soci più anziani alla Cassa nazionale di
previdenza. Il deputato, riconosciuta la reale difficoltà da parte delle società di
mutuo soccorso di iscrivere i soci più anziani, manifestò l’intenzione di farsi
promotore presso il governo delle istanze delle società operaie, proponendo, come
soluzione al problema, la costituzione di un fondo nazionale per finanziare
l’iscrizione collettiva anche dei soci anziani248.
Con lettera datata 29 ottobre la SOMSI tentò nuovamente di verificare con il
direttore della Cassa le eventuali possibilità di ottenere l’iscrizione collettiva dei
propri soci e di goderne i benefici249. L’amministrazione della Società spiegò che
la volontà di non intaccare il fondo pensioni, che nel frattempo aveva raggiunto la
somma di 37.000 lire, derivava dalla necessità di utilizzare quel capitale per far
fronte ai mancati incassi derivanti dall’esonero dalle contribuzioni dei soci, tanto
più che anche i sussidi continui per invalidità, essendo di natura vitalizia, erano da
imputarsi al medesimo fondo. La Società richiese pertanto alla direzione della
Cassa nazionale di chiarire i seguenti punti:
a.
tenendo presente che non si sarebbero potuti versare contributi, fino a che
età era possibile iscrivere i soci e le socie;
b.
a che età si sarebbe potuta riscuotere la pensione;
c.
se l’iscrizione così fatta si potesse considerare collettiva;
d.
se fosse rimasta la possibilità di fruire del contributo previsto dall’art. 23 del
regolamento tecnico (assegnazione di una lira l’anno per socio);
e.
se, dato il riconoscimento legale dell’ente, si fosse potuto istituire una sede
secondaria presso la sede sociale, in base all’art. 20 del regolamento.
La risposta della Cassa non tardò anche in questo caso250. Il direttore precisò
che si sarebbe trattato di iscrizione collettiva anche se non si fossero iscritti i soci
248
SOMSI, Resoconto generale della Società operaia di mutuo soccorso al 31 dicembre 1912.
Anno XLII, Cividale 1913, pp. 9-11.
249
ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, lettera della SOMSI del 29
ottobre 1912 alla direzione della Cassa nazionale di previdenza di Roma.
250
ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, lettera del 12 novembre 1912
della Cassa nazionale di previdenza relativa all’iscrizione collettiva dei soci.
197
con più di 50 anni e non operai nel senso stabilito dalla legge. Ponendo che la
Società non versasse alcun contributo iniziale, la Cassa avrebbe potuto concedere
il pagamento della pensione a 70 anni ai soci che al momento dell’iscrizione erano
compresi tra i 45 e i 50 anni, mentre per quelli di età inferiore ai 45 anni solo dopo
aver pagato almeno 25 anni di contributi e comunque mai prima del compimento
del sessantesimo anno d’età. Con questa iscrizione la Società avrebbe potuto
comunque fruire della quota di contributo ordinaria della Cassa (10 lire) più quella
straordinaria per le iscrizioni collettive (1 lira). Il direttore esortava però la
direzione della Società a considerare l’ipotesi di iscrivere anche i soci con più di
50 anni, essendo il fondo pensioni sufficientemente capiente per farvi fronte
utilmente, eliminando le gravi difficoltà che sarebbero sorte a carico del fondo
pensioni con il trascorrere degli anni. Inoltre il direttore si rendeva disponibile a
studiare un progetto di assunzione in carico delle pensioni eventualmente pagate
fino a quel momento dalla Società ai soci e di pagamento delle pensioni, per un
ammontare da determinarsi, a 70 anni (eventualmente 65) anche per i soci con più
di 50 anni.
La direzione della Società colse con prontezza la proposta della Cassa e in
meno di una settimana redasse una relazione sommaria destinata a tutti i propri
iscritti in cui, oltre a spiegare le difficoltà legate alla corresponsione di una
pensione ai soci utilizzando i soli fondi sociali, illustrò in che modo si sarebbe
dovuto far fronte all’iscrizione dei soci alla Cassa nazionale di previdenza251.
La Società operaia, secondo l’ultimo orientamento, accettava di iscrivere
tutti i soci fino a 50 anni evitando di anticipare qualsiasi tipo di somma prelevata
dal fondo pensioni. Interessati all’iscrizione in qualità di operai sarebbero stati 340
soci su 530 iscritti, tutti rientranti nella categoria degli operai, cui solo 262 non
avevano superato il cinquantesimo anno d’età. La quota annua minima da versarsi
per ciascun iscritto era pagata per un terzo (2 lire) dalla Società, mentre la parte
rimanente spettava a ciascun socio. Ai soci non considerati operai era concesso di
ottenere il medesimo contributo da parte della Società, ma l’iscrizione doveva
251
ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, doc. Iscrizione collettiva dei
soci operai alla Cassa nazionale di Previdenza. Relazione sommaria, redatta dalla direzione in
data 20 novembre 1912.
198
svolgersi al ruolo delle assicurazioni popolari, perdendo il diritto alle quote di
concorso riservate agli operai. Il vantaggio a favore dei lavoratori era evidente:
ciascun membro, con un aggravio di sole 4 lire sui propri contributi annui,
otteneva la possibilità di mettere a frutto un capitale che, sommando le quote
speciali e ordinarie di concorso della Cassa e il contributo sociale, poteva
raggiungere le 18 lire. Ai soci iscritti alla Cassa che non si fossero resi disponibili
ad effettuare il versamento minimo richiesto, la Società negava la possibilità di
assegnare qualsiasi somma a titolo di contributo per la costituzione di una
pensione, riservandosi solo di pagare l’eventuale sussidio continuo in caso di
comprovata incapacità al lavoro. Anche sotto questo profilo con l’iscrizione alla
Cassa si riducevano notevolmente i tempi per poter fruire dell’eventuale pensione
in caso di invalidità, passando dai 15 anni richiesti dalla SOMSI ai soli 5 anni di
iscrizione previsti dalla Cassa.
Per dare corso alle procedure di iscrizione in tempi brevi, si decise di
proporre la delibera di iscrizione collettiva al consiglio sociale, il quale si sarebbe
impegnato a sottoporre al voto dell’assemblea generale il provvedimento e le
eventuali modifiche statutarie da adottarsi per coordinare le nuove disposizioni
con lo statuto. La Società si impegnò a produrre alla Cassa tutti i documenti
necessari per l’iscrizione, effettuando anche un primo versamento di una lira per
ciascun socio iscritto. Nel caso in cui l’assemblea non avesse provveduto a
ratificare il provvedimento, l’iscrizione si sarebbe dovuta ritenere effettuata a
titolo di propaganda, lasciando il singolo socio libero di accettare o meno
l’eventuale prosecuzione. In questo modo, con una semplice delibera di consiglio,
il sodalizio pensò di aver risolto gran parte dei problemi legati alle pensioni dei
soci meno anziani. La direzione non dimenticava di valutare la posizione dei soci
con più di 50 anni, per i quali comunque si impegnava a trovare una soluzione
soddisfacente. A questo proposito, ottenuta la deliberazione favorevole
all’iscrizione collettiva in data 28 novembre da parte del consiglio, interpellò
nuovamente la Cassa per avere ulteriori indicazioni circa l’eventuale
199
maggiorazione sui contributi, per consentire anche ai soci cinquantenni di aderire,
e chiarimenti pratici sulla compilazione delle domande252.
La Cassa rispose alla direzione della Società sottolineando nuovamente che,
mentre per i soci con più di 50 anni rimaneva aperta la porta dell’iscrizione
individuale, versando l’ammontare dei contributi arretrati, per i soci con età
compresa tra i 35 e i 50 anni si sarebbe potuta ridurre l’età pensionabile a 60 anni
mediante un modesto contributo da parte della SOMSI253.
Il 29 dicembre la Società inviò alla sede secondaria di Venezia della Cassa
nazionale di previdenza 203 domande di iscrizione e dispose il versamento di una
lira per ciascun richiedente. Dei 262 soci aventi diritto la Società espletò le
pratiche per soli 203, ritenendo che per 59 componenti del sodalizio non vi fossero
tutte le condizioni sufficienti. In particolare si esclusero 27 soci mancanti dei
requisiti necessari, 6 donne e 7 uomini di dubbia condizione operaia, 12 uomini
sotto le armi e 7 uomini già iscritti per conto dei propri datori di lavoro254.
La Cassa con lettera del 16 gennaio 1913 rilevò alcune imprecisioni e
scorrette interpretazioni delle norme realizzate in merito all’iscrizione dei soci255.
In primo luogo fu rilevato che il versamento di una lira pro capite non era
sufficiente per considerare avvenuta l’iscrizione dei soci e che era dunque
necessario procedere al versamento della quota rimanente per poter fruire dei
benefici dell’iscrizione a partire dal 1912. Inoltre, in merito alla mancata
iscrizione di alcuni soci, si osservò che
a.
non era sufficiente indicare una generica mancanza di requisiti dei
soci, non comprendendo cosa si intendesse esprimere;
b.
per i soci di dubbia condizione operaia era la sede centrale della
Cassa che avrebbe dovuto chiarire la posizione del socio;
252
ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, lettera della SOMSI del 30
novembre 1912 alla direzione della Cassa nazionale di previdenza di Roma.
253
ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, lettera del 20 dicembre 1912
della Cassa nazionale di previdenza in oggetto all’iscrizione collettiva dei soci.
254
ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, lettera della SOMSI del 4
gennaio 1913 al direttore della Cassa nazionale di previdenza di Roma.
255
ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, lettera del 16 gennaio 1913
della Cassa nazionale di previdenza relativa all’iscrizione collettiva dei soci.
200
c.
per i soci già iscritti era in ogni modo necessario l’invio dei
nominativi e si sarebbe dovuto procedere comunque all’iscrizione se la
pensione fosse stata erogata dall’ente pubblico da cui dipendevano e non
dalla Cassa;
infine si rilevava che le indicazioni contenute nella relazione sommaria
contenevano delle inesattezze che sarebbe stato opportuno chiarire, onde evitare
che i soci fossero tratti in inganno dalla scarsa chiarezza di alcuni passaggi. Inoltre
il passaggio in cui la Società dichiarava di farsi garante per il pagamento di sole
due lire di contributo era scorretto da un punto di vista formale, in quanto la
SOMSI si sarebbe dovuta comunque fare carico del pagamento integrale del
contributo minimo annuale di 6 lire. La direzione dell’ente nazionale di
previdenza sottolineò che sarebbero state quindi necessarie alcune modifiche
statutarie che sancissero in via definitiva l’impegno della Società, senza il quale
non poteva considerarsi ammissibile l’iscrizione collettiva.
La decisione di procedere in tempi rapidi all’adesione alla Cassa nazionale
di previdenza, evitando di consultare preventivamente tutti gli iscritti, non portò ai
risultati sperati da parte del consiglio. L’operazione fu approvata con il plauso
dell’assemblea il 29 aprile 1913256, ma la gran parte dei soci interessati
all’iscrizione non si dimostrò disponibile all’iniziativa né soprattutto a sostenere il
maggior esborso a proprio carico. Degli oltre duecento potenziali iscritti, solo 111
decisero di accettare le condizioni fissate dalla direzione del sodalizio,
impedendo, di fatto, di adottare i necessari provvedimenti di modifica dello
statuto per imporre l’iscrizione collettiva obbligatoria di tutti i soci con meno di
50 anni. Le ripetute insistenze della direzione per ottenere il consenso dei soci
dissenzienti non diedero alcun risultato. Tra i membri della dirigenza si diffuse
l’idea di adottare un provvedimento che rendesse obbligatorio il versamento di
quanto dovuto dai soci, pena la radiazione dalla Società257.
256 256
ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 5: Iscrizione dei soci alla Cassa
nazionale di Previdenza (1913), doc. Assemblea generale del 29 aprile 1913.
257
SOMSI, Resoconto generale della Società operaia di mutuo soccorso al 31 dicembre 1913.
Anno XLIII, Cividale 1914, pp. 4-5.
201
Lo scenario politico ed economico non permise nei successivi anni di
adottare tutti i provvedimenti necessari allo scopo, ma la Società fu anzi costretta
a usare particolare indulgenza con i propri soci che, a causa la crisi economica e
della diffusa disoccupazione, spesso si trovavano in difficoltà nell’adempiere ai
versamenti mensili258.
Durante la guerra la gestione dei soci iscritti proseguì non senza difficoltà e
solo grazie alla paziente opera del segretario della Società fu possibile aggiornare
periodicamente i libretti accreditandovi gli importi versati. Al termine del
conflitto fu poi realizzabile l’assegnazione ai soci dei premi di guerra stabiliti dai
decreti luogotenenziali a vantaggio degli iscritti e in particolare degli iscritti
appartenenti alle zone invase259. Nel 1919, a seguito della nova legge n. 609 del
21 aprile sull’assicurazione obbligatoria contro le malattie, la Cassa nazionale di
previdenza cambiò nome per assumere la denominazione di Cassa nazionale per le
assicurazioni sociali.
Nel corso del 1921 si predispose una serie di modifiche allo statuto per
porre rimedio alla mancata iscrizione di circa la metà dei soci aventi diritto. La
situazione che si era creata dava origine a un’anomala disuguaglianza nei diritti
dei soci, con non pochi inconvenienti dal lato pratico. Si propose quindi di
aumentare i contributi in ragione di 50 centesimi al mese a tutti i soci e socie,
mentre per i lavoratori già iscritti alla Cassa l’aumento fu di 1,8 lire l’anno260.
Inoltre si decise di proporre all’assemblea l’obbligo di iscrizione di tutti i soci di
età non superiore ai 50 anni alla Cassa: gli operai nel ruolo della mutualità, gli
altri in quello delle assicurazioni popolari261.
258
SOMSI, Resoconto generale della Società operaia di mutuo soccorso al 31 dicembre 1914.
Anno XLIV, Cividale 1915, p. 4.
259
SOMSI, Resoconto […]1919 cit., p. 7.
260
Gli aumenti delle quote di contributo, come anche dei sussidi temporanei per malattia, non
erano sufficienti a coprire l’aumento dei costi nel periodo bellico e postbellico. Per rendere la
dimensione del fenomeno, è sufficiente pensare che tra il 1914 e il 1919 i prezzi dei prodotti
agricoli aumentarono in Italia di 3,9 volte e che ben più grave era la situazione nelle regioni di
nord-est duramente colpite dal conflitto (LEONARDI, Dalla guerra cit., pp. 32-34).
261
SOMSI, Resoconto […]1920 cit., p. 9.
202
Le proposte avanzate dall’amministrazione della SOMSI furono accolte
dall’assemblea dei soci nel corso dell’adunanza del 14 luglio 1921 e
successivamente confermate con decreto dal tribunale di Udine nel dicembre262.
Nel titolo V dello statuto furono inserite tutte le modifiche necessarie, riguardanti
in particolar modo l’iscrizione alla Cassa nazionale per le assicurazioni sociali263.
La liquidazione della pensione era prevista a 65 anni, ma per chi da più di dieci
anni era iscritto all’ente era possibile richiedere l’anticipo al compimento del
sessantesimo anno. La liquidazione della pensione toglieva al socio il diritto a
percepire i contributi temporanei di malattia, con l’eccezione dei soci anziani e di
quelli non operai, ai quali si concedeva la possibilità di usufruirne al fine di
eliminare le eventuali disuguaglianze con i soci iscritti alla Cassa. Il fondo
pensioni fu riservato per liquidare i sussidi continui e l’esonero dalle
contribuzioni, ma, man mano che le uscite diminuivano a seguito dell’iscrizione
dei soci alla Cassa, era possibile destinare le entrate straordinarie e i redditi
patrimoniali del fondo al versamento di una quota aggiuntiva alla Cassa nazionale
per aumentare l’importo delle pensioni dei soci. A tale scopo si vincolavano
inoltre le elargizioni e i lasciti non finalizzati raccolti dalla Società.
262
SOMSI, Resoconto generale della Società operaia di mutuo soccorso al 31 dicembre 1921.
Anno LI, Cividale 1922, p. 4.
263
SOMSI, Statuto. Modificato dall’assemblea nella seduta del 14 luglio 1921. Entrato in vigore il
1° gennaio 1922, Cividale 1922, pp. 14-20.
203
CAPITOLO V
LE ALTRE ATTIVITÀ
1.
Primi tentativi di rimodellazione del settore creditizio a
Cividale
Una tra le iniziative maggiormente rilevanti assunte dalla Società di mutuo
soccorso riguardò la creazione della Banca popolare cooperativa di Cividale.
L’interessamento e le capacità di alcuni soci furono in grado di porre le basi per la
nascita dell’istituto che, nel corso degli anni, assunse sempre maggiore
importanza nel panorama economico della città, dotando l’economia cividalese di
una istituzione finanziaria in grado di offrire aiuto e soprattutto servizi al
commercio e all’artigianato. L’evoluzione del sistema bancario era stimolata da
dallo sviluppo economico e commerciale del distretto, il quale avrebbe potuto
decollare pienamente solo se sorretto da adeguate strutture creditizie. Come nel
caso della rivoluzione industriale in Inghilterra, l’espansione del volume del
commercio e il mutato sistema di produzione imposero la necessità di poter fruire
di soggetti finanziari in grado di assecondare le nuove e accresciute esigenze di
capitali di imprese ed artigiani264.
Scelto di costituire una banca era però necessario determinare che tipo di
istituto fondare. Questa valutazione non poteva a sua volta prescindere dalle
esigenze manifestate dalla popolazione e nei settori commerciali e produttivi della
città. I differenti tipi di banche realizzabili esaudivano in modi diversi le esigenze
dei propri clienti; le caratteristiche operative di ciascun istituto rispondevano alla
domanda di credito e di servizi della maggioranza dei propri clienti o soci. Il
dibattito sulla necessità di istituire nuove strutture creditizie a Cividale si
concentrò sul tema della veste giuridica e organizzativa dell’istituto e, di
264
G. BORELLI, Temi e problemi di storia economica europea, Verona 1993, pp. 397-409.
204
conseguenza, sul tipo di domanda da soddisfare. In questo senso s’innescò una
sorta di competizione tra i sostenitori delle diverse iniziative, nel tentativo di
affermare la maggiore congruità di un modello rispetto all’altro. Si ignorò un
aspetto molto importante, secondo cui, proprio in virtù delle differenti tipologie di
esercizio del credito e di clientela, era auspicabile che ogni potesse nascere e
svilupparsi nel più ampio interesse generale, soddisfacendo il maggior numero
possibile di persone. Le tesi a sostegno di questa possibilità sostenevano la
possibilità di costituire una molteplicità di banche a Cividale grazie all’esistenza
di un bacino territoriale sufficientemente vasto e di una popolazione abbastanza
numerosa ed eterogenea dal punto di vista delle condizioni economiche tali da
consentire la permanenza sul mercato di diversi istituti, che differenziando il loro
tipo di offerta avrebbero automaticamente selezionato la propria clientela265.
La presenza del solo Monte di Pietà, non era più sufficiente a soddisfare le
sempre più esigenti richieste degli operatori economici e dei piccoli risparmiatori.
Questi istituti, nati già nel Quattrocento, offrivano credito su pegno alle classi
meno abbienti, contribuendo a dare breve giovamento alle famiglie che così
potevano evitare di ricorrere ai prestiti dei privati, offerti a condizioni spesso
insostenibili In questo clima, nel periodo compreso tra il 1884 e il 1887, si svolse
a Cividale un lungo dibattito sulle istituzioni di credito. A proporre elementi di
discussione contribuì in modo rilevante anche la stampa locale, che nel corso di
quegli anni pubblicizzò diffusamente le tematiche legate al credito, accogliendo le
posizioni di diverse scuole di pensiero.
In un primo momento l’attenzione si rivolse a quella tipologia di istituti di
credito chiamati Casse di prestiti. Queste istituzioni furono a lungo caldeggiate
come utili strumenti per la lotta all’usura, piaga sempre più diffusa tra i contadini
e gli artigiani. Le casse cooperative di credito presentavano caratteristiche che
facilmente potevano riscontrare l’interesse dei piccoli risparmiatori e dalle classi
sociali più deboli. I contadini, i piccoli possidenti, i fittavoli, mancando della
possibilità di costituire garanzie basate sull’accumulazione di capitali, fondavano
la loro capacità di ottenere credito sulla responsabilità collettiva illimitata per le
265
A. FORNASIN, La formazione di un sistema bancario locale. Cividale 1886–1911, in Cividât,
Udine 1999, pp. 376-377.
205
obbligazioni contratte: il consorzio tra i soci avrebbe garantito il creditore per le
somme concesse e, allo stesso tempo avrebbe permesso a tutti i soci di fruire di
finanziamenti per la propria attività a tassi e condizioni più favorevoli266. Queste
caratteristiche rendevano fruibile il credito solo a coloro che si impegnavano a
diventarne soci e a rispettarne le regole, poiché condizioni imprescindibili per la
corretta gestione di istituti di questo genere era l’onestà, la responsabilità e la
puntualità con cui venivano espletate le operazioni di rientro del credito. Il vincolo
solidale illimitato aveva la funzione di costituire una mutua assicurazione tra i
soci e verso i creditori esterni. Il naturale contrappeso alla responsabilità illimitata
dei soci era il diritto e il dovere degli stessi di vigilare sulla condotta altrui: era
facoltà di ogni iscritto sindacare sull’uso del prestito da parte del socio e riferire
eventualmente sulle mutate condizioni economiche, dando l’opportunità alla
Cassa di prevenire eventuali condizioni di difficoltà in un momento successivo.
Per queste caratteristiche le casse cooperative non potevano che assumere un
ambito d’azione molto ristretto (parrocchia, comune o frazione) e non potevano
che accogliere soci conosciuti e sulla cui moralità e affidabilità vi era diffusa
positività di giudizio267. Per tali ragioni la presa di queste banche trovava maggiori
opportunità nelle piccole comunità agrarie, dove anche il vincolo di solidarietà e
la fiducia tra i lavoratori erano molto più saldi.
La sviluppo di questi istituti di credito fu sostenuta in particolar modo da
parte dell’Associazione agraria friulana e a Cividale dal conte Marzio De Portis,
presidente del Comizio agrario della città. Fu per sua volontà che si svolse a
Cividale una conferenza sul tema delle casse cooperative a cui partecipò il
principale ideatore di queste istituzioni in Italia, Leone Wollemborg268. La
presenza dell’illustre economista aveva lo scopo di dare maggior slancio alla
diffusione degli istituti di credito nelle città e nelle campagne, offrendo la
possibilità ai cittadini più incerti di chiarire eventuali dubbi sulla concreta
266
L. WOLLEMBORG, La definizione delle casse di prestiti, «Forumjulii», 7 marzo 1885.
267
WOLLEMBORG, Repetita Juvant, «Forumjulii», 21 marzo 1885.
268
Casse Cooperative, «Bullettino dell’Associazione agraria friulana», I, n. 9, (1884), pp. 135.
206
attuazione di queste iniziative269. Gli sforzi diretti a sostenere questo progetto
proseguirono per lungo tempo, ma nonostante l’incalzante campagna informativa,
vi erano alcuni aspetti che fungevano da freno allo svolgimento e alla nascita di
casse sul modello Raiffeisen, primo tra tutti quello legato alla questione della
responsabilità illimitata dei soci, come lo stesso Wollemborg ebbe modo di
sottolineare270.
Una ulteriore iniziativa nel campo del credito consistette nel progetto di
affiancare al Monte di Pietà una cassa di risparmio, istituto che avrebbe permesso
di offrire nuove prospettive specie nel campo del credito a medio lungo termine,
settore questo in cui scarso era l’apporto offerto dal Monte271. La cassa di
risparmio avrebbe potuto offrire delle risposte concrete al settore agrario anche se,
a differenza delle casse cooperative, si sarebbe rivolta a una clientela formata da
grandi e medi proprietari terrieri in grado di offrire prevalentemente garanzie reali
sui prestiti ricevuti272. Anche questo tentativo non ebbe buon esito dimostrando
come fosse difficile, sia da un punto di vista culturale che di coinvolgimento
concreto degli attori economici, adottare dei provvedimenti di rilievo nel settore
del credito e del risparmio.
269
Lo stesso De Portis riferì circa l’esito della conferenza: “L’esimio conferenziere si dimostrò
elegante oratore, ed uomo che, convinto dell’importanza e della pratica utilità delle casse
cooperative da lui propugnate, ne assunse l’apostolato con entusiasmo ed assoluto disinteresse.
Dopo la conferenza ci fu un pranzo offerto da vari cittadini durante il quale il dott. Wollemborg
ebbe modo di esporre più praticamente le sue idee e ribattere le obiezioni” (Conferenza a Cividale,
«Bullettino dell’Associazione agraria friulana», I, n. 11, 1884, p. 154).
270
Casse Raffeisen. Una conversazione con il dottor Wollemborg, «Bullettino dell’Associazione
agraria friulana», I, n. 22 (1884), pp. 298-300.
271
Gli stessi amministratori della Banca cooperativa sottolinearono l’incapacità del Monte di pietà
di muovere decisi passi avanti nel progresso economico e bancario, mantenendo la sua
connotazione di istituto di beneficenza pur senza averne le caratteristiche (Banca cooperativa di
Cividale. Storia dei suoi venticinque anni, Cividale 1912, p. 22).
272
FORNASIN, La formazione di un sistema cit., p. 377.
207
2.
Le origini della Banca popolare cooperativa di Cividale.
I tentativi infruttuosi compiuti da più parti per istituire una banca a Cividale
furono superati nel corso del 1886. L’allora presidente della Società, Lorenzo
Gabrici, nella seduta del 2 marzo, inserì tra i punti all’ordine del giorno la
discussione sulla possibilità di costituire una commissione e un comitato
promotore per giungere in tempi rapidi all’apertura di un nuovo istituto di credito
nella città273. Le pressioni che arrivavano sia dagli ambienti esterni che da quelli
interni al sodalizio, chiedevano con sempre maggiore insistenza che la SOMSI
raccogliesse l’invito e utilizzasse le proprie forze per formare ad un gruppo di
cittadini in grado di superare lo stallo in cui si trovava il sistema creditizio
cividalese e affrontasse la sfida lanciata da alcuni imprenditori e artigiani274.
Compito principale della commissione sarebbe stato di verificare quale
forma di banca meglio si sarebbe adattata alla realtà cividalese e alle esigenze dei
soci della Società. Per questo scopo era necessario che il consiglio nominasse
cinque persone competenti in materia alle quali affidare lo studio del problema, le
quali avrebbero dovuto poi rimettere le proprie conclusioni con relazione scritta al
consiglio stesso. Si aprì così una discussione che vide coinvolti i consiglieri Moro,
D’Orlandi, Bellina e Strazzolini, conclusasi con l’accettazione della proposta del
presidente, alla quale fu però aggiunto il vincolo per cui in nessun modo
l’iniziativa intaccasse il patrimonio della Società275. La proposta così formulata fu
273
ASC, Cart. 49: Pratiche diverse 1886-1917, fasc. 1: Fondazione della Banca cooperativa
(1886), doc. Verbale del consiglio sociale 2 marzo 1886.
274
Sulla stampa locale comparvero nel corso del 1886 diversi interventi di cittadini cividalesi che
chiedevano alla Società operaia di seguire l’esempio della consorella udinese, facendosi
promotrice di una banca cooperativa. In particolare ci si riferì al capitale versato dalla SOMSI
presso altre banche e dal quale si riceveva un interesse in ogni caso modesto (il capitale di 14.000
lire versato presso la Cassa di risparmio di Udine fruttava il 3,5 per cento) che, se investito nella
banca, avrebbe portato un maggior rendimento ed una importante dotazione iniziale per l’istituto
(Istituzione d’una banca cooperativa, «Forumjulii», 30 gennaio 1886).
275
In questo settore si assistette alla costituzione di proprie casse di depositi e prestiti o alla nascita
di nuove banche. In alcuni casi si assistette anche ad una sorta di collaborazione mediante accordi
tra le SMS e alcune banche popolari. In particolare le banche in cambio del versamento della cassa
o dei fondi raccolti per l’attività mutualistica, garantivano ai membri dei sodalizi la possibilità di
208
accettata e votata all’unanimità. Nella stessa seduta si procede anche alla nomina
della commissione di studio. La nomina dei membri della commissione avvenne
per scheda segreta riportò i seguenti risultati: dodici voti andarono a Giacomo
Gabrici, nove ad Antonio Piccoli e a Luigi Coceani, otto a Giuseppe Vuga e infine
sette a Giulio Trevisan.
L’esplicita richiesta fatta da alcuni consiglieri voleva evitare che la Società
operaia assumesse in proprio i rischi eventualmente derivanti da questa
operazione e soprattutto voleva evitare che si costituissero delle banche d’onore,
istituti di cui diversi anni prima si erano si erano fatti sostenitori esponenti di
spicco del settore del credito tra cui il Luzzatti. Questi banchi nascevano
internamente alle società di mutuo soccorso e distribuivano prestiti ai propri soci
in conformità a un rapporto esclusivamente fiduciario, in cui il socio si impegnava
a restituire le somme ricevute nei tempi debiti pena l’esclusione dai benefici che la
società concedeva ai propri iscritti276. Nel progetto iniziale di queste casse prestiti
vi era l’obiettivo di educare l’operaio e l’artigiano al credito e al risparmio, aspetti
questi utili per creare un sistema bancario solido ed equo, in cui clienti e soci delle
istituzioni fossero responsabili delle proprie scelte.
Nel caso della banca di sconto deposito e prestiti che si andava delineando a
Cividale questo tipo di problema non si poneva: i tempi erano sufficientemente
maturi per consentire la creazione di una banca in cui ciascuno partecipasse con il
proprio apporto, svincolata almeno formalmente dall’istituzione mutualistica da
cui si originava. Questo aspetto fu rimarcato anche in una serie di interventi sul
tema delle banche popolari susseguitisi sul periodico locale Forumjulii277.:
ottenere prestiti anche qualora non fossero soci della banca. (ZANGHERI, Il seme del mutuo
soccorso, in ZANGHERI-GALASSO-CASTRONOVO, Storia del movimento cooperativo in Italia 18861986, Torino 1987, pp. 29-30).
276
L. LUZZATTI, La diffusione del credito e le banche popolari, a cura di P. PECORARI, Venezia
1997, pp. 108-117.
277
Tra il 6 marzo e il 10 aprile (esattamente il periodo intercorso tra la nomina della commissione
di studio, 2 marzo, e la presentazione della relazione, 11aprile) furono pubblicati quattro articoli
sulle banche popolari cooperative che illustravano alla cittadinanza le caratteristiche delle banche
popolari e le ragioni per cui meglio si prestavano a soddisfare le esigenze della realtà locale.
209
Non comprende il concetto delle banche popolari chi vuol costruirle nel seno delle
società di mutuo soccorso e con i capitali forniti dalle stesse; o chi crede ufficio
dei municipi o di altri corpi morali il fondarle. Certo che le società di mutuo
soccorso, le società cooperative e le banche popolari possono avere l’una sull’altra
un’influenza assai benefica; ma questo non vuol dire che le società di mutuo
soccorso debbano avventurare il loro capitale in operazioni di credito; ne che la
banca debba confondersi con un istituto di beneficenza278.
La funzione di questi articoli doveva essere quella di illustrare, in modo
semplice e chiaro, quelle che erano le caratteristiche delle banche popolari,
affrontando gli aspetti caratteristici di questi istituti e cercando di far capire ai
lettori in che modo superare i problemi che fino a quel momento avevano reso
impossibile la creazione di una banca locale. Uno dei principali problemi
consisteva nella responsabilità dei soci. Se le casse cooperative del Wollemborg
non riuscivano a decollare, la ragione risiedeva anche nella responsabilità
illimitata che ciascun socio si accollava aderendo al sodalizio. Nelle banche
popolari il problema delle garanzie fu risolto introducendo una responsabilità
limitata al solo capitale versato. In questo le Banche polari italiane differivano dal
modello tedesco dello Schulze, secondo cui gli istituti dovevano rispondere delle
proprie obbligazioni garantendo con l’intero patrimonio dei soci. Il modello
tedesco, dove gli artigiani e i piccoli negozianti potevano autonomamente istituire
una banca, non era però riproducibile in Italia: la condizione degli artieri e dei
piccoli imprenditori italiani non permetteva di riunire sufficienti capitali, compito
questo cui avrebbero dovuto provvedere uomini più colti ed agiati. Ma per contro
quest’ultima categoria di cittadini non avrebbe mai aderito ad una società in cui
rischiavano di dissolvere il loro intero patrimonio: la responsabilità limitata era
pertanto un elemento necessario ed imprescindibile per poter permettere anche la
partecipazione di queste persone e dei loro capitali all’azienda279. La limitazione
della responsabilità dei soci doveva essere compensata dalla costituzione di fondi
patrimoniali che garantissero i creditori dell’istituto: per questo motivo, specie
278
Le banche popolari cooperative, «Forumjulii», 20 marzo 1886.
279
Ibid..
210
nella fase d’impianto le banche avrebbero dovuto operare nel rispetto del principio
secondo cui il compito principale doveva essere quello della concessione del
credito e non della distribuzione di dividendi. In questo modo gli utili fruttati dalla
gestione avrebbero dovuto confluire nei fondi di riserva nella misura del 20 per
cento l’anno, fino al raggiungimento di un ammontare proporzionalmente
considerevole rispetto al capitale sociale280.
Se da un lato si poneva l’accento sull’indipendenza formale della Banca
dalla Società operaia, dall’altro lato non si poteva fare a meno di notare come
entrambe le istituzioni fossero legate da uno spirito comune. La Società, educando
i propri membri a compiere sacrifici per costruire le condizioni necessarie ad
affrontare le malattie e la vecchiaia, riproduceva la stessa idea che fondava le
banche popolari: il prestito era il compenso del capitale accumulato sotto forma di
azione281. Nella banca popolare mutua i clienti stessi erano anche i proprietari; le
quote sociali raccolte con il versamento integrale dell’azione o con piccole
contribuzioni rateali, oltre a rappresentare il credito del socio verso la banca
costituivano anche la quota di partecipazione agli utili e, soprattutto, il capitale
sociale, in altre parole la garanzia grazie alla quale il socio stesso può accedere al
credito. E come nella Società operaia anche nella Banca cooperativa alle garanzie
materiali si associavano quelle morali: l’ammissione del socio sarebbe dovuta
avvenire solo su presentazione di altri due soci che ne avrebbero dovuto attestare
le virtù morali282. Nelle brevi parole dello Schulze, riportate in un articolo, era
possibile trovare l’essenza che accomunava sia il mutuo soccorso che le banche
popolari:
Se una banca vuole avere un avvenire durevole abbia cura di respingere la più
lontana apparenza di istituto di beneficenza; chè la sua missione non consiste già
nel distribuire soccorsi agli indigenti, ma nel proteggere contro l’indigenza: non è
un ospizio di incurabili, ma un istituto d’igiene economica283.
280
Ibid..
281
Le banche popolari cooperative, «Forumjulii», 6 marzo 1886.
282
Le banche popolari cooperative, «Forumjulii», 13 marzo 1886.
283
Ibid..
211
Le obiezioni che furono fatte a questo tipo di istituzione rimarcavano
l’impossibilità da parte di queste istituzioni di credito di far fronte ai bisogni delle
persone più deboli, in grado di provvedere con i propri guadagni ai soli bisogni
più urgenti. La scelta della banca popolare era consapevolmente distante dalle
esigenze della classe sociale più povera:
E’ vero: le banche popolari non possono elargire il credito ai miseri, e non
vogliono farlo; perché i miseri non hanno duopo di reddito né sanno apprezzarne i
vantaggi. Esso non servirebbe loro a produrre, sì bene a consumare284
La scelta di costituire una banca cooperativa da parte della Società operaia si
legò anche a quest’ultimo aspetto. Fu intenzione del consiglio di amministrazione
della SOMSI agevolare la concessione del credito a quelle persone che in gran
parte ne costituivano la base sociale (artigiani, piccoli negozianti, proprietari di
imprese minori) che dal credito avrebbero tratto non benefici personali ma per la
propria attività economica. La banca popolare si prefigurava, nel suo progetto
primitivo, come strumento più utile alle imprese e al commercio che al bracciante
agricolo ed era pertanto naturale che trovasse all’interno della Società operaia
terreno particolarmente fertile per progredire.
La commissione incaricata di prendere gli opportuni provvedimenti per la
fondazione dell’istituto, svolse le pratiche per ottenere la consulenza diretta
dell’on. Luzzatti, che in materia era considerato la persona più competente,
essendo stato a lungo studioso e poi promotore delle banche popolari in Italia285.
La commissione, terminato il lavoro, procedette a redigere la relazione
contenente i risultati degli studi e le considerazioni svolte tra i suoi membri e che
ricalcavano quanto sopra espresso:
La commissione sottoscritta nominata da codesta spettabile rappresentanza della
Società operaia per studiare e proporre qual sistema di banca che meglio possa
284
Ibid..
285
Banca, «Forumjulii», 27 marzo 1886.
212
corrispondere alle locali condizioni economiche e commerciali, e nell’intento
precipuo che detta banca non riconosca altro scopo che quello di una ben intesa
previdenza, ha ritenuto conveniente fermare l’attenzione su quegli istituti di
credito popolari e cooperativi che con tanto successo si diffusero in Italia, su
esempio della Germania mercè la solerte ed indefessa opera dell’Illustrissimo
deputato Luzzatti. Nello studio per l’inizio di una azienda qualsiasi e mestieri anzi
tutto volgere il pensiero ai mezzi di cui si potrà all’occorrenza disporre, nonché
alla relazione fra gli stessi e i conseguenti bisogni. E siccome nel nostro Paese i
bisogni non sono tali da reclamare fino dalla fondazione della Banca un capitale
cospicuo, ne facile riuscirebbe, anche volendo di costituirlo, per tale guisa la
Commissione credette di escludere (a priori) la proposta di una Banca per azioni
al portatore; essa non appena fondata dovrebbe dare di necessità i suoi fondi, onde
poter corrispondere non soltanto l’interesse del capitale all’azionista, ma semmai
possibilmente un lauto dividendo, senza di che tali istituti, che si reggono più
specialmente per il lucro che ne deriva che per lo scopo santo del bene comune,
difficilmente troverebbero ragione d’esistere. Trovò egualmente di escludere
l’altro sistema di banche popolari, come quelle del Wollemborg, tenuto conto del
volume d’affari abbastanza rilevante di questa città, e più specialmente
dell’essenzialissima condizione della responsabilità illimitata richiesta da quella
forma di sodalizio. La qual cosa è possibilisima nei paesi di campagna ove prestiti
vengono fatti di frequenza su pegni di prodotti agricoli e della stalla, anziché su
cambiali allo sconto. Il più adatto ed al pari tempo il più pratico sistema di Banca
Popolare in relazione alle condizioni locali, giova ripeterlo, è quello della
cooperativa. In essa troviamo e lo scopo cui mirasi e la facilità di conseguirlo.
Imperocchè, qualunque sarà il numero dei consociati e con qualunque somma, se
non difetterà la costanza e il buon volere, come vedemmo sorgere e prosperare la
Società Operaja che oggidì può darsi modello, di tale guisa in brevissimo tempo si
potrà vedere fiorire al suo fianco una istituzione sorella, che tornar deve di vitale
interesse al progresso economico della classe lavoratrice286.
286
ASC, Cart. 49: Pratiche diverse 1886-1917, fasc. 1: Fondazione della Banca cooperativa
(1886), doc. Relazione della commissione incaricata degli studi per la formazione di un istituto di
credito.
213
La commissione esposta la relazione al consiglio, si occupò di redigere lo
statuto, sfruttando a tal proposito il manuale del Levi nel quale erano contenute le
disposizioni tecniche operative e tutte le istruzioni per procedere alla fase
d’impianto della banca287.
Sebbene il programma per la sottoscrizione e lo statuto fossero già pronti
nei primi giorni di maggio, la commissione promotrice ritardò volutamente
l’inizio delle operazioni per permettere che si svolgessero le elezioni comunali,
che portarono alla nomina a sindaco della città di Giacomo Gabrici, uno dei
promotori della banca.
Nei primi giorni del mese di giugno fu pubblicato per conto della banca il
programma per la sottoscrizione e un breve stralcio dello statuto. L’incarico di
raccogliere le sottoscrizioni fu affidato a Gabrici, il quale una volta radunate un
numero sufficiente di adesioni avrebbe dovuto convocare l’assemblea secondo le
disposizioni contenute nel codice di commercio e presiederne i lavori. Lo statuto
prevedeva la possibilità per la banca di svolgere operazioni di prestito e sconto, di
credito agrario, di sovvenzioni contro pegno, di conti correnti, di prestiti
sull’onore e di custodia di denaro. Tutto ciò si sarebbe potuto effettuare solo nei
confronti dei soci, che sarebbero stati anche gli unici beneficiari degli utili. La
forma giuridica prescelta era quella della società anonima cooperativa di credito a
responsabilità limitata. Il costo di ogni singola azione era di 25 lire, pagabili anche
in rate mensili, e nessuno dei sottoscrittori poteva acquistarne più di cinquanta288.
Nel mese di luglio si concluse la sottoscrizione, raggiungendo il doppio
delle azioni prescritte dallo statuto. Fu pertanto possibile convocare tutti gli
azionisti per la definitiva costituzione della banca e per la nomina delle cariche
sociali. La commissione a tal proposito raccomandava a tutti i sottoscrittori di
orientare la propria scelta verso persone di indubbia onesta e capacità poiché
sarebbe dipesa principalmente da loro la prosperità della banca.
Il 22 luglio, presso la sede della Società operaia, si svolse l’assemblea dei nuovi azionisti
della banca in cui si sarebbe dovuto provvedere alla sottoscrizione da parte dei soci dell’atto
287
Ibid..
288
Banca cooperativa. Programma per la sottoscrizione, «Forumjulii», 5 giugno 1886.
214
costitutivo e alla nomina della direzione. Gabrici, data breve illustrazione circa i vantaggi e
l’organizzazione dell’istituzione, diede il via alle operazioni per la nomina dei consiglieri. A
questo proposito vi fu chi, ritenendo di non avere ancora sufficienti informazioni e conoscenze
sugli azionisti, esortò il presidente dell’assemblea a rinviare ad altra data l’elezione degli organi
sociali. Il desiderio di vedere al più presto operativa la banca fece prevalere l’idea di procedere
subito alla nomina dei membri della direzione. Risultarono eletti alla carica di consiglieri i soci
Giulio Trevisan, Felice Moro, Alberto D’Orlandi, Ernesto Paciani, Giuseppe Vuga e Luigi Gabrici,
vicepresidente Gio.Batta Angeli e presidente Luigi Carbonaro.
Gli azionisti firmarono quindi l’atto costitutivo redatto dal notaio Barcelli e
l’assemblea si sciolse affidando ai neo eletti membri della direzione il compito di
ultimare le pratiche stabilite dalla legge per mettere in grado la banca di
funzionare regolarmente289.
Le pratiche per la costituzione della Banca si conclusero già nel mese di
settembre ma la concreta operatività fu impedita da uno spiacevole inconveniente
verificatosi in sede di elezione dei consiglieri. Lo statuto (in conformità con il
codice di commercio) prevedeva per l’elezione dei membri del consiglio la
maggioranza assoluta delle preferenze espresse dall’assemblea. In conformità a
questo disposto non erano stati legalmente eletti, e pertanto presentarono le
dimissioni, i consiglieri Paciani, Piccoli e Gabrici, il vice presidente Angeli e il
presidente Carbonaro290. Per tale ragione la direzione dimissionaria auspicava che
tra i soci fossero presi opportuni accordi, al fine di evitare che un simile evento si
potesse ripetere. L’assemblea degli azionisti convocata per il 17 ottobre rielesse
presidente Carbonaro e consigliere il dott. Piccoli mentre, prevalse per la carica di
vice presidente Lucio Coren. I rimanenti due soci che ottennero più voti furono
Gaetano Deganutti e Luigi Coceani, ma di questi solo il primo fu eletto con la
maggioranza assoluta dei 59 azionisti intervenuti. Per il Coceani fu necessaria una
successiva seduta assembleare svoltasi in data 24 ottobre291.
L’attività della Banca poteva finalmente prendere il via, essendo finalmente
legittimati tutti i membri della rappresentanza sociale. Il consiglio procedette alla
nomina dei sindaci (Zanuttini Felice e Morgante Ruggero) e del segretario
289
Banca cooperativa, «Forumjulii», 31 luglio 1886.
290
Banca cooperativa, «Forumjulii», 25 settembre 1886.
291
Banca cooperativa, «Forumjulii», 23 ottobre 1886.
215
(Trevisan Gulio) e convocò una assemblea straordinaria in per il 28 di novembre
in cui nominare i componenti del comitato di sconto e il comitato dei probiviri292.
In quella stessa sede, fu conferito l’incarico al presidente di effettuare le
necessarie valutazioni e proporre al consiglio un nominativo cui affidare la carica
di direttore dell’istituto. Per i locali si trovò sistemazione al piano terra del
palazzo che ospitava i regi uffici in Piazza Plebiscito, dove precedentemente
aveva sede la tipografia Fulvio.
Il giorno 17 gennaio 1887, il presidente della Banca convocò tutti i titolari
delle cariche sociali per fare conoscenza con il nuovo direttore dell’istituto. Il
delicato incarico di guidare la società nei suoi primi passi fu affidato a Giovanni
Bolzoni, descritto come un simpatico padovano, formatosi una diffusa conoscenza
sulle banche cooperative grazie al servizio prestato per diversi anni preso
l’analogo istituto di Padova. Il nuovo direttore, presentandosi, promise a tutti gli
intervenuti di impegnarsi il più possibile per permettere alla Banca di ottenere i
migliori risultati in tempi brevi. Si impegnò inoltre affinché i servizi del nuovo
istituto di credito fossero offerti ai soci a partire già dal primo febbraio. A tale
scopo, di comune accordo con il consiglio di amministrazione, fu predisposto uno
schema operativo della Banca, in cui si individuarono le operazioni da svolgersi
sia con i soci che con gli esterni e fissando il tasso d’interesse sulle operazioni293:
Operazioni con soli soci:
a.
Concessione di prestiti e sconto di cambiali, warrants, note di lavoro,
mandati di pubbliche amministrazioni e buoni del Tesoro, delle province e
dei comuni.
b.
Apertura di conti correnti previa malleveria da parte di due o più persone di
fiducia o di garanzie reali;
c.
Credito agrario
Operazioni con soci e con estranei:
1.
Sovvenzioni con pegni di effetti pubblici;
2.
Servizio di cassa per conto altrui;
3.
Custodia e amministrazione dei valori;
292
Banca cooperativa, «Forumjulii», 6 novembre 1886.
293
Banca cooperativa di Cividale, «Forumjulii», 22 gennaio 1887.
216
4.
Prestiti sull’onore
La banca si impegnava a ricevere, da soci e non, somme in deposito a conto
corrente, a risparmio, a piccolo risparmio e a scadenza fissa con buoni fruttiferi.
Inoltre avrebbe pagato gli assegni emessi a suo carico da altre piazze ed avrebbe
emesso assegni verso provvigione su quelle piazze nelle quali disponeva di
corrispondenti.
I tassi di interesse applicatati alle operazioni attive e passive erano i
seguenti:
Prestiti e sconto di cambiali:
6 per cento per quelli a scadenza fino a 3 mesi;
6,25 per cento per quelli tra 3 e 4 mesi;
6,75 per cento su quelli compresi tra 4 e 6 mesi;
da 6 al 6,75 per cento per le sovvenzioni contro pegno di effetti pubblici.
Per i depositi di denaro:
3,75 per cento sui conti correnti;
4 per cento sui depositi a risparmio e a piccolo risparmio;
4 per cento sui depositi a scadenza fissa con buoni fruttiferi a 6 mesi;
4,5 per cento per i depositi a 12 mesi.
Gli uffici rimanevano aperti dalle 9 del mattino fino alle 3 pomeridiane nei
giorni feriali, mentre dalle 9 alle 12 nei giorni festivi. Le operazioni di sconto e
sovvenzioni si svolgevano però solo nei giorni di martedì, giovedì e sabato di
ciascuna settimana294.
Rispettando gli auspici del direttore della Banca, il primo febbraio l’istituto
aprì i suoi sportelli ed iniziò a svolgere la propria importante opera di sostegno nel
campo della fornitura di capitali e servizi sia alle attività economiche che alle
famiglie del Cividalese.
294
Banca cooperativa, «Forumjulii», 5 febbraio 1887.
217
3.
La composizione societaria e i membri della SOMSI
all’interno della Banca cooperativa
La Società operaia oltre a rendersi promotrice della Banca, contribuì alla
nascita dell’istituto grazie all’apporto di numerosi soci che sottoscrissero il
capitale sociale al momento della costituzione. Il prezzo delle azioni (25 lire) non
costituiva un incentivo all’iscrizione dei soci operai, ma ciò nonostante, su 134
sottoscrittori iniziali ben 70 appartenevano alla Società. Non solo: su 1261 azioni
681 erano state acquistate da membri del sodalizio295. La Società operaia
controllava, indirettamente per il tramite dei propri soci, più della metà del
capitale sociale e dell’assemblea dei soci. Il controllo era chiaramente solo
teorico, in quanto la SOMSI non poteva godere di alcun controllo diretto sulle
scelte della Banca, ma nonostante ciò, questa posizione di preminenza, garantiva
un rapporto privilegiato tra le due istituzioni. In realtà il grado di controllo della
Società operaia sulla Banca era da ricercare non tanto nell’ammontare del capitale
detenuto dai soci di entrambe le istituzioni ma nella composizione degli organi
sociali della Banca.
Fino al 1905 la componente di membri della SOMSI interna al consiglio di
amministrazione dell’istituto di credito fu abbastanza nutrita. Tutti gli
amministratori in oggetto ricoprirono ruoli di spicco anche internamente alla
Società, chi esercitando cariche di consigliere chi addirittura di presidente del
sodalizio. Questo evidenziava il forte legame tra le due istituzioni che si concretò,
fino al 1906, con rapporti commerciali rilevanti. In fase di costituzione e nei primi
anni di vita, il contributo dei depositi effettuati da parte del sodalizio aiutò in
modo importante lo sviluppo dell’istituto di credito296. Nel 1901, a distanza di
diversi anni dalla fondazione, i fondi della Società presso la Banca cooperativa
ammontavano al 6,5 per cento del totale dei depositi297.
295
I dati sono stati ottenuti confrontando l’elenco dei sottoscrittori delle azioni al primo febbraio
1887 e l’elenco dei soci della SOMSI al 31 dicembre 1886 (BANCA POPOLARE DI CIVIDALE,
Inaugurazione nuova sede, Cividale 1974; SOMSI, Resoconto […] 1886, pp. 11-14).
296
Nel 1889 dei fondi della SOMSI presso la Banca ammontava al 16,2 per cento del totale dei
depositi (Storia dei suoi cit., p. 29).
297
Ibid., p.29.
218
Tabella 30. Cariche, durata e professioni dei soci della SOMSI
all’interno della Banca cooperativa (1886-1905)
Carica
Presidenti
Carbonaro Luigi
Morgante Ruggero
Consiglieri
Deganutti Gaetano
Piccoli Antonio
Trevisan Giulio
Moro Felice
Podrecca Giulio
Gabrici Luigi
Vuga Gio. Batta
Strazzolini Feliciano
Gabrici Lorenzo
Caneva Giuseppe
Angeli Gio. Batta
Periodo
Professione
1886-1887
1889-1904
possidente
regio subeconomo
1886-1887; 1901-1905
negoziante
1886-1891
negoziante
1886-1902
agente di commercio
1886-1905
farmacista
1887-1888
farmacista
1888-1892
industriale
1889-1903
possidente
1890-1905
libraio
1892-1894
negoziante
1896-1905
negoziante
1903-1905
negoziante
Direttori
Morgante Ruggero
1890-1905
regio subeconomo
Vice direttore
Moro Felice
1890-1905
farmacista
Fonte: Banca cooperativa. Storia cit., pp. 19-20.
Tra le famiglie più interessate all’iniziativa vi fu quella Zampari che,
dividendosi la quota massima di 50 azioni pro capite possedeva complessivamente
300 quote, pari a circa il 24 per cento del capitale sociale. Tra gli altri soci che
sottoscrissero il valore massimo di azioni vi furono Gio. Batta Angeli
(negoziante), Luigi Bront (negoziante), Luigi Carbonaro (possidente), la ditta
Piccoli, i fratelli Vuga (possidenti) e la famiglia Craigher. Complessivamente
questi soci detenevano la metà circa dell’intero capitale sociale (650 azioni su
1261). All’interno del consiglio non erano dunque presenti rappresentanti della
Società appartenenti alle classi lavoratrici più deboli. Ciò era dovuto alla difficoltà
di sottoscrivere le azioni del capitale sociale da parte soci meno abbienti e alla
necessità di inserire nell’organo di governo della Banca persone competenti in
materia creditizia. Nonostante questo aspetto la distribuzione del capitale sociale e
la presenza de piccoli risparmiatori crebbe con il passare del tempo, come
219
dimostra l’andamento del rapporto tra numero dei soci e numero delle azioni
emesse.
4.
Inizio e sviluppo dell’attività della Banca cooperativa
L’andamento dell’attività nei primi mesi superò le più rosee aspettative
anche degli stessi promotori. Essi tuttavia lamentavano ancora una scarsa
informazione tra i cittadini sul funzionamento dell’istituto e affermavano il ruolo
di “servizio pubblico” che la Banca si proponeva di svolgere, aperta a tutti coloro
che ne avrebbero voluto fruire. L’iscrizione preventiva nel ruolo dei soci non
costituiva elemento essenziale per accedere ai servizi bancari: sarebbe stato
comunque possibile sottoscrivere le azioni anche contestualmente alla richiesta di
qualunque operazione. Le condizioni praticate sull’attività di sconto erano le
stesse adottate da altre banche, mentre l’interesse sui depositi era superiore a
quello offerto dalle Casse di risparmio postale. Il direttore era quindi fiducioso di
assistere ad una crescita in brevissimo tempo dell’azienda che sarebbe diventata
nel giro di pochi anni il termometro reale dell’andamento della vita economica del
Cividalese298.
Il secondo mese di attività confermò l’andamento e il giro d’affari
complessivo salì a oltre 110.000 lire299.
Il primo anno d’esercizio si chiuse con un pareggio di bilancio ma ciò
nonostante il movimento generale raggiunse la cifra di 1.580.331 lire300. L’attività
della Banca proseguì nel corso degli anni segnando una crescita continua sotto
molti punti di vista. Il patrimonio sociale crebbe costantemente ma ciò fu più che
altro dovuto alla crescita costante e sostanziosa del fondo di riserva. Il capitale
sociale crebbe con molta meno rapidità principalmente a causa degli errori
commessi dai soci circa la valutazione del valore dell’azione.
Tabella 31. Situazione mensile dei conti della Banca cooperativa al 28
febbraio 1887
298
Banca cooperativa di Cividale, «Forumjulii», 5 marzo 1887.
299
Banca cooperativa, «Forumjulii», 9 aprile 1887.
300
Banca cooperativa. Storia cit., p. 35.
220
Attivo
Numerario in cassa
Passivo
2.697,68 Capitale sottoscritto
Cambiali in portafoglio
17.181,00 Fondo di riserva
Anticipazioni sopra
pegno
Conti correnti diversi
Depositi liberi e a
risparmio
17.513,80 Depositi a cauzione
Depositi a cauzione
75,00
5.240,00 Creditori diversi
Spese d'esercizio
Conti correnti con
1.069,75
mallevaria
Conti correnti con
1,00
banche
Rendite e profiti
21.140,00
dell'esercizio
554,43
Totale
65.472,66 Totale
Mobili e spese
d'impianto
Debitori diversi
Debitori azioni
31.525,00
2,00
25.600,00
5.240,00
35,96
2.500,00
430,00
139,70
65.472,66
Fonte: «Forumjulii», 5 marzo 1887
Accadeva spesso che i soci, bisognosi di realizzare l’investimento,
vendessero le proprie azioni ad un prezzo prossimo al nominale, notevolmente
inferiore al valore reale dell’azione. In questo modo si frenava l’emissione di
nuove azioni, favorendo la circolazione di quelle già esistenti. Con la riforma
dello statuto del 1906, la banca introdusse la remunerazione degli azionisti in base
ad una percentuale sugli utili e allo stesso tempo procedette con lo sdoppiamento
delle azioni. In questo modo fu possibile dimezzare il valore di ciascuna quota
(nel 1905 il valore nominale di ogni azione raggiunse le 45 lire) e diede la
possibilità di collocare sul mercato 1394 nuove azioni al prezzo nominale di 25
lire, dando vita ad un cospicuo aumento di capitale. Questo permise alla Banca di
aumentare non tanto il numero dei soci quanto quello dei clienti301. A seguito di
questa operazione crebbe in modo rilevante il movimento complessivo della
Banca che nell’arco di un solo anno (dal 1906 al 1907) crebbe di circa 7 milioni
(pari al 27 per cento sull’esercizio precedente)302.
301
Il numero dei soci subì contrariamente alle attese una riduzione passando dai 714 del 1905 ai
649 dell’anno successivo, accentuando la crescita dei pacchetti azionari dei soci più rilevanti
(Banca cooperativa. Storia cit., p. 25).
302
Banca cooperativa. Storia cit., p. 24-27; p. 40.
221
A fronte di un incremento del volume d’affari della Banca ne diminuì la
redditività, che fino ai primi anni del Novecento crebbe con regolarità. La
spiegazione di questo fenomeno è in parte attribuibile alla crescita e alla
concorrenza di altri istituti di credito del Cividalese303, che imposero una
rimodellazione nelle politiche dei tassi304.
Tabella 32. Lo sviluppo della Banca cooperativa di Cividale attraverso alcuni indicatori (18871910)
Anno
Soci N. Azioni
Patrimonio
sociale
Depositi
Impieghi
Movimento
generale
Utili
netti
Indice di
Redditività
1887
216
1.357
34.035
111.585
123.837
1.580.331
-
1888
250
1.415
35.816
116.140
197.845
3.515.124
1.276
0,36
1889
309
1.503
38.265
161.498
275.471
5.372.806
1.429
0,27
1890
368
1.565
40.456
212.115
316.324
5.024.614
2.867
0,57
1891
468
1.607
42.626
231.846
363.629
5.473.182
4.734
0,86
1895
782
1.903
63.299
269.063
420.075
6.452.242
6.547
1,01
1900
796
1.995
83.139
462.768
704.728
8.469.256 11.146
1,32
1905
714
1.996
111.033
774.442
1.370.742 21.048.577 11.222
0,53
1910
631
5.426
190.218 2.066.842
2.447.846 30.585.072 23.254
0,76
Fonte: rielaborazione da Banca cooperativa. Storia cit., p. 23-40.
I primi anni di attività della Banca puntarono al consolidamento delle
proprie basi e a costruire le premesse per lo sviluppo futuro. Dal punto di vista
degli impieghi l’operazione più svolta era quella cambiaria. La peculiarità degli
effetti circolanti sul mercato Cividalese era di essere rinnovati più volte, per
l’intero ammontare o anche solo per una parte di esso. Ciò era dovuto allo scarso
uso che delle cambiali si faceva nelle operazioni commerciali: questo effetto, nato
come strumento per regolare i traffici dell’industria o del commercio era utilizzato
prevalentemente come strumento di pagamento dai contadini e dai piccoli
proprietari terrieri per l’acquisto di derrate, materiali o terreni. In questo modo lo
sconto delle cambiali diventava una forma di finanziamento a medio e lungo
303
Nel 1903 fu istituita la Banca agricola cividalese e nel 1905 la Banca cividalese di credito
(RIEPPI, Forum Julii cit., pp. 125-126).
304
Anche la Società operaia ritirò parte dei propri fondi dalla Banca cooperativa per destinarli ad
altri istituti di credito in grado di applicare tassi più vantaggiosi.
222
termine. Molto praticata era la cambiale ipotecaria con rinnovo semestrale,
particolarmente apprezzata dalla Banca per la sua solidità e per le garanzie ma
avversata dalle teorie bancarie che la sconsigliavano. Il rischio che si correva con
questo tipo di operazioni, considerando in particolare che la quasi totalità degli
impieghi era costituita dal portafoglio, era di immobilizzare eccessivamente
l’attivo, incorrendo in possibili crisi di liquidità. La Banca doveva però adattarsi
alle esigenze della clientela locale, prevalentemente contadini laboriosi e
desiderosi di diventare proprietari dei terreni305. A salvaguardia di possibili
imprevisti e crisi l’istituto si tutelò puntando ad una forte crescita del fondo di
riserva che nel 1904 superò addirittura il capitale sociale.
L’attività della Banca nei primi anni di vita fu perciò prudente e puntò al
consolidamento delle proprie basi. Questa iniziale prudenza permise, anche grazie
alle modifiche statutarie e all’incremento patrimoniale del 1906, di far esplodere il
giro d’affari dell’istituto che nell’arco del primo decennio del novecento risalì
importanti posizioni e superò in diversi indicatori di crescita il valore medio
nazionale delle banche popolari.
5.
Nascita e sviluppo della Scuola di Arti e Mestieri
La Società, tra gli scopi inseriti nel proprio statuto, incluse quello
dell’istruzione e della promozione di attività ricreative e culturali, convinta che tra
i propri compiti non rientrasse solo quello di garantire una migliore condizione di
vita ai soci colpiti da malattia o divenuti invalidi e non in grado di svolgere più
alcun lavoro, anche quello di migliorare le qualità morali e intellettuali dei singoli
soci lavoratori.
I primi anni di vita del sodalizio furono poco favorevoli alla promozione di
iniziative dirette a questo scopo a causa principalmente dei freni derivanti
dall’ambiente esterno, scarsamente propenso a recepire elementi di modernità e di
progresso. Le difficoltà incontrate in fase di costituzione del sodalizio e la
305
Banca cooperativa. Storia cit., pp. 29-30.
223
diffidenza mostrata da alcuni dei primi aderenti all’iniziativa ne sono una
testimonianza.
Oltre alla corposa documentazione contenuta nei due cartolari interamente
dedicati all’istruzione, un profilo generale e storico della Scuola d’arte e mestieri
si trova inserito nelle relazioni pubblicate in occasione del quarantesimo306 e del
cinquantacinquesimo anno di fondazione del sodalizio307.
Nel 1877 iniziò da parte di una commissione appositamente nominata l’iter
che avrebbe dovuto portare all’apertura di una Scuola di disegno per gli artieri,
istituzione di cui diffusamente si avvertiva il bisogno. La commissione eseguì una
serie di studi necessari a valutare la fattibilità dell’opera, ottenendo dall’autorità
municipale l’impegno a corrispondere la somma di 150 lire l’anno a titolo di
contributo. Le lunghe pratiche si conclusero nel 1878, quando, con delibera del
consiglio sociale n. 155 del 29 novembre, si decretò l’istituzione della Scuola di
disegno.308 La sede fu stabilità presso i locali della Scuola elementare e la
direzione fu affidata al prof. Antonio Cricco, assistito da Edoardo Braida.
La Scuola era rivolta principalmente a lavoratori, anche se non mancavano i
giovani studenti desiderosi di apprendere un mestiere. L’età di coloro che
frequentavano la Scuola era piuttosto bassa, anche se il lavoro nelle officine e nei
laboratori artigiani cominciava, nel migliore dei casi, subito dopo il
conseguimento della licenza elementare. Lo scopo era in ogni caso quello di
migliorare le conoscenze pratiche e teoriche dei soci e dei loro giovani figli, che
avrebbero cosi ottenuto un maggiore riconoscimento professionale e quindi un
miglioramento delle proprie condizioni economiche. Essendo dunque buona parte
degli iscritti anche lavoratori, era necessario che la Scuola dovesse essere serale e
306
SOMSI, 40 anni di vita della Società operaia cit., pp. 19-23.
307
SOMSI, Quindici anni di operosità sociale (1910-1924) cit., pp. 13-17.
308
ASC, cart. 71 Scuola d’arte applicata all’industria, fasc. 1 Scuola di disegno (1878). In queste
pagine manoscritte sono descritti i passi iniziali mossi dalla Scuola, con specifico riferimento ai
rapporti intercorsi con il Municipio, con il quale si sviluppò un legame di collaborazione lungo e
proficuo. Il Comune oltre a stanziare a titolo di contributo la somma di lire 150, offrì alla Società
operaia la possibilità di insediare la Scuola presso i locali del Collegio convitto. Quest’ultima
proposta non fu accolta con favore dal consiglio, che chiese alla commissione di proporre al
Comune d’individuazione di altri locali ove iniziare l’attività.
224
festiva. Le lezioni erano fissate in due giornate: il giovedì sera, dalle 19 alle 22 e
la domenica mattina dalle 9 alle 12. Al fine di vigilare sul buon funzionamento del
nuovo istituto, il consiglio decise di nominare una commissione di vigilanza.
Nel 1881 la direzione dell’istituto passò nelle mani di Francesco Montini,
mentre l’incarico di insegnate fu assunto da Edoardo Braida, che fino a quel
momento svolgeva solo funzioni di assistente. Questi, subito dopo la sua nomina,
propose di istituire una sezione femminile. La proposta, subito accettata, fece sì
che dalle 1° maggio dello stesso anno nascesse una Sezione della Scuola rivolta
alle sole donne. Le lezioni si svolgevano la domenica e nei giorni festivi dalle13
alle 15. Successivamente si ritenne poco conveniente, sul piano organizzativo, tale
operazione e la sezione femminile venne quindi soppressa pochi mesi dopo. Poche
delle iscritte scelsero di continuare la frequenza scolastica nella sezione maschile,
mentre le altre abbandonarono la Scuola.
Nel 1884, su proposta dello stesso insegnante, venne istituita la Scuola di
intaglio, che diveniva così il terzo corso organizzato309. Il direttore della Scuola
inoltre si prestò all’insegnamento di materie “ordinarie”, quali la lingua italiana, la
matematica, la storia e la geografia. In questo modo la Scuola, nata come istituto
formativo in uno specifico campo, allargava i suoi orizzonti, diventando una
Scuola completa di quasi tutte le discipline. Per tale motivo si riuscì a ottenere da
parte del ministero della Pubblica Istruzione un contributo, che rimase però
saltuario e di modesta entità.
Nel 1883, su ordine dell’autorità municipale, si dovette procedere
all’abbandono dei locali dove aveva avuto sede sino a quel momento la Scuola 310,
che fu trasferita prima in via Dante e poi a palazzo Boschetti in Borgo San Pietro.
309
ASC, cart. : 71, fasc. 7: Scuola di Disegno (1884), doc. Lettera manoscritta del Maestro Braida
alla Direzione della Società in data 2 ottobre 1884. Il maestro suggeriva che fosse affiancata alla
Scuola di disegno anche quella di intaglio. Per non gravare eccessivamente sul bilancio della
SOMSI, l’insegnante propose di poter effettuare, al termine dell’anno scolastico, un’esposizione
dei lavori degli alunni, il ricavato della cui vendita incassato a favore della Scuola. Inoltre per il
servizio prestato, il maestro non chiedeva nulla, se non una gratifica al termine del corso qualora
questo si fosse dimostrato vantaggioso. Egli infine stimava in
lire 180 l’iniziale esborso da parte
della Società per l’acquisto di materiale necessario ai laboratori.
310
SOMSI, 40 anni di vita della Società operaia cit., p. 20.
225
In questa occasione la Società si assunse anche l’onere della spesa per l’affitto dei
nuovi locali, circostanza, questa, che incrementò ulteriormente i costi di gestione
della Scuola. Inoltre cresceva di anno in anno l’interesse e il numero di allievi
iscritti ai corsi. A testimonianza di questo andamento basta osservare che il
numero delle lezioni aumentò da due a tre la settimana e che tra il 1879 e il 1889
si passò da 53 a 89 alunni, con un incremento di circa il 70 per cento degli iscritti
in soli 10 anni.
La rapida crescita dell’istituto tuttavia portava anche alcuni problemi di
ordine disciplinare e organizzativo. Fu così che nel 1888 fu approvato il nuovo
regolamento, affidando la direzione della Scuola al prof. Umberto Rinaldi, che a
due soli mesi dalla nomina dovette però dimettersi. La Scuola a questo punto
dovette sospendere l’attività e apportare modifiche sia organizzative sia
regolamentari.
L’incarico di risistemare la Scuola venne affidato al prof. Enrico Bigotti, il
quale consegnò alle sorti di un concorso pubblico, bandito nel 1889, la nomina del
nuovo insegnante. Al concorso si presentarono ben 23 candidati,311 tra i quali
riuscì vincitore il prof. Verderi, che nel corso di pochi anni seppe ristrutturare gli
organi della Scuola e dare nuovamente impulso all’attività di formazione
intrapresa dalla Società operaia.
Da quell’anno la Scuola potenziò la sua attività già abbastanza rilevante.
Oltre a sviluppare l’insegnamento del disegno industriale, s’istituì un laboratorio
di modellazione, nel quale si apprendeva l’arte della lavorazione del gesso e di
altri materiali.312
311
ASC, cart. 71: Scuola d’arte applicata all’industria, fasc. 12: Scuola di disegno (1889).
Nell’archivio della SOMSI sono conservate le domande presentate dai candidati alla cattedra di
maestro della Scuola, con le relative referenze allegate. Dalla lettura di queste carte si nota come
molti dei maestri che parteciparono al concorso provenissero da diverse località italiane, alcune
molto distanti, segno della vasta eco che la notizia aveva avuto e dell’interesse per l’iniziativa.
6
Presso la sede della Società è possibile tuttora visionare alcune opere decorative in gesso,
prodotte nei laboratori della Scuola e che, con molta probabilità, costituivano le esercitazioni per
valutare il grado di affinamento nell’arte degli studenti. Dall’osservazione di questi manufatti si
può cogliere il livello di abilità raggiunto da alcuni studenti del corso.
226
L’insegnamento fu diviso non più in tre ma in quattro corsi, grazie
all’ulteriore inserimento di quello preparatorio propedeutico a quelli già attivati. Il
numero degli alunni ben presto raggiunse e superò le cento unità. Anche le lezioni
divennero quotidiane, impartite tutti i giorni dalle 8 alle 10 di sera e, come di
consueto, dalle 9 alle 12 nelle mattinate dei giorni festivi.
Alla figura dell’insegnante furono affiancati alcuni assistenti, in modo tale
da agevolare il ruolo del docente. Risultava sempre più evidente che un solo
insegnante non fosse più sufficiente a gestire un numero così elevato di allievi. Si
intensificarono pertanto le relazioni e le corrispondenze con il ministero di
Agricoltura Industria e Commercio e con il locale Municipio per ottenere da
questi enti una maggiore attenzione e un più sostanzioso contributo finanziario. Il
Municipio, nella prolungata attesa della risposta del ministero, si accollò parte
delle spese legate ai locali (luce, manutenzione, acqua, riscaldamento) e provvide
a incrementare il proprio contributo per la Scuola portandolo in un primo
momento a 800 lire e successivamente a 2.000 lire.
Dal 1906 cominciò il lungo iter burocratico per portare la Scuola alla
“regificazione”, che in altre parole consisteva nell’inserimento nel novero delle
scuole regie. Come tale, essa non sarebbe più dipendente né economicamente né
sul piano organizzativo dalla Società operaia.
Nello stesso tempo, le insistenti pressioni portarono allo stanziamento di un
contributo da parte della Cassa di Risparmio di Udine e al ripristino del contributo
dell’Amministrazione provinciale. Grazie anche a questi interventi fu possibile
affiancare un nuovo insegnante al direttore, permettendo di organizzare dei corsi
di perfezionamento successivo al conseguimento del diploma e di istituire un
corso obbligatorio di cultura generale e di economia politica.
Lo scoppio della prima guerra mondiale avvenne in uno dei momenti di
massimo lustro dell’attività svolta dalla Scuola. I locali vennero destinati ad
accogliere l’ospedale militare, così come parte del mobilio fu impiegata allo
stesso scopo. In questo frangente di tempo le lezioni continuarono nello studio
227
fotografico del direttore della Scuola, il prof. Verderi313, al quale andò il
riconoscimento della SOMSI e un modesto contributo per il disagio occorsogli.
Inaspettatamente, nel luglio 1916 fu emanato un decreto luogotenenziale nel
quale si conferì alla Scuola il titolo di Regia Scuola di disegno professionale314.
Con questo decreto la Scuola diventava un istituto del Regno, sotto la piena
giurisdizione del ministero. Per il raggiungimento di tale scopo fu decisivo
l’interessamento del barone Elio Morpurgo, allora sottosegretario di Stato al
ministero dell’Industria e Commercio.
La presidenza fu conferita al presidente della Società operaia di mutuo
soccorso, che fungeva da delegato del ministero in seno all’amministrazione.
Si procedette pertanto a fornire la Scuola di un nuovo ordinamento sia
amministrativo che contabile, fissando quindi l’apertura della sede presso la casa
313
ASC, cart. 72: Scuola d’Arte applicata all’Industria, fasc. 13 Scuola d’Arte (1915), Verbale del
consiglio direttivo del 1° dicembre 1915. Il verbale si apre con l’augurio di un rapido ritorno degli
89 soci della SOMSI a quella data impegnati al fronte.
314
ASC, cart. 72: Scuola d’Arte applicata all’Industria, fasc. 16: Carte diverse – Anno d’esilio
1918, pubblicazione a stampa dell’estratto del bollettino del M.A.I.C. contenente il Decreto
luogotenenziale 23 luglio 1916 n. 912 di regificazione della Scuola d’arte applicata all’industria di
Cividale del Friuli. Nel decreto si legge:
Tomaso di Savoia, duca di Genova, luogotenente Generale di Sua Maestà Vittorio Emanuele III ecc., in virtù
dell’autorità a noi delegata; vista la legge 14 luglio 1912 n. 854 […]; viste le deliberazioni favorevoli
del Comune di Cividale del Friuli […],
della Provincia di Udine,
della Camera di Commercio di Udine;
Riconosciuta l’opportunità di regificare la Scuola d’arte applicata all’industria […] sentito il parere del
consiglio per l’istruzione artistico industriale; Sulla proposta del ministro segretario di Stato per l’industria il
commercio e il lavoro; Abbiamo decretato e decretiamo:
Art 1 – La Scuola d’arte applicata all’industria, fondata nel 1878 in Cividale del Friuli dalla locale SOMSI è
posta alla diretta dipendenza del ministero dell’industria del commercio e del lavoro ed è riordinata come
Scuola a orario ridotto […] Essa prende il nome di R. Scuola di disegno professionale, e ha lo scopo di
impartire nozioni di coltura generale e insegnamenti artistici applicati ad arti e mestieri.
Art. 2 – Al mantenimento annuo della Scuola concorrono:
il ministero dell’Industria Commercio e Lavoro con lire 4000, il Comune di Cividale del Friuli con lire 2000,
la Provincia di Udine con lire 1000, la Camera di Commercio di Udine con L. 250. Il Comune di Cividale
provvede inoltre a fornire gratuitamente i locali per la Scuola, per i laboratori e per le officine e provvede alla
loro manutenzione, al riscaldamento, alla illuminazione e alla fornitura dell’acqua per tutti i servizi della
Scuola.
228
della SOMSI entro il mese di ottobre 1917. Frattanto si intrapresero le prime
iniziative e le prime pratiche per dotare la Scuola di una nuova sede, ma il
precipitare degli eventi e i tragici eventi di Caporetto frenarono la spinta
entusiasta del momento. L’amministrazione della Scuola si trasferì a Roma, ma
continuò a mantenere rapporti sia con il ministero sia con gli insegnanti, ai quali
era corrisposto regolarmente lo stipendio mensile.
A seguito dell’invasione nemica i locali della Scuola subirono rilevanti
danneggiamenti che ne resero impossibile la fruizione. La Società tentò di
riorganizzare rapidamente i locali destinati all’insegnamento, fornendo una sede
in uso semigratuito. La Scuola riprese la sua attività solo dal 1920, sotto la guida
di un nuovo direttore nominato dal ministero. Si cercò in questa fase di procedere
a un’intensa attività di mobilitazione e di pressione per poter procedere alla
costruzione di un’adeguata sede, coinvolgendo sia il Comune che il ministero315.
Alcuni fruttuosi contatti portarono alla stesura di un progetto che prevedeva
la concessione da parte del Comune dell’area edificabile e da parte del ministero
di un finanziamento a fondo perduto di 60.000 lire. Tale progetto però subì un
brusco rallentamento a seguito delle mutate condizioni politiche. L’ingerenza
della Società di mutuo soccorso non doveva essere particolarmente gradita ai
governanti dell’epoca. Per questi motivi cessò ogni tipo di presenza da parte della
SOMSI all’interno della Scuola, che solo così fu dotata di nuove aule e laboratori.
Ciò che non cessò mai fu l’interesse da parte della Società verso la Scuola che
ancora per lunghi anni fu considerata come una naturale filiazione del sodalizio
mutualistico.
6.
Il bilancio della Scuola d’arti e mestieri
La Scuola di arti e mestieri costituì per la SOMSI una spesa che incise
considerevolmente incisiva su un bilancio non particolarmente consistente. A
questo proposito si possono analizzare alcuni dati ricavati dalla statistica prodotta
315
ASC, cart. 69: Casa del Popolo, fasc. 1: Varie. Copia del progetto e delle piante sono
conservate presso l’archivio della SOMSI.
229
nel 1910, riguardante il periodo che va dalla nascita della Scuola al 1909, e dalla
statistica successiva riferita al periodo 1910 – 1916316.
I contributi degli enti, le tasse scolastiche e le entrate eventuali costituivano
il capitolo delle entrate. Le ultime due voci ebbero peraltro un peso poco rilevante
nel computo totale delle entrate, sia per la loro occasionalità, sia per la tardiva
introduzione e la modesta entità. La somma di entrambe le voci non rappresentò
nel corso di tutto il periodo di vita della Scuola che il 6,5 per cento del totale delle
entrate. Il rimanente 93,5 per cento era quindi imputabile a contributi versati alla
Società operaia da parte di enti di diversa natura.
In merito è possibile individuare alcuni dei più importanti enti che
contribuirono annualmente al mantenimento dell’istituto cividalese.
Il Comune di Cividale si attivò sin dalla nascita della Scuola elargendo una
somma di lire 150 fino al 1896, che divenne di 300 nel 1897 e di 400 lire nel
1904. Successivamente il contributo fu raddoppiato e portato alla cifra di 800 lire.
Con il passare degli anni e nell’attesa che si procedesse alla regificazione, il
contributo fu ulteriormente aumentato fino a toccare le 1.000 lire, in prospettiva di
un futuro intervento ministeriale che, ricordiamo, avverrà nel 1916. Inoltre il
Municipio provvedeva alla fornitura di tutta una serie di utenze e dei locali in cui
veniva ospitata la Scuola.
Il ministero di Agricoltura Industria e Commercio stanziò a partire dal 1882
una somma pari a 200 lire, che nel corso degli anni si rinnoverà ma con un
ammontare di volta in volta differente. Dal 1897 l’importo stanziato diverrà di 400
lire l’anno. La Camera di Commercio di Udine contribuì a partire dal 1888 con
una somma di 150 lire l’anno, poi elevata a lire 200 nel 1901 e divenuta infine di
250 lire nel 1908. Infine vanno ricordati gli interventi effettuati da parte
dell’Amministrazione provinciale e da parte della Cassa di Risparmio di Udine317.
316
SOMSI, 40 anni di vita della Società operaia cit., tav. IV; SOMSI, Quindici anni di operosità
cit., tav. V.
317
ASC, cart. 72: Scuola d’arte applicata all’industria, fasc. 3: Contributo degli Enti. La
conferma della concessione del contributo da parte della Cassa di Risparmio di Udine pervenne
per lettera datata 6 febbraio 1911 che ne fissava l’ammontare in L. 350.
230
Nel primo caso il contributo ebbe una consistenza molto limitata sia nel tempo
sia nell’ammontare, a causa principalmente delle difficoltà economiche dell’ente.
Nel 1886 la Provincia si assunse una partecipazione alla spesa di lire 400, che
mantenne fino al 1890, per poi interromperla e riprenderla solo nel 1909319.
È interessante notare come la contribuzione degli enti alle spese della
Scuola abbia seguito una tendenziale crescita nel corso degli anni, senza però
presentare mai caratteri regolari. Questo dimostra come fosse difficile da parte
della Società poter contare su di un contributo stabile e sicuro per lo svolgimento
della propria attività. Solo con il passare degli anni queste entrate crebbero con
una certa costanza e assunsero anche una rilevanza economica che poteva
permettere alla SOMSI di intervenire sulla quota rimanente della spesa per un
ammontare, in valore assoluto, inferiore.
Questo differente atteggiamento da parte degli Enti che sovvenzionavano la
Scuola era imputabile per una parte al tardivo riconoscimento dell’importante
ruolo svolto dalla Scuola stessa, riconoscimento che sembra legato alla
trasformazione della Scuola da attività a gestione privata a ente pubblico, sotto il
controllo del ministero dell’Istruzione Pubblica.
318
Fino al 1890 la Provincia stanziava sussidi per le scuole di arti e mestieri e disegno, istituite nei
vari centri su iniziativa delle società operaie e dei comuni. Tra queste si ricordano, oltre a quella di
Cividale, quelle di Udine, San Vito, Gemona, Tolmezzo, San Daniele, Tarcento e Spilimbergo.
Durante l’approvazione del bilancio del 1891 questi stanziamenti non furono più concessi, e le
scuole dovettero continuare la propria attività con i modesti contributi statali e della Camera di
Commercio. Lo straordinario interesse e il successo riscosso dalle scuole rese indispensabile un
successivo intervento della Provincia, che nell’agosto 1908 decise di stanziare la somma di
lire
6000 a favore delle scuole di arti e mestieri ritenute meritevoli. La suddivisione della somma
tra le varie scuole venne operata dalla Deputazione sulla base di un apposito regolamento. Nel
1910 si fondò a Udine il Comitato provinciale per le scuole professionali operaie, con sede presso
la Camera di Commercio. Lo scopo di tale Comitato era di studiare, propagandare e diffondere
l’insegnamento professionale delle scuole operaie, secondo i bisogni delle industrie e delle classi
lavoratrici locali. Nel dicembre 1911 il consiglio del Comitato approvò un nuovo regolamento per
l’erogazione dei sussidi ed elevò il fondo a 10.000 lire (a questo proposito si veda R. Corbellini,
La provincia del Friuli. Atti dal 1866 al 1940, Udine 1993, p ).
231
Le uscite risultavano suddivise in quattro voci differenti: costi del personale
insegnante e di servizio, spese per materiale didattico, illuminazione,
riscaldamento, spese di affitto e infine spese straordinarie.
Tra tutte queste voci quella più rilevante era sicuramente quella legata agli
stipendi pagati agli insegnanti. Questa cifra, in un primo momento molto modesta,
assunse con il trascorrere degli anni un peso via via sempre crescente sul bilancio
della Scuola. Ciò si dovette in parte al processo avviato pochi anni dopo la
costituzione dell’istituto, con lo scopo di attuare una riorganizzazione della Scuola
secondo criteri e metodi di minore occasionalità e precarietà. Sembra inevitabile
che, a fronte di un miglioramento e di un’espansione dell’offerta formativa
fornita, si sia assistito a un graduale aumento del costo del personale, specie in
riferimento al periodo che va fino al 1890, anno dal quale si assiste a un certo
assestamento di questa voce di bilancio320.
Dal lato della spesa per il materiale didattico, illuminazione e
riscaldamento, si nota una certa stabilità delle uscite nel corso degli anni, eccetto
quando la Scuola dovette affrontare le spese rilevanti legate alla costituzione di
nuove sezioni o di nuovi laboratori. A tale proposito è interessante notare come tra
il 1888 e il 1891 la voce in esame subì un repentino incremento, fino quasi a
quadruplicarsi. Questo aumento è imputabile alla ristrutturazione avvenuta in quel
periodo e che vide la promozione del concorso pubblico per l’assunzione di un
nuovo insegnante e l’istituzione di una nuova sezione. Bisogna infine ricordare
che la SOMSI si accollava le spese di cancelleria e di materiale didattico di coloro
che non si sarebbero potuti permettere l’acquisto di quanto necessario.
Le spese d’affitto gravarono sul bilancio della Scuola, per un periodo
compreso tra il 1883 e il 1891, in misura variabile, e dal 1905 sino alla
regificazione del 1916, in quota fissa pari a 300 lire annue. Le spese straordinarie,
infine, ebbero nel corso degli anni un andamento occasionale, come per loro
implicita natura. Vi saranno anni in cui compariranno per ammontare modesto se
non nullo e anni in cui incideranno particolarmente sul cumulo totale delle uscite
(1913)321.
320
SOMSI, 40 anni di vita della Società operaia cit., p. 20.
321
SOMSI, Quindici anni di operosità cit., tavole.
232
Tracciando il bilancio complessivo dell’impegno economico sostenuto per
la diffusione dell’iniziativa, si evince che la SOMSI nella sua attività di sviluppo
dell’istruzione e di qualificazione professionale investì una parte considerevole
delle proprie risorse. Lo sbilancio passivo sostenuto per lunghi anni crebbe in
modo regolare, salvo rare eccezioni. È possibile evidenziare, ad esempio, come
nel quadriennio che precedette il passaggio dell’istituto sotto il controllo
ministeriale si fosse raggiunta una rilevante riduzione della spesa a carico della
Società. In particolare negli anni che corrono dal 1912 al 1915 si rileva una
passività complessiva pari a sole 183,9 lire e nell’ultimo anno si ottenne
addirittura un pareggio di bilancio322. Questo, come già detto, fu possibile
principalmente grazie al corposo aumento della contribuzione degli enti.
322
SOMSI, 40 anni di vita della Società operaia cit., tavole.
233
Tabella 1 – Bilancio della Scuola d’arte e mestieri dal 1879 al 1916
Entrate
Anno
Spese
Contributi di
Tasse
Entrate
Totale
enti
scolastiche
eventuali
entrate
1879
230
1880
150
1881
350
1882
1883
Personale
insegnante di
servizio
Eccedenza a
Materiale
didattico,
illuminazione
Affitti
Spese
straordinarie
carico della
Totale spese
SOMSI
riscaldamento
230
280
53
225
270
350
400
350
350
270
85,8
450
450
270
338,5
60
1884
450
450
270
285,7
120
675,7
225,7
1885
650
650
345
200
115
203,15
863,15
213,15
1886
900
900
500
326,6
110
182,55
1119,15
219,15
75
311,95
644,95
414,95
79,43
86
435,43
210,43
97
220,19
717,19
367,19
13,4
369,2
19,2
668,5
218,5
1887
750
750
570
82
110
762
12
1888
1400
1400
1233
468,04
175
1876,04
476,04
1889
1150
1150
1052
565,15
240
1857,15
707,15
1890
800
800
1265,1
744,07
240
2249,17
1449,17
1891
800
800
1525
538,03
90
2153,03
1353,03
1892
800
800
1500
201,72
1701,72
901,72
1893
1000
1000
1820,26
243,4
2063,66
1063,66
1894
892,5
31
923,5
1499,98
225,35
1725,33
801,83
1895
900
34
934
1500
227,81
1727,81
793,81
1896
592,5
40
632,5
1550
99,35
1649,35
1016,85
1897
850
29
879
1650
250,3
1900,3
1021,3
1898
942,5
50
992,5
1550
245,48
1899
850
46
896
1550
254,49
1900
850
101
951
1550
1901
900
108
1008
1550
1795,48
802,98
175
1979,49
1083,49
1781,71
830,71
78,6
1881,49
873,49
231,71
234
252,89
Entrate
Anno
Spese
Contributi di
Tasse
Entrate
Totale
enti
scolastiche
eventuali
entrate
Personale
insegnante
di servizio
Eccedenza a
Materiale
didattico,
illuminazione
Affitti
Spese
straordinarie
carico della
Totale spese
SOMSI
riscaldamento
1902
900
87
987
1580
279,79
1859,79
872,79
1903
900
63
963
1610
249,85
1859,85
896,85
1904
1000
54
1154
1600
291,62
508
2399,62
1245,62
1905
1300
54
1354
1525
251,2
300
2076,2
722,2
1906
1300
54
1354
1500
321,01
300
15,85
2136,86
782,86
1907
1300
100
1400
1500
315,52
300
606,95
2722,47
1322,47
1908
1350
145,95
1495,95
1500
309,71
300
125
2234,71
738,76
1909
1750
36
100
1886
1549,85
319,7
300
119,1
2288,65
402,65
1910
1750
27
100
1877
1900
322,27
300
37,55
2559,82
682,82
1911
2500
99
2599
2100
392,58
300
563,1
3355,68
756,68
1912
2551
81
2632
1950
522,5
300
70
2842,5
210,5
1913
3200
117
4517
1950
505,81
300
1292
4047,81
-469,19
1914
3200
74
37,5
3311,5
2475
530,66
300
308,85
3614,51
303,01
1915
3679
18
262,5
3959,5
3400
341,27
300
57
4098,27
138,77
1916
3809
3809
2491,64
180,7
300
836,66
3809
0
100
1200
Fonte: 40 anni di vita della Società operaia di mutuo soccorso cit., Tavole; Quindici anni di operosità sociale cit., Tavole.
235
7.
Alunni della Scuola d’arte dal 1879 al 1916
L’aspetto forse più interessante nell’analisi della Scuola d’arte applicata
all’industria, concerne il movimento degli alunni iscritti ogni anno. A partire
dall’anno 1879 gli alunni della Scuola crebbero numericamente in modo quasi
regolare. In alcuni anni è possibile rilevare una diminuzione degli iscritti rispetto
all’anno precedente, ma il dato tendenziale conferma l’aumento complessivo di
persone coinvolte nell’iniziativa. La presenza media fu di 91 alunni iscritti l’anno,
con punte minime di 45 e massime di 137 allievi rispettivamente nel 1916 e nel
1902. Il calo vistoso degli ultimi anni è in parte attribuibile agli eventi bellici e in
parte all’istituzione del corso complementare. A tale corso potevano iscriversi tutti
coloro che avevano già sostenuto l’esame di licenza, al fine di perfezionare le
tecniche apprese durante i primi quattro anni di studio. Il corso, introdotto a
partire dal 1912, contava una quindicina di iscritti mediamente.
Un ruolo determinante nello svolgimento dell’attività scolastica fu dato
dall’introduzione nel 1891 del corso preparatorio a quelli già istituiti. Il numero di
persone che frequentarono tale corso fu da subito molto elevato. Con molta
probabilità lo stesso insegnante, valutata lacunosa la preparazione di base degli
alunni, preferì che questi, prima di apprendere le tecniche più specifiche,
sedimentassero bene le conoscenze elementari per poi affrontare con profitto la
Scuola tecnica.
Altro aspetto di estremo interesse è quello legato ai diversi mestieri svolti
dagli alunni iscritti. Le due statistiche prese in esame evidenziano come di
primario interesse fosse l’insegnamento per alcune specifiche categorie. Le
categorie dei muratori e dei falegnami erano quelle meglio rappresentate. A
seguire troviamo la categoria dei fabbri e quindi quella degli scalpellini. Le
seguivano altre categorie artigianali, con peso assai minore. In realtà bisogna
rilevare che la terza categoria per numero di rappresentanti era proprio quella che
raccoglieva tutti i mestieri residuali, all’interno della quale non era probabilmente
possibile distinguere in modo rilevante alcuna professione.
236
Tabella 2 - Alunni iscritti alla Scuola d’arte ripartiti per anno e per corso frequentato
(1879-1916)
Alunni Iscritti
Anni
Corso
Preparatorio
1° Corso
2° Corso
3° Corso
Totale
1879
1880
1881
1882
1883
1884
1885
1886
1887
1888
1889
1890
1891
1892
1893
1894
1895
1896
1897
1898
1899
1900
1901
1902
1903
1904
1905
1906
1907
1908
1909
1910
1911
1912
1913
1914
1915
1916
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
41
43
38
39
36
19
35
56
51
26
58
59
41
43
39
30
37
53
45
48
49
46
39
41
37
18
53
25
21
30
29
41
48
52
43
46
51
47
15
22
18
15
26
24
24
30
17
25
23
36
36
28
32
28
16
21
24
22
30
28
28
32
30
13
_
27
26
29
31
20
24
16
9
14
23
35
28
12
18
12
16
17
14
15
18
12
23
23
23
21
23
21
22
14
16
19
22
19
25
19
27
21
_
_
8
13
14
4
12
15
9
12
15
11
8
15
21
18
21
21
20
18
12
19
20
19
19
21
16
22
19
18
24
21
23
11
8
17
12
7
53
52
55
72
74
65
84
83
61
72
89
93
92
92
95
84
99
81
93
119
98
82
124
137
119
113
110
101
94
106
109
112
125
96
83
107
91
45
Incremento
annuo
-1
3
17
2
-9
19
-1
-22
11
17
4
-1
0
3
-11
15
-18
12
26
-21
-16
42
13
-18
-6
-3
-9
-7
12
3
3
13
-29
-13
24
-16
-46
Fonte: 40 anni di vita della Società operaia di mutuo soccorso cit., Tavole; Quindici
anni di operosità sociale cit., Tavole.
237
Anche se apparentemente poco significativo, tale dato conferma la tesi che
attribuisce all’istruzione di base un ruolo importante in seno alla Scuola. Se per le
precedentemente citate categorie artigiane e operaie poteva valere un discorso di
qualificazione professionale nell’ambito della propria attività, per altri alunni la
necessità era quella di accedere alle conoscenze minime di cultura generale e alle
conoscenze di base delle tecniche artistiche e di disegno, da utilizzare poi nel
proprio mestiere. Il raggiungimento del diploma, inoltre, garantiva una maggiore
possibilità di qualificazione professionale e un accresciuto riconoscimento nel
lavoro. L’opera d’istruzione professionale si rivolgeva anche a quei lavoratori che
si sarebbero poi recati all’estero per cercare lavoro. Con il passare degli anni la
richiesta dall’estero di personale qualificato
aumentò e la domanda di
manodopera si indirizzava, oltre che verso il settore primario, nei comparti
dell’edilizia e delle attività artigianali323.
Il contributo apportato dalla Scuola alla crescita delle botteghe artigiane e
alla loro affermazione è un dato difficilmente stimabile. Indubbiamente il
progresso di alcuni artigiani che negli anni si affermeranno nelle rispettive
professioni è ascrivibile anche agli insegnamenti appresi ai corsi della Scuola.
Non mancano a questo proposito le testimonianze che evidenziano come alcune
attività artigiane del Cividalese (in particolare alcuni laboratori per la lavorazione
del ferro) siano cresciute di fama e d’importanza324. La connessione tra sviluppo
della Scuola e sviluppo dell’artigianato sembra evidente, tesi questa ulteriormente
avvalorata dai numeri. In effetti furono direttamente proporzionali la crescita gli
alunni da un lato e il successo e il prestigio di alcuni maestri artigiani anche fuori
dal ristretto ambito comunale dall’altro. Sicuramente la Scuola fornì al mercato
del lavoro cittadino nuove possibilità di sviluppo, nonchè di crescita professionale
ed economica.
323
COSATTINI, L’emigrazione temporanea, cit., pp. 47-52.
324
G. BUCCO, L’artigianato e la Società Operaja in Cividale, «Quaderni cividalesi» 16, (1989),
pp. 12–52.
238
Tra i documenti d’archivio è possibile trovare ulteriori elementi a
testimonianza di questa capacità della Scuola di offrire un’accurata preparazione
ai propri allievi. In una copia di un questionario inviato dal ministero di
Agricoltura Industria e Commercio, vi era una serie di domande specificamente
riferite al collocamento, da parte della Società, degli alunni diplomati dalla
Scuola325. La risposta contenuta nella minuta del questionario chiarisce il ruolo
giocato dalla Scuola della SOMSI in questo campo:
È fuori dubbio che i licenziati della Scuola, potendo dare un’impronta artistica ai loro
lavori, vengono preferiti ad altri che mancano di tale attitudine, e ciò ne fa prova il fatto che
diversi allievi di questa Scuola trovarono facile collocamento anche all’estero. La Scuola non può
disinteressarsi del collocamento dei suoi allievi, massimamente poi quando questi ne richiedano
l’appoggio. Per ora non è possibile l’invio della controindicata statistica, non avendo finora
pensato a una speciale registrazione in proposito. Però si può asserire che gli allievi collocati
appartengono per la maggior parte alle categorie dei muratori, fabbri, falegnami e scalpellini326.
In riferimento al numero di alunni che frequentarono l’istituzione nel corso
degli anni, bisogna evidenziare come molto spesso la partecipazione all’attività
scolastica degli alunni sia stata stimata in eccesso. Nella pubblicazione in
occasione dei quarant’anni di attività, l’estensore affermò che il numero
complessivo degli iscritti per tutti i corsi dalla fondazione della Scuola all’anno
1909 fu di 2.801 allievi327, fornendo un dato che facilmente si presta a
interpretazioni scorrette. Secondo questo calcolo, gli alunni al termine del 1916
sarebbero ammontati a 3.577, ma il dato così ottenuto è frutto del conteggio
complessivo di tutti gli alunni iscritti, ogni anno, per ciascun corso. In realtà
325
ASC, cart.71: Scuola d’Arte Applicata all’Industria, fasc. 1: Scuola di disegno (1878), doc.
M.A.I.C., Questionario sulle scuole industriali e commerciali, 1905. A questo proposito è
opportuno ricordare che in alcune società di mutuo soccorso operavano appositi uffici di
collocamento per i soci. In altri casi la Società svolgeva un ruolo di datore di lavoro, mediante la
promozione di cooperative di lavoro tra soci, specie nel settore edilizio.
326
Molto spesso l’emigrazione volontaria all’estero era vista, oltre che come una possibilità, come
un riconoscimento delle proprie capacità di artistiche e professionali frutto di anni di
apprendimento.
327
SOMSI, 40 anni di vita della Società operaia cit., p. 21.
239
dunque il numero di allievi, persone fisiche, che passarono per gli insegnamenti
della Scuola risulterebbe assai inferiore a quello stimato.
Se, ad esempio, si considera il numero di alunni di volta in volta iscritti al
corso d’ingresso, gli allievi sarebbero stati 1.553, dato che potrebbe essere
significativo qualora tutti gli allievi iscritti avessero realmente frequentato i corsi.
Si deve poi rilevare che non tutti gli alunni iscritti a un corso erano promossi al
successivo, cosa non di poco conto se si considera la possibilità che i respinti agli
esami si iscrivessero nuovamente allo stesso corso frequentato l’anno precedente.
Inoltre il livello di abbandono degli studenti alle volte raggiungeva soglie
abbastanza elevate. Ciò era frutto anche delle condizioni in cui vivevano i giovani
alunni, spesso occupati a lavorare durante il giorno per molte ore nei laboratori
artigiani o nelle officine e alla sera impegnati presso la Scuola per alcune ore di
lezione. Un’ulteriore conferma di ciò deriva dal numero di alunni licenziati al
termine del 1909, pari a soli 255 allievi.
La crescente domanda di formazione elementare portò la Società operaia a
promuovere una ulteriore iniziativa nell’ambito dell’attività scolastica. Si trattava
della Scuola educativa popolare, nata nel 1902 per volontà della SOMSI e con il
contributo indispensabile di alcuni maestri che vi tenevano le lezioni. La Scuola
offriva corsi serali per gli operai, ai quali erano affiancate pubbliche conferenze su
temi d’interesse. Questa iniziativa, di notevole importanza sotto il profilo sociale,
ebbe però vita breve e fu subito soppressa poiché coloro che se ne avvalevano non
erano persone bisognose al punto tale da non potersi permettere altri strumenti per
migliorare il proprio livello di scolarizzazione.
Il consiglio sociale della Società decise allora di fornire il proprio
appoggio alla Scuola serale per emigranti, diretta a tutti i lavoratori che per
procurarsi di che vivere o per migliorare le proprie condizioni di vita, sceglievano
di recarsi a lavorare all’estero.
240
Tabella 3. Alunni iscritti suddivisi per anno e professione
Arti e mestieri
Calzolai
Altri mestieri
6
2
3
52
1
2
2
9
55
4
2
3
2
9
72
2
4
4
3
74
2
2
1
2
3
1
9
11
7
2
3
15
11
8
6
2
4
1881
13
8
9
8
1
2
1882
12
16
14
9
1
1883
10
15
16
7
1884
14
13
15
8
1885
19
12
16
9
1886
20
8
16
10
3
3
1
1
1887
15
7
12
6
3
3
1
1
1888
17
8
11
7
3
4
2
1
1889
19
11
14
4
8
4
1890
24
17
8
15
6
3
1891
28
18
5
4
6
2
1892
26
19
6
4
6
2
1
1
1893
27
22
12
3
8
3
1
2
1894
23
18
10
9
2
6
1
1895
26
21
12
9
3
6
2
1
1896
28
17
7
3
3
4
2
1
1897
38
20
7
3
5
4
2
1898
34
22
14
23
4
3
4
1899
28
23
14
11
2
3
2
1900
27
18
11
12
2
1
1
1901
40
32
15
18
1
5
2
1
10
124
1902
43
41
15
12
2
3
2
5
2
12
137
1903
39
31
16
5
2
1
3
1
21
119
1904
31
23
11
4
2
2
12
1
27
113
1905
26
17
23
3
1
1
4
7
3
25
110
1906
26
19
19
6
1
1
3
10
1
15
101
1907
24
27
14
8
1
3
1
1
15
94
1908
26
28
19
5
2
2
5
1
2
16
106
1909
25
25
24
6
3
3
4
1
3
15
109
1910
23
31
20
5
2
4
6
19
110
1911
30
28
22
3
3
2
5
4
1
1912
30
34
20
2
2
2
4
1913
31
27
23
1
3
3
1
1914
34
22
25
1
2
1
3
6
2
1915
31
22
22
2
2
2
5
8
2
1
2
1
1
257
103
104
81
88
1916
15
15
13
Tot.
951
755
549
Sarti
Fabbri
14
1880
Battirame
Muratori
1879
Orefici
Falegnmi
Decoratori
1
1
Anni
Scalpellini
Totale
53
3
10
2
8
65
2
18
84
3
18
83
3
10
61
3
16
72
1
4
24
89
1
2
17
93
1
28
92
1
26
92
2
17
95
1
14
84
2
17
99
81
2
14
2
12
93
2
2
11
119
3
2
10
98
10
82
26
124
25
119
25
114
27
123
24
120
1
17
66
63
626
Fonte: 40 anni di vita della Società operaia di mutuo soccorso cit., tavole; Quindici anni di
operosità sociale cit., tavole.
241
8.
Regolamento della Scuola e programma didattico
Le accresciute dimensioni della Scuola imposero alla SOMSI di dotarsi di
un valido regolamento che ne disciplinasse le attività e allo stesso tempo fornisse
le informazioni necessarie allo svolgimento delle lezioni. A questo proposito
furono studiati e varati un nuovo regolamento e un programma didattico che
costituirono le regole fondamentali da seguire da parte di alunni, insegnanti e
consiglio direttivo della Scuola.
Il primo regolamento che riorganizzò la struttura della Scuola dopo un
primo periodo di funzionamento risale al 1888, esso rientrò nelle iniziative
introdotte al fine di poter meglio gestire l’istituto. Successivamente il regolamento
fu rivisto e approvato nuovamente dal consiglio direttivo della Scuola e dal
consiglio sociale della Società nel 1907328.
All’interno di quest’ultimo si possono leggere alcune significative
informazioni sull’organizzazione interna della Scuola. In primo luogo nell’art. 1
fu stabilito che la Scuola si strutturava su quattro corsi, di cui uno preparatorio, e
che gli insegnamenti dovevano essere impartiti in conformità alle norme e ai
programmi ministeriali.
L’art. 2 stabiliva che per essere ammessi al corso preparatorio occorreva
un’età di 12 anni compiuti, una buona condotta, il certificato di proscioglimento
dalla terza classe elementare, o la prova, mediante esame, di saper leggere e
scrivere correntemente ed eseguire con facilità le prime operazioni dell’aritmetica.
Serviva infine il pieno consenso dei genitori o di chi possedesse la patria potestà
sull’alunno. L’anno scolastico durava nove mesi: partiva da ottobre per finire a
luglio. Le lezioni erano serali nei giorni feriali e diurne in quelli festivi. L’orario
delle stesse fu determinato dal consiglio direttivo e affisso nei locali.
Le promozioni da un corso all’altro erano decretate sulla base della media
dei punti di merito assegnati ai lavori eseguiti durante l’anno dall’alunno. Il
328
ASC, cart. 72: Scuola d’arte applicata all’Industria – Varie, fasc. 4: Programma della Scuola e
regolamenti, pubblicazione a stampa Regolamento per la Scuola d’arte applicata all’industria,
Cividale 1911.
242
consiglio direttivo al termine dell’anno scolastico procedeva all’esame dei lavori e
alla formazione delle medie desunte dai registri scolastici. La promozione da un
corso all’altro o la licenza finale potevano essere comprovate, se richiesto
dall’alunno, da un attestato rilasciato dalla presidenza della SOMSI.
Dal 10° al 14° articolo del regolamento si stabiliva il ruolo del consiglio
direttivo. In primo luogo si affermava che l’amministrazione della Scuola spettava
alla rappresentanza della Società di mutuo soccorso, mediante l’ausilio del
consiglio direttivo. Quest’ultimo, presieduto dal presidente della SOMSI, si
componeva di un rappresentante di ciascun ente che sussidiava la Scuola. Ne
faceva inoltre parte il referente della Scuola all’interno della direzione della
Società operaia e il direttore della Scuola stessa. Era prevista infine una figura di
nomina dell’amministrazione della SOMSI, scelta sulla base delle conoscenze
tecniche e competenze specifiche, residente nel territorio del Comune di Cividale.
Ogni membro durava in carica tre anni e poteva essere riconfermato.
Compito principale del consiglio direttivo era di vigilare sul corretto
svolgimento delle lezioni, sul rispetto del regolamento da parte del personale
docente e ausiliario e da parte degli alunni. Si rendeva promotore, presso
l’amministrazione della Società, di proposte volte a soddisfare i bisogni della
Scuola. Per fare ciò aveva un ampio potere d’ispezione e di “esperimento”, in
modo da poter avere piena cognizione di causa sullo stato dell’istituto
Il regolamento procedeva quindi stabilendo i diritti e soprattutto i doveri
del personale insegnante, che doveva essere puntuale alle lezioni e non poteva
allontanarsi o dispensarsi dall’adempimento delle proprie mansioni, se non con il
consenso dell’amministrazione della Società; era inoltre responsabile delle
attrezzature custodite nella Scuola, che doveva periodicamente inventariare. Era
posto alle dirette dipendenze della SOMSI, alla quale avrebbe dovuto rivolgersi in
caso di reclamo o bisogno. Alla fine di ogni anno scolastico gli insegnanti erano
tenuti alla presentazione di una relazione sull’andamento dell’anno scolastico e di
una statistica riepilogativa sul movimento degli alunni. Alcune di queste relazioni
con allegate le statistiche sono lo strumento che consente di ricostruire e valutare
l’andamento della Scuola nel corso degli anni. Il prof. Arturo Verderi curò con
243
particolare attenzione tali relazioni, fornendo ogni anno un prospetto
particolarmente chiaro ed esaustivo dell’attività svolta.
Infine le ultime disposizioni contenute nel regolamento disciplinavano le
funzioni dei bidelli e fissavano le responsabilità e i doveri degli alunni iscritti. A
tale proposito è significativo evidenziare come, secondo il disposto di un articolo
inserito nel regolamento, qualora vi fossero stati alunni particolarmente capaci e
meritevoli ma non economicamente agiati, la Scuola si sarebbe accollata le spese
per garantirne la frequenza ai corsi. Garantire la possibilità di accedere a un livello
superiore di formazione agli alunni meno agiati è stato uno degli scopi principali
dell’istituto. Questo tipo di iniziative caratterizzava la funzione sociale del
sodalizio, che per tale via legittimava la propria vocazione alla diffusione di ideali
di solidarietà e giustizia sociale tra i propri soci e nella società civile.
I rimanenti articoli miravano a stabilire i comportamenti e la condotta
degli alunni prima, durante e dopo le lezioni e a fissare le pene da scontare in caso
di violazione del regolamento.
È opportuno infine riportare brevemente alcune informazioni relative
all’ordinamento e al programma didattico della Scuola329. L’ordinamento
prevedeva la presenza di quattro corsi annuali, di cui uno preparatorio.
Quest’ultimo comprendeva l’insegnamento delle seguenti materie:
geometria, disegno geometrico lineare e disegno lineare ornamentale a base
geometrica a mano libera.
Il primo corso presentava i seguenti insegnamenti: disegno geometrico
lineare, elementi di architettura, elementi d’ornato ed elementi di figura. Il
secondo corso approfondiva alcune materie del primo e vi aggiungeva gli
insegnamenti di disegno industriale e plastica. Il terzo corso infine presentava le
stesse materie d’insegnamento del secondo, con un maggior grado di
approfondimento e di perfezionamento delle tecniche.
Come si può notare, gli insegnamenti impartiti nelle lezioni non
risultavano estremamente professionali, rivolti cioè a una limitata categoria
329
ASC, cart. 72: Scuola d’arte applicata all’Industria – Varie, fasc. 4: Programma della Scuola e
regolamenti, pubblicazione a stampa Programma per la Scuola d’arte applicata all’industria,
Cividale 1911.
244
professionale. Data la generalità dell’insegnamento, la formazione ricevuta dai
giovani alunni era trasferibile in una serie abbastanza ampia di lavori sia
artigianali che industriali. Questa considerazione è ulteriormente avvalorata dalla
lettura dei dati che evidenziano il movimento degli alunni in base alle diverse
professioni. Nonostante la prevalenza di alcune categorie, sono presenti numerose
professioni che potevano giovarsi dei fondamenti dello studio della tecnica di
disegno, della geometria e della plastica.
245
CAPITOLO I 1
CENNI SUL MOVIMENTO MUTUALISTICO IN EUROPA E IN
ITALIA DOPO L’UNITÀ2
1.
ORIGINI E DIFFUSIONE IN EUROPA DEL MUTUO
SOCCORSO 2
2.
LA DIFFUSIONE DELL’ESPERIENZA MUTUALISTICA IN
ITALIA
6
3.
CARATTERI DEL MUTUALISMO ITALIANO
13
4.
NASCITA E SVILUPPO DEL MUTUALISMO IN FRIULI.
24
CAPITOLO II 33
LA CONDIZIONE SOCIO ECONOMICA DEL DISTRETTO DI
CIVIDALESE TRA FINE OTTOCENTO E PRIMO NOVECENTO
33
1.
L’ANDAMENTO DEMOGRAFICO A CIVIDALE TRA IL 1862
E IL 1921
2.
33
LA POPOLAZIONE DEL DISTRETTO DI CIVIDALE NEL
1871 43
3.
AGRICOLTURA E COMMERCIO
246
46
4.
PROPRIETÀ, STRUTTURA SOCIALE E VITA RURALE.
53
5.
LA VIABILITÀ PRINCIPALE E SECONDARIA NEL
DISTRETTO
6.
63
LE CONDIZIONI DELL’INDUSTRIA CIVIDALESE NELLA
STATISTICA MINISTERIALE DEL 1890
66
Comuni _________ Errore. Il segnalibro non è definito.
Fabbriche di cappelli _____ Errore. Il segnalibro non è definito.
7.
L’EVOLUZIONE DELLE CONDIZIONI RURALI E
INDUSTRIALI NEI PRIMI ANNI NOVECENTO
8.
76
LO SVILUPPO DELL’INDUSTRIA TRA IL 1890 E IL 1921
83
CAPITOLO III
91
LA NASCITA DELLA SOCIETÀ OPERAIA DI MUTUO SOCCORSO
DI CIVIDALE E I SUOI PRIMI ANNI DI ATTIVITÀ
1.
91
LA NASCITA DELLA SOCIETÀ OPERAIA DI CIVIDALE.
91
2.
ASPETTI DI VITA POLITICA A CIVIDALE E NELLA SOMSI
TRA FINE OTTOCENTO E INIZIO NOVECENTO
3.
LO STATUTO DELLA SOCIETÀ OPERAIA 102
4.
I SOCI
106
247
98
5.
CARICHE E UFFICI
111
6.
LA LEGGE BERTI SUL RICONOSCIMENTO GIURIDICO
DELLE SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO
7.
116
IL RICONOSCIMENTO GIURIDICO DELLA SOMSI DI
CIVIDALE 121
8.
LA COMPOSIZIONE DELLA BASE SOCIALE
125
9.
ENTRATE, USCITE E PATRIMONIO SOCIALE 133
10. LA SOCIETÀ CATTOLICA AGRICOLA DI MUTUO
SOCCORSO LEONE XIII
CAPITOLO IV
152
155
L’ATTIVITÀ MUTUALISTICA E PREVIDENZIALE
1.
155
ORDINAMENTO TECNICO E NORME STATUTARIE DELLA
SOCIETÀ DURANTE IL PRIMO TRENTENNIO DI VITA.
155
2.
IL BILANCIO TECNICO DEL 1908 162
3.
CASI DI MALATTIA E SUSSIDI CORRISPOSTI TRA IL 1870
E IL 1924
4.
168
I SISTEMI PREVIDENZIALI EUROPEI E L’ORIGINE DI
QUELLO ITALIANO
5.
176
LA CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA PER
L’INVALIDITÀ E LA VECCHIAIA DEGLI OPERAI
248
181
6.
LA CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E LE SOCIETÀ
OPERAIE
7.
187
L’ADESIONE DELLA SOCIETÀ OPERAIA DI CIVIDALE
ALLA CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA
190
CAPITOLO V 204
LE ALTRE ATTIVITÀ
1.
204
PRIMI TENTATIVI DI RIMODELLAZIONE DEL SETTORE
CREDITIZIO A CIVIDALE
2.
204
LE ORIGINI DELLA BANCA POPOLARE COOPERATIVA DI
CIVIDALE. 208
3.
LA COMPOSIZIONE SOCIETARIA E I MEMBRI DELLA
SOMSI ALL’INTERNO DELLA BANCA COOPERATIVA
4.
INIZIO E SVILUPPO DELL’ATTIVITÀ DELLA BANCA
COOPERATIVA
5.
218
220
NASCITA E SVILUPPO DELLA SCUOLA DI ARTI E
MESTIERI 223
6.
IL BILANCIO DELLA SCUOLA D’ARTI E MESTIERI 229
Anno ____________________________________________ 234
Entrate ___________________________________________ 234
Spese ____________________________________________ 234
Anno ____________________________________________ 235
Entrate_____________________________________________ 235
Spese ____________________________________________ 235
249
7.
ALUNNI DELLA SCUOLA D’ARTE DAL 1879 AL 1916
236
Arti e mestieri _________________________________________ 241
Totale_________________________________________ 241
8.
REGOLAMENTO DELLA SCUOLA E PROGRAMMA
DIDATTICO242
250
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