Proposta per la strutturazione del programma di lavoro - T

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n. 504666-LLP-1-2009-1-IT-LMP
IV Incontro,
"Il mediatore culturale che opera in ambito sanitario”
Relatori: Dott. Roberto Bertolino, Lahcen Aalla
L’incontro propone in apertura una riflessione sul significato del termine “cultura”. Viene proposta un
definizione dinamica e non statica, in continuo divenire: la cultura è qualcosa che si fa e che va situata
nell’interazione tra il singolo e la collettività, non qualcosa di immutabile che si ha. Si sottolinea poi che il
rischio di un uso indiscriminato del termine “cultura”, che può portare ad una massiva culturalizzazione delle
differenze (riferimento a Beneduce, 2003). Nell’introdurre le specificità della clinica etnopsichiatrica, viene
poi proposta l’adozione di una prospettiva storica ed antropologica.
Il dott. Bertolino analizza il corpo come oggetto e soggetto situato al crocevia di culture e contesti storici e
cita il lavoro di Michela Fusaschi, che analizza i segni sul corpo che in alcune culture sono pratiche di
identità e in Francia sono vietate da un decreto legge: “il corpo è un essere umanizzato”, in molti contesti ad
esempio il corpo viene reso umano anche attraverso traumatismi culturalmente organizzati e dunque
prendersi cura del corpo sofferente e malato è entrare in un territorio ove si gioca una complessa
“performance culturale”.
Riprendendo la riflessione sulla “cultura”, viene proposta un’analisi dei significati assunti dal termine cultura
nel corso dei secoli: l’origine del termine va ricercata nel latino “colere” (“coltura animi”: da coltivare,
onorare), intesa come coltivazione dello spirito, forma di erudizione, relativa a una grande tradizione, basata
sulla scrittura, espressione di valore universale e distinzione fra chi ha cultura (colto) e chi non l’ha (incolto).
Nell'illuminismo in Francia, la cultura è sinonimo di civilità e costume (Voltaire 1745). In Germania il
termine “kultur” (cultura) si riferisce alla particolarità di un popolo, al suo “genio” e al suo “spirito”.
Durante il Romanticismo e il Positivismo: Gustav Klemm (1802-1867) utilizzano “kultur” come costume,
informazioni e tecniche, vita domestica e pubblica di pace e di guerra, religione, scienza e arte.
L’antropologo evoluzionista Edward Burnett Tylor (1832-1917) suggeriva di definire la cultura come scienza
generale del comportamento, mentre L.H. Morgan (1818-1881) si soffermò sulla definizione degli stati
dell'evoluzione dell'umanità: selvatichezza, barbarie, civiltà. J. G. Frazer (1854-1941) propose invece uno
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schema evolutivo delle forme di credenza, articolandole in magia, religione, scienza. Secondo l’antropologo
scozzese la scienza e la razionalità erano associate alla civiltà, ultimo stadio dello sviluppo intellettuale
dell’uomo, la religione ad uno stadio intermedio e la magia ad una fase primitiva, di confusione ed
ignoranza. Autorevoli esponenti dell’antropologia funzionalista, attenta all’osservazione diretta dei fenomeni
e alla ricerca sul campo, sono stati invece Bronislaw Malinowski, che ha teorizzato il metodo
dell'osservazione partecipante, e Radcliffe-Brown, secondo cui la struttura sociale va intesa come pattern che
unifica una società in modelli di comportamenti definiti da regole implicite e esplicite. Viene fatto
riferimento anche all’opera di Evans-Pritchard “Stregoneria, oracoli e magia fra gli Azande” (1943).
Il dott. Bertolino introduce l’antropologia interpretativa e la figura di Clifford Geertz.
Viene poi proposta una riflessione sul significato attuale del termine “cultura” e vengono analizzati i seguenti
punti: le società si definiscono attraverso incontri e scambi; le tradizioni si strutturano a partire da processi
oggettivati; i processi di reificazioni culturale sono riproduzione del potere costituito; le identità si
confrontano; le società lottano per l'esercizio dell’egemonia; le culture rappresentano anche dissidi e
disaccordi.
Nell’introdurre le figure di George Devereux e Tobie Nathan viene sottolineato come cultura e psichismo
siano strettamente interconnessi e come ogni cultura sia, di per sé, ibrida.
Si passa poi ad analizzare il rapporto tra evoluzionismo e l’universalismo e
si
prendono
in
esame
il
paradigma relativistico e la nozione di diversità, sottolineando come il costante riferimento alla differenza
culturale e la culturalizzazione di tali differenze sia pericolosa al pari di un bieco universalismo, che non
riconosce peculiarità alcuna alla sofferenza umana.
L’ultima nozione che viene analizzata, con riferimento al lavoro di Ugo Fabietti, è quella di identità etnica:
essa è costruita discorsivamente, è oggettivata nelle narrazioni e produce un effetto sui corpi.
Si passa poi alla mediazione etnoclinica e vengono analizzati i tre livelli della mediazione proposti da
Roberto Beneduce (1998):
1°, livello elementare della mediazione linguistico-culturale. Il mediatore traduce e consente di costruire un
ambiente in cui il paziente possa re-immergersi in situazione lontane. Negoziazione di significati e
costruzione di nuovi significati-ponte, teorie di passaggio (relative alla causa della malattia e/o al modo di
trattarla).
2°, livello della mediazione culturale come luogo abitato da un gruppo, intreccio di legami.
3° livello: mediazione come strategia evocativa di una dimensione metaempirica. Attraverso una lingua si
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evocano sistemi teorici di pensiero e la cultura diventa un nucleo generante possibilità, coinvolgendo il
mediatore nel dispositivo terapeutico.
Il Mediatore Culturale, inoltre, può porsi come immagine di flessibilità e facilitare il processo di ridefinizione identitaria.
Sono state sollevati i seguenti quesiti:
-Quale è il futuro della Mediazione?
-Quale formazione è necessaria per i Mediatori Culturali che operano in ambito sanitario?
Nella seconda parte dell’incontro ha preso la parola Lahcen Aalla, mediatore culturale.
La prima riflessione introdotta è stata sulla figura del mediatore e sui termini che la possono definire: va
inteso come “mediatore culturale” o come “operatore etnico”? Sono concetti diversi. Il dispositivo della
mediazione non è sostituibile dalle “origine etniche” di un operatore.
Aalla propone un esempio utilizzando la figura del mediatore immobiliare e paragonandolo al lavoro del
mediatore culturale. Il ruolo del mediatore immobiliare è rendere facile e accessibile la vendita dell'immobile
(offerta/domanda). Anche la mediazione culturale rimanda alla negoziazione. L'obiettivo della mediazione è
rendere possibile la comunicazione e quindi facilitare la comprensione tra utente ed operatore.
La cultura è tutto ciò che un individuo inserito in un gruppo mette in comune col gruppo per vivere e
sopravvivere e favorire l'equilibrio.
L'identità è un insieme di caratteristiche di un individuo che è rappresenta all'interno del proprio gruppo di
riferimento.
Il mediatore culturale, viene sottolineato, non è un esperto di cultura, ma un facilitatore, e il compito del
facilitatore è aiutare nella lingua, ossia nella comunicazione, facilitare nella relazione, nell'intervento. Nella
clinica, con la mediazione si instaura una relazione triangolare. Il connazionale non solo traduce la violenza
che l' individuo ha subito, ma la vede, vede il contesto di provenienza; invece lo psicoterapeuta l'ascolta. Il
mediatore culturale deve essere complice delle due parti. Formare un'alleanza, un'alleanza positiva che va
negoziata. Una tecnica del mediatore culturale è fare delle domande per capire meglio quello che il paziente
ci porta. Tuttavia, per descrivere il dolore, la sofferenza, non ci sono delle parola specifiche o traducibili e a
volte il paziente usa metafore, proverbi, ecc.. Attraverso la lingua emergono i vissuti delle persone, perciò
l'importanza del lavoro sul linguaggio risulta fondamentale. Il linguaggio è un universo inserito nell'incontro.
E' importante far capire al paziente chi sono le persone presenti nel dispositivo di cura, il ruolo di ognuno.
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Aalla ha poi riportato vari esempi nella sua pratica lavorativa in cui il ruolo della mediazione è stata
fondamentale
per
risolvere
ambiguità
e
nodi
problematici
nel
rapporto
immigrati/istituzioni,
immigrati/servizi.
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