la rivoluzione russa fino a stalin

“LA RIVOLUZIONE RUSSA
FINO A STALIN”
PROF. VINCENZO BARRA
Università Telematica Pegaso
La rivoluzione russa fino a Stalin
Indice
1
I PRESUPPOSTI DELLA RIVOLUZIONE ------------------------------------------------------------------------------ 3
2
RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO E RIVOLUZIONE D’OTTOBRE ------------------------------------------------ 5
3
DA LENIN A STALIN -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 11
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 I presupposti della rivoluzione
La guerra che la Russia sostenne sul fronte orientale ebbe un’efficacia determinante
nell’economia complessiva del conflitto mondiale, almeno sino al 1917, come confermarono
appieno gli eventi successivi al collasso russo. Basti pensare che nel corso del conflitto l’esercito
russo perse 9 milioni di uomini tra morti, feriti e prigionieri, ma inflisse al nemico perdite non
inferiori a 6 milioni di uomini, con un rapporto più favorevole di quello degli eserciti alleati in
Occidente.
L’impero zarista aveva cominciato la guerra senza neppure che la mobilitazione fosse completata, e
ciò allo scopo di venire in soccorso della Francia invasa. E fu, per i russi, la disfatta di Tannenberg
(settembre 1914). E se, anche successivamente, i russi manifestarono inferiorità tattica nei confronti
dei tedeschi, a causa soprattutto della carenza di armamenti moderni e della mancanza di adeguati
rifornimenti di munizioni, altrettanto superiori si mostrarono nei confronti degli austro-ungarici, ai
quali inflissero sconfitte gravissime.
Nel corso del 1915, le offensive tedesche costrinsero i russi ad evacuare la Polonia, la Lituania e
parte della Lettonia. Ma nel giugno 1916 le armate russe passarono alla controffensiva, anche se
non riuscirono ad impedire il collasso della Romania, entrata in guerra alla fine di agosto.
Nel 1917, a determinare la rivoluzione non fu tanto la situazione militare, quanto piuttosto il fronte
interno. Bastarono infatti pochi giorni di tumulti nella capitale Pietroburgo perché il 15 marzo
finisse il regno plurisecolare degli zar, minato da una straordinaria crisi di consenso tra le masse,
gravemente provate dalla guerra e suggestionate dal miraggio della pace.
Verso il 1914 la Russia era diventata, alla pari con la Francia, la quarta potenza industriale del
mondo, dopo Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania:
Tra il 1860 e il 1913 […] la produzione industriale russa crebbe al notevole tasso annuo medio del 5
per cento. La sua produzione d’acciaio alla vigilia della prima guerra mondiale aveva superato
quella della Francia e dell’Austria-Ungheria ed era ben oltre quella dell’Italia e del Giappone. La
sua produzione di carbone stava crescendo ancora più in fretta, da 6 milioni di tonnellate nel 1890 a
36 nel 1914. Era il secondo produttore mondiale di petrolio […] vi fu pure un tardo sviluppo
dell’industria chimica e di quella elettrica, per non parlare delle fabbriche di armi. Stabilimenti
enormi, che spesso davano lavoro a migliaia di lavoratori sorsero nei dintorni di Pietroburgo, Moca
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e altre grandi città- La rete ferroviaria russa […] venne costantemente incrementata […]. Il
commercio estero […] venne triplicato tra il 1890 e il 1914 […].1
Ma tutto ciò si era potuto verificare grazie agli investimenti stranieri (soprattutto francesi). Tanto
che nel 1914 ben il 90 per cento delle miniere, il 100 per cento dei pozzi petroliferi, il 40 per cento
dell’industria metallurgica e il 50 per cento di quella chimica erano di proprietà straniera2. Inoltre, il
paese aveva il più alto debito con l’estero del mondo. Alla prova dei fatti si dimostrò essere una
società ancora contadina con una economia immatura. La sua immaturità, inoltre, era dovuta al fatto
che la grande spinta alla modernizzazione era provocata dall’alto, dallo Stato. Si trattava perciò di
un paese ancora in fondo estremamente arretrato, che entrava nell’età contemporanea condizionato
dalla ossessione di acquisire e mantenere lo status di grande potenza europea. Questa combinazione
di arretratezza agricola, di progresso industriale e di alte spese militari ebbe come effetto un
malcontento e un risentimento sempre crescenti.
1
P. KENNEDY, Ascesa e declino delle grandi potenze, Garzanti, Milano 1994, pagg. 332-333.
2
Ibidem.
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2 Rivoluzione di febbraio e rivoluzione d’ottobre
In Russia, il malcontento popolare – alimentato dalle sconfitte militari, dalle enormi perdite
umane e dal grave disagio economico, e sullo sfondo le enormi disuguaglianze sociali, acuite dalla
guerra – era stato accresciuto dagli errori politici e dall’ostinazione dello zar Nicola II a non
concedere riforme politiche. Nel marzo 1917 scoppiava la rivoluzione, diretta dai liberali moderati;
lo zar abdicava, e si formava un governo provvisorio (15 marzo). Ma la situazione scivolò
rapidamente a sinistra, poiché l’iniziativa passò alla sinistra bolscevica, guidata da un leader
carismatico quale Lenin, che propugnava una pace immediata e senza condizioni. Il socialista
Kerenski assunse la presidenza coll’intento di proseguire la guerra, ma era minacciato sia da destra
(fallito golpe del generale Kornilov) che da sinistra, dove i bolscevichi si rafforzarono
progressivamente.
Infatti le forze moderate trovarono nel generale Kornilov l’uomo forte per restaurare l’ordine e
uscire dall’anarchia. Karenski però giocò d’anticipo ed esautorò Kornilov il quale a quel punto
decise di far marciare le truppe sulla capitale. Lo spettro della controrivoluzione ebbe come
conseguenza che il partito di Lenin, principale protagonista della mobilitazione contro il colpo di
stato, fu visto come salvatore della rivoluzione e quindi i bolscevichi conquistarono facilmente la
maggioranza nel soviet di Pietrogrado. Altra conseguenza fu l’indebolimento di Karenski e con lui
di tutto il governo provvisorio.
La debolezza del governo provvisorio era dovuta all’istaurarsi di un dualismo di potere, tra il Soviet
dei deputati operai e il governo provvisorio stesso:
il Soviet, che non intendeva assumere direttamente responsabilità di governo, accordava al Governo
provvisorio un sostegno condizionato, nei limiti degli obiettivi programmatici […] svolgendo quasi
il ruolo di “custode” del governo; quest’ultimo, dal canto suo, aveva ritenuti indispensabile ottenere
una qualche forma di legittimazione popolare, e per questo motivo era entrato in trattative con
l’unico organismo scaturito dalla rivoluzione [il Soviet].3
Da questa situazione risultò:
il cosiddetto “dualismo di potere” (dvoevlastie), descritto come un sistema nel quale il Soviet
deteneva il potere senza responsabilità, e il Governo provvisorio le responsabilità senza il potere
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(Figes, 1996). In effetti, pur accentrando funzioni legislative ed esecutive, quest’ultimo era debole e
sotto ricatto, non solo perché il Comitato esecutivo dl Soviet esercitava una sorta di diritto di veto,
ma anche perché su questioni cruciali […] agiva di propria iniziativa.4
Il governo provvisorio si trovò in effetti senza forze di fronte a una situazione grave: la disciplina e
il morale dell’esercito erano al collasso, mentre la guerra comunque continuava, e i tedeschi
avanzavano. La situazione precipitò con la presa del potere da parte dei bolscevichi. Il colpo di
mano rivoluzionario, a tutti gli effetti un colpo di Stato all’interno della rivoluzione, sorprese
Kerenski che fuggì (6-7 novembre 1917) e il Palazzo d’Inverno fu preso senza spargimento di
sangue. Lenin e il suo partito s’impadronirono così del potere5.
Nato nel 1870, Vladimir Ilitch aveva assunto questo pseudonimo quando, giovanissimo, aveva
cominciato la lotta contro il regime zarista. Deportato in Siberia, aveva studiato approfonditamente
le opere di Marx, e poi era vissuto all’estero, soprattutto in Svizzera. Divenuto capo del partito,
mostrò tutto il suo rigore dottrinale e creò un’élite ristretta ma decisa e sicura. La sua convinzione di
fondo era che la dittatura del proletariato fosse indispensabile per garantire la transizione dallo
zarismo al socialismo.
Istallatosi al potere, il bolscevismo, grazie al carisma di leader quali Lenin e Trotski (che crea e
comanda l’Armata Rossa), vi si stabilì solidamente. Infatti, alle elezioni per la costituente i
bolscevichi persero, ottenendo solo il 24 per cento dei voti contro il 38 per cento dei socialisti
rivoluzionari. Ma l’Assemblea costituente, dopo essere stata rimandata per molto tempo, potè
riunirsi una sola volta poiché venne sciolta con la forza dai bolscevichi. I giornali d’opposizione
furono messi fuorilegge; il sistema giudiziario rifondato sui tribunali rivoluzionari per i reati contro
lo Stato; venne fondato un nuovo servizio segreto famigerato, la CEKA. Col decreto di Lenin «La
patria socialista è in pericolo!» nel febbraio 1918, il governo autorizzava l’esecuzione sul posto
senza processo di agitatori controrivoluzionari, categoria in cui rientravano tutti gli avversari
politici di Lenin e dei bolscevichi.
Nonostante il bolscevismo si trovò quindi a governare un paese invaso dal nemico e in piena
anarchia interna, lo stabilimento del regime comunista fu rapido e solido. Questo successo si
3
G. CIGLIANO, La Russia contemporanea. Un profilo storico (1855-1995), Carocci 2008, pagg. 91-92.
Ibidem.
5
Un resoconto divenuto classico della Rivoluzione d’Ottobre è quello del giornalista americano John REED,
I dieci giorni che sconvolsero il mondo, Editori Riuniti, Roma 1961. Per altri volumi di sintesi si rimanda
alla bibliografia finale.
4
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spiegava con il gradimento che i primi atti di Lenin ricevettero dal popolo russo: le terre ai
contadini e le fabbriche agli operai (8 novembre 1917); la pace (armistizio con le Potenze centrali
del 26 novembre 1917 e pace di Brest-Litovsk del 3 marzo 1918); eguaglianza tra tutti i popoli e
nazionalità della Russia.
Ma le forze conservatrici reagirono: all’Ovest, si contava sulla rinascita della Polonia per contenere
la Russia; il problema delle frontiere dette luogo a una guerra tra i due paesi, conclusa con la pace di
Riga (marzo 1921), che vide il consolidamento della Polonia. Anche la creazione degli Stati baltici
(Finlandia, Estonia, Lituania, Lettonia) creò un “cordone sanitario” intorno alla Russia sovietica.
L’“esportazione della rivoluzione” era fallita anche nei casi dell’Ungheria e della rivoluzione
spartachista in Germania.
Per salvare la rivoluzione minacciata, Lenin istaurò un regime durissimo e repressivo, il
“comunismo di guerra”. La Costituzione proclamata nel 1918 accentrava il potere nel Comitato
centrale del partito e nel Consiglio dei commissari del popolo; il partito era, di fatto e di diritto, il
detentore assoluto del potere. Per combattere la carestia, il regime obbligò con requisizioni forzate i
contadini a consegnare il loro grano; fu stabilito un severo razionamento. Commissioni straordinarie
furono stabilite per combattere i controrivoluzionari, veri o presunti; la polizia politica, la
temutissima CEKA, gestiva la repressione. La guerra civile, che sembrava per un momento far
prevalere i “Bianchi”, fedeli allo zar o controrivoluzionari, di Wrangel, Denikin e Kolciak nelle
regioni periferiche (Ucraina, Crimea, Caucaso, Siberia), rischiava di disgregare l’unità della Russia
e di sopraffare il regime bolscevico. I giapponesi sbarcarono a loro volta a Vladivostok, i francobritannici ad Arcangelo. La situazione era quanto mai confusa, precaria ed incerta. La Russia non
era che una cittadella assediata. In questo clima, la famiglia imperiale venne trucidata ad
Ekaterinenburg (luglio 1919). I bolscevichi ottennero la vittoria grazie alla loro posizione centrale,
alla forza e determinazione dell’Armata rossa, alle divisioni degli avversari. Il bilancio umano fu
altissimo: nel biennio 1919-1920 le vittime civili – tra esecuzioni, epidemie e carestie – raggiunsero
la cifra di circa 7 milioni.
Di fatto, però, la rivoluzione bolscevica era salva. Anche se a costo di milioni di vite umane e di
ingenti perdite territoriali (quando infatti la Russia uscì dalla guerra, ritornò ai confini sulla
Moscova come nel Seicento, perdendo Finlandia, Lettonia, Estonia e Lituania, Polonia e Ucraina).
Ma fu proprio l’uscita dalla guerra a salvare il nuovo regime, come Lenin aveva lucidamente
previsto.
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3 Da Lenin a Stalin
Anche se il regime bolscevico usciva vincitore dalla guerra civile, era, però, minacciato da
una grave crisi economica e politica. La crisi economica era duplice: le requisizioni avevano
scontentato i contadini, che reagirono con la passività; le cifre della produzione crollarono, e il 1921
vide una spaventosa carestia, aggravata da un’epidemia di tifo che colpì 5 milioni e mezzo di
abitanti. La crisi industriale si espresse nella riduzione della produzione a un settimo di quella
d’anteguerra; il combustibile mancava, le ferrovie erano paralizzate. Gli operai, tra i quali la
carestia e le epidemie fecero ecatombe, abbandonarono le fabbriche. Alla fine del 1921, più di 5
milioni di operai morivano di fame. Si organizzarono dei soccorsi internazionali, col contributo
fondamentale degli USA.
La crisi politica derivava direttamente da questa condizione: il malcontento si tradusse in
un’agitazione contadina e, soprattutto, nella rivolta della base di Kronstadt. Il 3 marzo 1921, infatti,
essi reclamavano l’abolizione del monopolio del potere da parte del partito comunista, la fine delle
requisizioni, il ristabilimento del commercio al minuto. Dal 10 al 18 marzo i marinai tenevano testa
all’Armata rossa, che alla fine represse la rivolta nel sangue.
Lenin riconobbe francamente gli errori commessi, e il 18 aprile 1921 lanciava una nuova politica
economica – la N.E.P. –, che riconosceva al capitalismo privato un ruolo limitato. Il ritorno alla
libertà economica per i contadini e i commercianti venne sancita dal decreto che aboliva le
requisizioni e proclamava la libertà del commercio interno (12 marzo). Il regime si umanizzava, la
polizia politica dei soviet – la CEKA – veniva soppressa e sostituita con la GEPEU, alle dipendenze
dirette del governo.
Ma la socializzazione della grande industria fu comunque proseguita, col monopolio dei trasporti,
del credito, del commercio estero, anche se si apriva al capitale straniero. I risultati furono
eccellenti: una moneta stabile, la ripresa della produzione agricola e di quella industriale; la
disoccupazione riassorbita, la condizione materiale dei russi migliorata.
Allo stesso tempo, si precisarono meglio la struttura territoriale, la dottrina e l’organizzazione
politica dello Stato. La Russia aveva perduto, per effetto della guerra, da 25 a 30 milioni di abitanti,
ma quel che restava costituiva ancora un enorme spazio geo-politico, territoriale e demografico. Il
30 dicembre 1922 il Primo Congresso Pansovietico approvò il Trattato che istituiva l’Unione delle
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Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). Quattro repubbliche furono costituite: Russia-Siberia (il
dieci per cento del territorio), Ucraina, Russia Bianca, Transcaucasia. Politicamente, tuttavia,
l’impulso veniva sempre da Mosca. La Costituzione del 1924 rispondeva ai disegni politicoideologici di Lenin, finalizzati allo stabilimento della dittatura del proletariato in preparazione della
realizzazione compiuta dell’ideale comunista di una società senza classi. Il partito comunista era
infatti la struttura essenziale del regime, e il suo segretario era il vero capo del governo e dello
Stato.
Ma se il partito governava il paese, il segretario generale governava il partito. La crisi politica che si
aprì alla morte di Lenin lo dimostrava pienamente. Colpito da un ictus nel maggio 1922, Lenin da
allora non fece che declinare, morendo infine il 21 gennaio 1924. Scomparso Lenin, due uomini
restarono a fronteggiarsi: Stalin e Trotski. Il dissidio, oltre che personale, era anche politico e
ideologico. Trotski avrebbe voluto sacrificare tutto alla rivoluzione mondiale, della quale l’URSS
non era altro che lo strumento; Stalin riteneva invece che non vi era nulla da temere dagli Stati
“borghesi”, e che bisognava innanzitutto consolidare la situazione interna. Il conflitto divenne
presto violento: Kamenev e Zinoviev, inizialmente alleati di Stalin, seguirono Trotski e formarono
la nuova opposizione politica. Ma Stalin prevalse, godendo, inoltre, della sua posizione di segretario
generale. Nel 1927, Trotski, che era stato allontanato due anni prima dalla carica di commissario del
popolo alla Guerra e aveva preso apertamente la testa dell’opposizione, venne confinato in Asia
Centrale, e poi espulso dall’URSS (1929). Sconfitto, non avrebbe cessato però sino alla morte –
assassinato nel 1940 in Messico da sicari di Stalin – di attaccare duramente il regime stalinista e le
sue degenerazioni dal marxismo e dal leninismo6.
Il troskismo divenne da allora la bestia nera dello stalinismo, che lo avrebbe perseguitato e represso
ferocemente sia all’interno dell’URSS che nel movimento comunista internazionale. Ma, intanto, la
crisi era risolta, e il regime consolidato: esso aveva un capo, un programma, dei formidabili
strumenti di governo e di comando. Lo stalinismo si accingeva ormai a divenire una delle forme più
evolute e micidiali assunte dal totalitarismo di massa del XIX secolo.
Tra i suoi strumenti più efficaci vi sarebbe stata la III Internazionale, costituita al congresso di
Mosca del 2-6 marzo 1919, allo scopo di raccogliere e coordinare a livello mondiale i partiti
comunisti che si andavano formando nei vari paesi. Suo organo di direzione era il Komintern, il cui
6
E.H. CARR, Storia della Russia sovietica cit., vol. II, Il socialismo in un solo paese; I. DEUTSCHER, Stalin,
Longanesi, Milano 1969; G. BOFFA, Storia dell’Unione Sovietica cit., vol. I.
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compito era di preparare e promuovere la rivoluzione universale. Di fatto il Komintern, con sede a
Mosca, fu uno strumento del governo sovietico7.
7
A. AGOSTI, Le Internazionali operaie, Loescher, Torino 1973.
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Bibliografia
 G. BOFFA, Storia dell’Unione Sovietica, vol. I, Dalla Rivoluzione alla seconda guerra
mondiale. Lenin e Stalin 1917-1941, Milano 1976
 E.H. CARR, Storia della Russia sovietica, Torino 1964-80, in nove volumi
 W.H. CHAMBERLAIN, Storia della rivoluzione russa, Torino 1941, vv. 3
 G. CIGLIANO, La Russia contemporanea. Un profilo storico (1855-1995), 2008
 I. DEUTSCHER, Stalin, Milano 1969
 M. FERRO, La rivoluzione del 1917, Firenze 1974
 A.B. ULAM, Lenin e il suo tempo, Firenze 1967
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