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Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
DISPENSE DI CHIMICA FISICA DEI MATERIALI
Termodinamica e cinetica dei processi
Iniziamo con il vedere quali sono quei criteri energetici che ci consentono di dire se una certa fase è
stabile, date certe condizioni, oppure no. Consideriamo la distinzione tra la possibilità
termodinamica che una trasformazione si verifichi e la velocità con cui essa si realizza. Un esempio
in questo senso può essere quello del diamante: forma metastabile del carbonio, essendo la sua
velocità di trasformazione in grafite, che è la forma stabile, bassissima. Consideriamo un esempio
più prettamente chimico, e cioè quello di una reazione che porta a più prodotti differenti. In genere
si è spinti a pensare che il prodotto più favorito sia quello più stabile termodinamicamente, ma non
è sempre così. Infatti, oltre a fattori di ordine termodinamico dobbiamo analizzare i fattori di ordine
cinetico, a proposito delle energie d’attivazione relative alla formazione dei vari prodotti.
Osserveremo come infatti il primo a formarsi non sia necessariamente il prodotto più stabile, ma
quello il cui meccanismo di reazione presenta la più bassa energia d’attivazione, cioè, nel caso della
figura 1 quello termodinamicamente meno attivato.
G
Fig.1
R
E1 E2
P2
P1
X
Purtroppo non è sempre possibile avere a disposizione grafici come quello in figura 1 e questo è il
motivo per cui abusiamo del concetto termodinamico.
Criteri termodinamici di stabilità di una fase: il concetto di base è quello di energia libera. Se
consideriamo una fase, ad esempio un solido, e grafichiamo G in funzione della temperatura,
osserviamo una curva assimilabile ad una retta con pendenza un poco negativa. Come vedremo la
pendenza è negativa per ragioni entropiche. Dal teorema fondamentale della termodinamica si
ricava: dG  VdP  SdT  dS    i dni
i
Con  la tensione superficiale,  il potenziale chimico, s la superficie molare, n il numero di moli,
noti gli altri simboli. tutto ciò in assenza di forze di campo (magnetico, elettrico..). Questa
equazione ci consente di poter fare delle previsioni su ciò che accadrà al nostro sistema sempre che
la cinetica non intervenga in opposizione (caso del diamante). Queste previsioni non solo ci
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consentono di capire l’evolversi di una trasformazione, ma anche di gestirla a nostro vantaggio.
Supponiamo di lavorare a pressione costante e consideriamo un individuo chimico. Per individuo
chimico intendiamo un oggetto che non reagisce chimicamente, può trattarsi di una sostanza pura
oppure di una miscela. Non reagendo chimicamente dn, ossia la variazione del numero di moli, è
nullo, e se neppure la superficie cambia in modo rilevante anche dS è nullo. Avremo:
dG  VdP  SdT
Veniamo adesso al problema della pendenza negativa di G: se P è costante allora dP = 0, e quindi
G
  S con S sempre positiva, quindi la pendenza di G con la temperatura è negativa. Per un
T
sistema bifasico come acqua e ghiaccio la pendenza è più spiccata ed è definita dal calore latente di
fusione:
dS 
H fus
dQrev
; S 
. Riportando l’entropia in funzione della temperatura si ha il
T
T fus
grafico in figura 2.
S
G
Fig.2
Fig.3
Sol
Gas
Liq
Liq
Gas
Sol
T
TFus
TEb
T
In base a queste considerazioni si può discutere la figura 3 dicendo che passando da una fase
all’altra per uno stesso individuo chimico la pendenza di G varia, divenendo più ripida col variare
dell’entropia. Un impiego immediato della fig.3 è quello di calcolare le temperature di fusione e di
ebollizione dell’individuo chimico che sono determinate dalle ascisse dei punti di intersezione tra i
segmenti delle fasi. Perché? A tali punti d’intersezione le due fasi considerate hanno lo stesso valore
di G e quindi G = 0, viene così rispettata la condizione di equilibrio termodinamico dei passaggi di
fase. Utilizziamo adesso il grafico di fig.3 per studiare una miscela H2O – NaCl. L’energia libera
della fase solida non cambia: ghiaccio e NaCl sono separati. L’energia libera della fase gas non
cambia: a temperature molto elevate l’acqua evapora e il sale resta solido. L’unica variazione di
energia libera rispetto all’acqua pura si ha per la fase liquida. Per questa fase si può esprimere
l’energia libera in termini di potenziale chimico:
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   0  RT ln X essendo X la frazione molare dell’acqua nella soluzione. Dato che il secondo
termine è negativo il potenziale chimico della soluzione è sempre minore del potenziale chimico
dell’acqua pura.
G
Fig.4
Sol
Liq
Gas
TFus
TEb
T
I punti d’intersezione (fig.4) definiscono una temperatura di fusione più bassa (abbassamento
crioscopico) ed una temperatura più alta (innalzamento ebulllioscopico) per la soluzione rispetto
all’acqua pura. Cosa succede se interveniamo sulla pressione? Se diminuiamo la pressione cui è
soggetta ciascuna delle tre fasi dell’acqua osserviamo ovunque una diminuzione dell’energia libera
avendo un P negativo ( dG  VdP  SdT ). Tuttavia l’abbassamento della curva G per le fasi
condensate è esagerato, perché i volumi molari sono piccoli e quasi equivalenti tra loro. In realtà
una variazione sostanziale di G si ha solo per la fase gassosa, essendo in questo caso il volume
molare piuttosto grande. Aumentando la pressione si osserva una situazione analoga.
Le superfici.
La superficie di un corpo in genere presenta delle proprietà chimico fisiche “sui generis” rispetto
alla restante parte. I componenti in superficie si trovano ad avere energia libera maggiore dei
componenti di bulk (vedi fig.5).
S
uperf.
F
ig.5
B
ulk
La ragione di questo fatto è che in superficie non c’è soluzione di continuità, vale a dire che nel
corpo ogni componente è legato agli altri in strutture più o meno ordinate ma complete, mentre sulla
superficie alcune strutture di legame restano per ovvie ragioni parzialmente costituite così da non
garantire un’ottimizzazione delle energie. Si parla di bordo di grano quando si fa riferimento ai
componenti di una struttura policristallina che costituiscono la superficie dei grani (cristalliti) del
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sistema. Se mettiamo questo sistema policristallino in condizioni di reagire, senza dubbio i
componenti del bordo di grano reagiscono per primi perché hanno un’energia libera maggiore.
Precedentemente, a proposito dell’equazione fondamentale della termodinamica, abbiamo
trascurato il termine dS perché abbiamo implicitamente ammesso che la superficie molare del
sistema in questione fosse molto piccola. Nel caso in cui consideriamo grani di piccole dimensioni
questa assunzione non è più valida. È noto infatti che il rapporto tra superficie e volume di una sfera
(oggetto a cui assimiliamo per similitudine i grani) è inversamente proporzionale al raggio della
sfera stessa: quanto più piccolo è il raggio, tanto più grande è il rapporto di cui sopra. Considerando
una mole di un dato solido, tanto più essa è frammentata, tanto maggiore è la sua superficie
complessiva. Esistono degli oggetti, chiamati technogel, che presentano un rapporto superficie /
volume esasperatamente grande. Alla luce di quanto detto riesaminiamo la curva G rispetto a T.
dG  VdP  SdT  dS
(dG) P ,T  dS
G  S
 è la tensione superficiale, vale a dire l’energia che devo immettere nel sistema affinché questo
aumenti di 1 m2 la sua superficie. Si può anche dire che la tensione superficiale è l’energia che
confina il sistema. Essa ha un valore sempre positivo. Aumentando la superficie molare, cioè
frammentando il sistema, si osserva per quanto detto un incremento di G; è come se si effettuasse
un aumento di pressione (fig.6):
G
S aumenta
Fig.6
Liq
TFus
TEb
T
più disperso è il sistema più in alto va la curva del solido. Si osservano dei valori di temperatura di
fusione molto bassi. Questo fenomeno viene impiegato nella preparazione delle leghe saldate e dei
microchip. Siccome si vuole che i microchip lavorino con valori di dispersione termica molto
elevati, riescano cioè a disperdere una grande quantità di energia termica, il modo migliore è quello
di mettere un metallo che abbia un coefficiente di conduzione termica k (vedi legge di Fourier)
molto alto. L’argento ha un’elevata conducibilità termica e può essere adatto allo scopo, però, oltre
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al costo, ha il problema di presentare un alto punto di fusione. Utilizzando delle fasi ultradisperse si
riesce ad aggirare il problema conformemente a quanto abbiamo detto. Finora abbiamo visto che
influenza ha la superficie circa i passaggi di fase; vediamo adesso di studiare la superficie in quanto
tale. La superficie si comporta come una fase vera e propria: questo approccio ci consente di
spiegare i fenomeni di segregazione superficiale: alcuni componenti del bulk vengono richiamati
dalla superficie e segregati su di essa. Questo genere di fenomeno può esserci molto utile in talune
circostanze e perciò è importante conoscerlo per poterlo sfruttare al meglio. Il primo risultato
storico derivante dall’impiego di questa conoscenza sono gli acciai inox. Gli acciai inox sono dei
materiali che portano all’esasperazione sia il concetto di segregazione superficiale che quello di
reattività superficiale. Gli atomi di ferro sulla superficie di una normale lega Fe – C reagiscono
molto facilmente con l’O2 dell’aria dando diversi ossidi, ma reagiscono anche dando altre specie
come i carbonati. La reattività che si osserva in questo caso è anche maggiore di quella che ci si
aspetterebbe, e questo si spiega bene con quanto abbiamo detto a proposito dei componenti del
bordo di grano.
E
E
Fig.7
Fe Sur
Fe Bulk
X
X
Dalla fig.7 si vede che l’atomo di Fe sul bordo ha una barriera d’energia d’attivazione minore di
quella che avrebbe se l’atomo fosse di bulk. Ricordiamo che anche una piccola diminuzione
dell’energia d’attivazione produce un notevole effetto sulla cinetica della reazione, essendo la
costante cinetica espressa come funzione esponenziale dell’energia d’attivazione. Oltre al concetto
di reattività superficiale dobbiamo tenere conto della segregazione. Ci sono due sostanze che si
sciolgono nella fase solida ma non si distribuiscono uniformemente tra bulk e superficie, bensì una
delle due dimostra di avere una preferenza per la superficie maggiore che l’altra. Nel caso degli
acciai inox, si è visto che Ni e Cr addizionati alla lega Fe – C inducono i seguenti effetti: il Ni
rallenta la cinetica di ossidazione del Fe, il Cr funziona da strato sacrificale, cioè fino a quando c’è
un solo atomo di Cr, ad ossidarsi è questo e non gli atomi di Fe; in più i due ossidi formatisi hanno
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al bordo di grano una coesione molto forte (restano compatti sul bordo). Si è visto che,
introducendo l’1% di Ni nella lega, questo non sta nel bulk, ma migra quasi tutto in superficie, e
così anche il Cr. In entrambi i casi osserviamo il fenomeno della segregazione. Supponiamo di
riportare il profilo di concentrazione su una miscela binaria preso rispetto alla distanza dalla
superficie (fig.8), si osserva che in superficie uno dei due componenti è poco presente
XA
Fig.8
XB
D
(bassa frazione molare) mentre l’altro lo è di più. Consideriamo come variano in funzione della
distanza dalla superficie i potenziali chimici delle specie A e B, in fig.9: in entrambi i casi si osserva
in prossimità della superficie un innalzamento del valore di potenziale, ma non nella stessa misura.
Dovendo il sistema raggiungere un minimo d’energia tenderà a fare migrare e segregare in
superficie la specie delle due che presenta il minore incremento di potenziale chimico.
G
G
A
B
1 2 3 4
Fig.9
D(strati atomici)
1 2 3 4
D(strati atomici)
Il fenomeno di segregazione superficiale riguarda principalmente il concetto che l’energia libera
deve essere in qualche modo minimizzata. Ancora una volta riportiamo l’espressione:
dG  VdP  SdT    i dni e la condizione che governa tutti i fenomeni spontanei dG  0 . Tutti i
i
sistemi cercano uno status energetico tale da garantirne la stabilità e questo si realizza come
un’ottimizzazione verso valori che siano i più bassi possibili dell’energia libera. Nel caso di un
solido e della sua superficie l’ottimizzazione di G avviene mediante fenomeni di segregazione
deplezione. Un esempio di segregazione lo si può riscontrare anche per i sistemi in fase gassosa.
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Nelle cantine, infatti, può verificarsi sul fondo una stratificazione della CO2 formatasi a seguito
della fermentazione: questa stratificazione è assimilabile ad un processo di segregazione operato
dalla forza di gravità rispetto all’aria. Ritorniamo a considerare una miscela di A e B in una certa
composizione. Come si vede dalla fig.9, nella miscela A – B, il componente A preferisce stare
dentro dal punto di vista energetico perché è minimizzato in energia, (in superficie si produce infatti
un incremento del potenziale). La stessa cosa si può dire del componente B della miscela, e tuttavia
B in superficie “soffre” di più di quanto non soffra A. il sistema a questo punto preferirà arricchire
la superficie con quel componente dei due che presenta il minor contenuto di energia libera. Inoltre,
se per ipotesi il nostro sistema bielementare non fosse interfacciato col nulla, ma venisse posto in
contatto con qualcosa con cui interagire e promuovere in qualche modo una diminuzione della
propria energia libera, allora tale interazione avrebbe senz’altro luogo. Questo per intendere che i
fenomeni con cui abbiamo a che fare non sono “puliti” come si potrebbe essere indotti a pensare da
questa semplice trattazione. Nel nostro caso il sistema può interagire solo con se stesso; posto che
non vi siano variazioni di pressione, né di temperatura, allora:
dG    i dni   A dn A   B dn B
i
1

dn  d
con  s’intende il coefficiente stechiometrico con cui normalizzo la variazione del numero di moli.
Il sistema man mano che cambia la propria composizione modifica G fino a raggiungere un
minimo, come si vede in figura 10, con
G
 0; G 0   RT ln K .

G
Fig.10
Coord di reaz.
Il sistema mette in moto qualcosa che non è una reazione chimica vera e propria, ma uno scambio
tra due fasi, che però è descrivibile in termini di una reazione:
n A Abulk  n A Asurface
è la semireazione superficiale di A, in cui nA atomi di A si spostano dal bulk
verso la superficie, mentre n B Bsurface  n B Bbulk è la semireazione superficiale di B, dove nB atomi di
B si spostano dalla superficie verso l’interno. La segregazione è sempre accompagnata da un
fenomeno analogo ma simmetricamente opposto che è la deplezione, questo perché la somma delle
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frazioni molari sulla superficie dev’essere sempre unitaria: per ogni nA atomi di A che il sistema
segrega ci sono nB atomi di B che vengono depletati. In generale possiamo scrivere:
n A Abulk  n B Bsurface  n A Asurface  n B Bbulk
Vediamo adesso come variano in termini di frazioni molari le due specie rispetto alla distanza:
andiamo cioè a definire i profili di A e B al variare di d, misurata in strati atomici. Dalla fig.11
osserviamo come il trasferimento di atomi da A alla superficie avvenga a spese dello strato
immediatamente successivo, infatti al secondo strato si genera un vuoto. Questo ammanco di atomi
è colmato da alcuni atomi dello strato immediatamente successivo, e così via. Nel caso di B, che
viene depletato, si osserva un andamento del fenomeno opposto, ma simmetrico: questo accade
perché la somma delle frazioni molari dev’essere sempre unitaria. Lo scambio di atomi tra la
superficie ed il bulk è un processo dinamico e dopo un certo tempo raggiunge uno stato
d’equilibrio, come si può osservare dalla fig.12.
G 0   RT ln K
K
(a As )  (a Bb )
(a Bs ) nB  (a Ab ) n A
nA
nB
a As n A
)
a Ab

a
( Bs ) nB
a Bb
(
G 0  n A (  0 As   0 Ab )  n B (  0 Bs   0 Bb )
G 0  n A ( s b ) A  n B ( s b ) B
XA
XA
D
D
XB
XB
D
D
Fig.11
Fig.12
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Con queste espressioni abbiamo formulato la dipendenza della costante di equilibrio dalle attività e
la variazione di energia libera rispetto ai salti di potenziale chimico tra superficie e bulk delle due
specie. Dalla prima espressione deduciamo che il fenomeno della segregazione è tanto più favorito
quanto più K  1 . Dalla terza e dalla quarta vediamo che l’energia libera è minore di zero quando il
salto di potenziale chimico di B è grande. Entrambe queste affermazioni ci conducono alla
medesima interpretazione del fenomeno che abbiamo già definito prima intuitivamente, affermando
che prima il sistema si riarrangia per ricercare un minimo d’energia, spostando in superficie la
specie che presenta una maggiore stabilità relativa (quella che in superficie presenta il minor
potenziale chimico).Questo spostamento è accompagnato da fenomeni diffusivi entro il bulk.
Questo fenomeno può essere usato vantaggiosamente quando si vuole “ingegnerizzare” una
superficie , quando cioè si vuole modificarne la composizione perché acquisti determinate proprietà
chimico fisiche volute, ma lo stesso fenomeno può avere conseguenze devastanti: ad esempio, lo
studio di un materiale a scopo analitico limitato alla sola superficie può portare a risultati
assolutamente inconsistenti con la reale struttura del materiale in oggetto (l’acciaio per le
costruzioni: fuori può essere buono e dentro no). Anche a proposito dei microchip si possono fare
esempi circa il supporto del semiconduttore che può migliorare o compromettere le proprie
prestazioni per la presenza o meno di alcune specie atomiche segregate o depletate sulla superficie.
Infine diciamo che gestire il fenomeno vuol dire anche gestire delle quantità di materiale: se si
vuole introdurre in superficie una specie che segrega facilmente, allora basta aggiungerne una
piccola quantità; se invece la specie in questione depleta, allora bisogna aggiungerne quantità
enormi.
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I difetti nei materiali.
Abbiamo visto che la superficie rappresentava, da un punto di vista energetico, una zona ad alta
energia. Adesso analizziamo la superficie ed il bulk, considerando i difetti di un solido. La
superficie, nella dizione più generale, può essere considerata come un difetto, perché gli atomi,
localizzati in superficie non sono ottimizzati energeticamente. Vedremo che non è solo questo il
criterio di base e cerchiamo di fare una classificazione generale dei difetti di una fase condensata.
Parliamo di difetti di una fase condensata solida (i difetti esistono anche nella fase liquida, ma sono
di difficile descrizione): la classificazione viene fatta in base alle dimensioni euclidee.
Distinguiamo:
1) un punto = 0 dimensioni
2) un segmento = 1 dimensione
3) la superficie = 2 dimensioni
4) i solidi = 3 dimensioni.
Cominciamo con i difetti a tre dimensioni: il classico esempio di difetto tridimensionale è
l’impurezza, la quale non è altro che un precipitato. Il difetto bidimensionale più importante è la
superficie, la quale può essere sia interna che esterna, delle quali quest’ultima è più interessante.
Spieghiamo adesso cos’è un bordo di grano. Se prendo un pezzo di Si e lo ingrandisco, noto che
esso è fatto di atomi mediamente distanziati tra di loro e che gli atomi sono tutti allineati lungo filari
a bassi indici di Miller. Ciò succede in un monocristallo. In un policristallo, invece ho dei grani in
cui l’ordine cristallografico è di un certo tipo e nel grano successivo ho un altro ordine. (ovviamente
tra due grani non c’è il vuoto). Queste sono delle superfici interne, che hanno diversa natura rispetto
alle superfici esterne.
2
3
1
Adesso consideriamo l’atomo nella posizione 2: esso non ha un immediato vicino in un angolo
“corretto”, ma lo ha con un angolo differente. Ovvero l’atomo nella posizione 3 ha un angola di
distorsione  rispetto alla sua ipotetica soluzione. Ciò porta il sistema atomico ad avere un’energia
leggermente superiore. Tutti gli atomi che sono nella stessa situazione dell’atomo nella posizione 2,
danno vita a ciò che viene definito bordo di grano (grain border). Quindi si tratta di superfici ad
interfacce a bordo di grano.
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Difetti ad una dimensione.
Sono i più difficili da vedere. Un esempio che può essere visualizzato è il seguente: abbiamo un
cristallo, e fissiamo la nostra attenzione sullo spigolo. Supponiamo adesso di disporre un supporto e
di applicare uno sforzo verso il basso. Come conseguenza di ciò avremo che la parte sottoposta allo
sforzo si abbassa. Se faccio un monitoraggio prima di applicare lo sforzo, e guardo gli atomi dalla
parte sovrastante, cosa succede quando applico lo sforzo? Gli atomi che prime erano in superficie
non si trovano più su di essa, ma ritrovano lungo una specie di profilo a vite, che chiamiamo
dislocazione a vite.
Difetti di punto (a zero dimensioni).
A questa classe appartengono:
La vacanza: si tratta di immaginare un reticolo cristallino perfetto in cui manca un atomo. Ciò vuol
dire che, durante la crescita, in quel luogo non c’è stato abbastanza materiale per riempire il posto o
la fase è cresciuta troppo in fretta e ad un certo punto rimane il vuoto. Da un punto di vista
termodinamico si può dimostrare che le vacanze sono indispensabili.
Difetti interstiziali: l’atomo si pone tra due atomi vicini.
Difetto di Frenkel: questo genere di difetto è presente nell’AgBr.
Br-
A
+
-
+
-
+
-
+
-
+
-
+
-
+
-
+
B
+
-
+
-
-
+
Ag
+
+
+
Immaginiamo che uno ione Ag+ dalla sua posizione reticolare si sposti in un’altra. Cosa causa
questo spostamento? Crea una coppia vacanza – interstizio, che è tipica nei sali dell’Ag. Ag+,
preferisce però stare in superficie (posizione A), piuttosto che nel bulk (posizione B). questo
avviene perché, è vero che da un punto di vista energetico la presenza dell’Ag+ peggiora la
situazione, ma questo peggioramento, in termini assoluti, è minore in superficie rispetto a quello
che si avrebbe se Ag+ rimanesse nel bulk, poiché in superficie ci sono gia atomi con energia
maggiore. Quindi, quando è possibile il sistema preferisce spostare il difetto in superficie.
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Difetto di Schottky (presente in molti alogenuri alcalini).
-
+
-
+
-
+
-
+
-
+
-
-
+
-
+
+
-
-
+
+
+
+
Immaginiamo il caso di un alogenuro alcalino come NaCl, KCl. Il difetto di Schottky consiste nella
contemporanea presenza vacanza dell’alogeno e dell’alcale. Ovviamente si hanno due vacanze
perché, se mancasse da solo uno dei due ioni, da un punto di vista elettrostatico avremo un surplus
d’energia, per cui il sistema, a parità di altre condizioni, non genera questo difetto perché costerebbe
troppa energia. Le fasi condensate sono impaccate, e molto vicine tra loro. Quindi, quando gli atomi
si spostano da un posto all’altro provocano effetti di volume considerevoli. Quando un atomo (es.
K+) si sposta, la vacanza non può rimanere con il volume che aveva prima poiché i 6 ioni Cl - che
circondavano K+ si respingono, non essendo più stabilizzati dalla presenza del catione: la vacanza
tende a “gonfiarsi” (analogamente se mancasse Cl-). Le vacanze di Schottky sono dunque vacanze
che hanno un volume maggiore rispetto al sistema atomico neutro. Consideriamo adesso il difetto di
Frenkel. Ag+, se si sposta dalla posizione reticolare crea una vacanza ed un interstizio. Il primo
effetto che si può immaginare è quello di un rigonfiamento della cavità. (Nota: la coppia vacanza –
interstizio si può generare anche nel Si, ma qui, da un punto di vista delle cariche, essendo il Si
monoelementare, non si ha niente da bilanciare). Il sistema, tuttavia, è un po’ più stabile di quello
che si potrebbe immaginare. Supponiamo di togliere ad un solido, perfettamente puro, ossia quel
solido a cui il terzo principio della termodinamica attribuisce S = 0, una mole di difetti. Che
energia devo cedere al sistema per estrarre una mole di difetti? Numericamente, l’energia impartita
al sistema, è leggermente diversa dal G di sublimazione. In che senso è diversa?
B
G
R
il.
G
S
u
b
l.
A
Id
e
a
le
C
G
R
e
a
l
R
e
a
le
Se A è l’energia che porta alla formazione di una mole di coppie vacanze – interstizi, il sistema
cresce in energia B. Quanto vale questa energia? Essa non è perfettamente uguale al G di
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sublimazione, ma è leggermente inferiore(C). Questo avviene perché il sistema si arrangia: quando
Ag+ si sposta, formando una vacanza – interstizio, i 6 Br- non restano più alla distanza in cui erano
prima, ma gonfiano, perché l’energia repulsiva li sposta. Proprio per il fatto di gonfiare
diminuiscono in energia, perché l’energia sta diminuendo (ovviamente i Br- non si allargano in
infinito, perché se si allargassero di molto si avvicinerebbero ad altri anioni). Questo fenomeno si
chiama rilassamento. Calcoliamo quanto vale il G dello stato difettivo.
Greale  Gsubl.  Gril.
Se riusciamo a pervenire al G reale, posso calcolare il G di rilassamento, visto che il G di
sublimazione è noto. Ricordiamo che G  RT ln K . Analogamente
Greale   RT ln N eq , dove Neq è il numero di difetti per unità di volume, ovvero la concentrazione
all’equilibrio dei difetti. Se misuro Neq ottengo il G reale, e quindi posso risalire al G di
rilassamento. Per cui la formula iniziale ci dice che c’è un riaggiustamento, in termini elettrostatici,
delle cavità lasciate dal difetto, in modo da tener conto della nuova situazione.
Diffusione.
La I legge di Fick identifica uno dei modi di flusso come J   D 
c
. Questo aveva un senso nella
x
misura in cui sapevamo scrivere il profilo di concentrazione, in cui c’è un flusso verso
l’abbassamento di concentrazione.
C
J
X
Se la concentrazione si abbassa
c
è negativo, e con il segno meno che precede, il flusso J è
x
positivo. J va nella direzione di x crescente. J è un vettore il cui verso è dato dalla formula, ed è
positivo nella direzione in cui il gradiente è negativo. Il discorso è analogo per la legge di Fourier. Il
coefficiente di diffusione D rappresenta un parametro molto importante: dobbiamo capire quanto
può valere in ordini di grandezza. Sappiamo che la lunghezza tipica di diffusione è l  D  t . Se
pongo t =1s, uso questa formula per sapere quanto spazio la sostanza è in grado di percorrere in 1s,
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conoscendo ovviamente D. Se abbiamo un inquinante gassoso con D = 0,5 allora
l  0,5
cm 2
 1s  0,7cm
s
Quindi, per percorrere lo spazio di 1 cm, in assenza di vento odi altri mezzi di trasporto, impiega dai
2 ai 5 s, e, proporzionalmente, per coprire 1 m ha bisogno dai 200 ai 500s. Se facciamo lo stesso
calcolo sul terreno, notiamo che questi valori cambiano notevolmente, perché, oltre alla diffusione
molecolare c’è da considerare il trasporto do Poiselle: intere masse vengono trasportate per
variazioni di P, che implicano perdite di carico, sforzi tangenziali… In questo modo abbiamo
movimenti globali, macroscopici, perché c’è movimento di tutta la massa. La sola diffusione è
inefficace per causare inquinamento. Per un solido i valori di D si attestano tra 10-14 e 10-20 cm2/s.
Immaginiamo che dipenda dalla temperatura secondo un’equazione del tipo: D  D0  e

E
RT
,
perfettamente analoga all’equazione di Arrhenius. Se riportiamo in grafico l’equazione, abbiamo:
ln k  ln A 
E
RT
Ln k
y  a  bx
b
Ln A
E
1
,x 
R
T
1/T
Conoscendo quindi il coefficiente angolare posso risalire al E. Questa energia è quella che separa
il reagente dallo stadio intermedio di reazione (o stato attivato). Consideriamo un solido: se l’atomo
E
Surface
Bulk
Coord di reaz.
si trova in superficie, esso ha una barriera energetica più piccola rispetto a quella del bulk. Questo è
il motivo per cui gli atomi sulla superficie e quelli sui bordi di grano sono più reattivi; infatti, anche
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se lo stato attivato è, grosso modo sempre uguale, l’energia di partenza è più elevata per gli atomi in
superficie, per cui non si ha la necessità di fornire al sistema una gran quantità d’energia. In termini
di reattività, comunque, a reagire sono più numerosi gli atomi di bulk, ma solo per motivi statistici,
essendo quest’ultimi in numero molto maggiore rispetto agli atomi in superficie, i quali, però,
reagiscono più velocemente. In conclusione, si può affermare che a temperatura ambiente, non si
vede l’effetto di superficie. L’effetto di superficie si nota quando abbassiamo la temperatura, in
quanto il termine esponenziale pesa di più. Diminuendo la temperatura, il sistema ha minor energia
a disposizione per superare la barriera, quindi la cinetica si abbassa, e nella maggior parte dei casi,
la retta prosegue il suo andamento. Per i solidi cristallini si ha un andamento diverso. Quando
abbassiamo la temperatura, la curva, invece di seguire la retta, diventa una spezzata.
Ln k
1
A basse T
2
1/T
È come se seguisse un’altra retta, con un’altra intercetta, ma soprattutto con un altro coefficiente
angolare, a cui corrisponde una nuova energia d’attivazione E2. Essa è minore rispetto a E1,
infatti la pendenza della retta 2 è minore della pendenza della retta 1. Cosa è accaduto? Ad alte
temperature sono reattivi sia gli atomi di superficie che quelli di bulk, e poiché gli atomi di bulk
sono in gran quantità, quello che succede è che sto studiando la reattività di bulk perché gli atomi in
superficie sono molto pochi, e quindi trascurabili. Quando abbasso la temperatura si inibiscono sia
il bulk che la superficie, ma a rallentare di più sono gli atomi del bulk, che hanno un’energia
d’attivazione più elevata. Per cui il contributo degli atomi di superficie si fa sentire di più e
addirittura sorpassa quello di bulk, tanto che da quel momento l’andamento è diverso. Lo stesso
avviene per la diffusione dei solidi policristallini, nei quali ho superfici a bordo di grano. Tutti gli
atomi, al boro di grano, sono più reattivi e diffondono meglio. Prima di diffondere, un atomo deve
rompere i legami che lo tengono vincolato in quella posizione, ed in seguito formarne altri. La
diffusione, quindi, costa energia, ma costa di più nel bulk, perché dobbiamo spostare oggetti che
sono più stabili rispetto a quelli sul bordo di grano. Quindi, ad alte temperature, la diffusione
corrisponde ad un fenomeno essenzialmente di bulk; quando, invece, la temperatura è bassa, la
diffusione preferisce aver luogo lungo i bordi di grano, dove rischia di fare un percorso più lungo,
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
16
perché il bordo di grano è una superficie estremamente frastagliata. Ciononostante, il processo è più
veloce perché l’energia d’attivazione è più bassa.
Andiamo a raffrontare la relazione tra la presenza di difetti in un solido ed i fenomeni diffusivi che
possono aver luogo. Conosciamo già, per i fenomeni diffusivi, le leggi di Fick:
J  D 
c
x
c  2 c

t x 2
che venivano riviste e migliorate nelle equazioni fenomenologiche di Onsager.
Ji  i Li, j
j
x
Da un punto di vista meccanicistico, come ha luogo la diffusione nello stato solido? Parliamo prima
di cosa s’intende per un solido puro: il III principio della termodinamica afferma che in un solido
puro (per solido puro intendiamo un solido che si comporta da individuo chimico, e che quindi non
presenta impurezze ed è un cristallo perfetto) l’entropia S è nulla. Proprio dal punto di vista
entropico consideriamo un solido, tridimensionale, idealizzato, all’interno della cui struttura
troviamo una vacanza (cioè un difetto reticolare), ed osserviamo come il valore dell’entropia è
molto influenzato dalla presenza di tali vacanze.
L’entropia, da un punto di vista statistico, può essere definita secondo l’equazione di Boltzmann:
S  k ln  dove  = numero di configurazioni per un sistema che è fatto come le condizioni al
contorno permettono di averlo, ed in particolare è il numero di possibili disposizioni, ed è dato da:

N!
 !( N   )!
Con N che è il numero di posizioni totali,  è il numero di posizioni totali distinguibili, e  è il
numero di vacanze. Tale equazione ci dice in quanti modi è possibile sistemare  vacanze in N
posti. S = 0 quando  = 0 (cristallo perfetto) in quanto:

N!
N!

 ln   0
0!( N  0)! N!
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
17
facciamo delle considerazioni pratiche, supponendo N = 100 e  variabile, e vediamo quanto vale,
in corrispondenza, l’entropia.  = 1 indica che se ho 100 posti e 100 particelle ho una sola maniera
indistinguibile di disporre le particelle, in quanto le particelle sono tutte uguali. Supponiamo invece
che sia presente una vacanza.

100! 100  99  98....

 100  S  K ln 100
1!99!
1  99  98....
quando c’è una vacanza, allora posso spostarla in 100 posizioni diverse. È bastata una sola vacanza
affinché dal punto di vista antropico il sistema facesse un salto da 0 a kln100, che è un numero ben
diverso da 0; ovviamente si parla sempre di entropia per particella, infatti l’entropia totale sarebbe
data da 100kln100, dove 100 si riferisce al numero di particelle. Supponiamo che  = 2; allora:

100! 100  99  98  97....

 4950  S  k ln 4950 . Il salto entropico è ancora più esasperato.
2!98!
2  98  97....
Con tre vacanze arriviamo ad un valore di  pari a 161700. Il numero delle disposizioni aumenta in
maniera drammatica con il numero di difetti, e non solo con vacanze, ma anche difetti di punto, per
esempio. Questo permette di affermare che c’è una straordinaria forza termodinamica per la quale,
più difetti s'immettono, più S aumenta, senza però arrivare ad infinito, perché è vero che esiste un
termine entropico che spinge il sistema ad essere sempre più difettivo, ma più difetti s’introducono,
più energia bisogna spendere. Bisogna tener conto anche del termine entalpico; cioè raggiungerò un
equilibrio tra concentrazione di difetti, tale che i due termini si dovranno equilibrare. Si otterrà:
G 0   RT ln N v , con Nv indichiamo la concentrazione di difetti, ma sappiamo anche che:
G 0  H 0  TS 0 , la quale evidenzia che le due grandezze termodinamiche lavorano in senso
opposto.
Alcuni meccanismi elementari di diffusione.
Primo meccanismo
All’interno del reticolo c’è una vacanza che essere riempita da una particella vicina ad essa,
ottenendo un flusso che va da dx a x; se ciò succedeva vacanza si sposta al posto della particella
che si è mossa dando al flusso di vacanza x  dx . Ci sono due flussi opposti, uno di materia, ed
18
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi


uno di vacanze (o difetti). I flussi sono generalmente accoppiati, cioè J m   J d dove m sta per
materia, e d sta per difetto. Questo meccanismo non è il più frequente.
Secondo e terzo meccanismo.
Sono meccanismi che coinvolgono gli interstizi.. il primo dei due è di questo tipo; disegniamo un
reticolo solido bidimensionale ed indichiamo con X un atomo interstiziale generico (può essere
uguale a quelli del reticolo, oppure no).
X
L’atomo interstiziale può saltare (jump) in una posizione interstiziale vicina in una direzione
random. Succede allora che si ha una diffusione di interstizi, perché ci sono interstizi pieni e vuoti
che si scambiano di posto. Si tratta di un meccanismo abbastanza frequente. L’altro meccanismo è
detto interstitial, che viene tradotto come “diffusione per interstizi”, oppure “di interstizi”. Questo
meccanismo è ancora più diffuso degli altri. Ridisegniamo un reticolo 2D, in cui X è l’atomo
interstiziale. L’atomo si muove verso un atomo, scalzandolo.
X
2° step: non è necessariamente vero (cioè non è detto che accada). L’atomo assiste allo spostamento
dell’interstizio.Ricordiamo a questo punto, in termini di meccanismi appena visti, quali sono i
motivi energetici che spingono un atomo a saltare di posto, e quelli che sono i meccanismi di
resistenza a questo salto. Supponiamo che sia valida un’espressione del tipo Arrhenius:
D  D 0e

E
RT
, dove D è il coefficiente di diffusione, corrispondente ad una frequenza di salti al sec.,
per atomo. La frequenza di salti è sempre data dal concetto statistico di Boltzmann. In fase
condensata ho degli oscillatori che oscillano con frequenza , ossia vibrano. Quanto vale ?
L’oscillatore ha un’energia che chiamiamo E  h ; Boltzmann eguaglia questa energia a quella
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Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
termica, cioè passa da una descrizione microscopica ad una definizione di un concetto
macroscopico, che è la temperatura. Ma   kT   
kT
e quindi la frequenza d’oscillazione è
h
proporzionale alla temperatura. Se raddoppio la temperatura assoluta raddoppio la frequenza.
Possiamo perciò fare una sostituzione: D 0 
kT
 f , dove f è un fattore sterico, con valore < 1. la
h
frequenza di oscillazione per una molecola a due componenti può essere calcolata dalla radice
quadrata della massa ridotta, per l costante di forza; per un solido si calcola come visto appena
sopra. Considerando che  =1012 cicli al sec., a temperatura ambiente, f per un solido a geometria
cubica ha valore di circa 1/6 di
kT
, poiché di tutte le direzioni possibili per occupare un sito vuoto
h
ne guardiamo 1 su 6 in questo caso, o 1 su x nel caso in cui l’atomo interessato abbia x particelle
attorno, secondo la geometria; f è quindi un fattore di efficacia del salto. Per ciò che riguarda E, ci
sono due scuole di pensiero per spiegare questo fattore. Il primo, secondo Arrhenius, viene spiegato
con il meccanismo d’interstizi. L’atomo interstiziale deve spostare i due atomi vicini per passare, e
deve fornire energia per allontanarli.
X
X
T1
X
T2
T3
La situazione al tempo T1 e T3 si trovano allo stesso livello d’energia. Al tempo T2 abbiamo uno
stadio intermedio, rappresentato dal complesso attivato.
E
2
3
1
Coord di reazione
E
L’energia allo stato 2 è più alta perché stiamo spostando i due atomi; E è la barriera energetica da
2
superare. La percentuale di atomi che saltano la barriera è e

E
RT
; questo termine ha un valore
compreso tra 0 e 1 , sarà 1 quando la barriera energetica è nulla, o quando T   . un esempio è
1
3
Coord di reazione
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
20
l’idrogeno atomico con l’acciaio, che arrivato ad una certa temperatura, viene assorbito dall’acciaio
come una spugna (E è molto basso in questo caso). L’altra scuola di pensiero segue la via della
simulazione. Si cerca di simulare un sistema in cui, ad ogni particella diamo la vibrazione che le
compete, derivante dalla soluzione dell’equazione d’onda di Schroedinger. Forniamo quindi delle
soluzioni esatte al sistema come principio primo di partenza per il calcolo; contemporaneamente,
istante per istante, dividiamo la griglia di tempo in ordini di grandezza tali da essere paragonabili
alla frequenza di vibrazione (10-11s) e facciamo i calcoli di dinamica reticolare o molecolari
(rispettivamente per cristalli e molecole), per ogni particella, in ogni istante, studiandone lo
spostamento. Il significato dato allora al termine esponenziale, non è più quello di barriera
energetica; ciò che si è visto è che durante queste oscillazioni, capita, statisticamente, che i due
atomi vicini, indipendentemente dall’atomo interstiziale, durante le loro normali vibrazioni, ne
eseguono una di ampiezza maggiore, tanto da distanziarsi e permettere il passaggio dell’atomo
interstiziale, ovviamente solo se quest’ultimo si trova a vibrare in quella direzione. Allora può
passare a zero energia; il concetto è quello di ampiezza dell’oscillazione supercritica; il termine
preesponenziale allora cambia significato. Il fenomeno accade frequentemente? No, però, essendo il
numero di eventi “favorevoli” legato al numero delle particelle (estremamente grande), ha una sua
statistica. Il secondo meccanismo dipende dalla temperatura alla stessa maniera di Arrhenius, solo
che E adesso è un parametro della matrice e non più un’energia d’attivazione. E è l’energia che
compete a tutti e due i sistemi (ospitato ed ospitante), quando si ha la condizione di massima
ampiezza di oscillazione. Il contributo maggiore è ovviamente dato dalla matrice, essendo questa in
quantità maggiore. Tutte le energie d’attivazione che sono state trovate nei calcoli di diffusione
corrispondono alle energie vibrazionale, quando il sistema ospitante ed ospitato sono nelle
condizioni di massima ampiezza. Si sta cercando di applicare questo concetto anche alla reattività:
d’altronde un legame si rompe quando si ha una vibrazione supercritica.
Alcuni casi di diffusione.
Vediamo come possono essere combinate le due leggi di Fick, per risolvere alcuni problemi su
questo fenomeno, che in alcuni casi hanno soluzioni analitiche estremamente importanti. Il punto di
partenza sono le equazioni fenomenologiche; la prima legge ci dà una dipendenza del tipo:
J  D 
c
, mentre la seconda legge
x

 2c

D

c
J
x 2

ha due tipi di applicazione 
a seconda che D sia costante o meno.
t
x
  ( D c )
 x
x
21
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
Esistono dei testi, che, da un punto di vista analitico, forniscono soluzioni delle leggi di diffusione
in diversi casi. È quasi impossibile trovare dei casi pratici di cui non siano note tali soluzioni. Le
soluzioni sono apparentemente complesse da un punto di vista matematico, ma si possono usare
agevolmente con il supporto di un computer. Studieremo tre casi:
I caso.
C
X
Nel grafico vediamo un profilo di concentrazione molto “efficace”, ovvero prima è zero, e ad un
certo punto c’è un picco cos’ stretto, che idealmente lo si può assimilare una linea, meglio definita
come  line. La  line è l’estremizzazione concettuale di un profilo molto stretto. In genere quando
si studiano i picchi, si osserva un parametro, che si chiama FWHM (full with half maximum). Se
abbiamo un picco la cui altezza è h, ci poniamo a metà di h e andiamo a vedere quanto vale la
larghezza: questo valore è l’FWHM. Se l’FWHM è grande il picco risulta allargato, mentre se tale
valore è piccolo il picco risulta molto stretto; se al limite tende a zero abbiamo una  line. Un caso
pratico di  line è il seguente. Abbiamo una sbarretta trasparente di vetro o SiO2, in cui a metà è
posto o un colorante, o una sottilissima foglia d’oro. Se guardo lungo l’asse x, la concentrazione del
colorante è zero, e continuando si ha un picco, ovvero vedo una  line. Sappiamo che la prima e la
seconda legge di Fick sono delle equazioni differenziali, ossia sono delle equazioni che, una volta
risolte, danno luogo ad una famiglia di soluzioni, in cui c’è la presenza di una costante, a cui
bisogna attribuire un valore. In che modo? Guardando il valore di questa costante come soluzione
delle condizioni al contorno. Quindi, considerando le due leggi, le condizioni al contorno, per il
nostro caso:
 x  x0
c0
 x  x0
c  c0  x  x0
questo caso lo consideriamo a t  0 . Infatti, per t  0 il nostro colorante nella sbarretta tenderà a
diffondere. Questo caso, anche se il più banale, ha delle applicazioni enormi: il  line può essere
una ciminiera, in una città, che emette un inquinante la cui concentrazione è zero ovunque e c 0 nel
punto in cui viene emesso. La larghezza della ciminiera, rispetto ad una città, è trascurabile; il  line
può essere anche il punto dove un farmaco rilascia i suoi effetti…. Ricordando le due equazioni di
22
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
Fick, quali sono le soluzioni se le poniamo assieme? Le soluzioni sono funzioni che ci dicono
quanto vale la concentrazione c, in funzione di X (distanza), e t (tempo), cioè avrò come risultato
c  f ( x, t ) . Quindi posso sapere, in qualunque momento, fissando il tempo, quanto vale c in
funzione di X, oppure, in un punto X, posso fare il profilo di c in funzione del tempo. La funzione
soluzione è:
c ( x, t ) 
s
2 Dt
e

( x  x0 ) 2
4 Dt
, dove s è la quantità di materia diffondente, ovvero la quantità nel
punto X0; s può essere espressa sia in Kg che in moli (a seconda di come si vuol esprimere c); il
termine preesponenziale è dimensionale. La funzione c  f ( x, t ) non ammette soluzioni per t  0 ,
poiché otterremmo c  f ( x, t )  0 , mentre ammette soluzioni per t  0 . Facciamo un esempio:
quanto vale la funzione al tempo t  1s ? Sostituendo:
c( x,1) 
s
2 D
e

( x  x0 ) 2
4D
per cui ottengo una visione del profilo in funzione del tempo. Che tipo di
funzione ci aspettiamo? Otteniamo una gaussiana centrata sul valore di x0.
C
T1
T2
T3
X0
X
Per t  1s , la gaussiana diminuisce in altezza, diventando più larga. Più aumenta il tempo, più il
termine preesponenziale diminuisce, quindi l’altezza diminuisce. Inoltre l’altezza massima si ottiene
quando x  x0 : in questo caso il termine esponenziale diventa pari a 1. più trascorre il tempo, più il
picco s’abbassa. Si tratta di una soluzione ragionevole, perché la diffusione si muove per abbattere
il gradiente. Avevamo affermato che era inoltre possibile avere un profilo, per ogni x, rispetto al
tempo. Quindi, fissando x (ad es. 24 m), ottengo graficamente c  f (24, t )
C
Curva
Ind.
T
23
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
Se invece di riportare t riporto
t
C
Retta
T½
Attenzione: quando, riportando la c in funzione di
t otteniamo una retta, non è detto che il
fenomeno sia regolato principalmente dalla diffusione, ma c’è una probabilità che sia questa la
spiegazione. Per avere una certezza si devono eseguire altri studi sul fenomeno. Il legame tra i due
profili può essere così visto:
C
T1
C
T2
T3
X0
X= 24m
X
T3
T
l’inquinante, considerando t3, comincia a farsi sentire nella zona con x = 24m.
II caso.
Consideriamo una sbarretta di vetro che abbia il colorante per metà. Il profilo di sistema è il
seguente:
C
C0
A
X0
X
Al solito consideriamo le due leggi di Fick con le seguenti condizioni al contorno:
c  c0  x  x0

c  0  x  x0
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Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
La diffusione del colorante avviene con uguale probabilità sia a destra che a sinistra (diffusione
omogenea), mentre se una molecola è posta in A, questa ha una maggiore probabilità di spostarsi a
destra che a sinistra. La funzione soluzione è la seguente:
c( x, t ) 
c0
2

 x  x0 

1  erf 
2
Dt



In essa c’è la presenza di una nuova funzione, erf, chiamata “error function”. Si tratta di una
funzione, e come tale ha un argomento ed opera su di esso. Consideriamo, ad esempio l’erf(x), che
è uguale a:
x
2
e
 
erf ( x) 
 2
d
0
dove agisce come variabile locale, ovvero si definisce solo nell’ambito del su scritto integrale.
Consideriamo al funzione e  : essa è una mezza gaussiana per   0
2
0
quindi l’integrale erf ( x) 
2

X

x

 e d è l’area del grafico.
2
0
Notare che x è l’estremo di integrazione dell’integrale; quando x   , la funzione va ad un valore
saturo. Quindi erf, man mano che aumenta x ha il seguente andamento:
Erf
0
X1 X2
X
Ciò si capisce considerando che, man mano che aumenta x, l’area sottesa, all’inizio cresce molto,
mentre, in seguito cresce di pochissimo. Guardando adesso la funzione soluzione (ancora una volta
non definita per t  0 ), per t  0 ha il seguente andamento:
25
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
C
C0
X0
T1
T2
T3
X
Posso ovviamente fissare x e vedere come varia c in funzione del tempo, per un punto a sinistra di
x0 (o della sua radice quadrata, per un punto a destra di x0):
C
C
T½
T
III caso
Questo caso ci fa ritornare al primo caso. Consideriamo un sistema infinito in cui il colorante si
trova al centro, in un sol posto. Il profilo del suddetto sistema è il seguente:
C
C0
X0
-H
+H
X
il diffondente è centrato in x0 ed ha una larghezza di 2h; considerando le leggi di Fick, le condizioni
al contorno per il sistema sono:
 x  x0  h
c0
 x  x0  h
c  c0  x0  h  x  x0  h
La funzione soluzione è la seguente:
c( x, t ) 
c0    x  x0   h 
  x  x 0   h 
  erf 
 .
erf 
2   2 Dt 
 2 Dt 
La funzione non è definita per t  0
C
C0
T2
XB
X0
T1 XA
X
26
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
Possiamo anche vedere come varia c in funzione di t, nelle due posizioni diverse.
C
C
XA
T½
T
C
XB
T
È interessante notare che lim c( x, t )  line
h 
27
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
Decomposizione spinodale e binodale. Fenomeni di nucleazione e crescita
Spesso si ha il problema di governare trasformazioni di fase particolari. Si tratta di trasformazioni in
cui in una miscela si generano più fasi con morfologie e composizioni diverse. Saper governare la
morfologia e la composizione di queste fasi è uno degli aspetti più importanti della chimica fisica.
Partiamo dal caso più semplice, che è quello di una miscela che può smiscelarsi. Il diagramma di
fase più semplice è quello della lacuna d’immiscibilità:
T
1 fase
T1
2 fasi
XB100%
XA100%
Il grafico ci dice che in funzione della temperatura possiamo avere un sistema A e B, che al di sopra
di una certa temperatura Tc, è fisicamente miscibile, mentre al di sotto di tale temperatura la
miscelazione è possibile solo per alcune determinate composizioni. Al di sopra della Tc ho una fase,
mentre all’interno della lacuna ne ho due. Consideriamo una temperatura T1, ed aggiungiamo B al
sistema. Cosa succede, se la temperatura si mantiene costante?
T
T1 C

XA100%
E
D
K

F
XB100%
Lavoriamo lungo la retta tracciata sul grafico. Aggiungendo B non facciamo altro che spostarci
lungo la suddetta retta. Questo implica che, fino a quando ci troviamo nel tratto C- D, il sistema
sopporta l’aggiunta di B senza smiscelarsi. Appena l’aggiunta di B supera il punto D, il sistema non
accetta più la quantità in eccesso, ma invece di separarsi come B puro, scioglie una piccola aliquota
di A, formando una seconda fase. L’aggiunta di B comporta ovviamente una variazione della
28
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
miscela globale. Se in D ho la fase , ed in E ho la fase , aggiungendo B non faccio altro che
diminuire la quantità della fase  ed aumentare quella della fase: se sono nel punto K come
composizione globale avrò due fasi,  e , in equilibrio, e la loro quantità reciproca è data dalla
regola della leva. Adesso lavoriamo con qualcosa di diverso. Consideriamo un oggetto monofasico
e raffreddiamolo bruscamente ad una temperatura tale da farlo entrare nella lacuna di miscibilità.
Per un certo tempo il sistema riesce ad opporsi, perché, quando utilizzo condizioni di
raffreddamento così drastiche, il coefficiente di diffusione risente di questo abbassamento di
temperatura (si abbassa di molti ordini di grandezza), quindi la mobilità dei componenti, all’interno
delle fasi viene congelata. Pertanto, molto spesso vengono congelate strutture molto stabili a d
elevate temperature, che non hanno né il tempo né la possibilità di spostarsi. Questo è il metodo che
usiamo per la tempra dell’acciaio. Abbiamo costretto il sistema a raffreddarsi in fretta, in un tempo
cos’ breve di quanto sia necessario per gli atomi per fare il salto diffusionale che porterebbe il
sistema allo stato finale. Questo tempo è molto lungo per gli amorfi (basta 1°C al sec.), mentre per
le leghe metalliche si deve raffreddare immediatamente. Quali sono i meccanismi che il sistema
mette in moto, a livello naturale, per arrivare alla situazione d’equilibrio?
T
T1
XA100%
X B100%
Nella lacuna (vedi grafico), si possono individuare due zone, in ognuna delle quali, il sistema
passa, con un diverso meccanismo, allo stato d’equilibrio. Vedremo in seguito che all’interno della
regione triangolare (curva spinodale) sono attive le fluttuazioni termodinamiche, mentre, nelle due
restanti regioni (curve binodali), non sono attive tali fluttuazioni e dovremo parlare di meccanismi
di nucleazione e crescita (N.&C.). Il meccanismo nel triangolo si chiama conseguentemente
decomposizione spinodale. Lessicalmente spinodale è il nome che i matematici dell’antichità
davano ai flessi; con il termine binodale si intendevano i massimi ed i minimi. Supponiamo di avere
una certa quantità di moli di A, che con una certa quantità di moli di B danno luogo ad una miscela:
n A A  nB B  miscela . Questo fenomeno si chiama mescolamento, ed è caratterizzato da un G di
mescolamento. Quando G < 0, la reazione è spostata a destra, mentre con G > 0 la reazione è
spostata a sinistra. Guardando nuovamente il diagramma di fase:
29
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
T
G< 0
T1
G< 0
G< 0
G> 0
X B100%
XA100%
Gmix  H mix  TS mix
Ricordiamo inoltre che:
Il secondo termine è la variazione di entropia che accompagna il mescolamento, che per definizione
(è piuttosto semplice verificarlo dall’equazione fondamentale della termodinamica) è sempre
positiva, infatti:
S mix  nR( x A ln x A  x B ln x B )
n  n A  n B  totale
Poiché le frazioni molari sono numeri compresi tra 0 ed 1, i valori dei logaritmi sono negativi. Alla
fine il valore del salto entropico è sempre positivo. Facendo un grafico a temperatura costante:
G
0
-T S
Chiaramente il termine TS mix è sempre negativo, il che significa che c’è sempre una spinta
entropica nel mescolamento, ma c’è da considerare il H, che è una misura della variazione di
entropia dell’ambiente. Per cui se H mix  0 , allora Gmix  0 . Considerando il diagramma di fase,
ci troviamo al di fuori della lacuna.
0
H
-TS
Comunque
cambiamo
la
composizione
avremo
G
sempre
Gmix  0 .
Non
per
forza
H mix  0 affinché Gmix  0 , infatti può anche essere che H mix  0 , ma non supera, in valore
assoluto il termine TS mix , in modo tale che alla fine sia Gmix  0 (grafico successivo).
H
30
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
0
G
-T S
Un altro caso molto frequente è il seguente, in cui il H mix non ha un andamento monotono, ma un
andamento che permette in alcuni casi il predominio del termine TS mix , ed in altri casi no
( Gmix  0 ). In genere è un H che ha un andamento come quello in figura.
H
G
0
-T S
Come risultato otterrò una dipendenza del miscelamento dipendente dalla composizione del
sistema. La curva del Gmix , a temperatura costante, mostra due minimi e due flessi. Se prendiamo i
minimi, a temperature diverse, otteniamo la curva binodale. Per ogni coppia di minimi c’è una
coppia di flessi; unendo i flessi alle diverse temperature, ottengo la curva spinodale.
Nella figura a pag.18 l’area in avorio rappresenta una zona termodinamica detta metastabile, cioè
non si trova al valore minimo d’energia libera G. In questa zona il sistema raggiungerebbe
l’equilibrio, ma a delle condizioni che difficilmente vengono soddisfatte. La regione azzurra in
figura è invece instabile. La regione instabile non è attivata, mentre quella metastabile è attivata.
Perché questo doppio comportamento? La causa di questo è spiegabile in termini di fluttuazioni
termodinamiche. Le fluttuazioni sono la causa, a livello microscopico, di molti altri fenomeni quali
il moto browniano, o la variazione di composizione di un piccolo volume di una miscela rispetto
alla composizione della miscela originaria da cui viene prelevato. Le particelle piccole possono
essere caratterizzate da un particolare tipo di moto statistico detto browniano. Per un corpuscolo, ad
esempio un granello di polvere, si può verificare che ad un certo istante gli urti che lo interessano
possono non essere uguali in tutte le direzioni. Questo fenomeno è ammortizzato dalla crescita delle
dimensioni del corpuscolo. Supponiamo di avere una miscela di A e B, ad es. nel rapporto 1 a 3,
cioè XA = 0,25 e XB = 0,75. Immaginiamo un esperimento ideale, e supponiamo di poter eseguire
dei prelievi piccoli a piacere. Da principio preleviamo 1 cm3. se vado a misurare la concentrazione,
31
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
troverò certamente un rapporto di 1 a 3. cosa succede se faccio un campionamento di volumi
sempre più piccoli? Riportiamo in un grafico la frazione molare di A rilevata dai vari prelievi
effettuati riducendo progressivamente il volume, contro i volumi stessi, espressi in una scala
logaritmica (fig.3).
XA
Fig.3
0,25
logV
Osserviamo che per volumi di miscela tanto piccoli che la radice quadrata del numero di atomi
contenuti diventa comparabile con il numero stesso ( N  N ) , i valori delle frazioni molari di A si
discostano dal valore di 0,25, in maniera statistica. Tutti questi fenomeni ed altri ancora sono
governati dalle fluttuazioni termodinamiche. Prendiamo la curva di fig.4.
G Mix
Fig.4
Flesso
X-D X X+ D
Consideriamo un punto in una zona compresa tra i due flessi, e rileviamone il valore corrispondente
del Gmix . A questo punto dobbiamo chiederci in relazione a quale volume calcoliamo il nostro
Gmix , perché, come visto prima, si possono trovare dei risultati molto diversi tra loro. Un
volumetto può essere quindi soggetto a fluttuazioni di A e di B. A causa di queste fluttuazioni
abbiamo un comportamento differente a seconda che la composizione del sistema considerato sia
compresa nella zona di questi flussi, oppure sia nella zona esterna ad essa. Nella fig.4 consideriamo
i vari casi che si presentano per il sistema con la composizione compresa tra i flussi, e indichiamo
con D la quantità di B che fluttua da sinistra a destra. Si può notare che per X  D il decremento di
G rispetto a X è più grande dell’incremento di G, sempre rispetto a X, che si rileva per X  D .
Questo vale sempre per qualsiasi punto consideriamo tra i due flessi. Nel massimo della curva si
osserva una diminuzione di entrambi i valori di G per X  D ,e per X  D , rispetto a X del picco,
la diminuzione è uguale se la curva è simmetrica, altrimenti non lo è. Per i valori della
composizione della miscela compresi tra i flessi ed i minimi si osservano delle fluttuazioni tali che
si verifica la situazione opposta a quella vista poco prima, e cioè che l’incremento del
32
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
G( X  D )  G( X ) risulta essere maggiore del decremento G( X )  G( X  D ) . Sui flessi il G delle
fluttuazioni è nullo: tanto diminuisce G( X  D ) rispetto a G ( X ) , tanto aumenta il G( X  D ) .
Riepilogando, tutti i sistemi costituiti da un certo numero di particelle possono essere soggetti a
fluttuazioni del numero delle particelle. Se questo numero è sufficientemente grande, le fluttuazioni
nei fatti non influenzano la composizione della miscela (tante particelle vanno da destra verso
sinistra quante complessivamente vanno da sinistra a destra), ma se il numero è piccolo allora la
composizione varia (la probabilità che la fluttuazione avvenga, ad esempio, da sinistra a destra, non
è più necessariamente uguale all’opposta). In terminologia anglosassone, si indica con s il sistema
prima della fluttuazione, e con sf il sistema fluttuato: s  sf
La probabilità di questa fluttuazione è:
Pe

G
kT
. Questori dice che la probabilità di
fluttuazione da destra verso sinistra, posto che G  0 , è molto alta, mentre la probabilità inversa è
bassa (essendo proporzionale al numero e, elevato ad un numero negativo). Il sistema è molto
sbilanciato da sinistra a destra. Ritornando al nostro problema, abbiamo scoperto che in tutta la zona
che definiamo instabile (tra i flessi), il sistema è soggetto a fluttuazioni termodinamiche che fanno
spostare il sistema, cioè è in moto un meccanismo che trasporta del materiale, contro un
meccanismo di entità minore rispetto al primo. Immaginiamo adesso di avere un sistema e di
portarlo rapidamente fuori dall’equilibrio, conducendolo in una zona d’instabilità. Istantaneamente,
senza alcun tempo di induzione, solo per via delle agitazioni termiche, il sistema dà luogo a
fluttuazioni termodinamiche locali che lo interessano integralmente. Facciamo un profilo, e
riportiamo la concentrazione in funzione dello spazio per una parte del nostro sistema. All’istante
iniziale la composizione del sistema è ancora quella che aveva prima di essere condotto nella zona
d’instabilità. Vediamo cosa succede, 10-12 s dopo. In una piccola frazione del nostro sistema si può
avere, a causa delle fluttuazioni, la dislocazione di uno dei componenti del sistema, ad esempio B,
per cui si avrà una zona più ricca in quel componente, e, per contro, una zona che registra una
diminuzione di B. Questo scalino può essere interpretato come una vera e propria onda di
concentrazione. Il motivo per cui lo scalino di concentrazione non s’appiattisce dopo un’altra
frazione di secondo, ma anzi si accresce la separazione dei componenti, sta nel fatto che le
fluttuazioni di smiscelamento provocano una variazione d’energia libera più favorevole di quelle
che determinano il mescolamento. Questo principio di separazione della miscela, che avviene in una
piccola porzione di essa, per le fluttuazioni che abbiamo citato, è lo “start up” di quel fenomeno che
a livello microscopico prende il nome di decomposizione spinodale, ed è un processo non attivato:
questo vuol dire che il fenomeno non ha tempi di induzione. La decomposizione spinodale dà
luogo a cristalliti di eguali dimensioni, perché la loro formazione è cominciata per tutti allo stesso
33
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
tempo, ed il loro accrescimento avviene nello stesso modo, e con la medesima velocità. Il sistema,
fuori dalla zona d’instabilità, non ha fluttuazioni termodinamiche, per cui può restare congelato,
metastabile. Perché si abbia comunque separazione della miscela è necessario considerare un altro
meccanismo, che è la nucleazione, seguito poi dalla crescita. Riassumendo: dentro la zona instabile
i cristalliti di componenti puri si separano per decomposizione spinodale, nella zona metastabile
vale il meccanismo della nucleazione. In cosa consiste la nucleazione? Intanto dobbiamo dire che
quello di cui stiamo per parlare è uno dei numerosi casi di nucleazione. In generale la nucleazione
può essere eterogenea, oppure omogenea. Si dice eterogenea quando la nucleazione avviene
attorno ad un corpo estraneo, omogenea, se il germe di partenza per la costituzione del nucleo è
della stessa composizione. La nucleazione omogenea può essere di superficie e di bulk. In genere,
comunque, la nucleazione è eterogenea. Vediamo meglio il fenomeno della nucleazione: quando il
sistema si trova nella zona metastabile (fig.5),
T
Fig.5
T1
XA100%
XB100%
necessita, per poter dar luogo ad una decomposizione della miscela, che si formi in una sua
parte,un nucleo, ossia un aggregato di atomi, in altre parole un cluster. Questo evento è in realtà
estremamente raro. Il meccanismo ha in genere un periodo di induzione statistico più o meno lungo.
Il sistema aspetta che da qualche parte si verifichi l’evento straordinario che, a causa di queste
fluttuazioni, che non danno luogo al meccanismo di decomposizione spinodale, ma spostano il
materiale da una zona all’altra del sistema, vi sia giustappunto un insieme di atomi con la
composizione giusta dal punto di vista termodinamico. La cosa che si vuole sottolineare è l’assoluta
casualità con cui questo fenomeno si verifica: per un sistema il tempo di induzione che bisogna
attendere perché si abbia nucleazione può essere più o meno lungo. Possiamo eseguire centinaia di
esperimenti col medesimo sistema, nelle medesime condizioni operative ed osservare sempre tempi
d’induzione diversi, anche di molto. Si osserva inoltre che il cluster in questione più è grande, più è
difficile che si formi. Facciamo un’altra considerazione: immaginiamo che il cluster abbia una
forma in prima approssimazione sferica, e consideriamo il valore del raggio. L’assunzione che il
cluster sia sferico è ovviamente arbitraria, tuttavia, siccome i risultati che si ottengono in genere
partendo da quest’ipotesi sono in buon accordo con l’evidenza sperimentale, la consideriamo valida.
34
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
Adesso, qual è la variazione di energia libera di formazione per questo cluster? Essendo la
formazione del cluster comunque un fatto spontaneo allora G f  0 . Attenzione! Il sistema nel suo
complesso è sempre in una condizione che definiamo metastabile. Introduciamo il valore
dell’energia libera per unità di volume: G  
G f
volume
. Il G che accompagna la formazione del
cluster deve tener conto non solo della variazione di energia libera di formazione del cluster, ma
anche della tensione superficiale, perché il cluster, crescendo, deve espandere la propria superficie:
Gtot  G f  Gsup , e facendo riferimento ad una sfera, abbiamo:
Gsup
4
Gtot   r 3  G  Gsup . Ponendo
  la tensione superficiale, si ha:
3
Sup
4
Gtot   r 3  G  4r 2 .
3
Il primo termine è sicuramente negativo, mentre il secondo è positivo; se plottiamo separatamente i
valori d’energia, dati da due termini al secondo membro, al variare del raggio, otteniamo le due
curve continue di fig.6.
4r 2 
G
Fig.6
Barriera
energetic a
r*
G Tot
r
4
 r 3   G
3
La risultante di queste due curve è la curva tratteggiata che rappresenta come varia l’energia libera
totale associata alla formazione del cluster, col variare delle dimensioni, ossia del raggio. Come si
può vedere dalla fig.6, il processo che conduce alla formazione del cluster è attivato, cioè presenta
una barriera energetica in corrispondenza di quello che chiamiamo raggio critico, r*. I cluster con
r  r * , si dicono embrioni, e sono destinati a morire, in quanto un eventuale accrescimento della
struttura non farebbe altro che aumentare l’energia libera del sistema. I cluster con r  r * , si dicono
nuclei, e sono destinati a crescere in quanto la crescita è spinta da una diminuzione dell’energia
libera. Per un individuo chimico, ovviamente, può valere solo la nucleazione. Come si può vedere
in fig.7, la nucleazione è favorita dalle basse temperature, anzi dal sottoraffreddamento. Infatti,
portando il sistema ad una temperatura più bassa del suo punto di congelamento, la barriera
35
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
energetica che si deve superare per la formazione dei nuclei è più bassa, in altre parole è favorita la
nucleazione, ricordiamo che a temperature anche molto inferiori a 0°C l’acqua non potrebbe
congelare senza la presenza dei nuclei.
Fig.7
Ac qua
-0,8°C
-10°C
Quando avevamo a che fare con la nucleazione omogenea, abbiamo detto che la formazione di un
nucleo di raggio r era dovuto a due fattori: uno di tipo convenzionale (il nucleo doveva avere la
composizione giusta, e questo evento, da un punto di vista statistico, ha una bassa probabilità), e
l’altro di tipo dimensionale.perciò avevamo considerato il G form ed eravamo giunti al risultato:
4r 2
G
r*
r
G Tot
4
 r 3  G
3
4
Gtot   r 3  G  4r 2 . Avevamo detto che per:
3
r  r  , le molecole crescono e si formano i nuclei;
r  r  , le molecole vengono schiacciate, si formano gli embrioni.
Ma qual è il valore di r*? Si tratta del valore per cui
G
 0 . Sviluppando il calcolo, otteniamo:
r
36
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
 4r 2 G  8r  0
 r G  2  0
2
r 
G
Allora possiamo affermare che:
a) più grande è la tensione superficiale, più sarà rande il raggio critico, infatti più l’ambiente esterno
schiaccia il nucleo, più questo tenderà ad ingrossarsi per non essere schiacciato;
b) il raggio critico è inversamente proporzionale al G form . Se immaginiamo di avere tre germi
uniti tra loro con energia bassa questi vengono schiacciati facilmente, ma se invece i germi sono
legati con energia elevata, non vengono schiacciati. Ad un raggio critico corrisponde un numero
critico di atomi; sapendo che un cluster è costituito da n* atomi di volume v e sapendo che il volume
totale del cluster è
4
ottengo: n 
3v
*
4 *3
4 *3
r , possiamo ricavare: n * 
 r . Sostituendo il valore trovato di r*,
3
3v
 8 3 
32 3

 , ed infine n 
 
3v G 3
 G 3 
Facciamo un esempio, analizzando le differenze tra uno spumante buono ed uno cattivo: la
differenza sta nel perlaceo. Il perlaceo è quel fenomeno per cui, quando la CO2 viene desorbita dal
liquido in cui si trova, durante l’operazione di stappo dello spumante (legge di Henry: diminuisce la
pressione del liquido, e conseguentemente diminuisce la solubilità). A questo punto vogliamo poche
e piccole bollicine, quindi dobbiamo avere un raggio critico il più piccolo possibile. Per fare ciò,
visto che il G al denominatore non può essere variato, dobbiamo variare la tensione superficiale 
mediante delle piccole aggiunte o modifiche chimiche, durante la fermentazione.
G
2
1
3
r
 1   2   3 . Dobbiamo trovare un modo per quantificare il G. Analizziamo il caso particolare
dell’acqua; poiché questa non può nucleare a 0°C, in quanto G  0 , e quindi r    . Senza il
37
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
T
Liquido
stabile
G<0
G=0
0
S
olido
stabile
G>0
sotto raffreddamento non si formano nuclei! Analizziamo l’andamento del Gmelting in funzione
della temperatura:
G
Solido
Liquido
r
0°C
Adesso dobbiamo trovare una curva analitica che ci dia la dipendenza dalla T in modo numerico, in
modo da ricavare rigorosamente il valore del raggio critico. Ricordiamo l’equazione fondamentale
della termodinamica:
dG  VdP  SdT    i dni . Mantenendo tutte le grandezze costanti, e
i
derivando rispetto a T si ha:
alla differenza delle
G
  S , inoltre, sapendo che la derivata di una differenza è uguale
T
derivate, posso
scrivere:
G
  S ,
T
che riformulata diventa:
d (Gm )  S m dT ; integrando tra la temperatura di fusione ed un’altra temperatura generica:
Tm

TM
d (Gm )    S m dT . Se assumiamo che il Sm non vari con la temperatura, possiamo portarlo
T
T
Tm
fuori dal segno di integrazione, ottenendo: (Gm ) T  (Gm ) Tm  S m  dT , dove Sm è un valore
T
medio;
(Gm )T  (Gm )Tm  S m (T  Tm ) .
Il (Gm ) Tm  0 , e quindi possiamo scrivere:
(Gm )T  S m (T  Tm ) . Poniamo S m 
H m
, e scriviamo:
Tm
38
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
(Gm ) T  H m (1 
T
)
Tm
A seconda del valore di T si possono verificare tre casi:
T  Tm  Gm  0
Equilibrio tra solido e liquido
T  Tm  Gm  0
Il solido non fonde
T  Tm  Gm  0
Il solido fonde
Ora dimostreremo quando un processo è attivato e quali sono le implicazioni. Sappiamo che il G:
4  8 3   16 3  16 3 1

  
. Ma abbiamo visto anche la dipendenza dalla
G    
2
3  G 2   G 2  3
G
temperatura: (Gm ) T  H m (
Tm  T
) . Elevando al quadrato:
Tm
(Gm ) T  H m (
2
2
Tm  T 2
) . La
Tm
relazione finale è dunque:
2
G * 
Tm
16 3

2
3
H m T 2
Questo rappresenta la barriera d’energia. Queste molecole/atomi hanno energia sufficiente per
superare la barriera? Sappiamo dagli studi precedenti che: Nr *  Ne
 G * 


 RT 


, dove Nr è il numero
degli atomi con r  r * . Ora proviamo a dimostrarlo. Invece di considerare un solo cluster,
consideriamo l’intero sistema che sta formando dei nuclei (si trova fuori dall’equilibrio, e tende a
raggiungerlo). In tutto il sistema, cosa fa variare il Gtot? Ci sono due contributi: uno riguarda
l’energia che attiene agli N cluster, mentre l’altro riguarda l’energia di mescolamento tra cluster e la
matrice di partenza:
Gtot  G form  Gmix , sapendo che:
[1]
(G form ) tot  Nr * G form
Gmix  H mix  TS mix
Come varia il H mix ? Poiché il mescolamento avviene tra due fasi diverse, ma di un’unica specie,
si può considerare ideale, quindi il H mix  0 , e possiamo scrivere: Gmix  TS mix . A proposito
dell’entropia
di
mescolamento,
S mix   NR( x A ln x A  x B ln x B ) ,
dobbiamo
mentre
dire
nel
che
in
generale
nostro
è
caso
pari
a:
vale:
S mix   NR[ xr ln xr  (1  xr ) ln( 1  xr )] , ed il suo valore è sempre positivo perché il processo di
mescolamento è favorito termodinamicamente.
39
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
 TS mix  NRT [ xr ln xr  (1  xr ) ln( 1  xr )] .
Se xr  1  ln( 1  xr )   xr , e quindi possiamo scrivere:
 TS mix  NRT [ xr ln xr  (1  xr )( xr )] , che, riarrangiata, diventa:
 TS mix  NRT [ xr ln xr  xr  xr )] . Adesso ritorniamo all’equazione [1], e sostituiamo:
2
Gtot  N r G f  NRT [ xr ln xr  xr  xr )] , e ricordando che, possiamo scrivere:
2
Gtot  Nxr G f  NRT [ xr ln xr  xr  xr )] .
2
Abbiamo trovato l’espressione dell’energia libera di formazione degli N cluster in tutto il sistema.
Riprendiamo la teoria dello stato di transizione: prendiamo un certo numero di atomi, e
consideriamoli quando abbiamo raggiunto il raggio critico, e poi li facciamo crescere nella reazione
successiva. Possiamo intendere il sistema allo stato d’equilibrio, ossia al suo minimo d’energia, e
questo perché la crescita degli atomi viene bloccata quando la loro energia è uguale alla barriera.
Stiamo supponendo che:
reagenti  N r  prodotti
*
(La teoria dello stato di transizione considera che il complesso attivato sia in equilibrio con i
reagenti, e che la velocità di reazione sia proporzionale alla concentrazione d’equilibrio del
complesso attivato. Questa ipotesi contiene però una contraddizione: è corretto porre
Gtot
 0?
conc.eq.
Il complesso, infatti, può essere in condizioni d’equilibrio per quel che riguarda i gradi di libertà
normali alla reazione, ma non può esserlo per la vibrazione. Lungo tale grado di libertà lo stato di
transizione è instabile, perché c’è un massimo anziché un minimo d’energia).
Gtot
 0 , ossia NG f  NRT [ln x r  1  1  2 x r ]  0 . [2]
x r
Gtot  G f
*
I cluster ottenuti con questo processo avranno tutti raggio maggiore del raggio critico.
Nell’espressione [2], possiamo trascurare xr rispetto a lnxr (ln xr  xr ) , ed otteniamo:
NG *  NRT ln xr  0 , ma x r 
N
G *
 ln r  0 , e
RT
N
N r  Ne

Nr
; inoltre, dividendo per RT:
N
G *
RT
che è simile all’equazione di Arrhenius, espressa in forma
logaritmica. A questo punto rimane da analizzare il fenomeno della crescita. Immaginiamo un
nucleo, circondato da particelle, che vogliono entrare al suo interno (vedi fig.).
40
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
Entrerà la particella che comporta una spesa energetica in ingresso minore, ed inoltre entrerà più in
fretta una particella isolata. Definiamo ora la velocità di crescita del sistema, data da: Vtot v  N r ,
dove v è la velocità di crescita del nucleo, e Nr è il numero di nuclei.
v  Ns 
kT
, dove il secondo termine è il numero medio di particelle che tentano di entrare in 1
h
secondo, in quanto la frequenza di vibrazione è
kT
, ed Ns è il numero medio di particelle che
h
tentano di entrare. È importante sottolineare come il valore di Ns per unità di massa è tanto più
grande quanto più suddivisa è la superficie. Non tutti i tentativi, però, vanno a buon fine, e ciò
dipende dalla barriera esercitata dalla superficie:
G
GS
G
T
G
V  Ns 
kT  kTs
e
, essendo GS l’energia d’attivazione del processo. Riassumendo possiamo
h
scrivere:
G
kT  kTs
V  Nr Ns 
e
, che è la velocità di crescita del sistema, da cui ricaviamo la velocità di
h
crescita di un nucleo, riportando le equazioni precedenti:
V  Ns 
kT
e
h
Gs

kT
 Ne
 16 3Tm 2

 T 2 H 2 kT
m





[3]
Perché la velocità ha questo andamento? Come possiamo sfruttare il fenomeno? Scindiamo
l’espressione [3] in due parti: la prima parte rappresenta la crescita, mentre la seconda rappresenta
la nucleazione.
41
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
Vel.
Nu
cl
ea
zio
ne
a
c it
es
Cr
C
A
B
T (diminuz.)
A. Tanto più sotto raffreddiamo, tanti più nuclei, uguali tra loro e piccoli, otteniamo; i nuclei
non sono infatti nella condizione di crescere.
B. Tanto meno sotto raffreddiamo, tanto più otterrò un unico nucleo, molto grande; la velocità
di nucleazione è bassa, e quindi sarà il nucleo di grandi dimensioni a crescere.
C. Metodo CZ; la velocità di crescita è alta, non si formano nuclei all’interno della fase. È
chiaro che lo stadio determinante nella reazione è la nucleazione.
In A abbiamo una distribuzione monodispersa, centrata a piccoli valori del raggio del nucleo (tanti
nuclei di piccole dimensioni), mentre in B c’è una distribuzione polidispersa, centrata ad alti valori
di R.
N
A
B
R
Una distribuzione dello stesso tipo, la otteniamo anche con il meccanismo di decomposizione
spinodale. Come possiamo distinguere sperimentalmente, i due fenomeni (se abbiamo a
disposizione, per esempio un microscopio)? Per prima cosa i due processi hanno una cinetica
differente, essendo il meccanismo di decomposizione spinodale istantaneo, mentre quello di
nucleazione e crescita attivato. Se inoltre lavoriamo a diverse temperature, essendo la composizione
costante, se il meccanismo è spinodale allora la grandezza dei nuclei rimane pressoché costante,
mentre è variabile nella N.&C. secondo il modello proposto in figura.
Vogliamo, infine, analizzare la curva di crescita, in funzione della temperatura, o del
sottoraffreddamento: sono tre i parametri da prendere in considerazione:
42
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
G
kT  kT s
,e
, N s . Vediamo i singoli contributi nel grafico:
h
VCrescita
e

G s
kT
,
Ns
kT
,
h
T cresce
 T
Rimane da spiegare la dipendenza di N s con la temperatura: si tratta di una funzione crescente con
la diminuzione della temperatura, perché, avvenendo una maggiore nucleazione, rispetto alla
crescita, ritroviamo piccole superfici, e conseguentemente un alto valore di N s per unità di massa.
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
43
Tecnologie di indagine dei materiali – Microsonda a raggi X.
Immaginiamo di colpire un materiale (con materia o energia), e di analizzare la risposta ottenuta. In
entrata (IN) possiamo avere: fotoni (, x ), o particelle (elettroni, ioni). In uscita (OUT), possiamo
avere fotoni, o particelle.
In
t
Ou
Esistono molte combinazioni di questi fenomeni. Ricordiamoci, a questo proposito, che ci sono 8
ordini di grandezza tra le dimensioni dell’oggetto analizzato, e quelle del dispositivo d’analisi. La
tecnica di cui stiamo parlando considera elettroni in ingrasso, ed energia in uscita. Vediamo uno
schema in cui il campione, mediante un fascio di elettroni, viene indagato nella sua composizione.
L’indagine avviene, “spazzolando il campione, dall’alto verso il basso, secondo il seguente
percorso:
SWEEP
Qual è la dimensione verticale attraverso cui ci spostiamo? Vale la dimensione del fascio, che in
termini pratici possiamo paragonare alla grandezza del pennello che deve spazzare la superficie da
indagare. Per questo si dice che c’è una scansione verticale ed una orizzontale, che avanzano con
velocità diverse. Nello schema esaminato, la scansione verticale è più veloce di quella orizzontale.
Questi elettroni riemessi vengono rivelati da una gabbia di Faraday, che presenta un foro al suo
interno. Il buco si pratica perché, se vogliamo contare gli elettroni, dobbiamo sopprimere
l’emissione secondaria. L’emissione secondaria è quel fenomeno per cui, se entra un elettrone, a
causa di diversi fenomeni che poi vedremo più in dettaglio, ne può uscire più d’uno, ma non si
verifica sempre.
1ee
1,5
44
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
Dal grafico si osserva come 1,5 e- è un valore medio, dettato dalla statistica. Ciò vuol dire che
stiamo inviando elettroni sul materiale, e questo, anziché caricarsi negativamente, si carica
positivamente. Se cambio l’inclinazione d’entrata ne fuoriescono in un caso 0,3, e in un altro 2,7.
1e-
-
0,3
e-
e
1,2
Quindi non è possibile misurare gli elettroni attraverso questo tipo di analisi, perché non
governiamo la quantità di e- che escono: la carica misurata è il bilancio tra la carica che ho inviato
meno la carica che esce. Il metodo è inaffidabile! Se utilizzo la gabbia di Faraday, gli elettroni
entrano dentro e si scaricano sulle pareti della gabbia, quindi solo una piccola frazione di e - sarà
rivelata. Quindi basta misurare la corrente attraverso la tazza di Faraday per capire quanti sono gli
elettroni secondari emessi. Com’è possibile che il microscopio elettronico restituisca un’immagine?
Come otteniamo l’amplificazione? Seguendo un modello analogico del SEM (scanning electron
microscopi), la superficie del campione e lo schermo di un monitor sono provvisti di pennelli che li
spazzano in fase. Apriamo adesso una parentesi e chiediamoci cos’è un’immagine su uno screen.
G
r
ig
lied
e
v
ia
n
ti
F
ila
m
e
n
to
d
ie
le
ttr
.
G
r
ig
lie
a
c
c
e
le
r
.
Il fascio di elettroni prodotto dal filamento viene accelerato, e poi, attraverso delle griglie, viene
deviato applicando delle tensioni. Nei fatti, il fascio di e- farà uno sweep (brevissimo, in cui una
schermata viene spazzata in 1/50 di secondo).
Ritornando al discorso precedente, un fascio spazzola il campione, o meglio una parte del
campione, e contemporaneamente raccolgo gli elettroni in una gabbia di Faraday: nei fatti facciamo
una misura di carica raccolta dalla tazza, in funzione del tempo trascorso. L’altro fascio fa lo stesso
movimento, in fase, sullo schermo: il moto è in fase, ma su scale diverse! La quantità di e trasportata dal fascio sul monitor può essere variata a piacere: variando la potenza d’eccitazione del
fascio in modo proporzionale alla corrente della tazza di Faraday. Se, durante la scansione della
superficie del campione, la tazza di Faraday restituisce una grande corrente di elettroni, sullo
schermo comparirà una macchia chiara, e viceversa: avremo cos’, una scala di grigi, in cui al bianco
45
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
corrisponderà la massima corrente, e al nero la minima. Quello che ottengo è una mappa
topografica della superficie, ossia una mappa di riflessività elettronica, e l’immagine ottenuta è di
retrodiffusione (back scattering). L’amplificazione è ottenuta quando la zona spazzolata dal fascio
viene riportata sullo schermo. Una superficie di 20nm  20nm viene riportata come una di
20cm  20cm (ingrandimento di 10000 volte). Più piccola è la zona spazzolata, più grande è
l’amplificazione. Cos’è in grado di fare, oggi, un SEM moderno? L’acquisizione avviene in modo
digitale, sfruttando il fatto che il modo di lavorare è tabellare (lo schermo è diviso in righe e
colonne), ossia nella posizione di un pixel si può ottener una mappa di corrente. Perché vengono
emessi questi elettroni? Dobbiamo fare riferimento al principio Aufbau, che riguarda il riempimento
dei livelli energetici del sistema considerato. Consideriamo uno schema in cui i livelli vuoti e pieni,
possono essere rispettivamente riempiti o svuotati sotto eccitazione. Secondo il principio Aufbau,
gli unici livelli pieni, in assenza di eccitazione, sono quelli allo stato fondamentale. Quando arriva
un fascio di e- sul sistema, avremo e- eccitati e/o ionizzati, ossia sistemi atomici, che a seguito di
interazioni elettrone – materia, generano dei cambiamenti nel sistema.quali sono i fenomeni che
soprassiedono al ritorno allo stato fondamentale, di un sistema perturbato? Il primo è il fenomeno di
eccitazione – ionizzazione. Il fascio penetra nel materiale, e lascia lungo la sua scia un volumetto
di atomi eccitati – ionizzati, di cui alcuni scappano per raggiungere la superficie, dando luogo
all’emissione secondaria. Consideriamo adesso uno schema dei livelli energetici, nella figura
sottostante:
A
B
Gli e- sono posizionati su dei livelli energetici, ma, a seguito dell’interazione, l’elettrone  viene
ionizzato, e quindi scalzato dalla sua posizione originaria, mentre l’altro,  , si eccita. Per quanto
attiene alle eccitazioni, queste durano tempi differenti, a seconda della natura del materiale in
esame:
a) nei conduttori l’eccitazione avviene nella banda di conduzione, ed è molto breve (gli
elettroni stano poco tempo allo stato eccitato)
b) negli isolanti l’eccitazione dura molto tempo
Descriviamo il sistema solo in termini di ionizzazione. Vi sono vari modi in cui il sistema si rilassa:
1) emissione di raggi X
46
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
2) emissione Auger
3) Coster – Kronig
Emissione di raggi X. Un sistema ionizzato prende un elettrone esterno e lo porta su un livello ad
alta energia, cosicché il sistema da ionizzato, diventa neutro, ma eccitato. Il sistema cos’ ottenuto ha
elettroni ad alta energia, che cadono spontaneamente verso livelli a più bassa energia, comportando
la diseccitazione del sistema, con emissione di raggi X. Questi raggi X vengono quindi rivelati, e
forniscono una mappa chimica (composizione della superficie del materiale). L’emissione di raggi
X è tipica dell’elemento indagato, quindi posso sovrapporre, la mappa chimica (raggi X), a quella
topografica (elettroni secondari). Uno spettro a raggi X si presenta così:
I
k
k
E(KeV)
Spettroscopia Auger. Auger, studiando i raggi X, scoprì che alcune volte, in alcuni atomi, si
verifica un riempimento dei livelli (poi si scoprì da ulteriori studi che riguarda tutti gli atomi, date
delle particolari condizioni). È un meccanismo strano, ma nonostante ciò è uno dei meccanismi
prediletti dalla natura.
A
B
C
Condizione necessaria per il meccanismo Auger, è la presenza di tre elettroni (quindi H ed He non
danno meccanismo Auger, ed inoltre, nel caso del Li, non è evidente). Il sistema, per prima cosa si
ionizza, espellendo un elettrone più esterno, e lasciando sul livello interessato una buca. La buca si
può trovare nella situazione B o C, a seconda di quale elettrone viene espulso. Concentriamoci sulla
situazione C, che è più probabile: lo ione può emettere energia sottoforma di raggi X, ma può anche
liberarsi di questa energia (fenomeno che per alcuni elementi è addirittura privilegiato rispetto
47
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
all’emissione di raggi X). È come se il fotone virtuale che viene prodotto, fosse assimilato dal
sistema stesso per provocare una seconda ionizzazione.

E ' '
E '
5
4
3
L’elettrone  cade dal livello energetico 5 al livello 4, e quindi produce una certa energia, che viene
sfruttata dall’elettrone , che esce dal livello 5. L’energia con cui esce l’elettrone  è tipica
dell’elemento, perché è figlia del E:
( E5  E 4 )  E5  E  E 4 
1 2
mv
2
Misurando l’energia cinetica dell’elettrone che esce, ho una misura univoca dell’atomo analizzato.
Qual è lo stato finale del processo Auger? È uno ione a doppia carica! L’atomo si stabilizza
diventando più ionizzato di prima, però, poiché ha trasferito la buca a livelli più alti, ha diminuito
l’energia del sistema. Prima aveva l’energia di ionizzazione della buca profonda, ora è l’energia di
ionizzazione della buca esterna, che è minore.
1e -
e -Sec.
Raggi X
e - Auger
Il risultato della somma di questi fenomeni è utilizzato dalla microsonda a raggi X, che dà
informazioni chimiche e topografiche.
Coster – Kronig. Capita, in esperimenti di chimica o di fisica, di andare a ionizzare shell multipli,
dal punto di vista della degenerazione. Ad esempio il livello 5p, che degenera nei 5p x, 5py, e 5pz. In
genere, prendendo un atomo, la probabilità di ionizzare uno di questi orbitali è la stessa, però può
capitare che, a seguito di una reazione chimica, sia prodotto uno ione in cui la popolazione non è
ugualmente bilanciata tra orbitali degeneri. Il sistema, laddove si sia formata un’asimmetria nelle
popolazioni cariche, ridistribuisce la carica su tutti i livelli che hanno la stessa energia. Coster e
Kronig scoprirono che questo comportamento vale anche per i livelli contigui (ad energia
48
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
comparabile), ad esempio il 5d e il 4p. Se si produce un’asimmetria nella ionizzazione, la
ritroviamo alla fine con una distribuzione che favorisce numeri uguali di ioni per tutti gli stati che
hanno energia similare, non necessariamente la stessa.
Come si comportano, dal punto di vista delle rese nel sistema periodico, i due fenomeni?
x = percentuale di atomi che si diseccitano mediante meccanismo a raggi X;
A = percentuale di atomi che si diseccitano mediante meccanismo Auger.

100
X
A
Z
Chiaramente,  A   X  1. Ogni atomo ha tutti e due i meccanismi, però non tutti allo stesso modo:
aumentando il numero atomico Z aumenta la resa in emissione di raggi X, e viceversa. Questa
caratteristica può essere spiegata attraverso studi approfonditi della quantomeccanica. Se abbiamo
atomi leggeri (dal Fe in giù), l’emissione Auger è intensissima, ed è in genere favorita da un punto
di vista della sensibilità. Qual è il problema dei raggi X? Un atomo pesante dà righe intense, ma
disperde la resa x su un gran numero di righe, ognuna delle quali ha una bassa sensibilità.quindi i
raggi X sono favoriti come tecnica qualitativa, ma non quantitativa; viceversa succede per la
spettroscopia Auger. Uno svantaggio per la tecnica Auger riguarda gli isolanti, che dopo un po’ si
caricano (positivamente, o negativamente), portando alla decomposizione del materiale analizzato;
un secondo svantaggio è l’elevato costo della strumentazione.
Concludiamo il discorso, parlando della risoluzione laterale. Potremmo immaginare che dipenda
da quel semplice concetto delle dimensioni del pennello, che spazzola la superficie. Più piccolo è il
pennello, più alta è la risoluzione, e ciò è vero fino ad un certo punto, perché, se stringo le
dimensioni del fascio al di sotto, per esempio, dei 10 Angstrom, vediamo che la risoluzione non è
mai tanto piccola quanto il fascio, per la presenza di alcuni fenomeni secondari. Supponiamo di
avere una lamina costituita da Au e Pt. Abbiamo a disposizione un fascio grande in maniera tale da
eccitare contemporaneamente i due metalli, ed otterrò uno spettro con righe di Au e Pt, però non
sappiamo se il campione è costituito da Au e Pt mescolati al50%, oppure in proporzioni diverse.
Perché possa capire questo, devo stringere il fascio fino a dimensioni più piccole della distanza che
separa i due oggetti che voglio rivelare. Quindi il concetto di risoluzione laterale (lungo la
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
49
superficie), dice quanto sono distanti gli oggetti più vicini che io voglio distinguere. Detto questo
dobbiamo considerare un fatto strano: s il mio campione è largo 1 micron, e ho un fascio di 0,5
micron, com’è possibile che entrambi i metalli vengano rivelati? Ossia la risoluzione, oltre un certo
limite, non riesce a rivelare bene le differenze. Consideriamo un fascio molto piccolo che bombarda
la superficie: questo fascio, entrando nel materiale, eccita gli atomi che si trovano in superficie, ma
anche quelli più interni, sino ad una profondità pari al cammino libero. Il risultato è una
ionizzazione a pera, ossia otterremo un cilindro con area finale molto più grande dell’area iniziale.
Questo accade perché, quando arriva un elettrone nella zona interna, a causa delle interazioni con
gli altri elettroni, perde direzionalità. Quindi anche se il fascio in entrata è molto stretto da colpire
solo un metallo in superficie, all’interno il fascio si allarga sino ad arrivare all’altro metallo, per cui
dovrò sempre considerare il fenomeno di straggling (sbrodolamento). Quando il fascio è grande, lo
straggling è trascurabile, ma quando il fascio è piccolo eco che lo straggling assume importanza.

1
0
0
A
1
0
0
A 
1
0
0
A

Raggi X.
Un campione può essere “interrogato” anche con raggi X, ovvero l’energia con cui si sollecita il
sistema è legata all’energia dei fotoni X. In ingresso abbiamo raggi X, ed in uscita possiamo avere
raggi X o emissione di elettroni.
X
D
iffraz. X
’
F
luor. X’’
e
Quanto penetrano i raggi X? Ovviamente dipende dalla coppia radiazione – materiale. Ad esempio
la riga del Mg, con Al2O3 (usate per alcune spettroscopie), ha una penetrazione dell’ordine del
micron. Vi sono raggi X che si usano per le radiografie, e sono in grado di attraversarci. In questo
caso il corpo umano viene visto come un foglio in trasparenza. L’immagine che otteniamo è un
immagine in trasparenza: dove c’è la parte nera vuol dire che la radiazione X è stata assorbita, dove
c’è il bianco vuol dire che i raggi X sono passati. I rivelatori utilizzati per determinare i raggi X
sono quelli della SSD. La quantità di raggi X che una persona acquisisce durante una trasvolata
50
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
Italia – USA è maggiore rispetto a quella di una radiografia. La penetrazione dei raggi X dipende
Raggi X 500 KeV
molto dalla loro energia cinetica.al solito la legge che regola l’ingresso
I  I 0 e  x , dove x è il cammino percorso e  è il coefficiente
Mg k
1,2 KeV
è:
Cu k
10 KeV
d’assorbimento. Questa è la legge di Lambert – Beer, che nel caso di
W k
14 KeV
una soluzione può essere scritta nella più familiare :
Mo k
18 KeV
ho dei raggi che penetrano dell’ordine dei micron. I materiali che
    c . Per cui
utilizziamo per dar vita ai raggi X sono:
Il valore di  dipende drasticamente dall’energia. Cosa facciamo con i raggi X? Si lavora in
diffrattometria (vedi dispense), ma in questo caso c’interessa più la fluorescenza. Il raggio primario
ha un’energia sufficiente da muovere il cosiddetto “orbital probe”, ovvero l’interazione con la
materia porta ad un assorbimento di fotoni, con il risultato che l’elettrone espulso ha un’energia h,
che viene divisa tra BE (bonding energy), e KE (kinetic energy). Quindi: h  BE  KE .
X
F
luor.
eAuger
Il sistema, con la fuoriuscita di un elettrone, diventa uno ione positivo. Quest’ultimo emette, o
rilassa tramite gli ormai noti meccanismi di fluorescenza X, oppure Auger. I raggi X dei fotoni in
uscita hanno energia minore rispetto ai fotoni dei raggi X incidenti. Ovviamente la soglia superiore
dell’energia dei raggi X uscenti è l’energia dei raggi X incidenti. L’energia entrante non può essere
mai superiore a quella uscente, al massimo può essere uguale. Da notare che non è sempre facile
l’emissione di un fotone a causa di un processo di neutralizzazione. Ad esempio, se consideriamo lo
spazio tra due galassie, questo è per lo più pieno di atomi di H. Perché non esiste la molecola di H 2?
Consideriamo la reazione H  H  H 2 (molecola di idrogeno allo stato eccitato).
*
51
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
4,6eV
Nella curva di Morse di H-H, si vede che la molecola ha un’energia di dissociazione di circa 4,6 eV.
La molecola che si forma ha un’energia molto vicina al limite di dissociazione, quindi oscillerà in
maniera molto significativa. L’unico modo per stabilizzarsi è quello dell’emissione di un fotone,
passando in questo modo da uno stato eccitato ad uno fondamentale. Purtroppo, l’emissione di un
fotone non è sempre la via più semplice per diseccitare un sistema: nel caso della molecola di H2
eccitata, poiché H non ha un momento di dipolo permanente, la via dell’emissione fotonica è inibita
(ricordare le regole di selezione). Quindi, appena H2* si forma, si dissocia immediatamente. L’unico
posto in cui si può formare l’H2 molecolare è un posto in cui vi sia la presenza di un terzo corpo che
accetta h, ad esempio polvere interstellare. Ritorniamo alla fluorescenza: mandiamo raggi X, ed
otteniamo una fluorescenza X. Qual è il tipico aspetto di uno spettro di raggi X? Si definisce spettro
il numero di fotoni, in funzione della loro energia.
N° X
Riga
ec citatric e
A
E
Guardandolo, noto che è costituito da alcuni picchi, e che, dopo un certo punto (A), non ce ne sono
più. Lo spettro si ferma alla riga d’eccitazione. Abbiamo già detto che non si possono avere fotoni
con un’energia superiore a quelli che ho inviato. Quindi, lo spettro di fluorescenza è uno spettro ad
energia più bassa della riga. Poiché, in genere, una parte dei raggi X può venir riflessa, nel punto A
c’è un grosso picco, tanto grande che, per non bruciare il rivelatore, s’impedisce a questi fotoni di
arrivarvi. Dal punto di vista pratico, la cosa più preziosa che fanno le particelle riflesse come raggi
X, è quella di emettere elettroni, quindi l’informazione più preziosa ci viene data andando a studiare
questi elettroni.
52
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
Spettroscopia di fotoelettroni.
Essa si basa su alcuni concetti di base: il primo, che è: I  I 0 e  x , che riguarda la concentrazione di
raggi X. Tipicamente si utilizzano Mg K, di 1,2 KeV, e Al k, di 1,4 KeV. Questi raggi X
arrivano al campione. Supponiamo che penetrino ad una profondità pari a 1 micron (10000
Angstrom). Immaginiamo di dividere questa profondità in 1000 parti. Le informazioni che
ricaviamo derivano solamente da uno strato molto sottile, ovvero solo delle prime 50 parti, anche se
i raggi X percorrono una distanza enorme. Perché i fotoelettroni forniscono informazioni, che pur
provenienti da un’eccitazione grossolana, limitatamente ad uno strato sottile? Questa spettroscopia
di fotoelettroni si chiama XPS o ESCA. Poiché, in genere si fa riferimento al livello di Fermi,
l’XPS viene anche chiamata ESCA FRESCA. Quindi le informazioni che otteniamo, derivano da


uno strato di 500 A , mentre i raggi X possono penetrare sino a 10000 A . Cosa vuol dire penetrare?
Vuol dire essere capaci di produrre fotoelettroni. Tuttavia, in fase condensata, la probabilità che
avvenga un urto tra un elettrone ed un altro, appartenente ad un atomo vicino, è elevatissima, tanto
che la distanza percorsa tra un nucleo ed il successivo, è piccolissima. La distanza tra due nuclei è
una distanza statistica, indicata con il simbolo .  indica la distanza media percorsa tra un urto e il
successivo, e si chiama libero cammino medio.
 ( A°)
Isolanti
Conduttori
50
10
50
100
E(erg)
Se in un grafico riportiamo  in funzione dell’energia cinetica di questo elettrone, si ottiene una
curva che presenta un certo spessore. Da cosa deriva questo spessore? Ci sono dei materiali, che ad
una stessa energia, hanno  diverso, quindi c’è una dipendenza dal materiale. Tipicamente si lavora
con energie comprese tra 50 e 1000 erg, per cui c’interessa conoscere la rispettiva curva.
Grossolanamente, i valori di  dei due punti di minimo sono 10 e 50 Angstrom. Perché, alla stessa
energia vi sono materiali con  diverso? Questo dipende dalla densità di carica. Se ci sono molti
elettroni, la probabilità che un e- collimi con un altro è elevata, altrimenti la probabilità è bassa. Per
i conduttori, i quali hanno un’elevata quantità di elettroni posti nella banda di conduzione, si deve
quindi considerare la parte superiore della curva, mentre, per gli isolanti, che hanno una bassa
53
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
densità di elettroni, la curva inferiore. Per un polimero, allora, lo strato superficiale interessato è

piuttosto grande (dell’ordine dei 100 A ), mentre per il metallo lo strato molto ridotto (dell’ordine

dei 10 – 20 A ). Nel metallo, infatti c’è una quantità enorme di elettroni, per cui, anche se eccitassi
elettroni sulla superficie, questi non escono, perché sono coinvolti in una serie di urti anelastici.
Quando bombardiamo con raggi X la superficie, attraverso il rivelatore osserviamo solo una parte
degli elettroni emessi, ossia quelli diretti verso il rivelatore, ma qual è il destino degli altri elettroni
che sono sotto la superficie, i quali non fuoriescono? Se consideriamo l’intensità dei raggi X in
funzione della profondità, vediamo che questa non diminuisce di molto, ma si mantiene quasi
costante.
I
°
A
Tuttavia, tutti gli elettroni che sono stati prodotti, anche se sono nella direzione giusta del rivelatore,
incontrano un gran numero di elettroni, ed urtano anelasticamente. Dopo l’urto, cioè l’energia sarà
minore di prima, e si riscontra anche una variazione della direzione (possono anche esserci elettroni
che sono nella direzione errata, e che dopo una serie di urti, assumono la corretta direzione, e
vengono rivelati). Qual è l’energia di questi elettroni? Il bilancio è sempre lo stesso:
h  BE  KE . Quindi, misurare l’energia cinetica, significa fare una “fotografia” degli orbitali
atomici e molecolari. Come si presenta, in questo caso, uno spettro:
Ne-
KE
lo spettro è il numero di elettroni, in funzione dell’energia cinetica degli stessi elettroni. Come si fa
ad acquisire uno spettro? È possibile vedere uno schema nelle dispense: i raggi X arrivano sul
campione, e, a causa dell’interazione con la superficie, un certo numero di elettroni vengono espulsi
(fotoelettroni). Una parte di questo flusso viene intercettato da un rivelatore, che è uno strumento
che è in grado di focalizzare tali elettroni, mediante delle lenti elettrostatiche, e li fa entrare in una
54
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
doppia cupola. Tra le armature di questa cupola c’è un campo elettrico. Per cui questi elettroni
subiscono una curvatura nella parte iniziale. Per quel determinato campo elettrico, gli elettroni
troppo veloci non riescono ad essere curvati abbastanza, e sbattono sulla cupola superiore; gli
elettroni lenti sono curvati troppo, e sbattono sulla cupola inferiore. Solo gli elettroni che hanno una
precisa energia cinetica riescono a raggiungere l’uscita del rivelatore, che si trova dall’altra parte.
Quindi, una scansione dei campi elettrici (variando la tensione) ci permette di eseguire una
spettroscopia di velocità degli elettroni. Come si vede dal grafico, lo spettro finisce nel punto
indicato:
Ne -
KE
Si tratta del massimo valore d’energia possibile per un elettrone, ed è quella riguardante gli elettroni
degli orbitali HOMO. Grosso modo, tale punto corrisponde a 1200 eV, nel caso che usassi il Mg
k. Perché, man mano che si scende in energia, il fondo dello spettro ha una maggiore intensità?
Ne-
KE
Si tratta di una porzione di fotoelettroni, che prima di essere rivelati, possono avere subito una serie
di urti anelastici: l’urto tra e-, fa perdere una quantità d’energia bianca (differente a seconda che
l’urto sia frontale o laterale), e ci ritroviamo dunque uno spettro in cui abbiamo degli allargamenti
del picco. Parliamo in questo caso di fondo, o background anelastico, che, almeno attualmente
non contiene informazioni interessanti a scopo analitico. I picchi rappresentano invece i livelli
energetici. Noto h, e misurando l’energia cinetica degli elettroni, ricavo l’energia di legame, e
posso risalire al tipo di atomo. Si tratta di un’analisi chimica.
Per lo spettro visto prima, ad esempio, possiamo dire che i vari picchi corrispondono al Na 1s (si
tratta di un e- emesso da un orbitale 1s del Na). Continuando si ha O 1s, C 1s, e Si 2p. L’area sottesa
al picco è proporzionale al numero di atomi emettitori, mediante sezioni d’urto che sono note.
Ne -
55
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
Na1s O1s
C1s
Si2p
KE
Come raggio X si può usare il Mg k, ma non sempre va bene questa frequenza. Nel caso di H2, e
dell’He, indagato con una radiazione come quella sopra, non si ottiene alcuna informazione. Le
differenze in energia sono estremamente diverse, e si abbassa di molto il coefficiente di
assorbimento della radiazione  diventa basso. Adesso mostriamo un altro esempio dell’efficacia di
questo mezzo d’indagine. Sappiamo che, esponendo all’aria un pezzo di Si, dopo un po’ si forma
uno stato di ossido di pochi Angstrom. Sottoponiamo adesso il nostro campione ad analisi:
ovviamente il nostro campione è posto sotto vuoto, perché, dopo aver rimosso la patina di ossido,
non vogliamo più che questo interferisca. Come appare uno spettro? Se avessimo avuto Si puro, non
ossidato, non avrei avuto i picchi relativi alla SiO2, ma solo quelli relativi al Si 2p e al Si 2s.
Possiamo quindi notare nello spettro anche una sensibilità allo stato chimico. L’energia del
fotoelettrone subisce un chemical shift, che è verso energie cinetiche più basse, che corrisponde a
BE più elevata. Se Si 2p è a 99eV, il corrispettivo, nella SiO2 sarà a 103 eV. Ci sono 4 eV di
differenza, dovuti al diverso intorno chimico. Dallo spettro ci accorgiamo della presenza
dell’ossigeno, ma come si fa ad essere sicuri che si tratti di O legato al Si? Dal fatto che, andando ad
osservare la zona del Si, sia 2s che 2p, risultano sdoppiati, essendo presenti due tipi di Si, uno
legato a Si, ed uno legato ad O. Spieghiamo invece i 4eV di differenza:
Si
O
Si
O
Si
Si
Si
Si
Si
O
Si
O
Si
il Si ha un’ibridazione sp3, per cui ha una struttura come quella disegnata in figura. Nella SiO 2, la
struttura non è più la stessa: avviene che abbiamo due O a ponte tra due Si, per cui nella struttura
generale una parte di legami Si – Si è stata rimpiazzata da questi legami. Poiché l’O è più
elettronegativo del Si, il Si ha una parziale carica positiva. Ciò significa che, rimuovere elettroni da
questo atomo di Si, costa più energia. Questa tecnica d’indagine è molto preziosa, ma limitata,
perché potrei erroneamente affermare che il mio campione è SiO2, quando, al 99%, si tratta di Si
56
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
puro. La tecnica è indubbiamente un potente mezzo d’indagine superficiale, valido se devo
conoscere proprietà quali riflettività, bagnabilità, proprietà elettroniche e catalitiche, ma non è una
tecnica valida per conoscere le proprietà di bulk. Negli spettri possono anche esserci degli strani
picchi: alcuni di essi possono essere i CKLL: si tratta di picchi Auger.
NeCKLL
KE
Una buca di core può rilassare, o emettendo raggi X, o emettendo elettroni Auger. Quindi, in
definitiva vediamo raggi X in ingresso, fotoelettroni primari, ma anche elettroni secondari dovuti al
rilassamento Auger. Come si fa a sapere che quel picco è dato da elettroni Auger, mentre l’altro è
dato da fotoelettroni? Basta cambiare anticatodo. Invece di usare Mg k, usiamo Al k. Eccitando
lo stesso campione, tutti i fotoelettroni si spostano di circa 200 eV, tranne gli Auger, i quali
dipendono dai livelli energetici da cui provengono, e non dall’energia necessaria per ionizzare il
sistema.
Cerchiamo adesso di dare una visione d’insieme con una tecnica preziosa, che fotografa la
strutturistica degli elettroni che assemblano il sistema, che, da un punto di vista teorico, andiamo
studiare con la quantomeccanica, che è una teoria di livelli energetici. Confrontando il dato teorico
con quello sperimentale, ci rendiamo conto di aver fatto due dimenticanze: una dal punto di vista
sperimentale, una dal punto di vista teorico. Vediamo il fenomeno sperimentale. L’elettrone,
soggetto alla radiazione X, fuoriesce con una certa quantità d’energia cinetica; di colpo, l’e -, che era
legato, si trova lontano dal sistema. Come reagisce il sistema? Il sistema, prima della radiazione, ha
un minimo d’energia, ma togliere un e- significa lasciare una buca: il sistema risulta ionizzato. Man
mano che l’elettrone si allontana dal sistema, gli e- più vicini, che sono i primi che risentono della
fuoriuscita, rilassano, configurandosi. La configurazione, chiaramente, non è ottimale, ma
“minimizza” il danno. Osserviamo il grafico:
57
Dispense di chimica fisica dei materiali. prof. Puglisi
Energia di
rilassam ento
E
BE
E1
E2
T
E1 è l’energia che sto fornendo al sistema. Se utilizzo una h = 1200 eV, il sistema utilizza 800 eV
per BE, e 400 eV come KE. Per cui, il sistema, o meglio la buca, ha un’energia di 800eV. A questo
punto il sistema rilassa ad un’energia E2. Quant’è la costante cinetica del rilassamento? Se il
rilassamento è lento, le cose vanno alla perfezione; se spendo 1200 eV, il sistema acquista 800 eV,
mentre 400 eV vengono misurati come energia
dell’elettrone. Quando misurerò 400 eV
dell’elettrone, sono abilitato a dire che il sistema ha preso 800 eV. Cosa succede se il rilassamento è
veloce, ovvero se ha lo stesso tempo della ionizzazione? Man mano che l’elettrone fuoriesce, la BE
aumenta, nel senso che l’energia dell’orbitale è più negativa (il sistema si sta stabilizzando). Quanto
vale in questo caso l’energia dell’elettrone, e quindi la BE? quella Trascurando il rilassamento,
possiamo dunque commettere un errore. Negli isolanti la cinetica di rilassamento è lenta, mentre nei
metalli è molto veloce. Un altro errore, di natura teorica, è legato all’energia di correlazione.
Prendiamo orbitali atomici isolati, ovvero funzioni d’onda che sono relative a atomi idrogenioidi.
Adesso li pongo assieme e faccio una procedura, che si chiama Hartree – Fock. Quando faccio
questo calcolo, prendo gli atomi idrogenioidi che hanno quell’energia e quella funzione d’onda,
nella misura in cui erano da soli. Quando li pongo assieme, si ha un’interazione elettrostatica,
quindi debbo, con la procedura di H – F, aggiungere questo termine di repulsione. Considero quindi
l’elettrone di un atomo come messo nel campo elettrostatico medio. Come faccio a conoscere il
campo elettrostatico medio? Conoscendo la  di tutti gli altri e conoscendo la delocalizzazione.
Questo limite è molto diverso dalla realtà, e la differenza tra questo limite ed il valore vero si
chiama correlazione. Non è vero che la distribuzione media è quella che immagino, perché la
presenza di un orbitale p, in una zona dello spazio in cui c’è il lobo p, determina una carica
elettrostatica molto più intensa, nella zona esterna ai lobi. Quindi il valor medio è un valore molto
approssimato. Il calcolo che ottengo, malgrado il limite di H – F, ha sempre una differenza rispetto
al vero, dovuto al fatto che non riesco a calcolare la correlazione, ovvero non riesco a calcolare la
variazione di distribuzione. Il principio variazionale assicura che l’energia vera è più bassa (più
negativa e quindi il sistema è più stabile). Il teorema di Koopman afferma che la correlazione, ed il
rilassamento sono all’incirca uguali. Nel caso di rilassamento veloce il sistema si stabilizza
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immediatamente, quindi l’energia cinetica dell’elettrone è più bassa di quella che misurerei con una
cinetica lenta; la BE ha conseguentemente un valore maggiore e l’energia è molto negativa
(struttura molto stabile). Se il rilassamento è lento il sistema non si stabilizza come in precedenza,
l’elettrone fuoriesce con un’energia maggiore, la BE è minore e l’energia orbitalica è meno negativa
rispetto al primo caso. In quest’ultimo
caso commettiamo due errori, uno teorico e uno
sperimentale, che si cancellano mutuamente.
Quindi lo schema che ottengo da una misura
sperimentale corrisponde al calcolo, nella misura in cui rilassamento e correlazione sono uguali
numericamente, anche se sono di natura diversa. Se non c’è rilassamento, ad esempio negli isolanti,
l’errore sarà trascurabile,
mentre nel caso dei conduttori devo considerare il termine di
correlazione.
SIMS (secondary ions mass spectroscopy).
Questa tecnica sfrutta in entrata ioni.
In
Microscopie
t
Ou
IN: ioni (SIMS 3D); h: frequenze ottiche, raggi X; Elettroni: SEM, TEM….
OUT: fotoni elettroni, ioni neutri, fononi.
Le frequenze ottiche riguardano una microscopia i cui risultati sono evidenziabili nel visibile. Nel
TEM (trasmission electron spectroscopy), vediamo il campione in trasparenza: misuro la corrente
che viene trasmessa attraverso il campione: più il campione è trasparente, più corrente verrà
trasmessa. Altro caso riguarda il segnale retrodiffusi dal campione che fu studiato da Rutheford,
nello studio del segnale restituito dal campione, quando questo veniva irradiato da un fascetto di
ioni. Rutheford voleva capire com’era un nucleo, se negativo o positivo, e scoprì che era positivo.
Oggi, lo stesso esperimento si effettua usando la spettroscopia RBS (Rutheford Back Scattering),
che consiste nel sollecitare il campione, e vedere cosa questo restituisce.
Spettroscopie
IN:
h (LIMA, fluorescenza X, FT-IR, Raman, XPS)
Elettroni (REELS, AUGER LEED)
Ioni (SIMS, RBS, ISS (ion scattering spectrometry) )
Campi elettrici (field desorption)
Campi magnetici (NMA, EPR….)
Energia termica
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Qual è la differenza tra microscopia e spettroscopia? Nella microscopia cerchiamo informazione
sulla provenienza dell’immagine: la più banale microscopia è quella data da una lente
d’ingrandimento. La spettroscopia, invece, è un conteggio in funzione dell’energia, quindi indago
tutto il campione con un fascio ed osservo la sua risposta. Consideriamo la tecnica LIMA (laser
induction mass analisys) in cui in ingresso ho un fascio laser intenso (di solito s’impiega Nd:YAG),
il campione viene vaporizzato (a T = 106 °C). Se raccolgo la parte vaporizzata con uno spettrometro
di massa, e vado a vedere, attraverso un’analisi distruttiva, cosa c’era nella parte di campione
analizzato. Per quanto riguarda l’FT – IR, è una tecnica che, attraverso l’operazione della
trasformata di Fourier correla un interferometro ad uno spettro IR. Questo tipo di esperimento
venne usato nel primo allunaggio, il laser analizzava la superficie lunare, ed a seconda di come
veniva restituita la luce, regolava la potenza dei razzi dello shuttle. Il tempo necessario per acquisire
ed elaborare la risposta, a quei tempi, era di 2 secondi, oggi in 1/50 di secondo si fanno 1000
acquisizioni. Nella S.E.RAMAN (surface enhanced Raman), il segnale della superficie è 106 – 109
volte più intenso del normale (per motivi tuttora misteriosi). Un altro metodo che sfrutta in entrata
gli elettroni è il LEED (Low Energy Electron Diffraction), in cui un campione è indagato a bassa
energia, quindi, con un’energia dell’ordine dell’Angstrom, e quindi dà diffrazione quando
interagisce con un reticolo cristallino. Altro modo di indagare un materiale può essere quello di
usare campi elettrici e magnetici.
Analizziamo una grandezza importante in uno spettro: la risoluzione.
Conteggio
Risoluzione
Hp
Hv
Energia
Immaginiamo un picco, che come si dice in gergo sia un doppietto; questo doppietto può essere
molto separato (riquadro grande), o molto ravvicinato (riquadro piccolo). Si dice che uno spettro
presenta una certa risoluzione, utilizzando il criterio del picco e della valle. Nel grafico vediamo i
due picchi, che presentano una certa altezza (hp), e una valle (hv), a causa della loro
sovrapposizione. Ho due picchi separati (linea continua nel grafico), però il rivelatore non li separa
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in modo efficiente, quindi, punto per punto, faremo la somma. Il picco somma esce dalla
convoluzione dei picchi. Se la valle esce fuori dalla convoluzione ha un’altezza rispetto al picco
pari a 0,8 (la valle è 80% del picco), i due picchi si possono considerare separati; se invece, la valle
fosse più alta (pari a 0,95), i due picchi non si possono considerare risolti. La risoluzione dello
spettro è quindi il E tra i due picchi.
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SIMS.
Immaginiamo di avere un campione nella sua compattezza, ma di analizzare una minima parte di
superficie che si trova al centro di un cratere che scavo con il fascio usato per l’analisi. Questo
metodo, che a noi è nuovo, si riferisce al fenomeno dello sputtering, in cui una particella arriva
dentro il campione. In questa fase, una parte degli atomi costituenti la superficie, riceve un’energia
sufficiente a farli desorbire, e vanno in fase vapore. Successivamente c’è uno spettrometro di massa
che analizza la risposta: si esegue più volte la stessa operazione, spazzolando così l’intera
superficie. L’altezza della superficie sarà più bassa, perché, man mano che bombardo, rimuovo il
materiale sulla superficie. Quindi, la nuova superficie, dopo la prima spazzolata, si troverà ad una
quota più bassa, e così via. L’erosione dovuta all’analisi fa sì che la superficie retroceda.
Guardiamo questo disegno. Per ogni spazzolata della superficie, se punto per punto eseguiamo lo
spettro di massa, abbiamo un’informazione sulla composizione della prima superficie, poi della
seconda, e così via: quello che faccio per la prima volta è una spettroscopia tridimensionale.
Q
L
R
C
I
M
S
L= lenti elettrostatiche
M= monitor
C= c omputer
S= campione
I= fasc io di ioni
R= rivelatore
Q= quadrupolo
La spettrometria di massa di ioni secondari è il metodo più diffusamente usato tra quelli di
spettrometria di massa di superficie. La SIMS si è dimostrata utile per la determinazione della
composizione sia atomica che molecolare delle superfici solide. Il bombardamento della superficie
viene effettuato con un fascio di ioni Ar+, Cs+, O2+, N2+ da 5 a 20 keV. Il fascio ionico viene
generato in un cannone ionico, nel quale gli atomi gassosi o le molecole vengono ionizzate da una
sorgente ad urto elettronico, o per field desorption, e gli ioni positivi sono poi accelerati da un
elevato potenziale continuo. In seguito all’urto con questi ioni primari, lo strato superficiale di
atomi del campione viene per lo più asportato per lo più sotto forma di atomi neutri: viene però
prodotta anche una piccola frazione di ioni positivi, o negativi, che vengono inviati allo
spettrometro per l’analisi di massa. Negli analizzatori di massa a ioni secondari, che sono impiegati
per analisi generali di superficie o per i profili di profondità, il diametro del fascio di ioni primari si
o
aggira sui 100 A , utilizzando punte su cui si fa depositare il fuso di Ge, o di Si – Au; tale goccia
viene sottoposta a field desorption. Il segnale d’uscita è captato da lenti elettrostatiche. Dopo di ciò
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il segnale è inviato all’analizzatore, che può essere a quadrupolo, o TOF. TOF (time of flight): sul
campione arriva un fascio pulsato dalla durata di alcuni nanosecondi, che provoca uno sputtering;
gli ioni così prodotti vengono accelerati da un campo elettrico dell’ordine del migliaio di V, pulsato
alla stessa frequenza delle particelle ionizzanti, ma con fase opposta, ed inviati ad un tubo di deriva,
lungo circa un metro, in cui il campo è nullo. Poiché tutti gli ioni che percorrono il tubo hanno
formalmente la stessa energia cinetica, gli atomi leggeri arriveranno prima degli atomi pesanti,
secondo una proporzionalità inversa tra t ed m: ( t 
1
m
). L’unico difetto di questa tecnica è
quello di essere distruttiva, ma è importantissima per ottenere informazioni sui primi strati di
superficie. Altro tipo di rivelatore è quello a risonanza ciclotronica, dove c’è una nuvola di ioni
che si muovono con velocità diverse, a seconda dell’atomo rivelato. Per finire, parliamo del
quadrupolo, costituito da un cilindro contenente 4 sbarre, regolate da tensioni. All’interno si
muovono gli ioni, che vengono sfarfallati, fino ad uscire nel tubo in funzione della loro massa (in
1/1000 di sec. escono numerosi ioni). Quando una superficie viene sollecitata in energia, la maggior
parte delle particelle vaporizzate sono neutre: lo sputtering produce essenzialmente particelle
neutre, mentre nel SIMS arrivano ionizzate. La percentuale di particelle ionizzate, che riescono a
raggiungere il rivelatore, dipende dal campione, ossia dalla sua composizione, e questo può
costituire un grosso vantaggio. Avremo in generale particelle neutre, o particelle ionizzate. Se
chiamo y la resa di sputtering, posso definire una y(+), ed una y(neutre). Il loro rapporto dipende
dal campione e dalla sua composizione. Quali sono i meccanismi che ci sono alla base di questo
fenomeno? Sappiamo che la maggior parte delle particelle sono neutre. Immaginiamo due casi:
uscita di particelle neutre (più comune), e uscita di particelle cariche. Nel primo caso un elettrone va
dalla particella uscente, e a distanza di pochi Angstrom si ha un fenomeno che si chiama risonanza
tunnel, che può portare l’elettrone sulla superficie oppure ad uscire definitivamente da essa. La
particella può, quindi, scambiare elettroni, o cedendoli o acquistandoli. Cosa guida questo
fenomeno? L’elettronegatività della superficie, la quantità di elettroni che c’è sulla superficie e la
facilità con cui questi possono essere strappati. Se la superficie è ghiotta di elettroni prevarrà il
fenomeno per cui l’elettrone verrà ceduto alla superficie stessa (avremo un’alta resa in particelle
positive). Al contrario, se ho una superficie ricca di elettroni, questa li cederà facilmente alla
particella uscente, che si caricherà negativamente. Posso a questo proposito evidenziare varie
possibilità: se la particella uscente è positiva, diventerà neutra, se invece è neutra, diventerà
negativa; se infine la particella è neutra, e perde l’elettrone, diventerà positiva.
Facciamo due esempi pratici:
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1) Se sulla superficie ho SiO2, quale fenomeno prevarrà? La perdita di elettroni dalla
superficie.
2) Se uso come particella primaria ioni Cs, quindi dopo un po’ ho arricchito la superficie di Cs
(metallo con un potenziale di ionizzazione bassissimo), si avrà una resa in ioni negativi.
Il chimico usa due tipi di fasci: ossigeno e cesio. L’ossigeno arricchisce la superficie di ossigeno
primario, e quindi aumenta la resa y+ rispetto alla y degli atomi neutri; il cesio aumenta la y- rispetto
alla y degli atomi neutri. Quindi posso giocare sulla popolazione di ioni che voglio estrarre, facendo
una scelta di fascio.
(la particella incidente si neutralizza sulla superficie).
Abbiamo dato uno sguardo alle popolazioni ioniche, e abbiamo visto come queste dipendano dalla
specie chimica, con cui bombardo il campione (bombardo con ioni ossigeno, e la superficie sarà
ricoperta di ossigeno). Immaginiamo di avere un campione, in cui gli strati superficiali siano di
SiO2, mentre il bulk sia di Si puro, e di bombardarlo con Ar+:
X
1
Intensità del
segnale
Fascio di Ar+
Silic io
Silic io
2/3
1/3
Ossigeno
Distanza
Distanza
Ci aspettiamo un andamento come quello indicato nella figura a sinistra, ma se analizziamo il
campione con il SIMS, otteniamo un risultato particolare (figura a destra): la quantità di Si è
maggiore in superficie, piuttosto che nel bulk, dove il Si è puro: dobbiamo però tener presente
anche la natura della superficie, e ricordare che la resa y+ è alta laddove c’è ossigeno (ossia nella
regione dell’ossido); dopo lo stato superficiale avremo una resa maggiore in particelle neutre. Se
avessimo analizzato il nostro campione con O2+ non avremmo ottenuto alcun risultato deviante (
perché aumenta ovunque la y+). Per evitare di incappare in errori grossolani, è meglio focalizzare
l’attenzione sulle particelle neutre, che sono prevalenti. Questo è il motivo per cui oggi invece del
SIMS, si effettua il SNMS (su particelle neutre); l’approccio moderno ci porta a dire che con la
parte ionizzata si possono commettere gravi sbagli. Per evitare ciò, lo spettrometro di massa esercita
un forte campo elettrico su tutte le particelle che escono dal campione, in modo da eliminare
completamente tutta la parte ionizzata e fare passare solo la parte neutra. Questa verrà poi rionizzata
a parte.
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