Paradigmi dell`evoluzione biologica

Adriana Giangrande
Paradigmi
dell’evoluzione biologica
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via Raffaele Garofalo, 133 A/B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978–88–548–2791–2
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
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I edizione: ottobre 2009
Indice
11
Prefazione
15
Introduzione
21
Capitolo I
Qualche nozione preliminare
1.1. La chimica della vita, 21 – 1.2. Sorgenti di variazione, 31
35
Capitolo II
La scienza della vita
2.1. Biologia, finalismo ed evoluzione, 35 – 2.2. Riduzionismo e olismo, 39
45
Capitolo III
Storia della vita sulla terra
3.1. Uno sguardo al passato, 45 – 3.2. Catalogare la vita, 52
59
Capitolo IV
Le due grandi componenti dell’evoluzione
4.1. Genealogia e adattamento, 59 – 4.2. Semplice= primitivo?, 63
67
Capitolo V
Dal fissismo al trasformismo
5.1. Cuvier e Lamarck, 67 – 5.2. Darwin, 73 – 5.3. Interpretazioni e analogie, 82
8
89
Capitolo VI
La teoria sisntetica
6.1. Dopo Darwin, 89 – 6.2. L’unità di selezione, 96 – 6.3. La popolazione al
centro degli studi, 99
105
Capitolo VII
Adattamento e speciazione
7.1.Filogenesi e adattamento, 105 – 7.2. Gradualismo e saltazionismo: microe
voluzione e macroevoluzione, 114 – 7.3. Contingenza e prevedibilità
dell’evoluzione biologica, 122
127
Capitolo VIII
Torna la biologia dello sviluppo
8.1. Piccole modificazioni, grandi cambiamenti, 127 – 8.2. Specie, Generi, Famiglie….Phyla, 137
147
Capitolo IX
Evo-Devo
9.1. Omologia molecolare, 147 – 9.2. Deuterostomi e propostomi, 154– 9.3. Il
collo della giraffa, 161
167
Capitolo X
Epigenetica e Lamarckismo
10.1. Al di sopra della genetica, 167 – 10.2. Assimilazione genetica, 172– 10.3.
Evoluzione costruttiva, 178
9
183
Capitolo XI
Verticale, orizzontale: la rete della vita
11.1. Trasferimento orizzontale, 183 – 11.2. Coevoluzione, 188– 11.3. La crea
tività della simbiosi, 192
199
Capitolo XII
Scienza e religione
12.1. Casualità o finalismo?,199 – 12.2. Creazionismo e disegno intelligente,
201
219
Capitolo XIII
Evoluzione culturale
13.1. Equilibri naturali, 209– 13.2. Elogio della tecnologia, 216– 13.3. Etica e
morale, 219
Capitolo I
Qualche nozione preliminare
1.1.
La chimica della vita
La chimica è stata a lungo considerata una disciplina distinta dalla
biologia, le molecole degli esseri viventi, molecole complesse: protidi,
lipidi e carboidrati, possiedono qualcosa che le altre molecole non
hanno: la forza vitale. Poi con la scoperta del DNA la chimica è diventata il fulcro della biologia. La vita è chimica, i meccanismi che governano la vita sono chimici.
La cellula, unità fondamentale degli esseri viventi scoperta
nell’Ottocento, è una piccola officina molecolare, racchiusa da una
membrana selettiva che la separa e la unisce al mondo esterno, un nucleo e degli organelli che ruotano in una materia semiliquida. Tra gli
organelli, i mitocondri sono la sede della respirazione cellulare (scomposizione degli zuccheri per impacchettare l’energia in piccole molecole dette ATP, utilizzabili nelle reazioni metaboliche della cellula
stessa). i ribosomi sono la sede della sintesi delle proteine, mentre i lisosomi sono la sede della degradazione delle molecole complesse. Insomma un piccolo organismo, una vera officina chimica in miniatura
dove si producono molecole con reazioni alimentate dall’energia
dell’ATP, tutto perfettamente coordinato, regolato e programmato! Le
cellule poi possono avere un metabolismo autotrofo, in questo caso
possiedono anche un altro tipo di organelli, i plastidi, dove avviene la
fotosintesi clorofilliana, appannaggio dei vegetali, mentre se prive di
questi organellihanno un metabolismo eterotrofo, come quelle degli
animali.
21
22
Capitolo I
Per i microbiologi la distinzione tra procarioti (cellule senza nucleo) ed eucarioti (cellule nucleate) è più importante di quella tra animali
e vegetali. Tutte le cellule degli organismi superiori sono nucleate,
quelle dei batteri possiedono invece un singolo filamento di DNA
(Fig. 1).
Figura 1. La cellula procariotica (A) è meno organizzata di quella eucariotica (B). Quest’ultima presenta un nucleo racchiuso in un membrana e organelli specializzati per espletare le funzioni cellulari.
All’inizio del Novecento Weissmann1, scoprì che il nucleo delle
cellule contiene il fattore dell’eredità cellulare, il nucleo governa la
cellula e la sua riproduzione. Nel nucleo ci sono i cromosomi, dei bastoncini flessibili fatti di filamenti di DNA estremamente spiralizzati.
Non me ne abbiano quelli che conoscono queste nozioni di biologia
generale, perché cercherò di semplificare al massimo per chi invece è
a digiuno di tali concetti. Cercherò, quindi, di semplificare estremamente alcune strutture che sicuramente sono degne di trattazioni più
1
A. WEISSMANN, Votrage uber Descendenztheorie, Fisher Jena, 1902.
Qualche nozione preliminare
23
complesse! Mi riferisco ad esempio alla famosissima molecola del
DNA a doppia elica, la cui struttura è stata scoperta da Watson e Crick
negli anni Cinquanta (Fig. 2).
Figura 2. Struttura del DNA. I nucleotidi sono i mattoncini (moduli)
con cui è costruita la catena del DNA che presenta una struttura finale
a doppia elica.
24
Capitolo I
Il DNA è formato da una doppia elica costituita da moduli detti nucleotidi, ogni nucleotide è formato da un gruppo fosfato, uno zucchero
pentoso e una base azotata. Le basi sono 4 e sono complementari:
l’adenina si lega alla timina e la citosina alla guanina).
I cromosomi compaiono quando la cellula deve dividersi (riprodursi), altrimenti il DNA quando lavora, cioè quando coordina la sintesi
di determinate proteine, si trova in forma despiralizzata e prende il
nome di cromatina. Esso deve aprirsi in corrispondenza della sequenza che deve essere letta da un altro acido nucleico a catena singola
(RNA messaggero) che si stampa sul pezzo di DNA in corrispondenza
del frammento di DNA aperto. Prima della divisione cellulare e della
formazione dei cromosomi, il DNA si duplica, in modo che la stessa
informazione genetica venga ripartita nelle due cellule figlie. La doppia elica si apre come una chiusura lampo e in ogni zona aperta, grazie
alla complementarità delle basi, si stampa l’altra metà, di modo che alla fine del processo ci saranno due doppie eliche di DNA. Quando si
formano i cromosomi, quindi, il DNA si è già raddoppiato e i cromosomi risultano suddivisi in due cromatidi.
Ogni specie ha un suo proprio numero di cromosomi: l’Homo sapiens ne ha 46, o per meglio dire 23 coppie. I cromosomi, infatti, vanno a coppie ogni coppia è costituita da due cromosomi omologhi, uno
di origine paterna e uno di origine materna. I cromosomi omologhi
contengono gli stessi geni, o meglio, varianti degli stessi geni. Questa
condizione è detta diploidia (2n). Ricapitolando, in ogni cellula diploide ci sono due coppie per ogni cromosoma, ciascuno suddiviso in
cromatidi. Le coppie poi nella riproduzione sessuata, si sdoppiano e si
mescolano durante la fecondazione.
Il DNA ha un codice con il quale comunica e ordina alla cellula
quali tipi di proteine sintetizzare. Il codice consta di 4 lettere che altro
non sono che le 4 basi azotate, ogni tripletta di queste basi corrisponde
ad un aminoacido (unità di cui è composta una proteina) e la sequenza
di DNA che corrisponde agli aminoacidi di un’intera proteina viene
detta gene. Quando la cellula non è in divisione si dice che è a riposo,
ma a riposo non è perché è in fase di sintesi delle proteine. Durante la
sintesi delle proteine c’è un gran bel da fare all’interno della cellula, la
catena di DNA si apre, l’RNA si stampa sulla sequenza di basi libere
Qualche nozione preliminare
25
(trascrizione) e poi si stacca dal DNA con l’informazione per andare
sui ribosomi, si chiama infatti RNA messaggero. I ribosomi tengono la
molecola di RNA bella tesa, così che i piccoli RNA transfert che se
vanno liberi nel citoplasma con le loro triplette e l’aminoacido corrispondente attaccato, possono legarsi all’RNA messaggero. A questo
punto gli aminoacidi sono così vicini da formare il legame peptidico
con l’espulsione di una molecola di acqua, dando origine ad una catena di aminoacidi, che altro non è che una proteina. Questa molecola
appena è pronta si stacca dai ribosomi e si arrotola per acquisire la sua
conformazione tipica. È tutto molto affascinante e relativamente semplice. È per questo che si è pensato bastasse leggere questo codice genetico scritto nei cromosomi per poter conoscere il segreto della vita.
Così hanno fatto i genetisti, hanno trascritto l’intero genoma (cioè
l’intera quantità di DNA) dell’uomo e di molte altre specie, per capire,
alla fine, che non serviva a molto nella comprensione di come costruire un organismo, perché è come conoscere l’alfabeto di un linguaggio
senza conoscerne la grammatica!
Oggi il genoma non è più considerato, come durante la metà del
Novecento, una semplice sequenza di geni in cui ogni gene codificando una proteina, presiede ad un carattere. Ci si è invece resi conto che
il DNA è un complesso dinamico integrato in cui l’azione di diversi
geni concorre alla formazione di un carattere mediante intricate catene
regolatrici. La parte che codifica le proteine (strutturale) è una minima
parte, quella non codificante è enormemente preponderante.
Nell’uomo, ad esempio, solo una piccola percentuale dei geni è codificante. E il resto? I processi di sintesi proteica che portano alla formazione dei caratteri sono regolati da una rete di informazione che
circola in modo bidirezionale e non unidirezionale cioè solo dal DNA
alla periferia, come si riteneva in passato e che era il dogma centrale
della biologia. Oggi sappiamo che esiste una corrente d’informazione
proveniente sia dalle altre cellule sia dall’ambiente esterno e la formazione di una qualsiasi struttura è il risultato di un fitto dialogo molecolare tra geni e geni, e fra geni proteine e altre sostanze!
Ma torniamo per ora ai nostri geni. Credo che tutti abbiano sentito
parlare del monaco boemo Gregorio Mendel (1822-1884), che nel suo
giardino incrociava piselli con diverse caratteristiche. Fu proprio con
26
Capitolo I
le scoperte di Mendel2, che si associarono i geni ai caratteri. I risultati
degli incroci di Mendel si spiegano bene con la dualità dei cromosomi.
Per spiegarla in maniera semplice, il DNA porta il messaggio codificato dell’eredità, ogni cromosoma porta un certo numero di geni che
codificano per altrettante molecole che sono a loro volta collegate ad
un carattere. I geni sono in fila separati da sequenze che non portano
messaggi. Tutto il messaggio è scritto con le famose quattro lettere.
Il fatto fondamentale che spiega la progenie ottenuta negli incroci
di Mendel è che ognuno di noi porta questo messaggio doppio. Abbiamo, infatti, parlato in precedenza dell’esistenza nell’uomo di 23
coppie di cromosomi, ogni coppia è formata dai cromosomi omologhi,
ognuno porta varianti degli stessi caratteri. Se ad esempio il papà ha
gli occhi azzurri e la mamma marroni, molto probabilmente i figli nasceranno con gli occhi marroni perché il carattere marrone è dominante sull’azzurro che a sua volta è il recessivo. Le due varianti dello stesso gene sono dette alleli. Il carattere marrone è scritto nel DNA del
cromosoma di origine paterna (forma allelica del gene che codifica per
il colore degli occhi, stato marrone del carattere), mentre il carattere
azzurro è scritto nell’altro cromosoma omologo di origine materna (altra forma allelica dello stesso gene!). Nel figlio che riceverà questa
coppia di cromosomi comparirà il carattere dominante (marrone), però
nei suoi cromosomi conterrà anche l’informazione per il colore azzurro e se si accoppierà con una persona che ha gli occhi azzurri, genererà un figlio in cui potrà comparire lo stato del carattere “occhi azzurri”. Questo significa due cose: primo che l’informazione dei caratteri
in ogni persona è doppia (doppia già prima che il DNA si duplichi),
per questo si dice che siamo diploidi, secondo, che esiste un genotipo,
cioè una costituzione genetica che a volte non è espressa perché nascosta, mentre quello che si recepisce esternamente è il fenotipo. T
Se io fenotipicamente ho gli occhi marroni, genotipicamente potrei
avere ambedue gli alleli dominanti per il marrone, o un allele dominante marrone e uno recessivo per il colore azzurro, in ogni caso questo esternamente non si vede, bisognerebbe vedere se nella seconda
generazione (nei miei figli), compare il carattere azzurro che era na2
G. MENDEL, Experiments on plant hybrids in: The origin of Genetics, Veit,
Lipsia, 1865
Qualche nozione preliminare
27
scosto nel mio genotipo! Il fatto di essere diploidi conferisce una
maggiore possibilità di variabilità, infatti i caratteri si possono combinare nella riproduzione sessuata, anche mescolandosi, poiché non
sempre esiste una dominanza così marcata e nella progenie si possono
osservare dei caratteri intermedi, quello che accade quando si incrociano razze diverse, un nero e un bianco, ad esempio, danno origine ad
un mulatto. La condizione diploide ci permette una maggiore possibilità di adattamento e quindi di evoluzione, ma c’è il rovescio della
medaglia, come ad esempio l’insorgenza di malattie genetiche nella
progenie di persone apparentemente sane, ma che hanno qualche
guaio nascosto nella condizione eterozigote che comparirà in condizione di omozigosi!
Quando le cellule di un organismo diploide si dividono, il processo
è una riproduzione asessuale o mitosi, che produce due cellule figlie
identiche, come avviene ad esempio nella sostituzione di cellule somatiche, o per meglio dire quando in alcuni tessuti sostituiamo le cellule
vecchie morte con quelle nuove, il DNA si duplica (i cromosomi appaiono divisi in due cromatidi) e ogni cromatide contenente la stessa
quantità di DNA viene trasmesso alla cellula figlia (Fig 3a). Quando
invece si devono formare le cellule germinali o gameti, che partecipano alla riproduzione sessuata e che si uniranno nella fecondazione, il
DNA delle cellule si deve dimezzare. Dall’unione di due gameti si deve, infatti, ricostituire l’assetto cromosomico normale della specie, se
la quantità di DNA non si dimezzasse nei gameti, con l’unione delle
cellule nella riproduzione sessuata il corredo cromosomico raddoppierebbe ad ogni generazione! È per questo che le cellule che formeranno
i gameti vanno incontro ad un altro processo detto meiosi, in cui dimezzano il loro corredo genetico. La meiosi consta di due processi mitotici, nel primo invece di dividersi i due cromatidi nelle due cellule
figlie, vengono suddivisi i cromosomi omologhi che si erano appaiati
durante la fase iniziale del processo (tetradi). Poi nella seconda mitosi
si separeranno normalmente i cromatidi (Fig. 3b). Il risultato
dell’intero processo non è la formazione di due cellule diploidi identiche alla cellula originaria con 23 coppie di cromosomi come nella mitosi, bensì di 4 cellule diverse tra loro dette gameti. In altre parole, attraverso questo processo, i gameti conterranno solo un cromosoma dei
due omologhi, di origine paterna o di origine materna e queste cellule
28
Capitolo I
sono aploidi (n). Quando le cellule aploidi si fondono nella fecondazione si ripristina la condizione diploide (2n).
Il processo di fecondazione in cui si mescoleranno le costituzioni
genetiche parentali, ricostituisce l’assetto cromosomico proprio della
specie e aumenta la possibilità di variazione dei caratteri in una popolazione!
Figura 3. Processi di divisione cellulare.
La ricostituzione di un essere pluricellulare da un’unica cellula derivante dalla fecondazione di due gameti maschile e femminile, sottolinea un aspetto molto importante e cioè che gli organismi pluricellulari ad ogni generazione passano attraverso uno stadio unicellulare,
detto zigote, che altro non è che l’uovo fecondato, che contiene tutta
l’informazione per ricostruire un essere pluricellulare, questo avviene
mediante un processo che si chiama sviluppo embrionale.
Qualche nozione preliminare
29
Durante lo sviluppo embrionale avviene il differenziamento cellulare. Alcune cellule, ad esempio quelle nervose alla fine sono talmente
specializzate che non possono più riprodursi, infatti se vengono danneggiate alcune connessioni nervose, l’organismo non è in grado di riparare il danno. Tuttavia nel DNA di ogni cellula, anche differenziata,
c’è scritto l’intero messaggio per costruire l’organismo cui la cellula
appartiene. Le cellule di un organismo non sono tutte uguali semplicemente perché parte del DNA rimane silente e lavora solo quello che
deve produrre le strutture della linea cellulare a cui appartiene la cellula. Su questo si basa la clonazione, perché se impiantiamo il DNA di
una cellula differenziata all’interno di una cellula uovo si può innescare lo sviluppo embrionale. Ciò vuol dire che i segnali per l’inizio dello
sviluppo sono nel citoplasma dell’uovo e non nel nucleo, segnali che
sono in grado di sbloccare il DNA che nella cellula differenziata era
silente!
Oggi siamo agli albori della comprensione delle fasi dello sviluppo
embrionale. Non basta disporre di buone proteine per fabbricare tessuti e organi, ci vuole un’organizzazione di base, in altre parole non bastano i mattoni per fare una casa ci vogliono anche l’architetto e gli
operai! Ebbene oggi si sa che ci sono dei geni dedicati a questa organizzazione, non fabbricano proteine, si dedicano all’organizzazione
delle proteine fra di loro a partire dall’uovo. Sono i geni che producono la costruzione di un topo o di un elefante o ancora, di un uomo a
partire da un'unica cellula iniziale!
Abbiamo finora parlato di cromosomi, perché abbiamo descritto
una cellula eucariotica, una cellula con organizzazione superiore, come sono anche le nostre cellule, abbiamo precedentemente detto che
esistono però delle cellule con un organizzazione procariotica, esse
sono molto più semplici, non hanno né nucleo né organelli cellulari
come mitocondri e plastidi e il DNA si trova libero nel citoplasma.
Questa è l’organizzazione che è quella delle cellule batteriche. Anche
per i batteri però si utilizza il termine genoma, perché il genoma è
l’insieme del materiale genetico di un organismo, qualunque sia la sua
organizzazione. Nei batteri non esiste una riproduzione di tipo sessuale come quella degli eucarioti, il loro filamento di DNA semplicemente di duplica e viene ripartito equamente nelle due cellule figlie. Esistono poi processi sessuali legati al trasferimento di alcuni geni non
30
Capitolo I
connessi al DNA batterico principale, ma questo è un discorso complesso che non si può affrontare in questa sintesi. Dal punto di vista
molecolare i batteri sono stati i primi organismi a essere studiati e ancora oggi i procarioti sono molto meglio conosciuti rispetto agli eucarioti.
1.2.
Sorgenti di variazione
Alla base dell’evoluzione c’è la variazione, essa è universale in natura, ogni essere vivente è unico ed è portatore della variazione, unità
su cui opera l’evoluzione.
Quando Mendel tenne la sua prima conferenza nel 1865 non fece
tanto scalpore. Bisognerà attendere cinquant’anni perché il suo lavoro
venga preso in seria considerazione, questo avvenne per merito
dell’olandese De Vries (1848-1935), che all’inizio del Novecento ebbe un’intuizione geniale. La riproduzione non avviene sempre secondo le regole, ogni tanto emerge un carattere sconosciuto, un cambiamento spontaneo che De Vries3 chiamò mutazione.
Qualche anno dopo, l’americano Morgan (1866-1945) compì degli
esperimenti sul moscerino della frutta, la famosa drosofila, producendo delle mutazioni con esposizione a raggi x o ultravioletti, La scoperta delle mutazioni di Morgan4 fornì la chiave, il motore, la causa del
cambiamento.
Una mutazione è un errore che avviene durante la replicazione del
DNA, che se avviene durante la formazione dei gameti è ereditabile.
Una mutazione genetica semplice si ha quando le due catene della
doppia elica si separano e ognuna di esse funge da stampo per la costruzione di una nuova catena complementare. Può succedere che per
errore venga sostituita una base con un’altra, ciò può portare ad un
cambiamento di tutta la successiva sequenza che può tradursi in una
proteina differente, che può anche essere non funzionale oppure rappresentare una differente forma allelica di un carattere. In un individuo
3
H. D E VRIES, Die mutationstheorie, 1901.
T. H. MORGAN, Il meccanismo del’ereditarierà mendeliana, 1915. Enciclopedia generale Mondadori Vol 8: 514-518
4
Qualche nozione preliminare
31
possono esserci al massimo due forme alleliche dello stesso carattere,
ma nelle popolazioni possono esserne presenti diverse. Siccome però
nel codice genetico esistono 64 possibili triplette e solo 20 aminoacidi,
in molti casi la sostituzione di una base non produce alcun effetto, la
cellula, inoltre, è in grado di riparare il danno. Tuttavia, a volte la proteina risulta modificata. In generale, più la mutazione ha conseguenze
pesanti più è difficile che sia in grado di produrre proteine efficienti.
Gli errori di replicazione possono essere anche più drammatici: alcuni
elementi trasponibili, detti geni saltatori, sono in grado di duplicarsi e
di spostarsi da una parte all’altra di un cromosoma, interferendo così
sulla disposizione di altri geni, oppure geni codificanti proteine utili
possono essere moltiplicati per amplificazione genica. Le mutazioni
poi possono essere genetiche (sostituzione di una singola base o di intere sequenze geniche), ma possono anche riguardare frammenti più
cospicui fino ad interessare parti del cromosoma (mutazioni cromosomiche). Interi tratti di cromosomi possono essere cancellati, scambiati, invertiti, duplicati. I cromosomi possono anche fondersi e questo
sembra sia successo nel passaggio tra scimpanzè e uomo (gli scimpanzè hanno 24 coppie di cromosomi). In alcune piante, infine, il corredo
cromosomico è stato duplicato (poliploidia) generando nuove specie.
Più una mutazione colpisce un gene collocato in alto nella gerarchia dei ruoli, più l’effetto sarà eclatante, e molto spesso devastante, è
il caso ad esempio delle mutazioni che colpiscono i processi di sviluppo degli organismi. Quando nelle cellule somatiche una mutazione
colpisce il controllo della divisione cellulare, può dare origine ad un
tumore, cellule che cominciano proliferare egoisticamente a scapito
della sopravvivenza dell’organismo che le ospita.
Il tasso di insorgenza di mutazioni sembra essere uniforme in tutti
gli eucarioti. I biologi molecolari hanno catalogato migliaia di tipi di
mutazioni, la maggior parte deleterie, altre possono essere neutrali rispetto a sopravvivenza e riproduzione del portatore.
Un’ulteriore fonte di variazione importante la troviamo nella ricombinazione genetica. Non solo con il mescolamento dei cromosomi
nella riproduzione sessuale, ma anche per un processo che avviene durante la formazione dei gameti. Nella profase meiotica i cromosomi
omologhi si scambiano frammenti di cromatidi (crossing over), cosic-
32
Capitolo I
ché il cromosoma trasferito alla progenie non è mai completamente
uguale a quello parentale.
Le mutazioni sono casuali, nel senso che sono del tutto indipendenti dall’effetto che possono provocare nei loro portatori. Escludendo
quelle deleterie, le mutazioni creando variabilità all’interno di una popolazione, hanno un ruolo essenziale nell’evoluzione. Con le mutazioni vengono trasmessi di generazione in generazione varianti di caratteri fenotipici che vanno dalla morfologia esterna alle inclinazioni caratteriali. Quando una variazione è di tipo continuo (peso, statura), di solito è perché esiste una forte influenza ambientale. È tuttora in corso il
dibattito fra chi sostiene l’importanza delle cause biologiche innate e
chi difende il ruolo dell’ambiente nell’acquisizione di certe caratteristiche. Queste due componenti sono talmente interdipendenti che è
difficile anche progettare esperimenti che possano escludere la componente ambientale. Tuttavia, io personalmente credo che la componente innata sia preponderante nel determinare sia l’aspetto sia il carattere di un individuo!
La quantità di DNA varia da specie a specie, ma quello che varia è
soprattutto la quantità di DNA non codificante cioè non corrispondente a caratteri. Questa parte è minima nei batteri e alta negli eucarioti
complessi. Nell’uomo il DNA codificante è circa il 5%. Non esiste
tuttavia una definita correlazione tra numero di geni e complessità
dell’organismo, ad esempio, a dispetto degli svariati tipi cellulari che
possediamo, abbiamo un numero relativamente basso di geni (30.000).
Come abbiamo già evidenziato precedentemente, gli organismi
“superiori” sono dotati di una corredo di cromosomi doppio, ogni individuo possiede due versioni dello stesso gene, uno di origine materna e uno di origine paterna, quindi esiste una grande parte di DNA
“ridondante”. Un cromosoma può contenere da alcune centinaia ad alcune migliaia di geni, alcuni più lunghi, altri più corti, che possono
anche trovarsi in uno stato inattivato (silente), determinato da proteine
che regolano la produzione di RNA messaggero e che si trovano associate ad una parte di DNA non codificante. Quindi questa porzione
non codificante non è proprio superflua. I geni hanno una precisa divisione di compiti, la zona codificante è rappresentata dai geni strutturali, che sono i muratori, la parte non codificante dirige il lavoro dei muratori attivandoli e disattivandoli ed è rappresentata dai cosiddetti geni
Qualche nozione preliminare
33
regolatori. Una classe particolare di questi ultimi, detta geni Hox entra
in azione durante lo sviluppo embrionale e controlla le fasi di costruzione dell’embrione, ed è comune a tutti gli animali, in altre parole il
mondo animale è accomunato dagli stessi geni architetti! Ma ne parleremo più dettagliatamente in seguito.
L’entusiasmo scaturito dai lavori di De Vries e di Morgan, portò a
pensare che il motore dell’evoluzione fosse nelle mutazioni, generando il paradigma: “un gene-una proteina”. Mutazioni che interessano
piccole porzioni di DNA fanno apparire nuovi caratteri, quando le mutazioni sono invece molto importanti fanno apparire nuove specie!
Questo però rappresenta una visione semplicistica del genoma, con la
tendenza a considerare i geni a guisa di sequenze lineari indipendenti,
ciascuno corrispondente ad un tratto biologico, tendenza derivata dalla
decifrazione del codice genetico dei biologi molecolari. Il genoma, invece, è un’entità integrata che funziona più come una rete che come
una sequenza lineare. I geni sono entità immerse in un contesto di relazioni biochimiche, nel quale prodotti e processi si generano reciprocamente. Una proteina può essere anche codificata da più geni, mentre
un unico gene può controllare più componenti del fenotipo. Non solo,
a volte gli effetti di un gene dipendono da quelli di un gene associato,
mentre il successo di un gene può trascinare quelli di geni ad esso limitrofi, diminuendo la possibilità di variazione genetica nei suoi dintorni! In ultima analisi, l’informazione non può prescindere dal contesto in cui si genera.