“Giornate di studi su Pietro Scalvini: pittore del Settecento bresciano”

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Comune di Castenedolo
Assessorato alla Cultura
Estratti del convegno
“Giornate di studi su Pietro Scalvini:
pittore del Settecento bresciano”
(26 e 29 marzo 2008 Biblioteca Comunale
“Renzo Frusca” di Castenedolo)
a cura di
Riccardo Bartoletti
Inscenalarte
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P RESENTAZIONE
Il Comune di Castenedolo custodisce fra le numerose testimonianze artistico-architettoniche anche alcune pitture a carattere storico-mitologico, eseguite da Pietro Scalvini nel secondo Settecento per le volte di alcuni ambienti in Palazzo Provaglio già Longhena in località Capodimonte.
Le Giornate di Studi che si sono svolte nel mese di marzo 2008 presso la Biblioteca Renzo Frusca di Castenedolo1 con il patrocinio e il contributo dell’Assessorato alla Cultura,
hanno ripercorso l’attività di questo prolifico artista, probabilmente il più noto esponente
del Barocchetto bresciano, e hanno valorizzato il suo intervento castenedolese, inquadrandolo all’interno di un ricco e importante circuito di commissioni per dimore nobiliari.
I due incontri su Pietro Scalvini, tenuti e organizzati dal prof. Riccardo Bartoletti, hanno
incontrato un vivo interesse da parte della comunità castenedolese, sempre sensibile nei
confronti delle iniziative volte a diffondere la conoscenza del patrimonio locale. Inoltre, a
conclusione del convegno, le sale del Palazzo di Capodimonte, si sono aperte, per la prima volta, alla visita di un nutrito gruppo di persone, grazie alla squisita disponibilità dei
proprietari, la Signora Marzia Provaglio e l’Ing. Giovanni Battista Montini.
I presenti estratti raccolgono quindi gli interventi delle due giornate e non mancano di
tracciare una panoramica su alcuni degli splendidi palazzi nobiliari, dislocati nel territorio
castenedolese, edifici spesso ampliati o ricostruiti in epoca settecentesca e arricchiti nel
medesimo periodo con preziose decorazioni plastico-pittoriche. La presente pubblicazione ha quindi l’ulteriore finalità di invitare il lettore alla scoperta di un tessuto architettonico quanto mai stratificato e complesso, a cui in questa sede si è voluto dare un’anteprima,
rispetto alla più completa disamina che, nel prossimo mese di dicembre, sarà pubblicata
nella riedizione multimediale della Storia di Castenedolo.
Assessore alla Cultura
1
Si esprime un sentito ringraziamento alle bibliotecarie dott.ssa Chiara Raza e Sig.ra Carla Malavolta per la fattiva collaborazione dimostrata.
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P RESENTAZIONE
Numerosi sono stati gli interventi critici sul settecentesco pittore Pietro Scalvini, ma una
sola monografia è stata dedicata alla sua instancabile attività,2 concentrata soprattutto sulla produzione triumplina.
Scalvini si rivelò un poliedrico artista, praticando oltre alla pittura figurativa anche quella
decorativa di gusto rocaille, non disdegnando generi minori come la doratura o la pittura
di fiori; inoltre è ben documentata la sua attività di disegnatore e ritrattista. Se lo Scalvini
esordiente ottiene le prime commissioni, ‘sponsorizzando’ il proprio mestiere durante cerimonie nuziali, in cui lo troviamo spesso come testimone degli sposi, o ottenendo la stima di colti curati locali, è a partire dalla metà circa degli anni Quaranta, che inizia la sua
vera fortuna, entrando a far parte della selezionata cerchia di artisti del Cardinal Querini,
per il quale spesso ‘ridusse’ in disegni opere o scene raffiguranti le benemerite iniziative
del religioso da riprodurre in coeve incisioni a stampa.
La sua versatilità pittorica e uno stile accattivante, facilmente adattabile alle esigenze dei
committenti, lo porteranno ad assommare lavori in oltre quaranta comuni della nostra
provincia, confrontando le sue capacità con artisti di alta levatura stilistica che giungevano a Brescia dall’area lombardo-ticinese, veneta ed emiliana.
Aggiornare lo stato degli studi su Pietro Scalvini significa non solo conoscere la sua opera ma
anche il patrimonio storico-architettonico e le realtà territoriali locali in cui essa è collocata.
prof. Riccardo Bartoletti
(Inscenalarte)
2
E. M. GUZZO, Arte e Restauri a San Bartolomeo: appunti su Pitro Scalvini e la pittura del Settecento in Valtrompia, in Il Santuario di San Bartolomeo
a Magno di Gardone V.T. Storia, arte, restauri. Pietro Scalvini in Valtrompia, Brescia, 1986.
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I. L A P ITTURA A B RESCIA
NEL S ETTECENTO
Le due giornate di studi sul pittore Pietro Scalvini si
sono svolte sotto un duplice indirizzo: da un lato hanno costituito l’occasione per riflettere sulla fortunata
stagione del Settecento artistico a Brescia; dall’altro
hanno contestualizzato in questo fertile humus culturale la figura di un noto, quanto ancora poco conosciuto esponente locale, che amava firmarsi Petrus Scalvinus
Pictor.
A partire dagli inizi del quarto decennio del XVIII secolo in città si creano favorevoli premesse perché questa diventi una sorta di nevralgico crocevia di importanti esperienze artistiche e architettoniche. Tale complessa messe di apporti che ha contribuito a costruire
una cultura figurativa del Settecento a Brescia quanto
mai ricca e diversificata, è riconducibile alla presenza
di artisti provenienti da tre differenti aree geografiche:
lombardo-ticinese, veneta ed emiliana.
L’afflusso di personalità foreste nella nostra provincia
fu stimolato da importanti committenti del mondo religioso e del mondo laico locali, che, animati da una
volontà di profondo rinnovamento, attrassero artisti di
levatura e risonanza europee.
In primis fra questi illuminati personaggi va ricordato
Angelo Maria Querini (fig. 1), di famiglia veneziana,
eletto vescovo di Brescia nel 1727.
Sensibile uomo di cultura il Querini1 influenzò fortemente il gusto pittorico del circuito cittadino, aprendo
una corsia preferenziale verso la corrente accademico
classicistica di matrice emiliano-romana e veronese, affidando cittadine pale d’altare allo Zoboli (fig. 2), pittore modenese formatosi a Roma nell’ambiente del Maratta e del Conca, al Batoni ed ‘esportando’ la formalistica compostezza di un Balestra per l’esecuzione del-
la tela in San Gregorio al Celio in Roma.
La pittura accademizzante a Brescia trova altri importanti interpreti in Brentana, Lenetti, Perotti, Cignaroli,
Rotari, Anselmi, pur essi veronesi, ma anche in Francesco Monti, bolognese, allievo come il citato Brentana, di Gioseffo dal Sole. Proprio a quest’ultimo nel
1738 viene affidata l’estesa decorazione a monocromo
di Santa Maria della Pace, assai misurata nelle corrispondenze chiastiche e simmetriche delle figure.
L’emiliano conoscerà a Brescia una fortunata parabola artistica che lo porterà a lavorare anche sul Sebino
(Parrocchiale di Sarnico e di Sale Marasino), in Valle
Camonica (Parrocchiale di Capo di Ponte) e in Val
Trompia (Parrocchiale di Villa).2
Il veronese Giorgio Anselmi, cresciuto sugli insegnamenti del Balestra e sensibile agli influssi della scuola
bolognese, è attivo in cicli decorativi in Valsabbia (Parrocchiale di Vobarno) e in Valtrompia (Parrocchiali di
Lodrino3 e di Inzino) e licenzia alcune pale d’altare 4
mediando fra la vivacità del Barocchetto e il canone
classicheggiante di matrice balestriana.5
Se il Querini predilesse il filone classicistico, la nobiltà
bresciana affidò la realizzazione di complessi apparati
pittorici a famosi decoratori lombardi e lagunari sia
per i palazzi di città sia per le ville della provincia, che
in quegli anni concorrono a costruire, gareggiando in
grandiosità e ostentazione con i ‘cugini’ veneziani.
I soggetti storici non costituiscono più l’iconografia
prediletta, piuttosto gli affreschi di scaloni e di saloni
accolgono nutriti cortei di figure mitologiche e allegoriche atte a celebrare glorie o riconoscimenti di titoli
comitali di personaggi nobiliari e sono spesso valorizzati da quadrature di carattere architettonico-sceno-
1
E. M. GUZZO, 1981, 6, p. 186; B. PASSAMANI, 1981 p. 10 e p. 56; F. FISOGNI, 2006, p. 405
Mi limito a citare solo alcune delle sue commissioni. U. RUGGERI, 1968, pp. 19-64; F. FRISONI, 2007, pp. 137-144
3 C. SABATTI- F. TROVATI, 1987, pp. 257-271; R. SECCAMANI, 1995, pp. 139-144
4 Ricordo Il compianto degli angeli sul Cristo Morto e gli ovali con San Benedetto e Santa Scolastica in Santa Maria della Pace a Brescia (P. V. BEGNI REDONA, 1996, pp. 162, 164) e La Comunione di San Luigi Gonzaga, La Madonna con San Giuseppe, San Gaetano e il Bambino insieme con
Santa Lucia nella parrocchiale di Inzino (L. ANELLI, 1998, pp. 118, 120)
5 A. LODA, 2006, pp. 310, 311
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l’intelvese Carlo Innocenzo Carloni,7 allievo di Giulio
Quaglio, pure lui attivo a Brescia nella decorazione
del salone di palazzo Martinengo Palatino (17141715) con scene mitologiche allusive alla nomina di
Ercole Martinengo a conte palatino. L’artista intelvese, dopo una serie di fortunate commissioni a Passavia, Vienna e Ludwigsburg, fra il quinto e il sesto decennio del Settecento vede intensificarsi le commissioni per le province venete della Lombardia, fra cui
Brescia, dove probabilmente approdò anche grazie
all’amicizia di alcuni architetti conterranei i quali forse raccomandarono il suo intervento in cantieri da loro diretti.8
Risale infatti agli anni ’46-’48 il più importante ciclo a
soggetto profano realizzato dal Carloni in Italia: la decorazione di Palazzo Gaifami9 in città.
La pittura carloniana è briosa e vivace, accompagnata
da uno schiarimento cromatico e da un gusto piacevolmente decorativo che valorizza maggiormente
l’estro prospettico rispetto all’accuratezza del disegno;
le figure dipinte acquisiscono una forma dinamica e
frastagliata e si muovono liberamente entro spazi dilatati alla massima ampiezza (fig. 4).
Il Carloni applica lo stesso gusto scenografico anche
nelle campagne pittoriche a soggetto religioso, risultandogli congeniale l’ariosa volumetria di calotte e di
cupole settecentesche.
Nei numerosi cantieri religiosi che si inaugurano a partire dal terzo decennio del XVIII secolo grazie al munifico concorso di ricchi signori del luogo, è da segnalare anche l’attività di un altro artista lombardo, il milanese Giovanni Battista Sassi,10 che firma il ciclo di
grafico. La pittura decorativa quindi se da un lato perde in tensione ideologica dall’altra condensa valenze
simboliche e combinazioni figurative che seducono e
divertono. Si assiste anche a un generale alleggerimento formale che si traduce in uno stile più audace, libero e spiritoso.
Quanto agli orientamenti della committenza in questo
ambito un ruolo importante assume sicuramente la
cultura figurativa veneziana, che però non rappresenta
una scelta vincolante e non esclude, come esposto di
seguito, l’attenzione ad altre alternative artistiche.
Nel campo della pittura decorativa non prevalgono i
nomi altisonanti di un Tiepolo, di un Pittoni o di un
Piazzetta, ma piuttosto quelli dei comprimari dallo stile accattivante e spiritoso, più congeniale alla volontà
autocelebrativa della nobiltà locale rispetto all’enfasi
coloristica e spaziale tiepolesca.
Lucido e arguto ‘cronista’ della società patrizia bresciana è Francesco Zugno, affine ai modi di Pietro Longhi, e, come lui, mai troppo realistico e spregiudicato
nell’osservazione dei personaggi. Al veneziano fu affidata la decorazione nel 1769 del Salone dell’Accademia degli Erranti, con quadrature di un altro pittore
veneziano, Francesco Battaglioli.6 La vasta composizione contempla nel soffitto un’allegorica celebrazione delle attività cui è votata Brescia (attività commerciali ed agricole) nonché la glorificazione dell’Accademia; sulle pareti si dispiegano ariose loggette che incorniciano deliziose scene di vita nobiliare, spaccato di
moda e di costume dell’epoca (fig. 3).
Massimo rappresentante della pittura allegorico-encomiastica nel circuito bresciano fu probabilmente
6
R. BOSCHI, 1986, pp. 63-82; F. FISOGNI, vol. II, 2007, pp. 416-418.
Sul Carloni si veda la monografia di A. BARIGOZZI BRINI- K. GARAS, 1967
8 È infatti interessante notare come Carloni spesso si trovi a lavorare in cantieri architettonici diretti da luganesi (Antonio Turbini a Villa
Lechi di Montirone o alla Parrocchiale di Manerbio) o intelvesi (Antonio Corbellini alla Parrocchiale di Orzinuovi o in quella di San Felice del Benaco)
9 Ugualmente numerosi sono i suoi interventi in chiese bresciane; recentemente lo scrivente ha avvicinato al suo catalogo gli affreschi de
la sacrestia della parrocchiale di Preseglie, precedentemente ascritti allo Scalvini (R. BARTOLETTI, 2007/11, pp. 109-117)
10 L. ANELLI, 1982, p. 82; S. GUERRINI, 1981, 6, pp. 211, 212
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apporti accademizzanti e classicistici della scuola bolognese e il suo maestro, Giulio Quaglio, pure attivo a
Brescia, si forma presso il bolognese Franceschini.
D’altra parte nell’intelvese non mancano influenze veneziane dovute a soggiorni lavorativi presso Udine,
Gorizia, Gradisca e a un probabile soggiorno di studio
a Venezia.
Francesco Monti alleggerisce, rendendole più briose,
le sue figure, e semplifica le partiture costruttive delle
sue opere assimilando la matrice lagunare, in particolare pittoniana.11
Rodengo Saiano (1725-1731), le pitture murali nella
Cappella dell’Immacolata in San Francesco a Brescia
(1737) e sulle volte della parrocchiale di Azzano Mella
(1739).
Studiando la parabola artistica di questi pittori, è interessante notare come, pur provenendo da aree geografiche differenti, non manchino in essi intensi scambi
culturali e linguistici.
Giovan Battista Sassi riversa in terra lombarda gli stimoli linguistici appresi durante l’apprendistato napoletano, compiuto presso Francesco Solimena.
Il Carloni d’altra parte è fortemente influenzato dagli
11
F. Frisoni, 2007; p. 138
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Figura 1
P. Scalvini, Ritratto di A. M. Querini come protettore
e confratello della Confraternita della morte di S. Brigida, 1746 ca.,
Brescia, Seminario Vescovile
Figura 2
Zoboli, San Filippo Neri genuflesso davanti
alla Madonna, 1745, Brescia,
chiesa di Santa Maria della Pace
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Figura 3 - F. Zugno, decorazione del Salone dell’Accademia degli Erranti (ora Ridotto) nel Teatro Grande, 1769, particolare
Figura 4 - C. I. Carloni, decorazione della cupola centrale della chiesa parrocchiale di San Giorgio a Dello, particolare
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II. P ROFILO
DI
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L INGUAGGIO A RTISTICO
P IETRO S CALVINI
E
Il Querini, nonostante la presenza di famosi artisti gravitanti a Brescia, ebbe il grande merito di valorizzare le
risorse locali, andando in contro tendenza rispetto alle scelte operate dalle committenze civili. Come acuto
talent scout raccolse attorno a sè un’eletta rappresentanza figurativa locale che annoverava Antonio Calegari,
Bernardino Bono, probabilmente Angelo Paglia e Antonio Dusi, il Pincellotti e Pietro Scalvini.1
La parabola artistica di questo pittore2 è quanto mai
documentata, contrariamente alla sua biografia,3 e fortunata, abbracciando un quarantennio di attività pressoché ininterrotta, in particolare come affreschista, e
tracciando un ideale itinerario pittorico attraverso una
quarantina circa di paesi della nostra provincia. Nel
suo linguaggio confluiscono quindi stimoli e apporti
molteplici provenienti da quel fervido clima culturale
che si è delineato, seppur brevemente nel precedente
paragrafo.
L’area in cui si attestano i primi lavori dello Scalvini è
la Valtrompia, dove, per la chiesa di Santa Maria della
Neve a Premiano di Lumezzane, licenzia nel 1737 le
due pale d’altare raffiguranti rispettivamente la Madonna con Bambino, Sant’Agostino e le anime purganti e la Madonna della Neve fra i Santi Martino Papa e Antonio Abate.
In queste opere affiorano le radici di marca bolognese
della sua formazione, dovute a un presunto alunnato
presso Ferdinando Cairo4 (fig. 1), ravvisabili nei toni
chiaroscurati tardo-barocchi e nelle intonazioni classicheggianti.
Il pittore nel medesimo anno è impegnato nell’esecuzione ad affresco dei Quattro Evangelisti sui pennacchi
del Santuario della Madonna della Calvarola a Collebeato5 in cui interverrà nuovamente due anni più tardi
per la realizzazione della decorazione absidale con
l’Assunzione della Vergine distribuita fra la lunetta absidale (Gli Evangelisti attorno al sepolcro della Vergine fig. 2)
e la cupola.
Nel santuario collebeatese Scalvini interverrà una terza volta realizzando per il fianco sinistro della navata
la pala con i Santi Firmo e Gaetano da Thiene adoranti il
Bambin Gesù e le quadrature a fresco che incorniciano
questa tela (fig. 3), quella di Callisto Piazza sul lato opposto e il dipinto sulla parete di fondo absidale, arricchite quest’ultime da quattro figure allegoriche. Scalvini, già a questa data, si mostra pittore versatile e poliedrico, sperimentatore di differenti generi pittorici. In
particolare per le quadrature il pittore mostra una spiccata propensione, eseguendole con piena padronanza
disegnativa. A questo proposito si ricordi il primo intervento pittorico del Nostro nel santuario di Magno
di Gardone Valtrompia nel 1742,6 anno in cui realizzò
esclusivamente le partiture architettoniche dello spazio presbiteriale e l’edicola sul fianco sinistro della navata: la decorazione è alquanto esuberante per tratto e
fantasia disegnativi con una prevalenza di profili morbidamente sagomati e mistilinei. Nelle quadrature scalviniane protagonista indiscusso è il motivo rocaille con
combinazioni di gusci di conchiglia, arabeschi, racemi
vegetali, cimase e mostre di finestra dal curvo e sinuoso andamento; peculiarità del trompe l’oeil scalviniano
sono, da un lato, la marcata plasticità data ad ogni singolo elemento architettonico, quasi rigonfio per ricchezza esornativa, e, dall’altro, un vezzo pittorico analogo alle migliori figure eseguite dall’artista. Le quadrature scalviniane rappresentano la piena adesione del
pittore alla temperie barocchetta e una marca di rico-
1
L. ANELLI, 1980, pp. 55, 56
Per un profilo riassuntivo sull’artista si veda E. M. GUZZO, 1994, vol. II, pp. 167-179
3 E. M. GUZZO, 1986, p. 42
4 G. PASQUINI, 1974, 2/3, pp. 56-59
5 Santuario Madonna della Calvarola (opuscolo), 2007, pp. 8-11
6 E. M. GUZZO, 1986, pp.64-65 riscontra sulla base di criteri stilistici due differenti interventi nel santuario, il primo lo colloca al 1742, il
secondo, di carattere figurativo, agli inizi degli anni Settanta
2
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scutibile orientamento del pittore sui modi del Barocchetto lombardo, che affiora invece in modo intermittente nella pittura figurativa in certi profili dal gusto
appuntito e spiritoso, abbreviati nel disegno: ravviso i
primi aggiornamenti a questa temperie culturale, che
risulterà la prediletta dal pittore nelle successive commissioni, in un quadro ad olio proveniente dall’ex
Chiesa dei Disciplini a Borno ed ora acquisita dal Museo Diocesano di Brescia, raffigurante la Madonna con
Bambino e i Santi Gregorio Magno, Sebastiano, Rocco e Gaetano da Thiene (fig. 8).
È ancora in area triumplina però che va ricercata una
più sicura meditazione su questo linguaggio più precisamente nella pala della Chiesa Parrocchiale di San Calocero martire con la Santissima Trinità e l’Angelo Custode del 1751,10 dove affiora uno schema organizzativo di
derivazione balestriana, e nella Deposizione di un anno
successivo, nella medesima chiesa.
All’aprirsi degli anni Cinquanta lo Scalvini risulta già
affermato sia nelle decorazioni freschive sia nell’esecuzione di pale d’altare, inoltre, come precedentemente
ricordato, rientra nella selezionata cerchia di pittori ritrattisti del Cardinal Querini.11
Proprio nel sesto decennio del secolo al bresciano vengono affidate due importanti commissioni cittadine: la
decorazione della cupola e della sacrestia della chiesa di
San Gaetano in Brescia e la realizzazione di alcune delle ventidue tavole incise nei Commentarii Historici editi in
Brescia nel 1754 e contenenti le più significative imprese del mecenatismo queriniano. Scalvini ottiene quindi
la piena affermazione nel circuito bresciano.
noscimento della sua pittura, ricorrente sia in contesti
religiosi sia civili: a partire dai primi esempi citati a Magno e a Collebeato, le ritroviamo nella Pieve di Concesio (Cappella del Rosario, 1756), nella sacrestia della
Chiesa di San Gaetano a Brescia, a cornice del Cristo in
cielo con San Gaetano in gloria (fig. 4; 1750 ca.), in Villa
Mazzucchelli a Ciliverghe (fig. 5; 1755-60), sulla volta
dello scalone in Palazzo Cadeo Martinengo a Travagliato (fig. 6; 1763 ca.), in Palazzo Provaglio già Longhena a Capodimonte (Castenedolo, 1774 ca.).
Allo stesso modo lo Scalvini evidenzia le sue abilità da
quadraturista anche in numerosi disegni, la cui traduzione incisoria curarono personalità di spicco quali lo
Zucchi e il Cagnoni:7 si considerino ad esempio gli
ariosi motivi a volute e valve che inquadrano le illustrazioni eseguite per le testatine e i finalini dell’opera
Rime, dedicate alla S.R.M. di Carlo Emanuele di Sardegna
edita in Brescia da Gianmaria Rizzardi nel 1755 (fig. 7),
ideazioni riproposte successivamente per decorazioni
di dimore private.
Non è improbabile che il bresciano abbia appreso i
fondamenti di questo genere pittorico ancora da artisti di area emiliana che mantenevano viva la tradizione
della loro scuola in Lombardia.8
Scalvini si incaricherà quasi sempre di realizzare personalmente i finti apparati architettonici, probabilmente
attraverso l’ausilio di cartoni preparatori, evitando di
delegare l’operazione a pittori specializzati in quel genere secondo prassi adottate da altri artisti.9
Proprio nei leziosi ed estrosi motivi a rocaille esibiti nelle quadrature si avverte come detto un primo e indi-
7
B. PASSAMANI, 1981, pp. 16; U. SPINI, 1982, p. 43 e p. 172
A. BARIGOZZI BRINI, 1991, pp. 419, 421; si ricordano per Brescia i bolognesi Giuseppe Orsoni, Giovanni Zanardi, Antonio Mazza.
Sulle quadrature in ambito bresciano si veda il recente contributo di I. L. LENZI, 2007, pp. 163-184.
9 Affermati quadraturisti nel circuito bresciano erano, oltre a quelli citati nella nota 20, Carlo Molinari e Antonio Agrati (M. MONDINI C. ZANI, 1986, 2, pp. 47-76)
10 S. GUERRINI, 1998, pp. 90, 91
11 Suo è il Ritratto di Angelo Maria Querini come protettore e confratello della Confraternita della morte e dell’oratorio di Santa Brigida del 1746 ca. presso
il Seminario Vescovile di Brescia (L. ANELLI, 1981, p.65; L. ANELLI, 1985, p. 86). Inoltre il pittore ‘presterà la sua matita’ al Cardinale per ridurre in disegni altri ritratti queriniani per incisioni a stampa (L. ANELLI, 1982, p. 279, nota)
8
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terreni sulla Terraferma.15 Si moltiplicano quindi gli interventi edilizi anche nelle terre circostanti la città, così da creare un ideale limen fra spazio umano, razionalizzato secondo criteri illuministici, e natura.
Le opportunità lavorative offerte da un ambiente rinnovato così in profondo furono ampiamente colte dal
Nostro, che, unico fra i pittori locali, incontrò presto il
favore di numerose famiglie del patriziato bresciano,
altrimenti propense ad affidare l’illustrazione dei propri trionfi ad artisti foresti.16 Questo accadde da un lato per la sua versatilità pittorica, che lo portava a incontrare il gusto della committenza e a riassumere in
sé le singole specializzazioni (pittura figurativa e quadrature), dall’altra per un’indubbia prestezza esecutiva,
tali da garantire, a mio avviso, concorrenziali onorari.
Le campagne decorative nobiliari si concentrano fra la
seconda metà del sesto e l’ottavo decennio del secolo e
fra i primi lavori emergono la decorazione del salone a
sera della villa fatta costruire dal Conte Gian Maria
Mazzucchelli a Ciliverghe, raffigurante l’Alleanza di Brescia con Roma contro Annibale, e le pitture eseguite in Palazzo Cadeo-Martinengo a Travagliato, datate 1763.17
A proposito del primo intervento si è creata una vexata quaestio cronologica, in quanto il Lechi attestava la
data 1753,18 mentre più recentemente si è letto un ipotetico 1747 a correzione di un non meglio documentato 1741.19 In realtà sulla volta del salone non è dipinta alcuna data, solo la firma dello Scalvini; la critica
probabilmente si riferisce all’anno iscritto sotto il monocromo in azzurro raffigurante l’Uccisione di Tebaldo
Brusato (fig. 10) realizzato dal medesimo pittore sul sof-
In San Gaetano lo Scalvini realizza una decorazione in
stile pienamente barocchetto, applicando moduli compositivi di matrice carloniana: le silhouette delle figure si
allungano e si acuiscono i profili appuntiti che hanno
fatto pensare a suggerimenti di area austriaco-tirolese,12 le attitudini posturali si fanno più vivaci e si moltiplicano le invenzioni prospettiche grazie alle dense e
filamentose matasse di nubi spiraliformi che salgono
vorticose verso il culmine della cupola trascinando
con sé i personaggi (fig. 9).
La vitalità che Brescia dimostra anche nel campo dell’edilizia civile apre la strada allo Scalvini anche ad una
serie di fortunate commissioni per il patriziato bresciano, particolarmente propenso in questo secolo a gareggiare in stile e grandiosità con i nobili veneziani.
È proprio nel XVIII secolo che le dimore nobiliari
bresciane si arricchiscono di nuovi locali, sul’esempio
francese e accanto alla chambre à coucher, si dà spazio
agli ambienti di rappresentanza (chambre de parade, il cabinet, la garderobe, la salle de concerts) in quanto le occasioni di festa, la musica, il ricevimento sembrano meglio
affermare il prestigio del casato.13
D’altra parte le campagne non sono estranee da questa vitalità costruttiva, grazie all’affermarsi della civiltà
della villa: non più semplice e rustica costruzione funzionale alla sola attività agricola, ora viene adattata alle esigenze della nobiltà, la quale torna a privilegiare
l’investimento agrario sulla scia delle teorie fisiocratiche propagandate da Francois Quesnay 14 e sull’esempio della vicina Repubblica di Venezia che, in declino
come potenza marinara, investe i capitali in acquisti di
12
E. M. GUZZO, 1986, p. 56
G. P. TRECCANI, 1985, pp. 104, 105
14 F. FISOGNI, 2007, p. 409.
15 Fra i propugnatori della ‘santa agricoltura’ in terra veneta si ricordi Alvise Cornaro che solennemente proclamava di aver acquistato le
proprie ricchezze “non con mezzo di arme e di sforzi e danni altrui; nè con il mezzo di passare i mari con infiniti pericoli” ma con il lavoro agricolo (A. MORASSI, 1968 , p. 10)
16 F. FISOGNI, 2007, p. 416; S. COPPA, 1991, p. 34
17 F.LECHI, 1973, vol. VII, p. 145
18 F. LECHI, 1973, vol. VII, p. 348
19 C. PEROGALLI, 1985, p. 123; S. GUERRINI, 1998, p. 88
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in Palazzo Soncini, la cui rifabbricazione era stata portata a conclusione nel 1776 su progetto del Marchetti,
sua è la riproposizione sulle pareti dello scalone delle
scene di vita nobiliare entro illusionistiche logge, proposte pochi anni prima da Francesco Zugno per il Salone dell’Accademia degli Erranti, ora Ridotto del Teatro Grande di Brescia.
Lo spettatore, salendo le scale, è fatto partecipe di incontri galanti e complici ammiccamenti tra loggiati e
balaustre (fig. 14), svolti in apparente occasionalità fra
personaggi a grandezza naturale dalla composta gestualità: si è qui di fronte a un teatro di posa della nobiltà bresciana settecentesca ritratta nella ritualità quotidiana (la degustazione del prelibato cioccolatte; garbati intrattenimenti; civetterie femminili). Ad allietare
le scene si affacciano dalle logge superiori musici maschili e femminili. L’opera è l’esempio più celebre di
pittura civile dello Scalvini, che si firma sul collare di
un cagnolino in compiaciuta emulazione con il Carloni di Villa Lechi a Montirone (fig. 15).
Negli anni Settanta e Ottanta, gli ultimi due decenni di
attività del bresciano, le commissioni continuano a intensificarsi e per i grandi cicli pittorici lo Scalvini itera,
invero non sempre in modo convincente, i moduli decorativi carloniani:21 le figure sono distribuite liberamente nello spazio, le composizioni seguono un andamento diagonale, si prediligono le prospettive aeree e
gli scorci di sottinsù.
Sulle ampie superfici delle cupole nelle Parrocchiali di
Borgosatollo e di Nuvolera22 lo Scalvini perde l’armo-
fitto dello studio contiguo al salone. L’iscrizione, sebbene poco leggibile (fig. 11), sembra terminare con le
cifre 46 e testimonierebbe forse la prima commissione
del pittore per una residenza privata. Il dipinto potrebbe
essere la trasposizione di un’incisione, il cui disegno non
è da escludere essere dello stesso Scalvini. Meno convincente appare collocare a questo periodo l’affresco del salone (fig. 12), piuttosto inquadrabile nella seconda metà
degli anni Cinquanta del secolo, anche se le innegabili assonanze con le quadrature di Palazzo Cadeo Martinengo di Travagliato e gli scorci dal sotto in su di alcuni personaggi, esibiti con identica abilità nell’affresco raffigurante San Pietro e San Paolo in giudizio davanti all’imperatore
Nerone realizzato nel 1767 per la sacrestia della Parrocchiale di Castrezzato (fig. 13), lascerebbero propendere
per un’esecuzione già all’interno del settimo decennio.
Comunque, termine ante quem non per una sua datazione
è l’affresco realizzato da Francesco Savanni nell’ala nordovest del palazzo, raffigurante il Delle antiche origini di
Brescia e Verona, Parere del Canonico Paolo Gagliardi intorno ai
Cenomani e ai loro confini ,20 che reca iscritto l’anno 1755;
entrambi i dipinti esibiscono temi relativi ad accese dispute accademiche dell’epoca, di cui Gian Maria Mazzucchelli era partecipe e, per così dire, animatore: di conseguenza la loro realizzazione avvenne a breve distanza
se non addirittura contemporaneamente; anzi lo scrivente ritiene ipotizzabile un intervento scalviniano per le
quadrature a cornice dell’affresco savanniano.
La pittura dello Scalvini si mostra costantemente permeabile alle novità introdotte dagli artisti più in vista:
20
Nell’affresco è simbolicamente raffigurata la disputa circa le antiche condizioni delle città di Brescia e Verona, che vide contrapposti da
un lato gli accademici, capeggiati dal canonico Gagliardi, sostenitori dell’origine più antica della prima, sulla base del verso catulliano “Brixia Veronae mater amata meae” (carmen 67), dall’altra gli assertori della tesi opposta, guidati da Scipione Maffei. Gli interventi confluirono
nell’opera dell’abate Antonio Sambuca intitolata Memorie istorico-critiche intorno all’antico stato dei Cenomani e i loro confini edita dal tipografo
Gian Maria Rizzardi nel 1750
21 Certo non mancano in questo periodo anche evidenti apporti della cultura pittorica lagunare, tanto che è stato ipotizzato un soggiorno
dello Scalvini in terra veneta: in realtà lo scrivente è più propenso a vederlo come personalità stanziale, pronto piuttosto ad assimilare in
loco i suggerimenti stilistico-figurativi di artisti veneziani in costante ‘trasferta’ a Brescia. Si ricordi, a questo proposito, come lo Scalvini
nel 1773 ca. lavori spalla a spalla con il Fontebasso nell’oratorio di San Carlino oppure si osservi la sua ‘candida’ riproposizione delle scene zugnesche in Palazzo Soncini.
22 C. BODEI, 1992, p. 121-174; R. BARTOLETTI, 2006, p. 13
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ai bordi della cupola in San Lorenzo a Nuvolera e le
muliebri figure allegoriche dei pennacchi absidali. Uno
degli esiti migliori della tarda attività scalviniana è rintracciabile nella chiesa del Semetere,25 di modeste dimensioni, attigua alla parrocchiale nuvolerese: lo spazio architettonico scandito in tre agili navatelle risulta
particolarmente congeniale al Nostro, che sospende
nello spazio delle volte a crociera laterali e del cupolino centrale figure di assoluta lievità. L’Intercessione della
Vergine Immacolata per le anime del Purgatorio (fig. 17), sulla parete di fondo, sembra addirittura un intervento
precedente di circa un decennio, tanto la Madonna denota un’affinità disegnativa con l’Immacolata, datata
1778, nella Parrocchiale di Sant’Apollonio Vescovo a
Pezzaze,26 a sua volta esemplata sul soggetto affrescato in età giovanile in San Bartolomeo di Magno.27
nia e la coerenza compositive che connotano le opere
eseguite in spazi più raccolti 23 e compie alcune evidenti mende morfologiche, allungando le figure o ritraendole in manierate posizioni.24 Il pittore, ormai settantenne e sicuramente a capo di un’organizzata bottega,
replica i propri soggetti facendo uso dei medesimi cartoni preparatori in modo da ottimizzare i tempi e far
fronte a commissioni che provenivano da tutto il territorio: così l’Assunzione della Vergine di Borgosatollo eseguita nel 1782, quattro anni dopo è riproposta identica
a Nuvolera; ancora la Deposizione dalla Croce nella lunetta absidale della medesima Parrocchiale di Borgosatollo è l’esatta copia del soggetto realizzato nella Parrocchiale di San Silvestro di Comero (Valsabbia).
Lo Scalvini recupera la sua verve pittorica di matrice
barocchetta solo su limitate porzioni di intonaco: si
vedano quindi i due concerti angelici (fig. 16) eseguiti
23
Si vedano ad esempio le pitture in San Bartolomeo a Gardone V. T., nel Santuario della Calvarola di Collebeato, in San Gaetano a Brescia.
24 Il modulo posturale allungato delle figure diventa una marca stilistica costante nelle opere dell’ultimo decennio di attività del pittore, rintraccibile anche nelle pale d’altare: si veda ad esempio il San Gaetano con il Bambin Gesù e l’angelo nella chiesa di San Rocco ad Ombriano
di Marmentino. La critica ha percepito in questi ‘rigidi allungamenti’ un sapore neoclassico (S. GUERRINI, 1998, p. 102)
25 C. BODEI, 1992, p. 135; R. BARTOLETTI, 2006, p. 27
26 S. GUERRINI, 1998, p. 100
27 In margine all’intervento sul pittore vorrei sottolineare come la disamina del suo corpus pittorico porta inevitabilmente a valorizzare la
sua attività come freschista, sia per la ricchezza produttiva, sia perché in essa sono più evidenti le cifre stilistiche che connoteranno, la
sua ampia attività; eppure altrettanto importante è lo studio delle pale d’altare, dove le istanze del barocchetto lombardo si contaminano
più profondamente con altri indirizzi stilistici. Nelle pagine precedenti sono state citate alcune pale giovanili di area triumplina, a testimonianza della partenza accademizzante
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Figura 1 - F. Cairo, Annunciazione, quarto decennio del XVIII secolo, Nuvolera
Figura 2 - P. Scalvini, Gli Evangelisti attorno al sepolcro della Vergine, lunetta absidale, 1739, Collebeato,
Santuario della Madonna della Calvarola
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Figura 3
P. Scalvini, Quadratura, altare laterale dell’aula, 1749,
Collebeato, Santuario della Madonna della Calvarola
Figura 4 - P. Scalvini, Cristo in cielo con San Gaetano in gloria e la Virtù che mettono in fuga il demonio, soffitto della sacrestia,
1750 ca. Brescia, Chiesa di San Gaetano
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Figura 5
P. Scalvini, Quadratura (particolare),
volta del salone a mattina, 1755-60 ca.,
Villa Mazzucchelli, Ciliverghe di Mazzano
Figura 6
P. Scalvini, Quadratura (particolare),
volta dello scalone, 1763 ca.,
Palazzo Cadeo Martinengo, Travagliato
Figura 7
P. Scalvini, Quadratura, incisione tratta
da Rime, dedicate alla S.R.M. di Carlo Emanuele
di Sardegna edita in Brescia
da Gianmaria Rizzardi nel 1755
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Figura 8 - P. Scalvini, Madonna con Bambino e i Santi Gregorio Magno, Sebastiano, Rocco e Gaetano da Thiene, 1746,
Museo Diocesano di Brescia (ex Chiesa dei Disciplini di Borno)
Figura 9 - P. Scalvini, Gloria degli Apostoli, volta del coro, soffitto dello studio adiacente al salone a mattina 1750,
Chiesa di San Gaetano, Brescia
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Figura 11 - P. Scalvini, P. Scalvini,
Uccisione di Tebaldo Brusato (particolare),
soffitto dello studio adiacente al salone
a mattina, 1746 ca., Ciliverghe di Mazzano
Figura 10 - P. Scalvini, Uccisione di Tebaldo Brusato, soffitto dello studio
adiacente al salone a mattina, 1746 ca., Ciliverghe di Mazzano
Figura 12 - P. Scalvini, L’alleanza di Brescia con Roma contro Annibale, volta del salone a mattina, 1755-60 ca.,
Villa Mazzucchelli, Ciliverghe di Mazzano
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Figura 13 - P. Scalvini, I Santi Pietro e Paolo davanti all’imperatore Nerone, volta della sacrestia, 1767,
chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo, Castrezzato
Figura 14 - Scalvini, Scena galante,
parete laterale dello scalone, 1776-1778 ca., Palazzo Soncini, Brescia
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Figura 15 - P. Scalvini, Scena galante
(particolare), parete laterale dello scalone,
1778 ca., Palazzo Soncini, Brescia
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Figura 16 - P. Scalvini, Apoteosi di San Lorenzo (particolare), cupola centrale, 1786,
chiesa parrocchiale di San Lorenzo Martire, Nuvolera
Figura 17 - P. Scalvini, Madonna del Suffragio, parete di fondo, ante 1786, chiesa del Semetere, Nuvolera
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III. PALAZZI S ETTECENTESCHI A
C ASTENEDOLO : A LCUNE C ONSIDERAZIONI
Il fervore decorativo che connota Brescia settecentesca è
in stretto rapporto con lo straordinario sviluppo architettonico che arricchisce il tessuto urbano di scenografici
edifici civili e religiosi. Questo rinnovamento costruttivo
non fu certo dettato da una mera esigenza di esteriorità,
ma è da associarsi ai nuovi ‘comportamenti’ culturali di
spirito illuminista: si sviluppano le Accademie, diversificate per ambiti di studi e veicoli di trasmissione sociale
delle conoscenze, le chiese si arricchiscono di cappelle
musicali, l’attività teatrale si svolge intensamente, la nobiltà bresciana è sempre più propensa a creare occasioni di
trattenimenti per conversare su argomenti culturali o organizzare vere e proprie rappresentazioni teatrali.1
L’assetto urbanistico di Brescia, per così dire, si uniforma a questa temperie intellettuale, configurandosi
nelle forme di un elegante salotto letterario.
Anche il territorio circostante la città ricerca la propria
rappresentatività, rivendicando non solo un ruolo produttivo ma anche una propria fisionomia culturale.
Quei centri di provincia che vedono la presenza di ricche e munifiche famiglie sono allora investiti da cantieri edilizi sia religiosi sia civili, rivaleggiando in grandiosità con le costruzioni cittadine.2
Castenedolo è sicuramente uno degli esempi più notevoli di paese a vocazione agricola che nel Settecento mutò
profondamente la propria identità territoriale, venendo
eletto sede di numerose ed eleganti dimore nobiliari.
Tali edifici, la cui realizzazione spesso fu affidata a nomi di spicco nel circuito bresciano, sono il risultato di
ampliamenti o di completi rifacimenti di preesistenti
costruzioni, per rispondere alle nuove esigenze di agio
e di decoro della nobiltà.
Altrettanto significative sono gli originari apparati decorativi plastico-pittorici che si conservano all’interno di que-
ste dimore, testimonianze, in alcuni casi inedite, inquadrabili fra il settimo e il nono decennio del XVIII secolo. I
soggetti sono a carattere mitologico o svagate illustrazioni della vita in villa come in Palazzo Archetti a Santa Giustina, di seguito descritto. Fra gli artisti chiamati a realizzare queste opere, oltre alla presenza certa di Pietro Scalvini
in Palazzo Provaglio, individuo un pittore albriciano in alcune sale del medesimo edificio, lo stesso Enrico Albrici
nella Cappella del Patrocinio di Villa Fanti, uno pseudo
carloniano nella Sala della Caccia in Palazzo Stanga, la cui
mano ravviso anche in Palazzo Gerardi a Lonato.3
Degna di nota è ugualmente la presenza in Palazzo
Provaglio di un affermato stuccatore bresciano, Cristoforo Negri, attivo in città in numerosi edifici fra cui
Palazzo Fenaroli già Uggeri e Palazzo Soncini.
I sopralluoghi compiuti negli edifici hanno permesso
inoltre di individuare una serie di decorazioni a tempera di epoca ottocentesca, attribuibili tutte alla medesima mano: le pitture di carattere puramente ornamentale raffigurano medaglioni con inserti paesaggistici,
fregi con stemmi o busti di figure, finte tappezzerie.4
Infine, al primo quarto dell’Ottocento, risale la decorazione della volta a botte del salone in Villa Fanti, di
chiara ispirazione neoclassica ascrivibile alla mano di
Giuseppe Teosa, in quel periodo impegnato nella decorazione della Parrocchiale di San Bartolomeo.
PALAZZO GIÀ ARCHETTI
In località Santa Giustina Giovanni Battista Marchetti
operò a più riprese fra il terzo e il quinto decennio del
Settecento nella costruzione del palazzo e della cascina
Archetti5 e gli succedette il figlio, l’abate Antonio Mar-
1
Vivo centro culturale in questo senso fu Palazzo Uggeri, situato di fronte alla chiesa della Pace (D. ROSSATO, 1981, p. 112)
R. BOSCHI, 1985, p. 90
3 R. BARTOLETTI, 2007, pp. 75-79
4 Ho individuato questi interventi pittorici in Palazzo Boschi, Palazzo Geroldi, Villa Fanti e nella Sala del Consiglio Pastorale della Casa Canonica
5 F. LECHI, 1973, vol. VII, pp. 295-300; C. PEROGALLI, 1985, p. 273
2
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Al complesso di Santa Giustina, ricco di testimonianze
artistiche e architettoniche anche nei corpi rustici, come
il bel portale architravato concluso da volute eccentriche
del cascinale nord-est, è annessa l’omonima chiesa progettata nelle attuali forme dall’abate Antonio Marchetti
(autore a Brescia di Palazzo Uggeri via Pace, 17), su commissione di Carlo Archetti; ma è ancora Antonio che si
impegnò nel suo rinnovamento decorativo all’inizio degli
anni Ottanta del Settecento come recita la lapide in facciata. Il prospetto esterno, affiancato da due campanili,
presenta un doppio ordine di lesene con timpano triangolare sormontato dalle statue acroteriali di San Pietro e
Santa Giustina; il portale d’accesso è costituito da una
mostra architravata conclusa anch’essa da timpano.
L’interno, ad aula unica, è coperto da cupola impostata su
pennacchi, mentre l’area presbiteriale è voltata a botte.
L’edificio versa in forte degrado ed è stato spogliato dei
beni mobili, tranne i banchi dei fedeli e gli scranni del coro malamente depositati lungo i lati dell’edificio; si conservano le figure affrescate degli Evangelisti nei pennacchi
della cupola (risalenti all’ottavo decennio del ’700), gli
stucchi dei capitelli e l’altare absidale, pregevole per il paliotto con motivi a racemi floreali eseguiti a commesso
marmoreo e l’ovale centrale recante la figura di Santa
Giustina in madreperla.
chetti, a cui è ascrivibile anche il progetto di Palazzo Longhena a Capodimonte. Il complesso di Santa Giustina,6 in
origine appartenente alla potente famiglia Rodengo, fu
acquistato da Carlo Archetti e ampliato dal figlio Giovan
Pietro; successivamente fu eletto a sede di esilio volontario da parte di Giovanni Antonio, per gravi dissapori con
i fratelli. Fulcro edilizio è la villa padronale. La sua organizzazione architettonica ricorda un altro edificio castenedolese, Palazzo Boschi, con portico a pianterreno e sequenza di finestre architravate al piano nobile; ma, a differenza dell’altra residenza, in Santa Giustina il portico è
chiuso da due corpi pieni con luci a cornice bugnata e
lungo il sottotetto corre una fila di finestrelle rettangolari. Degni di interesse sono i due ambienti attigui a pianterreno, la caminada con decorazioni floreali in stucco
dorato e la sala da pranzo, purtroppo da tempo ridotta a
deposito, con copertura a volta (fig. 1) e quattro unghioni
agli angoli, cinque porte d’accesso e una pregevole mostra di camino sagomata con specchiature marmoree in
verde antico. La decorazione della sala è completata da
applicazioni in stucco policromo eseguite sulla copertura
e le pareti. L’intervento fu commissionato da Antonio
Marchetti fra il 1766 e il 1775, come testimoniano le iscrizioni sui montanti del camino e sull’architrave della porta di fondo della sala, non solo per fini estetici, ma, si può
ipotizzare, anche per rendere più tollerabile la condizione di ‘esule in casa propria’ (EXUL DOMOIA).
Sulle pareti si dispongono riquadri di varie dimensioni, contenenti cornici curvilinee a cui si appoggiano
serti floreali, oppure tralci di vite; la volta ospita meandri vegetali che inquadrano fiori (fig. 2). Attorno a tali
scomparti si dispongono in ordine sparso piccole figure umane, occupate in ozi e attività campestri (fig. 3).
Questo ‘capriccio’ decorativo, forse un unicum nella
nostra provincia, è la chiara esaltazione della vita in villa che proprio nel corso del XVIII secolo si stava ampiamente affermando. Cartelle e cornici in stucco sono ripetute anche sulle volte a crociera del portico.
6
7
VILLA FANTI
Sul lato meridionale del paese, in via Garibaldi, sorge
il complesso edilizio di Villa Fanti,7 sottoposto a vincolo di tutela ai sensi dei Decreti Ministeriali 11 ottobre 1980 e 20 dicembre 1957.
Il prospetto esterno presenta, a mattina, un’ala secentesca, priva di qualsiasi decoro, mentre il corpo principale
risale alla fine del quinto decennio del Settecento. La sua
facciata adotta soluzioni già neoclassiche ed è organizzata su due distinti registri: quello inferiore è a bugnato li-
sottoposto a vincolo di tutela ai sensi del Decreto Ministeriale 30 giugno 1993.
F. LECHI, 1973, vol. VII, pp. 301-303; C. PEROGALLI, 1985, p. 268
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ca, si conservano due ritratti a mezza figura di esponenti
della famiglia: rispettivamente Marco, professore di chimica e farmacia e della consorte Isabella Bonini; entrambi i
ritratti furono eseguiti nel 1783 dal pittore Mazzoleni.
La cappella del Patrocinio8 custodisce le originarie pitture
eseguite attorno alla metà del XVIII secolo: sui pennacchi
della cupola dell’aula (fig. 4) si osservano i quattro Evangelisti eseguiti a monocromo entro eleganti cornici in
stucco (fig. 5); mentre i pennacchi della cupola presbiteriale ospitano Angioletti con i simboli della Passione. Lo scrivente
attribuisce gli affreschi alla mano di Enrico Albrici (Vilminore di Scalve 1714 - Bergamo 1775), per le stringenti
analogie fisionomiche con alcuni personaggi albriciani: in
particolare gli Evangelisti Matteo, Marco e Luca nel corruccio delle loro espressioni sembrano esemplati su figure di vegliardi ricorrenti in pitture del bergamasco (si confrontino in particolare con la tela in Santa Maria dei Miracoli a Brescia, raffigurante La parabola del Fariseo e del Pubblicano9). L’intervento è inquadrabile alla metà del Settecento.
Sulla parete di destra del presbiterio è collocata una lapide
documentaria che ricorda il riconoscimento dello ius patronato sulla cappella a Pietro Bonalda nel 1748.
scio con un semplice portale al centro a tutto sesto, affiancato da sei finestre, tre per lato, sormontate da semilunette; il registro superiore è occupato da sette finestre
con cornice in aggetto. Il lato a sera della villa è concluso
dall’oratorio privato, dedicato alla Madonna del Patrocinio e progettato nel 1746 dall’architetto bresciano Domenico Corbellini: la cappella è costituita da due moduli
quadrati, entrambi sormontati da calotte circolari (quella
dell’aula conclusa da lucernario); la facciata, articolata da
quattro lesene disposte su alti plinti e dalle concavità laterali, presenta al centro un portale architravato con timpano triangolare ed è conclusa da un timpano curvilineo
poggiante su un fregio con triglifi.
L’interno di Villa Fanti è costituito da una corte a U
con portico centrale architravato sostenuto da colonne a capitello ionico e due ali porticate con archi sostenuti da pilastri.
L’attuale sistemazione dell’edificio si deve alla famiglia Bonalda, che lo acquisì nel secondo quarto del Settecento,
scarse sono le testimonianze pittoriche settecentesche
conservate nel palazzo, mentre si conservano quasi integralmente le decorazioni a tempera della prima metà del
XIX secolo, commissionate dai proprietari successivi, i Filippini. A quest’epoca risale l’esecuzione della volta a finti
cassettoni con fregio a motivi mitologici dell’ampia sala da
ballo a mattina, affini ai motivi a monocromo eseguiti da
Giuseppe Teosa nella parrocchiale. Attigue al salone sono
quattro salette, due delle quali con volta dipinta. La prima
presenta finti tendaggi raccolti a pacchetto e una cornice
architettonica con piccoli ovali ospitanti busti di personaggi; un secondo ambiente, adibito a sala da pranzo, custodisce invece la copertura decorata a finta tappezzeria e
quattro cornici ovali con soggetti paesaggistici; lungo le
pareti laterali corre invece un fregio con animali e stemmi
gentilizi eseguiti entro cartelle mistilinee.
Nel 1882 la villa fu acquisita dalla famiglia veneta Fanti, trasferitasi a Brescia in età napoleonica; sulla parete di fondo
della sala da ballo, ai lati della mostra di camino neoclassi8
9
PALAZZO STANGA
Il palazzo sito in via XV Giugno apparteneva in origine alla famiglia Alberini, poi passò ai Bettini e infine agli attuali
proprietari Stanga; presenta una zona sotterranea articolata in una sequenza di archi con volte a crociera, che immettono in una sala divisa in due campate, anch’essa chiusa da
basse crociere: l’organizzazione di questi ambienti fa ipotizzare la presenza di una struttura conventuale.
La porzione a piano terra dell’edificio conserva un impianto seicentesco con basse volte e mensoloni di raccordo alle pareti laterali. Nel corso del Settecento non subì trasformazioni degne di nota, se non un parziale arricchimento
decorativo. Proprio all’ottavo decennio del secolo risale
S. GUERRINI, 1978, 5/6, pp. 145, 146
R. STRADIOTTI, 1981, pp. 159, 160
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de al piano nobile la Galleria di Stucchi. Gli altri ambienti del piano primo sono organizzati secondo le esigenze e
le mode del secondo Settecento: accanto al salone da ballo, posto sopra l’avamportico di ingresso, si dispongono
ambienti più piccoli e intimi, come il cabinet e l’alcova o,
ancora, graziosi saloncini per esclusivi ricevimenti conviviali-culturali, come la Sala di Diana e la Sala della Musica.
Interessante è l’ampio ambiente chiuso da una volta a
botte e posto a destra dell’avamportico, comunemente chiamato Sala degli Uccelli per la presenza di stucchi raffiguranti volatili, probabilmente adibita in origina a sala da pranzo.
Il cortile è chiuso sui lati da due fabbricati rustici e prospetta, come accennato, su un giardino a canocchiale così
chiamato per la forma e la profondità: ne guidavano lo
sviluppo due filari di statue e lunghe gallerie di carpini
(queste tuttora esistenti). Il lungo viale è compreso fra una
cancellata a sei pilastri e un arco sormontato da balaustrata con torretta laterale, eco delle ‘gloriette’ austriache: l’intento è quello di educare e razionalizzare lo spazio naturale, rendendolo unitariamente coerente con l’architettura.
La costruzione del palazzo fu voluta da Pietro Longhena, quondam Gerolamo, di cui si conserva un ritratto a mezza figura datato 1754 nel salone al piano
primo, quondam Gerolamo, probabilmente all’inizio
dell’ottavo decennio del XVIII secolo e tradizionalmente si attribuisce il progetto all’abate Marchetti.
Nel fabbricato si riscontrano però preesistenze seicentesche come il rustico corpo a destra della cancellata
appartenenti al complesso edificato circa un secolo
prima da Luigi Longhena, insieme all’oratorio di San
Luigi eretto il 21 giugno del 1679. Un suo ritratto13 era
proprio visibile nella pala dell’altare maggiore della
cappella, tela attualmente collocata nell’avamportico di
ingresso del palazzo (fig. 8).
l’affresco eseguito sulla volta della Sala della Caccia raffigurante Venere e Vulcano (fig. 6) inserito entro uno sfondato inquadrato da una balaustra, scorciata dal sotto in su. Allo
stesso periodo è riferibile il monocromo posto sopra la
mostra di camino, raffigurante la Fucina di Vulcano (fig. 7).
Le due pitture vanno riferite alla mano del medesimo artista, che in Palazzo Gerardi a Lonato10 esegue le pitture murali sulle volte e per il quale non propongo l’identificazione con Pietro Scalvini, come da altri proposto.11 Piuttosto
individuo nell’artista una personalità autonoma, formatosi
nella cerchia carloniana e pienamente aggiornato sul linguaggio rococò, diffuso a Brescia dall’intelvese.
PALAZZO PROVAGLIO GIÀ LONGHENA
In frazione Capodimonte si conserva uno degli esempi
più felici di villa del Settecento Bresciano: Palazzo Provaglio già Longhena.12 Il complesso, nella semplicità
delle linee, si integra al meglio con il contesto paesaggistico circostante e rivela innegabili elementi di rottura e di rinnovamento rispetto ai canoni architettonici
della tradizione locale: la struttura infatti si apre letteralmente agli occhi del visitatore a differenza di altre tipologie di palazzi castenedolesi e, in generale, bresciani, organizzati attorno a una corte interna e chiusi
esternamente da una spoglia cortina muraria.
Il prospetto che affaccia su via Risorgimento costituisce la parte residenziale del complesso e si presenta
asimmetrico, in quanto il fabbricato nella parte a ovest
rimase incompiuto. Sotto il pronao di ingresso si apre
un avamportico che introduce alla scenografica via di
fuga del giardino a cannocchiale.
La facciata interna dell’edificio è connotata dal portico a
tre campate sostenute da colonne binate, a cui corrispon-
10
F. LECHI, 1973, vol. VII, pp. 404, 405; R. BARTOLETTI, 2007/13, pp. 75-79
I. ZANOLINI, 1979, p. 147
12 F. LECHI, 1973, vol. II, pp. 307-314; C. PEROGALLI, 1985, pp. 270-273
13 La tela, databile all’ultimo quarto del XVII secolo, costituiva in origine pala dell’altare maggiore dell’oratorio di San Luigi e, secondo lo
scrivente, è attribuibile a Francesco Paglia.
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Figura 1 - Palazzo già Archetti, volta della sala da pranzo con decorazioni in stucchi policromi, località Santa Giustina
Figura 2 - Palazzo già Archetti, volta della sala da pranzo
con decorazioni in stucchi policromi (particolare),
località Santa Giustina
Figura 3 - Palazzo già Archetti, volta della sala da pranzo
con decorazioni in stucchi policromi (particolare),
località Santa Giustina
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Figura 4 - Villa Fanti, Cappella del Suffragio, volta, Castenedolo
Figura 5 - E. Albrici (attr.), San Marco, pennacchio della volta, metà del XVIII secolo ca.,
Cappella del Suffragio, Villa Fanti, Castenedolo
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Figura 6 - Pittore pseudo carloniano, Venere e Vulcano, soffitto della Sala della Caccia,
ottavo decennio del XVIII secolo, Palazzo Stanga, Castenedolo
Figura 7 - Pittore pseudo carloniano, La fucina di Vulcano, parete di fondo della Sala della Caccia,
ottavo decennio del XVIII secolo, Palazzo Stanga, Castenedolo
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Figura 8 - F. Paglia (attr.), Madonna in gloria con Bambino, i Santi Carlo Borromeo, Luigi Gonzaga, Francesco d’Assisi, Antonio Abate,
e il committente Luigi Longhena, ultimo quarto del XVII secolo, Palazzo Provaglio già Longhena, Capodimonte
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IV. L’I NTERVENTO DI P IETRO S CALVINI
IN PALAZZO P ROVAGLIO A C APODIPONTE
(C ASTENEDOLO )
Pietro Scalvini intervenne in Palazzo Provaglio attorno
agli anni 1770-1774, decorando tre ambienti del Palazzo:
la cosiddetta Sala degli Uccelli a destra dell’avamportico
di ingresso e i due saloncini contigui alla Galleria degli
Stucchi al piano primo. Il bresciano fu affiancato da un
altro ignoto pittore di impronta albriciana 1 e dallo stuccatore Cristoforo Negri. La decorazione del palazzo si
colloca nell’epoca di maggior apogeo del pittore, si pensi che nello stesso intervallo cronologico Scalvini era impegnato anche in commissioni cittadine (in Palazzo Soncini con lo stesso Negri, nel vicino Palazzo FenaroliFerraroli con il quadraturista Saverio Gandini) e non
(nella chiesa di San Carlo di Gardone Valtrompia2).
In Palazzo Longhena i due pittori collaborano alla decorazione di cinque distinti ambienti: lo Scalvini realizza soggetti a carattere mitologico negli ambienti al piano primo (Diana Cacciatrice ed Apollo Citaredo, figg. 1, 2)
ed uno storico nella Sala degli Uccelli (Caterina Cornaro alla corte di Giacomo II di Lusignano e la Veduta del porto di Famagosta, figg. 3, 4); allo pseudo albriciano spettano le Allegorie della Pittura e della Scienza Astronomica sul
soffitto dell’alcova (fig. 5): la decorazione di questa sala è completata con motivi a cineserie eseguiti sulle pareti laterali e due vedute paesaggistiche entro cartelle a
cartouche (fig. 6) da assegnarsi alla mano scalviniana; nella saletta adiacente il pittore albriciano esegue sul soffitto l’Allegoria dell’Autunno (fig. 7), mentre i monocromi sovraporte raffiguranti la Spremitura e il Trasporto dell’uva è opportuno assegnarli ancora allo Scalvini: è curioso notare come nel primo monocromo (fig. 8) sia
raffigurato un esempio di torchio a stanga, forse lo
stesso che tuttora si conserva nella vicina Cascina Passerini risalente al Seicento e in precarie condizioni
conservative. Allo Scalvini infine assegnerei la quadra-
1
2
3
4
tura prospettica eseguita sulla volta della scala di accesso al piano nobile.
Le scene pittoriche sono completate dalla decorazione
plastica eseguita dal Negri, che plasma i suoi stucchi a
ideale prosecuzione delle iconografie dipinte. Così orna le paraste dell’arco dell’alcova con Simboli delle Scienze e delle Arti; negli ambienti affrescati dallo Scalvini interviene invece con i Simboli della Caccia e della Musica.
Infine il Negri decora come ‘solista’ la Galleria degli
Stucchi con festoni vegetali sulla volta e pannelli sovraporta raffiguranti Trofei o, ancora, motivi vegetali;
sulla volta del salone da ballo realizza infine tralci di vite di gustoso realismo. All’occhio attento del visitatore gli stucchi svelano una ricchezza di particolari e una
perizia esecutiva uniche.
Lo Scalvini esibisce a Capodimonte la sua consueta verve
barocchetta: le figure sono condotte con estrema arguzia
e vivacità disegnativa, tanto che anche i cani setter non
mancano di una propria mimica espressiva; i colori dai
toni chiari e rialzati conferiscono ampia luminosità alle
scene che sono incorniciate dalle caratteristiche quadrature, increspate e guizzanti come onde, a conferire maggior movimento al soggetto pittorico. Tutto è garbato e
aggraziato, i personaggi, spiritosi nei profili, sono fluidi e
liberi nei movimenti, senza presentare quelle forzature o
mende morfologiche, in cui il pittore cade quando costretto a lavorare su superfici più ampie e complesse.
Più complessa è la decorazione del salone a piano terra, chiamato Sala degli Uccelli3 per la presenza di volatili imbalsamati entro nicchie o bacheche in stucco realizzate ancora dal Negri.4 Allo stesso decoratore si deve l’esecuzione dei Trofei posti sopra il camino: fra olifanti, tamburi da guerra, vessilli, si osserva la discreta
presenza del pellicano, simbolo della famiglia Longhe-
Le tangenze con le opere dell’Albrici, che condivise con Scalvini l’alunnato presso il Cairo e lavorò insieme a lui in Valcamonica, sono evidenti, ma è rischioso ascrivergli queste pitture in quanto a questa data risiedeva a Bergamo ed era prossimo alla morte, avvenuta nel 1775
Per l’oratorio di San Carlo Borromeo si veda A. FAPPANI, 1983, vol. I, pp. 66-81; R. BARTOLETTI, 200/11, pp. 39-46
R. BARTOLETTI, 2007/11, p. 45
Lo stuccatore esegue anche i motivi rocaille che corrono a cornice dell’affresco sulla volta, identici ai ‘guizzi’ impiegati nelle quadrature
scalviniane.
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degli ambienti al piano primo il vedutismo, animando gli
scorci paesaggistici con vivaci silhouette: questo genere
pittorico invero risulta congeniale al pittore, ricorrendovi nell’esecuzione della celebre Giostra dell’Anello,5 conservata alla Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia (n.
inv. 277) e in altre commissioni per palazzi nobiliari.6 La
motivazione che portò all’esecuzione di questo episodio
è duplice: da un lato è attestata la notizia di un breve soggiorno di Caterina Cornaro a Castenedolo, in data 4 agosto 1497, in occasione della visita al fratello Giorgio, rettore di Brescia; dall’altra la raffigurazione della regina cipriota e della sua corte potrebbe essere letto come allusivo omaggio all’abile politica estera condotta dalla Serenissima, di cui i Longhena furono sempre fedeli sostenitori,7 costantemente vigile nei confronti della minaccia
turca e non solo, pronta a difendere l’isola di Cipro, in
quanto strategico avamposto sull’Oriente. Non bisogna
dimenticare che, proprio durante la breve reggenza cipriota di Caterina (1472-1489), Venezia stroncò una violenta insurrezione scoppiata sull’isola fomentata da nobili catalani e dall’arcivescovo di Nicosia, che portò alla
destituzione della stessa Caterina e all’istituzione del protettorato veneziano su Cipro.
Insomma, l’intonazione orientaleggiante del salone,
con due busti di mori in stucco policromo, quasi posti
a sua guardia e turbanti in bella mostra nelle parti plastiche e pittoriche, in realtà è da leggersi come allegorica celebrazione della supremazia veneziana sulla temibile potenza turca.8
na. Sulla volta Scalvini realizza una scena a carattere
storico che lo scrivente identifica con Caterina Cornaro
alla corte di Giacomo II di Lusignano.
Caterina Cornaro (Venezia, 25 novembre 1454 – Asolo,
10 luglio 1510), nobildonna veneziana, fu regina di Cipro ed Armenia. Figlia del veneziano Marco Cornaro e
di Fiorenza Crispo, apparteneva a una delle famiglie più
ricche ed influenti della Serenissima, i Corner; prescelta
come consorte del re di Cipro e di Armenia Giacomo II
di Lusignano, si sposò per procura il 30 luglio 1468.
Solo nel 1472 Caterina venne condotta a Cipro, dove a
Famagosta furono celebrate nozze sontuose e l’affresco in esame sembra rappresentare proprio il momento dell’incontro fra la nobildonna e il re alla corte cipriota. Una teoria di eleganti dame ‘sfila’ lungo il perimetro della copertura, invitando il riguardante a partecipare all’ufficialità del momento, sebbene non manchino anche spunti di mondanità e civetteria (si veda la
concitata chiacchera di due dame, fig. 9). Il soggetto è
congeniale allo Scalvini che può esibire preziose ed eleganti fogge d’abiti, esaltando la muliebre grazia delle figure: è quindi evidente il richiamo ad opere che il Nostro realizza in quest’arco cronologico per dimore private bresciane.
Sulla parete destra del salone il bresciano raffigura uno
scalo marittimo (fig. 4), identificabile con il porto di
Famagosta, situato sulla costa orientale di Cipro: forse
la scena rappresenta l’arrivo delle quattro galee che
scortarono Caterina e i maggiorenti veneziani, fra cui
il doge Nicolò Tron, a Cipro.
Scalvini adotta per questo affresco e per le sovraporte
5
La medesima scena viene incisa da Domenico Cagnoni per il volume La giostra dell’anello fatta da cavalieri bresciani di A. Brognoli, edita in
Brescia da G. M. Rizzardi nel 1766 (S. DAMIANI, 1982, p. 43, 44)
6 Laddove le scenografie architettoniche siano particolarmente complesse è ipotizzabile l’intervento di un secondo artista per la loro realizzazione: presumo infatti che l’impianto di Piazza Loggia del dipinto in Pinacoteca sia stato eseguito da quel medesimo Saverio Gandini
che con il Nostro collaborò, limitatamente alle parti architettoniche, nella realizzazione degli inserti paesaggistici in Palazzo Calini a Brescia all’inizio degli anni Ottanta del secolo (M. MONDINI-C.ZANI, 1986/2, pp. 53-62).
7 Già nel 1426 figurano infatti fra i firmatari del patto di unione fra Brescia e Venezia
8 Eppure, a distanza di circa due secoli dalla sua costruzione, la villa di Capodimonte divenne agli inizi del Novecento la prediletta residenza di Feridè Melhamè Selim Pacha Maria, di origine turco-libanese e coniuge del Generale Giovanni Girolamo Romei, figlio di Lucia Longhena.
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Figura 1 - P. Scalvini, Diana cacciatrice, volta della Sala della Caccia, 1770-1774,
Palazzo Provaglio già Longhena, Capodimonte
Figura 2 - P. Scalvini, Apollo Citaredo, volta della Sala della Musica, 1770-1774,
Palazzo Provaglio già Longhena, Capodimonte
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Figura 3 - P. Scalvini, Caterina Cornaro alla corte di Giacomo II di Lusignano, volta del Salone degli Uccelli, 1770-1774,
Palazzo Provaglio già Longhena, Capodimonte
Figura 4 - P. Scalvini, Veduta del porto di Famagosta, parete di destra del Salone degli Uccelli, 1770-1774,
Palazzo Provaglio già Longhena, Capodimonte
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Figura 5 - Pittore albriciano, Allegorie della Pittura e della Scienza Astronomica, soffitto dell’alcova, 1770-1774,
Palazzo Provaglio già Longhena, Capodimonte
Figura 6 - P. Scalvini, Paesaggio,
sovraporta dell’alcova, 1770-1774,
Palazzo Provaglio già Longhena,
Capodimonte
Figura 7 - Pittore albriciano, Allegoria dell’Autunno, saletta adiacente all’alcova,
1770-1774, Palazzo Provaglio già Longhena, Capodimonte
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Figura 8 - P. Scalvini, Spremitura dell’uva con torchio a stanga, sovraporta della saletta adiacente all’alcova, 1770-1774,
Palazzo Provaglio già Longhena, Capodimonte
Figura 9 - P. Scalvini, Caterina Cornaro alla corte di Giacomo II di Lusignano (particolare),
volta del Salone degli Uccelli, 1770-1774, Palazzo Provaglio già Longhena, Capodimonte
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Testi e immagini a cura di:
Riccardo Bartoletti
www.inscenalarte.it [email protected]
In copertina:
P. Scalvini, Caterina Cornaro alla corte di Giacomo II di Lusignano (particolare),
volta del Salone degli Uccelli, 1770-1774, Palazzo Provaglio già Longhena, Capodimonte
In quarta di copertina:
P. Scalvini, Caterina Cornaro alla corte di Giacomo II di Lusignano (particolare),
volta del Salone degli Uccelli, 1770-1774, Palazzo Provaglio già Longhena, Capodimonte
Finito di stampare
nel mese di Settembre 2008
presso la tipografia Ciessegrafica
(Montichiari - BS)
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