Alessandra Kostner OSSERVAZIONI IN TEMA DI DIRITTI

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Alessandra Kostner
OSSERVAZIONI IN TEMA DI DIRITTI FONDAMENTALI
DELLA PERSONA IN AMBITO FISCALE E RIFLESSI
SUL GIUDICATO TRIBUTARIO
SOME REMARKS ON FUNDAMENTAL HUMAN RIGHTS IN TAX
LAW AND CONSEQUENCES ON THE TAX RES JUDICATA
Abstract
I diritti fondamentali della persona, riconosciuti pienamente non solo dalla Carta
costituzionale quanto, anche e soprattutto, dalla Carta dei Diritti Fondamentali
dell’Unione Europea (c.d. Carta di Nizza) e dalla Convenzione Europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), assumono sempre più un ruolo primario nella gerarchia delle fonti tributarie. Ciò, in particolare, per quanto concerne le garanzie che necessariamente devono essere assicurate al contribuente nella fase di attuazione del prelievo fiscale.
La sent. n. 113/2011 della Corte costituzionale ha affermato la piena applicazione nell’ordinamento italiano in materia penale della tutela sancita dall’art. 6 della
CEDU. Attraverso tale pronuncia, in particolare, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione nazionale che non prevedeva la revisione
del processo a seguito di una pronuncia definitiva della Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo che avesse accertato l’avvenuta violazione della CEDU.
Alla luce sia della richiamata sentenza e delle rilevanti conseguenze da essa originate nel nostro ordinamento, che di quanto emerso dalle note pronunce “Lucchini” e
“Olimpiclub” (per quel che riguarda la rilevanza del giudicato esterno), sembra
prospettabile che anche il giudicato tributario possa cedere di fronte ad accertate
violazioni delle garanzie previste dalle suddette Carte internazionali.
Parole chiave: diritti della persona, diritto di difesa, Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, giudicato
tributario
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Fundamental human rights, fully recognized by the Italian Constitution and, especially, by the Charter of Fundamental Rights of the European Union (so-called Charter of Nice) and by the European Convention on Human Rights (ECHR), are increasingly taking a primary role in the hierarchy of tax legal sources.
This especially happens with reference to the guarantees that must necessarily be
granted to the taxpayer during the enforcement of tax obligations.
Decision No. 113/2011 of the Italian Constitutional Court considered fully applicable into Italian criminal law the protection enshrined in Art. 6 ECHR.
With this decision, in particular, the Court considered unconstitutional the provision
of an Italian statute which did not allow the judicial review following a final judgment
of the European Court of Human Rights that found out an infringement of the
ECHR. In the light of the abovementioned judgment and of the well-known decisions
Lucchini and Olimpiclub (with reference to the relevance of the “external” res judicata), it seems that a final tax judgment must be subject to judicial review if there are
violations of the guarantees provided by these international instruments.
Keywords: human rights, right of defence, Charter of Fundamental Rights of the European Union, European Convention on Human Rights, tax res judicata
SOMMARIO:
1. Premessa. – 2. L’indiscussa applicabilità diretta della Carta di Nizza-Strasburgo all’ordinamento interno: riflessioni sulla portata dell’art. 47 della Carta ai fini del riconoscimento di una
tutela piena ed effettiva. – 3. Il ruolo della Convezione Europea dei Diritti dell’Uomo nella gerarchia delle fonti tra dibattiti dottrinari e giurisprudenziali: brevi riflessioni in ordine alla risoluzione dei conflitti tra le norme ordinarie e la CEDU. – 4. Segue: l’applicabilità delle garanzie
previste dall’art. 6 della CEDU alla materia tributaria. – 5. L’incidenza delle Carte internazionali sugli atti interni divenuti definiti, alla luce della sent. n. 113/2011 della Corte costituzionale:
riflessi sul giudicato tributario.
1. Premessa
I diritti fondamentali della persona, affermati dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (c.d. Carta di Nizza-Strasburgo) e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) spesso in maniera assai
più pregnante rispetto a quanto avviene nell’ordinamento interno, assumono particolare rilevanza anche nella materia tributaria per ciò che attiene alle garanzie da riconoscere necessariamente al contribuente nell’attuazione
del prelievo fiscale.
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In un’ottica garantista, la recente sent. n. 113/2011 della Corte costituzionale (ultima di un conforme filone giurisprudenziale) ha affermato la
piena operatività delle tutele sancite dall’art. 6 della CEDU nell’ordinamento interno in materia penale al punto da censurare, sotto il profilo della legittimità costituzionale, la disposizione nazionale che non prevedeva la revisione del processo in presenza di una sentenza definitiva della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (c.d. Corte EDU o di Strasburgo) che avesse accertato l’avvenuta violazione della CEDU.
Tale pronuncia non può che offrire lo spunto per riflettere sull’applicabilità delle garanzie sancite dalla CEDU e, ancor di più, dalla Carta di NizzaStrasburgo, alla materia tributaria, nonché per domandarsi se, similmente a
quanto avvenuto in materia penale, anche il giudicato tributario possa cedere di fronte alle accertate violazioni delle garanzie previste dalle suddette Carte internazionali.
D’altra parte, una simile considerazione non deve sconvolgere se si pensa
che l’intangibilità del giudicato tributario è già stata svalutata dalle note sentenze “Lucchini” e, in modo diverso e certamente meno incisivo, in quanto
riguardante precipuamente la rilevanza del giudicato esterno, “Fallimento
Olimpiclub”, allorquando si era in presenza di violazioni di norme o principi
comunitari di origine giurisprudenziale (abuso del diritto fiscale).
Ovviamente, tale riflessione implica necessariamente l’approfondimento
di alcuni preliminari e necessari passaggi logici ed, in particolare, delle questioni riguardanti l’applicabilità delle Carte all’ambito tributario, il ruolo delle
stesse nel sistema delle fonti ed, infine, la possibile risoluzione di eventuali
contrasti tra una norma interna ed una disposizione, evidentemente maggiormente garantista, delle nominate Carte internazionali.
2. L’indiscussa applicabilità diretta della Carta di Nizza-Strasburgo all’ordinamento interno: riflessioni sulla portata dell’art. 47 della Carta ai fini
del riconoscimento di una tutela piena ed effettiva
Al fine di comprendere se la Carta di Nizza-Strasburgo trovi diretta applicazione nell’ordinamento nazionale, occorre inquadrare la posizione assunta dalla stessa all’interno della gerarchia delle fonti.
In proposito, l’art. 6, par. 1, TUE 1, nel rispetto della particolare condizio1
L’art. 6, comma 1, del TUE sancisce che «L’Unione riconosce i diritti, le libertà e i
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ne di avvenuta “trattatizzazione 2”della Carta UE 3, le ha riconosciuto il medesimo valore giuridico dei Trattati, consentendo così di affermarne in modo indiscusso la diretta applicabilità all’interno dell’ordinamento nazionale
e, dunque, nel sistema tributario, ovviamente secondo il principio di attribuzione ex art. 5 TUE e nel rispetto dell’art. 51 della Carta di Nizza-Strasburgo 4.
In altri termini, la Carta Europea dei Diritti Fondamentali, alla luce della
sua collocazione nel sistema dei Trattati e poiché sottoscritta ed adottata
dalle istituzioni europee e dagli stati membri, condivide lo status forte appartenente alle norme comunitarie, facendone parte a pieno titolo 5 e possiede,
di conseguenza, una “pregnante forza giuridica 6”, pur limitandosi ad essere
efficace, come già sottolineato, per le sole materie di competenza dell’UE 7.
principi sanciti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre
2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei Trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione
definite nei Trattati. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella
Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni».
2
Si rinvia alla sentenza della Corte cost. n. 80/2011 con nota di RUGGIERI, La Corte fa
il punto sul rilievo della CEDU e della Carta di Nizza-Strasburgo, in Forum dei Quaderni Costituzionali, consultabile in www.forumcostituzionale.it.
3
In tal senso si veda anche la Risoluzione 31 maggio 2001, n. 2001/2002 sul Trattato
di Nizza e sul futuro dell’UE.
4
L’art 51 così recita: «Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni
e agli organi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive
competenze. La presente Carta non introduce competenze nuove o compiti nuovi per la
Comunità e per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti dai trattati».
5
In proposito, è opportuno precisare che l’utilizzo della nozione “ordinamento comunitario” appare inadeguato e che si rende, pertanto, necessaria la distinzione tra “grande o
piccola Europa”, facendo rientrare nella prima delle due “Europe” la CEDU e la relativa Corte EDU (o di Strasburgo) e ricomprendendo, invece, nel concetto di “piccola Europa” la
Carta di Nizza-Strasburgo e la Corte di Lussemburgo: così VIGANÒ, Fonti europee e ordinamento italiano, in Dir. pen. e proc., n. 8, all. 1, 2011, p. 4 ss.
6
V. SCALA, “L’emergere” della carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, in Giur. it., n. 2, 2002.
7
Sul punto v. LUPI, Concorrenza tra ordinamenti, Comunità europee e prelievo tributario,
in Rass. trib., 2004, p. 990 ss.; BORIA, Diritto tributario europeo, Milano, 2005, p. 52 ss.; MELIS, Coordinamento fiscale nella Ue, in Enc. dir. Annali, vol. I., 2007, p. 402 ss.; INGRAO, Dalle
teorie moniste e dualiste all’integrazione dei valori nei rapporti tra diritto interno e comuni-
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Con la conseguenza che si ritiene di dover affermare la diretta applicazione della Carta UE, alla pari di ogni altra fonte comunitaria, nel nostro ordinamento 8.
Né d’altra parte può essere, in qualche modo, condivisa la tesi 9 secondo
cui non è legittimo ammettere l’immediata efficacia giuridica sostanziale della
Carta UE in relazione agli ordinamenti interni, perché ciò «si porrebbe in
contrasto con la diversa volontà degli organi titolari del procedimento di revisione dei Trattati 10» e si tradurrebbe in una ingiustificata trasformazione
della natura dei medesimi Trattati.
Ciò in quanto, la Carta di Nizza non è soltanto equiparabile ai Trattati ma
è essa stessa un Trattato 11, avendo un proprio preambolo diverso dai preamboli del TUE e del TFUE.
Peraltro, se per Trattato si intende, in ossequio alla Convenzione di Vienna, «un accordo internazionale concluso in forma scritta fra Stati contenuto
in due o più strumenti connessi, quale che sia la sua particolare denominazione 12», non si ritiene di poter cogliere, da un punto di vista sostanziale, la
ragione per cui la Carta UE dovrebbe essere differenziata dai Trattati.
Né tanto meno il differente nomen iuris (Carta anziché Trattato) può rappresentare una giustificazione all’esclusione della Carta di Nizza-Strasburgo
dal sistema dei Trattati europei e, dunque, dalle fonti primarie 13.
Ed ancora, occorre precisare che anche nel caso in cui si presentasse l’esigenza di emendare norme parte della Carta dei diritti fondamentali, sarebbe
tario alla luce del Trattato di Lisbona, in Riv. dir. trib., fasc. 2, 2010, p. 213 ss.; VIGANÒ,
op. cit., p. 4 ss.
8
Occorre, senz’altro, fare riferimento, tra tutte, alla prima applicazione della Carta
dei Diritti dell’Unione Europea attuata da un giudice italiano: la sentenza della Corte app.
Roma, 11 aprile 2002, in Giur. it., n. 2238, 2002 con nota di CALVANO, in Giur. it., n. 12,
2002.
9
V. DE SIERVO, La difficile Costituzione europea e le scorciatoie illusorie, in AA.VV., La
difficile Costituzione europea, a cura di De Siervo, Bologna, 2001, p. 109 ss.; MALTESI, “Principi comuni agli ordinamenti europei” e la libertà di domicilio: la Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea vista dalla Corte Costituzionale italiana, in Giur. it., n. 7, 2003.
10
Così DE SIERVO, op. cit., p. 109.
11
Così FRAGOLA, Osservazioni sul trattato di Lisbona tra Costituzione europea e processo
di “decostituzionalizzazione”, in Dir. com. scambi intern., n. 1, 2008, p. 217; G. TESAURO, Un
testo di revisione stilato a tempo di record che sacrifica partecipazione e valori condivisi, in Guida dir., n. 6., 2007, p. 10 ss.
12
V. FRAGOLA, op. cit., p. 218.
13
Ancora, FRAGOLA, op. cit., p. 218; ZILLER, Il nuovo Trattato europeo, Bologna, 2007, p.
135 ss.
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necessario applicare il procedimento ordinario di revisione, ex art. 48 TUE 14
14
L’art. 48 TUE dispone che «1. I trattati possono essere modificati conformemente a
una procedura di revisione ordinaria. Possono inoltre essere modificati conformemente a
procedure di revisione semplificate.
Procedura di revisione ordinaria
2. Il governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possono sottoporre al Consiglio progetti intesi a modificare i trattati. Tali progetti possono,
tra l’altro, essere intesi ad accrescere o a ridurre le competenze attribuite all’Unione nei
trattati. Tali progetti sono trasmessi dal Consiglio al Consiglio europeo e notificati ai parlamenti nazionali.
3. Qualora il Consiglio europeo, previa consultazione del Parlamento europeo e della
Commissione, adotti a maggioranza semplice una decisione favorevole all’esame delle
modifiche proposte, il presidente del Consiglio europeo convoca una convenzione composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi di Stato o di governo degli Stati
membri, del Parlamento europeo e della Commissione. In caso di modifiche istituzionali
nel settore monetario, è consultata anche la Banca centrale europea. La convenzione esamina i progetti di modifica e adotta per consenso una raccomandazione a una conferenza
dei rappresentanti dei governi degli Stati membri quale prevista al paragrafo 4.
Il Consiglio europeo può decidere a maggioranza semplice, previa approvazione del
Parlamento europeo, di non convocare una convenzione qualora l’entità delle modifiche
non lo giustifichi. In questo caso, il Consiglio europeo definisce il mandato per una conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri.
4. Una conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri è convocata dal
presidente del Consiglio allo scopo di stabilire di comune accordo le modifiche da apportare ai trattati.
Le modifiche entrano in vigore dopo essere state ratificate da tutti gli Stati membri
conformemente alle rispettive norme costituzionali.
5. Qualora, al termine di un periodo di due anni a decorrere dalla firma di un trattato
che modifica i trattati, i quattro quinti degli Stati membri abbiano ratificato detto trattato e
uno o più Stati membri abbiano incontrato difficoltà nelle procedure di ratifica, la questione è deferita al Consiglio europeo.
Procedure di revisione semplificate
6. Il governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possono sottoporre al Consiglio europeo progetti intesi a modificare in tutto o in parte le disposizioni della parte terza del trattato sul funzionamento dell’Unione europea relative alle
politiche e azioni interne dell’Unione.
Il Consiglio europeo può adottare una decisione che modifica in tutto o in parte le disposizioni della parte terza del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Il Consiglio europeo delibera all’unanimità previa consultazione del Parlamento europeo, della
Commissione e, in caso di modifiche istituzionali nel settore monetario, della Banca centrale europea. Tale decisione entra in vigore solo previa approvazione degli Stati membri
conformemente alle rispettive norme costituzionali.
La decisione di cui al secondo comma non può estendere le competenze attribuite all’Unione nei trattati.
7. Quando il trattato sul funzionamento dell’Unione europea o il titolo V del presente
trattato prevedono che il Consiglio deliberi all’unanimità in un settore o in un caso deter-
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(ad esclusione del comma 2, par. 3 della stessa norma 15, proprio dei Trattati).
Tanto premesso, poiché alla luce del principio di cooperazione, al quale
sono improntati i rapporti tra diritto interno ed europeo, le Corti nazionali
agiscono in stretto collegamento con le Corti europee, adeguando i diritti
facenti parte della Carte costituzionali ai diritti sanciti a livello sovra-nazionale, si possono definire “ius commune” i diritti fondamentali dell’Uomo sanciti dalla Carta di Nizza, facendo riferimento con tale espressione a “principi
comuni agli ordinamenti comunitari” 16.
Alla luce di quanto osservato in ordine alla posizione attribuita alla Carta
dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea all’interno del sistema delle
fonti e affermatane l’immediata applicabilità in relazione agli ordinamenti
interni, è opportuno chiedersi cosa accada laddove si presenti un conflitto
tra una norma interna ed una disposizione della Carta di Nizza-Strasburgo.
In ragione dell’evidente primato del diritto comunitario su quello interno,
si ritiene di dover concludere per la necessaria disapplicazione della norma
interna che resterà in vita nell’ordinamento italiano, ma non potrà esperire
alcun tipo di efficacia 17.
L’applicabilità della Carta di Nizza, finora evidenziata, induce a soffermarsi sulla portata dell’art. 47 della stessa Carta 18, ai fini del riconoscimento
minato, il Consiglio europeo può adottare una decisione che consenta al Consiglio di deliberare a maggioranza qualificata in detto settore o caso. Il presente comma non si applica
alle decisioni che hanno implicazioni militari o che rientrano nel settore della difesa.
Quando il trattato sul funzionamento dell’Unione europea prevede che il Consiglio adotti atti legislativi secondo una procedura legislativa speciale, il Consiglio europeo può adottare
una decisione che consenta l’adozione di tali atti secondo la procedura legislativa ordinaria.
Ogni iniziativa presa dal Consiglio europeo in base al primo o al secondo comma è trasmessa ai parlamenti nazionali. In caso di opposizione di un parlamento nazionale notificata entro sei mesi dalla data di tale trasmissione, la decisione di cui al primo o al secondo
comma non è adottata. In assenza di opposizione, il Consiglio europeo può adottare detta
decisione.
Per l’adozione delle decisioni di cui al primo o al secondo comma, il Consiglio europeo
delibera all’unanimità previa approvazione del Parlamento europeo, che si pronuncia a
maggioranza dei membri che lo compongono».
15
FRAGOLA, op. cit., p. 219.
16
V. MALTESI, op. cit.
17
Di recente si veda, in tal senso, MULEO, Il principio europeo dell’effettività della tutela e
gli anacronismi delle presunzioni legali tributarie alla luce dei potenziamenti dei poteri istruttori
dell’amministrazione finanziaria, in Riv. trim. dir. trib., n. 3, 2012, p. 138 ss., il quale ha prospettato la disapplicazione di talune presunzioni legali tributarie alla luce dell’art. 47 della
Carta UE.
18
L’art. 47 della Carta di Nizza Strasburgo sancisce che «Ogni individuo i cui diritti e
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di una tutela piena ed effettiva nell’ordinamento interno e, in specie, in quello tributario.
Fermo restando il richiamo implicito che la norma attua, nel comma 1,
all’art. 13 della CEDU 19 e, nella seconda parte del testo, all’art. 6, par. 1, della medesima Convenzione 20, è opportuno far presente che la tutela offerta è
evidentemente più ampia ed estesa rispetto a quella garantita dalla CEDU
come si evince, tra l’altro, da alcune importanti pronunce 21 della Corte di
Giustizia.
È altresì imprescindibile riflettere sul rapporto intercorrente tra l’art. 24
Cost. e il già citato art. 47 della Carta di Nizza.
Senz’altro, la lettera della norma interna ha una portata più estesa ma, a
ben vedere, dietro il contenuto apparentemente esiguo dell’art. 47 della Carta
internazionale, si cela una maggiore protezione accordata agli individui.
le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni
individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro
un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge.
Ogni individuo ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che
non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato qualora ciò
sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia».
19
L’art. 13 della CEDU così recita: «Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che
agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali».
20
L’art. 6, par. 1, della CEDU prevede che «Ogni persona ha diritto a che la sua causa
sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale
indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle
controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte
del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in
una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della
vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi
della giustizia».
21
V. Corte di Giustizia, caso Johnston, causa 15 maggio 1986, n. 222/84; Id., caso Heylens,
causa 15 ottobre 1987, n. 222/86; Id., caso Borelli, causa 3 dicembre 1992, C-97/91. Inoltre, tale condizione è evidenziata anche da RUGGIERI, Carte internazionali dei diritti, Costituzione europea, Costituzione nazionale: prospettive di ricomposizione delle fonti in sistema,
Relazione all’incontro di studio su La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo,
organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, Roma, 28 febbraio-2 marzo 2007,
p. 10, nota 34.
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Invero, la concisione e la sinteticità proprie della disposizione europea
consentono di rendere elastica la nozione di “tutela piena ed effettiva”, nella
prospettiva di ampliare il raggio d’azione della difesa dei diritti fondamentali
dell’Uomo.
Pertanto, si ritiene di dover attribuire alla Carta di Nizza-Strasburgo una
maggiore capacità di tutela dei diritti umani sia rispetto a quanto garantito
dalla CEDU, sia in relazione alla protezione accordata dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri, rappresentando la stessa Carta la strada più
agevole da percorrere e, dunque, il percorso concretamente più fecondo e
produttivo, ai fini dell’affermazione di una tutela piena ed effettiva. Tale ricostruzione, ovviamente nel rispetto del già citato principio di attribuzione
delle competenze comunitarie, nell’ambito tributario deve verosimilmente
tradursi, come sarà meglio specificato appresso, nel riconoscimento di una
tutela effettiva per il contribuente nelle fasi di attuazione del prelievo fiscale.
3. Il ruolo della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo nella gerarchia
delle fonti tra dibattiti dottrinari e giurisprudenziali: brevi riflessioni in
ordine alla risoluzione dei conflitti tra le norme ordinarie e la CEDU
Per poter valutare appieno i rapporti intercorrenti tra l’ordinamento italiano e la CEDU, occorre, in via preliminare, ripercorrere, seppur brevemente, l’evoluzione del pensiero della dottrina e della giurisprudenza in ordine al ruolo riconosciuto alla CEDU nel sistema delle fonti.
Punto di partenza è la L. 4 agosto 1955, n. 848 che ha introdotto la Convenzione nell’ordinamento giuridico italiano, equiparandone le disposizioni
ad una comune legge ordinaria 22.
Tuttavia, tale approccio ha subito evidenti ridimensionamenti e forti critiche da parte di quella dottrina 23 che ha evidenziato le notevoli differenze
tra la legge ordinaria e le norme appartenenti alla CEDU.
22
Si rinvia, in proposito, a SPERDUTI, La Convenzione europea dei diritti dell’Uomo ed il
suo sistema di garanzie, in Riv. dir. int., 1963, p. 174 ss.; CARTABIA, La CEDU e l’ordinamento italiano: rapporti tra fonti, rapporti tra giurisdizioni, in AA.VV., All’incrocio tra Costituzione e CEDU. Il rango delle norme della Convenzione e l’efficacia interna delle sentenze di Strasburgo, a cura di Bin-Brunelli-Pugiotto-Veronesi, Torino, 2007, p. 7 ss.
23
V., ex multis, CHIAVARIO, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel sistema delle
fonti normative in materia penale, Milano, 1969, p. 51 ss.; RUGGIERI, Carte internazionali dei
diritti, cit., p. 12 ss.
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In particolare, tale dottrina ha rivolto l’attenzione alla forza passiva della
Convenzione, ritenendo che se la legge ordinaria può essere abrogata, sulla
base di una norma successiva e dello stesso rango, in applicazione del noto
canone della lex posterior, la stessa conclusione non può ammettersi per i precetti contenuti nella CEDU, in quanto ciò condurrebbe inequivocabilmente
alla violazione dell’art. 117 Cost. sul dovuto rispetto degli obblighi internazionali.
In proposito, la Corte costituzionale se, con alcune pronunce 24, aveva affermato per la CEDU il valore di legge ordinaria; con altre 25, ne aveva invece asserito la non abrogabilità o modificabilità da parte di una legge ordinaria successiva 26.
Non solo. La Corte ha definito “interposte” 27 le norme della CEDU, attribuendo ad esse uno status intermedio e dunque un rango a metà tra la Costituzione e la norma ordinaria 28.
Contrariamente a quanto sostenuto da una dottrina 29 che, valorizzando
l’attuale art. 6 del TUE (e, prima ancora, il previgente art. 6, comma 2, del
Trattato di Maastricht 30, ha affermato la diretta applicabilità, al pari delle
24
V. Corte cost., 22 settembre 1980, n. 188; Id., 10 febbraio 1981, n. 17; Id., 22 marzo
2001, n. 73.
25
Si rinvia a Corte cost., 19 gennaio 1993, n. 10.
26
Si veda CONFORTI, Diritto internazionale, Napoli, 1999, p. 309 ss.; RANDAZZO, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo nella giurisprudenza costituzionale (STU 187-maggio
2006); ID., La CEDU e l’art. 117 della Costituzione. L’indennità di esproprio per le aree edificabili e il risarcimento del danno da occupazione acquisitiva, in Giornale dir. amm., n. 1, 2008,
p. 25 ss.
27
V. Corte cost., sent. 24 ottobre 2007, n. 347; Id., sent. 24 ottobre 2007, n. 348. Nello
stesso senso si sono, poi, mosse altre emblematiche pronunce: Corte cost., sent. 26 novembre 2009, n. 311; Id., sent. 4 dicembre 2009, n. 317; Id., sent. 26 novembre 2009, n. 311.
28
In proposito, si vedano: CALVANO, La Corte Costituzionale e la CEDU nella sentenza
n. 348/2007: Orgoglio e pregiudizio?, in Giur. it., 2008, p. 573 ss.; CONFORTI, La Corte costituzionale e gli obblighi internazionali dello Stato in tema di espropriazione, in Giur. it., 2008,
p. 565 ss.; RANDAZZO, La CEDU e l’art. 117 della Costituzione, cit., p. 25 ss.; AA.VV., Il rango interno della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo secondo la più recente giurisprudenza della Corte Costituzionale, a cura di Sciso, Roma, 2008.
29
V. MULEO, La Corte europea dei diritti dell’uomo “apre” alle questioni tributarie in tema
di sindacabilità giurisdizionale delle indagini domiciliari, in Dialoghi trib., n. 4, 2009, p. 381
ss.); ID., L’applicazione dell’art. 6 CEDU anche all’istruttoria tributaria a seguito della sentenza del 21 febbraio 2008 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso Ravon e altri c.
Francia e le ricadute sullo schema processuale vigente, in Riv. dir. trib., 2008, p. 198 ss.
30
V. MULEO, Contributo allo studio del sistema probatorio nel procedimento di accertamento, Torino, 2000, p. 447, che, ancor prima della maggiore rilevanza attribuita alla CEDU
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norme comunitarie, della Convenzione all’ordinamento domestico in quanto richiamata espressamente dal citato art. 6 del TUE e recepita dall’UE 31, si
ritiene di dover condividere il richiamato orientamento giurisprudenziale,
in quanto le norme convenzionali, non generando una limitazione di sovranità e non dando origine ad un ordinamento giuridico sovranazionale, non
rientrano nel campo di applicazione dell’art. 11 Cost. e costituiscono, dunque, «norme internazionali pattizie che vincolano lo stato, ma non producono effetti diretti nell’ordinamento 32».
Peraltro, i principi della CEDU sono improntati ai caratteri dell’ampiezza e dell’indeterminatezza e, dunque, non risultano paragonabili alle norme
dotate di immediata efficacia all’interno dell’ordinamento comunitario.
Senza considerare che la CEDU è stata redatta dal Consiglio d’Europa,
ma non è stata ancora sottoscritta dall’UE, come, invece, è accaduto per la
Carta di Nizza 33.
Tenendo a mente i diversi orientamenti della dottrina e della giurisprudenza sul ruolo della CEDU nella teoria delle fonti, occorre, a questo punto, stabilire quale sia la risoluzione di antinomie tra la CEDU ed una norma interna.
Alla luce di quanto affermato in ordine alla qualificazione della Cedu
quale norma interposta all’interno della teoria delle fonti, nel caso in cui si
prospetti l’ipotesi sopra richiamata, il giudice nazionale dovrebbe attuare
un’interpretazione “adeguatrice” 34 rispetto al contenuto della CEDU e, lada seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ha prospettato la diretta applicabilità dei principi fondamentali della Convenzione nell’ordinamento domestico, affermando
il potere-dovere del giudice italiano di disapplicare la norma interna contrastante con la
predetta Convenzione.
31
L’art. 6, par. 2, del TUE afferma che «L’Unione aderisce alla Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non
modifica le competenze dell’Unione definite nei trattati».
32
La recente sentenza della Corte cost. n. 80/2011 ha confermato e rafforzato ulteriormente l’orientamento appena richiamato. Si è, infatti, espressa nel senso di attribuire il
ruolo di norma “interposta” alla CEDU e di non riconoscerle un’immediata applicabilità
all’interno del nostro ordinamento interno.
33
Si rinvia a RUGGIERI, Carte internazionali dei diritti, cit., p. 12 ss.; CARTABIA, op. cit., p.
18 ss.
34
V. SORRENTI, L’interpretazione conforme a Costituzione, Milano, 2006; RUGGERI, Alla
ricerca del fondamento dell’interpretazione conforme, in AA.VV., Interpretazione conforme e
tecniche argomentative, Atti del Convegno di Milano svoltosi il 6-7 giugno 2008, a cura di
D’Amico-Randazzo, Torino, 2009, p. 392 ss.; LUPO, La vincolatività delle sentenze della Corte
europea per il giudice interno e la svolta recente della Cassazione civile e penale, in http://
appinter.csm.it/relaz/14037.pdf.
5.
940
DOTTRINA
RTDT - n. 4/2012
dove ciò non fosse consentito o non risultasse possibile, dovrebbe sollevare
una questione di legittimità dinanzi alla Corte costituzionale per violazione
del comma 1 dell’art. 117 Cost. 35, come modificato dalla nota riforma del
2001 36.
Tale disposizione assicura, infatti, una copertura costituzionale alle norme contenute in accordi internazionali e, dunque, alla CEDU allorché la si
qualifichi come norma interposta 37.
Non sono, peraltro, mancati orientamenti contrastanti da parte di
Chi 38, valorizzando la “vis espansiva” dei principi della CEDU – in virtù del
già citato art. 6 del TUE –, ha concluso per la disapplicazione della norma
interna.
Tuttavia, se si riconoscesse in astratto al giudice comune il potere – dovere di disapplicazione della norma interna in contrasto con la CEDU, tale
facoltà sarebbe limitata ai soli precetti “auto-applicativi” 39 e non sarebbe
una soluzione accettabile, alla luce del principio della rule of law, nelle materie attribuite necessariamente alla competenza del Legislatore, in quanto si
attribuirebbero ai giudici ingiustificati poteri normopoietici 40.
Invero, mediante l’utilizzo dello strumento disapplicativo, si equiparerebbe, in modo errato, la CEDU ai regolamenti ed alle norme comunitarie 41, venendo meno alle differenze intercorrenti tra le fonti internazionali e
quelle comunitarie.
35
L’art. 117 Cost., come ampiamente noto, afferma che «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali».
36
In tal senso, v. RUGGIERI, Carte internazionali dei diritti, cit., p. 12 ss.; CARTABIA, op.
cit., p. 18 ss.
37
RANDAZZO, La CEDU e l’art. 117 della Costituzione, cit., p. 25 ss.; SCISO, Introduzione,
in AA.VV., Il rango interno della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, cit., p. 9 ss.
38
V. MULEO, La Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 381 ss.; ID., L’applicazione
dell’art. 6 CEDU, cit., p. 198 ss.
39
Si sta qui facendo riferimento alle norme self-executing, ossia quei precetti che abbiano un contenuto normativo chiaro e completo, se pur mediante l’integrazione con norme
interne, come evidenziato dalle seguenti pronunce: Cass., sez. un., 23 novembre 1988, n.
15; Cass. pen., sez. I, sent. 10 luglio 1993, n. 2194.
40
Sul punto, si rinvia a MARATEA, Interpretazione delle norme CEDU da parte del giudice
nazionale e disapplicazione della norma interna, in AA.VV., All’incrocio tra Costituzione e
CEDU, cit., p. 149 ss.
41
V. CARTABIA-WEILER, L’Italia in Europa, Bologna, 2000, p. 93 ss.; CARTABIA, op. cit.,
p. 7 ss.
Alessandra Kostner
941
Ancora, si ritiene di dover valorizzare la considerazione proposta da una
dottrina 42 (se ben compresa), in base alla quale le reazioni che conseguono
al contrasto tra norme interne e principi della CEDU sono strettamente collegate e dipendenti dalla tipologia dei rapporti intercorrenti tra diritto internazionale, sovranazionale e interno 43.
In altri termini, per la stessa dottrina 44, se, ragionando secondo una logica verticale, si ravvisasse nell’ordinamento comunitario ed internazionale un
“potenziale aggressore” del sistema interno, l’apertura dell’assetto nazionale
a norme convenzionali 45 rappresenterebbe una vera e propria limitazione di
sovranità e, dunque, in caso di conflitto tra una norma ordinaria e i principi
della CEDU, si dovrebbe forse concludere per il rimedio disapplicativo.
Se, invece, in un’ottica orizzontale e circolare, si cogliesse nel fenomeno
dell’internazionalizzazione la piena realizzazione dell’ordinamento nazionale e non, piuttosto, una sua lesione, allora si dovrebbe propendere per lo
strumento dell’interpretazione conforme alla Convenzione.
La giurisprudenza, sul punto, è apparsa contrastante. Da un lato, si è
espressa in senso favorevole in ordine alla possibilità di riconoscere ampio
spazio allo strumento disapplicativo in relazione alle norme interne incompatibili con la Convenzione, e, dall’altro, ha affermato la necessità di adottare, in caso di conflitto tra norma interna e CEDU, l’interpretazione conforme a Convenzione e, ove necessario, di ricorrere ad un giudizio di legittimità costituzionale della norma nazionale 46.
42
Si veda, tra gli altri, RUGGIERI, Carte internazionali dei diritti, cit., p. 5 ss.
Per ulteriori approfondimenti sul tema dei rapporti tra diritto interno e comunitario
e sulla concezione “dualista” e “monista” si rinvia a LUPI, op. cit., p. 989 ss.; FERNAZZO NATOLI, Rapporto tra ordinamento comunitario ed interno nel diritto tributario: dalla teoria dualista a quella monista?, in AA.VV., Diritto tributario e Corte Costituzionale, a cura di PerroneBerliri, Napoli, 2006, p. 323 ss.; INGRAO, op. cit., p. 213 ss.
44
V. ancora RUGGIERI, Carte internazionali dei diritti, cit., p. 5 ss.
45
In tale contesto, si fa riferimento indifferentemente alle norme comunitarie ed a
quelle internazionali.
46
A favore dell’utilizzo dello strumento disapplicativo si vedano CTR Milano, sent. 19
settembre 2000; Trib. Genova, 4 giugno 2001, in Foro it., 2001, I, p. 2653 ss.; Corte app.
Roma, ord. 11 aprile 2002, in Giur. cost., n. 3, 2002, p. 2221 ss.; Cass., sez. I, 19 luglio 2002,
n. 10542; Cass., sez. un., 23 dicembre 2005, n. 28507; Cass. pen., sez. un., 14 novembre
2006, n. 37483, Arena, punto 8; Cass. pen., sez., sent. 25 gennaio 2007, n. 2800. Contra, v.
ord., Cass., 19 ottobre 2006, n. 22357; ord., Cass., sez. I, 20 maggio 2006, n. 11887 e 29
maggio 2006, n. 12810.
43
942
DOTTRINA
RTDT - n. 4/2012
4. Segue: l’applicabilità delle garanzie previste dall’art. 6 della CEDU alla
materia tributaria
Il comma 1 dell’art. 6 della CEDU, come noto, si riferisce alle controversie di natura civile e penale, non contemplando una forma espressa di tutela
per la materia pubblicistica e, dunque, per quella fiscale.
Peraltro, nonostante la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, con risalenti pronunce 47, abbia negato la possibilità di estendere le garanzie ex art.
6 della CEDU alle controversie di carattere tributario, numerosi sono stati,
e sono tuttora, i tentativi di apertura che la stessa Corte 48 ha compiuto al fine di superare la bipartizione strictu sensu tra materia penale e civile.
Una parte della dottrina 49 ha tentato di andare oltre la dicotomia, che si
evince dall’analisi letterale della norma, attraverso un percorso storico-comparatistico.
47
Si pensi, ad esempio, alle sentenze Cases of Schouten and Meldrum v. then Netherlands,
Applications nn. 19005/91 e 19006/91 ed alla pronuncia Ferrazzini c. Repubblica italiana,
ricorso 12 luglio 2001, n. 44759/1998.
48
La Corte di Strasburgo, in specie, ha affermato l’applicabilità dell’art. 6 della CEDU,
con la sentenza Case of Editions Périscope v. France, application 26 marzo 1992, n. 11760/85
alle controversie relative al disconoscimento di un’agevolazione di natura tributaria; con la
sentenza Hntrich c. Francia n. 296-A del 22 settembre 1994, ai processi relativi ai diritti di
prelazione del Fisco; con la sentenza National & provincial Bulding Society, Leeds Permanet
Builing Society et Yorkshire Building Society c. Royaume-Uni del 23 ottobre 1997, ai processi
di rimborso, laddove alla base di tale tipologia di giudizio non si rinvenisse una pretesa di
carattere fiscale; con la pronunce Janosevic c. Svezia e Vastberga Taxi Aktiebolag c. Svezia
del luglio 2002, alle sanzioni amministrative attuate in caso di violazioni tributarie; con il
caso Affaire SA Cabinet Diot et SA Gras Sayoye c. France, Requetes del 22 ottobre 2003, n.
49217/99 e n. 49218/99 ai processi con oggetto l’accertamento del diritto al rimborso relativo a tributi versati in eccesso o del tutto non dovuti. Fondamentale, poi, è il noto caso
Jussila c. Finlandia, ricorso 23 novembre 2006, n. 73053/01. Dall’analisi della pronuncia
emerge come la Corte abbia concluso per l’estensibilità delle garanzie, ex art. 6 della CEDU,
alle sanzioni tributarie, assimilandole alle nozione di “accusa penale” contenuta nella lettera della norma. Nello stesso senso, si è mossa la Corte con la sentenza “Ravon”, dalla cui
lettura si evince il riconoscimento del diritto di ogni singolo ad un equo processo, ex art. 6
della CEDU, anche per quel che concerne l’istruttoria tributaria. Ancora, sempre in tema
di applicabilità dell’art. 6 della CEDU alla fase relativa all’istruttoria, si vedano le pronunce: Andrè e altri c. Francia, 24 luglio 2008, richiesta n. 18603/03; Kandler e altri c. Francia, 18
settembre 2008, ricorso n. 18659/05; Maschino, 16 ottobre 2008, richiesta n. 10477/03; Società IFB, 20 novembre 2008, ricorso n. 2058/04.
49
Così DEL FEDERICO, I principi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo in materia tributaria, in Atti del Convegno Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo e giusto processo tributario, Pescara, 5-6 maggio 2011.
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943
Partendo dal presupposto che la Convenzione accomuna Stati assai diversi per cultura e tradizioni giuridiche, tale orientamento ha sostenuto, in
primis, che la materia pubblicistica (e quindi quella tributaria) è riconducibile
alle categorie contemplate dal già citato art. 6; in secondo luogo, che non è
possibile ipotizzare un rapporto, se pur in ambito pubblicistico, in cui siano
carenti o del tutto assenti le garanzie previste a tutela del contribuente.
Altra parte della dottrina 50, invece, ha prospettato una diversa interpretazione della norma alla luce della nuova concezione del rapporto intercorrente tra Fisco e contribuente.
La Corte di Strasburgo, secondo tale dottrina, appellandosi a quell’orientamento che ravvisava un interesse legittimo, ritenuto un diritto soggettivo
debole, nell’oggetto della tutela giurisdizionale, ha prefigurato un rapporto
non paritario tra contribuente e Fisco, adottando un orientamento restrittivo e propendendo, quindi, per la non riconducibilità delle controversie tributarie a quelle di natura civilistica 51.
Tuttavia, è da ritenere pacifico che il potere dell’Amministrazione finanziaria si traduca nell’espressione di una funzione vincolata, esercitando il
contribuente, da parte sua, un «diritto negatorio della pretesa tributaria» 52.
Ancorché, invero, emerga con ogni evidenza la natura autoritativa dei provvedimenti emanati dall’Amministrazione finanziaria ed, in particolar modo,
dell’avviso di accertamento, appaiono comunque pregnanti i principi di legalità, buon andamento ed imparzialità, cui la stessa Amministrazione deve
attenersi nello svolgimento della propria azione impositiva 53.
50
V. GALLO, Quale modello processuale per il processo tributario?, in Rass. trib., 2011, p.
11 ss.; PERRONE, Diritto tributario e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Rass. trib.,
n. 3, 2007, p. 675 ss.; DEL FEDERICO, I principi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, cit.
51
DE MITA, La “durata ragionevole” del processo tributario tra norme interne e convenzionali, nota a Corte app. Perugia, 30 ottobre 2001, n. 331, in Corr. trib., 2002, p. 1431 ss., così come citato da PERRONE, op. cit., p. 675 ss.
52
Si veda DEL FEDERICO, I principi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, cit.
53
In proposito, Gallo ha anche affermato come la necessaria trasformazione del rapporto intercorrente tra Fisco e contribuente debba essere collegata all’impossibilità di consentire che il diritto soggettivo, posto a tutela del soggetto privato, sia subordinato al potere sovrano dello Stato, anche laddove lo stesso, seguendo l’impostazione alloriana, miri ad
un obiettivo di giustizia. (V. GALLO, Verso un “giusto processo” tributario, in Rass. trib., n. 1,
2003, p. 11 ss.). A riguardo, Tesauro ha evidenziato come in Allorio non si possa cogliere,
in alcun modo, la condizione che si configuri un potere sovrano in grado di far degradare i
diritti dei cittadini. Anche alla luce della convinzione che la giustizia debba avere la finalità
di applicare imparzialmente la legge e con la conseguenza che non esista un potere sovra-
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Peraltro, la L. n. 212/2000 ha influito sul rapporto tra contribuente ed
Amministrazione finanziaria, facendo sì che lo stesso, per certi versi, assumesse una connotazione di natura chiaramente collaborativa 54.
Appare, dunque, senz’altro condivisibile la tesi 55 secondo cui, ai fini della
ricomprensione delle controversie tributarie nella nozione di “diritti e doveri di carattere civile” ex art. 6 della CEDU, sia del tutto irrilevante la distinzione individuata in dottrina 56 tra diritto soggettivo ed interesse legittimo,
dovendosi pertanto ricomprendere nel termine “diritto” entrambe le nozioni.
Si aggiunga che, a seguito di alcune sentenze 57, si è determinata di fatto
una vera e propria equiparazione tra le due fattispecie in relazione alle quali
è assicurata pari tutela da parte dell’ordinamento.
Occorre, peraltro, considerare che, ancorché l’obbligazione tributaria rientri nel novero delle obbligazioni pubblicistiche e le attività inerenti all’accertamento ed alla gestione del prelievo tributario siano considerate di natura pubblicistica, è innegabile la comune matrice che lega indissolubilmente l’obbligazione tributaria a quella civilistica e che consente di equiparare le
due fattispecie 58.
Infatti, nonostante l’obbligazione tributaria, partendo dalla medesima
matrice dell’obbligazione civile, abbia assunto caratteristiche di natura pubblicistica, non è dato riscontrare una vera e propria distinzione tra le due tipologie di obbligazione 59.
no per l’Amministrazione finanziaria e che, invece, lo stesso sia di natura amministrativa e
vincolata. E dinanzi a tale potere, l’interesse legittimo del soggetto non rappresenta una situazione di soggezione, in quanto origina un diritto potestativo all’annullamento dell’atto
emanato e, quindi, non si determina alcuna diminuzione di garanzie. (V. F. TESAURO, Giusto processo e processo tributario, in Rass. trib., n. 1, 2006, p. 11 ss.).
54
V. F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, parte generale, 2009, pp. 146-147; DEL
FEDERICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea. Contributo allo studio della
prospettiva italiana, Milano, 2010, p. 279 ss.
55
V. F. TESAURO, Giusto processo, cit., p. 11 ss.
56
V. GALLO, Quale modello processuale per il processo tributario?, cit., p. 11 ss.
57
Si vedano le note pronunce: Cass., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500; Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204, che, come noto, hanno affermato come possa sorgere un diritto al risarcimento del danno in caso di lesione di interessi legittimi.
58
Così FREGNI, Obbligazione tributaria e codice civile, Torino, 1998, p. 52 ss.
59
V. ancora FREGNI, op. cit., p. 13 ss., che ha affermato come, se si considerasse l’obbligazione tributaria un’obbligazione civilistica tout court, tutte le norme di diritto civile si
applicherebbero al sistema tributario e, quindi, la legge tributaria diventerebbe una norma
speciale rispetto a quella generale, rappresentata dal diritto privato. E se, invece, la si considerasse interamente di natura pubblica, il rapporto con il diritto civile sarebbe mediato e
Alessandra Kostner
945
In definitiva, in virtù delle evidenziate assonanze tra l’obbligazione civilistica e quella tributaria, sembra potersi affermare l’applicabilità di quanto
previsto dall’art. 6 della CEDU alla materia fiscale.
A questo punto, è opportuno chiedersi se si possa giungere alla medesima conclusione optando per un differente approccio: quello, cioè, di assimilare la materia fiscale a quella penale per quel che concerne il sistema sanzionatorio, i poteri d’indagine della parte pubblica ed il sistema probatorio.
In altri termini, sulla scia di alcune ormai note sentenze 60, in specie, in
tema di sanzioni 61, potrebbe risultare legittimo ricomprendere la disciplina
fiscale nel campo di applicazione del già citato art. 6 della CEDU, ipotizzando
la confluenza della disciplina tributaria nella nozione di “accusa penale”.
Tale approccio, che potrebbe apparire, a prima vista, addirittura avventato,
merita sicuramente di essere approfondito.
Innanzitutto, appare necessario chiarire cosa debba intendersi per “accusa penale”; secondariamente è indispensabile individuare un collegamento
tra la sfera tributaria e quella penalistica.
Per quel che riguarda la prima questione, una dottrina, in relazione alle
sanzioni tributarie, ha convintamente negato un’interpretazione “riduzionistica” della norma che riguardasse i soli casi di restrizione delle libertà personali del soggetto sottoposto ad accusa, anche se non sono comunque mancati orientamenti contrastanti sul punto 62.
Per quel che concerne, invece, la seconda questione, vale a dire la ricerca
di un possibile nesso tra la disciplina tributaria e quella penalistica, la vicinanza delle due branche del diritto appare innegabile, oltre che in riferimensolo nel caso in cui si riscontrasse una lacuna in ambito pubblicistico si potrebbe fare riferimento alle disposizioni di diritto civile.
60
Si vedano, ad esempio, le pronunce Corte EDU, 8 giugno 1975, Engel c. Olanda; Id.,
21 febbraio 1984, Ozturk c. Garmania; Id., 28 giugno 1984, Campbell e Fell c. Regno Unito;
Id., 25 agosto 1987, Lutz c. Garmania; Id., 24 febbraio 1994, Bendemoun c. Francia; Id., 27
febbraio 2001, X c. Italia; 23 luglio 2002, Janovic c. Svezia; Id., 23 luglio 2002, Vastberg Taxi
Aktiebolag c. Svezia.
61
Si veda, tra tutte, la nota pronuncia Jussila nella quale, come noto, la Corte ha sancito
l’applicabilità della CEDU, ed in particolar modo della norma in esame, alle sanzioni tributarie, mediante il riconoscimento per le stesse della loro natura penale, dovuta al fine punitivo e non risarcitorio della prestazione pecuniaria prevista.
62
V. GREGGI, Giusto processo e diritto tributario europeo: la prova testimoniale nell’applicazione della CEDU (il caso Jussila), in Rass. trib., n. 1, 2007, p. 228 ss. ove ampi riferimenti
anche in relazione ai diversi orientamenti espressi dalla dottrina. L’Autore, inoltre, ha diffusamente trattato l’individuazione dei criteri atti a definire la nozione di “accusa penale”.
946
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to alle sanzioni tributarie, cui si è fatto cenno, anche in relazione ai poteri
d’indagine della parte pubblica ed al sistema probatorio, in quanto quest’ultimi, nell’esercizio dell’azione impositiva, sembrano assimilabili all’impostazione penalistica ed, in particolar modo, alla fase di istruttoria predibattimentale 63.
Una conferma in questa direzione è data dalla lettura dell’art. 70, D.P.R. n.
600/1973 e dall’art. 75, D.P.R. n. 633/1972, dalla quale si evince espressamente un riferimento alle norme processual-penalistiche, per quanto compatibili ed in caso di mancanza della relativa disciplina in ambito fiscale 64.
Inoltre, anche in relazione alle garanzie riconosciute al contribuente all’interno della stessa fase istruttoria, è individuabile un adeguato grado di
omogeneità rispetto a quanto stabilito in ambito penale.
È evidente, da quanto finora osservato, che l’endiadi “civile” e “penale”,
individuata dall’art. 6 CEDU, si riferisca al “diritto” nel suo complesso e non
si possa, dunque, escludere la materia tributaria dal campo di applicazione
della norma.
Né appare, necessario, ai fini della ricomprensione dell’ambito tributario
nella sfera applicativa della medesima disposizione, effettuare una valutazione a-priori in relazione alla possibilità di assimilare la materia tributaria,
considerata nel suo complesso ovvero per specifici segmenti, nella nozione
di “diritti e doveri di carattere civile” o di “accusa penale”.
Ciò in quanto, come già affermato, l’ambito tributario resta comunque
ricompreso nella dicotomia contenuta nell’art. 6 della CEDU che ha, evidentemente, una valenza omogeneizzante 65.
Si ritiene, in conclusione, di condividere l’orientamento prevalente della
dottrina 66 che si è espresso per l’estensione dell’art. 6 della CEDU alla ma63
V. MULEO, Contributo allo studio del sistema probatorio, cit., p. 113 ss., che ha sottolineato come nel momento in cui la persona agisce sia assente l’organo pubblico (e per far
fronte a tale condizione, a differenza di quel che avviene in ambito civilistico, è concesso
un potere invasivo nei confronti del soggetto privato) ed è leso, quindi, il principio di parità delle armi. In altri termini, siamo dinanzi a due sistemi tesi ad accertare il fatto e la responsabilità di chi ha agito.
64
V. ancora MULEO, Contributo allo studio del sistema probatorio, cit., p. 118, che ha
evidenziato come il rinvio, contenuto in tali norme alla disciplina processual-penalistica,
sia rimasto invariato, nonostante le numerose modifiche che la previsione originaria ha
subito. E questo è particolarmente rilevante al fine di dimostrare lo stretto collegamento
esistente tra la materia penale e quella tributaria.
65
DEL FEDERICO, I principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cit.
66
Si veda, tra gli altri, F. TESAURO, Giusto processo, cit., p. 11 ss.; L. PERRONE, op. cit., p.
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947
teria tributaria, anche alla luce della considerazione che, in un’ottica garantista, è impensabile non riconoscere ad un procedimento considerato oramai
a tutti gli effetti di natura giurisdizionale 67, quale è appunto quello tributario, le garanzie convenzionali accordate ai procedimenti penali e civili.
5. L’incidenza delle Carte internazionali sugli atti interni divenuti definiti, alla luce della sent. n. 113/2011 della Corte costituzionale: riflessi sul giudicato tributario
Il giudicato, ancorché intangibile in quanto posto a garanzia di principi
fondamentali dell’ordinamento giuridico, quali la certezza del diritto e la stabilità delle situazioni giuridiche 68, ha subito, come noto, ridimensionamenti
giurisprudenziali 69 per ciò che attiene alla sua efficacia, in virtù dell’applicazione sia di norme che, per certi versi, di principi comunitari.
675 ss.; MULEO, L’applicazione dell’art. 6 CEDU, cit., p. 198 ss.; DEL FEDERICO, I principi
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cit.; GALLO, Quale modello processuale per il
processo tributario?, cit., p. 11 ss.; GIOVANNINI, Giustizia e giustizia tributaria (riflessioni brevi sul giusto processo), in Rass. trib., n. 2, 2001, p. 271 ss.; MARCHESELLI, Corte europea dei
diritti dell’Uomo e giusta istruttoria: il caso Jussila, in Atti del Convegno Convenzione Europea
dei diritti dell’Uomo e giusto processo tributario, cit.
67
V. PERRONE, op. cit., p. 675 ss.
68
In tal senso, si sono espresse le note sentenze Eco Swiss (Corte di Giustizia, 1° giugno 1999, causa C-126/97, EcoSwiss China Time Itd. C. Benetton International N V.), Kobler (Corte di Giustizia, 30 settembre 2003, causa C-224/01), Welis (Corte di Giustizia, 7
gennaio 2004, causa C-201/02, Welis) e Kapferer (Cortte di Giustizia, 16 marzo 2006, causa
C-234/04, Kapferer).
69
Ci si riferisce, in particolar modo, alle note pronunce Lucchini (Corte di Giustizia, 18
luglio 2007, causa C-119/05); Kempter (Corte di Giustizia, 12 febbraio 2008, causa C-2/06)
e Fallimento Olimpiclub (Corte di Giustizia, 3 settembre 2009, causa C-02/08). Con riferimento a quest’ultima pronuncia, riguardante l’applicazione dell’armonizzata imposta sul
valore aggiunto, dall’analisi della stessa non si evidenzia la prevalenza del principio dell’abuso del diritto sul diritto nazionale, quanto piuttosto la non efficacia del giudicato in conflitto con norme comunitarie in altri giudizi aventi ad oggetto la stessa questione ma che si
riferiscano ad altri periodi. Il conflitto che si presenta non riguarda dunque il contrasto tra
l’ordinamento interno, da una parte, e quello comunitario, dall’altra, ma il contrasto tra un
orientamento giurisprudenziale favorevole all’efficacia esterna del giudicato e un principio
dell’ordinamento comunitario: v. DEL GROSSO, La Cassazione ritorna sul giudicato esterno,
in Rass. trib., n. 5, 2009, p. 1417 ss.; MICELI, Riflessioni sull’efficacia del giudicato tributario alla
luce della recente sentenza Olimpiclub, in Rass. trib., n. 6, 2009, p. 1839 ss., BASILAVECCHIA, Il
giudicato esterno cede all’abuso del diritto (ma non solo), in Riv. giur. trib., n. 1, 2010, p. 18 ss.
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Occorre, dunque, interrogarsi se la mitigazione della “forza” propria del
giudicato tributario possa essere configurata in applicazione della Carta di
Nizza-Strasburgo ovvero della CEDU.
D’altra parte, se l’efficacia del giudicato è stata attenuata dalla Corte di
Giustizia CE, in nome di disposizioni comunitarie ed anche di principi di
origine giurisprudenziale, come l’abuso di diritto, sebbene in modo diverso e
meno incisivo 70, è possibile affermare la cedevolezza della res iudicata in
nome di fonti positive dell’ordinamento comunitario, se pur nei limiti del
già citato principio di attribuzione.
A tal proposito, con riferimento alla Carta di Nizza-Strasburgo, in virtù
di quanto affermato circa il suo rango di fonte comunitaria, risulta agevole
tentare un ridimensionamento (i.e. cedevolezza) della res iudicata in applicazione delle disposizioni previste dalla stessa Carta, poste stavolta a garanzia del contribuente, quali, tra tutte, il diritto ad una tutela piena ed effettiva
e ad un processo equo sancito dall’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, ovviamente nel rispetto del principio di attribuzione delle competenze.
È lecito chiedersi, tuttavia, se nell’ipotesi di una pronuncia interna passata in giudicato, che leda i principi previsti dalla Carta di Nizza-Strasburgo,
occorra, come accaduto nel caso Lucchini (in cui vi era stata una decisione
definitiva della Commissione europea competente in materia di aiuti di stato), una preventiva sentenza definitiva della Corte di Lussemburgo che accerti l’infrazione commessa dallo Stato o se, al contrario, spetti direttamente
al giudice nazionale ripristinare le garanzie violate.
Nel rispetto del ruolo attribuito alla Carta dei Diritti Fondamentali
dell’Unione Europea all’interno del sistema delle fonti ed in virtù della funzione primaria riconosciuta alla stessa Carta ai fini di una tutela piena ed effettiva degli individui, sia pure nell’ambito di “un giardino chiuso” 71, appare
70
Si rinvia alla nota precedente per le dovute precisazioni attinenti al caso Fallimento
Olimpiclub.
71
Si veda, ex multis, RUGGIERI, La Corte fa il punto, cit., che sottolinea come la Carta di
Nizza-Strasburgo valga nei soli casi di competenza dell’UE, al contrario della CEDU, per la
quale si parla di efficacia universale; COSTANZO-MEZZETTI-RUGGIERI, Lineamenti di diritto
costituzionale dell’unione europea, Torino, 2010, p. 275 ss. È opportuno, tra l’altro, precisare
che, in ambito fiscale, l’ordinamento comunitario ha competenza solo su alcuni tributi
(come, ad esempio, in materia di IVA), ma sarebbe impensabile ipotizzare una disparità di
trattamento nelle controversie attinenti ai diversi tributi, dovendosi, dunque, concludere
per un trattamento omogeneo in relazione a tutta la fiscalità.
Alessandra Kostner
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lecito affermare che è compito del giudice interno rilevare l’errore e rimediare mediante la disapplicazione del giudicato interno 72.
Alla Carta di Nizza, dunque, va riservato un trattamento privilegiato collegato alla sua natura di fonte comunitaria ed ammettere, pertanto, nei casi
di contrasto della stessa con pronunce interne definitive, il rimedio diretto
ed immediato della disapplicazione del giudicato domestico contrastante.
Per quanto attiene, invece, al contrasto del giudicato interno con le disposizioni della CEDU e, in specie, con le garanzie ex art. 6 della CEDU, la
soluzione di tale conflitto, certamente maggiormente problematica, dipende, evidentemente, dal ruolo attribuito alla Convenzione nella teoria delle
fonti, cui si è fatto cenno in precedenza.
Se si condividesse la ricostruzione di quella dottrina che ha qualificato la
CEDU alla stregua delle norme comunitarie 73, anche in questo caso, similmente a quanto ipotizzato con riferimento alla Carta di Nizza, sarebbe possibile concludere per la diretta disapplicazione del giudicato interno contrastante con l’art. 6 della CEDU. Anche se, in proposito, altra dottrina 74, alla
luce di alcune pronunce 75, ha ritenuto che la prospettata disapplicazione sarebbe da riferire all’antinomia tra una sentenza interna passata in giudicato
ed una pronuncia definitiva della Corte di Strasburgo che abbia accertato la
violazione dell’art. 6 della CEDU.
A parere di chi scrive, tuttavia, è opportuno aderire alla teoria della avversa dottrina che, in linea con quanto più volte affermato dalla Corte costituzionale, ha definito la CEDU norma “interposta” 76.
72
Così DANIELE, Introduzione, in AA.VV., L’incidenza del diritto comunitario e della Cedu sugli atti nazionali definitivi, a cura di Fabio Spilateri, Milano, 2009, p. 2 ss.
73
V. MULEO, La Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 381 ss.; ID., L’applicazione
dell’art. 6 CEDU, cit., p. 198 ss.
74
V. GAMBINI, Il ruolo del giudice ordinario e della Corte costituzionale nell’attuazione
dell’obbligo di apertura o revisione del processo, in AA.VV., L’incidenza del diritto comunitario
e della CEDU sugli atti nazionali definitivi, a cura di Spilateri, Milano, 2009, p. 201 ss.
75
Cass., sez. I., 22 settembre 2005, n. 35616, caso Cat Berro; Cass. pen., sez. I, sent. 12
luglio 2006, n. 32678, caso Somogyi.
76
V. CALVANO, op. cit., p. 573 ss.; CARTABIA, op. cit., p. 18 ss.; CONFORTI, La Corte costituzionale, cit., p. 565 ss.; RANDAZZO, La CEDU e l’art. 117 della Costituzione, cit., p. 25 ss.;
AA.VV. Il rango interno della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, cit.; RUGGIERI, Carte
internazionali dei diritti, cit., p. 12 ss.
La recente sentenza della Corte cost. n. 80/2011 ha confermato e rafforzato ulteriormente l’orientamento appena richiamato. Si è, infatti, espressa nel senso di attribuire il ruolo di
norma “interposta” alla CEDU e di non riconoscerle un’immediata applicabilità all’interno
del nostro ordinamento.
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Si dovrebbe, pertanto, in caso di conflitto, adottare l’interpretazione adeguatrice, rispetto all’art. 6 della CEDU, dell’art. 64, D.Lgs. n. 546/1992, nel
senso di prospettare la riapertura del processo; ciò, ovviamente, sempre nel
caso in cui questo si sia svolto senza riconoscere al contribuente le garanzie
previste dalla disposizione convenzionale.
Ove ciò non fosse consentito dalla lettera della norma, potrebbe comunque prospettarsi la questione di legittimità costituzionale dell’art. 64 della
legge processuale tributaria, nella parte in cui non ha previsto l’ulteriore caso di riapertura del processo, allorché la stessa riapertura risultasse necessaria ai sensi dell’art. 46, par. 1, della CEDU per conformarsi ad una pronuncia
definitiva della Corte EDU, che abbia accertato l’avvenuta violazione dell’art.
6 della medesima Convenzione.
Un’apertura, proprio in tal senso, è venuta recentemente da parte della
Corte costituzionale in materia penale.
In particolare, nella sent. 7 aprile 2011, n. 113 77, la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 630 c.p.p. nella parte in cui non ha previsto un “diverso” caso di revisione del processo, oltre a quelli contemplati, volto specificamente a consentirne la riapertura ove questa fosse dovuta in applicazione dell’art. 46, par. 1, della CEDU, per adeguarsi ad una sentenza definitiva
della Corte di Strasburgo 78.
Quest’ultima, nella specie, aveva accertato l’assenza di equità del processo penale, in quanto svoltosi senza le garanzie previste dall’art. 6 della CEDU,
e, dunque, aveva ritenuto che «un nuovo processo o una riapertura del procedimento, su richiesta dell’interessato, rappresentasse in linea di principio
77
La sentenza è pubblicata in Cass. pen., 2011, p. 3299 ss. con nota di GIALUZ, Una
“sentenza additiva di istituto”: la Corte Costituzionale crea la “revisione europea”, ivi, p. 3308
ss. e di MUSIO, La riaperture del processo a seguito di condanna della Corte EDU: la Corte costituzionale conia un nuovo caso di revisione, ivi, p. 332 ss., nonché in Giur. cost., 2011, p.
1542 ss., con nota di UBERTIS, La revisione successiva a condanne della Corte di Strasburgo.
Inoltre, si vedano PARLATO, Revisione del processo iniquo: la Corte Costituzionale “getta il
cuore oltre l’ostacolo”, in Dir. pen. e proc., n. 7, 2011, p. 833 ss.; CONTI, La scala reale della
Corte Costituzionale sul ruolo della CEDU nell’ordinamento interno, in Corr. giur., n. 9, 2011,
p. 1242 ss. È utile ricordare che il precedente giurisprudenziale più rilevante e strettamente
connesso alla pronuncia in esame è il noto caso Dorigo: Corte EDU, sent. 9 settembre
1998, Dorigo c. Italia.
78
Così PIRRONE, L’obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’Uomo, Milano, 2004, p. 79 ss.; BARTOLONI, L’efficacia interna delle sentenze della Corte Edu
per il giudice italiano: in margine alle sentenze della Cassazione Somogyi e Dorigo, in AA.VV.,
All’incrocio tra Costituzione e CEDU, cit., p. 29 ss.
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il mezzo appropriato per porre rimedio alla violazione constatata» 79.
È, tuttavia, necessario sottolineare che la sentenza additiva della Corte
costituzionale, in argomento, ha accertato la sola violazione del diritto all’equo processo: in altri termini, non è stata contestata la circostanza dell’ingiusta accusa nei confronti di un soggetto, ma semplicemente di averlo processato senza rispettare le garanzie previste dalla CEDU.
Pertanto, ove trovasse luogo anche in ambito tributario il suddetto orientamento della Corte costituzionale, occorrerebbe che, dinanzi ad una sentenza interna emanata in violazione delle garanzie ex art. 6 della CEDU, la
Corte EDU rilevasse l’infrazione e pronunciasse una sentenza definitiva; successivamente, spetterebbe alla giurisdizione dello Stato provvedere alla ricomposizione dell’antinomia tra le due sentenze definitive, sollevando una
questione di legittimità costituzionale della norma interna e concludendo
per la riapertura del processo 80.
Alla luce di quanto sinora affermato, la valorizzazione della CEDU potrebbe rappresentare un’alternativa interpretativa per affermare il ridimensionamento, a certe condizioni, dell’intangibilità del giudicato tributario, ovviamente dando per operanti anche nella materia tributaria, come si è già cercato di dimostrare, le garanzie previste per le situazioni giuridiche tutelate
dall’art. 6 della CEDU.
Peraltro è bene riflettere sul fatto che, ancorché la valorizzazione della
CEDU ai fini della questione che ci occupa, sia, come evidenziato, maggiormente problematica, ove si interpretasse la Convenzione come un Trattato
internazionale, e dunque con natura pattizia, la stessa risulterebbe contraddistinta dal carattere dell’universalità; ciò, non dovendo soggiacere al criterio
del riparto di competenze, proprio del sistema comunitario, condiviso, come
si è visto, dalla Carta di Nizza-Strasburgo e, pertanto, con una garanzia di tutela più ampia rispetto a quest’ultima, ovviamente ove si verificassero le con-
79
Corte EDU, sent. 1° marzo 2006, ricorso n. 56581/00, Sejdovic c. Italia.
Occorre, in questa sede, sottolineare, come rilevato da ALLEGREZZA, Violazione della
CEDU e giudicato penale. Quali contaminazioni? Quali rimedi?, in AA.VV., All’incrocio tra
Costituzione e CEDU, cit., p. 21 ss., che, ai fini dell’ammissibilità di quanto appena detto, è
necessario uno stretto collegamento tra la violazione individuata dalla Corte EDU e l’epilogo interno, nel senso che il vizio accertato deve avere una significativa incidenza sulla
decisione. Infatti, ci sono casi in cui la violazione dei diritti contemplati dalla CEDU non
può incidere sul merito della vicenda interna (si pensi al diritto alla ragionevole durata del
processo) ed altri casi, invece, in cui tale circostanza può avvenire (si pensi alla lesione del
diritto di difesa, ad esempio).
80
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dizioni in grado di consentire il ridimensionamento del giudicato in nome
della Convenzione.
Con i percorsi interpretativi finora prospettati, che valorizzano il ruolo delle Carte internazionali ai fini del riconoscimento, in favore del contribuente,
dell’effettivo esercizio del suo diritto di difesa, non si vuole, certamente, ridimensionare l’importanza assunta dai principi della certezza del diritto e della
stabilità dei rapporti giuridici, che rappresentano nodi essenziali e costitutivi
del sistema giuridico interno. Né è intenzione di chi scrive sancire, sempre e
comunque, il dovere di non osservare, dinanzi a disattese norme comunitarie o internazionali, quanto stabilito da una sentenza interna passata in giudicato.
Laddove, però, siano in gioco diritti fondamentali dell’Uomo, appare fondato affermare che debba prevalere la tutela maggiore, anche a costo di compromettere la certezza del diritto ed erodere il dogma del giudicato.
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