Adriana Giangrande Paradigmi dell’evoluzione biologica Copyright © MMIX ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–2791–2 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: ottobre 2009 Indice 11 Prefazione 15 Introduzione 21 Capitolo I Qualche nozione preliminare 1.1. La chimica della vita, 21 – 1.2. Sorgenti di variazione, 31 35 Capitolo II La scienza della vita 2.1. Biologia, finalismo ed evoluzione, 35 – 2.2. Riduzionismo e olismo, 39 45 Capitolo III Storia della vita sulla terra 3.1. Uno sguardo al passato, 45 – 3.2. Catalogare la vita, 52 59 Capitolo IV Le due grandi componenti dell’evoluzione 4.1. Genealogia e adattamento, 59 – 4.2. Semplice= primitivo?, 63 67 Capitolo V Dal fissismo al trasformismo 5.1. Cuvier e Lamarck, 67 – 5.2. Darwin, 73 – 5.3. Interpretazioni e analogie, 82 8 89 Capitolo VI La teoria sisntetica 6.1. Dopo Darwin, 89 – 6.2. L’unità di selezione, 96 – 6.3. La popolazione al centro degli studi, 99 105 Capitolo VII Adattamento e speciazione 7.1.Filogenesi e adattamento, 105 – 7.2. Gradualismo e saltazionismo: microe voluzione e macroevoluzione, 114 – 7.3. Contingenza e prevedibilità dell’evoluzione biologica, 122 127 Capitolo VIII Torna la biologia dello sviluppo 8.1. Piccole modificazioni, grandi cambiamenti, 127 – 8.2. Specie, Generi, Famiglie….Phyla, 137 147 Capitolo IX Evo-Devo 9.1. Omologia molecolare, 147 – 9.2. Deuterostomi e propostomi, 154– 9.3. Il collo della giraffa, 161 167 Capitolo X Epigenetica e Lamarckismo 10.1. Al di sopra della genetica, 167 – 10.2. Assimilazione genetica, 172– 10.3. Evoluzione costruttiva, 178 9 183 Capitolo XI Verticale, orizzontale: la rete della vita 11.1. Trasferimento orizzontale, 183 – 11.2. Coevoluzione, 188– 11.3. La crea tività della simbiosi, 192 199 Capitolo XII Scienza e religione 12.1. Casualità o finalismo?,199 – 12.2. Creazionismo e disegno intelligente, 201 219 Capitolo XIII Evoluzione culturale 13.1. Equilibri naturali, 209– 13.2. Elogio della tecnologia, 216– 13.3. Etica e morale, 219 Capitolo I Qualche nozione preliminare 1.1. La chimica della vita La chimica è stata a lungo considerata una disciplina distinta dalla biologia, le molecole degli esseri viventi, molecole complesse: protidi, lipidi e carboidrati, possiedono qualcosa che le altre molecole non hanno: la forza vitale. Poi con la scoperta del DNA la chimica è diventata il fulcro della biologia. La vita è chimica, i meccanismi che governano la vita sono chimici. La cellula, unità fondamentale degli esseri viventi scoperta nell’Ottocento, è una piccola officina molecolare, racchiusa da una membrana selettiva che la separa e la unisce al mondo esterno, un nucleo e degli organelli che ruotano in una materia semiliquida. Tra gli organelli, i mitocondri sono la sede della respirazione cellulare (scomposizione degli zuccheri per impacchettare l’energia in piccole molecole dette ATP, utilizzabili nelle reazioni metaboliche della cellula stessa). i ribosomi sono la sede della sintesi delle proteine, mentre i lisosomi sono la sede della degradazione delle molecole complesse. Insomma un piccolo organismo, una vera officina chimica in miniatura dove si producono molecole con reazioni alimentate dall’energia dell’ATP, tutto perfettamente coordinato, regolato e programmato! Le cellule poi possono avere un metabolismo autotrofo, in questo caso possiedono anche un altro tipo di organelli, i plastidi, dove avviene la fotosintesi clorofilliana, appannaggio dei vegetali, mentre se prive di questi organellihanno un metabolismo eterotrofo, come quelle degli animali. 21 22 Capitolo I Per i microbiologi la distinzione tra procarioti (cellule senza nucleo) ed eucarioti (cellule nucleate) è più importante di quella tra animali e vegetali. Tutte le cellule degli organismi superiori sono nucleate, quelle dei batteri possiedono invece un singolo filamento di DNA (Fig. 1). Figura 1. La cellula procariotica (A) è meno organizzata di quella eucariotica (B). Quest’ultima presenta un nucleo racchiuso in un membrana e organelli specializzati per espletare le funzioni cellulari. All’inizio del Novecento Weissmann1, scoprì che il nucleo delle cellule contiene il fattore dell’eredità cellulare, il nucleo governa la cellula e la sua riproduzione. Nel nucleo ci sono i cromosomi, dei bastoncini flessibili fatti di filamenti di DNA estremamente spiralizzati. Non me ne abbiano quelli che conoscono queste nozioni di biologia generale, perché cercherò di semplificare al massimo per chi invece è a digiuno di tali concetti. Cercherò, quindi, di semplificare estremamente alcune strutture che sicuramente sono degne di trattazioni più 1 A. WEISSMANN, Votrage uber Descendenztheorie, Fisher Jena, 1902. Qualche nozione preliminare 23 complesse! Mi riferisco ad esempio alla famosissima molecola del DNA a doppia elica, la cui struttura è stata scoperta da Watson e Crick negli anni Cinquanta (Fig. 2). Figura 2. Struttura del DNA. I nucleotidi sono i mattoncini (moduli) con cui è costruita la catena del DNA che presenta una struttura finale a doppia elica. 24 Capitolo I Il DNA è formato da una doppia elica costituita da moduli detti nucleotidi, ogni nucleotide è formato da un gruppo fosfato, uno zucchero pentoso e una base azotata. Le basi sono 4 e sono complementari: l’adenina si lega alla timina e la citosina alla guanina). I cromosomi compaiono quando la cellula deve dividersi (riprodursi), altrimenti il DNA quando lavora, cioè quando coordina la sintesi di determinate proteine, si trova in forma despiralizzata e prende il nome di cromatina. Esso deve aprirsi in corrispondenza della sequenza che deve essere letta da un altro acido nucleico a catena singola (RNA messaggero) che si stampa sul pezzo di DNA in corrispondenza del frammento di DNA aperto. Prima della divisione cellulare e della formazione dei cromosomi, il DNA si duplica, in modo che la stessa informazione genetica venga ripartita nelle due cellule figlie. La doppia elica si apre come una chiusura lampo e in ogni zona aperta, grazie alla complementarità delle basi, si stampa l’altra metà, di modo che alla fine del processo ci saranno due doppie eliche di DNA. Quando si formano i cromosomi, quindi, il DNA si è già raddoppiato e i cromosomi risultano suddivisi in due cromatidi. Ogni specie ha un suo proprio numero di cromosomi: l’Homo sapiens ne ha 46, o per meglio dire 23 coppie. I cromosomi, infatti, vanno a coppie ogni coppia è costituita da due cromosomi omologhi, uno di origine paterna e uno di origine materna. I cromosomi omologhi contengono gli stessi geni, o meglio, varianti degli stessi geni. Questa condizione è detta diploidia (2n). Ricapitolando, in ogni cellula diploide ci sono due coppie per ogni cromosoma, ciascuno suddiviso in cromatidi. Le coppie poi nella riproduzione sessuata, si sdoppiano e si mescolano durante la fecondazione. Il DNA ha un codice con il quale comunica e ordina alla cellula quali tipi di proteine sintetizzare. Il codice consta di 4 lettere che altro non sono che le 4 basi azotate, ogni tripletta di queste basi corrisponde ad un aminoacido (unità di cui è composta una proteina) e la sequenza di DNA che corrisponde agli aminoacidi di un’intera proteina viene detta gene. Quando la cellula non è in divisione si dice che è a riposo, ma a riposo non è perché è in fase di sintesi delle proteine. Durante la sintesi delle proteine c’è un gran bel da fare all’interno della cellula, la catena di DNA si apre, l’RNA si stampa sulla sequenza di basi libere Qualche nozione preliminare 25 (trascrizione) e poi si stacca dal DNA con l’informazione per andare sui ribosomi, si chiama infatti RNA messaggero. I ribosomi tengono la molecola di RNA bella tesa, così che i piccoli RNA transfert che se vanno liberi nel citoplasma con le loro triplette e l’aminoacido corrispondente attaccato, possono legarsi all’RNA messaggero. A questo punto gli aminoacidi sono così vicini da formare il legame peptidico con l’espulsione di una molecola di acqua, dando origine ad una catena di aminoacidi, che altro non è che una proteina. Questa molecola appena è pronta si stacca dai ribosomi e si arrotola per acquisire la sua conformazione tipica. È tutto molto affascinante e relativamente semplice. È per questo che si è pensato bastasse leggere questo codice genetico scritto nei cromosomi per poter conoscere il segreto della vita. Così hanno fatto i genetisti, hanno trascritto l’intero genoma (cioè l’intera quantità di DNA) dell’uomo e di molte altre specie, per capire, alla fine, che non serviva a molto nella comprensione di come costruire un organismo, perché è come conoscere l’alfabeto di un linguaggio senza conoscerne la grammatica! Oggi il genoma non è più considerato, come durante la metà del Novecento, una semplice sequenza di geni in cui ogni gene codificando una proteina, presiede ad un carattere. Ci si è invece resi conto che il DNA è un complesso dinamico integrato in cui l’azione di diversi geni concorre alla formazione di un carattere mediante intricate catene regolatrici. La parte che codifica le proteine (strutturale) è una minima parte, quella non codificante è enormemente preponderante. Nell’uomo, ad esempio, solo una piccola percentuale dei geni è codificante. E il resto? I processi di sintesi proteica che portano alla formazione dei caratteri sono regolati da una rete di informazione che circola in modo bidirezionale e non unidirezionale cioè solo dal DNA alla periferia, come si riteneva in passato e che era il dogma centrale della biologia. Oggi sappiamo che esiste una corrente d’informazione proveniente sia dalle altre cellule sia dall’ambiente esterno e la formazione di una qualsiasi struttura è il risultato di un fitto dialogo molecolare tra geni e geni, e fra geni proteine e altre sostanze! Ma torniamo per ora ai nostri geni. Credo che tutti abbiano sentito parlare del monaco boemo Gregorio Mendel (1822-1884), che nel suo giardino incrociava piselli con diverse caratteristiche. Fu proprio con 26 Capitolo I le scoperte di Mendel2, che si associarono i geni ai caratteri. I risultati degli incroci di Mendel si spiegano bene con la dualità dei cromosomi. Per spiegarla in maniera semplice, il DNA porta il messaggio codificato dell’eredità, ogni cromosoma porta un certo numero di geni che codificano per altrettante molecole che sono a loro volta collegate ad un carattere. I geni sono in fila separati da sequenze che non portano messaggi. Tutto il messaggio è scritto con le famose quattro lettere. Il fatto fondamentale che spiega la progenie ottenuta negli incroci di Mendel è che ognuno di noi porta questo messaggio doppio. Abbiamo, infatti, parlato in precedenza dell’esistenza nell’uomo di 23 coppie di cromosomi, ogni coppia è formata dai cromosomi omologhi, ognuno porta varianti degli stessi caratteri. Se ad esempio il papà ha gli occhi azzurri e la mamma marroni, molto probabilmente i figli nasceranno con gli occhi marroni perché il carattere marrone è dominante sull’azzurro che a sua volta è il recessivo. Le due varianti dello stesso gene sono dette alleli. Il carattere marrone è scritto nel DNA del cromosoma di origine paterna (forma allelica del gene che codifica per il colore degli occhi, stato marrone del carattere), mentre il carattere azzurro è scritto nell’altro cromosoma omologo di origine materna (altra forma allelica dello stesso gene!). Nel figlio che riceverà questa coppia di cromosomi comparirà il carattere dominante (marrone), però nei suoi cromosomi conterrà anche l’informazione per il colore azzurro e se si accoppierà con una persona che ha gli occhi azzurri, genererà un figlio in cui potrà comparire lo stato del carattere “occhi azzurri”. Questo significa due cose: primo che l’informazione dei caratteri in ogni persona è doppia (doppia già prima che il DNA si duplichi), per questo si dice che siamo diploidi, secondo, che esiste un genotipo, cioè una costituzione genetica che a volte non è espressa perché nascosta, mentre quello che si recepisce esternamente è il fenotipo. T Se io fenotipicamente ho gli occhi marroni, genotipicamente potrei avere ambedue gli alleli dominanti per il marrone, o un allele dominante marrone e uno recessivo per il colore azzurro, in ogni caso questo esternamente non si vede, bisognerebbe vedere se nella seconda generazione (nei miei figli), compare il carattere azzurro che era na2 G. MENDEL, Experiments on plant hybrids in: The origin of Genetics, Veit, Lipsia, 1865 Qualche nozione preliminare 27 scosto nel mio genotipo! Il fatto di essere diploidi conferisce una maggiore possibilità di variabilità, infatti i caratteri si possono combinare nella riproduzione sessuata, anche mescolandosi, poiché non sempre esiste una dominanza così marcata e nella progenie si possono osservare dei caratteri intermedi, quello che accade quando si incrociano razze diverse, un nero e un bianco, ad esempio, danno origine ad un mulatto. La condizione diploide ci permette una maggiore possibilità di adattamento e quindi di evoluzione, ma c’è il rovescio della medaglia, come ad esempio l’insorgenza di malattie genetiche nella progenie di persone apparentemente sane, ma che hanno qualche guaio nascosto nella condizione eterozigote che comparirà in condizione di omozigosi! Quando le cellule di un organismo diploide si dividono, il processo è una riproduzione asessuale o mitosi, che produce due cellule figlie identiche, come avviene ad esempio nella sostituzione di cellule somatiche, o per meglio dire quando in alcuni tessuti sostituiamo le cellule vecchie morte con quelle nuove, il DNA si duplica (i cromosomi appaiono divisi in due cromatidi) e ogni cromatide contenente la stessa quantità di DNA viene trasmesso alla cellula figlia (Fig 3a). Quando invece si devono formare le cellule germinali o gameti, che partecipano alla riproduzione sessuata e che si uniranno nella fecondazione, il DNA delle cellule si deve dimezzare. Dall’unione di due gameti si deve, infatti, ricostituire l’assetto cromosomico normale della specie, se la quantità di DNA non si dimezzasse nei gameti, con l’unione delle cellule nella riproduzione sessuata il corredo cromosomico raddoppierebbe ad ogni generazione! È per questo che le cellule che formeranno i gameti vanno incontro ad un altro processo detto meiosi, in cui dimezzano il loro corredo genetico. La meiosi consta di due processi mitotici, nel primo invece di dividersi i due cromatidi nelle due cellule figlie, vengono suddivisi i cromosomi omologhi che si erano appaiati durante la fase iniziale del processo (tetradi). Poi nella seconda mitosi si separeranno normalmente i cromatidi (Fig. 3b). Il risultato dell’intero processo non è la formazione di due cellule diploidi identiche alla cellula originaria con 23 coppie di cromosomi come nella mitosi, bensì di 4 cellule diverse tra loro dette gameti. In altre parole, attraverso questo processo, i gameti conterranno solo un cromosoma dei due omologhi, di origine paterna o di origine materna e queste cellule 28 Capitolo I sono aploidi (n). Quando le cellule aploidi si fondono nella fecondazione si ripristina la condizione diploide (2n). Il processo di fecondazione in cui si mescoleranno le costituzioni genetiche parentali, ricostituisce l’assetto cromosomico proprio della specie e aumenta la possibilità di variazione dei caratteri in una popolazione! Figura 3. Processi di divisione cellulare. La ricostituzione di un essere pluricellulare da un’unica cellula derivante dalla fecondazione di due gameti maschile e femminile, sottolinea un aspetto molto importante e cioè che gli organismi pluricellulari ad ogni generazione passano attraverso uno stadio unicellulare, detto zigote, che altro non è che l’uovo fecondato, che contiene tutta l’informazione per ricostruire un essere pluricellulare, questo avviene mediante un processo che si chiama sviluppo embrionale. Qualche nozione preliminare 29 Durante lo sviluppo embrionale avviene il differenziamento cellulare. Alcune cellule, ad esempio quelle nervose alla fine sono talmente specializzate che non possono più riprodursi, infatti se vengono danneggiate alcune connessioni nervose, l’organismo non è in grado di riparare il danno. Tuttavia nel DNA di ogni cellula, anche differenziata, c’è scritto l’intero messaggio per costruire l’organismo cui la cellula appartiene. Le cellule di un organismo non sono tutte uguali semplicemente perché parte del DNA rimane silente e lavora solo quello che deve produrre le strutture della linea cellulare a cui appartiene la cellula. Su questo si basa la clonazione, perché se impiantiamo il DNA di una cellula differenziata all’interno di una cellula uovo si può innescare lo sviluppo embrionale. Ciò vuol dire che i segnali per l’inizio dello sviluppo sono nel citoplasma dell’uovo e non nel nucleo, segnali che sono in grado di sbloccare il DNA che nella cellula differenziata era silente! Oggi siamo agli albori della comprensione delle fasi dello sviluppo embrionale. Non basta disporre di buone proteine per fabbricare tessuti e organi, ci vuole un’organizzazione di base, in altre parole non bastano i mattoni per fare una casa ci vogliono anche l’architetto e gli operai! Ebbene oggi si sa che ci sono dei geni dedicati a questa organizzazione, non fabbricano proteine, si dedicano all’organizzazione delle proteine fra di loro a partire dall’uovo. Sono i geni che producono la costruzione di un topo o di un elefante o ancora, di un uomo a partire da un'unica cellula iniziale! Abbiamo finora parlato di cromosomi, perché abbiamo descritto una cellula eucariotica, una cellula con organizzazione superiore, come sono anche le nostre cellule, abbiamo precedentemente detto che esistono però delle cellule con un organizzazione procariotica, esse sono molto più semplici, non hanno né nucleo né organelli cellulari come mitocondri e plastidi e il DNA si trova libero nel citoplasma. Questa è l’organizzazione che è quella delle cellule batteriche. Anche per i batteri però si utilizza il termine genoma, perché il genoma è l’insieme del materiale genetico di un organismo, qualunque sia la sua organizzazione. Nei batteri non esiste una riproduzione di tipo sessuale come quella degli eucarioti, il loro filamento di DNA semplicemente di duplica e viene ripartito equamente nelle due cellule figlie. Esistono poi processi sessuali legati al trasferimento di alcuni geni non 30 Capitolo I connessi al DNA batterico principale, ma questo è un discorso complesso che non si può affrontare in questa sintesi. Dal punto di vista molecolare i batteri sono stati i primi organismi a essere studiati e ancora oggi i procarioti sono molto meglio conosciuti rispetto agli eucarioti. 1.2. Sorgenti di variazione Alla base dell’evoluzione c’è la variazione, essa è universale in natura, ogni essere vivente è unico ed è portatore della variazione, unità su cui opera l’evoluzione. Quando Mendel tenne la sua prima conferenza nel 1865 non fece tanto scalpore. Bisognerà attendere cinquant’anni perché il suo lavoro venga preso in seria considerazione, questo avvenne per merito dell’olandese De Vries (1848-1935), che all’inizio del Novecento ebbe un’intuizione geniale. La riproduzione non avviene sempre secondo le regole, ogni tanto emerge un carattere sconosciuto, un cambiamento spontaneo che De Vries3 chiamò mutazione. Qualche anno dopo, l’americano Morgan (1866-1945) compì degli esperimenti sul moscerino della frutta, la famosa drosofila, producendo delle mutazioni con esposizione a raggi x o ultravioletti, La scoperta delle mutazioni di Morgan4 fornì la chiave, il motore, la causa del cambiamento. Una mutazione è un errore che avviene durante la replicazione del DNA, che se avviene durante la formazione dei gameti è ereditabile. Una mutazione genetica semplice si ha quando le due catene della doppia elica si separano e ognuna di esse funge da stampo per la costruzione di una nuova catena complementare. Può succedere che per errore venga sostituita una base con un’altra, ciò può portare ad un cambiamento di tutta la successiva sequenza che può tradursi in una proteina differente, che può anche essere non funzionale oppure rappresentare una differente forma allelica di un carattere. In un individuo 3 H. D E VRIES, Die mutationstheorie, 1901. T. H. MORGAN, Il meccanismo del’ereditarierà mendeliana, 1915. Enciclopedia generale Mondadori Vol 8: 514-518 4 Qualche nozione preliminare 31 possono esserci al massimo due forme alleliche dello stesso carattere, ma nelle popolazioni possono esserne presenti diverse. Siccome però nel codice genetico esistono 64 possibili triplette e solo 20 aminoacidi, in molti casi la sostituzione di una base non produce alcun effetto, la cellula, inoltre, è in grado di riparare il danno. Tuttavia, a volte la proteina risulta modificata. In generale, più la mutazione ha conseguenze pesanti più è difficile che sia in grado di produrre proteine efficienti. Gli errori di replicazione possono essere anche più drammatici: alcuni elementi trasponibili, detti geni saltatori, sono in grado di duplicarsi e di spostarsi da una parte all’altra di un cromosoma, interferendo così sulla disposizione di altri geni, oppure geni codificanti proteine utili possono essere moltiplicati per amplificazione genica. Le mutazioni poi possono essere genetiche (sostituzione di una singola base o di intere sequenze geniche), ma possono anche riguardare frammenti più cospicui fino ad interessare parti del cromosoma (mutazioni cromosomiche). Interi tratti di cromosomi possono essere cancellati, scambiati, invertiti, duplicati. I cromosomi possono anche fondersi e questo sembra sia successo nel passaggio tra scimpanzè e uomo (gli scimpanzè hanno 24 coppie di cromosomi). In alcune piante, infine, il corredo cromosomico è stato duplicato (poliploidia) generando nuove specie. Più una mutazione colpisce un gene collocato in alto nella gerarchia dei ruoli, più l’effetto sarà eclatante, e molto spesso devastante, è il caso ad esempio delle mutazioni che colpiscono i processi di sviluppo degli organismi. Quando nelle cellule somatiche una mutazione colpisce il controllo della divisione cellulare, può dare origine ad un tumore, cellule che cominciano proliferare egoisticamente a scapito della sopravvivenza dell’organismo che le ospita. Il tasso di insorgenza di mutazioni sembra essere uniforme in tutti gli eucarioti. I biologi molecolari hanno catalogato migliaia di tipi di mutazioni, la maggior parte deleterie, altre possono essere neutrali rispetto a sopravvivenza e riproduzione del portatore. Un’ulteriore fonte di variazione importante la troviamo nella ricombinazione genetica. Non solo con il mescolamento dei cromosomi nella riproduzione sessuale, ma anche per un processo che avviene durante la formazione dei gameti. Nella profase meiotica i cromosomi omologhi si scambiano frammenti di cromatidi (crossing over), cosic- 32 Capitolo I ché il cromosoma trasferito alla progenie non è mai completamente uguale a quello parentale. Le mutazioni sono casuali, nel senso che sono del tutto indipendenti dall’effetto che possono provocare nei loro portatori. Escludendo quelle deleterie, le mutazioni creando variabilità all’interno di una popolazione, hanno un ruolo essenziale nell’evoluzione. Con le mutazioni vengono trasmessi di generazione in generazione varianti di caratteri fenotipici che vanno dalla morfologia esterna alle inclinazioni caratteriali. Quando una variazione è di tipo continuo (peso, statura), di solito è perché esiste una forte influenza ambientale. È tuttora in corso il dibattito fra chi sostiene l’importanza delle cause biologiche innate e chi difende il ruolo dell’ambiente nell’acquisizione di certe caratteristiche. Queste due componenti sono talmente interdipendenti che è difficile anche progettare esperimenti che possano escludere la componente ambientale. Tuttavia, io personalmente credo che la componente innata sia preponderante nel determinare sia l’aspetto sia il carattere di un individuo! La quantità di DNA varia da specie a specie, ma quello che varia è soprattutto la quantità di DNA non codificante cioè non corrispondente a caratteri. Questa parte è minima nei batteri e alta negli eucarioti complessi. Nell’uomo il DNA codificante è circa il 5%. Non esiste tuttavia una definita correlazione tra numero di geni e complessità dell’organismo, ad esempio, a dispetto degli svariati tipi cellulari che possediamo, abbiamo un numero relativamente basso di geni (30.000). Come abbiamo già evidenziato precedentemente, gli organismi “superiori” sono dotati di una corredo di cromosomi doppio, ogni individuo possiede due versioni dello stesso gene, uno di origine materna e uno di origine paterna, quindi esiste una grande parte di DNA “ridondante”. Un cromosoma può contenere da alcune centinaia ad alcune migliaia di geni, alcuni più lunghi, altri più corti, che possono anche trovarsi in uno stato inattivato (silente), determinato da proteine che regolano la produzione di RNA messaggero e che si trovano associate ad una parte di DNA non codificante. Quindi questa porzione non codificante non è proprio superflua. I geni hanno una precisa divisione di compiti, la zona codificante è rappresentata dai geni strutturali, che sono i muratori, la parte non codificante dirige il lavoro dei muratori attivandoli e disattivandoli ed è rappresentata dai cosiddetti geni Qualche nozione preliminare 33 regolatori. Una classe particolare di questi ultimi, detta geni Hox entra in azione durante lo sviluppo embrionale e controlla le fasi di costruzione dell’embrione, ed è comune a tutti gli animali, in altre parole il mondo animale è accomunato dagli stessi geni architetti! Ma ne parleremo più dettagliatamente in seguito. L’entusiasmo scaturito dai lavori di De Vries e di Morgan, portò a pensare che il motore dell’evoluzione fosse nelle mutazioni, generando il paradigma: “un gene-una proteina”. Mutazioni che interessano piccole porzioni di DNA fanno apparire nuovi caratteri, quando le mutazioni sono invece molto importanti fanno apparire nuove specie! Questo però rappresenta una visione semplicistica del genoma, con la tendenza a considerare i geni a guisa di sequenze lineari indipendenti, ciascuno corrispondente ad un tratto biologico, tendenza derivata dalla decifrazione del codice genetico dei biologi molecolari. Il genoma, invece, è un’entità integrata che funziona più come una rete che come una sequenza lineare. I geni sono entità immerse in un contesto di relazioni biochimiche, nel quale prodotti e processi si generano reciprocamente. Una proteina può essere anche codificata da più geni, mentre un unico gene può controllare più componenti del fenotipo. Non solo, a volte gli effetti di un gene dipendono da quelli di un gene associato, mentre il successo di un gene può trascinare quelli di geni ad esso limitrofi, diminuendo la possibilità di variazione genetica nei suoi dintorni! In ultima analisi, l’informazione non può prescindere dal contesto in cui si genera.