SINTESI RAGIONATA
Convegno Montecastello 28 giugno 2015
Prof. Alberto Anelli
Tutte le relazioni che abbiamo sentito in questi giorni sottolineano due elementi: c’è un problema
(1) e ci si deve interrogare sui suoi possibili sviluppi e soluzioni (2).
1. IL PROBLEMA
Dato di partenza: attuale modello italiano IRC (nel linguaggio giuridico italiano si definisce
modello della “confessionalità debole”) trova nella situazione di oggi sempre più difficoltà a
giustificarsi, per due ragioni:
1.1 DIFFICOLTÀ GIURIDICA
→perché la sua fondazione giuridica si è trovata a partire dagli anni ’80 superata e smentita dalle
trasformazioni della società italiana.
Fondazione giuridica:
1° concordato 1929: art. 1 e art. 36:
a) cattolicesimo è la religione di Stato
b) l’insegnamento della religione è essenziale perché l’identità/formazione confessionale cattolica
coincide con l’identità/formazione civile nazionale
dietro questa equazione religione = politica si nasconde la riduzione della religione a funzione civile
tipica all’epoca anche del fascismo italiano
2° concordato 1984: ha abrogato quegli articoli del 1929 optando per una formula più rispettosa
della laicità dello Stato: art. 30: “i princìpi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del
popolo italiano”. Ma oggi questa formula appare ambigua e debole.
Per due motivi:
a. Motivo strutturale: “principio della multi-causalità” (scienze storiche): attenzione quando faccio
appello a qualsivoglia prassi o tradizione che viene dal passato: effetto boomerang: il nostro passato
non è mai puro, ma sempre stratificato e composito.
Perciò  bene i princìpi del cattolicesimo! Ma perché non quelli dell’ebraismo (cfr. dibattito
polemico sulla Costituzione europea) o del mondo greco antico? In quanto europeo, il popolo
italiano utilizza per pensare categorie teoriche greche e nella società e nell’ambito giuridico ricorre
a categorie della civiltà romana antica, al proto-cristianesimo e alle sue matrici tardo-giudaiche, a
idee personaliste ecc…
b. Motivo contingente: le trasformazioni sociali ed etniche (dagli anni ’80 in poi) ci costringono a
modificare il concetto stesso di “popolo italiano”. Cos’è oggi il “popolo italiano” e – visto il suo
carattere multietnico e multi religioso – qual è il suo “patrimonio storico”?
Insomma: ciò che la società laica e pluralista percepisce è che si tenti con po’ di acrobazia di
giustificare un privilegio confessionale e politico con argomenti storico-culturali (che però appaiono
sempre meno convincenti…)
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1.2 DIFFICOLTÀ STORICA
Occorre prestare molta attenzione alle analisi della società attuale. La situazione di oggi è
complessa e articolata (va compresa in sostanza come articolata su 2 livelli):
►società “inter-culturale” e “inter-religiosa” (movimenti migratori, mobilità sociale ecc..)
► ma anche “laica” (secolarizzazione, processo in atto dal sec. XVI-XVII e forse anche da prima
secondo alcuni studi più recenti)
Non dobbiamo dimenticare quindi che quando parliamo di “intercultura”:
intendiamo la situazione di oggi (duplice profilo), cioè non solo il fatto che vi siano rapporti tra
diverse religioni (questo è accaduto anche nel Medioevo, es. Spagna del IX secolo) ma anche la
“secolarizzazione” (= irrilevanza della religione in quanto tale)
 problema è duplice:
1) il primo problema è la convivenza tra religioni (ma in regime di laicità politica e giuridica come
in epoca moderna se ne fa in gran parte carico lo Stato…): le comunità religiose possono aiutare o
ostacolare lo Stato a seconda che vivano relazioni armoniche o problematiche…
2) il secondo problema continua oggi a presentarsi come il vero problema culturale ed è costituito
dall’assenza della percezione dell’importanza del fenomeno religioso in generale
È questa consapevolezza il criterio con cui leggere e comprendere le possibili soluzioni e
suggerimenti che si profilano quando ci si interroga sulla sensatezza e sull’adeguatezza dell’assetto
attuale dell’IRC in Italia.
Tutte le relazioni hanno esplorato – da punti di vista diversi – la percorribilità, il senso e i problemi
delle possibili vie e delle possibili proposte che si offrirebbero come alternative alla situazione
attuale dell’IRC.
2. LA SOLUZIONE (SE ESISTE)
Se duplice è il problema (perché corrisponde al duplice profilo della società complessa)
 duplice è la proposta in gioco
2.1 ORA MULTICONFESSIONALE
Il problema dell’“ora multi-confessionale”: il diritto previsto dalla legge per gli altri culti
riconosciuti dallo Stato di organizzare a scuola un’ora di istruzione religiosa propria (a spese delle
famiglie) qualora vi sia un congruo numero di alunni/famiglie che lo richiede… (balcanizzazione
dell’ora di religione).
Ma s’impongono subito i seguenti problemi:
1→ sarebbe discriminatoria per tutti quegli alunni che – in certe situazioni scolastiche e contesti
ambientali – si troverebbero ad essere minoranza…
2→ ora di religione islamica: Cfr. proposta on. D’Urso 2009
visto il numero degli studenti/famiglie dovrebbe essere finanziata dallo Stato? Il problema per ora è
congelato: lo Stato infatti non si riesce a fare un’intesa perché le comunità islamiche non hanno,
com’è noto, un rappresentante universale
3→ problema teorico: non esiste una soddisfacente elaborazione teorica della questione del rapporto
interreligioso (né in ambito teologico, né in ambito filosofico, né nelle teorie dell’intercultura)
L’oscillazione e contrapposizione che continua a riproporsi (e che non pare non facilmente
risolvibile) è quella tra il modello pluralista e il modello inclusivista:
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da parte dello Stato, posizione laica → modello pluralista (tutte le religioni sono uguali
espressioni di un’unica verità che rimane trascendente a tutti, quindi non è monopolio di
nessuno)  ma le religioni non sono disposte ad accettarlo (poiché esse accampano
ciascuna la propria pretesa di verità)
da parte delle tradizioni religiose (soprattutto monoteiste) → modello inclusivista (la verità
si trova in pienezza in una religione, le altre contengono solo una parte di questa verità, sono
vie preparatorie alla salvezza, che non possono essere considerate a tutti gli effetti sostitutive
della “vera” religione)  ma lo Stato laico non può accettare questa pretesa, perché
dovrebbe abbandonare il proprio presupposto (quello cioè della neutralità/equidistanza nei
confronti di tutte le religioni)
2.2 ORA DELLE RELIGIONI
Da qualche anno sta acquisendo sempre più corpo (sia nel dibattito giuridico che in quello
sociologico) la proposta di un’ “ora delle religioni”
1→ sarebbe curriculare, obbligatoria, con voto di profitto, con docenti dotati di laurea statale (in
discipline storiche: perché manca in Italia la facoltà di “storia delle religioni” – rimane un
insegnamento interno per lo più alla facoltà di lettere o filologia classica)
Cfr. modello inglese: progetto Bradford
2→ non sarebbe “alternativa”, ma “parallela”: cioè non confinata nel limbo dell’ora alternativa (la
cui attivazione è lasciata alla buona volontà dei dirigenti scolastici o meglio a disponibilità
finanziarie sempre più problematiche)
Problemi:
derivano da “parallela”:
a) ciò significherebbe introdurre di fatto un’ora di cultura religiosa obbligatoria nella scuola.
Cfr. modello tedesco
Ma proprio questo, nella società laica e multiculturale, è difficile da giustificare (è difficile come lo
è per l’IRC, altrettanto problematico dell’IRC): ciò che bisognerebbe mostrare con argomentazioni
possibilmente intelligenti e quantomeno condivisibili è la “necessità” nel curriculum scolastico di
una formazione culturale che abbia come tema il fenomeno della religione (viviamo nella società
secolarizzata, oltre che multi-religiosa)
b) “parallela” a un’ora confessionale (IRC): è la logica del “doppio binario” che suggerisce e
sanziona il dualismo tra:
→ una razionalità universale, laica, incontrovertibile, condivisibile da tutti
→ una fede che è sempre più opinione personale, rispettabile ma che non può accampare proposte
di lettura della realtà “pubblicamente”, cioè rivolte per principio a tutti.
Quindi:
- da un lato si avrebbe un approccio scientifico, razionale, coincidente con lo studio delle
religioni (con metodo storico-critico)
- dall’altro la pretesa teorica ambiziosa delle argomentazioni di tipo teologico viene ridotta ad
una chiacchierata di tipo catechistico, senza alcun valore o pretesa culturale
► Dal punto di vista schiettamente pragmatico sarebbe la soluzione più praticabile perché:
a. metterebbe d’accordo tutti (è evidente la sua congruenza con il valore della laicità e del
pluralismo)
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b. sarebbe paradossalmente un vantaggio anche per l’IRC: consentirebbe all’IRC di continuare ed
essere tollerato come ora confessionale nella società pluralista (appunto perché esisterebbe il
contrappeso dell’ora delle religioni).
Tuttavia:
► Dal punto di vista della fondazione teorica si annuncia un’enorme difficoltà: dietro la logica del
doppio binario si profila un preciso modello del rapporto ragione-fede (quello della loro separazione
dualistica e della loro frattura) canonizzatosi in epoca moderna, nel pensiero post-cartesiano.
Tutta la teologia contemporanea si potrebbe raccontarla e spiegarla come un colossale tentativo di
liberarsi da questo modello (almeno a partire dagli anni ’20 del XX secolo): la teologia cattolica si è
rinnovata e ristrutturata distanziandosi criticamente dalla teologia manualistica che era costruita
interamente sul presupposto della separazione ragione-fede, mentre la teologia protestante si è
rinnovata e ristrutturata distanziandosi criticamente dalla teologia liberale del XIX sec, anch’essa
ampiamente ancorata al presupposto della separazione ragione-fede.
Anche la filosofia e la cultura laica mostrano ormai segnali di insoddisfazione per questo modello:
alcuni spunti interessanti a questo proposito possiamo trovarli nella filosofia contemporanea, nella
filosofia del diritto e nella filosofia politica.
Nonostante questi tentativi recenti di esplorare un’alternativa al “dogma culturale” moderno della
separazione, prevale oggi ancora la concezione moderna/cartesiana della separazione ragione-fede:
pensiamo a quella sua variante che si ripropone oggi con insistenza nelle scienze sociali (soprattutto
sociologia): il funzionalismo.
Per il funzionalismo la presenza confessionale nel pubblico è tollerata perché svolge un ruolo di
qualche utilità a favore della società: coesione politica, formazione dell’identità politica dei
cittadini, garanzia che i valori dell’Occidente vengano tramandati alle generazioni future,
salvaguardia della memoria di certe opere culturali destinate altrimenti a cadere nell’oblio, ecc…
Occorre però resistere alla tentazione funzionalista: è infatti una giustificazione teorica molto
debole della religione nello spazio pubblico… rappresenta una soluzione di scarsa tenuta.
Si può pensare oltre? C’è un enorme lavoro teorico da compiere…
il cantiere oggi è aperto e in piena funzione… (almeno per quanto riguarda la filosofia e la teologia,
un po’ meno promettente è l’orizzonte delle scienze sociali…)
Eppure…. Si ha come l’impressione che tutta questa complessa questione nasconda ancora qualche
inaspettata “sorpresa”, che i problemi non si fermino qui.
Sarebbe sufficiente riflettere in modo nuovo sul problema fede-ragione per illuminare l’intricata
questione dell’IRC e delle proposte ad esso alternative?
Quasi sicuramente “no”.
C’è un secondo problema che si profila all’orizzonte quando si tratta di discutere dell’IRC e
dell’ora delle religioni: si è continuamente riproposto in queste relazioni, ma rimanendo sempre in
ombra; ne abbiamo avvertito la presenza incombente ed ingombrante, benché esso sia rimasto un
po’ implicito…
Esso è collegato al problema fede-ragione, ma è una questione che esige di essere trattata a parte: si
tratta della questione della “teologia politica”.
In altre parole incappiamo inevitabilmente nella questione del rapporto tra potere civile e potere
religioso.
Si può formulare così: nelle nostre scuole, che cos’è che dà più fastidio della figura dell’IdR?
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Il fatto che parli della religione/i dal punto di vista cattolico/teologico?
Oppure il fatto che sia nominato e gestito dall’autorità ecclesiastica anziché dal
provveditorato?
È il problema della confessionalità dell’IRC ad emergere nello Stato pluralista e laico, dove per
“confessionalità” qui non s’intende tanto il punto di vista a partire dal quale si parla e si fa lezione,
quanto piuttosto il fatto che a nominare e a gestire gli IdR sia la comunità religiosa confessionale.
“Confessionalità” dell’IRC indica ambedue i sensi: ora non si tratta di riflettere sul primo senso,
come abbiamo fatto nei precedenti punti di questa sintesi, ma sul secondo.
A questo proposito la provocazione che abbiamo sentito ieri è: che fare di fronte al fatto che tutti
coloro che non si avvalgono dell’IRC non fanno nulla?
E se tutti questi studenti dovessero studiare il fenomeno religioso in un’ora obbligatoria e
curriculare? Come giudicheremmo questa nuova opportunità per il loro percorso formativo?
Dobbiamo riflettere su questo: i numeri di coloro che non si avvvalgono sono in aumento
esponenziale, la società è laica e pluralista. In un futuro (probabilmente non troppo vicino)
potremmo trovarci davanti ad una scelta “difficile” ovvero: cosa faremmo se per arrivare a
quest’ora obbligatoria, l’IRC dovesse scomparire e sacrificarsi?
Cosa sarebbe più importante: mantenere a tutti i costi l’IRC o sacrificarsi per consentire alla scuola
di guadagnare un’ora obbligatoria di studio delle religioni?
Forse è a questa situazione complessa dei rapporti tra comunità confessante e comunità civile che il
Concilio Vaticano II pensava quando arrivò ad affermare una cosa che non lasciò indifferente il
mondo cattolico:
«La chiesa non pone la sua speranza nei privilegi offertigli dall’autorità civile. Anzi, essa rinunzierà
all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare
della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni» (Gaudium
et Spes, 76).
Questo convegno ci ha mostrato un’altra volta come le questioni più concrete e pratiche richiedano
uno sforzo di elaborazione teorica di alto livello: astrazione teoretica e quotidianità pratica non solo
non sono nemiche, ma si dimostrano come due elementi inseparabili.
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