una prospettiva storica e culturale del vinile e delle tecniche del

TESI DI DIPLOMA ACCADEMICO DI 1° LIVELLO IN MUSICA ELETTRONICA
(INDIRIZZO TECNICO DI SALA DI REGISTRAZIONE)
UNA PROSPETTIVA STORICA E CULTURALE
DEL VINILE E DELLE TECNICHE DEL
TURNTABLISM
DIPLOMANDO: Alessandro Cosentino
MATRICOLA: 11434
RELATORE: Maestro Giorgio Klauer
Anno Accademico 2014/2015
Introduzione.......................................................................................................................5
Parte I...............................................................................................................................13
Supporti e Strumenti........................................................................................................ 13
1. Cenni storici............................................................................................................ 13
1.1 Evoluzione dei supporti.............................................................................................. 23
2. Disco e Artwork...................................................................................................... 33
2.1 Considerazioni............................................................................................................ 48
3. Valutazione del disco.............................................................................................. 51
3.1 Sigle e legende........................................................................................................... 52
3.3 Dischi rari................................................................................................................... 55
4. Trend di mercato..................................................................................................... 57
4.1 Confronto tra cd e vinile............................................................................................. 59
4.2 Processo di stampa..................................................................................................... 64
4.3 Mastering dedicato al vinile....................................................................................... 65
4.4 Conclusioni................................................................................................................ 66
5. Il giradischi............................................................................................................. 69
5.1 Anatomia dello strumento...........................................................................................69
5.2 Il settaggio.................................................................................................................. 74
6. Il Setup.................................................................................................................... 77
6.1 Il mixer....................................................................................................................... 77
6.2 Disposizioni della console.......................................................................................... 83
6.3 Interfacce sperimentali commerciali........................................................................... 85
6.4 Interfacce sperimentali non commerciali.................................................................... 87
6.5.1 DVS – Digital Vinyl Emulation Systems................................................................. 89
6.5.2 Serato...................................................................................................................... 90
PARTE II..........................................................................................................................95
Il Disc Jockey nella storia................................................................................................95
7. Il Dj nelle radio....................................................................................................... 95
7.1 Il Dj nelle discoteche.......................................................................................... 100
7.1.1 Il Sound System.....................................................................................................102
7.1.2 Disco music........................................................................................................... 105
7.1.3 Il Dj Hip Hop.........................................................................................................109
7.2 Il Dj come produttore..........................................................................................120
8. Uso creativo del giradischi....................................................................................125
8.1 Diffusione delle Battles............................................................................................ 129
8.2 Turntablism.............................................................................................................. 132
8.3 Sistemi di notazione................................................................................................. 137
PARTE III...................................................................................................................... 143
Lo Scratch......................................................................................................................143
9.1 Le basi dello scratch:.......................................................................................... 143
9.2 Equipaggiamento:............................................................................................... 145
9.3 Movimenti base...................................................................................................149
9.4.1 Movimenti della mano..................................................................................... 153
9.4.2 Senza crossfader.................................................................................................... 153
9.4.3 Con il crossfader.................................................................................................... 155
9.5 Ruoli del Disc Jockey......................................................................................... 161
Bibliografia.................................................................................................................... 163
3
4
Introduzione
Nel seguente lavoro ho voluto offrire una panoramica globale dell’utilizzo che è stato
fatto del disco a partire dall’invenzione del fonografo fino ai giorni d’oggi. Ho insistito
sull’aspetto storico al fine di comprendere al meglio l’evoluzione tecnica e sociale dello
strumento, analizzando le conquiste ottenute dai disc jockey come promotori musicali e
re-inventori del mezzo di riproduzione fonografica attraverso il Secolo scorso.
Ritenendo la copertina del vinile un elemento inscindibile dallo stesso e capace di
dare un importante valore aggiunto all’opera musicale, ho dedicato un capitolo al
connubio tra musica ed arti visive nel processo di lavorazione e progettazione
dell’artwork grafico citando alcuni degli artisti fondamentali per il progresso di questa
forma d’arte.
Mi sono dilungato a parlare del dj nell’ambito hip hop perchè è in questo contesto
musicale e culturale che lo strumento di riproduzione è stato manomesso al fine di
soddisfare scopi musicali e funzionali inediti; i produttori di apparecchiature specifiche
si sono confrontati con i dj hip hop per la produzione di macchinari più funzionali ai
loro bisogni; non di meno, la figura del dj all’interno di questo genere musicale si è
andata trasformando progressivamente da quella di promotore musicale a quella di
musicista.
Ho trattato alcuni aspetti tecnici fondamentali, andando a descrivere le parti che
compongono una console da dj e dando istruzioni inerenti al suo utilizzo e
funzionamento. Ho realizzato un breve studio in collaborazione con Dj Keyone per
illustrare l’esecuzione di alcune tecniche usate dai dj: dalle più elementari e
propedeutiche fino alle loro evoluzioni più complesse, mettendo a disposizione
materiale audio e video consultabile.
Ho preso in esame diverse statistiche e inchieste sul trend di mercato della vendita
del disco in vinile risalente agli ultimi anni, approfittandone per esporre il modo nel
quale viene realizzato un LP in termini di stampa e mastering audio dedicato.
5
L’obiettivo della tesi è quello di comprendere il modo in cui uno strumento di
riproduzione sia nato, abbia influito in termini economici e sociali e si sia evoluto per
diventare uno strumento di produzione musicale nuova.
Protagonista di questa trasformazione è il Disc Jockey nelle sue identità di
consumatore, produttore ed esecutore musicale.
La spinta motivazionale è giunta da diversi punti. L’LP è stato il mio primo contatto
con il mondo della musica ed è tutt’oggi il supporto che preferisco. Della figura del
turntablist mi appassiona e incuriosisce dai tempi adolescenziali il profilo
rivoluzionario, la sua dedizione alla pratica, alla sperimentazione e la sua
determinazione nel voler superare i limiti tecnici con l’ingegno e un’attitudine di ricerca
continua.
Ringraziamenti e dediche:
dedico questo lavoro ai miei genitori e a mio fratello Stefano
a Claudia Fede e ai dischi che ascolteremo insieme
a tutti i miei amici più cari
Ringrazio Matteo “Dj Keyone” Rossetto, Mara Stella Nobili, Giulio Natali
il corpo docenti del Conservatorio Pollini
in particolare il relatore Maestro Giorgio Klauer e il Maestro Emanuele Pasqualin
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Il XIX secolo ha conosciuto una spinta tecnologica senza precedenti nella storia
umana. La figura dell’inventore in questo contesto assume un ruolo determinante. Il suo
stereotipo romantico di “artigiano del nuovo secolo” era giustificato dalla sua capacità
di unire alla conoscenza scientifica la volontà di superare i limiti umani.
Finora l’uomo si era rapportato con l’universo cercando di comprenderlo e
catalogandolo attraverso le proprietà fisiche della materia e dei suoi attributi di spazio e
tempo. Il concetto di finito, di “essere”, si contrappone così a quello di “infinito”, di non
essere. La morte è la barriera più estrema da superare e, come avvenne per l’invenzione
della fotografia, anche le nuove tecnologie di fissazione sonora erano state accolte come
strumenti per il prolungamento della memoria.
Il loro impatto fu enorme soprattutto nelle fasce più povere della popolazione, quelle
che non si sarebbero potute permettere di commissionare un ritratto o di partecipare ad
un concerto.
La fotografia è stata colta prima di tutto come uno strumento rivoluzionario in grado
di offrire una ripresa oggettiva della realtà attraverso il suo “occhio imparziale”.
Imparziale proprio perché svincolato dall’interpretazione umana e capace di creare di
per sé un oggetto finito.
A differenza della fotografia, che vedeva nella pittura un suo precedente, la
registrazione sonora si è presentata come un evento totalmente inedito. Non era
l’evoluzione di nessun’altra pratica già esistente. Mentre la fotografia aveva trovato
inizialmente una sua funzione condivisa nella sostituzione della ritrattistica e stava
lentamente ampliando le sue potenzialità, l’invenzione del fonografo non andava
sostituendosi a niente e di conseguenza nessuno ne sentì immediatamente il bisogno.
Tra i vari scopi che lo stesso Edison ha attribuito alla sua invenzione più cara 1 -il
fonografo – i principali erano destinati alla preservazione dei discorsi di personaggi
illustri e alla possibilità di conservare le voci e le ultime parole dei propri cari [Edison
1877]. Forse non a caso la traduzione anglosassone di “disco” è record, che ci richiama
immediatamente alla preziosa funzione di salvare dalla morte i nostri ricordi.
1
Edison il 18 Giugno 1978 nella rivista North American Review stila un decalogo delle funzioni da lui
attribuite al fonografo dedicando alla riproduzione musicale il quarto posto.
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L’invenzione del fonografo ha aperto le porte a un mercato di massa, dove
l’informazione si fonde con l’intrattenimento, con la formazione, con le attività ludiche
e quelle lavorative, fino a permeare ogni aspetto del vivere sociale.
Il contesto è quello della seconda rivoluzione industriale, alle porte del Ventesimo
secolo. Le città iniziano ad espandersi a vista d’occhio e l’affiorare di fabbriche e
impianti produttivi inizia a stravolgere drasticamente il paesaggio sonoro che Schafer
definisce come “cacofonia del ferro” [Schafer 1985].
I rumori scaturiti dalla nuova città industriale sono ben rievocati dallo scrittore Emile
Zola che nel Germinale li descrive con toni drammatici:
« I getti del vapore eruppero con la violenza di cannonate; in un fragore di tempesta le
cinque caldaie si vuotarono, fischiando da far sanguinare le orecchie» [Zola 1885].
La casa e la famiglia iniziano a rappresentare un luogo di rifugio dove il fonografo
diventa lo strumento perfetto per riportare agli individui la perduta armonia dei suoni
ben ordinati. Con la sua diffusione nelle case i consumatori scoprirono un settore della
loro vita che era fino a quel momento sconosciuto. Rispondeva alla necessità sempre
maggiore di uno strumento di evasione privata. La musica diventa per la prima volta
una faccenda intima [Keightley 1996]. Prima del disco la comunicazione musicale era
possibile solo quando esecutore e pubblico erano presenti in un tempo e in un luogo
determinati. La musica viene così liberata dai vincoli di spazio e tempo. Il pubblico, che
ora può essere composto da un solo individuo, stabilisce il momento e il luogo da
dedicare all’ascolto. Inoltre, se prima l’unicità dell’ascolto era vincolata all’esecutore ed
ogni esecuzione era per forza di cose diversa dall’altra, ora il brano suonato non subisce
variazioni da una riproduzione all’altra. Diventa il fruitore colui che interpreta e
determina il senso ultimo di una composizione e non più il suo creatore. I dischi sono la
riproduzione fedele di un evento, una fotografia sonora. Ogni volta che se ne avrà voglia
sarà possibile rivivere quell’evento esattamente come era nel momento in cui è stato
registrato nello studio o nella sala da concerto. Rivivono così avvenimenti passati, morti
ma originali in quanto non replicabili.
La presenza del musicista in un quadro del genere non è più indispensabile. Si è
giunti al paradosso nel quale il disco è percepito come originale e l’esibizione in
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concerto come una sua riproposizione. La rivoluzione è prima di tutto sociale: i nuovi
mezzi di riproduzione permettono di accedere al mondo della musica tutti coloro i quali
non avevano il lusso di poter presenziare all’esecuzione dal vivo. La musica diventa
così democratica abbattendo le disparità sociali.
Questa democratizzazione della musica introduce un’altra conseguenza, come fa
notare Umberto Eco:
«la diffusione del disco porta a uno scoraggiamento progressivo del dilettantismo
musicale. Assistiamo alla scomparsa degli amatori che seguivano piccoli trii o quartetti
dell’esecutore privato come la signorina di buona famiglia che suonava il pianoforte in
casa. La gente ascolta la musica e non impara più a produrla. Cresce sì il livello
generale di alfabetismo culturale, ma quelli che sanno leggere la musica diventano
sempre meno e di conseguenza cresce anche l’analfabetismo musicale. La diffusione del
disco scoraggia le esecuzioni pubbliche di mediocre livello»[Eco 2001].
Se da un lato il disco ci libera dalla messa in scena di esecuzioni scadenti
proponendo solo incisioni di qualità, dall’altro lato incoraggia una certa forma di
pigrizia culturale verso la musica. I nuovi musicisti imparano a suonare riproducendo
quello che sentono nei dischi, parlano una lingua che hanno imparato ad orecchio, senza
conoscerne le regole e senza saperla leggere. Lo spartito diventa superfluo.
Il filosofo Walter Benjamin si dice comunque favorevole al prolificarsi della
fruizione musicale tra coloro che prima ne erano esclusi. E’ innegabile il modo in cui il
grammofono abbia ridefinito l’ascolto, l’ascoltatore e quindi le pratiche culturali legate
all’atto della fruizione musicale. L’opera d’arte è sempre stata riproducibile. Una cosa
fatta dall’uomo è sempre riproducibile dall’uomo. Anche nel caso di una riproduzione
altamente fedele però manca un elemento: il qui ed ora (l’hic et nunc) dell’opera d’arte,
la sua esistenza unica è irripetibile nel luogo in cui si trova. E’ proprio l’hic et nunc
dell’originale a costituire il concetto della sua autenticità. La sala da concerto si sposta
per essere ricollocata nello studio di un amante dell’arte, il coro eseguito in un
auditorium ora può essere ascoltato nella propria stanza. La consistenza intrinseca
dell’opera d’arte è intatta ma lo stesso mezzo della riproduzione tecnica determina una
svalutazione dell’hic et nunc. Per usare le parole di Benjamin « ciò che viene meno è
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quanto può essere riassunto con la nozione di «aura»; e si può dire: ciò che vien meno
nell’epoca della riproducibilità tecnica è l’aura dell’opera d’arte». Ma cos’è l’aura? E’
«l’hic et nunc dell’opera d’arte, la sua esistenza unica e irripetibile nel luogo in cui si
trova».
La decadenza dell’aura «si fonda su due circostanze, entrambe connesse con la
sempre maggiore importanza delle masse nella vita attuale. E cioè: rendere le cose,
spazialmente e umanamente, più vicine è per le masse attuali un’esigenza vivissima,
quanto la tendenza al superamento dell’unicità di qualunque dato mediante la ricezione
della sua riproduzione2». Cambiano così i rapporti tra esecutore ed ascoltatore.
L’interprete non svolge la sua interpretazione direttamente ad un pubblico, quindi perde
la possibilità di adeguare l’esecuzione al pubblico presente. Il pubblico d’altro canto
può esprimere un giudizio senza dover rispondere all’esecutore in persona. Identifica
l’interprete nell’apparecchio.
Nonostante la perdita dell’aura, secondo Benjamin l’accesso alla cultura da parte
delle masse porta con sé un nuovo fermento utile sia all’arte che alle masse.
Aldous Huxley non la pensa allo stesso modo:
«I progressi tecnici hanno portato alla volgarità» sostiene che «la riproducibilità
tecnica e la stampa in rotocalco hanno reso possibile una moltiplicazione illimitata
degli scritti e delle immagini. L’istruzione scolastica generale e gli stipendi
relativamente alti hanno creato un pubblico molto largo che è capace di leggere e che è
in grado di procurarsi oggetti di lettura e materiale illustrativo. Per produrre tutto ciò
si è creata un’importante industria. Ora, però, le doti artistiche sono qualcosa di molto
raro; da ciò consegue che in ogni epoca e in ogni luogo la maggior parte della
produzione artistica è sempre stata scadente. Oggi tuttavia la percentuale degli scarti
nella produzione artistica complessiva è maggiore di quanto sia mai stata…»
[Benjamin 1966].
2
10
Benjamin W. ne “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilit; tecnica. Arte e societ; di massa.”
Il gesto di acquistare un disco implica secondo Adorno tutta una serie di processi di
natura consumistica che portano alla feticizzazione inconscia del supporto stesso.
«Il concetto di gusto – scrive il filosofo - è superato in quanto non c’è più una scelta:
l’esistenza del soggetto stesso, che potrebbe conservare questo gusto, è diventata
problematica quanto, al polo opposto, il diritto alla libertà di una scelta che non gli è
più empiricamente possibile. Per chi si trova accerchiato da merci musicali
standardizzate, valutare è diventata una finzione» [Adorno 1974].
Quando parla di mercificazione dell’arte la sua è una visione assolutamente
compatibile con il pensiero marxista. L’illusione è che l’acquisto di un disco sia la
manifestazione della nostra libertà di scegliere quando nella realtà siamo fortemente
condizionati dall’industria che ci mette nelle mani l’ennesimo feticcio dello
sfruttamento sociale degli individui.
Con uguale pessimismo prosegue:
«la musica leggera alberga nelle brecce del silenzio che si aprono tra gli uomini
deformati dall’ansia, dalla routine e dalla cieca obbedienza. Questa musica viene
percepita solo come uno sfondo sonoro: se nessuno è più in grado di parlare realmente,
nessuno è nemmeno più in grado di ascoltare» [Adorno 1974].
André Millard sostiene che la tecnologia della musica registrata abbia giocato un
ruolo centrale nella diffusione della cultura americana oltremare, perpetuando una sorta
di imperialismo culturale imponendo i costumi della cultura americana su tutte le altre.
Non a caso i Soviet già nel 1928 proibirono l’importazione e la riproduzione in Unione
Sovietica di dischi Jazz americani andando così a ribadire il ruolo politico e l’«effetto di
traino» che questi settori apparentemente neutrali e «leggeri» sanno esercitare sul resto
delle attività umane [Millard 1995].
Politica a parte è vero che da ora in avanti tutta una stirpe di compositori tra i quali
Erik Satie, Edgar Varèse per proseguire fino alla musica concreta di Schaeffer
troveranno nella nuova tecnologia a loro disposizione la possibilità di espandere i propri
confini. Si inaugura quella che Schafer chiama l’era della «schizofonia», cioè
dell’estrapolazione dei suoni dal contesto originario e della loro ritrasmissione
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attraverso il tempo e lo spazio. Citando le sue parole « la rivoluzione industriale
introdusse moltissimi suoni nuovi, che ebbero conseguenze disastrose per molti dei
suoni dell’uomo e della natura, che finirono con l’esserne oscurati» [Schafer 1985].
In molteplici contesti la popolazione è stata incoraggiata a servirsi delle nuove
tecnologie e raramente il progresso della tecnica è stato percepito minaccioso. Nel caso
della musica invece la tendenza è stata quella di opporsi ai progressi tecnologici mentre
si stava creando un’arte autonoma e fiera, capace di svincolarsi dai limiti concertistici.
Un’arte, questa, nascosta dalla stessa industria che l’ha resa possibile, in nome di
un’ideologia e di un senso comune che vuole salvaguardare gli aspetti umani del far
musica e che vedeva le innovazioni come false e falsificanti.
Penso che il concetto benjaminiano di aura sia fortemente attuale. La musica
elettroacustica e la sua (ri)producibilità elettronica offrono oggi la possibilità a chiunque
di creare un prodotto che abbia un’aura. Il suo hic et nunc, al quale è connessa
l’autenticità dell’opera, ritorna dal momento in cui ogni prodotto è qui e lo è ora, in ogni
momento e in ogni parte del mondo. Ecco come la musica oggi può ritrovare la sua
aura.
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Parte I
Supporti e Strumenti
1. Cenni storici
Il prototipo del disco in vinile moderno è stato sviluppato da Emile Berliner nel 1887
in seguito alla sua invenzione per la riproduzione sonora, il grammofono. L’idea di
utilizzare i solchi per riprodurre il suono era già stata utilizzata precedentemente da
Edison nel 1877 quando introdusse il fonografo e i cilindri. Entrambe le invenzioni
hanno un antenato in comune. Quando Berliner nel 1888 presentò il suo grammofono al
Franklin Institute dichiarò che il punto di partenza per lo sviluppo del suo dispositivo di
riproduzione fu il fonautografo, inventato da Edouard-Léon Scott de Martinville nel
1856 [Berliner 1888a]. Nel suo discorso al Franklin Institute, Berliner descrisse con
cura il funzionamento del fonautografo sottolineando le influenze che questo dispositivo
avrebbe avuto sull’invenzione di Edison:
«esso ha lo scopo di registrare le vibrazioni sonore su di un cilindro ruotato a mano e
spostato in avanti per mezzo di una barra filettata. Il cilindro è ricoperto di carta
precedentemente affumicata dalla fiamma di una lampada a petrolio. Uno stilo,
collegato al diaframma, sotto l’influenza delle parole pronunciate all’interno di una
sorta di boccaglio traccia le vibrazioni sonore sulla superficie affumicata» [Berliner
1888b].
Il suono raccolto da questo pseudo “orecchio” veniva trasmesso a delle setole che a
loro volta tracciavano la linea modulata dalle variazioni di pressione dell'aria,
determinando così un’impressione grafica delle onde sonore [Sterne 2003]. Questo,
sosteneva Berliner, sarebbe stato il prototipo per lo sviluppo di invenzioni future come il
fonografo di Edison.
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C’è comunque una differenza sostanziale tra la macchina di Edison e quella di Scott.
Il fonografo di Edison detiene il primato (per lo meno così vuole la versione ufficiale
dei fatti) di essere il primo congegno per la riproduzione udibile del suono. Il
fonautografo di Scott invece si proponeva di rappresentare il suono solo visivamente.
Possiamo dire che aveva fini più legati allo studio dell’acustica dal momento in cui le
vibrazioni tracciate venivano fotografate per poi essere analizzate permettendo di
avvicinarsi allo studio di un nuovo linguaggio. Non vi era l’intenzione di riconvertire
questi tracciati in suono [Horning 2013]. Questa lacuna ha ispirato Edison ad
aggiungere l’inevitabile tassello mancante. Nel fonautografo di Scott l’essere umano era
sia l’autore che l’interprete del messaggio registrato. Con l’invenzione di Edison lo stilo
diventa l’interprete ed uno strumento di scrittura ora è anche in grado di leggere. Un
evento senza precedenti che lo stesso Edison ammette essere stato il frutto di una
scoperta più che di un’invenzione.
Edison ha registrato circa 1093 brevetti e quando gli venne chiesto a quale delle sue
creazioni fosse più legato, esclamò «la mia risposta è che tra tutte le mie invenzioni
quella che preferisco è il fonografo» [Edison 1948]. Dichiarò inoltre che la registrazione
del suono avvenne in seguito ad un inaspettato colpo di fortuna [Millard 1995].
Avvenimento ironico se si considera che dall’altra parte del mondo c’era un uomo che
stava cercando di raggiungere proprio quello scopo. Si tratta del francese Charles Cros,
un poeta e scienziato dilettante che aveva concepito il fonografo leggermente prima di
Edison ma non era riuscito ad ottenere i finanziamenti necessari per lo sviluppo di un
modello funzionante.
Il 30 aprile del 1877 Cros aveva depositato all’Académie des sciences de France una
busta sigillata contenente uno scritto riguardante il «processo di registrazione e
riproduzione dei fenomeni acustici»:
«In generale» diceva Cros «il mio processo consiste nell’ottenere un tracciato dei
movimenti di una membrana vibrante e nell’utilizzo di questo tracciato per riprodurre
gli stessi movimenti - con la loro relativa durata e intensità - nella membrana stessa o
in un’altra adatta a fornire i suoni risultanti da questa serie di movimenti. Un leggero
stilo, connesso al centro della membrana vibrante, termina in un punto su una
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superficie di carta annerita da una fiamma. Questa superficie fa parte di un disco al
quale viene conferito un doppio movimento, rotatorio e progressivo» [Cros 1920].
La prima menzione che ricevette l’articolo di Cros fu in una pubblicazione scritta da
Abbé Lenoir per “la Semaine du clergé”, il 10 ottobre 1877. L’autore in questo scritto si
è mostrato fortemente lungimirante per due aspetti. In primo luogo fu qui che Abbé
Lenoir battezzò l’invenzione di Cros con l’appellativo di “fonografo”. In secondo luogo
ebbe l’intuizione di attribuire a tale dispositivo un utilizzo che prevedesse la
riproduzione musicale:
«per mezzo di questo strumento di cui siamo chiamati ad essere i padrini e vorremmo
battezzare con il nome di “fonografo”, sarà possibile fare fotografie alla voce così
come facciamo già con i volti.. non è una delle cose più curiose che possano essere
immaginate? Sarà possibile sedersi per un po’ ed ascoltare, ad esempio, il cantato di
alcuni brani che hanno reso un cantante famoso attraverso un semplice strumento
chiamato fonografo»[Buick 1927].
Il 3 dicembre 1877 Cros chiese che la sua busta sigillata fosse aperta, letta e resa
pubblica. Mossa forse dettata dai successi che stavano ottenendo gli esperimenti di
Edison in America [Gelatt 1977]. La cronologia dei fatti suggerisce che Edison non
potesse essere a conoscenza del documento di Cros quando iniziò a progettare la sua
macchina.
Le idee che stava esplorando Edison facevano riferimento ad una sorta di
altoparlante per il telefono, una tecnologia finalizzata alla telegrafia automatica e al
modo in cui la Western Union (la compagnia telefonica statunitense) avrebbe potuto
adoperarla. In principio Edison, come Scott, voleva rendere il suono visibile. Mentre
Scott avanzava attraverso un pensiero scientifico, Edison guardava all’aspetto
commerciale. Nel mondo del lavoro, se un oggetto fa risparmiare tempo o soldi e non è
troppo difficile da usare, viene immediatamente adottato. Edison in principio voleva
capire se, e in che modo, la Western Union avrebbe potuto utilizzare il fonografo,
strumento che permetteva alle onde sonore delle chiamate telefoniche di essere catturate
visivamente su una sostanza solida e tradotte in testo. Mentre stava lavorando ad una
macchina il cui scopo era quello di riprodurre dei caratteri morse si rese conto che, se il
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cilindro con la carta veniva fatto ruotare velocemente, si poteva udire un ronzio
indistintamente simile a quello della voce umana [Edison 1888]. Decise allora di
applicare al sistema un diaframma che avrebbe ricevuto le vibrazioni della voce parlata.
Pronunciò la parola “hello” incidendo le vibrazioni della sua voce sul materiale
impressionabile posizionato nel cilindro. Si accorse che da quel momento in poi sarebbe
stato possibile registrare e riprodurre la voce umana attraverso mezzi meccanici ogni
volta che si voleva.
Edison dunque iniziò a focalizzarsi sulla riproduzione meccanica piuttosto che sulla
trascrizione o visualizzazione sonora. Nel suo quaderno degli appunti il 18 giugno 1877
scrive:
«ho appena svolto un esperimento utilizzando un diaframma avente una sezione in
rilievo, premendolo su della carta paraffinata e muovendolo rapidamente. Le vibrazioni
del parlato si sono impresse bene e senza dubbio sarò in grado di incidere e riprodurre
perfettamente la voce umana » [Conot 1979] .
Successivamente modificò la struttura del supporto usando un cilindro di metallo con
avvolto uno strato di carta stagnola 3. La macchina aveva due riproduttori (combinazioni
puntina-diaframma): uno per registrare e uno per ascoltare. Le vibrazioni sonore
venivano incise dalla puntina con una vibrazione\rotazione verticale chiamata “ hill and
dale”. La prima registrazione della storia fu ad opera dello stesso Edison che recitando
“Mary had a little lamb” di fronte a un piccolo numero di assistenti fu il primo essere
umano nella storia a sentire la propria voce all’esterno del suo corpo. «Non sono mai
stato tanto sorpreso in vita mia» commentò successivamente Edison [Edison 1927].
Era il 4 dicembre 1877.
3
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Da cui “Tinfoil Phonograph”
Edison illustra il fonografo agli editori della rivista Scientific America. 15 Marzo 1878 New York
Il primo brevetto per il fonografo gli venne riconosciuto il 19 febbraio 1878 e da quel
momento chiunque avesse voluto mettere piede nel business della riproduzione sonora
avrebbe dovuto ottenere i diritti di produzione o avrebbe dovuto introdurre nuovi
dispositivi brevettandoli. L’invenzione di Edison ancora non aveva uno scopo preciso.
Nel 1877 affermava nel suo quaderno:
«Propongo di applicare il principio del fonografo per fare bambole che parlano,
cantano, piangono e di creare una gamma di suoni da applicare a tutti i tipi di
giocattoli come ad esempio cagnolini, gufi, rettili o a figura di essere umano per indurli
a emettere vari suoni … propongo anche di fare scatole musicali giocattolo che
riproducano diverse canzoni o di impiegare il mio sistema negli orologi per fargli
scandire le ore » [Conot 1979].
Nel 1878 il fonografo stava girando le fiere di America ed Europa presentando alla
gente le sue meraviglie ma nessuna applicazione pratica. Di conseguenza l’interesse per
il fonografo iniziò a calare ed Edison tralasciò la sua invenzione per dedicarsi ad altri
progetti [Gelat 1977]. Fu l’arrivo del grafofono di Bell a risvegliare il suo interesse.
Nel 1880 Alexander Graham Bell vinse il Premio Volta di 10,000 dollari, erogato dal
governo francese per la sua invenzione del telefono. Bell investì il capitale della vincita
nella realizzazione di un laboratorio per ricerche nel campo dell’elettricità applicata
all'acustica, lavorando con il cugino Chichester A. Bell, ingegnere chimico, e lo
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scienziato Charles Sumner Tainter. I loro miglioramenti all’invenzione di Edison
consistevano nell'uso della cera in sostituzione alla carta stagnola e di uno stilo mobile
che poteva incidere il cilindro [Read and Welch 1976]. Queste innovazioni furono
brevettate il 4 Maggio del 1886.
Il mese seguente, l’investitore Jesse Lippincott acquistò i diritti di produzione sia del
grafofono che del fonografo fondando la North American Phonograph. Nonostante le
sue doti commerciali, Lippincott sottovalutò il potenziale che il fonografo avrebbe
potuto avere come strumento di intrattenimento. Per lui si trattava semplicemente di un
dettafono e il suo utilizzo era strettamente connesso all’impiego in ufficio. Ma in quel
settore il fonografo si rivelò un fiasco (troppo costoso e rudimentale). Al termine del
1890 la North American Phonograph andò in bancarotta [Tschmuck 2006].
La Pacific Phonograph Company, che possedeva le licenze di distribuzione del
fonografo di Edison nella costa ovest degli Stati Uniti, fu la precorritrice di quello che
successivamente diventerà il business dei juke box. Già nel 1889, Louis Glass, il
presidente della compagnia, installò sul fonografo una fessura per gettoni e quattro paia
di cuffie, presentando la “scatola musicale” al Royal Saloon di San Francisco 4. Edison
incrementò l'offerta di cilindri destinati all’ intrattenimento, che dopo il 1892 vennero
prodotti in cera marrone [Garofalo 1997]. Generalmente, un annuncio vocale all'inizio
della registrazione ne comunicava il titolo, l'artista, e la compagnia di produzione.
L’emigrato tedesco Emile Berliner percorse una strada diversa e per il suo
grammofono scelse di utilizzare un formato differente. Brevettato nel 1887, il suo
apparecchio utilizzava dei dischi al posto dei cilindri e il suo impiego era finalizzato più
alla riproduzione della musica che al lavoro di ufficio. Non essendo il disco in sé un
dispositivo brevettabile, il brevetto del grammofono si focalizzava sullo sviluppo dei
solchi. Berliner sosteneva che la progressione “hill and dale” di Edison non era ottimale.
Influenzato da Scoot e Cros, Berliner per i suoi dischi decise di usare un movimento
laterale [Berliner 1887].
4
18
“coin-actuated attachment for phonographs”, brevetto US428750 A, registrato il 18 dic 1889
Grammofono di Berliner utilizzato al Franklin Institue. 16 Maggio 1988, Phia.
In origine il disco era costituito da una sottile lamina di zinco ricoperta di cera con
dei solchi che permettevano alla puntina di non vibrare più verticalmente bensì
orizzontalmente.
L’intenzione di destinare il grammofono all’uso domestico ne decretò il successo.
Cavalcando la tendenza che vedeva un aumento nella vendita in quel periodo di beni per
la casa studiò un sistema che ne prevedesse la produzione su larga scala.
Nel marzo del 1888 Berliner era già in grado di eseguire con risultati assai
soddisfacenti le sue prime registrazioni con dei musicisti locali di Washington. Non di
meno, la riproduzione dei dischi contenenti le registrazioni non rappresentava un
problema. Con le vibrazioni dei suoni catturati da un imbuto, una punta d'acciaio
tracciava un solco nel disco (mentre ruotava) ricoperto di un sottilissimo strato di cera
resistente agli acidi; cospargendo poi il supporto di acido nitrico, questo penetrava nei
solchi e attaccava lo zinco. Berliner ottenne così una incisione indiretta per via chimica.
Questi solchi scanalati a seconda dell'intensità della vibrazione dei suono venivano
riprodotti con un altra punta appoggiata al disco. Quando questo ruotava ad una velocità
costante, le vibrazioni si trasmettevano ad un altro imbuto, che diventava così una
tromba di amplificazione [Tschmuck 2006]. Oltre al disco fu lo stesso Berliner a
realizzare il riproduttore, il grammofono. Nel 1895, il suo disco di metallo divenne la
matrice per la stampa di dischi in bachelite fusa per ottenere la produzione di numerose
copie con lo stesso sistema di lettura e funzionanti con lo stesso grammofono, al quale
19
una molla, messa In tensione girando una manovella, dava la rotazione al piatto
contenente il disco. Furono i consumatori a dargli ragione, abbracciando la nuova
scoperta tecnologica portarono la compagnia di Berliner a dichiarare 1 milione di dollari
di guadagno nel 1898 [Tschmuck 2006].
A causa di un susseguirsi di diatribe legali per la contesa delle licenze 5, Emil
Berliner, ormai esausto, cedette la sua compagnia all'ingegnere Eldridge R. Johnson che
nel 1901 ne cambiò definitivamente il nome in Victor Talking Machine Company 6.
Successivi miglioramenti (come l'avvio della produzione di fonografi a motore
elettrico) resero il formato a 78 giri sempre più popolare. La Victor iniziò ad arricchire il
suo catalogo musicale con canzoni, opere liriche e musica classica avviandosi a
diventare l'etichetta discografica più importante all’epoca. L’ampio catalogo musicale e
il brevetto per il sistema di ascolto contribuì a far crescere esponenzialmente le vendite
del grammofono.
Edison cercò di tenere il passo incrementando le potenzialità del fonografo. Diminuì
le dimensioni dei solchi per poter effettuare registrazioni più lunghe e la sua qualità
audio era la migliore presente all’epoca [Tschmuck 2006]. Sui cilindri venne incisa
un'ampia varietà di brani: marce, ballate, inni religiosi, monologhi comici e racconti che
narravano la ricostruzione di eventi storici. Migliorò anche gli aspetti dedicati alla
duplicazione dei cilindri ma non poté far altro che soccombere dinnanzi all’ascesa del
disco. La produzione di cilindri cessò definitivamente nel 1929, l'anno in cui moriva
Emil Berliner, inventore del disco piatto che aveva causato la fine dei cilindri.
E’ curioso sapere che il formato a disco ebbe la meglio sul cilindro non tanto per una
superiorità tecnologica o di qualità di riproduzione ma per una ragione quasi banale: i
sottili dischi di gommalacca si prestavano ad essere conservati più comodamente e in
minor spazio [Silva, Ramello 1999]. La seconda metà dell’Ottocento, con la rivoluzione
industriale, ha conosciuto una crisi strutturale che ha investito svariati settori produttivi.
Il divario fra le attività artigianali e quelle industriali si faceva sempre più grande.
Dietro la spinta di questa nuova dimensione industriale si stava consolidando il
passaggio da forza lavoro a forza capitale. Tutte quelle pratiche che non erano
5
6
20
Faccio riferimento alle contese legali tra la Berliner Gramophone e la concorrente Zonophone
Successivamente RCA-Victor. Nel 1929 acquisì l’etichetta discografica His Master’s Voice
suscettibili di progresso tecnico iniziavano a risentire della concorrenza con le attività la
cui produttività presentava un andamento crescente. La musica, da sempre incentrata sul
lavoro dei singoli individui, ossia i musicisti, era esclusa a priori dal concetto di
“capital intensive” tanto sentito in quel periodo. I più pessimisti iniziavano a vedere
l’estinzione dello spettacolo dal vivo come uno scenario probabile in conseguenza
all’invenzione della riproducibilità sonora [Silva, Ramello 1999]. Mentre si può
rivedere un procedimento industriale automatizzandolo o apportando miglioramenti per
aumentarne la resa, nulla si può fare per aumentare la produttività di un quartetto
d’archi, ne tantomeno dimezzare l’organico di un orchestra senza conseguenze sulla
resa finale.
Con la nuova tecnologia la musica ora diventa un artefatto che può essere riportato
agli schemi produttivi della nuova prassi industriale. La musica viene duplicata,
confezionata e venduta come tutti gli altri prodotti di largo consumo. Può essere
eseguita all’infinito senza gravare sui costi. La registrazione diventa il motore trainante
del mercato discografico della musica e il concerto si trasforma in un avvenimento
accessorio.
Tutti gli strumenti ideati e commercializzati per la registrazione e la riproduzione di
suoni tra il 1877 e il 1925 non si avvalevano del contributo dell’elettricità. Il fonografo,
il grafofono e il grammofono funzionavano tramite l’uso di manovelle o di semplici
meccanismi a molla caricati manualmente. Fu tra il 1924 e il 1925 che l’elettricità fece
il suo ingresso nell’arte della registrazione dei suoni attraverso il microfono, che fino
alla prima metà degli anni venti del secolo scorso era null’altro che una semplice
membrana metallica (diaframma) posta in vibrazione dal moto vibratorio dei suoni che
la urtavano. Con il passare del tempo, grazie al microfono elettrificato, le frequenze
registrabili avevano un estensione che andava dai 100 ai 5000 Hz, permettendo così una
migliore qualità delle registrazioni (specie in merito alla nitidezza dei timbri degli
strumenti registrati). La registrazione elettrica soppiantò le passate tecniche di
registrazione in pochissimo tempo [Bolis 2015].
Nello stesso periodo fa il suo ingresso l’invenzione delle trasmissioni via radio. Se è
vero che la registrazione costituisce la premessa per il mercato della musica, la radio
diventa l’amplificatore di tale organismo economico. Tra il 1920 e il 1930 si ha il
21
passaggio dall’era della registrazione acustica a quella elettrica. Il boom dell’industria
fonografica e di quella radiofonica avvengono contemporaneamente al termine del
primo conflitto mondiale per una serie di cause concomitanti: registrazione, radio e
mutate condizioni socio economiche [Silva, Ramello 1999].
Il legame tra la fonografia e la radio in qualche modo è sempre esistito. Edison stesso
fece il suo debutto professionale nel 1860 come telegrafista; la creazione del fonografo
deriva dagli studi eseguiti per apportare miglioramenti ai suoi strumenti di lavoro.
Ricordiamo che il padre del grafofono era Alexander Graham Bell, colui che costituì le
basi per l’avvento della telefonia. La radio stessa era inizialmente concepita come
«telegrafo senza fili». Ma a differenza del telegrafo, la radio permetteva la trasmissione
da un punto emittente ad un molteplice numero di ricevitori. Anche la radio apparteneva
al mondo delle «macchine parlanti» e nell’arco di poco entrò in competizione con il
grammofono e il fonografo. La popolarità della radio cresceva in modo esponenziale al
punto da mettere in discussone la vita stessa dell’industria fonografica. Era diventata un
prodigio tecnologico e un pezzo di arredamento indispensabile in ogni casa. Con
l’introduzione nell’era della fonografia elettrica ed amplificata i supporti concorrenti
smisero i loro conflitti e si allearono [Silva, Ramello 1999]. Fu il progresso tecnologico
a salvare l’industria fonografica mentre si celebrava il matrimonio tra radio e fonografo.
Dopo le diffidenze iniziali si scoprì il vantaggio nel combinare i due apparecchi. Nel
1923 la Sonora entrò nel nuovo mercato con la sua Sonoradio. L’anno successivo la
compagnia di fonografi Brunswick iniziò a collaborare con la RCA per integrare la
Radiola all’interno del loro fonografo.
Brunswick Empire 360 con RCA Radiola AR-813 integrata. Prodotto nel 1924 costava 650 dollari [Wenaas 2007].
22
1.1 Evoluzione dei supporti
Berliner iniziò a produrre dischi a 78 giri nel 1894. Erano prodotti in gommalacca,
un materiale termoplastico estremamente fragile con una struttura della superficie che
creava notevole fruscio. Possono ricordare alla lontana un piatto di ceramica, data la
loro pesantezza e la fragilità. Un disco a 78 giri da 10” durava poco più di tre minuti ed
in principio era inciso da un solo lato. Il passo verso l’incisione della doppia facciata
avvenne per merito della Columbia che dal 1904 inizio le incisioni dei “Columbia
double disc record”. La loro fragilità richiedeva una cura assai particolare nelle fasi di
trasporto e distribuzione. Gli alti costi derivanti da tutta una serie di accortezze
estremamente complesse e indispensabili impedirono alle piccole aziende la possibilità
di distribuire questi prodotti. Un mercato del genere poteva essere sostenuto solo da
grosse major di distribuzione, che esercitando il loro potere di mercato hanno potuto
tenere alla larga ogni forma di concorrenza.
La prima vera star del 78 giri fu Enrico Caruso che nel 1902 incise 10 arie per
l’astronomica cifra (all’epoca) di 100£. Il genere che per eccellenza ha diffuso il 78 giri
è il Jazz che assieme al Blues si staccava da un sentimentalismo tipico delle canzoni
ottocentesche per offrire una versione più cinica del mondo, più realistica [Tschmuck
2006]. Un altro aspetto fortemente innovativo del Jazz è legato indubbiamente al
movimento corporeo irresistibile che ne provocava l’ascolto su disco. Quasi sempre i
dischi Jazz erano concepiti con la funzione di far ballare le persone, questo fece sì che il
genere divenne immediatamente fautore di un nuovo tipo di fruizione, divertita, della
musica. Prima del Jazz la musica era considerata una forma di intrattenimento, non una
sfida al sistema. Il Jazz dunque fu rivoluzionario sotto più aspetti: nella musica, con i
suoi ritmi sincopati e le armonie innovative; nell’ascolto, con la funzione del ballo; nel
mercato dei dischi, con l’incremento delle vendite dei 78 giri. L’Europa, nonostante
sembrasse apprezzare il nuovo genere, continuò a focalizzarsi sulla produzione di
musica operistica e da camera delineando una differenza tra la produzione europea e
quella americana legata indissolubilmente alla cultura dei due continenti. Si può dire
che a decretare il successo del disco sia stato il Jazz (e viceversa).
23
Il disco, visto come oggetto di intrattenimento, si trasforma in qualcosa che ha un suo
valore culturale e d’uso. Non più un oggetto usa e getta, ma qualcosa che va conservato
e raccolto [Assante 2009]. La copia qui assume per la prima volta il valore
dell’originale, dal momento in cui l’originale, ovvero l’esecuzione dal vivo, non può
essere sempre a disposizione dell’ascoltatore. La Seconda Guerra Mondiale ha avuto un
ruolo fondamentale per la diffusione e la conseguente richiesta sul mercato del disco. I
militari americani portavano con sé, in giro per il mondo, i propri 78 giri esportando e
diffondendo la cultura del disco e della musica Jazz (che si andava lentamente
trasformando da folk a popolare) [Assante 2009].
Durante la guerra, a causa delle intense attività di spionaggio, avanzava la richiesta di
tempi di registrazione più lunghi. I fini bellici spinsero quindi la ricerca tecnologica a
fare un passo in avanti. Dopo due anni di ricerca gli ingegneri della Columbia, guidati
da Peter Goldmark, trovarono una soluzione alla richiesta di un supporto capace di
contenere registrazioni più lunghe. La svolta avvenne introducendo l’impiego di un
nuovo materiale, il vinile, più malleabile e meno fragile. Venne ampliato il diametro di
riproduzione e ridotto il numero dei giri da 78 a 33 1/3 al minuto. Nacque così il
microsolco che introdusse nel mercato una serie di dispositivi specifici per questo nuovo
sistema, come ad esempio puntine più sensibili ai microsolchi e circuiti più sviluppati.
Grazie a questi progressi tecnologici la qualità audio fece un balzo in avanti. Misurata
dal rapporto segnale\rumore si passò dai 30dB di un 78giri ai 50dB potendo inoltre
memorizzare fino a 30 minuti di registrazione per lato [Tschmuck 2006].
L’affermazione dell’LP venne definitivamente sancita da una strategia commerciale ad
opera della Columbia, sotto la direzione di Goldmark. Prima di lanciare sul mercato il
nuovo standard strinse un accordo con la Philco per mettere a disposizione del pubblico
un giradischi economico adatto alla riproduzione del nuovo formato e successivamente
allestì un ampio catalogo di offerta musicale. Fissando così il nuovo standard tutti i
produttori di apparecchi fonografici furono obbligati ad adottare l’innovazione.
Contemporaneamente la concorrente della Columbia, l’RCA-Victor aveva sviluppato un
nuovo supporto di riproduzione, il 45 giri (Extended Play o singolo). Sebbene non fosse
in grado di registrare molto più materiale di un disco in gommalacca a 78 giri la qualità
sonora era nettamente superiore. Nonostante tutte le etichette discografiche più
24
importanti di Europa e Stati Uniti accettarono come standard quello dell’LP, il 45 giri
trovò la sua fortuna nel settore dell’intrattenimento proprio grazie alle sue caratteristiche
fisiche ridotte. Entrambi i supporti di riproduzione vennero quindi adottati come
standard di produzione fonografica, il 45giri per il mercato pop e il 33 giri per repertori
di Jazz e classica [Grillo, Silva 1992].
Nel 1954 le vendite dei 45 giri si impennano grazie alla nascita di nuovo genere
musicale dal successo planetario, duraturo e resistente a tutti i cambi generazionali, il
rock and roll. In un America uscita economicamente illesa dal recente conflitto
mondiale fioriva il consumismo, fenomeno riscontrabile soprattutto tra le nuove
generazioni e la cui manifestazione più diretta era l’acquisto di dischi. I dischi dovevano
essere economici, veloci, dovevano avere copertine colorate e contenere musica più
fresca rispetto a quella che ascoltavano i loro genitori [Abrams 1959]. Il rock ’n’roll
diventò un prodotto squisitamente discografico che vedeva nella radio il suo canale di
diffusione principale. Le registrazioni erano fatte in studio, i 45 giri venivano stampati
copiosamente e le radio li facevano circolare indirizzandone le vendite. Per
economicità, trasportabilità e durata il 45 giri rappresentava il simbolo di una musica
leggera, usa e getta. La stessa copertina, meno sofisticata rispetto quella degli LP, ne
conferiva un valore intrinseco minore. Un 45 giri aveva nella facciata A la hit del
momento e nel lato B un brano secondario (il B Side). Grazie alle sue dimensioni
fisiche ridotte era possibile portare i propri dischi a casa di amici per ballare o ascoltare
musica insieme discutendo del cantante in questione [Assante 2009]. L’ascolto non era
più individuale e casalingo, per la prima volta venne costruito e diffuso, negli anni
Sessanta, il primo mangiadischi portatile (il Philco TPA1). Questi nuovi giradischi
portatili funzionavano a batterie, avevano la forma di una valigetta dai colori più diversi
e avevano al loro interno un altoparlante integrato.
Philco TPA1 (Philco Radio and Television Corp.). Prodotto dal 1955.
25
Il veloce ricambio e l’ascolto sommario attribuito al 45 giri ne fecero lo strumento
ideale per i juke box. Una prima forma rudimentale di juke box fu brevettata nel 1889
da Louis Glass, originario di San Francisco, solo due anni dopo l’invenzione del
fonografo. Il primo esemplare, installato al Palais Royal Saloon, funzionava a gettoni ed
era munito di quattro cuffie per l’ascolto. Il suo aspetto ricorda vagamente le postazioni
per l’ascolto dei cd negli odierni negozi di dischi. Dato il discreto successo che queste
macchine a gettoni stavano riscontrando Glass decise di installarne altre diciotto,
ognuna delle quali incassava circa 1,200 dollari l’anno [Garofalo 1997]. Altre
compagnie di distribuzione fiutarono l’affare installando le “macchine musicali” in
saloon, parchi giochi e nelle sale d’attesa delle stazioni ferroviarie.
Raffigurazione di un "Coin Actuatedt for Phonograph" di Louis Glass presente al Royal Saloon di San Francisco
nel1889.
I juke box iniziarono a diffondersi negli anni Venti, con l’avvento dell’amplificazione
e dei miglioramenti nella qualità di registrazione. Nel 1927 se ne potevano contare 12
mila esemplari sparsi in bar, taverne, caffè e spacci clandestini di tutta America. Durante
la crisi economica della grande depressione, i juke box erano uno strumento
notevolmente vantaggiosi per i gestori dei locali, essendo molto più economici
26
dell’ingaggio di una band. Furono inoltre essenziali per salvare l’industria fonografica
dal fallimento durante la crisi del 1929 quando la vendita dei dischi era precipitata
vertiginosamente. Nel 1936 l’etichetta discografica Decca ne gestiva 150 mila. Nel
1939 il rifornimento dei juke box con i dischi più recenti in commercio costituiva il
60% degli introiti derivanti dalla vendita di dischi. All’inizio della seconda guerra
mondiale il loro numero era salito a 500 mila [Brewster 2014].
Il juke box era anche un prezioso strumento di marketing. Era possibile calcolare il
grado di popolarità di ogni disco in base al numero di volte che questo veniva scelto.
Tale aspetto diede vita alla creazione delle classifiche dei dischi più venduti (la Top40
prende il suo nome dal juke box, che come standard poteva immagazzinare appunto fino
a 40 dischi) [Brewster 2014]. Con tale strumento la programmazione musicale era
affidata al gestore del locale che poteva in questo modo promuovere realtà musicali
locali o generi poco adatti alla radiodiffusione , come il Blues.
Dopo la seconda guerra mondiale il juke box conquistò definitivamente la scena del
mercato estendendo il suo dominio a bar, locali e diner, frequentati da un pubblico
giovanile. Il juke box permetteva di rendere privato uno spazio pubblico facendolo
diventare un surrogato della propria stanza, permettendo la socializzazione attraverso il
ballo e il confronto dei gusti musicali. Diventando un’icona della cultura popolare
americana, il juke box contribuì a delineare e diffondere nel mondo il profilo del
teenager. In una qualche maniera spianò la strada all’avvento del dj automatizzandone il
mestiere ancora prima della sua nascita.
Se la fruizione del 45 giri era destinata all’intrattenimento e al ballo, quella del long
playing a 33 giri si prestava meglio all’ascolto. La durata di un 45 giri vincolava e
limitava le scelte artistiche dei compositori che volevano estendere i loro brani oltre la
durata dei 6 minuti. L’artista che voleva comporre qualcosa di più articolato e
complesso di una singola canzone doveva servirsi di un supporto adeguato a tali scopi.
Con i suoi 50 minuti di riproduzione il 33 giri offriva opportunità compositive inedite
stimolando gli artisti a esplorare nuove forme musicali. Questo concetto è
particolarmente evidente nel caso del rock progressivo dove i musicisti iniziarono a
sfruttare l’intera durata di una facciata rivisitando in chiave moderna i modelli preesistenti come quello della suite o del poema sinfonico. Potevano dedicarsi alla
27
realizzazione di veri e propri concept album, narrazioni musicali il cui percorso si snoda
attraverso brani legati da un filo conduttore, oppure dischi in cui le canzoni non hanno
alcun legame ma messe insieme assumono il valore di un opera, di un percorso
completo che inizia col la prima canzone e termina con l’ultima. L’ascoltatore non
doveva far altro che sedersi e, grazie alle possibilità del nuovo supporto, godersi il
viaggio dall’inizio alla fine senza interruzioni. L’ascolto del 33 giri configurava quindi
un ascolto più riflessivo, dall’estasi del corpo ci si sposta all’estasi della mente.
L’introduzione della stereofonia, ad opera di Alan Blumlein permise un tipo di
ascolto ancora più coinvolgente. Sviluppata negli anni 30 nei laboratori della EMI, la
stereofonia inizia a diffondersi solo nel 1956 ponendo le basi per un ascolto di alta
fedeltà. Con l’avvento della stereofonia vennero fatti passi in avanti anche per le nuove
forme di design dedicate agli hi-fi. Il sistema SK4 di Rams e Gugelot, sviluppato da
Braun nel 1956, presentava due innovazione che sarebbero diventate lo standard
industriale futuro. Per la prima volta gli altoparlanti erano separati e potevano essere
posizionati lontano dal giradischi. Inoltre, il piano su cui poggiava il disco aveva un
coperchio trasparente [Eisenberg 1997].
Citando le parole di Keir Keightley:
«la distribuzione su larga scala dei nuovi giradischi e l’avvento dell’alta fedeltà hanno
fornito all’uomo un’opportunità di autonomia in un habitat che per lui stava
diventando persino più opprimente del posto di lavoro. L’alta fedeltà non è solo
passione per la musica: è anche un hobby. incline a quel «fai da te» che per il maschio
rappresenta, tradizionalmente, una strategia di riappropriazione dello spazio domestico
dominato dalla femmina. L’impianto stereo diventa un’arma nella battaglia dei sessi e i
produttori cercano di differenziare il marketing offrendo alle signore mobili integrati
nei quali «nascondere» una fonte di minaccia» [Keir Keightley 1996].
Dagli anni Sessanta in poi quello dell’ascolto diventa un rito, da svolgere seduti
mentre si contempla l’involucro del disco che ora assume un valore strettamente
vincolato alla musica che contiene.
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Rodgers & Hart – Smash Hits By Thelonious Monk - Monk; 1954; The Beatles- Please Please me;
Rodgers & Hart; 1940; Columbia
Prestige.
1963; Parlophone
The Beatles - Please Please me; The Beatles - Down with the Beatles; The Rolling Stones - The Rolling
1963; Parlophone
1963; Parlophone
Stones; 1964; Decca
The Beatles - Sgt. Pepper's Lonely Just what is that it makes today's The Velvet Underground & Nico;
H e a r t s C l u b B a n d ; 1 9 6 7 ; homes so different, so appealing? 1967; Verve
Parlophone
Richard Hamilton 1956
29
The Velvet Underground & Nico - The Rolling Stones - Sticky Fingers; The Rolling Stones - Love You Live;
White Light/White Heat; 1968; Verve 1971; Rolling Stones Records
1977; Rolling Stones Records
Le Stelle - Dedicato a; 1967; BDS
Bob Dylan - Self Portrait; 1970; The Band - Music from Big Pink;
Columbia
1968; Capitol Records
Joni Mitchell - Clouds; 1969; Joni Michell - Turbulent Indigo; Joni Mitchell - Mingus; 1979;
Reprise Records
1994; Reprise Records
Asylum Records
30
Sex Pistols - Never Mind the Malcolm McLaren - Duck Rock; Patti Smith - Horses; 1975; Arista
Bollocks; 1977; Warner Bros
1983; Charisma Records
Records
Peter Saville - FAC1; The Factory; Joy Division - Unknown Pleasures; Sonic Youth - Dirty ; 1991; DGC
1978
1979; Factory Records
Records
Black Flag - Jealous Again; 1980; Sonic Youth - Goo; 1990; DGC Foo Fighters - One By One; 2002;
SST
Records
RCA Records
31
New Order - Get Ready; 2001; Pink Floyd - Ummagumma; 1969; Pink Floyd - The Dark Side of the
London Records
Capitol Records
Moon; 1973; Capitol Records
Pink Floyd - A Momentary Lapse of Led Zeppelin - Houses of the Holy; 1973; Atlantic Records
Reason; 1987; Columbia Records
Lou Reed - Transformer; 1972; RCA Queen - II; 1974; EMI
Records
32
Iggy Pop e The Stooges - Raw
Power; 1973 Columbia Records
King Crimson - In the Court of the Crimson King; 1969; Atlantic Records
2. Disco e Artwork
Parlare di diverse forme d’arte
è come catalogare le gocce di pioggia:
esse possono diventare fiumi, correnti e oceani
ma sono fatte tutte della stessa sostanza
-DON VAN VLIET
Il design e la fabbricazione delle copertine non erano preoccupazioni primarie per la
nascente industria discografica. Nei primi anni del Novecento la protezione dei dischi
era affidata a buste di carta da pacchi marrone, forate al centro, contenenti annunci
pubblicitari delle case produttrici stampate con caratteri monocromatici neri, blu o
verdi. Si dava maggiore importanza alla colorazione dell'etichetta del disco piuttosto
che al suo confezionamento [McKnight 2000]. Un po' alla volta si iniziò ad illustrare le
copertine dei dischi per dargli una connotazione particolare, come nel caso della
Gramophone Company che nel 1904 distribuì il disco di Nellie Melba in una confezione
contente un suo ritratto. Iniziative di questo genere vennero adottate per tutte le uscite di
musica classica di alto profilo, nelle quali erano raffigurati gli esecutori e nominati i
titoli dei brani registrati,il numero di catalogo e l’etichetta discografica.
33
Altri generi, come ad esempio il Jazz, dovettero attendere fino agli anni Venti per
avere copertine distintive. In principio non erano rappresentati i ritratti degli esecutori
ma vennero stampati disegni e illustrazioni. Questo rifletteva non solo il basso profilo
attribuito alla musica Jazz, ma anche la politica razziale delle compagnie discografiche
di allora [Osborne 2012]. Il primo designer di copertine ad introdurre crediti e
riconoscimenti sulla confezione di un disco fu Alex Steinweiss, direttore artistico per la
US Columbia Phonograph Company dal 1939 al 1954. Nel 1940 riuscì ad ottenere
l’autorizzazione da Edward Wallerstein, l'allora presidente della compagnia, per
illustrare il disco smash song hits di Rodgers and Hart.
Questa pionieristica copertina raffigura l'insegna di un teatro con su scritto
"Columbia Records - Imperial Orch under Rich. Rodgers - Smash Song Hits by Rodgers
and Hart". L'immagine è sovrapposta ad una grafica di linee concentriche arancioni su
sfondo nero. L'idea di Steinweiss non solo rivoluzionò l'approccio al design delle
copertine ma fu importante anche per l'impatto che queste nuove vesti grafiche ebbero
sulle vendite dei dischi.
Inizialmente i clienti potevano scegliere il disco da acquistare consultando un
catalogo nel quale erano elencati i titoli disponibili nel negozio. Il personale, quindi,
prelevava il disco da uno scaffale posto dietro il bancone. I dischi erano allineati
verticalmente e le informazioni si trovavano posizionate nel dorso della confezione.
Dopo le innovazioni grafiche di Steinweiss i dischi vennero disposti in appositi
contenitori al di là del bancone permettendo ai clienti di poter compiere le loro scelte
sfogliando con le mani le nuove copertine sempre più appariscenti. Steinweiss rivisitò la
disposizione degli elementi grafici in base al modo in cui i clienti sfogliavano i dischi.
Iniziò a posizionare nella parte superiore della copertina i dettagli principali, come il
nome dell’artista e il titolo dell’album in modo da agevolare la ricerca dei clienti
[McKnight 2000].
Lo stimolo più importante per il design delle copertine musicali avvenne con
l’introduzione dell’LP. Questo formato offriva ai designer una superficie maggiore sulla
quale operare. Inoltre la quantità di materiale registrato era superiore rispetto ai vecchi
dischi in gommalacca, il ché richiedeva una quantità maggiore di informazioni da
menzionare. La Columbia presto si rese conto che le vecchie confezioni in carta da
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pacchi oltre ad essere antiestetiche rovinavano i delicati microsolchi del nuovo formato.
La compagnia commissionò a Steinweiss la progettazione di un confezionamento
funzionale al nuovo tipo di supporto [Garlick 1997].
Le prime custodie di dischi rispecchiavano le caratteristiche che avevano le copertine
dei libri: un fronte colorato e un retro in bianco e nero; il titolo, il nome dell’autore e la
casa produttrice erano disposte sul fronte accompagnate da una rappresentazione
pittorica adattata al contenuto; nel retro era disponibile una breve descrizione e la foto
dell’autore. In questo modo il fronte della copertina era progettato per avere forte
impatto visivo, mentre il retro aveva funzione informativa.
Quando le grosse compagnie discografiche si resero conto di quanto era importante
l’impatto visivo per i clienti nella scelta di un disco, iniziarono a dare enfasi al lavoro
artistico delle copertine [Hamilton 1998]. I progressi fatti dalla stampa e dalla fotografia
contribuirono a questa trasformazione. L’ingresso del mercato dell’LP era
contemporaneo alle nuove tecniche di stampa e alla fotografia a colori che dal 1950 era
in costante sviluppo.
Le innovazioni musicali del Jazz si riflessero quasi immediatamente anche nel design
artistico delle copertine. Le prime etichette di settore, come la Blue Note o la Prestige,
crearono (per mano di artisti come Reid Miles) un’identità visuale fortemente distintiva.
Nel 1960 Frank Guana disegnò la copertina di Undercurrent per l’artista Bill Evans. Vi
era rappresentata la figura monocromatica di una donna vestita di bianco immersa
nell’acqua. In controtendenza alle consuetudini dell’epoca la copertina era
completamente priva di testo. Questo rappresentava un contrasto evidente in quanto a
beneficiarne non erano immediatamente l’artista o la compagnia discografica. Le
copertine di Reid Miles erano così originali da essere immediatamente riconducibili
all’etichetta di provenienza, la Blue Note, facendole spiccare in mezzo al mucchio delle
altre uscite. Questa forte connotazione stilistica era dunque un subdolo strumento
promozionale a favore della compagnia discografica.
Fu con la diffusione del rock’n’roll e dei suoi derivanti idoli generazionali che
l’estetica delle copertine divenne evidente. Da qui si inizia a vedere come la copertina
degli LP abbia favorito a fomentare un consumo della musica basato sull’immagine. Il
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look e il fascino dei cantanti divenne un fattore determinante per la vendita dei dischi. Il
design delle copertine britanniche di quel periodo era più sviluppato rispetto a quelle
statunitensi. In Inghilterra si aveva una maggiore considerazione per il lavoro artistico
delle copertine, venivano già intese come una forma d’arte vera e propria. In principio
venne ridotta e ri-orientata la parte testuale. Questa evoluzione stilistica si può osservare
confrontando le copertine dei primi due album dei Beatles. Il design del disco di esordio
Please Please Me (Marzo 1963) presenta le caratteristiche tipiche di quel periodo.
Raffigura un ritratto a colori del gruppo con in alto una grossa scritta del loro nome. Il
successo che ottennero con questo lavoro gli permise di avere maggiore controllo sulle
scelte artistiche del loro disco successivo. In With the Beatles (Novembre 1963) la
copertina mostra una drastica riduzione del testo.
Il primo disco dei Rolling Stones, The Rolling Stones (1964) si è spinto ancora oltre.
Questo raffigura una foto della band grande quanto l’intera copertina, per la prima volta
nella storia della musica pop non compare né il nome del gruppo né titoli di alcun
genere se non il logo della compagnia discografica, la Decca. All’epoca della sua uscita
fu considerata una scelta fortemente anti commerciale. Il loro manager, Andrew Loog
Oldham, ideatore del design, era sicuro che la sua idea avrebbe avuto un potenziale di
marketing enorme e infatti la sua creazione stabilì un nuovo paradigma per la
realizzazione grafica delle copertine future.
Se la prima metà degli anni Sessanta fu caratterizzata della rimozione del testo dalle
copertine di musica pop, rendendo l’immagine dei musicisti il fattore di maggiore
importanza, nella seconda metà del decennio si ebbe un’inversione di tendenza. Le foto
delle band venivano completamente rimosse o distorte. Ancora una volta i Beatles
furono pionieri in questo senso. Il successo permise al gruppo di imporre il loro gusto
alla casa discografica, scegliendo e decidendo la propria immagine in modo autonomo
dalle regole di mercato. La copertina di Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band (1967) è
il primo caso nel quale la grafica supera la funzione decorativa, puntando alla
comunicazione diretta tra band e pubblico. Il disco segna un brusco cambiamento
nell'immagine del gruppo che ora si presenta con barbe incolte e baffi, capelli lunghi,
abiti eccentrici e uniformi da circo.
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La lavorazione della grafica venne affidata a Peter Blake, uno dei precursori della
pop art britannica. L'artista era solito lavorare su immagini di musicisti adoperando la
tecnica del collage. Le sue pop star non venivano mai ritratte dal vero, erano
rappresentate attraverso fotografie ritagliate da articoli di media. In questo modo
l’artista proponeva il volto delle celebrità nell’aspetto che il pubblico già conosceva. Per
il set di Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band utilizzò sagome di cartone a grandezza
reale, modellate e dipinte a mano da Jann Haworth più alcune statue di cera provenienti
dal museo di Madame Tussaud. Le silhouette occupavano uno spazio di circa mezzo
metro; davanti, sulla pedana di fronte alla batteria, erano schierati i Beatles in divisa
bandistica. Ad ogni Beatles, Blake chiese di portare alcuni oggetti per loro significativi.
La scelta dei personaggi da inserire nel collage è stata fatta da Blake assieme al gruppo.
fotografie scattate da Michael Cooper (1967) durante la lavorazione della copertina di Sgt Pepper’s Lonely Hearts
Club Band.
La copertina divenne famosa anche per aver dato vita a tutta una serie di studi e
ipotesi sulle possibili interpretazioni di messaggi subliminali contenutivi. Una di queste
riguarda la presunta morte di Paul McCartney in un incidente stradale nel 1966 e vede
nella copertina del disco tutta una serie di indizi nascosi che vorrebbero confermare tale
ipotesi7.
Oltre alla copertina, anche il packaging del disco era innovativo. La busta interna di
carta, nella prima edizione, conteneva due tasche: in una era riposto il vinile, nell'altra
un cartoncino sul quale erano riprodotte le immagini del Sgt. Pepper, un paio di baffi,
7
Indizi presenti anche nelle copertine di lavori futuri come “Abbey Road” (1969)
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alcuni distintivi e dei galloni che potevano essere ritagliati per creare la propria versione
personale.
Blake, oltre alla collaborazione con i Beatles, lavorò con gli Who ( Face Dances,
1981), Pentangle (Sweet Child, 1969), Eric Clapton (24 Nights, 1991), Paul Weller
(Stanley Road, 1995).
I l White Album dei Beatles fa presagire una rottura tra gli elementi del gruppo.
Rappresenta anche l’avvicinamento del gruppo verso l'arte concettuale, in piena sintonia
con l'approccio intellettualistico delle neo-avanguardie. La copertina viene affidata a
Richard Hamilton, quello che da molti è definito l'autore della prima opera pop: Just
what is it that makes today's homes so different, so appealing?. Dopo lunghe trattative,
in completa sintonia con Paul MacCartney, Hamilton decise di realizzare una copertina
completamente bianca con il nome della band impresso a secco in rilievo,
accompagnato da una numerazione a sette cifre su uno sfondo interamente bianco.
I Velvet Underground sono i primi a concepire la musica rock come arte creativa pur
mantenendosi nei binari del rock. Sanno di poter fare avanguardia senza ricorrere ad un
linguaggio elitario pur dimostrando disinteresse per la commercializzazione del
prodotto. Per loro viene coniato il termine art rock [Beatrice 2000].
Il loro primo disco è The Velvet Underground and Nico (1967), famoso per la
raffigurazione della banana gialla. Sulla copertina, progettata da Andy Warhol, non
compare né il nome del gruppo né quello della casa discografica, ma solo la firma
dell'artista. Nella seconda edizione venne aggiunto anche il nome del gruppo. Nella
versione originale, uscita in tiratura limitata, appare la scritta "peel slow and see"
(sbucciare lentamente e osservare): la buccia della banana infatti era adesiva e poteva
essere rimossa rivelando un esplicito frutto color rosa. Andy Warhol, narra la leggenda,
avrebbe voluto che la banana da sbucciare fosse impregnata di LSD [DeRogatis 2009].
La copertina di White Light/White Heat (1968) è ancora una volta ideata da Warhol
ma realizzata da Billy Name, fotografo di punta della sua cerchia di artisti.
Apparentemente nera rivela l'immagine di un teschio su fondo nero, il tatuaggio del
motociclista del film Bike Boy diretto da Warhol nel 1967.
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L'artista ha sempre dimostrato particolare interesse per la musica, testimoniato dalle
cinquanta copertine di dischi realizzate a partire dal 1949 fino alla morte nel 1987. Tra i
dischi da lui illustrati troviamo svariati generi musicali: dalla classica al Jazz, dal pop al
rock, dal soul alla new wave. La passione per le copertine, come spiega lo stesso
Warhol, era incoraggiata dal formato fisico delle confezioni dei vinili: «Mi piace
disegnare sulla forma quadrata perché così non devo decidere qual è il lato lungo e
quello corto» rivela su Filosofia di Andy Warhol [Warhol 1975].
Pubblica la sua prima copertina nel 1949, A Program of Mexican Music, ben prima di
essere famoso, su commissione del MoMA di New York per la Columbia. Lo stesso
anno illustra l'Alexander Nevsky di Prokofiev, successivamente collabora con diversi
musicisti Jazz tra cui Count Basie, Kenny Burrel e Joe Newman o per album di musica
classica di artisti come Chopin, Čajkovskij, Strauss e Mozart. E' inoltre da citare la sua
collaborazione con i Rolling Stones per la realizzazione della copertina di Sticky
Fingers (1971). Qui la cerniera dei jeans raffigurata in primo piano si poteva realmente
aprire con una vera cerniera lampo. Essendo troppo esplicita venne successivamente
sostituita da una versione serigrafata.
Warhol collaborerà ancora con i Rolling Stones per la realizzazione della copertina di
Love You Live (1977) utilizzando un disegno ricavato a partire da ventiquattro Polaroid
nelle quali gli Stones erano immortalati mentre giocano a mordersi. La scritta è opera
dello stesso Mick Jagger, inserita contro la volontà di Warhol.
Grazie alla sua fama, in futuro riuscì ad avere più libertà decisionale sulle copertine
che gli venivano commissionate, permettendosi di eliminare il lettering per lavorare
solo con le immagini, rendendo i suoi lavori più vicini ad opere d'arte vere e proprie.
Lavora alla copertina di The Academy In Peril (1972) di John Cale ed a Silk Electric
(1982) di Diana Ross.
Alla fine degli anni Sessanta il connubio Pop Art-musica si manifesta anche in Italia,
per mezzo di Mario Schifano, secondo il modello iniziato da Andy Warhol. Schifano era
un pittore già affermato a livello internazionale nonché punto di riferimento della
nostrana scena underground.
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La pittura, secondo Schifano, va vista con un occhio contemporaneo, dopo averle
tolto l'aura va presa e gettata nel flusso indistinto di parole, suoni, immagini, che sono la
linfa vitale della cultura del dopoguerra [Beatrice 2010].
Schifano, oltre alla copertina del disco Stereoequipe (1968) degli Equipe 84, si
occupò del lavoro grafico di Dedicato a (1967) del gruppo Le Stelle. Si tratta dell’unico
disco inciso da quella che è stata una delle band protagoniste della stagione psichedelica
italiana. L’album oggi è fortemente conteso dai collezionisti, sia in quanto rarità
discografica, sia per la fotografia, realizzata dallo stesso Schifano, che ritraeva le sue
celebri ‘Stelle’, tra i soggetti più amati dall’artista romano.
Non sono rari i casi di musicisti tanto versatili da curare loro stessi in prima persona i
lavori artistici delle copertine dei propri dischi. Tra questi Bob Dylan confessò di
sentirsi più a suo agio a disegnare e dipingere piuttosto che scrivere canzoni [Beatrice
2000].
Molte delle sue copertine furono realizzate da diversi professionisti del mondo della
fotografia come Jim Marshall, Don Hunstein, Dan Kramer o Jerry Shatzberg. Altre le
realizzò da solo. La più famosa è quella del disco Self Portrait (1970). Si avvicinò al
mondo dell’arte in seguito ad un incidente motociclistico che nel 1966 lo costrinse ad
una lunga immobilità durante la quale frequentò lezioni di pittura da Norman Roeben.
Dylan realizzerà la cover del disco Music From Big Pink dei The Band (1969) e quella
del suo disco Planet Waves (1974).
Anche Joni Mitchell ha dichiarato più volte di essere «una pittrice innanzi tutto»
[Mitchell 1998] , «una pittrice sviata dalle circostanze» [Mitchell 2000].
Disegna la copertina del suo primo album Song To a Seagull (1968), dal carattere
surreale e psichedelico. Da qui in poi realizzerà come grafica, pittrice o fotografa le
copertine di tutti i suoi lavori, insistendo particolarmente sul tema dell’autoritratto: da
Clouds (1969) fino a Travelogue (2002). Clouds, dallo stile vagamente iperrealista,
inaugura il modo in cui la Mitchell guarda alla storia dell’arte, in particolare a quei rari
modelli femminili che sono riusciti ad imporsi. Qui, ad esempio, il fiore che tiene in
mano fa pensare allo stile della famosa pittrice Georgia O’Keeffe. Nella copertina di
Turbolent Indigo (1994) esegue una fedele riproduzione del celebre Autoritratto con
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l’orecchio tagliato di Van Gogh al quale sovrappone il suo volto. L’opera è concepita in
un frangente in cui la critica d’arte ha coniato il termine “ appropriazionismo” per
definire l’utilizzo letterale di fonti preesistenti. Il suo capolavoro però è Mingus (1979),
copertina definita in nota come “audio painting”, dedicata all’amico Charles Mingus
con il quale aveva terminato un lavoro due anni prima del suo decesso. La storia
artistica della Mitchell va al di là delle copertine dei suoi dischi. Ha esposto le sue
opere, disegni, fotografie e dipinti in mostre personali in tutto il mondo.
Nei tardi anni Settanta in Gran Bretagna grazie all’influenza dei Sex Pistols si va
affermando poco alla volta un fenomeno più culturale che musicale: il Punk. Associato
comunemente alla musica il suo immaginario si espande nella grafica, nella moda e
nelle arti visivi diventando un campo di sperimentazione ribelle e iconoclasta
caratterizzato dall’abbandono definitivo dell’accademismo, dallo spirito del “ do it
yourself” ossia l’improvvisarsi nel fare qualsiasi cosa senza una preparazione specifica,
da un’estetica precaria e sporca. Figura di riferimento visuale del Punk è Jamie Reid che
diventerà l’art director dei Sex Pistols, in futuro definito come il designer più irriverente
e politically uncorrect nella storia della musica [Robaski 2013]. Reid è colto, si ispira
all’avanguardia Dadaista, al collage Surrealista, all’attivismo dei Situazionisti e allo
stile della Mail Art. I suoi lavori per i Sex Pistols riguardano la progettazione grafica di
alcuni singoli tratti dal disco Never Mind The Bollocks (1977): Anarchy in The UK, God
Save The Queen, Pretty Vacant.
L’eco di questo nuovo fenomeno culturale raggiunse presto gli Stati Uniti. Qui il
modello britannico venne modificato e messo a punto andando ad affermare ancora una
volta il ruolo di centralità assoluta degli Stati Uniti nei fermenti artistici degli anni
Ottanta. In questo periodo in America emerse una sorta di cortocircuito tra la musica e
l’ambiente delle neo avanguardie artistiche aperte alla comunicazione sociale con il
grande pubblico [Beatrice 2000]. Le ricerche nacquero ancora una volta dal basso degli
ambienti underground. Non si sa se il termine New Wave sia stato inventato da Diego
Cortez nel titolo di una mostra da lui organizzata nel 1980 in una scuola abbandonata
del Queens, ma sicuramente da lì si diffonde. All’evento parteciparono tra gli altri:
Basquiat, Haring, Mapplethorpe, Scharf e Andy Warhol assieme a nuovi graffitari come
Crash, Ali, Dondi, Fab 5 Freddy, Haze, Lady Pink. Questa era la nuova generazione di
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artisti che potevano diventare ricchi e famosi fin dall’esordio. Gli anni Ottanta a New
York si spinsero oltre andando a scegliere i propri miti tra la comunità nera. L’arte qui
aveva scelto la strada, in particolare uno strumento di esposizione mobile: il treno. La
maggior parte della musica in circolazione era nera. La star per eccellenza era JeanMichel Basquiat, capace di portare la sua pittura dalla strada fino alle più importanti
gallerie del mondo, il primo pittore nero riuscito a conquistare il mercato internazionale.
Anche i lavori di Keith Haring hanno rappresentato la cultura di strada a New York e di
un’intera generazione.
Il suo messaggio era semplice:
«Mi è sempre più chiaro che l’arte non è un’attività elitaria riservata
all’apprezzamento di pochi: l’arte è per tutti e questo è il fine a cui voglio lavorare»
[Haring 1996].
Come i suoi contemporanei dj hip hop del Bronx avevano spostato la musica dalle
discoteche alle strade affinché tutti ne potessero fruire, allacciandosi abusivamente alla
rete elettrica tramite i lampioni, Keith Haring fa uscire l’arte dalle gallerie per portarla
in strada. Tra le copertine da lui disegnate, quella per Duck Rock (1983) di Malcolm
McLaren è da considerarsi una vera e propria opera d’arte. Raffigura una radio
modificata per assomigliare ad un sound system portatile. Il mondo della radio era
molto vicino a Keith Haring, che prima di affermarsi come artista era il dj in
un’emittente di Manhattan specializzata in musica hip hop e nera.
Il debutto discografico di Patti Smith, Horses (1975), è firmato da Robert
Mapplethorpe. I due condividevano arte e vita, lei era la sua modella prediletta [Beatrice
2000]. Horses è diventato il simbolo per eccellenza di questo straordinario rapporto
creativo. Ritrae l’immagine della Smith degli esordi: capello corto, camicia bianca con
cravatta slacciata in abito nero. Alla fortuna del disco non è estranea la copertina, uno
dei must nei rapporti tra arti visive e musica del Novecento. La foto è scattata in un
appartamento sulla Quinta Avenue. La stanza, dipinta completamente di bianco e priva
di mobilio, veniva spesso usata da Mapplethorpe come studio fotografico. La casa
discografica avrebbe voluto cambiarle la pettinatura o sistemare in post produzione
alcuni dettagli ma sia il fotografo che la cantante si rifiutarono categoricamente. Patti
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Smith racconta di essersi messa in posa ispirandosi ad un misto tra noncuranza elegante
alla Frank Sinatra e alle attrici esistenzialiste. Prima di lei le donne nel rock si
presentavano nelle formule convenzionali, lei volle rappresentare un nuovo tipo di
persona [Beatrice 2000].
Peter Saville, nato a Manchester, in principio era un grafico appassionato di musica
Punk, impegnato a introdurre nella nuova scena le sue teorie sulla new wave e sulla
“nuova tipografia”, movimento fondato da Jan Tschichold negli anni Venti, dove la
scrittura è definita da esigenze funzionali. Nel 1978 venne assunto per realizzare i
manifesti pubblicitari degli eventi di musica dal vivo del Factory, un locale\etichetta
discografica di Machester nel quale erano soliti esibirsi anche i Joy Division. Saville
creò una locandina che voleva evocare il cartello di “lavori in corso” utilizzato nei
cantieri, su un vistoso sfondo giallo. Sia il locale che l’etichetta mantennero al loro
interno e nelle loro produzioni un’immagine ispirata al mondo dell’industria e del
lavoro, immaginario molto sentito nel tessuto sociale di Manchester. Saville nella
realizzazione delle sue copertine accosta elementi futuristici e costruttivisti a icone di
album storici, soprattutto quelli dei Kraftwerk.
Il personaggio di Saville è fortemente legato al gruppo Joy Divison. Per il loro primo
album, Unknown Pleasure (1979), sceglie come design uno sfondo nero con la
sovrimpressione del diagramma CP1919, una pulsar in procinto di esplodere in
supernova. Non c’è scritto il nome del gruppo, scelta appoggiata dai Joy Division che
avrebbero addirittura voluto una cover interamente bianca contenuta in una busta
completamente nera [Beatrice 2000].
Fin dai loro primi dischi i Sonic Youth ritennero fondamentale l’art cover quasi
quanto la musica. Le loro numerosissime collaborazioni pescano da una serie di artisti
contemporanei che in molti casi conoscono personalmente e frequentano: Richard Kern,
Tony Oursler, Mike Kelly, Patti Smith, Raymond Pettibon, Christian Marclay, Dan
Graham. Alcune delle loro copertine sono destinate a passare alla storia nel rapporto tra
arte e rock. Per Dirty (1991) i Sonic Youth si affidano all’amico Mike Kelley, esponente
di quella che il critico Ralph Rugoff definisce “pathetic art”, volendo indicare un senso
di smarrimento tradotto in opere incerte, realizzate con materiali poveri, di scarto, presi
dall’immondizia, come vecchi peluche, coperte o pezzi di cartone. In questa nuova
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estetica, che coincide con la nascita del grunge, siamo distanti dai trionfalismi degli anni
Ottanta, ora la figura dell’artista assomiglia sempre di più a quella di un fallito, di un
perdente (il famoso looser cantato nell’omonimo brano da Beck).
Per Dirty, Kelly disegna una cover nella quale vengono raffigurati pupazzi sporchi e
consumati, intervallati dall’autoritratto fotografico dell’artista.
Il 1969, l’anno delle rivolte al Greenwich Village e della disco di Francis Grasso fu
un anno chiave. L’anno dello sbarco sulla luna e della fine improvvisa di tutte le utopie
sessantottine. L’anno in cui vennero assassinati il senatore Robert Kennedy e il leader
nero Martin Luther King, in cui si andava intensificando la guerra in Vietnam. L’anno in
cui Charles Manson e i suoi seguaci terrorizzarono Hollywood 8. Manson è visto da
alcuni artisti dell’epoca come un eroe incompreso della rivoluzione, simbolo della morte
dell’era Hippie, precursore dell’ideologia Punk. Il grafico Frank Kozik sostiene:
«Il punk rock si basa sul rifiuto di ogni regola e sul fatto che puoi costruirti da solo la
tua cultura. Manson fece tutto questo» [Kozik 1994].
Manson continua ad essere un’icona dell’underground americano e lo dimostrano i
tributi che gli hanno reso nel corso degli anni molte band celebri. I Sonic Youth
esplorarono il suo mondo in Death Valley ’69 (1985), i Guns n’Roses incisero una cover
della sua Look At Your Game Girl, il leader dei Nine Inch Nails affittò la casa di Bel Air
in cui avvenne il massacro per trasformarla in uno studio di registrazione. Infine
Manson ispira molti artisti visivi tra cui Raymond Pettibon. Disegnatore raffinato,
Pettibon mette in scena tutto ciò che di oscuro si nasconde dietro la facciata spensierata
del Pop e del Flower Power. Manson è, per l’appunto, uno dei suoi eroi. Disegna spesso
figure con le sembianze sue e dei suoi seguaci, rappresentati con il segno X della
Famiglia sulla fronte. Usa una tecnica per la quale alcuni elementi vengono ripetuti in
diverse illustrazioni conferendo ad ogni immagine un significato diverso a seconda delle
situazioni. Pettibon è il disegnatore di punta dell’etichetta SST, per la quale produce
copertine, flyer e libretti illustrati. Il suo stile consiste nel simulare il taglio di un
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Il 10 agosto 1969 vennero ritrovati in una villa di Bel Air a Los Angeles i corpi di 5 persone (tra cui
quello di Sharon Tate, moglie del regista Roman Polanski, incinta di 8 mesi. Il giorno successivo
venne ritrovata un’altra coppia brutalmente uccisa con modalit; analoghe. Gli autori di entrambi i
massacri furono Charles Manson e la “family”, una comunit; di hippie di cui era il leader.
fotogramma da una storia più lunga, e le immagini, che non sono realizzate
appositamente ma provengono dall’ampio archivio di cui dispone, finiscono per
diventare la colonna sonora della musica di gruppi come i Black Flag e i Minutemen.
Esempi sono: Jealous Again (1980), Everything Went Black (1982) e My War (1984) dei
Black Flag; Goo (1990) per i Sonic Youth e One By One (2002) per i Foo Fighters.
Quello di Pettibon è senz’altro il cuore nero dell’America.
Avvicinandoci agli anni Ottanta ci troviamo sempre più spesso in presenza di artisti
che scelgono la fotografia come un mezzo d’espressione. Ciò che distingue un artista da
un tecnico è il piegare il mezzo alle proprie esigenze estetiche e il non vedere nel mezzo
stesso un limite o una costrizione.
Il rapporto tra fotografia e rock si basa
principalmente sul ritratto. Da quando esiste, il ritratto fotografico, non si è mai limitato
ad immortalare le virtù di un individuo o coglierne significativi aspetti psicologici. I
ritratti possono divenire testimoni di un tempo e di un gusto, di stili di vita e abitudini
che sembrano comunicare più cose su chi scatta la fotografia piuttosto che su chi sta in
posa. Negli ultimi decenni la fotografia di ritratto ha avuto tanto successo da creare una
nuova categoria a metà strada tra la fotografia ortodossa e quella artistica. La lista di
fotografi e artisti-fotografi che hanno guardato alla musica è lunga: Herb Ritts, Richard
Avedon, Annie Leibowitz, Irving Penn e Bruce Weber.
Il fotografo Anton Corbijn ha realizzato almeno una cinquantina di cover: per
Captain Beefheart Ice Cream For Crow (1982), per Morrissey Viva Hate (1988), per
Nick Cave Henry’s Dream (1992), per i Rem Automatic For The People (1991), sono
sue le foto all’interno di Load (1996) dei Metallica, per Devils & Dust (2005) di Bruce
Springsteen e tanti altri.
Gli anni Novanta segnano il definitivo ingresso della fotografia nell’olimpo dell’arte.
La nuova estetica si rifà al concetto di Snapshot, ovvero di istantanea, l’esatto contrario
dello scatto frutto di lunghe pose in studio. E’ un immagine caratterizzata da uno stile
realista, sporco e sgranato; non richiede particolari abilità né attrezzatura costosa. Uno
dei maggiori esponenti di questa corrente è Juergen Teller. Teller ha lavorato con artisti
come Bjork, Isabelle Huppert, Elton John, Charlotte Rampling. Ha realizzato la foto per
la copertina del disco Get Ready (2001) dei New Order, si tratta di un ritratto in bianco e
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nero, attraversato da una linea rossa, raffigurante un ragazzo che tiene in mano una
videocamera digitale.
Secondo molti Thorgerson è stato il sesto membro dei Pink Floyd: non ha suonato
strumenti, ma ha avuto un ruolo essenziale nell’ideare l’immagine della band. Da A
Sauceful of Secrets (1968) in poi, ha disegnato quasi tutte le loro copertine. Thorgerson
fondò lo studio Hipgnosis alla fine degli anni Sessanta a Londra, assieme al collega
Aubrey Powell, incontrato a Cambridge. Il nome della ditta fu scelto a partire da una
scritta sul muro del loro appartamento.
Ci troviamo nel periodo di massimo fulgore della psichedelia. Molti gruppi di allora
componevano canzoni fatte di viaggi sonori e testi surreali. Per visualizzarle e farne
capire l’originalità, lo stile dello studio di Thorgerson e Powell era ideale: «Mi piace
esplorare le ambiguità e le contraddizioni. Creare fratture, ma con dolcezza», ricordava
Thorgerson [Thorgerson 2008]. I Pink Floyd sono stati i primi clienti della lista, fin dal
1968, ma non sono gli unici nomi famosi. Thorgerson ha elaborato cover per Genesis,
Peter Gabriel, Led Zeppelin, Black Sabbath. Una volta sciolta la società, nel 1982,
continuò il lavoro in proprio, firmando altri celebri artwork per Alan Parsons, Muse,
Cranberries, Biffye Clyro. Descriveva così il suo metodo di lavoro:
«Ascolto la musica, leggo i testi, parlo con i musicisti il più possibile. Mi vedo come un
traduttore, che traduce un evento uditivo, la musica, in uno visuale, la copertina»
[Thorgerson 2008].
Un pioniere della manipolazione fotografica, influenzato da Man Ray, Picasso,
Kandinsky, Juan Gris e Ansel Adams. I suoi lavori si ispiravano al surrealismo glaciale
di Magritte, erano in parte documentario di eventi casuali, in parte semplice gusto per la
saturazione del colore. Un lavoro di fotoritocco e fotomontaggio totalmente artigianale e
analogico. Ne fuoriescono così scene di straordinaria quotidianità in cui compare,
inatteso, il paradosso, l'assurdo, l'alieno. Un'altra realtà che se non intorno a noi si
sviluppa almeno tra i solchi dei dischi.
Segue un breve elenco di alcune opere con la descrizione dello stesso Thorgerson
[Thorgerson 2008].
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Pink Floyd, Ummagumma (1969)
La foto alla parete riproduce l’immagine maggiore, ma con i membri della band in
pose differenti. Lo scherzo della foto nella foto si ripete quattro volte, fino ad arrivare
alla copertina di A Sauceful of Secrets, uscito l’anno prima. «Era un tentativo di
rappresentare tanti diversi strati nella loro musica. Nessuna effimera pop band né
alcun indovinello, qui: piuttosto strati dietro strati, accordi pieni di significato e tutto
questo nella stessa musica».
Pink Floyd, The Dark Side of the Moon (1973)
«Le tue foto le abbiamo già usate. Ci vuole qualcosa di intelligente, pulito, di
classe», aveva detto il tastierista Richard Wright.
Di sette elaborati bozzetti, i Floyd scelsero quello giusto in meno di tre minuti. Il
prisma, per Thogerson, ricordava una piramide, «qualcosa di ambizioso, cosmico e folle
allo stesso tempo: temi presenti nei testi dell’album». Era anche un riferimento ai light
show della band.
Pink Floyd, A Momentary Lapse of Reason (1987)
«Abbiamo dovuto portare 800 letti d’ospedale su una spiaggia del Devon. Mi chiedo
chi me l’abbia fatto fare». La creazione di quest’immagine, che doveva evocare «i resti
di relazioni evaporate», è durata due settimane. Il deltaplano che si vede in cielo è un
riferimento alla canzone Learning to Fly.
Il quinto album dei Led Zeppelin, Houses of the Holy (1973), segnò un distacco
profondo dal Blues-Rock degli esodi colorandosi di suggestioni progressive,folk e
orientaleggianti. La scena, il cui set fu allestito nelle foreste pietrificate di Giants
Causeway in Irlanda, trasuda di un paganesimo e di un misticismo potenti. Fanciulli
nudi si inerpicano verso quello che pare un enorme altare di pietra su cui una divinità
gigante si appresta a celebrare il suo rito. Ma è l'artificiosità di una scala cromatica ipersatura e fiammeggiante (colori caldi sul fronte, freddi sul retro) a restituire quel senso di
straniamento e paradosso capace di descrivere tutta la vicenda più come un parabola
onirica che una rappresentazione di una concreta realtà. Per questo non c'e scandalo, è
una finestra su un mondo ''altro".
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Artista contemporaneo di Thorgerson è Roger Dean, particolarmente conosciuto per
le sue collaborazioni con gli YES e gli Asia. Fu il primo ad aver progettato un vero e
proprio logo identificabile e non accidentale ad un gruppo musicale, quello degli YES
[Beatrice 2000]. Famoso per la creazione di mondi onirici, i suoi scenari si legano
perfettamente con la musica degli artisti con cui collabora. Si definisce come un pittore
di paesaggi piuttosto che un artista fantasy.
Un altro protagonista degli anni Settanta è l'artista fotografo Mick Rock definito
"The Man Who Shot the Seventies" per le sue rappresentazioni iconiche di artisti come
David Bowie (Space Oddity), Lou Reed (Transformer), Iggy Pop (Raw Power), Queen
(II), The Ramones, Blondie.
La copertina di In the Court of the Crimson King fu disegnata nel 1969 da Barry
Godber, un giovane programmatore di 23 anni, scomparso prematuramente l'anno
successivo per attacco cardiaco. Il dipinto utilizzato per l'esterno della copertina
rappresenta il volto di un uomo spaventato, con gli occhi spalancati, mentre urla;
l'uomo, con il volto sfigurato e l'orecchio sproporzionato, rappresenta l'uomo schizoide
del ventunesimo secolo di cui parla il primo brano. All'interno, invece, è presente un
volto apparentemente calmo e sorridente, che mostra anche le mani, in posa ieratica:
rappresenta il Re Cremisi, eponimo sia dell'album che del gruppo. In entrambi i dipinti
il colore predominante è il rosso cremisi, accompagnato dal blu [Sinfield 1999].
2.1 Considerazioni
La copertina dell’LP è diventata una componente essenziale per l’esperienza di
ascolto di un disco. Gli LP e le loro rispettive copertine sono da considerarsi indivisibili.
Lo testimonia il fatto che, mentre le ristampe dei libri sono accompagnate spesso da
rivisitazioni della grafica, il design delle copertine dei dischi pop è inviolato. Le
ristampe dei dischi, anche se rilasciate da compagnie discografiche diverse rispetto
versione originale, mantengono gli stessi dettagli della copertina originaria. Questo
trascende dal fornire informazioni sul contenuto del disco. Le ristampe recenti del disco
Kind of Blue di Miles Davis contengono ancora la scritta “stereo fidelity”. Rimuovere
48
certi dettagli significa privare il disco della sua identità in termini di spazio e tempo.
Sono aspetti che aiutano a contestualizzare il momento storico in cui l’opera è stata
concepita e toglierli corrisponderebbe a cancellarne una parte di storia.
Un altro aspetto che contraddistingue il vinile dai formati digitali è che i primi
invecchiando acquisiscono una loro storia. A differenza delle confezioni di cassette o cd,
quella del vinile è “aperta” agli elementi esterni. La copertina del vinile invecchia
assieme al suo possessore. Caratteristica, questa, che venne sfruttata da designer come
Jamie Reid che per il disco Never Mind the Bollocks dei Sex Pistols dichiarò che se la
copertina veniva lasciata al sole, il giallo e il rosa sarebbero sbiaditi facendo meglio
risaltare il nero dei caratteri testuali [Beatrice 2000].
Inoltre il vinile e la sua copertina condividono un rapporto intimo che altri supporti
non hanno. I cd e le cassette sono separati dalle loro copertine dalla plastica mentre il
vinile ne è completamente avvolto. Anzi, invecchiando i bordi del disco emergono nella
copertina diventando parte integrante del design. A rendere il vinile un oggetto da
collezione è la sua propensione a farne edizioni limitate: tasche interne, elementi in
rilievo, gadget vari come zip reali o adesivi ed altre caratteristiche particolari.
Le sue dimensioni fisiche inoltre hanno la possibilità di incorniciare la fotografia di
un volto umano a grandezza reale. Molte copertine hanno sfruttato questa possibilità,
come ad esempio Face Value di Phil Collins. Questo aspetto è stato celebrato con
l’introduzione di una pratica recente chiamata “sleeveface” che consiste nel
“nascondersi” dietro una copertina facendo combaciare la propria sagoma con quella
immortalata nell’illustrazione 9.
9
Esempi di tale pratica sono riportati nel sito http://www.sleeveface.com
49
50
3. Valutazione del disco
La valutazione di un disco non è semplice data la vastissima quantità di vinile in
circolazione. La prima cosa con cui ci si confronta sono le condizioni generali del disco
e della copertina. Se un disco ha una quotazione di 100, ci si riferisce all'oggetto nuovo
(mai suonato e con copertina integra se non addirittura sigillato). Se appena ascoltato o
con qualche segno di usura evidente la quotazione si riduce di un 10/20% per diminuire
progressivamente se i segni di ascolto sono evidenti e la copertina riporta piegature,
scritte, lievi scolorimenti.
Gli altri fattori da considerare sono : la casa discografica, il paese di stampa, il
numero di catalogo, l'anno di produzione.
La quotazione cambia se siamo in presenza di una prima stampa o di una ristampa,
ed a volte solo un occhio esperto può accorgersi delle differenze, poiché l'anno di
stampa può essere omesso o risultare lo stesso della prima uscita anche se il disco è
stato ristampato. Questo significa che solo un intenditore può stabilire se si è in
presenza di un disco originale. La valutazione di un vinile cambia a volte radicalmente a
seconda del paese in cui è stato stampato.
Un disco dei Queen, ad esempio, può avere un alta quotazione se l'edizione è
sudafricana e può avere valore di mercato nullo se stampato in Inghilterra.
Cosa o chi determina il valore iniziale? Ci sono delle istituzioni in questo campo, una
di queste è il sito inglese Rare Record Price Guide. Qui si possono trovare recensioni,
cataloghi e valutazioni di ampia gamma di titoli. La cifra economica è determinata dagli
stessi collezionisti ed appassionati, basandosi sulla domanda e sull'offerta. Non è detto
che un disco stampato in pochissime copie o a tiratura limitata sia di per sé un disco
quotato. Un riferimento per consultare i valori di domanda e offerta nell’ambito delle
aste on-line sono i due siti: popsike 10e music price guide11, nei quali è possibile
visualizzare le aste che hanno avuto un valore rilevante ai fini del motore di ricerca nel
corso degli ultimi anni.
10 http://www.popsike.com/
11 http://www.musicpriceguide.com/
51
Altro database on line per ottenere informazioni sulla valutazione di un disco è il sito
Discogs12 che oggi contiene all'incirca 5 milioni di titoli, oltre tre milioni di musicisti,
560.000 etichette discografiche, e 168.000 utenti iscritti.
3.1 Sigle e legende
Per classificare la condizione dei vinili si fa riferimento alla classificazione
Goldmine Standard (la più rigida e selettiva), pubblicata per la prima volta nel 1974
[Neely 2007]. Quasi tutte le classificazioni vengono create basandosi su questo sistema.
Di seguito riporto i codici che descrivono la condizione di un disco secondo tale
classificazione:
Mint (codice: M)
Assolutamente perfetto. Il disco può anche essere ancora sigillato (ove indicato) o, in
caso contrario, non è mai stato suonato.
Near Mint (codice: NM)
Quasi perfetto. Il disco non riporta nessun segno di usura, neanche sulla copertina. Il
disco è stato ascoltato poche volte. La qualità del suono è perfetta: non ci sono rumori di
fondo. In alcuni casi è possibile riconoscere dei segni sottilissimi sulla superficie del
vinile; in questo caso i dischi saranno etichettati Near Mint Minus (codice: NM-)
Very Good Plus (codice: VG+)
Il disco è in buone condizioni ma presenta dei segni dovuti all’uso del precedente
proprietario. Tutti i vinili con questa valutazione sono stati suonati più di un paio di
volte. La superficie del disco può presentare segni superficiali e piccolissimi graffi, che
influiscono in modo minimo sulla qualità del suono. Copertina ed eventuali inserti
buoni ma non perfetti.
Very Good (codice: VG)
Tutti i piccoli difetti che si possono riscontrare nei dischi etichettati VG+ sono più
marcati in questa categoria. La qualità del suono diminuisce ma il vinile è assolutamente
nelle condizioni di essere suonato e ascoltato. Molte volte i difetti visivi (graffi, segni
12 https://www.discogs.com
52
etc) non si riflettono sulla qualità del suono: il disco, quindi, può sembrare rovinato ma
in realtà la qualità del suono è più che accettabile. Qualora i segni sul vinile o i difetti
della copertina siano più marcati i dischi saranno etichettati Very Good Minus (codice:
VG-).
Good Plus (codice: G+) e Good (codice: G)
Un disco con il marchio G+ può essere tranquillamente ascoltato senza salti o grossi
difetti di sorta. Il disco è stato suonato molte volte. I rumori di fondo saranno più
marcati. La copertina presenta pesanti segni di usura.
Fair (codice: F)
Disco ascoltato moltissimo. A volte il vinile avrà un particolare difetto che incide
sulla qualità del suono. Può capitare che la qualità del suono rimanga a un buon livello
anche se il disco è molto danneggiato. Copertina ed eventuali inserti con notevoli segni
di usura, come pieghe, strappi o scritte.
Bad (codice: B)
Disco, copertina ed eventuali inserti in pessime condizioni.
Copertina Generica (codice: CG)
Disco senza copertina originale, inserito in una busta bianca.
La sigla RE (Reissue) indica che si tratta di una ristampa; nella scheda del disco sarà
indicata la data della ristampa e tra parentesi l'anno dell'uscita originale del disco
Esempio:
Se si esprime come assoluto un valore di 100 lo stato di conservazione deprime il
valore come la tabella riportata:
Mint:
100
EX:
80
VG:
50
Good:
30
Fair:
15
Poor:
8
53
Tipi Formati:
7”
singolo; comunemente detto 45 giri
E.P
extended playing (45 giri con più canzoni sia su lato A che B)
78 78
giri vinile di durezza e peso sostenuti. Attenzione sono molto fragili!
12”
MIX
LP
long play
DPL
doppio lp
PDK
picture disc (vinile con disegni o fotografie)
SPD
vinile sagomato
CV
vinile colorato
PRO
promozionale
Caratteristiche del disco
Ps
copertina fotografata
NC
senza copertina
CC
copertina tagliata
Wol
scritta sull’etichetta
ST
stereo
MN
mono
ATG
autografato
JB
copia juke box
WOC
scritta sulla copertina
GF
copertina apribile
RE
ristampa
Esempio di una valutazione:
Autore
Titolo
Stampa
Label
Codice
Condizioni Anno
Formato
Note
Valore
Beach
Boys
Surfing
USA
US
Capitol
t-1890
Ex
LP
/
155€
54
1962
3.3 Dischi rari
Nel 2014 la rivista britannica Record Collector Magazine ha stilato una classifica con
la valutazione economica dei dischi più rari al mondo [Shirley 2012]. Segue l’elenco dei
primi 10 titoli:
The Quarrymen - That’ll Be Sex Pistols - God Save The The Beatles - White Album
The Day/In Spite Of All The Queen/No Feelings
Danger
Queen
–Bohemian
Rhapsody/I’m In Love With My
Car
John's Children - Midsummer The Beatles - Please Please John Lennon & Yoko Ono - Billy Nicholls - Would You
Night’s Scene/Sara Crazy Me
Unfinished Music No. 1: Two Believe
Child
Virgins
That’ll Be The Day/In Spite Of All The Danger dei The Quarrymen (1958). The
Quarrymen sono coloro i quali sarebbero diventati i Beatles. Ne esiste una sola copia
registrata in un negozio di articoli elettrici da Paul McCartney, John Lennon, George
Harrison, il batterista Colin Hanton e il pianista John Duff Lowe, ed è valutata 100.000
sterline. Lo stesso singolo, ristampato in 25 copie nel 1981, vale 10.000 sterline ed è il
secondo disco più costoso al mondo.
Terzo disco più ricercato è God Save The Queen/No Feelings dei Sex Pistols (1977),
del valore di 8.000 sterline. Stampato in 300 copie dalla A&M Records non uscì mai nei
55
negozi. Solo alcune copie furono regalate a circa una dozzina di dirigenti della casa
discografica, quando l’ufficio di Londra chiuse nel 1998.
Quarto disco raro è la primissima stampa, con il numero di serie scritto sul retro, del
White Album dei Beatles (1968) del valore di 7.000 sterline.
Segue l’edizione speciale contenente alcuni gadget della EMI di Bohemian
Rhapsody/I’m In Love With My Car dei Queen (1978), al quinto posto con un valore di
5.000 sterline.
Il singolo Midsummer Night’s Scene/Sara Crazy Child dei John’s Children (1967)
con Marc Bolan alla chitarra, non fu mai pubblicato. Occupa il sesto posto della
classifica dei dischi rari con un valore di 4.000 sterline.
Il settimo e l’ottavo posto sono ancora dei Beatles con due stampe di Please Please
Me (1963), entrambe del valore di 3.500 sterline.
Al nono posto dei dischi più rari c’è l’LP Unfinished Music No. 1: Two Virgins
(1968) con un valore di 3000 sterline. E’ la testimonianza della prima notte insieme di
John Lennon, che approfitta dell’assenza della moglie Cynthia, per invitare Yoko Ono,
conosciuta poco tempo prima ad una mostra d’arte, a casa sua. La copertina dell’LP è
una foto di John e Yoko nudi, scattata a casa di Ringo qualche tempo dopo e presto
censurata.
Chiude la top ten della classifica dei vinili più cari Would You Believe di Billy
Nicholls (1968). Ne furono vendute solo poche di copie, che oggi hanno un valore di
3.000 sterline.
56
4. Trend di mercato
Le indagini di mercato condotte da diverse agenzie di ricerca indicano una recente
impennata nelle vendite del vinile. Il report 2014 della Federazione internazionale
dell’Industria fonografica (IFPI) mostra come le vendite del vinile abbiano raggiunto il
picco più alto dal 1997 ad oggi. Rispetto all’anno precedente si ha avuto un incremento
del 54,7% [Strain 2015].
fonte: IFPI, cifre in USD. Classifica delle vendite di dischi in vinile nel 2014.
Un’indagine condotta da ICM Research in Gran Bretagna nel 2013 ha rivelato che la
vendita del vinile è maggiore nella fascia di età che va dai 18 ai 24 anni (il 14% avrebbe
comprato un disco in vinile nel mese precedente rispetto al 9% della fascia dai 25 ai 34
e il 5% tra i 35 e i 44 anni) [ICM research 2013]. In Inghilterra, secondo le statiche,
sarebbe dunque la fascia più giovane a guidare la crescita del mercato del vinile.
I dati Nielsen del 2014 vedono un incremento delle vendite del 260% rispetto al 2009
e dagli ultimi dati raccolti, il vinile rappresenta il 6% delle vendite di dischi su supporto
fisico [Nielsen 2015].
57
grafico delle vendite del vinile dal 2010 al 2014. Fonte: Nielsen 2015.
Anche Amazon conferma il trend che dal 2005 ha visto un incremento di vendita
sempre maggiore [Amazon Inc 2013].
fonte:Amazon Incorporated 2013. Il grafico mostra la crescita delle vendite di dischi in vinile dal 2005 al 2012 da
parte di Amazon.
Quali sono i motivi di questo rinnovato interesse?
Alcuni sostengono che il suono “caldo” analogico del vinile sia di qualità superiore
rispetto a quello “freddo” del digitale Compact Disc.
58
4.1 Confronto tra cd e vinile
Come funziona un vinile?
Il suono registrato sul vinile è analogico. Semplificando molto, una puntina
particolare scava in una membrana (che poi diventa il disco master, che fa da punto di
partenza per tutte le copie del vinile) un solco che rappresenta il suono. Senza
approssimazioni.
Come si sente?
La puntina del giradischi passa nei solchi del vinile che, a seconda della loro forma,
producono delle vibrazioni che vengono ritrasformate in suono.
ingrandimenti al microscopio elettrico dei solchi di un vinile. Si può notare come avviene l'incisione stereofonica del
canale sinistro e del canale destro. Le variazioni di profondità rappresentano le alterazioni dinamiche del suono. foto
di Chris Supranowitz (2014)
Come funziona un Compact Disc?
Il suono registrato sui Compact Disc è digitale. Per ogni secondo di suono vengono
registrati 44.100 campioni e ogni campione è a 16-bit, ovvero il suono di quel campione
viene scelto tra 65.536 possibili valori.
Come si sente?
Il lettore ottico del lettore CD legge i dati salvati sul disco e li converte in un segnale
audio analogico. C'è quindi un doppio passaggio: l'audio analogico suonato nello studio
di registrazione viene trasformato in audio digitale su CD, che poi viene ritrasformato in
audio analogico quando viene riprodotto [Colò 2013].
I 44.100 campioni dei Compact Disc sono il doppio delle frequenze che l'orecchio
umano è in grado di sentire. Secondo il teorema del campionamento di Nyquist-
59
Shannon, con questa quantità di informazioni, il digitale e l'analogico sono
matematicamente equivalenti [Owsinski 2008].
Almeno scientificamente non è dunque possibile stabilire un primato di qualità
sonora ad uno dei due supporti. Inoltre, sempre i dati Nielsen rivelano nel 2014 un
incremento dell’ascolto di musica compressa in streaming on-demand del 54% rispetto
al 2013 con 164 bilioni di streams (tramite piattaforme come Spotify, Rdio, Beats
Music) [Nielsen 2015].
Le ristampe di vecchie edizioni storiche sono accompagnate da una
rimasterizzazione digitale del materiale audio per renderlo più conforme agli standard
moderni. Questi fattori indicano diversi punti a sfavore nell’ipotesi della ricerca di una
maggiore qualità sonora da parte dei consumatori.
A decretare il calo delle vendite del CD audio sono stati l’avvento dell’mp3, nella
metà degli anni Novanta, e successivamente del primo Ipod (2001) che hanno reso
l’ascolto musicale ancora più mobile, decidendo che la quantità di dati memorizzabili e
la praticità dell’ascolto vincono sulla qualità audio.
Un’ipotesi è che il maggior consumo di musica liquida abbia favorito un ritorno del
vinile.
Con la distribuzione gratuita di file e video musicali si è avuta una maggiore
diffusione della cultura musicale. I più giovani oggi possono accedere facilmente alla
scoperta di gruppi storici, e acquistare un vinile per molti di questi significa
impossessarsi di un oggetto di antiquariato. Per i meno giovani avviene la riscoperta di
gruppi simbolo dei loro tempi attraverso l’uso di un supporto noto.
A testimoniarlo la classifica Billboard dei primi dieci dischi in vinile più venduti dal
2010 al 2015 contiene solo 4 titoli più recenti del 2010, assieme a Beatles, Bob Marley
e Miles Davies [Brandle 2015].
I consumatori sembrano più disposti ad investire il loro denaro nell’acquisto di un
oggetto fisico la cui fragilità e consistenza ne aumenta il valore intrinseco. Uno dei
ricordi più felici della mia infanzia fu quando mio padre mi regalò la sua piccola e
preziosa collezione di dischi, ammetto che ricevere un hard disk o la password di un
account Itunes pieno di files non avrebbe avuto lo stesso fascino.
60
Durante un’intervista lo scrittore Paolo Guglielmino ha ricordato le parole di un
adolescente che, cresciuto in piena era digitale, utilizzava per la prima volta un
giradischi regalatogli dai genitori. Ne ha descritto lo stupore mentre dichiarava che per
la prima volta gli sembrava di possedere la musica che stava riproducendo [Guglielmino
2016].
Nick Bilton in un articolo sul New York Times analizza il modo in cui le tecnologie
obsolete stanno tornando una dopo l’altra sovvertendo le regole basilari
dell’innovazione che vorrebbero la sostituzione del vecchio con il nuovo [Bilton 2016].
Il ritorno all’analogico riguarda ampiamente anche il campo della fotografia. Una
delle più note e utilizzate applicazioni fotografiche per dispositivi mobile, Instagram,
dispone di un’ampia gamma di filtri correttivi che richiamano alle vecchie pellicole
analogiche. La compagnia statunitense Polaroid, fallita nel 2007 ed acquisita da una
piccola società olandese, è tornata a produrre le sue macchine e pellicole analogiche
vedendo un aumento negli incassi del 60%. La vendita di rullini, dopo il crollo avvenuto
negli anni Duemila, dal 2012 è in lento ma costante aumento. In quell’anno sono stati
venduti 35 milioni di rullini contro i 20 milioni dell’anno precedente. La ditta
produttrice di pellicole Kodak ha recentemente immesso nel mercato una nuova
versione della cinepresa Super 8, accompagnata dall’esultanza di registi del calibro di
Spielberg e Tarantino che nel sito della compagnia parlano di una meritata risurrezione
dell’analogico. Un sondaggio condotto nel 2014 dalla ditta di pellicole Ilford ha rivelato
che il 30% degli intervistati sotto i 35 anni fa uso di pellicole analogiche. I soggetti
dell’intervista affermano di utilizzare macchine fotografiche analogiche perché è più
“divertente”, “retrò”, perché il mezzo stesso li mette di fronte a tutta una serie di
ragionamenti e decisioni necessarie alla riuscita di un buono scatto [Ilford 2015]. Come
se il limite delle 36 pose restituisse un valore all’importanza dello scatto. Uno dei meriti
dell’analogico sarebbe quello di fare dei propri limiti una forza capace di ridare (oggi
quasi provocatoriamente) una personalità al modo di concepire e utilizzare la musica e
la fotografia.
Il limite della difficile trasportabilità del vinile viene compensato dal fascino delle
copertine degli album, complici di aver fatto storia quanto le canzoni dello stesso LP.
Non a caso i 78 giri in gommalacca oggi hanno un valore storico, ma non un vero e
61
proprio valore in termini commerciali, in parte per il fatto che quel supporto era privo
delle copertine tipiche dei 45 e 33 giri.
Uno degli impianti europei leader nel mercato della produzione dei vinili è la ditta
tedesca Optimal. Tra i suoi clienti oggi ci sono grosse multinazionali che cavalcando la
moda del momento commissionano le ristampe di vecchi classici dei Beatles, Led
Zeppelin e David Bowie ma anche compagnie discografiche indipendenti che hanno
mantenuto vivo il mercato del vinile negli ultimi vent’anni quando il resto dell’industria
musicale aveva abbracciato la tecnologia digitale.
Il direttore operativo Peter Runge in un’intervista ha dichiarato che mentre la
domanda cresce anno dopo anno i macchinari della Optimal sono vecchi e invecchiano
progressivamente. Il doversi rapportare con macchinari vecchi trent’anni significa dover
far fronte quotidianamente a tutta una serie di inconvenienti tecnici, riparazioni di
fortuna, ricerca di pezzi di ricambio inesistenti perché nel frattempo la casa madre è
fallita. Le nuove presse costano circa 20.000 sterline, il doppio rispetto a dieci anni fa, e
il mercato del vinile, anche se in crescita, è ancora troppo marginale per poter decidere
di investirvi senza il sostegno di grosse compagnie. Inoltre sanno che il fenomeno
dell’usato è estremamente forte e ha sempre potuto contare su una cerchia di
appassionati e collezionisti che prediligono le prime stampe storiche aquistabili nei
negozi specializzati e nelle fiere.
La diffidenza è data dal timore che questo boom sia riconducibile ad una sorta di
“turismo del vinile” piuttosto che ad un fenomeno realmente stabile e duraturo [Harris
2015].
Negli Stati Uniti la situazione è pressoché simile. Ci sono circa una dozzina di grossi
impianti che si spartiscono la domanda.
Un articolo inchiesta di Forbes racconta la storia di Rainbo Records, il più vecchio
complesso per la stampa in vinile tra quelli in attività. Alla fine degli anni ottanta,
mentre il CD stava tirando la spallata definitiva al mercato dei vinili, Rainbo decide di
continuare a produrre dischi LP senza smantellare gli impianti. Per tutti gli anni
Novanta e i Duemila riesce a tenersi in piedi grazie alla chiusura di quasi tutti gli
impianti concorrenti e a un mercato di nicchia autoalimentato, dopodiché il vinile inizia
62
a vendere sempre di più. Oggi tutte le presse di Rainbo funzionano a pieno regime e
continuano ad accumulare ritardi per via dell’aumento del lavoro [Huet 2015].
Ne consegue che i tempi di attesa per la realizzazione di un lavoro possono andare
dalle quattro settimane ai tre mesi. In un mondo della musica è ormai in mano al digitale
questo può far affiorare notevoli complicazioni [Harris 2015].
63
4.2 Processo di stampa13
I dischi in vinile vengono stampati a caldo per mezzo di una pressa idraulica, utilizzando una matrice
realizzata in metallo a partire da un master principale, una sorta di primo disco ottenuto incidendo con la
massima precisione i suoni originali (provenienti da registrazioni su supporto magnetico ottenute in sala
di registrazione) su cera o guttaperca. Il disco così ottenuto, un "positivo", viene sottoposto a verniciatura
con cloruro di argento e stagno. Questa è una sostanza elettroconducente, che permette al bagno galvanico
di far sì che sul disco si depositi uno strato di nichel. Da questo supporto si ottiene un primo "negativo",
dal quale viene generata una copia metallica chiamata "madre".
In una sala di ascolto è possibile eseguire un test acustico sulla matrice per escludere la presenza di
imperfezioni prima di procedere con la stampa. Viene eseguito anche un controllo al microscopio per
controllare lo stato dei solchi. La matrice viene rivestita da una pellicola protettiva plastificata per evitare
che le impurità possano inserirsi nei solchi. Infine la matrice viene perforata nella parte centrale.
Dei pellet di PVC vengono risucchiati e distribuiti alle macchine idrauliche di pressa. Queste
imprimeranno la forma e i solchi della matrice nelle stampe realizzate con il PVC. Si possono vedere
alcuni dettagli di una pressa Emi 1400.
Le etichette vengono attaccate al disco per mezzo di una pressa, infine il disco viene riposto nella sua
copertina e confezionato per la spedizione.
13 fotografie di Marco Walker (2014) scattate presso The Vinyl Factory (Londra)
64
Nonostante il lavoro di produzione artigianale di un vinile sia oggettivamente
affascinante è successo che grosse band abbiano dovuto rimandare il tour per i ritardi
nelle consegne dei dischi o che negozianti non avessero puntualmente la merce nei
magazzini con i conseguenti danni economici 14 [Gruesome 2015].
La produzione di un vinile è sensibilmente più dispendiosa rispetto a quella di un cd,
si può arrivare a pagare 3,18 euro di un LP contro 1,47 del CD con packaging in
digipack15. Senza contare gli aspetti inerenti al contenuto fisico della musica che vanno
dai 40 minuti di un LP ai 70 di un CD.
4.3 Mastering dedicato al vinile
Altro aspetto da considerare è che l’educazione all’ascolto ha avuto negli anni una
sua evoluzione tecnica che oggi ci ha condotto nel pieno del fenomeno chiamato
loudness war16.
La stampa su vinile richiede una sorta di rieducazione tecnica per la preparazione di
un master specificamente destinato a tale supporto. Una serie di accorgimenti di cui si
può fare a meno in ambito digitale ma che sono di fondamentale importanza per poter
incidere correttamente i suoni nei solchi di un disco.
Il master che verrà riprodotto dovrà rispettare le seguenti indicazioni:
Il livello del volume è inversamente proporzionale alla quantità di musica incisa su
ciascun lato dal momento in cui più è alto il volume più sono ampi i solchi. E'
consigliabile un bit rate di 16 o 24 bit con frequenza di campionamento di 44100Hz o
superiore. Per ottenere una stampa priva di distorsioni è importante gestire la dinamica
al fine di ottenere un valore RMS inferiore ai -12dB.
14 Ci si riferisce ai ritardi nella produzione dei vinili di Kendrick Lamar, Björk e D’Angelo.
15 Le cifre fanno riferimento a dei preventivi richiesti dal sottoscritto alla ditta Fader il 21 Marzo 2016.
Il formato Digipack per il cd è uno dei più costosi ed elaborati. Il preventivo include la duplicazione e
stampa serigrafia-offset a 5 colori (quadricromia su base bianca) con glass master. Il vinile richiesto
nell’ordine è nero 140 grammi, stampa su entrambi i lati 22 min per lato. Centrino stampato a colori,
inner slave in carta bianca e copertina stampata a colori.
16 Senza entrare nel tecnico il termine fa riferimento a tutte quelle operazioni effettuate in sede di
mastering che comportano una minore escursione dinamica RMS a vantaggio di un maggiore volume
percepito.
65
Per evitare controfasi sulle basse frequenze, e quindi prevenire problematiche
sull'incisione stereo con conseguente discontinuità del solco e salto della puntina è
consigliabile rendere monofoniche le frequenze sotto i 150/300 Hz. Frequenze sotto i 20
Hz possono creare gravi problemi di risonanza sul braccio del giradischi causando il
salto della puntina.
E' importante limitare anche le alte frequenze al fine di evitare distorsioni. Esiste un
limite fisico del solco stereo per il quale le frequenze troppo alte non vengono
interpretate correttamente dalla puntina del giradischi (in modo particolare dalle puntine
sferiche). Non è possibile incidere frequenze superiori ai 14Khz a volumi alti senza
distorcere. Per un maggiore rendimento, soprattutto a 33rpm, è consigliabile posizionare
le tracce con maggiore presenza di alte frequenze all'inizio della facciata.
Durante la preparazione di un master da incidere su vinile è importante conoscere le
indicazioni qui schematizzate:
più volume -> minore tempo per lato
più frequenze basse -> minore tempo per lato
più frequenze basse -> possibili salti della puntina
più frequenze alte -> basso volume
più frequenze alte -> suono distorto
Bassi stereo -> basso volume
Bassi stereo -> salto della puntina
4.4 Conclusioni
C’era un tempo nel quale chi voleva possedere un disco era costretto ad acquistarlo
fisicamente pagando cifre anche importanti. Ora l’acquisto dell’oggetto fisico è
diventato una scelta. La vendita dei vinili in portali come Amazon è accompagnata da
codici omaggio con i quali si può scaricare la versione digitale del disco appena
acquistato. Un’operazione di questo tipo fa supporre che mentre i file digitali sono
intangibili, impalpabili, il vinile ha ancora un valore fisico che ne giustifica l’acquisto.
66
In quest’ottica il vecchio non muore, ritorna per affiancarsi al nuovo. Non viene
comprata solo la musica, ma un’esperienza di ascolto fisica, totalmente diversa da
quella digitale.
La scelta di acquistare un vinile non è data dalla migliore qualità sonora: è possibile
scaricare dalla rete dischi in qualità non compressa. Non è data certamente dalla
praticità e comodità di ascolto: richiede strumenti costosi come giradischi, amplificatori,
altoparlanti e a metà riproduzione bisogna alzarsi per cambiare lato. Ed è inoltre più
costoso e ingombrante rispetto al formato digitale. Eppure il vinile è l’unico supporto
fisico che al momento può contare su un gruppo di consumatori affezionati in
espansione. In questa chiave di lettura il vinile è senz’altro un grottesco e fascinoso
paradosso temporale.
67
68
5. Il giradischi
Il giradischi è oggi un apparecchio elettronico composto essenzialmente da una
struttura di base solida sormontata da un disco rotante sul quale viene poggiato il disco.
Ruotando, ciò che è inciso nei solchi del disco viene letto grazie ad una particolare
puntina collegata al resto della struttura per mezzo di un braccio mobile. La puntina
decodifica ciò che è inciso nei solchi trasformandolo in segnale elettrico analogico.
Questo segnale, attraverso le uscite del giradischi, viene inviato all’amplificatore e da
qui agli altoparlanti.
estratto del manuale di istruzioni del Technics SL-1200 che ne indica i componenti.
5.1 Anatomia dello strumento
Il telaio del giradischi
La base (o telaio) del giradischi poggia normalmente (ci sono diverse tipologie di
telaio) su quattro piedini regolabili in altezza ed ammortizzati che servono a livellarlo
sul piano dove dovrà prendere posto ed a stabilizzarlo da eventuali piccole vibrazioni
69
che potrebbe ricevere. A seconda del tipo di giradischi, il telaio può essere rigido o
flottante. Il telaio rigido ha la caratteristica di essere particolarmente facile da regolare
anche se, a differenza di quello flottante, è più sensibile alle vibrazioni e quindi, se non
regolato ed installato a dovere, potrebbe portare alla generazione dell’effetto Larsen. Il
telaio flottante è un tipo di telaio libero di muoversi e di ammortizzare quindi le piccole
vibrazioni.
Il telaio flottante, è composto da un telaio esterno e da un controtelaio interno
disaccoppiato dal precedente tramite un sistema normalmente composto da molle (in
realtà le modalità di disaccoppiamento sono molteplici facendo uso ad esempio di
supporti in gomma o aria compressa). I giradischi a telaio flottante sono generalmente
molto più costosi e particolarmente difficili da installare rispetto a quelli con telaio
rigido. La difficoltà d’installazione fa si che spesso sia ritenuta una scelta migliore
optare per un giradischi a telaio rigido, il quale può essere installato con precisione
senza particolari problemi e quindi, suonare meglio senza bisogno di continui
aggiustamenti e tarature. Al di sopra del telaio troviamo il piatto del giradischi che viene
fatto girare trasferendogli il moto generato da un motorino elettrico.
La trazione del giradischi
Un aspetto molto importante del giradischi è la modalità di trasferimento del moto
generato dal motorino elettrico al piatto che farà girare il vinile: migliore sarà la qualità
della trazione tanto più il sistema sarà esente da vibrazioni. Possiamo considerare due
differenti tipologie di trazione: la trazione a cinghia e la trazione diretta.
La trazione a cinghia ha la peculiarità di permettere un buon isolamento dalle vibrazioni
che il motorino, durante il suo funzionamento, produce. Il moto generato dal motore
elettrico viene trasferito al piatto da una cinghia di diametro circolare o piatto. Questo
permette di posizionare il motorino sia internamente al telaio che esternamente allo
stesso; nel primo caso il motorino è posizionato sotto al piatto rotante e, tramite la
cinghia, viene trasferito il moto del motore ad un sottopiatto che mette in movimento il
piatto del giradischi. Nel secondo caso, quando il motore elettrico è posizionato
esternamente al telaio, la cinghia trasferisce il movimento direttamente al piatto
scorrendo sul bordo dello stesso.
70
La trazione diretta, invece, vede il motorino posizionato esattamente sotto al piatto e
collegato a quest’ultimo direttamente, senza alcun elemento di trasmissione. Questa
tipologia di trasmissione, se implementata a dovere, da ottimi risultati qualitativi in
quanto non vede alcun elemento esterno ed elimina i problemi di usura, manutenzione e
sostituzione della cinghia che deve trascinare il piatto del giradischi. Un esempio storico
di ottima implementazione del sistema a trazione diretta è senza dubbio il Technics SL1210, lo standard utilizzato dai dj.
Il braccio del giradischi
Può assumere diverse forme ed essere costituito da differenti materiali con
l’obbiettivo di renderlo il più possibile rigido e soprattutto leggero. Possiamo
paragonarlo ad un tubo dove al suo interno scorrono i fili che portano il segnale elettrico
alle uscite audio del giradischi. Tra questi, possiamo distinguere tre tipologie differenti:
il braccio di lettura dritto, il braccio ad S ed il braccio di lettura tangenziale.
Il braccio di lettura dritto permette di ottenere un braccio che abbia una massa (un
peso) più bassa, in genere, rispetto agli altri due in quanto, semplicemente, la quantità di
materiale che lo costituisce è minore.
Il braccio ad S è così strutturato per tentare di ridurre il più possibile l’errore di
lettura tangenziale ed al contempo essere ben bilanciato rispetto ai bracci curvi.
Infine, abbiamo i bracci a lettura tangenziale; si tratta di bracci particolarmente
articolati nonché costosi che promettono di annullare l’errore di lettura tangenziale in
quanto permettono di spostare la puntina sul disco scorrendo sull’asta che li equipaggia.
La testina del giradischi
La testina, o fonorivelatore, è quel componente del giradischi che permette di
trasformare in musica ciò che è stato inciso nei microsolchi del vinile. Senza addentrarci
troppo in ambito elettrotecnico, possiamo definire il fonorivelatore come un trasduttore,
un dispositivo cioè che permette di trasferire energia da un punto ad un altro alterandone
alcune caratteristiche al fine di poter rendere questa energia sfruttabile in base alle
nostre esigenze finali. Nel nostro caso, il dispositivo, viene sfruttato per convertire
71
l’energia prodotta dalle vibrazioni che si creano quando la puntina scorre nel solco del
disco in segnale elettrico. Possiamo descrivere la testina come composta da una puntina
o pick-up di diamante collegata al resto del corpo tramite un piccolissimo braccetto di
materiale rigido chiamato cantilever ancorato al resto del corpo della testina tramite un
fulcro siliconico che le permette così di oscillare liberamente.
Le testine possono essere classificate in tre principali famiglie: “ MM” (Moving
Magnet - Magnete Mobile), “MC” (Moving Coil - Bobina Mobile) e quelle dette a
“riluttanza variabile” o “ferro mobile”.
Testina MM
Le testine a MM vedono il cantilever che sostiene un piccolo magnete libero di
muoversi tra due piccolissime bobine fisse (se stereo, una bobina se mono). Il magnete
posto all’estremità opposta della puntina vibra e quindi si muove, in base alla
conformazione del solco nel quale scorre in modo da tale da creare un micro generatore
elettromagnetico ed inducendo così una piccola corrente nelle bobine generata dal
campo magnetico che si viene a creare. In base al movimento il campo magnetico
aumenta e diminuisce generando così il segnale udibile tramite gli altoparlanti.
Testina MC
Questo tipo di testine, hanno un funzionamento pressoché inverso rispetto alle
precedenti: in questo caso, troviamo le bobine posizionate sul cantilever dello stilo che
si muovono all’interno di un campo magnetico fisso che viene modificato dal
movimento generando così corrente. Le bobine che costituiscono questa tipologia di
testina, sono costituite da avvolgimenti di filo sottilissimo che permette quindi di avere
un peso inferiore rispetto alle testine MM con conseguente maggior reattività nel
tracciamento del solco, quindi maggiore fedeltà audio e maggiore estensione in
frequenza. A differenza delle testine MM la tensione di uscita generata con questo
sistema è notevolmente inferiore (nell’ordine di poche centinaia di microVolt) in quanto
gli avvolgimenti che costituiscono le bobine devono essere minimi per non appesantire
troppo il tutto; ciò rende necessario pre-amplificare il segnale prodotto prima di poter
essere prelevato dall’amplificatore.
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Testina a riluttanza variabile
Questa tipologia di testine (molto meno diffusa delle precedenti) hanno un elemento
ferroso collegato al cantilever “immerso” in un campo magnetico creato da un magnete
fisso; vibrando in base alla lettura effettuata dalla puntina sul disco, l’elemento ferroso,
genera una sorta di “perturbazione magnetica” nel campo del magnete. Anche in questo
caso, la variazione di campo magnetico permette di fornire il segnale elettrico.
Le stilo (pick-up)
Le stilo o puntina (in inglese pick-up) venivano originariamente costruite in acciaio o
fibra con l’estremità appuntita che permetteva loro di affondare bene nel solco del disco.
Essendo una delle componenti del giradischi più soggette ad usura, può essere sostituita
all’occorrenza. Oggi, dopo aver sperimentato diversi materiali (quali ad esempio lo
zaffiro) è stato riconosciuto come standard costruttivo il diamante. Lo stilo, come è
facile intuire, è una delle parti più cruciali del giradischi in quanto rappresenta l’unico
contatto della macchina col disco (tolto il piatto dove poggia). E’ la parte che si occupa
di trasferire le proprie vibrazioni al resto del sistema e ci si aspetta che svolga questo
compito con precisione per due motivi fondamentali: deve leggere fedelmente ciò che è
inciso e non deve usurare il supporto (il vinile).
profilo di una testina Shure M44-7 e descrizione delle sezioni che la compongono
73
Il cantilever
Il cantilever è una sorta di “tubicino” che sostiene il pick-up di lettura. Nelle testine
più commerciali ed economiche è costituito da alluminio o boro, in quelle più ricercate,
possiamo trovare cantilever fatti da rubino, diamante, berillio o addirittura fibra di
carbonio per le loro caratteristiche intrinseche di leggerezza ed allo stesso tempo di
grande rigidità.
5.2 Il settaggio
Peso di lettura:
E’ semplicemente la forza con cui la testina appoggia il suo stilo all'interno dei
solchi, generalmente con un peso che varia tra 1 e 2 grammi.
Il costruttore segnala sempre una forza minima e massima ed è consigliato tenersi più
vicini alla massima. Abbassiamo la leva di sollevamento del braccio, teniamo il braccio
con le dita e mettiamo a zero l'antiskating. Ruotiamo il contrappeso fino a quando il
braccio non resta perfettamente in equilibrio da solo, nello spazio tra il piatto ed il fermo
del braccio stesso, in posizione perfettamente orizzontale. Ruotiamo quindi la ghiera
numerata fino a segnare lo zero. A questo punto possiamo impostare la forza d'appoggio
richiesta dalla testina che stiamo usando, normalmente da 1,5 a 2,5 grammi.
Teniamo presente che pesi d'appoggio molto bassi fanno più danno di quelli superiori
e che un peso maggiore aumenta la produzione di frequenze basse addolcendo il suono,
mentre un peso inferiore sposta il bilanciamento timbrico verso l'alto, aumentando la
sensazione di suono veloce e dinamico.
L'antiskating (anti slittamento):
La testina è sottoposta ad una forza centripeta che tende a "tirarla" verso il centro del
disco. L'antiskating deve quindi esercitare una forza contraria, in modo da garantire un
corretto equilibrio della testina. Generalmente si regola l'antiskating in modo tale che il
suo valore sia pari alla forza di appoggio.
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Il VTA
Appoggiamo un disco sul piatto, appoggiamo la testina sui solchi e osserviamo se il
braccio resta parallelo al disco, in caso contrario regoliamo l'altezza di conseguenza.
Come regola generale è preferibile un braccio leggermente alto posteriormente piuttosto
che uno impennato anteriormente.
L'azimuth
Guardando frontalmente la testina, questa deve essere perfettamente allineata in
verticale con la superficie del disco, senza inclinazioni. L’inclinazione su uno dei due
lati darebbe luogo ad un segnale differente per i due canali, oltre a causare possibili
distorsioni.
Con uno specchietto sul piatto, senza disco, appoggiamo lo stilo sulla sua superficie e,
guardando la testina frontalmente, questa deve essere perfettamente perpendicolare alla
sua immagine riflessa.
Allineamento della testina
In fase di incisione del vinile, il tornio viene fatto scorrere in maniera tangente al
solco; sui giradischi con bracci standard avremo quindi un errore tangenziale della
puntina nel seguire i solchi.
Per risolvere questo problema si segue la teoria che prevede l'annullamento
dell’errore tangenziale in due punti del disco, collocati all'incirca verso l'inizio e verso
la fine del disco. Si può utilizzare uno strumento chiamato dima, fornita con il
giradischi o una scaricata dal web.
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La dima è composta da un reticolo di linee verticali ed orizzontali, con al suo interno
due contrassegni evidenziati dove dovremo appoggiare lo stilo, facendo in modo che la
testina sia allineata con le linee presenti sulla dima.
Con lo stilo esattamente al centro del primo punto di allineamento, regoliamo la
testina in modo tale che risulti centrata e parallela alle
linee stampate sulla dima. A seguire, verifichiamo
l'allineamento con il secondo punto, ruotando
leggermente il piatto fino a centrarvi sul secondo
riferimento. Se la testina non risulta allineata rispetto alle
linee del secondo punto, dovremo tornare al primo punto
modificando l'overhang spostando la testina
longitudinalmente rispetto alla conchiglia e riallineando
esempio di una Dima
la testina. Dopo alcuni tentativi riusciremo ad avere un
perfetto allineamento per entrambe i punti.
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6. Il Setup
Setup tradizionale per scratchare con il mixer collocato fra i due giradischi ruotati di 90° in senso
antiorario per far sì che il braccetto non intralci l’esecuzione. I controlli principali sono: (a) il pitch
control (b) testina connessa al braccetto (c) equalizzatore (d) adattatore 45rpm (e) start/stop piatto (f)
controller volumetrici (g) crossfader (h) interruttori di linea “line switch” (i) selettori 33 o 45rpm
6.1 Il mixer
Esistono sul mercato diversi modelli di mixer dedicati alla professione del
dj\turntablist. La quantità dei controlli varia a seconda del modello. Ci sono mixer che
integrano dsp per la gestione di sistemi digitali (es Serato o Traktor), questi spesso
dispongono di pad programmati per suonare in tempo reale dei suoni, i cuepoint,
immagazzinati in un laptop attraverso un software dedicato. I vari modelli possono
differenziarsi anche in base alla tipologia della componentistica, in particolare abbiamo
77
diverse tipologie di crossfader (magnetici, innofader, etc) e le rispettive caratteristiche di
taglio variano a seconda del modello.
Ho preferito utilizzare come esempio il Rane TTM56 per l’essenzialità dei suoi
controlli e per il suo utilizzo ampiamente diffuso nella comunità dei turntablist.
illustrazione delle parti costituenti di un mixer Rane TTM-56
caratteristiche17:
La selezione MODE permette di selezionare due tipologie di curva:
MODE1 produce una risposta stereofonica tradizionale
17 Informazioni estratte dal manuale di istruzioni del mixer Rane TTM-56.
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MODE2 produce un effetto di panning sinistra/destra
E’ possibile regolare in modo continuo il CONTOUR di entrambe le curve, rendendo
la curva di transizione morbida o brusca.
L’interruttore CHANNEL REVERSE permette di invertire la posizione (sinistra o
destra) di taglio del crossfader
Il CROSSFADER MODE permette di scegliere tra due tipi di curve:
MODE1 produce una risposta del crossfader classica da PGM1 a PGM2
MODE2 pone il taglio del crossfader quando questo è al centro (PGM1 e PGM2
sono spenti quando il crossfader è in posizione centrale)
Ci sono controlli individuali del CONTOUR, ossia della curva di taglio, per entrambi
i lati del crossfader.
Il mixer dispone di ingressi e uscite ausiliarie controllabili indipendentemente
Il FlexFx permette di assegnare al PMG1, PMG2 o entrambi un effetto loop in postfader. E’ possibile usare i controlli di volume o il fader con effetti di riverberi e delay.
La regolazione WET/DRY permette di controllare la quantità di effetto.
Equalizzazione a 3 bande per entrambi i canali. Con l’interruttore dedicato è
possibile attivare o disattivare l’equalizzazione.
Il meter permette una consultazione del livello di volume del master o dual mono.
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facciata posteriore di un mixer Rane TTM-56
PMG1 e PMG2 hanno entrambi ingressi di linea o phono.
Gli ingressi Phono1 e Phono2 hanno entrambi compensazione RIAA.
E’ possibile collegare indipendentemente la messa a terra di entrambi i giradischi su
due diversi connettori.
Gli ingressi di Linea 1 e Linea 2 sono entrambi ingressi di linea sbilanciati.
L’ingresso ausiliario può essere usato con una drum machine, campionatore o con
l’uscita un altro mixer.
L’ingresso microfonico è bilanciato, progettato specificamente per microfono
dinamico.
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Segue l’illustrazione delle curve di taglio possibili per i fader dei volumi e per il
crossfader:
Illustrazione delle curve di taglio di un crossfader in dotazione al mixer Rane TTM-56
(estratta dal manuale di istruzioni)
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Illustrazione delle curve di taglio dei fader volumetrici in dotazione al mixer Rane TTM-56
(estratta dal manuale di istruzioni)
82
6.2 Disposizioni della console
Ci sono diverse modalità per la disposizione degli strumenti. Ho elencato quelle più
utilizzate e conosciute. La disposizione degli elementi varia a seconda delle esigenze
pratiche dell’esecuzione.
OLD SCHOOL: disposizione utilizzata agli albori del djing. I giradischi sono posizionati nella maniera
descritta sul manuale di istruzioni. Dj come Steve Dee e Grandmaster Flash utilizzavano una
disposizione di questo tipo.
L STYLE: una modalità di disposizione resa famosa da alcuni membri della squadra di turntablist
chiamata X-Men. Il vantaggio è la collocazione di entrambi i pulsanti di start/stop dei giradischi vicini al
mixer. Disposizione usata da Rob Swift e Mr Sinister.
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ONE-HANDED: Disposizione che avvantaggia i dj che preferiscono mixare utilizzando una mano
piuttosto che due. Con questa disposizione dj Cheese vinse il primo DMC londinese.
PHILLY-STYLE: Nato a Filadelfia alla fine degli anni Ottanta è diventata la disposizione standard dei
turntablist. Ruotando di 90° entrambi i giradischi è più facile controllare i dischi, inoltre non c’è il
rischio di urtare accidentalmente il braccio del giradischi.
Disposizione introdotta da Cash Money, Jezzy Jeff e Roc Raider.
84
6.3 Interfacce sperimentali commerciali
Pochissime interfacce in commercio hanno cercato di “sfidare” lo strumento
convenzionale che abbiamo trattato fin ora. Nella figura 6.3.1 sono mostrate diverse
idee sviluppate per lo scratching.
Attigo è in linea di principio la simulazione di un giradischi su una superficie touch
screen. I controlli del giradischi e una rappresentazione grafica del file suonato sono a
disposizione del musicista che può interagire con lo strumento trascinando i file audio
sullo schermo. Un grosso vantaggio è che si ha una rappresentazione visiva immediata
del file interagendo così in modo diretto con essa e non attraverso lo schermo di un
computer. In un setup normale, le due piattaforme touch screen e il mixer sono
organizzati come nella disposizione tradizionale.
Il DaScratch è simile all’Attigo per quanto concerne la rappresentazione visiva del
file audio che anche qui è parte integrante dell’interfaccia, ma il modo di interagire è
differente. La superficie di contatto rotonda ha diverse modalità, compresa quella di
giradischi virtuale. Possono essere assegnate istruzioni particolari in specifiche aree
della superficie sensibili al tocco in modo da modificare una serie di parametri tramite il
software dedicato.
I l Reactable è un nuovo strumento musicale sviluppato dal 2003. Non è
specificatamente un controller per dj ma il modo in cui viene suonato ricorda
lontanamente i movimenti eseguiti per controllare una console.
Sono state sviluppate inoltre funzioni aggiuntive allo scopo di implementare
l’apparecchiatura tradizionale dei dj. Molte interfacce di questo tipo sono state prodotte
dalla Vestax, la quale ha commercializzato una serie di prodotti che estendono l’uso
tipico di giradischi e mixer. Tre esempi sono mostrati in figura 6.3.1.
Il QFO è un’interfaccia dal design unico nella quale sono stati combinati assieme un
giradischi e un mixer. E’ stato progettato esclusivamente per lo scratch.
Controller One è più esplorativo: ha dei pulsanti che consentono di variare
rapidamente la velocità di rotazione a valori definiti, permettendo di suonare scale tonali
(caratteristica che lo rende simile ad un campionatore).
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Il Faderboard è stato commercializzato nello stesso periodo del Controller One.
Non permettere il controllo dello scratch ma ha dieci faders e altri controlli ai quali si
possono assegnare diversi parametri come pitch, filtri e campioni audio. Il dj, trovandosi
maggiormente a suo agio manipolando i faders, trova in questa interfaccia uno
strumento musicale che racchiude le caratteristiche di un mixer per dj unite a quelle di
un sintetizzatore.
Attigo
DaScratch (Stanton)
Reactable
QFO (Vestax)
Controller One (Vestax)
Faderboard (Vestax)
Figura 6.3.1
86
6.4 Interfacce sperimentali non commerciali
Seguono una serie di interfacce sperimentali, non commercializzate (figura 6.4.1). Si
tratta di prototipi mostrati nelle conferenze accademiche. Tutti i sistemi sono progettati
per essere usati con un computer. Alcune interfacce estendono l’attrezzatura
tradizionale, altre ne aumentano il controllo attraverso parametri innovativi, altre ancora
sono sviluppate per riprodurre i files musicali in modo inedito.
Beamish e collaboratori [Beamish 2003] hanno presentato un giradischi che utilizza
un interfaccia con feedback aptici per guidare l’esecutore nelle pratiche di mixaggio con
segnali derivati dall’analisi dell’informazione audio.
In uno dei diversi esempi di tale sistema, chiamato D’Groove, ogni battuta di un
ritmo viene accentuata da una vibrazione (“bump”) trasmessa attraverso il vinile.
Un’ulteriore modalità di utilizzo è in grado di guidare il dj nella sua esecuzione di
scratching aggiungendo una forza di resistenza al movimento del vinile. Il sistema
D’Groove è composto da un software e tre componenti hardware:il giradischi, un
controller del pitch e un fader motorizzato che sostituisce la puntina indicando la
posizione corrente attraverso la durata del brano.
Lippit [Lippit 2004] ha sviluppato delle interfacce che si integrano al sistema
tradizionale aggiungendo nuove possibilità di controllo. La funzionalità principale del
suo Lupa e 16padjoystickconroller è quella di aumentare le capacità del dj di creare
suoni esclusivi attraverso il giradischi con un sistema in tempo reale che consente al
turntablist di registrare, manipolare e riprodurre quei suoni durante l’esecuzione. Il
16padjoystickconroller è il secondo prototipo del progetto. Il sistema è costituito da un
giradischi, un mixer, scheda audio, un laptop e un dispositivo di controllo. I suoni
generati da giradischi e mixer sono campionati e manipolati con il laptop prima di
tornare all’ingresso del mixer. Tutte le operazioni eseguite attraverso il laptop sono
svolte per mezzo del dispositivo di controllo. Il software è stato scritto con max/msp.
Fukuchi [Fukuchi 2007] ha presentato nel 2007 un sistema per lo scratch
multitraccia. Le varie tracce sono disposte graficamente una sotto l’altra in un display
touch sensibile al tocco. L’esecutore è in grado di scratchare toccando con le dita la
87
forma d’onda raffigurata nel display. La velocità e la direzione di riproduzione sono
sincronizzate ai movimenti delle dita. Il prototipo prevede cinque tracce simultanee
prive di controllo del volume.
Il ColorDez di Villar [Villar 2007] permette al dj di preparare fino a sei tracce e ne
consente il mixaggio di tre alla volta. I componenti del sistema sono: un programma che
permette di caricare le tracce, visualizzarle e riprodurle ; un hard disk modificato
(chiamato HDDJ) che permette la manipolazione tattile della velocità di riproduzione;
un sensore wireless a forma di cubo, chiamato Cubic Crossfader, che controlla il volume
delle singole tracce e permette al dj di mixarle in modi interessanti.
D’Groove
Figura 6.4.1
88
16padjoystickconroller
Multi-Track Scratch
ColorDez
6.5.1 DVS – Digital Vinyl Emulation Systems
L’ultima grande rivoluzione tecnologia che ha cambiato radicalmente il mondo del
djing è avvenuta con l’introduzione nel mercato dei sistemi digitali di simulazione del
vinile (chiamati DVS, digital vinyl emulation systems).
Per una comunità estremamente legata alla tradizione, come quella dei turntablist,
un’innovazione del genere si fece largo con diffidenza. Molti dj veterani erano convinti
che il nuovo sistema digitale avrebbe semplificato la loro professione fino a renderla
banale. In modo particolare ritenevano che avrebbe potuto compromettere la formazione
delle nuove leve, le quali, approfittando dei vantaggi offerti da tale strumento non
avrebbero più studiato per lo sviluppo delle loro abilità. Rispetto ad altri sistemi digitali
alternativi, come ad esempio i CDj, i DVS avevano una cosa in comune con il modello
tradizionale: l’uso del vinile. Questi sistemi hanno permesso ai dj di continuare lo
svolgimento della loro professione utilizzando lo strumento tradizionale. Non di meno,
hanno risolto una serie di aspetti problematici connessi al peso, costo e inconvenienti
tipici del mestiere connessi all’uso dei vinili. I sistemi DVS più utilizzati ad oggi sono il
Traktor, il Torq e il più famoso: il Serato.
89
6.5.2 Serato
setup di una console che utilizza il DVS Serato Scratch Live SL3 (Rane)
Il Serato è composto da due vinili, il software dedicato (installato in un laptop), una
piccola scatola nera con diverse uscite e una frusta di cavi rca. A prima vista il vinile del
Serato sembra uguale ad un qualsiasi altro disco, osservandolo bene però si può vedere
che le linee hanno tutte la stessa larghezza e non c’è nessuna variazione sulla densità dei
solchi. Quando si prova a riprodurre un disco del Serato con il sistema digitale
scollegato si può udire una lunga sinusoide di alta frequenza nota come segnale di
controllo. Quando il sistema è invece connesso alla scatola nera collegata al computer il
segnale sinusoidale svanisce e vengono riprodotti i suoni contenuti nel laptop che
possono ora essere controllati e manipolati tramite questi dischi particolari.
Il disco di controllo deve comunicare tre bits basilari di informazione al software: la
velocità del disco, la direzione (avanti o indietro) e la posizione della puntina sulla
superficie del disco. Il segnale di controllo è usato per comunicare la velocità e la
direzione. Chi ha provato a suonare un giradischi sa che quando il disco rallenta il pitch
cala e che quando accelera il pitch sale. Lo stesso accade con il dischi DVS. Quando il
pitch del segnale di controllo aumenta o diminuisce, il software del Serato interpreta
90
queste variazioni di frequenza come un cambio di velocità, e la velocità del file audio
che sta suonando cambia di conseguenza. Il segnale di controllo è usato anche per
misurare la direzione in cui il disco è spinto. Per la precisione ci sono due segnali di
controllo stampati in entrambi i dischi, uno per il canale destro e uno per il sinistro, che
suonano entrambi la stessa frequenza (ragione per cui viene percepito un segnale unico).
I due toni però sono leggermente sfasati. Il software, rilevando questo sfasamento, è in
grado di dire che se il segnale nel canale destro è ritardato rispetto al segnale del canale
sinistro allora il disco sta muovendosi in avanti.
Per riconoscere il posizionamento della puntina nel disco, il Serato ha introdotto del
rumore all’interno dei dischi di controllo. Questo rumore, che non può essere udito,
varia costantemente, quindi la forma d’onda muta la sua forma in modo sempre
differente per tutta la durata del disco. Il software del Serato riconosce queste variazioni
e le usa per indicare molto precisamente dove è posizionata la puntina sulla superficie
del disco. Questo significa che a seconda di dove il dj fa cadere la puntina suoneranno
parti del brano differenti come se si stesse utilizzando un vero vinile. La comunicazione
tra disco e computer avviene tramite la scatola nera (interfaccia SL3 Serato).
interfaccia SL3 Serato (Rane)
Questa è un convertitore ADC che manda informazioni digitalizzate sui cambiamenti
del suono prodotto dai dischi al software. Il software traduce i dati in arrivo nei
corrispondenti cambiamenti di posizione, velocità e direzione di un file audio digitale. Il
dati sono poi incanalati nel mixer dove possono essere manipolati come un qualsiasi
segnale audio analogico.
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software Serato Dj v1.8.2 (Rane)
Nella parte inferiore del software sono disposte le informazioni della traccia (nome
dell’artista, titolo, ecc.); nella parte superiore invece si svolge l’azione. Sono
rappresentati graficamente due cerchi bianchi chiamati “virtual decks”. Questi
raffigurano la canzone mentre viene suonata sui giradischi uno e due; inoltre indicano i
battiti per minuto (BPM), la lunghezza del brano e la posizione corrente di ascolto.
Sopra ai cerchi bianchi si trovano degli interruttori che consentono l’impiego di
diverse modalità di riproduzione: absolute (ABS), relative (REL) e internal (INT). In
modalità ABS il disco è trattato come se fosse un vinile vero, decretando l’inizio della
canzone al margine esterno del disco. Spostare la puntina in avanti significa avanzare
rispettivamente con il brano riprodotto. Questo significa che durante una sessione la
puntina potrebbe saltare, esattamente come avviene nel sistema tradizionale analogico.
Per evitare questo inconveniente si può passare al sistema relative (REL), che registra i
movimenti avanti o indietro del disco ma non la posizione della puntina. Questo è il
sistema prevalentemente utilizzato durante i dj set in discoteca nei quali non sono
richieste tecniche di turntablism avanzate. Infine, la modalità internal permette al dj di
manipolare i brani utilizzando esclusivamente il computer, senza l’uso dei giradischi.
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Questa modalità può tornare molto utile in caso di malfunzionamenti dei giradischi nel
mezzo di un dj set.
L’utilizzo dei sistemi DVS ha caratterizzato prevalentemente tre aree del mondo
tradizionale del dj: il trasporto, l’acquisto e la manipolazione dei dischi. Nelle decadi
precedenti all’introduzione di tali sitemi i dj spendevano ore a trasportare dischi da un
luogo all’altro e passavano la maggior parte del tempo dei dj set con la schiena china
alla ricerca del disco successivo da suonare. Il trasporto dei dischi era un problema
notevole per i dj che dovevano viaggiare in aereo per lavoro o per sostenere le battles.
Tasse maggiorate, furti, perdita di bagagli e danneggiamenti erano una realtà quotidiana.
Dopo gli episodi dell’11 settembre, con l’intensificarsi dei controlli e con l’aumento dei
costi, il problema del trasporto ha raggiunto picchi massimi. Con il digitale i dj
potevano portare con sé intere librerie musicali all’interno di un laptop, coprendo una
selezione musicale enorme.
I sistemi DVS non hanno influenzato solo il modo in cui i dj trasportano la loro
musica, ma anche il modo in cui la acquistano. Grazie al vinile digitale un dj ha bisogno
solamente di due dischi per suonare i files all’interno di un computer. Un dj veterano da
battaglia poteva avere all’interno della sua libreria anche 8 copie dello stesso disco, ora
per riprodurre lo stesso brano su entrambi i giradischi basta semplicemente trascinare il
files audio su entrambi i virtual decks. Inoltre, i files, a differenza dei vinili, non si
deteriorano. Grazie ad internet i dj non hanno più la necessità di ricercare i dischi nei
negozi specializzati e possono acquistare o procurarsi qualsiasi rarità stando
comodamente a casa. E’ un dato di fatto che dall’introduzione dei sistemi DVS i dj
acquistano meno vinili. Molta musica uscita di recente non è stata stampata in vinile e
spesso accade che nel mezzo di una serata, per rispondere ad una particolare richiesta
del pubblico, un dj possa connettersi ad internet e scaricare un brano per suonarlo al
momento. Il modo stesso di fare dj set è cambiato negli anni ed oggi si tende a far
durare un brano giusto il tempo di una strofa e un ritornello. Cambi così rapidi tra un
pezzo e l’altro sarebbero complicati se non impossibili da sostenere con il metodo
analogico.
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94
PARTE II
Il Disc Jockey nella storia
7. Il Dj nelle radio
L’anno in cui la radio inizia la sua attività è il 1922, prima di questa data c’erano solo
pochi scienziati ed hobbisti che si dilettavano ad esplorare il nuovo mezzo di
comunicazione.
Tra questi, il primo a trasmettere musica via radio fu Lee DeForest nel 1906, fu la
sua invenzione del triodo a rendere possibile la radiodiffusione. Dal suo laboratorio nel
Parker Building di New York riprodusse l’Ouverture di Guglielmo Tell. A modo suo fu
il primo dj della storia.
Dopo Lee DeForest ci fu il dottor Elman Meyers che nel 1911 trasmetteva un
programma quotidiano di 18 ore composto unicamente da dischi. Qualche anno dopo,
nel 1914 Sybil True conduceva un programma intitolato “the little ham program”. Sybil
un giorno si recò in un negozio di dischi locale e prese in prestito qualche disco per
cercare di aumentare gli ascolti specialmente da parte dei più giovani. I giorni seguenti
vide che il suo programma influenzava le vendite del negozio di dischi dal quale si era
rifornita. Gli ascoltatori si precipitavano a comprare il disco che Sybil aveva mandato in
onda la sera prima. La nuova forza del mezzo di comunicazione stava iniziando a
mostrarsi [Brewster 2014].
Nel 1920 iniziò a trasmettere la Kdka di Pittsbugh, prima stazione radiofonica
commerciale autorizzata e pochi anni dopo si aggiunsero la Wwj di Detroit e la
canadese Xwa. Le prime radio sono esclusivamente americane perchè qui il governo
non assunse il monopolio del nuovo mezzo di comunicazione. La radio era intesa come
un mezzo pubblicitario di massa, ragione per cui si occupava di intrattenimento
95
popolare. Nel marzo del 1922 gli Stati Uniti contavano 564 stazioni radio [Watson, Hill
2012].
Anche la BBC inizia a trasmettere in Inghilterra lo stesso anno ma il primo disco
musicale andò in onda solo nel 1927 per merito di Christopher Stone. Il conduttore
trovò diverse resistenze da parte della BBC prima di poter trasmettere un programma
interamente incentrato sulla messa in onda di musica Jazz. Il suo format ebbe un enorme
successo rendendo Stone una delle prime star radiofoniche. In quell’epoca le
trasmissioni diurne erano riempite di notiziari, previsioni del tempo, lezioni su temi
scientifici e culturali. Raramente si poteva udire l’esecuzione di un pianista o di un
cantante. La sera si trasmettevano le dirette di sale da ballo o da concerto. Nel palinsesto
il disco aveva un ruolo estremamente marginale, non solo, era visto con riluttanza. Il
ministero del lavoro statunitense accordò licenze agevolate a quelle stazioni che non
facevano uso di musica registrata, considerandola una forma di intrattenimento scadente
e dunque non necessaria (affermazione in qualche modo giustificata dalla ancora scarsa
qualità delle registrazioni) [Watson, Hill 2012].
Durante la Grande Depressione solo le grandi emittenti come NBC e CBS potevano
permettersi di trasmettere musica suonata dal vivo, mentre le piccole stazioni si
servivano del grammofono.
La radio non retribuiva gli artisti che venivano riprodotti dai dischi andando a
gravare sul loro lavoro. La American Federation of Musicians, un’associazione di
categoria, iniziò una vera e propria crociata contro la radiodiffusione dei dischi. Nel
1941 la Ascap (American Society of Composers, Authors and Publisher) chiese un
aumento delle royalty pari al 70% per compensare la perdita di profitto a scapito dei
suoi associati derivante dalla radiodiffusione. Il primo agosto 1942 i musicisti
dell’Ascap entrarono in sciopero. La AFM (American Federation of Musicians) proibì a
tutti i suoi associati di incidere dischi fino a quando le stazioni radio non si fossero
adeguate alle loro richieste. Per contrastare il potere della Ascap le stazioni radiofoniche
unirono le forze e fondarono la National Association of Broadcasters, la quale creò una
propria istituzione che si occupava della tutela del diritto d’autore, la Broadcast Music
Incorporated. Durante il periodo dello sciopero fu impedita la trasmissione degli artisti
associati Ascap, la quale vantava tra i suoi iscritti molti dei musicisti più acclamati
96
dell’epoca. Per questo motivo la BMI attirò principalmente le nuove leve e i musicisti di
colore ai quali l’Ascap aveva impedito la possibilità di associarsi. Al termine dello
sciopero l’Ascap ottenne un incremento delle royalty e la BMI aveva favorito la
promozione di artisti provenienti da etichette indipendenti minori e di generi poco
conosciuti come il Jazz e il Blues.
Il termine DJ, ossia Disc Jockey, venne usato per la prima volta il 13 agosto 1941
sulla rivista “Variety” nella quale un giornalista scrisse «Gilbert è un disc jockey che
canta sopra i dischi». Il termine “jockey” (letteralmente “fantino”) qui connota
probabilmente una valenza negativa poiché viene spesso usato per riferirsi anche ad un
imbroglione, un truffatore.
Nel 1948, con l’invenzione del transistor, la radio divenne un oggetto alla portata di
tutti. Le radio iniziavano a modellare il loro palinsesto sui gusti della gente e per la
trasmissione musicale si affidavano sempre di più ai dischi. La figura del dj iniziava ad
essere fondamentale. Martin Block fu uno dei primi protagonisti ad emergere per le sue
doti carismatiche. Il suo programma chiamato “make believe ballroom” faceva uso
massiccio di musica registrata e in soli quattro mesi conquistò quattro milioni di
ascoltatori. I suoi annunci promozionali avevano aiutato a vendere 300 frigoriferi
durante una bufera di neve. Se suonava un disco questo diventava un successo
immediato, dote che gli conferì lo pseudonimo di “Re Mida della musica” [Segarini
2011].
La sua figura e il suo potere come disc jockey fecero sorgere nel mondo
dell’industria musicale la figura del promotore discografico. Le etichette iniziarono a
spedire le proprie novità discografiche ai dj più influenti al fine di ottenere una
produzione radiofonica.
Nel 1942 Billboard introdusse una classifica chiamata Harlem Hit Parade, tre anni
dopo si iniziò a parlare di dischi “race” per fare riferimento ai dischi realizzati da
musicisti di colore. Il termine, che aveva connotazioni razziste, fu sostituito nel 1949
con “rhythm’n’Blues”.
97
Dal momento in cui «una voce non ha colore» come sosteneva la rivista Ebony nel
1947, le stazioni radiofoniche iniziarono ad assumere dj di colore al fine di conquistare
anche la fetta di ascoltatori afroamericani.
Al Benson fu il primo dj nero a non utilizzare la parlata dei bianchi. Il suo slang
conquistò la gente di colore che si identificava in lui e ne era orgogliosa. Oltre
all’influenza musicale di questi dj la vera innovazione era data dal loro modo di parlare.
Utilizzavano uno slang afroamericano, parlavano solitamente in rima e iniziavano a
costruire i loro programmi come un vero e proprio show [Pecknold 2007].
Douglas “Jocko” Henderson conduceva da Harlem il suo 1280 Rocket utilizzando il
rumore di un razzo per iniziare il programma e facendo spesso riferimento allo spazio e
ai missili spaziali. Bill Brewster lo definisce come un « ritmonauta». Jacko dimostrò che
il dj radiofonico poteva essere considerato un artista creativo. Il suo stile avrebbe avuto
enorme influenza tra i dj dei sound system giamaicani che ne copiarono la parlata in
rima.
Il problema del razzismo negli stati uniti era ancora forte e la possibilità di condurre
per i dj di colore era un’occasione rara. Paradossalmente venivano assunti per insegnare
il loro slang ai dj bianchi che quando andavano in onda potevano adoperare la loro
parlata per accattivarsi il pubblico nero [Brewster 2014]. Lo stesso termine R’n’B venne
ribattezzato “rock’n’roll” da Alan Freed, un dj della Wjw che nel 1951 conduceva un
programma chiamato The Moon Dog House Rock 'n Roll Party, come stratagemma per
rendere accessibile quel genere di derivazione nera alla fascia più giovane della
comunità bianca [Torres 1998].
Freed nel 1952 sfruttò il suo potere mediatico per organizzare il Moondog
Coronation Ball, un concerto R’n’B che ebbe un successo dalle dimensioni inaspettate.
Il luogo di tale evento, la Cleveland Arena, aveva una capacità di 10 mila posti. Alle
23.30 si contavano 25 mila persone, quasi tutte di colore. In seguito all’episodio la
stampa locale, fortemente contrariata, iniziò una campagna per obbligare Freed a
lasciare la città.
La sua influenza commerciale era tale che se suonava un disco, il giorno dopo
avrebbe venduto 10 mila copie. Tale potere era talmente forte da determinare l’insorgere
98
di una pratica denominata “payola”. Questa consisteva nella programmazione
radiofonica musicale dietro compenso illecito ai conduttori da parte delle compagnie
discografiche al fine di far affermare determinati dischi o prodotti sul mercato. Alan
Freed fu uno degli indagati in una maxi inchiesta condotta nel 1959. Sebbene il
fenomeno della payola fosse una realtà accertata, l’eccessivo accanimento dell’FBI nei
confronti di Freed aveva motivazioni razziste 18. Secondo molti, l’inventore del
rock’n’roll trasmettendo musica nera stava «traviando le menti dei giovani americani».
Questo spiegherebbe la maggior severità della pena a lui riservata (500 dollari e sei mesi
di reclusione) in confronto a altri colleghi ritenuti colpevoli ma mai giudicati, come
Dick Clark. Quest’ultimo dichiarò successivamente che per merito di Freed e del
rock’n’roll molti ebbero il primo vero contatto con la cultura afroamericana [Brewster
2014].
18 Colleghi ritenuti colpevoli tanto quanto Freed dalle indagini dell’FBI subirono condanne decisamente
più lievi o non vennero condannati affatto.
99
7.1 Il Dj nelle discoteche
La figura del dj iniziò ad uscire dalle radio quando Jimmy Savile, un giovane
americano con la passione per lo swing, decise di riprodurre la sua collezione di dischi
di fronte ad un pubblico. Nel 1943 affittò una sala parrocchiale e fissò il prezzo
d’entrata a uno scellino. La sua dotazione era composta da una pila di 78 giri e
apparecchiatura di fortuna. Il precario sistema di amplificazione, costruito da un amico
con materiale di recupero, finì per andare in corto circuito quasi subito ponendo
immediatamente fine alla serata. Savile ci riprovò con un impianto più mobile e robusto,
composto da un unico giradischi e altoparlanti da 6 centimetri. Il successo delle sue
serate gli valse l’ingaggio da parte della Mecca Ballrooms 19, proprietaria di numerose
sale da ballo in tutta l’Inghilterra, per portare in giro il suo spettacolo. Savile, per
eliminare i silenzi tra un brano e l’altro, decise di impiegare un secondo giradischi,
diventando l’artefice dell’idea che diede origine al djing odierno [Brewster 2014].
Nel 1960 il twist portò ad una rivoluzione culturale enorme. Il nuovo ballo era tanto
disprezzato dai giornalisti quanto amato dai giovani e sicuramente contribuì ad
abbattere le barriere razziali. Richiamava i movimenti delle antiche danze tribali
ghanesi, la sua forza stava nella sua semplicità, poteva essere ballato senza partner e
senza la conoscenza di passi specifici. Non bisognava più focalizzarsi sul proprio
compagno di ballo ma ci si univa al divertimento collettivo, bastavano un disco e un dj.
Questa nuova concezione del ballo riscrisse le regole che vigevano in pista dando
origine alla concezione moderna della discoteca.
Negli Stati Uniti la musica veniva fruita maggiormente per mezzo della radio, che
qui era uno strumento di comunicazione privato, dunque libero. Al contrario, nel Regno
Unito la radio era uno strumento governativo, di conseguenza l’unico modo per
ascoltare musica americana era frequentare le sale da ballo. L’affermazione delle
discoteche in Inghilterra fu merito di una sub cultura giovanile sorta alla fine degli anni
Cinquanta, i mod. Provenivano da famiglie della classe operaia e adoravano ballare
musica giamaicana e afroamericana. Il locale di riferimento per i mod era lo Scene,
19 Mecca Leisure Group, proprietari di diversi nightclub, hotel, parchi divertimento.
100
situato a Ham Yard a Soho. Si distingueva dagli altri locali per il dj che vi suonava, Guy
Stevens. Accorrevano da tutto il paese per sentire la sua selezione di R’n’B, persino
stars come Beatles, Eric Clapton o gli Stones frequentavano il locale [Brewster 2014].
Cavalcando l’onda del successo che stava ottenendo la club culture britannica, negli
Stati Uniti iniziarono ad affiorare svariati locali appariscenti ed eleganti. Tra questi uno
dei più frequentati era l’Arthur, nel quale suonava i dischi Terry Noel.
Terry fu il primo dj a mixare i brani. Non si limitava solo alla selezione musicale,
voleva gestire l’organizzazione di ogni cosa. Chiese al tecnico del suono dell’Arthur di
realizzare altoparlanti che funzionassero indipendentemente l’uno dall’altro, con i
controlli della frequenza separati in modo da poter gestire il suono a suo gusto. Stava
offrendo alla gente uno show completo diventando un modello per le successive
generazioni di dj.
Come fa notare Brewster:
«Quando il dj abbandonò le radio per scendere nell’arena del ballo, il suo lavoro era
cambiato radicalmente. Ora non doveva più semplicemente selezionare musica e creare
mode, ma dedicarsi alla risposta del pubblico. Ora che la relazione tra musica e
pubblico era diventata interattiva, quest’ultimo costituiva parte dell’evento: in un certo
senso il pubblico era l’evento e il dj aveva il compito di controllare il suo livello di
divertimento».
Nonostante la club culture fosse un fenomeno più radicato in Inghilterra rispetto che
negli Stati Uniti, i dj inglesi rifornivano le loro selezioni musicali di dischi provenienti
dal Nuovo Continente. Un legame reso ancora più solido dalle somiglianze sociali tra la
classe operaia inglese e la comunità nera americana.
Un’altra sottocultura che delineò un ulteriore modello per la figura del dj è quella del
Northern soul, genere musicale sviluppato nel nord dell’Inghilterra e caratterizzato da
ritmi veloci simile al soul di Detroit. Quando gli artisti della Motown smisero di
produrre musica che soddisfacesse i canoni estetici dei dj Northern soul, questi
iniziarono a scavare alla ricerca di dischi più rari. Questi dischi spesso erano gli
insuccessi di gruppi di minore importanza, prodotti da piccole etichette indipendenti
sconosciute dimenticati negli Stati Uniti e riportati alla luce nel nord dell’Inghilterra. La
101
figura del Northern soul ha trasformato il dj in un collezionista e intenditore di musica.
Essendo la sua filosofia fondata sulla ricerca accurata delle rarità e non sulle hit del
momento, il Northern soul tramutò il dj in un archeologo di reperti musicali. Gli
appassionati avrebbero viaggiato chilometri per ascoltare quel particolare disco raro e la
fama di un dj poteva decollare non appena fosse venuto in possesso di un particolare
titolo introvabile. Uno dei dischi più rari e quotati dell’epoca era Do I love You? di
Frank Wilson. Per salvaguardare l’esclusività della propria selezione musicale, i dj del
Northern soul presero dai colleghi giamaicani l’idea di strappare o coprire l’etichetta dei
dischi che suonavano, pratica chiamata cover-up. Quelle del cover-up era una delle tante
innovazioni nate in Giamaica e destinate a diffondersi nelle abitudini dei dj di tutto il
mondo.
7.1.1 Il Sound System
In Giamaica nacque il concetto di sound system, ossia enormi impianti mobili di
casse e amplificatori progettati per suonare musica all’aperto con più potenza possibile.
Date le condizioni di povertà in cui versava la maggior parte della popolazione, pochi
potevano permettersi l’acquisto di dischi da suonare a casa, questo permise ai sound
system di radicarsi profondamente nella cultura dell’isola. Una delle prerogative del
sound system era quella di costruire l’impianto più potente di chiunque altro. Questo
obiettivo generò un’accesissima rivalità tra i dj dell’isola, i quali godevano di un
altissimo sostegno popolare.
Negli anni Sessanta si iniziavano ad organizzare degli scontri testa a testa, chiamati
sound clash, nei quali i sound system rivali si disponevano l’uno di fronte all’altro per
guadagnare la supremazia. La vittoria andava a chi possedeva l’impianto più potente e
la selezione musicale migliore. La competizione portò allo sviluppo di tecniche, prassi e
strategie nuove come quella di inserire un intervento vocale dal vivo nei momenti in cui
i brani erano privi del cantato, sotto forma di rime e testi improvvisati che si rifaceva
allo stile e al gergo usato dai conduttori radiofonici afroamericani. Dal 1956 in poi, per
merito di Winston Machuki, non ci sarà più un’unica figura che mette i dischi e li
102
presenta al microfoni, i ruoli verranno suddivisi tra il selector e il deejay (termine qui
utilizzato per definire lo speaker) [Henriques 2011]. Dj come U-Roy iniziarono a
sovrapporre i propri testi su delle basi ritmiche prese da vecchi brani rocksteady dando
alla luce hit dall’enorme successo commerciale.
Generi quali reggae, ska, rocksteady nacquero come musica da suonare in un sound
system. L’enfatizzazione delle frequenze basse in questi generi musicali deriva dal fatto
che i grossi impianti suonavano in ampi spazi aperti, dove le frequenze più gravi
tendevano a disperdersi con facilità a causa delle loro proprietà fisiche. I primi
produttori di questi generi musicali non a caso erano tutti proprietari di un sound
system. Quando il materiale proveniente dagli Stati Uniti non era più confacente al
gusto del pubblico giamaicano, dj come Duke Reid e Coxone Dodd iniziarono a recarsi
nelle sale di incisione alla ricerca di un sound più consono, diventando così anche
produttori di brani esclusivi. Iniziarono a registrare versioni strumentali di famosi brani
r’n’b americani ma aggiungendo alcune caratteristiche inedite, come il basso più
accentuato e un ritmo di chitarra più shuffle. Queste registrazioni, chiamate version,
venivano incise su un acetato per uso esclusivo del dj e non erano fatte per essere
vendute. Il materiale di cui erano fatte era delicato e i solchi si logoravano dopo una
quindicina di riproduzioni. Questi dischi di cera erano chiamati dubplate20. Essendo
brani interamente strumentali, i dj potevano eseguire i loro interventi per tutta la durata
del brano e non più solo nelle parti prive di cantato. Nel 1959 furono pubblicati i primi
45 giri destinati alla vendita, i dj iniziarono ad estendere il loro operato anche al campo
della produzione di brani inediti aprendo i propri studi di registrazione. Con i dubplate
un sound system poteva avere a disposizione una gran quantità di dischi esclusivi.
La version era il punto di partenza per una nuova canzone alla quale venivano
aggiunti la voce del dj e spesso altri elementi come chitarra ed organo. Il cuore di queste
produzioni è costituito dal riddim, nel quale basso e batteria hanno un ruolo rilevante.
Uno stesso riddim può venire riutilizzato in centinaia di brani diversi. Uno dei più
famosi e usati è death in the arena, che ha preso la linea di basso dal brano funky
donkey di Bernard Purdey (1968).
20 Il dubplate in genere fa anche riferimento al disco di acetato utilizzato negli studi di masterizzazione
al fine di controllare la qualit; ed esaminare le incisioni prima del master finale.
103
Le versions evolsero e si svilupparono soprattutto per merito della tecnologia. In
principio le incisioni venivano fatte su registratori ad una singola pista, in questo modo
tutti gli strumenti e la voce erano registrati simultaneamente in presa diretta. Questo
fino a quando Coxsone Dodd, di ritorno da un viaggio in Inghilterra, portò con se nuove
attrezzature per il suo studio di registrazione, lo Studio One. Tra queste c’era un
registratore a due piste che permetteva di incidere la parte strumentale
indipendentemente da quella vocale, per cui ogni pezzo registrato allo Studio One
poteva essere inciso senza la linea vocale. In questo modo la traccia ritmica poteva
essere riutilizzata e modificata a piacimento realizzando infinite rielaborazioni dello
stesso ritmo caratterizzate dallo stile e dall’ingegno del dj del momento.
Duke Reid e il suo sound system Trojan alla fine degli anni Sessanta
Il fenomeno delle version subì un’accelerazione ulteriore nel 1967 quando Ruddy
Redwood, proprietario di un sound system, mise le mani su una particolare copia in
acetato di un brano conosciutissimo, on the beach dei Paragons. La peculiarità di quella
copia era che, per una svista del tecnico audio, mancava la linea vocale. In una serata,
dopo aver fatto ascoltare la versione originale del brano, Redwood suonò la versione
senza traccia vocale e la gente andò in visibilio intonando in coro i versi del brano. Il dj
suonò il disco talmente tante volte nel corso della serata che il giorno dopo era
inutilizzabile [Henriques 2011]. Dato il successo che ebbero le version tra il pubblico
giamaicano, il genere smise di essere appannaggio esclusivo dei sound system e dal
1971 vennero stampati 45 giri con la versione strumentale del brano incisa nel lato B.
104
L’esigenza dei dj di avere dischi sempre più esclusivi gettò le basi per quello che
diventerà il remix dance.
7.1.2 Disco music
L a disco music fu alla base di alcune delle più radicali innovazioni nel modo di
concepire, creare e consumare la musica. Cambiò radicalmente la fisionomia del club e
della radio. Le canzoni venivano concepite per essere destinate alla pista da ballo,
dovevano essere funzionali. Il dj con la disco iniziò ad acquisire le prime tecniche di
mixaggio. La disco fece da sfondo ad un’epoca di cambiamenti sociali (legalizzazione
dell’aborto, pillola anticoncezionale) che contribuirono a mutare l’atteggiamento
dell’opinione pubblica nei confronti del sesso andando ad ammorbidire le rigide
posizioni relative ai rapporti tra omosessuali. Fu, non di meno, la colonna sonora della
fuga da una realtà fatta di guerra in Vietnam, crisi petrolifera e regressione economica.
La notte del 21 giugno 1969, di fronte allo Stonewall Inn del Greenwich Village a
Manhattan, ci fu un'accesa rivolta gay in seguito alla quale le minoranze composte da
omosessuali, ispanici e neri si unirono per riscattarsi da anni di repressione e
oppressione. La disco music era la voce di queste minoranze che ora non dovevano più
nascondersi ed iniziarono ad affollare i locali notturni. La club culture ereditata dagli
anni Sessanta e simboleggiata da locali come l'Arthur di New York non aveva ispirato
nessun nuovo movimento musicale. Gravi episodi di cronaca misero bruscamente fine
alle ideologie della comunità hippie e la musica si stava trasformando diventando
sempre più riflessiva e meno ballabile. Il jet set e il suo seguito avevano abbandonato le
discoteche lasciando un vuoto che sarebbe stato riempito da neri, ispanici e bianchi
proletari facendo tornare la notte nelle mani delle classi sociali più basse.
Nel periodo delle sommosse del Greenwich Village, poco distante dai luoghi degli
scontri, c’era un locale chiamato Haven nel quale lavorava quello che è accreditato
come il padre di tutti i dj moderni: l’italo americano Francis Grasso. Grasso cambiò
radicalmente il rapporto fra il dj e il suo pubblico, introdusse tecniche e prassi che oggi
utilizzano tutti i dj del mondo. Francis fin dall’inizio della sua carriera utilizzava una
105
tecnica chiamata beat-mix, la quale consisteva nella sovrapposizione della parte finale di
una traccia con la parte iniziale di un’altra in modo che entrambe le canzoni suonassero
sincronizzate. Non fu il primo ad utilizzare questa tecnica ma sicuramente era uno dei
migliori a padroneggiarla riuscendo a far suonare due tracce sincronizzare,
contemporaneamente, per più di due minuti.
I giradischi che utilizzava Grasso all’epoca non erano dotati di pitch control, di
conseguenza non era possibile aumentare o rallentare la velocità di un brano per farlo
andare a tempo con l’altro 21. Una volta lanciato il disco non si poteva rimediare in caso
di errore. I giradischi che utilizzava Francis erano dei Thorens TD125 con trazione a
cinghia, fermare il disco con le mani avrebbe potuto deteriorarne il motore rompendo il
giradischi.
giradischi Thorens TD125AB utilizzati da Francis Grasso. Prodotti dal 1968 al 1975.
Successivamente, per agevolare la tecnica del beat mixing, perfezionò lo slip-cue.
Questa pratica, oggi di uso comune, consiste nell’applicare un disco di feltro (oggi è un
panno elettrostatico) tra il vinile e il piatto metallico del giradischi. In questo modo,
eliminando l’attrito, il disco poteva essere tenuto fermo con la mano mentre il piatto
continuava a girare permettendo al dj di far partire il disco nel momento voluto. Francis
scoprì questa tecnica vedendola usare da un dj radiofonico, Bob Lewis, e la utilizzò per
migliorare ulteriormente i suoi mixaggi.
Oltre all’invenzione e al perfezionamento delle prime tecniche da parti di pionieri
come Francis Grasso, Micheal Cappello e Steve D’Acquisto, la rapida ascesa del dj da
21 Inoltre la musica che suonava era composta da musicisti e non da drum machines, di conseguenza il
tempo dei brani aveva un margine di errore che ne rendeva difficile e imprevedibile il mixaggio.
106
discoteca fu possibile grazie alle innovazioni nel campo degli impianti audio. Un ruolo
fondamentale lo ebbe Alex Rosner, un ingegnere che aveva impiego nell’industria
militare. Per hobby conduceva esperimenti su impianti audio stereofonici assecondando
la sua passione per l’alta fedeltà. Rosner costruì il primo sistema stereofonico al mondo
destinato alle discoteche, prima di allora tutti gli impianti erano monofonici [Brewster
2014]. Successivamente iniziò a lavorare per la progettazione di impianti da discoteca.
Lavorò anche all’Haven, dove realizzo il primo mixer stereo, un sistema molto
rudimentale e poco preciso, soprannominato Rosie per via del suo colore rosso acceso.
Rosner contribuì alla nascita del primo mixer disponibile per il pubblico, il Bozak 1971.
Nella progettazione diede preziosi suggerimenti al suo inventore, Louis Bozak, in
merito alle specifiche fondamentali che doveva avere un mixer da discoteca.
«Finchè non arrivò il mixer di Bozak mi toccò “inventare la ruota”» ..«Ma aiutai Bozak
a progettare il suo mixer; gli diedi consigli per migliorarlo. Aveva già un mixer a dieci
canali, gli dissi che bastava fare delle piccole modifiche per trasformarlo in un mixer
stereo da discoteca: ci riuscì al primo tentativo».
Il prototipo di Bozak divenne lo standard industriale per i successivi quindici anni
[Brewster 2014].
mixer Bozak CMA-10-2DL progettato da Bozak nel 1971 con i suggerimenti di Rosner.
Un ruolo chiave nella definizione della figura del dj come lo conosciamo oggi lo ha
avuto David Mancuso. Mancuso esigeva un’ottima qualità del suono. Non mixava i
brani, sostenendo che i dischi vanno ascoltati nella loro interezza senza manipolarli. Il
suo locale, il Loft (era effettivamente il loft nel quale viveva), era luogo di una serie di
107
feste private nelle quelli erano invitati solo amici intimi. All’ingresso si pagavano due
dollari e cinquanta e nel prezzo erano compresi guardaroba, cibo e musica. Per Mancuso
la qualità del suono era importante almeno quanto la selezione musicale, e lui curava nei
minimi dettagli entrambi gli aspetti. Nel 1971 conobbe Rosner il quale si offrì di
migliorare il suo sistema di ascolto. La fedeltà dell’impianto creato da Rosner al Loft
divenne lo standard per le discoteche di tutto il mondo. Per la realizzazione dei suoi
impianti d’ascolto Rosner faceva quello che nessuno aveva mai fatto, applicava le
tecniche audiofile dell’alta fedeltà nella progettazione degli impianti da discoteca. Per
raggiungere i risultati voluti sostituiva i componenti scadenti con quelli di migliore
qualità, sapeva dove e come collocare gli altoparlanti per farli suonare al meglio.
Mancuso e Rosner formarono un duo formidabile, il primo proponeva idee funzionali al
miglioramento del suo lavoro e Rosner le realizzava materialmente. Il Loft all’epoca si
serviva di altoparlanti Klippschorn (progettati da Paul Klippsh negli anni Venti e famosi
per la loro semplicità e purezza del suono), composizioni di tweeter Jbl, giradischi
Mitchell Cotter e testine Koetsu realizzate a mano (da un costruttore giapponese di
spade per samurai) [Brewster 2014]. Nonostante conoscesse e sapesse usare le tecniche
moderne di mixaggio la sua attitudine non prevedeva assolutamente la sovrapposizione
dei brani. Lasciava sempre un po’ di spazio tra una canzone e l’altra suonandole
dall’inizio alla fine, senza modificarne il pitch o l’equalizzazione. La sua abilità e
caratteristica distintiva non consisteva tanto nel mixaggio quanto nella capacità di
impiegare i dischi per raccontare una storia. Usava i dischi per comporre selezioni
musicali che creassero stati d’animo in continuo mutamento. Ogni brano seguiva quello
precedente in un’intensa narrazione musicale. Il suo Loft era un logo di aggregazione
unico. C’era un mix di preferenze sessuali, razze e ceti sociali diversi. Aveva contribuito
alla creazione di un ambiente in cui le barriere sociali e razziali non esistevano, dove il
collante era la musica. La selezione dei suo brani era ricercatissima: suonava soul
bianco, nero, afro-funk, brani strumentali e tutto quello che riusciva a esprimere
sentimento, speranza, orgoglio e amore.
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giradischi Mitchell Cotter B1 utilizzati da David Mancuso
I dj erano in grado di rendere popolare un brano portandolo al successo. Come dice
Vince Aletti in un articolo apparso sul Rolling Stone del 12 settembre 1973:
«I migliori dj da discoteca sono star underground che scoprono album precedentemente
ignorati»…«Essendo più vicini ai repentini cambiamenti di gusti musicali della gente,
questi dj sono i primi a riflettere tali mutamenti nella musica che suonano».
Le basi della club culture odierna si fondando sulle innovazioni e intuizioni di questi
artisti visionari ai quali tutti i dj odierni devono qualcosa.
7.1.3 Il Dj Hip Hop
A pochi passi dal Loft di Mancuso e dell’Heaven di Grasso si stava compiendo
un’altra rivoluzione al termine della quale il giradischi si trasformò da dispositivo di
riproduzione a vero e proprio strumento musicale.
Ci troviamo nel Bronx, uno dei quartieri più violenti al mondo. Kool Herc, dj di
origine giamaicana, doveva organizzare una festa per far sì che la sua sorella minore
potesse acquistare nuovi vestiti per andare a scuola. Kool Herc prese in prestito lo stereo
dal padre, lo fece modificare da suo fratello e selezionò le migliori novità funk, soul e
rock per un discreto gruppo di invitati. La festa fu un successo e non meno importante
rappresentò un momento di evasione dai continui episodi di violenza che
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caratterizzavano il quartiere. Herc continuò a organizzare feste nel Bronx, il suo sound
system stava guadagnando potenza e la sua collezione di dischi iniziava a prosperare.
Nei suoi eventi Herc volle ricreare uno spazio sicuro per i partecipanti, era attento a far
si che i momenti di violenza fossero evitati in ogni modo. Il motto che ben
rappresentava lo spirito di quelle feste era “peace, love unity and hanving fun”. Ancora
una volta la musica diventa uno strumento di evasione dalla realtà dei problemi
quotidiani. Le feste si svolgevano prevalentemente nelle palestre locali o in strada
prelevando la corrente allacciandosi abusivamente ai lampioni pubblici. I dj del Bronx
spostarono la musica dalle discoteche alle strade permettendo a tutti di poterne fruire.
La popolarità di Kool Herc e delle sue feste lo resero il dj dominante del Bronx. Fu
lui ad introdurre negli Stati Uniti il concetto di sound system replicandone la formula
dal modello nato in Giamaica. Come a Kingston anche nel Bronx i dj organizzavano
competizioni chiamate “battles” (battaglie) che ricalcavano i sound clash giamaicani
[Marshall 2009]. I dj studiavano le apparecchiature usate dai sound system rivali, i loro
dischi e tecniche usate, impiegando ore di lavoro per assemblare impianti sempre più
potenti. L’attrezzatura veniva recuperata in ogni modo possibile, dall’immondizia o
dalle macchine abbandonate, e successivamente modificata per essere funzionale alla
costruzione dei sound system. Nelle battles la reputazione di un dj poteva essere
costruita o distrutta in una sera, potevano essere conquistati o persi territori in cui
suonare, si potevano inventare, perfezionare o collaudare nuove tecniche. Nessuno
diventava ricco grazie alle battles, raramente la posta in palio erano i soldi. Più
verosimilmente il vincitore si accaparrava il mixer o il giradischi del dj rivale. Ma più
importante dei beni materiali era la conquista della fama. La concezione delle battles
cambiò nel 1976 quando si iniziò a pensare che un dj doveva distinguersi non tanto per
la musica che suonava, quanto per il modo in cui la suonava. La tecnologia in questa
transizione ebbe ancora un ruolo essenziale. Quando al termine degli anni Sessanta
furono introdotti nel mercato i primi giradischi a trazione diretta e i primi mixer
specifici, i dj poterono iniziare ad espandere il loro repertorio tecnico. Dj come Kool
Herc o Africa Bambataa erano più concentrati sui singoli frammenti musicali, suonando
solo la parte di un brano che ritenevano funzionale al loro scopo. Erano meno
preoccupati di come quei frammenti fossero collegati tra loro e spesso il risultato era un
110
susseguirsi stridente di generi, ritmi, timbri e stati d’animo diversi. Herc, come
Mancuso, era solito suonare il disco dall’inizio alla fine.
Il ballo in questo contesto era di primaria importanza e qui era strettamente connesso
al concetto di break. Il break è un breve assolo di percussioni, tipicamente situato nel
mezzo o alla fine di un brano funk. Il suo potere era quello di far muovere letteralmente
le persone. Era durante questi frammenti percussivi che i ballerini potevano sfoggiare i
loro passi migliori definendo a poco a poco un nuovo genere di ballo. Questi ballerini si
chiamavano B-Boys e B-Girls (dove la B sta per Breaks). I breaks più famosi si
potevano trovare in brani come “Mary Mary” (1967) dei Monkees, in "Rock Steady”
(1971) di Aretha Franklin, “It’s Just Begun” (1972) di Jimmy Castor Bunch,in “The
Mexican” (1972) di Babe Ruth, in “Take Me to the Mardi Gras” (1975) di Bob James, in
“Walk this Way” (1975) degli Aerosmith e il più famoso di tutti che è sul brano “Apache”
(1973) degli Incredible Bongo Band.
Questo nuovo modo di ballare non sarebbe potuto fiorire senza l'intervento del dj dal
momento in cui questi frammenti erano estremamente brevi.
In origine per far ripartire i breaks si utilizzava la tecnica del needle dropping che
consisteva nel rilasciare la puntina sul solco esatto del disco in cui ricominciava il
frammento desiderato.
Quando ancora i mixer dedicati al disc jockey non erano disponibili in commercio i
dj avevano affinato molto bene questa tecnica riducendo al minimo i tempi di silenzio
tra le ripetizioni del break e raggiungendo una precisione quasi chirurgica
nell’individuare il solco su cui far cadere la puntina.
Il primo mixer per dj disponibile in commercio era quello progettato nel 1971 da
Rosner e prodotto da Bozak, il Bozak CMA-10-2DL, molto pesante e costoso (intorno
ai mille dollari), usato in diversi club di Manhattan tra i quali l’Heaven di Francis
Grasso. Non aveva il crossfader e gli slide che troviamo nei mixer moderni ma una fila
di diciannove manopole montate sulla sua facciata verticale. I primi modelli non erano
venduti nei negozi e anche se fosse solo pochi dj potevano permettersene uno. Un altro
mixer molto ambito era il Clubman 2, introdotto nel 1975. Rispetto al precedente mixer
di Bozak il Clumban aveva gli sliders al posto delle manopole ed era munito di un
111
crossfader orizzontale. Anche se più economico del Bozak era comunque inaccessibile a
molti dj. Per mixare i brani senza avere interruzioni tra un pezzo e l’altro, prima di poter
mettere le mani su un mixer, i djs del Bronx ricorrevano a vari stratagemmi. Ad
esempio, due dj si disponevano ai lati opposti di una stanza e quando un brano stava per
giungere al termine venivano fatti dei segnali di luce con una torcia elettrica per
avvisare l’altro dj che prontamente si preparava a lanciare il disco successivo [Katz
2012].
Quando nel 1975 dj Grandmaster Flash riuscì ad avere il suo primo mixer (un Bozak
1971) iniziò a studiare un sistema per collegare i breaks senza perdere la battuta in
modo che gli ascoltatori e i ballerini non avrebbero sentito interruzioni nella musica.
Aveva già a disposizione l'equipaggiamento necessario: due giradischi Technics SL-23,
un mixer e due copie dello stesso disco. La sua intuizione fu la seguente: per controllare
meglio il suono bisognava toccare il disco. Questo principio violava un taboo vecchio
come l’invenzione del fonografo, si sarebbe dovuta infrangere la consuetudine che
imponeva di non toccare mai la superficie del disco come le mani. Era permesso
toccarlo solamente dai bordi se non lo si voleva contaminare con le impronte delle dita.
In origine Grandmaster Flash si accorse che mettendo la mano sul disco era possibile
far si che il piatto continuasse a girare mentre il disco restava fermo e dunque non
veniva riprodotto alcun suono. Quando la mano veniva rilasciata dal disco ecco che la
musica partiva. Per realizzare tale pratica era indispensabile sostituire il disco di gomma
posizionato sopra il piatto metallico del giradischi con un panno di stoffa che non
facesse attrito. In questo modo il panno permetteva al disco di essere tenuto fermo con
la mano mentre il piatto metallico continuava a girare. Il panno poteva essere ricavato
da qualsiasi materiale a portata di mano. La tecnica dello slipmat, già utilizzata da dj
come Francis Grasso con finalità differenti, servì a Grandmaster Flash per compiere un
passo successivo.
Tenere un disco fermo nello stesso punto non era sufficiente, bisognava sapere in che
punto esatto del disco cominciava e finiva il break. Grandmaster Flash allora toccò
nuovamente il disco e vi tracciò con una matita due linee sull’etichetta. Le due linee
avevano origine al centro del disco: la prima corrispondeva all’inizio del break e la
seconda alla sua conclusione. Da questa intuizione Flash sviluppa quella che chiamerà
112
“clock theory”. Con l’etichetta del disco rivolta verso l’alto vi ha tracciato a matita le
suddivisioni che usiamo per leggere l’ora e le sue linee fungevano da lancette per vedere
a che “ora” iniziava il break e a che “ora” finiva. Grandmaster Flash ora aveva il
necessario per ripetere un break a loop.
La sua idea, chiamata Cutting o Backspinning, è schematizzata come segue:

mettere due copie dello stesso disco sui giradischi con entrambe le puntine posizionate all’inizio
del break.

far scorrere il crossfader nella posizione di sinistra, in modo da far suonare il giradischi 1.

utilizzando i segni sull’etichetta come guida, suonare il disco sul giradischi 1 dall’inizio del
break.

mentre il giradischi 1 sta suonando, avviare il giradischi 2 tenendo fermo con la mano il disco in
modo da non far scorrere la puntina, e quindi, senza farlo suonare.

nel momento esatto in cui il break suonato dal giradischi 1 finisce, muovere rapidamente il
crossfader verso destra e far partire il disco del giradischi 2.

mentre il break sta suonando dal giradischi 2, ruotare manualmente il disco sul giradischi 1 fino
al punto d’inizio del break e tenere fermo il disco in quel punto con la mano.

nel momento esatto in cui il break suonato dal giradischi 2 finisce, muovere rapidamente il
crossfader verso sinistra e far partire il disco del giradischi 1.

continuare a piacimento
In questo modo il break poteva suonare ininterrottamente all’infinito.
raffigurazione della clock theory di Grandmaster Flash dove la linea rossa rappresenta la demarcazione dell'inizio
del break e quella blu la sua conclusione
113
Alcuni dj volendo rendere questa prassi più spettacolare agli occhi del pubblico
iniziarono a fare delle piroette tra un cambio e l’altro o a muovere il crossfader facendo
passare il braccio dietro la schiena o sotto le gambe, oppure utilizzando i gomiti o il
naso. Questi movimenti virtuosistici, chiamati “body tricks”, possono ricordare alla
lontana un Mozart che suonava il pianoforte bendato o Jimi Hendrix che suonava la
chitarra con i denti [Katz 2012].
giradischi Technics SL-23 a doppia cinghia utilizzati da Grandmaster Flash. Prodotti dal 1976.
Nel 1975 Grandmaster Flash frequentava un dj chiamato Gene Livingstone. Il
fratello dodicenne di Gene, Theodore, passava molto tempo a utilizzare i giradischi e
nonostante la giovane età padroneggiava molto bene la tecnica del needle drop.
Guardando lo spessore dei solchi era in grado di capire dove iniziava una parte di break.
Il suo nome entrerà nella storia per l’invenzione di una tecnica che rivoluzionerà
l’utilizzo dei giradischi. Se Edison inventò accidentalmente il fonografo, si può dire che
Grand Wizzard Thoedore reinventò, anch’egli per caso, l’uso del giradischi.
In un giorno d’estate stava suonando in casa dei dischi a volume eccessivamente alto.
Aveva la mano ferma sul giradischi sinistro pronta ad essere rilasciata per far iniziare il
brano seguente quando irruppe nella stanza sua madre a intimargli di abbassare il
volume. Mentre la madre lo rimproverava, per non perdere la battuta, Theodore iniziò a
muovere ripetutamente avanti e indietro la mano sul disco di sinistra. Non si era accorto
che il crossfader era al centro così poté udire il suono che stava generando muovendo la
mano sul disco. I dj non avevano mai mosso un disco in quel modo per non danneggiare
114
i solchi e la cinghia del giradischi. Il suono che aveva prodotto quel gesto mai osato
prima venne chiamato scratch.
Theodore non era stato sicuramente il primo a generare quel suono con un disco.
Quando i dj si preparavano ad entrare con un nuovo brano in battuta spostando
leggermente avanti e indietro il disco avevano già udito qualcosa di simile. Ma
Theodore fu il primo a vedere in quel suono un potenziale e fu il primo ad introdurlo al
pubblico come nuova forma musicale [Katz 2012]. .
Mentre gli altri dj fino ad allora utilizzavano il giradischi esclusivamente come
strumento di riproduzione musicale, Grandmaster Flash e Grand Wizzard Theodore lo
avevano trasformato in uno strumento per fare nuova musica. Ci si può chiedere cosa
significhi un’affermazione del genere e come una tale trasformazione effettivamente
abbia luogo. Quasi tutto può potenzialmente diventare uno strumento musicale. Una
tavola zigrinata utilizzata per il lavaggio dei panni se sfregata o percossa può diventare
uno strumento musicale percussivo, dei cucchiai con il dorso rivolto l’uno sull’altro
possono diventare anch’essi uno strumento musicale a percussione. Sia la washboard
che i cucchiai, ed ora il giradischi, sono oggi utilizzati come strumenti associati alle
pratiche musicali dalla comunità afroamericana. Ma il giradischi presenta un caso più
complesso. A differenza di washboard e cucchiai nasce per riprodurre musica. Di norma
però non è la persona che suona il disco ad essere l’autore della musica che sta
suonando, la musica è già stata fatta e ne sta avvenendo una riproduzione attraverso un
lettore musicale. Questo è il motivo principale per cui le persone spesso hanno difficoltà
ad identificare nel dj un musicista che suona uno strumento musicale. Il senso comune
lascia intendere che chiunque sappia porre un disco su un giradischi, adagiare la puntina
e premere il tasto di avviamento. In che modo questo rende il giradischi uno strumento
musicale? Ma Grand Wizzard Theodore e Flash stavano facendo più di questo. Come
ogni strumentista stavano creando e manipolando suoni in tempo reale. Quando Flash
escogitò un modo per ripetere una sequenza ritmica all’infinito manipolando i dischi, o
quando mentre un brano stava suonando nel giradischi sinistro sovrapponeva dei
brevissimi fraseggi di fiati riprodotti con il giradischi di destra, lui non stava
semplicemente riproducendo un disco. Stava creando qualcosa di nuovo e lo stava
facendo in quel preciso momento.
115
C’è una differenza tra un oggetto che viene trattato come strumento e uno che è
identificato e accettato come tale. La trasformazione di un oggetto in uno strumento
musicale è il processo di un insieme di atti che coinvolgono un’intera comunità. Non
penso esista un paradigma per determinare la “strumentalità”, ma penso che un oggetto
possa essere considerato uno strumento quando:

prevede la manipolazione del suono in tempo reale

ha un suono caratteristico distintivo

possiede un corpus di tecniche e gesti sviluppati specificatamente

sia esso stesso un oggetto progettato o sviluppato per fare musica

il suono generato è ritenuto come musicale da una comunità di ascoltatori
Come si è già visto i dj manipolano il suono in tempo reale. Il giradischi, come tutti
gli strumenti tradizionali, ha il suo repertorio di tecniche idiomatiche. La sola tecnica
dello scratch è suddivisa in un’enorme quantità di varianti, quella inventata da Theodore
si chiama “baby scratch”, esistono poi il crab, tear, flare, transformer etc. Anche le
tecniche più elementari richiedono attenzione nella posizione della mano, un buon
orecchio e moltissima pratica. Lo sviluppo di queste tecniche ha portato alla formazione
di un suono distintivo che successivamente aiuterà a definire il giradischi uno strumento
musicale. Il suono dello scratch è fortemente connotato al giradischi esattamente come
il suono di un rullante è associato immediatamente alla batteria.
A differenza degli altri strumenti però, un giradischi non ha solo il suo suono ma può
riprodurre perfettamente anche il suono di qualsiasi altro strumento riproducendone
semplicemente la registrazione. Questo è un vantaggio ma allo stesso tempo non rende
immediatamente chiaro se ciò che si sta udendo derivi da una registrazione o sia frutto
di una creazione in tempo reale. C’è una sconnessione dal rapporto di causa-effetto,
mancano le prove visive del rapporto diretto che si crea tra il musicista e lo strumento
che suona. Prove immediatamente chiare quando un chitarrista suona le corde della
chitarra o un pianista preme i tasti del pianoforte. Parte della questione deriva dal fatto
che il giradischi non nasce come strumento musicale. Si può comunque affermare che
116
non tutti gli strumenti musicali nascono come tali, come le già citate washboard o i
campanacci. E nonostante le washboard o i campanacci potessero essere suonate come
strumenti nella loro forma originaria, i musicisti iniziarono a modificarli per ottenere gli
scopi desiderati. Un processo simile ha luogo con il giradischi. In principio i dj
utilizzavano quello che avevano a disposizione, dopo iniziarono a fare una serie di
modifiche sullo strumento: hanno sostituito il panno di gomma 22 con uno splipmat,
hanno iniziato ad appesantire il braccio del giradischi per far si che la puntina non
saltasse mentre facevano scratch, hanno modificato gli altoparlanti per enfatizzare le
basse frequenze. Solo più tardi i produttori di equipment iniziarono a conformare le loro
attrezzature in risposta alle esigenze dei dj. Furono aggiunti più controlli per i
giradischi, le puntine furono adattate per lo scratch, i mixer furono completamente
ridisegnati e vennero introdotti sistemi digitali per completare ed estendere il lavoro
delle macchine analogiche.
Avere tecniche idiomatiche, un suono caratteristico e un design specializzato non è
abbastanza per definire un oggetto uno strumento musicale. Serve anche il verdetto di
una comunità di ascoltatori che riconosca universalmente i suoni prodotti da
quell’oggetto come musica, decretando l’oggetto stesso uno strumento per fare musica.
Se Grand Wizzard Theodore mette un disco nel giradischi e si siede ad ascoltarlo, il suo
giradischi è un apparecchio di riproduzione musicale. Se prima di sedersi decide di
improvvisare qualche battuta di scratch ecco che lo strumento si trasforma da
apparecchio di riproduzione a strumento musicale nel giro di pochi secondi. Se il
giradischi soffre di una forma di crisi d’identità è perché effettivamente è entrambe le
cose. Data la sua schizofrenia, o forse Schizofonia, sorprende constatare come il
giradischi sia evoluto nel raggiungere la sua identità di strumento musicale mentre
diversi altri strumenti introdotti nel ventesimo secolo siano in gran parte scomparsi.
Un altro fattore che ne ha facilitato il successo è la semplicità: l’essenzialità della sua
interfaccia offre un infinito numero di possibilità musicali. Macchine come il Technics
1200 o i migliori modelli di Vestax e Numark sono estremamente robusti, richiedono
poca manutenzione e possono subire urti senza danneggiarsi. Si può pensare che il
22 Un giradischi è fornito di un robusto disco di gomma, sul quale adagiare il disco, posizionato sopra il
piatto metallico. La tecnica dello slipmat prevede appunto la sostituzione di questo disco con uno di
stoffa (oggi viene utilizzato un materiale antistatico) per ridurre l’attrito del disco.
117
giradischi sia stato adottato perché negli anni settanta era piuttosto facile da reperire.
Non è del tutto vero. Un giradischi era uno strumento relativamente costoso e non tutti
potevano permetterselo. E’ pur vero che molte famiglie ne possedevano uno ma nella
maggior parte dei casi questi giradischi erano inadatti per utilizzo che ne facevano i dj.
In sostanza esistevano modi più semplici per accedere al mondo della musica. La sola
presenza del giradischi non spiega il motivo della proliferazione della cultura dei dj. La
ridefinizione del giradischi come strumento musicale è avvenuta perché un qualcosa
riguardante il giradischi aveva colpito un gruppo di adolescenti del Bronx. In primis il
potenziale illimitato di esplorazione sonora offerto dal mezzo forniva uno sbocco
creativo per una ricerca nuova. Nelle mani di un dj il giradischi poteva diventare uno
strumento di trasgressione, di protesta. Semplicemente toccare la superficie di un disco
violava un taboo universalmente riconosciuto, e i dj toccano i dischi nei modi meno
ortodossi possibile. Lo scratch è la massima espressione della trasgressione dei dj.
Scratchare un disco significa danneggiarlo, è una tecnica che deteriora il suo stesso
mezzo. Una forma di vandalismo che possiamo ricondurre a quella del graffitismo, altro
fenomeno nato nel Bronx nello stesso periodo. Mentre i graffitari firmavano il
paesaggio con il proprio nome, i dj usavano il giradischi per caratterizzare con la loro
identità il paesaggio sonoro della città.
I dj hanno preso una tecnologia data per finita e l’hanno manipolata per renderla
funzionale ai loro scopi. Possiamo definirli inventori? Sicuramente se affianchiamo le
loro innovazioni alle invenzioni di Edison la definizione stride.
Lo storico Rayvon Fouché parla di “black vernacular technological creativity”
[Fouché 2006] per analizzare l’approccio della comunità afroamericana con la
tecnologia; rapporto caratterizzato da un impiego innovativo dei materiali e basato su
un’estetica nera che potremmo definire “tecnologia di stilizzazione”. L a black
vernacular technological creativity deriva dalla resistenza alle tecnologie pre-esistenti
per includere tecniche di appropriazione strategica dei materiali al fine di consentire agli
afroamericani di recuperare differenti livelli di operatività tecnologica. Ci sono due
modalità di black vernacular technological creativity: riconcezione e ricreazione. Come
spiega Fouché, la riconcezione implica la ridefinizione della tecnologia in un impiego
che ne trasgredisce le funzioni designate e le intenzioni dominanti, senza
118
necessariamente alterare la tecnologia stessa. Il dj ha ri-concepito il giradischi,
originariamente designato come apparecchio di riproduzione, per renderlo uno
strumento musicale. I dj hanno anche ricreato il giradischi, alterandolo fisicamente per
soddisfare le loro pratiche e necessità estetiche.
Un esempio interessante è quello di dj Ivan “Doc” Rodriguez, il quale sentiva
l’esigenza di riprodurre un disco al contrario mentre la tecnologia nativa dei giradischi
lo impediva. Prese un giradischi economico e rimosse la testina incollandola sul lato
superiore del braccetto in modo che la puntina fosse rivolta verso l’alto e non più verso
il basso. Successivamente tagliò a metà il cartone di un rotolo di carta igienica e lo
adagiò sopra il perno del giradischi in modo da elevare il disco al di sopra della puntina.
Ora, dal momento in cui il disco stava sopra alla puntina e non sotto, la progressione dei
solchi procedeva in senso antiorario ed il suo obiettivo era raggiunto. I giradischi di
oggi permettono di far ruotare il disco in senso antiorario premendo un tasto, ma quando
le tecnologie non erano disponibili i dj dovevano ingegnarsi.
L’italiano Dj Keyone ricorda:
«Ai tempi eravamo tutti un po’ inventori. Ricordo che sul mio primo mixer sprovvisto di
crossfader montai uno dei cursori del volume ruotato e modificato affinché assolvesse
alle stesse funzioni di un fader. Modificare la strumentazione era pressoché
obbligatorio per riuscire a suonare come si desiderava e in merito a questo ricordo poi
gli esperimenti per modificare le curve di taglio, ad esempio, o gli interminabili warm
up a cui sottoponevo le puntine> [Keyone 2016]>.
Quella che potrebbe essere considerata una soluzione rapida e disordinata per
aggirare una lacuna in realtà è una riconcezione e ricreazione radicale di una tecnologia
secolare. Lo stesso Grandmaster Flash ha definito il suo approccio al mixaggio come
“clock theory” affermando recentemente «io sono uno scienziato prima di qualsiasi
altra cosa» [Grandmaster Flash 2009]. GrandWizzard Theodore parla dei suoi continui
test ed elaborazioni sulle tecniche di scratch allo scopo di « farne una scienza» [Fricke
2002]. Doc Rodriguez vantandosi delle sue modifiche tecnologiche le definisce
innovative. Dj Steve Dee descrive il beatjuggling, una tecnica complessa di mixaggio
introdotta alla fine degli anni Ottanta, in termini di formule ed equazioni e chiamava
119
“laboratorio” il luogo in cui si esercitava. Per i dj l’innovazione ha un ruolo centrale e
la tecnologia è il veicolo attraverso il quale potevano evolvere.
7.2 Il Dj come produttore
Nella tarda metà degli anni Ottanta, da una costola del djing hip hop, è nata una
nuova forma d’arte: quella del produrre strumentali (in gergo beats). Ci sono evidenti
differenze tra la figura del producer e quella del dj, questi ultimi performano dal vivo
maneggiando dischi di fronte ad un pubblico, mentre i producers compongono in studio
di registrazione, spesso lentamente e faticosamente, utilizzando campionatori digitali,
drum machines, sintetizzatori e computer. La figura del producer è stata generata da
quella del dj come sua evoluzione o estensione.
La maggior parte dei produttori prima di comporre beats erano dj. Nel periodo delle
prime registrazioni di brani hip hop, dal 1979 al 1985, il dj aveva una scarsa presenza in
studio. In principio i dj erano sostituiti dai musicisti, successivamente iniziarono ad
essere utilizzate drum machines e campionatori digitali. La figura del dj e la sua utilità
in studio di registrazione stavano andando lentamente alla deriva. Nel 1985, un dj
proveniente dal Queens di New York, Marley Marl, introdusse una nuova tecnica di
campionamento che rinnovò l’interesse per la figura del dj all’interno degli studi di
registrazione. Marl stava utilizzando un campionatore E-Mu Emulator quando vi catturò
il suono della registrazione di un rullante preso da vinile. Si accorse, suonando i tasti del
campionatore, che poteva ricostruire una struttura ritmica diversa da quella originaria
del brano dal quale aveva campionato. A quel tempo i campionatori venivano
programmati con una serie di suoni che gli utenti potevano modellare e personalizzare
per le loro composizioni ma non erano progettati con lo scopo di campionare
registrazioni esterne [Katz 2012]. Marl stava esplorando un territorio mai varcato,
introducendo nuove importanti possibilità di componimento. Poteva riprodurre con un
campionatore le tecniche di backspinning che eseguivano i dj dal vivo campionando una
traccia di batteria registrata su vinile per ricostruirne ex novo la struttura ritmica. Nel
1986 divenne il primo producer hip hop a campionare e riconfigurare un break
120
utilizzando l’inizio di “impeach the President” degli Honeydrippers (1973) per
comporre la strumentale di “the bridge”.
L’innovazione di Marley Marl può essere considerata un abuso creativo della
tecnologia. Il modo in cui si usa la tecnologia non è influenzato unicamente dalle sue
limitazioni, ma anche dalla storia e dall’estetica della comunità che la usa. Quando i
produttori hip hop hanno messo mano sui campionatori avevano già a disposizione un
decennio di tecniche sviluppate dai dj. Inoltre, le canzoni dalle quali campionavano
erano le stesse che i dj avevano suonato per anni. Quando Afrika Islam si approcciò al
producing, riferendosi al suo campionature E-MU SP1200 disse:
«non avevo mai usato un SP1200 prima, ma conoscevo tutti i breaks che avevo
programmato perché ero un dj e la mia fornitura di dischi era illimitata. Ho solo dovuto
imparare a tradurre quello che già sapevo fare utilizzando il campionatore» [Coleman
2007].
La figura del dj, essendo testimone in prima persona dei gusti musicali che meglio si
addicono al pubblico, poteva trasferire questa conoscenza nella produzione di musica
nuova. Per moltissimi produttori l’esperienza come dj è stata la principale forma di
educazione musicale, attraverso la quale hanno potuto familiarizzare con una vasta
gamma di musica, imparando a smontare e rimontare i brani.
Alcuni, come ad esempio Dj Premier -dj e produttore del gruppo Gangstarr e autore
di alcuni dei migliori lavori che il genere possa vantare- sostengono l’importanza del
valore della tradizione nell’approccio alla produzione:
«La mia mentalità da dj è ciò che mi ha formato e che mi tiene produttivo nei canoni
dell’hip hop per come lo conosco io. Le cose che trasmettono alla radio oggi, le hit, le
top ten, so di cosa si tratta e proprio non è il mio stile. Non devo fare quelle cose. Io lo
faccio nel modo tradizionale. Qualcuno deve occuparsi della tradizione; come avviene
per la musica country, devono esserci al mondo un Hank Williams o un Patst Clines»
[Premier 2011].
Come suggeriscono le parole di Premier, la consapevolezza e la fedeltà alla
tradizione sono valori centrali nel mondo del produttore hip hop.
121
Nello studio del campionamento possono essere definiti tre aspetti principali:
l’aspetto estetico, relativo alla dichiarazione del contenuto audio campionato (vale a dire
la scelta del suono giusto); l’aspetto filosofico o musicologico dell’utilizzo di musica
pre-registrata per comporne di nuova; e gli aspetti legali derivanti dall’utilizzo di
musica coperta da copyright.
Oswald [1985] e Cutler [1994] definiscono il campione audio come un dispositivo
compositivo e strategico. Oswald spiega che i dj usano campioni per una necessità
compositiva dovuta alla mancanza di altri strumenti che meglio si adattano alle loro
esigenze, mentre Cutler vede nell’uso dei campioni una protesta contro la cultura
istituzionale della musica. Hesmondhalgh [2006] suggerisce che le correnti norme
sull’uso del campionamento scoraggiano molto la creatività musicale per il timore di
sanzioni economiche. Le leggi sono ancora più sfavorevoli per molti dei musicisti che
vengono campionati dal momento in cui alcuni di questi provengono da tradizioni
musicali meno affermate o che non sono coperti dal diritto d’autore o troppo di nicchia
per schierarsi contro grosse etichette discografiche. Cito l’esempio di Kathleen
Firrantello -figlia del musicista Joe Farrel- che nel 2008 ha istituito un procedimento
legale nei confronti dei produttori Kanye West, Method Man, Redman, Common e altri
artisti hip hop per aver utilizzato (campionato) una porzione del brano “Upon this rock”
senza approvazione. Firrantello chiese un risarcimento danni per 1 milione di dollari e
pretese che venisse cessata la vendita dei suddetti brani usciti senza diritti [Billboard
2008].
Ci sono convenzioni, regole non scritte, per quanto riguarda il campionamento
nell’hip hop, e i produttori tendono ad attenersi a tali regole. Per esempio, la tradizione
vuole che la fonte dei campioni sia il vinile. Le fonti possono provenire da qualsiasi
autore e genere ma i brani più campionati appartengono alla musica Jazz, Soul, Blues,
Funk, Folk, Rock progressive e colonne sonore. Non è ben visto campionare da
compilation, da musica recente o campionare dall’hip hop stesso. I più integralisti
rifiutano l’utilizzo dei pacchetti di librerie commerciali preconfezionate. Molti
produttori sono restii a dichiarare pubblicamente l’origine di un campione per
mantenerne la segretezza. Più rara è la fonte e meno saranno le possibilità che lo stesso
campione sia già stato utilizzato da qualcun altro o possa essere riutilizzato. La ricerca
122
delle fonti e lo stile nella ri-programmazione dei campioni contribuiscono alla creazione
del suono caratteristico di un produttore. Tale ricerca può durare anni.
E’ pratica comune non limitarsi ad una sola fonte per la realizzazione di un beat,
possono essere impiegati più vinili combinando insieme frammenti diversi per la
realizzazione di un’unica strumentale 23.
La scelta del valore dei battiti per minuto, BPM, è condizionata dal fatto che nella
maggior parte dei casi queste composizioni sono destinate alle esecuzioni dei rappers.
La maggior parte oscillano prevalentemente tra i 70 ed i 100 BPM. Le prime produzioni
hip hop erano caratterizzate da ritmi più veloci e serrati. Nel corso degli ultimi vent’anni
il metronomo si è progressivamente rallentato.
Alcuni producer tendono a lasciare il campione originale esteso per anche 4 battute
senza riorganizzarne la struttura, limitandosi a variarne il pitch per adeguarlo al ritmo
scelto; ad esempio:
“Mama Said Knock You Out” (1990) di LL Cool J campionata dal producer Marlay
Marl da “Trip to Your Heart” (1967) di Sly & the Family Stone, batterie prese da
“Funky Drummer” (1970) di James Brown e cori presi da “Chicago Gangsters” (1975)
dei Gangter Boogie.
“Worst Comes to Worst” (2001) dei Dilated Peoples campionata dal producer
Alchemist da “I Forgot to Be Your Lover “ (1969) di William Bell.
“Outlive the Wat” (2006) Jedi Mind Tricks campionata dal producer Stoupe da “noi
siamo Zingarelle” (1853) di Giuseppe Verdi
Altri produttori preferiscono campionare brevissimi frammenti, o, attraverso la
tecnica del chopping, stravolgere completamente il campione originale rendendolo
irriconoscibile; ad esempio:
“Full Clip” (1999) dei Gangstarr campionata da Dj Premier da “Walk on By”(1969)
di Cal Tjader.
“Bolo By Night” (2004) di Inoki campionata da dj Shocca da “Jessica“ (1969) di
Herbie Hancock
23 Strumentale, produzione, beat sono usati come sinonimi
123
Il s i t o di ri fe ri m e nt o pe r l ’i de nt i fi c a z i one de i c a m pi ona m e nt i è
www.whosampled.com , composto da una vastissima libreria che permette l’ascolto del
brano originale con accanto la versione campionata.
Come nella pratica del djing, nella quale la scelta dell’attrezzatura si è confinata ad
una manciata di marche, anche in questa sue estensione si è finito con l’adottare solo
alcuni modelli di campionatori che sono diventati un riferimento comune. Tra questi ci
sono: Akai s950, MPC2000xl, MPC60, MPC3000, E-Mu SP1200, EMU ASR-X,
Ensoniq Mirage. Queste macchine, utilizzate fin dagli albori dell’hip hop, hanno
contribuito a delineare un suono caratteristico che ancora oggi viene ricercato attraverso
il loro utilizzo. L’impiego ai giorni d’oggi di questi campionatori ormai datati è
superfluo, numerosi software gratuiti o commerciali possono sostituirne l’utilizzo
mantenendo e arricchendo le possibilità creative. Ciononostante molti produttori
continuano ad utilizzare i vecchi campionatori riconoscendo nel loro suono
caratteristico un modo per mantenere viva la tradizione restando fedeli al suono
originale e originario.
Tra gli strumenti più recenti in commercio troviamo l’ MPC Renaissance (Akai) e il
Maschine (Native Instruments), entrambi interfacciabili via USB con un computer.
L’atto di ricerca delle rarità in vinile è definito dai produttori “ digging in the crates”,
o abbreviato: “digging”. Il termine, tradotto come “scavare nelle cassette” deriva dal
fatto che i negozianti di dischi usati erano soliti disporre la loro merce all’interno delle
cassette di legno o plastica destinate al trasporto della frutta. Il fenomeno del digging ha
contribuito a mantenere vivo il mercato dell’usato del disco. Il producer è un
collezionista di dischi attento alla discografia che sceglie in base alle sue esigenze
creative. Per i suoi acquisti si rivolge particolarmente alle fiere, ai negozi specializzati o
alle aste on-line.
124
8. Uso creativo del giradischi
Gli usi creativi del giradischi nella musica contemporanea hanno una storia ben più
lunga dello scratch. I primi esperimenti per creare musica servendosi di un fonografo
iniziarono nel 1915 e furono portati avanti nelle tre decadi successive da Stephan
Wolpe, Paul Hindemith, Ernest Toch, Percy Grainger, Edgar Varese, Darius Milhaud e
Laszlo Moholy-Nagy. Nessuno di questi compositori era un turntablist e nessuno di
questi ha mai scritto composizioni per giradischi.
L’uso che facevano del giradischi i compositori sopracitati non prevedeva la
composizione o esecuzione musicale attraverso la manipolazione del mezzo (o del
disco) tramite una serie di tecniche specifiche convenzionali. Quindi, gli studi delle
opere di tali autori fanno più riferimento al disco come mezzo di riproduzione piuttosto
che al modo in cui esso veniva utilizzato.
Un articolo di Palombini [2003] descrive come Pierre Sheaffer abbia usato il
giradischi per comporre étude aux chemins de fer nel 1948 dando inizio alla sua Musica
Concreta. Nonostante i primi lavori di Cage e di altri compositori prima di Scheaffer
aprirono la strada all'uso del giradischi per lo più come strumento di riproduzione in una
composizione, egli viene solitamente menzionato dalle bibliografie dedicate alla storia
del dj come il primo compositore ad aver manipolato campioni sonori in modo analogo
a quello dei turntablist. E' bene dire che il concetto di “musica concreta” introdotto da
Sheaffer è il risultato di una manipolazione dei nastri tanto quanto del vinile e le sue
pratiche sarebbero state implementate con buona probabilità anche senza l’uso del
grammofono.
Imaginary Landscape No.1 (1939) di John Cage fu la prima composizione pubblicata
avente il giradischi come strumento all’interno dell’organico orchestrale. Fu scritta per
pianoforte, cimbalo cinese e due giradischi. I dischi che dovevano essere suonati erano
un Victor 84519 e un 84522. Si tratta di dischi da 78rpm contenenti tracce di singole
frequenze audio usate per eseguire test acustici o per la calibrazione degli impianti.
125
Nello specifico:

Victor 84522B= sinusoide di 1000 Hz suonato a 78rpm; sinusoide di 433 Hz se
suonato a 33rpm (durata di circa 6 minuti)

Victor 84519B= 200 Hz a 78rpm; 84 Hz a 33 rpm (durata di circa 6 minuti sul
lato opposto al precedente)

Victor 84522A= un continuo glissando da 1000 Hz a 30 Hz a 78rpm; da 4273Hz
a 13 Hz.
Durante l’esecuzione veniva sollevata e ricollocata la puntina nei vari punti del disco
a ritmi precisi e la velocità del grammofono veniva alternata da 78rpm a 33 rpm creando
una serie di glissando simili al suono di un theremin [Cage 1939] .
Un altro artista che agli inizi degli anni Ottanta ha utilizzato il giradischi in modo
decisamente creativo è Christian Marclay. Egli non era interessato alla musica contenuta
nei dischi ma piuttosto al modo in cui poteva essere manipolato il mezzo per creare
suoni totalmente nuovi. Ha scoperto ed esplorato il concetto di loop quando era studente
universitario a Boston nel 1978. Mentre stava percorrendo a piedi una strada
particolarmente trafficata, vide sul ciglio della strada un disco malconcio che
probabilmente più di una macchina aveva impunemente investito. Incuriosito decise di
prenderlo e suonarlo. Essendo malridotto, la puntina saltava copiosamente. Fu proprio
questo aspetto a colpire Marclay. Saltando, la puntina creava interessanti figure ritmiche
e suoni caratteristici. Marclay decise di ricreare l’effetto applicando sulla superficie del
disco pezzi di nastro adesivo in modo da far saltare la puntina a intervalli
desiderati[Kahn 2003]. Questo è dunque l’aspetto che forse accomuna Marclay, Cage e
Grand Wizard Theodoro. Tutti loro hanno sentito un disco fare qualcosa di inconsueto e
senza sottrarsi ne sono stati ispirati per la ricerca di nuovi orizzonti sonori, ognuno
caratterizzato dal proprio contesto e dalla propria personale visione e necessità
espressiva.
Per diversi aspetti Jazz e turntablism sono partner naturali. Il primo esempio è la già
citata collaborazione tra Hancock e Grandmixer D.ST. Il giradischi infatti è uno
strumento estremamente versatile capace di creare in tempo reale timbri, texture e ritmi
126
di ogni genere. Rob Swift, che ha collaborato sia con il tastierista di Jazz fusion Bob
James - compositore del brano pluricampionato “Take Me to the Mardi Gras”- che con
il sassofonista Dave McMurray, vede una forte affinità tra i turntablist e i musicisti Jazz:
«Quando suoniamo non abbiamo difronte un leggio con la composizione musicale da
seguire. Noi suoniamo dal cuore e abbiamo un approccio alla musica da autodidatti.
Impariamo osservando le altre persone, ci istruiamo reciprocamente, tu sai cosa ha
fatto quel dj e cerchi di imparare rifacendo quello che ha fatto lui. Penso che questo
tipo di approccio sia simile a quello che hanno i musicisti Jazz » [Katz 2013].
Entrambi i gruppi tendono a imparare la loro arte nello stesso modo, tramite
l’osservazione e il confronto reciproco. Entrambi danno estrema importanza alla
conoscenza dei loro patrimoni musicali storici, dei loro capostipiti e delle pietre miliari.
Il Jazz non ha sempre goduto di ottima fama: nei suoi primi giorni è stato giudicato
essere più rumore che musica nonché una grave minaccia per la morale e la sensibilità
delle nuove generazioni. Sorte che successivamente toccò anche al turntablism e al
genere musicale che ne ha dato origine, l’hip hop.
Non tutto il mondo del Jazz è favorevole ad abbracciare il turntablism o a
riconoscervi una lontana parentela o somiglianza. Al dj Kid Koala fu impedito di
esibirsi ad un festival Jazz perché gli organizzatori non riconoscevano il giradischi come
uno strumento musicale.
Anche musica classica e turntablism hanno avuto un episodio di collisione nella
storia della musica.
Il 2 ottobre del 2005 la distanza tra questi due mondi si è annullata quando sul palco
della Carnegie Hall si sono esibiti insieme un dj ed un’orchestra sinfonica per eseguire
un brano chiamato “Concerto per Turntables”, di Raul Yanez con dj Radar come solista.
L’orchestra era composta dagli studenti di alcune delle scuole di musica più prestigiose
del Paese. Molti di loro, complice la giovane età, non avevano mai sentito suonare un
giradischi. Radar venne subito accettato e gli venne riconosciuto il titolo di violinista
onorario: «come un violinista la tecnica di un turntablist è incentrata sul come produrre
il suono e sul come modellarlo» nota Young Kim, una delle strumentiste dell’orchestra
127
« Il principio è lo stesso di ogni altro strumentista: il controllo delle articolazioni, del
volume e del tono dello strumento» [Kim 2005].
Al momento dell’esibizione la sala era insolitamente gremita di gioventù. Kim
ricorda «Non avevo mai visto così tanti giovani ascoltatori al Carnegie Hall! E’ stato
bellissimo poter suonare per un pubblico della nostra stessa generazione che muoveva
le mani ed era estremamente partecipe alla nostra esecuzione».
Per Yanez non era strettamente necessario scrivere su spartito la parte di dj Radar.
Era stata studiata appositamente per lui e i due erano d’accordo sulle linee guida
generali da seguire dando per scontata una buona dose di improvvisazione per il dj.
Radar insistette per avere la sua parte completamente annotata in modo che la sua
esecuzione potesse essere risuonata da qualsiasi altro dj. L’opera finale di Yanez
somigliava in diversi aspetti alla forma di un concerto classico. Aveva i tre movimenti
caratterizzati dal tipico veloce-lento-veloce e una cadenza alla fine del primo
movimento in cui il solista avrebbe dovuto improvvisare sul tema introdotto
precedentemente. Inoltre, i temi dei primi due movimenti ritornavano nel finale. Quello
di “Concerto per Turntablist” non è stato un caso isolato. Nel 1999, uno studente di
composizione della McGIll University di Montreal, per la sua tesi, ha composto un altro
brano per orchestra e dj dal titolo “RPM for Large Ensamble and Solo Turntablist”
[Lizée 2000].
Per molti turntablist l’esigenza di scrivere su pentagramma una notazione dedicata è
strettamente legata alla ricerca di legittimare il giradischi come strumento. Un modo per
assicurare allo scratch un posto nella storia della musica scritta. Nel periodo in cui
Radar e Raul Yaner stavano collaborando per la realizzazione del loro concerto altri dj
stavano iniziando a sviluppare sistemi di notazione per turntablist chiamandoli “ scratch
notation” o “turntablature”24.
24 Per un approfondimento sui sistemi di notazione dei dj consultare il capitolo 8.3
128
8.1 Diffusione delle Battles
Il suono dello scratch è stato diffuso e reso noto al grande pubblico per la prima volta
nel 1983 grazie ad un famoso brano di Herbie Hancock, “Rock it”. Il dj che vi suonò è
Grandmixer D.ST e grazie a alla popolarità di Rock it una generazione si avvicinò a
qualcosa che non aveva mai visto prima. Non era tanto la sua diffusione radiofonica ad
essere stata cruciale, il suono degli scratch poteva già essere udito in diverse canzoni
precedenti all’uscita di Rock it. Herbie Hancock eseguì il brano dal vivo in occasione
dei Grammy Awards di MTv del 1984, in questo modo gli ascoltatori poterono
finalmente scoprire come quei suoni venivano generati; molti di questi, rimanendone
impressionati, iniziarono ad approfondire il fenomeno.
Nei primi anni Ottanta la scena delle battaglie tra dj si espanse significativamente.
Queste divennero molto comuni e andavano formalizzandosi integrando la presenza di
giudici di gara. Le aziende produttrici di equipment per dj iniziarono a fare da sponsor
nelle sfide fornendo premi in apparecchiatura. Le gare iniziarono ad essere registrate e
filmate per essere vendute ad un pubblico di fan e aspiranti dj provenienti da tutto il
mondo. Nel corso di tutto il decennio le battles tra dj divennero un affare internazionale
promosso su scala globale. Nella fase di divulgazione ebbero cruciale importanza gli
eventi organizzati dal “new music seminar battle for world supremacy” e dal DMC
world championship, che trasformarono radicalmente il fenomeno.
Tom Silverman, produttore discografico fondatore della Tommy Boy, etichetta che
produsse i primi dischi di Afrika Bambataa, nel 1980 inaugurò insieme ad alcuni partner
il primo New Music Seminar al quale parteciparono centinaia di musicisti e discografici
legati a diversi generi musicali. L’anno successivo Silverman organizzò la prima
competizione tra dj, chiamata Battle for World Supremacy. Il NMS ha incoronato alcuni
dei più famosi e rispettati dj del mondo come Jazzy Jeff (1986), Dj Cash Money (1987),
Dj Steve Dee (1990) e Mixmaster Mike (1992). L’evento fu svolto dal 1981 al 1994,
facilitando la creazione di un’altra serie di battaglie internazionali, il DMC World
Championships, le cui sfide sono state centrali per la diffusione del fenomeno in tutto il
mondo per oltre un quarto di secolo.
129
L’inglese Tony Prince fondò le battles del DMC inspirandosi al New Music Seminar
di cui era un frequentatore. Quando Prince viaggiava dall’Inghilterra fino a New York
per frequentare i seminari di Silverman, ebbe modo di vedere una gran quantità di
approcci differenti al djing. Notò in modo particolare che i dj erano più concentrati nella
pratica dello scratch rispetto a quella del mixaggio (in controtendenza a quello che
avveniva nel suo Paese). Quando l’anno successivo dj Cheese, il vincitore del NMS,
partecipò al primo DMC di Londra fu l’unico a scratchare. Gli altri concorrenti
arrivavano prevalentemente da generi come house e dance limitandosi a mixare brani in
modo più o meno innovativo. Dj Cheese fece qualcosa che nessun altro aveva mai fatto
prima, posizionò entrambi i giradischi alla sinistra del mixer. Tenendo la mano destra
sul crossfader del mixer, con la sinistra muoveva rapidamente i vinili nei due giradischi,
come se fosse un giocoliere che faceva ruotare due palline. La folla londinese non aveva
mai visto nulla del genere ed esplose proclamandolo vincitore. La routine 25 di Cheese
segnò l’ingresso dell’hip hop nel DMC [Katz 2012].
Dal 1990 la Technics iniziò a sponsorizzare il DMC premiando i vincitori con
un’edizione limitata placcata in oro di un Technics SL1200, che divenne
immediatamente il simbolo del più alto riconoscimento e prestigio auspicabile per un dj
da battaglia.
Nel 1992 la partecipazione alle sfide venne espansa non più solo ai singoli ma anche
ad intere squadre di dj. Le battaglie si svolgevano in brevi round eliminatori testa a testa
in aggiunta a routine lunghe sei minuti eseguite in forma di showcase che ogni
concorrente svolgeva in successione. Contemporaneamente il fenomeno si espanse
anche geograficamente con tornei regionali previsti in dozzine di paesi. Il NMS e il
DMC sono le battles più importanti, ne esistono altre relativamente minori organizzate
dai produttori di equipment, come ad esempio l’ITF (International Turntablist
Federation) organizzata da Vestax.
In generale ci sono due tipologie di battle: il testa a testa e lo showcase. Il testa a
testa risale ai primi periodi, quando i dj si scontravano l’uno contro l’altro in forma
diretta. Successivamente le battles si sono andate formalizzando e questi testa a testa ora
25 Per routine si intende una composizione studiata, non improvvisata, nella quale il turntablist si
esibisce nell’uso di svariate tecniche
130
coinvolgono due turntablist che svolgono uno dopo l’altro una routine di fronte ad una
giuria la quale decreta il vincitore che può procedere al turno successivo. Queste
eliminatorie continuano fino ad incoronare il campione. Nei testa a testa i turntablists si
alternano in routine di circa due minuti l’una, mentre nella versione showcase hanno sei
minuti a testa. In entrambe le tipologie di gara la maggior parte degli organizzatori
fornisce giradischi e mixer (spesso sponsorizzati da brand di settore) mentre il dj è
tenuto a portare le proprie puntine, panni e cuffie. Caratteristica fondamentale è che le
routine non prevedono l’improvvisazione, si tratta di composizioni create e
memorizzate dai dj per l’occasione.
Ogni routine deve essere unica e originale, i dj non devono e non possono copiare gli
avversari o utilizzare gli stessi dischi di un altro. L’originalità è dunque la virtù più
importante. La regola numero 4 di una di queste competizioni, la Gong Battle, dice:
«è severamente vietato rubare o riprodurre la routine di un avversario. La pena è la
squalifica da parte della giuria. E’ consentito tributare o mostrare un’influenza
particolare ma la riproduzione di una routine già eseguita e l’utilizzo degli stessi dischi
(fatta eccezione per l’uso di dissing) è vietata, pena l’eliminazione» [Roc Raida 2008].
Nonostante le routine debbano essere uniche e originali presentano alcuni elementi
comuni. La maggior parte è costituita da scratch e beatjuggling, da elementi verbali
(wordplay, ossia giochi di parole) ed elementi fisici (bodytricks).
I wordplay sono un aspetto interessante e importante delle sfide. Il riscontro avuto
dalla folla a volte non si ottiene in base a quello che i turntablist fanno, ma in base a
quello che dicono. Le loro “parole” provengono dai dischi che suonano, scelte e
accostate appositamente per creare dialoghi finalizzati all’autocelebrazione delle proprie
abilità o per deridere e denigrare gli avversari (dissing). Queste offese possono apparire
immotivatamente crudele e sagaci, ma sono di norma accettate dalla comunità come
parte del gioco. Uno degli esempi più famosi dell’uso del word play è rappresentato
dalla sfida fra dj 8-ball e dj Noize nel 1993 nella battle del NMS.
131
8.2 Turntablism
Nel 1980 il vocabolario tecnico del dj era modesto, composto da una una manciata di
tecniche tra le quali lo scratch, il looping (backspinning), needle dropping e poco altro.
Nella decade successiva le tecniche dei dj iniziarono ad espandersi in modo
significativo, alimentate dalla crescita delle dj battles e delle loro registrazioni su video.
I dj, in questo nuovo contesto, non dovevano più conquistare la folla attraverso una
selezione musicale, ma per mezzo delle loro doti puramente tecniche con le quali
sfidavano gli avversari per prevaricarli.
La tecniche più importanti di quel periodo erano il transforming e il beatjuggling. Il
transforming, quando fu inventato, ebbe un enorme impatto sui dj. Veniva usato nelle
routine durante le battaglie o negli assoli delle canzoni hip hop. Tra queste cito: “ The
Magnificent Jazzy Jeff ” (1987) di DJ Jazzy Jeff and the Fresh Prince, “Rebel Without a
Pause” dei Public Enemy’s (1988) con Terminator X e Johnny “Juice” Rosado alla
console, “DJ Premier in Deep Concentration” dei Gang Starr. Il transformer fu
importante perché rappresentò la base per la creazione di altre tecniche, come il twiddle,
inventato da Dj Exel, o il crab di Qbert [Katz 2012]. Il transformer ha anche ispirato la
rivisitazione del design di alcuni mixer, che vennero dotati di un interruttore specifico
per agevolare l’esecuzione di tale tecnica: nel famoso modello TTM-56 della Rane, ad
esempio, venne irrobustito l’interruttore line-phono per permettere l’esecuzione del
transforming senza danneggiarlo, chiamandolo appunto “interruttore transformer” .
Altri mixer invece aggiunsero nuovi pulsanti allo scopo di ottenere lo stesso risultato.
L’importanza di questa tecnica è inequivocabile. Le suo origini però non sono altrettanto
chiare. La paternità potrebbe spettare a Jazzy Jeff o Cash Money.
"transformer switch" del mixer Rane TTM56
132
Nel beatjuggling invece il dj suona contemporaneamente due dischi (in genere due
copie dello stesso vinile), manipolandoli per creare nuove composizioni. Se in una
qualche maniera l’antenato del transformer è il baby scratch di GrandWizard Theodore,
il beatjuggling è il nipote del backspinning (nominato anche cutting) di Grandmaster
Flash.
A metà degli anni Novanta venne coniato un termine specifico per definire i dj che si
esercitavano nell’uso e nell’evoluzione delle tecniche: turntablist. Il nuovo appellativo,
diffuso da Dj Babu, voleva tracciare una linea per separare coloro i quali usavano il
giradischi semplicemente per mixare i brani da quelli che lo utilizzavano come uno
strumento musicale. Babu sosteneva: «non possiamo più definirci dj. Ci sono i
chitarristi, i pianisti, perché non i turntablist?»[Dj Babu 1997]. I “giradischisti” dunque
si prefiggevano di designare un tipo distintivo di djing. Vedevano loro stessi come
strumentisti che non dovevano semplicemente riprodurre musica ma ne creavano di
nuova. A differenza dei colleghi dj, i turntablist creavano musica destinata all’ascolto,
non al ballo. Quando performano stanno mettendo in scena un’esibizione, non una
selezione di brani.
Chi non si è mai cimentato nella pratica può pensare che scratchare sia una cosa
banale praticabile da chiunque, eppure il turntablism richiede duro allenamento e
soprattutto l’utilizzo di apparecchiatura dedicata (o modificata per tale fine). Rispetto ai
primi tempi oggi sono disponibili materiali specifici che rispondo alle esigenze degli
strumentasti ma come ricorda dj Disco Wiz:
«agli albori non si usava molto fare backspinning perché la puntina saltava facilmente.
L’attrezzatura che c’era allora non è niente paragonata a quella di oggi. Dovevamo
mettere una monetina sulla testina per appesantirla in modo da non farla saltare»
[Katz 2012].
La maggior parte dei dj usava le puntine più economiche che trovava, spesso erano
delle Radio Shack. Le più costose spesso non erano adatte in quanto lo stilo era molto
sottile essendo destinato all’ascolto in alta definizione.
Raramente, dunque, l’attrezzatura a loro disposizione gli permetteva di fare quello
che volevano.
133
A volte capitava che i dj venissero a contatto con materiale che sembrava fatto
appositamente per loro, come nel caso dei Technics 1200 o di un modello di puntina che
veniva usato dai dj radiofonici e si mostrava particolarmente adatta all’uso che ne
volevano fare i turntablist. Si trattava della Stanton 500AL. Dj Craze, già campione
mondiale e celebrità nel mondo delle battles, ne era un utilizzatore. Anche lui come altri
ne modificò il peso appoggiandovi sopra una moneta. La Stanton rispose all’entusiasmo
dell’artista producendo un modello di puntina personalizzata con il suo nome, la Stanton
520-SK Craze. Come racconta Craze:
« La Stanton mi contattò per sponsorizzarmi, offrendomi la mia puntina personale. Io
gli dissi che apprezzavo la 500s così com’era e non avrei voluto apportare modifiche.
Mi sarebbe bastato solamente che la chiamassero con il mio nome» [Katz 2012].
A metà degli anni Novanta, una vecchia puntina catturò l’attenzione dei turntablist
diventando immediatamente la loro prima scelta. La Shure M44-7 fu introdotta nel 1963
senza riscuotere alcun successo. Era piuttosto costosa se paragonata ad altri modelli e
aveva una risposta in frequenza piuttosto limitata, da 20Hz a 17000Hz. Possedeva però
una caratteristica che interessava quasi esclusivamente i turntablist: aveva una notevole
forza di tacking (intesa come forza esercitata dallo stilo, a forma di V, sui lati dei solchi)
superiore di almeno tre volte ai modelli concorrenti. Era dunque perfetta per l’utilizzo
che ne avrebbero fatto i turntablist essendo robusta e stabile. Per anni fu quasi
introvabile e ne era stata addirittura sospesa la vendita dalla casa produttrice americana.
La M44-7 fu introdotta alla comunità dei turntablist statunitensi quando la squadra dj
chiamata Beat Junkies la scoprì durante un tour in Giappone. La Shure si accorse
dell’interesse improvviso nei confronti del loro prodotto e vedendo un potenziale di
mercato riprese la produzione pubblicizzandola ora come puntina dedicata
espressamente ai turntablist.
Shure e Stanton non erano le uniche compagnie che producevano puntine specifiche
per il turntablism; la Ortofon, con il suo modello caratteristico chiamato “concorde”,
caratterizzato dall’originale forma allungata, diventò particolarmente richiesta. Questo
anche grazie alla promozione che ne fece dj Qbert e al fatto che per tre anni fu la
puntina ufficiale delle battaglie DMC.
134
In principio i dj dovettero modificare il loro equipment per rendederlo funzionale, ma
quando il fenomeno del turntablism divenne globale i produttori iniziarono a soddisfare
le loro esigenze con materiale specializzato. Quello che avvenne per le puntine accadde
anche per i mixer. Qbert nel 1995 inventò il crab, una tecnica eseguita facendo scattare
in successione le quattro dita contro il pollice. Questi colpi venivano fatti con il
crossfader tra le dita in modo da farlo rimbalzare velocemente avanti e indietro
tagliando l’audio in rapida successione, mentre con l’altra mano il disco viene mosso
lentamente. Questa tecnica negli anni Ottanta non sarebbe mai potuta essere eseguita
perché i mixer dell’epoca erano completamente inadatti, in modo particolare il
crossfader. I primi crossfader erano progettati per miscelare gradatamente le sorgenti
provenienti dai giradischi di destra e di sinistra ed erano caratterizzati da un’alta
resistenza di movimento, erano sostanzialmente rigidi. Quello che agevolava i dj
tradizionali creava un handicap ai turntablist. Senza mixer dedicati i turntablist alla fine
degli anni Ottanta stavano raggiungendo il limite delle loro possibilità creative. Per
sopperire a tali lacune si sono sempre dovuti ingegnare manomettendo i dispositivi.
Alcuni hanno aperto i mixer, smontato il crossfader e utilizzato il lubrificante impiegato
nella pulizia delle armi da fuoco per ridurne l’attrito dei cursori. Uno degli spray più
utilizzati era il WD40. Altri per generare ed eseguire nuove tecniche smontarono il
crossfader per rimontarlo al contrario, in modo da invertire il senso di apertura-chiusura
del suono. Tecniche come il crab e il twiddle, in questo modo possono essere eseguite
più facilmente. Alla fine i produttori di equipment hanno iniziato a prestare attenzione ai
turntablist rispondendo a poco a poco con l’aggiunta di elementi ricercati dai dj. Il
primo mixer realizzato interamente per il turntablism fu il PMX-2, introdotto nel 1989
dalla ditta giapponese Melos. Il Vestax PMC-06-Pro è stato progettato con il contributo
di dj Qbert come evoluzione del modello PMC-05-Pro che a sua volta era stato
progettato in base ai suggerimenti di dj Shortkut. Quest’ultimo era in tour in Giappone
quando ebbe l’occasione di incontrare i rappresentati della Vestax ad Osaka. Gli venne
chiesto di progettare un mixer che tutti i turntablist del mondo avrebbero desiderato, che
soddisfacesse tutte le richieste possibili e che fosse migliore dei modelli venduti dalla
concorrenza. Che fosse in sostanza diretto e funzionale, senza fronzoli. Quando il
modello fu pronto Shortkut venne chiamato in Giappone per testarlo e ne rimase
135
estasiato. Il dj non aveva nessun accordo commerciale o formale con la Vestax e non
venne mai pagato per il suo contributo. In un’intervista Shortkut ricorda
«All’epoca non pensavamo ai soldi. Volevamo qualcosa di pratico da poter utilizzare.
Avevo circa 18 anni ed ero più colpito dal fatto che una grossa multinazionale era
disposta ad ascoltarmi per rispondere alle mie esigenze. Era perfetto così» [Katz
2012].
Qualche anno dopo Akihiro Kaneko, il progettista capo della Vestax, spiegò il
rapporto dell’azienda con i dj dal suo punto di vista. Egli riconosce l’influenza che
questi dj hanno avuto sulla compagnia ma li considerava più come clienti che come
partners [Fouché 2009].
Melos PMX-2
136
Vestax PMC-05 Pro
Vestax PMC-06 Pro
8.3 Sistemi di notazione
Uno dei primi turntablist a sviluppare un sistema di notazione per dj è stato A-Trak,
campione mondiale di diverse battles. In principio utilizzata una forma rudimentale di
annotazione che fungeva da richiamo mnemonico e stimolo creativo. Iniziò a disegnare
semplici figure, spesso linee diagonali a forma di dente di sega. Le interruzioni sulle
linee indicavano quando il suono doveva essere tagliato dal crossfader e segni
tratteggiati sulle linee diagonali indicavano i “click” del fader. Tutte le varie linee erano
disposte su un’asse orizzontale sulla quale venivano scandite le battute. Creò questo
sistema in primis per annotare le sequenze dei suoi scratch più complessi ma anche per
sviluppare un sistema che permettesse la comunicazione tra turntablist data la
complessità dell’esplicazione orale di tali tecniche.
Per il regista John Carluccio la volontà di dare legittimità al turntablism è stata una
spinta primaria per lo sviluppo del suo sistema chiamato Turntablist Transcriprion
Methodology, o TTM. Nel suo sito infatti promuove il suo modello dicendo
«La comunicazione facilita il progresso. Il Turntablist Transcription Methodology
(TTM) offre il beneficio di un linguaggio ad una cultura che fino ad ora è stata solo
orale»… «Le possibilità sono infinite. Il rafforzamento dell'informazione per mezzo di
una rappresentazione grafica produce un'espansione della comprensione. La prossima
generazione di turntablist che emergerà usando diversi nuovi metodi di trascrizione,
presumibilmente scoprirà nuove tecniche e strutture che mai nessuno prima aveva
immaginato» [Carluccio 2008].
Il TTM è nato nel 1997 dalla collaborazione tra Carluccio, un designer industriale
chiamato Ethan Imboden e Ray Pirtle (dj Raydawn) ed è protetto da copyright dal 1999,
data nella quale pubblicarono la prima versione 1.1 in un opuscolo diffuso tramite il
loro sito web http://ttm-dj.com/ .
Il metodo funziona rappresentando gli scratch come linee tracciate lungo un grafico
rettangolare in cui l’asse orizzontale rappresenta il tempo e quello verticale rappresenta
la rotazione del disco. La notazione può anche indicare il campione da utilizzare, se il
137
disco sta suonando o meno, il senso di rotazione del disco e il posizionamento di suoni
percussivi: cassa, rullante o piatti. Nel sito il sistema è illustrato dettagliatamente con la
presenza di esempi audio che ne facilitano la comprensione.
Carluccio:
«Tuttavia, anche con tutta la tecnologia disponibile e le più complicate ed intricate
composizioni immaginabili, il suono più importante che emergerà in una performance è
il risultato dello spirito del turntablist. Le tue emozioni sono l'anima della tua musica.
Anche se sei in grado di riprodurre le routine dei più grandi dj, senza le stesse emozioni
e lo stesso spirito la performance risulterà vuota» [Carluccio 2008].
Segue un estratto del modello di notazione TTM consultabile dal sito http://ttmdj.com/:
138
139
140
Nonostante gli sforzi evidenti e la cura maniacale dei dettagli nella progettazione di
questi sistemi, la maggior parte dei dj pensa di poterne fare a meno. Vede in questi
paradigmi una forzatura per accademizzare un qualcosa che non può e non deve essere
addomesticato. Uno degli aspetti che rende interessante lo scratch è l’insieme delle
sfumature d’accento che è in grado di riprodurre. Queste, in alcune tecniche, hanno una
variabilità tanto alta da non poter essere trascritte come avviene per gli strumenti
tradizionali. Inoltre, buona parte dell’esecuzione di un turntablist è data
dall’improvvisazione, nonché da un’interpretazione personale dell’uso dello strumento,
dove, pur essendoci l’impiego di tecniche formalizzate e standardizzate, lo stile
personale rimane ancora una componente determinante. Componente, tra l’altro, quasi
impossibile da ricreare attraverso una notazione seppure precisa e dettagliata in tutti gli
aspetti. Ecco ancora ritornare la somiglianza del turntablist con il musicista Jazz.
Il Jazz ha un’estetica che trova nell’improvvisazione la strategia per rinnovare,
attraverso l’istinto, una struttura data. Come spiega Stefano Bollani in un’intervista
pubblicata nel suo sito web:
«Alcuni dei più grandi musicisti del Jazz erano pressoché analfabeti con un background
di emarginazione sociale e povertà.
Bix Beiderbecke era incapace di leggere uno
spartito, Ella Fitzgerald non ha mai seguito una lezione di canto e Freddie Keppard
non ha mai inciso un disco per paura che gli altri potessero copiare il suo stile. Parker
non ha mai teorizzato in vita quali fossero le scale ben definite che in maniera del tutto
consapevole utilizzava, ma individuate dai suoi adepti sono poi diventate la
grammatica basilare del Jazz moderno » [Bollani 2012].
La capacità di saper leggere uno spartito e la sua utilità stessa, di fronte all’abilità di
chi improvvisando veramente riesce a costruire una cosa talmente bella formalmente da
non poter pensare che sia stata improvvisata, passa in secondo piano. Anzi, la volontà di
attribuirgli regole grammaticali derivanti dalla musica classica può compromettere
l’animo stesso del Jazz decretandone la morte .
Potrei espandere la questione ai dibattiti estetici nati con l’introduzione dei primi
spartiti di musica elettronica nell’ambito delle avanguardie. Questa, come il turntablism,
ha nel suo dna la distruzione del linguaggio musicale tradizionale. Enrico Fubini scrive
141
« la musica elettronica vera e propria ha abolito il problema della notazione, a meno
che non si vogliano chiamare con questo nome i diagrammi che indicano i valori di
tempo e le frequenze che serviranno come guida alla realizzazione della composizione».
«L’interpretazione, il vecchio problema che sembrava inscindibilmente connesso alla
musica viene così eliminato. La condizione nuova della musica, la sua struttura spesso
libera, aperta, i nuovi suoni inediti prodotti non solo da strumenti, cioè i rumori, i suoni
senza un’altezza determinata, le strutture ritmiche non contemplate da nessuna
tradizione, tutto ciò doveva essere in qualche modo scritto. Il pentagramma con la
notazione tradizionale si è dimostrato completamente inadeguato per tale scopo»
[Fubini 1968].
Il richiamo con i recenti tentativi di notazione dedicata ai giradischi appare evidente
e l’estetica di allora può tornare in auge definendo A-Trak e Carluccio esponenti (forse)
inconsapevoli di una neo-avanguardia.
142
PARTE III
Lo Scratch
9.1 Le basi dello scratch:
Lo scratch è stato introdotto a metà degli anni Settanta e da allora è divenuto la
forma musicale più riconoscibile dell'hip hop, assieme al rap. E' eseguito da un Dj, disc
jockey, che usa una mano per variare la velocità di riproduzione di un giradischi e l'altra
mano per accendere e spegnere il suono tramite un mixer audio. Questo modo di
produrre suoni, negli ultimi trent’anni, ha reso il giradischi uno strumento popolare per
esecuzioni soliste o d’insieme in differenti stili musicali.
Diversi generi e forme musicali hanno adottato l’uso del giradischi nei loro scenari
compositivi: Rock, Metal, Pop, Disco, Jazz, musica sperimentale, colonne sonore,
musica contemporanea etc.
Lo scratch è solo uno dei diversi impieghi creativi del giradischi che i Dj utilizzano,
negli anni si sono sviluppate all’interno della comunità dei turntablist delle
consuetudini26 sui modi di suonare lo strumento con le quali i Dj hanno familiarizzato e
tendono a seguire. Questo processo avviene in maniera simile anche per gli strumenti
tradizionali, con l'eccezione che il giradischi non è stato progettato per essere usato
come strumento musicale. Di conseguenza, senza chiare istruzioni sulle modalità di
concepire la musica con i giradischi, non ci sono metodi formali per imparare a suonare
questo strumento. Oggi, lo stile più formalizzato è lo scratch, specificatamente in
riferimento ai gesti manuali che costituiscono le tecniche di scratching. Il termine
"tecnica" si riferisce quasi esclusivamente a combinazioni di movimenti della mano sul
disco e dell'altra mano sul mixer. Il crossfader e il mixer sono i componenti principali
26 Per “consuetudini” si fa riferimento all’approvazione condivisa di una (nuova) tecnica, all’insieme
delle gesture musicali da utilizzare, alle tipologie di equipaggiamento.
143
dello strumento del dj. I dj che eseguono e sperimentano l’uso di tecniche chiamano se
stessi con l’appellativo di “turntablist” e lo stile musicale composto da scratch e cut è
chiamato “turntablism”. Il termine fu introdotto da Luis "DJ Disk" Quintanilla e diffuso
nel 1995 da dj Babu per differenziare chi utilizza il giradischi come strumento musicale
da chi lo adopera per riprodurre musica. Questi termini sembrano oggi comunemente
accettati, come è recentemente accettato che un turntablist sia uno strumentista e il
giradischi uno strumento.
Nei primi anni Ottanta i turntablist iniziarono ad apparire nelle registrazioni dei brani
di artisti come John Zorn (1982), Herbie Hancock (1983), Mr Bungle (1991), Portishead
(1994), David Byrne (1997) and Tom Waits (1999) facendo conoscere ad un vasto
pubblico il suono del loro strumento.
Gli strumentisti devono imparare a incorporare una varietà di tecniche e metodi per
la manipolazione del tono delle loro esecuzioni, questo presupposto è stato il terreno
fondamentale per la creazione di un vastissimo assortimento di tecniche.
In seguito verrano esplicate alcune tecniche fondamentali universalmente
riconosciute ed utilizzate, mentre moltissime altre, derivando da quelle qui illustrate non
verranno incluse.
Il turntablism include sia lo scratch, che prevede l’uso di un solo giradischi, che il
beat juggling, il quale prevede l’uso di due giradischi. Lo scratch è tipicamente uno stile
musicale solistico, comparabile a quello della chitarra elettrica. Il musicista esegue un
insieme intricato di pattern ritmici e strutture tonali.
144
9.2 Equipaggiamento:
Qualsiasi giradischi può essere utilizzato per scratchare, ma lo standard prevedere
l’uso di un giradischi a trazione diretta con il piatto montato sul motore. Lo scratch si
serve anche di un mixer con controlli di volume che sono utilizzati per controllare gli
onset e gli offset dei suoni. Quindi, il giradischi inteso come strumento musicale è
composto da: giradischi, puntina, panno antistatico (slipmat), mixer e un disco in vinile.
In rapporto alla popolarità e alle prospettive di guadagno sono pochi i produttori che
sono riusciti ad inserirsi nel mercato con attrezzatura dedicata. I turntablist sembrano
essere scettici ad adattarsi alle innovazioni radicali, specie a quelle che semplificano
eccessivamente il modo di suonare. Un esempio è l’entrata in commercio di un mixer
che ha permesso la realizzazione di tecniche molto complesse con estrema facilità.
Questo mixer particolare, il Vestax Samurai (2002), non ha mai avuto molta attenzione
da parte dei professionisti anche se avrebbe potuto aiutarli a sviluppare nuove tecniche.
Il motivo di tale disinteresse e le conseguenze che questo può comportare
nell’evoluzione della scena è una discussione complicata. In sostanza, un cambiamento
di tecnologia potrebbe essere avvertito come complice di un impoverimento delle abilità
tecniche, il che spiegherebbe l’esitazione a passare da una vecchia tecnologia ad una
nuova.
Un elenco dei maggiori produttori di attrezzature dedicate ai dj\turntablist sono:
Technics e Vestax che forniscono giradischi per turntablist, Vestax, Numark, Ecler, dj
Tech e Rane che producono specialmente mixer dedicati; e Shure, Stanton e Ortofon che
producono puntine adatte allo scratch.
La console standard per molti turntablist è composta da: due giradischi Technics SL1200Mk2 con puntine Shure M44-7 e mixer audio stereo privo di controlli superflui.
Normalmente la console è disposta in modo da avere un il mixer posizionato al centro
fra i due giradischi e questi ultimi vengono ruotati di 90° in senso antiorario in modo
che il braccetto non disturbi l’esecuzione.
La trazione diretta al quarzo dei Technics è preferibile rispetto alla trazione a cinghia
per rapidità di velocità nella partenza e nella forza del motore (la coppia di avviamento
145
di un Technics è 1.5Kg/cm). Quando premo il tasto di avviamento raggiungo la velocità
massima a 33 1/3 rpm (giri al minuto) in un terzo di giro (0.7 s) e lo stop avviene ancora
più rapidamente.
Il meccanismo delle testine è progettato e calibrato appositamente per scratchare al
fine di evitare che la puntina salti da un solco all’altro. Anche la puntina stessa è
disegnata per facilitare lo scratch. Normalmente per l’ascolto in alta fedeltà si utilizzano
puntine ellittiche che si adattano meglio ai solchi, mentre per lo scratch vengono usate
puntine con taglio sferico e più robuste. Una testina M44-7 può sostenere tre volte la
forza di tracking (forza che mantiene la puntina nei solchi) rispetto ad una testina per hifi Shure V15 VxMR. La prima pesa 3.0 grammi contro l’1.00 della seconda. Il voltaggio
di una testina per scratch è 3-4 volte maggiore rispetto ad una per hi-fi. Una testina per
hi-fi ha una migliore risposta in frequenza, da 10 a 25000Hz, rispetto alla M44-7 che va
da 20 a 17000 Hz.
Un mixer ha altre funzioni oltre a quella di amplificare il segnale, le più importanti
sono quelle svolte dai controlli del volume e dal crossfader. I mixer in origine erano
stati progettati per miscelare in modo fluido le due sorgenti sonore provenienti dai due
rispettivi giradischi al fine di mixare due brani. Tutti i mixer hanno per entrambi i canali
stereo almeno un controller del volume e un equalizzatore che permette di controllare
frequenze basse,medie e alte di ogni rispettivo canale. Il controller centrale è il
crossfader, posizionato nel lato inferiore del mixer in posizione orizzontale. Il crossfader
permette di selezionare quale dei due giradischi si vuole ascoltare, se posizionato a
sinistra si sentirà il giradischi di sinistra e viceversa. E’ una sorta di interruttore. In quasi
tutti i modelli di mixer recenti è possibile regolare la curva di taglio, brusca o più
morbida. Tra i migliori crossfader in commercio ci sono quelli magnetici prodotti dalla
Rane. Qualsiasi vinile può essere utilizzato per scratchare ma si possono acquistare dei
dischi realizzati appositamente per tale scopo con al loro interno una selezione di
frammenti musicali particolarmente funzionali. Questi dischi, chiamati “battle records”
contengono, in un unica traccia lunga quanto la durata del disco, brevi frammenti di
percussioni, accordi di chitarra, colpi orchestrali, frasi e grida, intervallati tra loro da
pause brevissime.
146
esempio di un battle records: Dj Stile - Turntablust Toolz vol.1 (1998)
A seconda della caratteristica del campione e della sua lunghezza si possono
applicare tecniche diverse. Difatti, il tipo di suono utilizzato può influire
sull'esecuzione: il tono di attacco, l'altezza, la durata e il timbro dipendono dalla
sorgente sonora. E' comprensibile che l'esecuzione sarà adattata al tipo di campione
suonato, in modo tale che ad esempio ci saranno movimenti brevi in presenza di un
campione sonoro corto, minor uso del crossfader se il campione presenta diversi onset,
movimenti all'indietro silenziati se il campione ha un rapido decadimento, e così via.
materiale utilizzato:
Per questo breve studio ho chiesto a Dj Keyone, esperto turntablist, di eseguire
alcune tecniche basilari al fine di analizzare il suono che queste producono. Come
suggerito da Dj Keyone siamo partiti dalla pratica basilare, il baby scratch, per
proseguire con le sue evoluzioni più complesse. Gli esempi audio e video possono
essere consultati on-line essendo immagazzinati nell’ftp del mio sito web personale.
Abbiamo scelto di adoperare un unico suono per tutti gli esempi, il più utilizzato e
conosciuto dai dj di tutto il mondo. Si tratta del campione vocale “ahhh breathy”
estratto dal brano “change the beat”, un B side di Fab Five Freddie del 1982.
giradischi: Vestax PDX 3000 mkII
testina: Shure M35x
mixer: Rane TTM56
scheda audio: Mbox digidesign daw: Ableton Live software di analisi: wavesurfer 27
27 Scaricabile gratuitamente dal sito https://sourceforge.net/projects/wavesurfer/
147
148
9.3 Movimenti base
figura 9.3.1: otto modi di iniziare e terminare un movimento avanti-indietro lungo la stesura di un campione audio
I movimenti basilari della mano sono distinti in due entità separate: movimenti del
disco e movimento del mixer (crossfader). La maggior parte delle tecniche di scratching
vengono eseguite tramite movimenti semplici ma veloci. I movimenti del disco e del
crossfader dipendono fortemente l’uno dall’altro, analogamente all’uso che si fa della
mano destra e della mano sinistra quando si suona una chitarra. Esistono anche tecniche
che prevedono l’utilizzo di entrambe le mani sullo stesso dispositivo(es: hydroplane).
Una regola generale è per quella di usare, per i destrimani, la mano sinistra per muovere
il disco e la destra per muovere il crossfader, viceversa per i mancini. I controlli del
volume (specie il crossfader) sono manovrati con i polpastrelli e sono spesso fatti
rimbalzare fra il pollice e l’indice. Il disco invece è spinto avanti e indietro in ogni
modo immaginabile. In genere il disco viene fatto scorrere da una distanza che va da
meno di 10° a più di 90° in entrambe le direzioni. Gli onset e gli offset sono
condizionati dalla posizione del campione quando si inizia a scratchare, dall’uso del
149
crossfader e dalla velocità del movimento. Qualsiasi suono può essere privato del suo
attacco originario semplicemente escludendone l’inizio usando il crossfader.
La figura 1 mostra la sezione di un disco con sopra disegnato un campione sonoro.
L’asse delle y rappresenta la posizione nel campione. Ci sono otto differenti tipologie di
movimento avanti-indietro, segnate (a)-(h). Tutti i tipi di movimento sono permutazioni
delle partenze, rotazioni e arresti con o senza il campione sonoro. Movimenti di tipo (a)(b) e (e)-(f) iniziano prima del suono, i movimenti (c)-(d) e (g)-(h) iniziano con il suono.
I movimenti (a), (c), (e) e (g) hanno il cambio di direzione fuori dai confini del
campione, mentre (b), (d), (f) e (h) cambiano direzione con il suono. I movimenti (a)-(d)
terminano fuori dai confini del campione, mentre (e)-(h) terminano prima che il
campione finisca.
Oltre ai punti di partenza, di rotazione e di arresto, diversi altri fattori caratterizzano
il suono risultante da un semplice movimento avanti-indietro: la direzione, intesa nel
verso di inizio, ossia se tiro indietro o se spingo in avanti. Oltre a controllare i suoni con
il movimento della mano sul disco, il crossfader offre al dj l’opportunità di produrre
onset e offset alternativi. La tipologia del campione audio scelto può influenzare
pesantemente tutte le variabili.
figura 9.3.2
La figura 9.3.2 mostra la forma d’onda e lo spettrogramma di uno scratch molto
semplice (nello specifico si tratta di un baby-scratch) simile al movimento (b) in figura
9.3.1. Il suono originale (ahhh) è caratterizzato da un rumore con banda ampia, che
lascia percepire comunque una nota.
150
Mano a mano che il movimento acquisisce velocità si può avvertire un aumento del
tono e dell’intensità sonora.
Figura 9.3.3
La figura 9.3.3 mostra un frammento della durata di circa 0.9 secondi del baby
scratch. Si può notare dalla forma d’onda che il movimento in avanti è più lento rispetto
a quello all’indietro, ha un attacco brusco e una discesa relativamente morbida. Il suono
prodotto ha un’intonazione che possiamo ricondurre ad un Fa5. Il movimento
all’indietro ha un attacco più rapido rispetto al decadimento del movimento che lo
precede, è più breve e rapido, ha ampiezza maggiore e un’intonazione che possiamo
ricondurre a un Do6. E’ comunque difficile definire un rapporto tonale a causa
dell’effetto glissando.
La spiegazione di questa differenza tra le due intonazioni si spiega nella diversa
velocità dei movimenti di direzione (aventi e indietro) del disco. Nel esempio in figura
9.3.3, la direzione che procede da avanti a indietro è più veloce rispetto alla direzione
opposta (da dietro ad avanti). Quando il disco è spinto indietro si ha dunque una
velocità maggiore rispetto a quando viene spinto in avanti.
Normalmente per scratchare si utilizza il giradischi regolato a 33 1/3 rpm, ma è
possibile impostarlo anche a 45 rpm. Questi valori (33 1/3 e 45 rpm) possono essere
variati in una certa percentuale tramite un controller posizionato nell’estremità laterale
del giradischi. Un Technics può, ad esempio, incrementare o diminuire la velocità di
rotazione fino all’ 8%. Il tono percepito durante lo scratch è comunque caratterizzato
maggiormente dai movimenti della mano piuttosto che dalla regolazione impostata nel
giradischi. Non ci sono restrizioni musicali (tonali) rispetto a quale nota deve essere
151
usata e non interessa preservare l’intonazione della sorgente riprodotta. Per un suono di
500Hz raggiungere i 15KHz significa riprodurlo a una velocità di 30 volte maggiore
rispetto all’originale, che corrisponderebbe a 1000 rpm, risultato impossibile da ottenere
per un essere umano. Ad ogni modo possono essere utilizzate diverse sorgenti sonore
per coprire l’intero spettro di frequenze, tenendo sempre presente il range di frequenza
fisicamente riproducibile dal modello di testina che si sta utilizzando.
152
9.4.1 Movimenti della mano
Ogni dj ha il suo personale approccio, stile, nel muovere un disco, anche se la finalità
è quella di riprodurre una tecnica ben definita. Sembra esserci una sorta di convenzione
tra gli esecutori su come una tecnica debba suonare piuttosto che sul come eseguirla.
Dal momento in cui il disco ha una vasta area nella quale posizionare le dita e la
piattaforma può essere ruotata o inclinata a piacimento, i movimenti possono essere
organizzati in modo diverso.
9.4.2 Senza crossfader
La tecnica fondamentale, il primo approccio allo scratch, è fatta spingendo il disco in
avanti e indietro senza usare il crossfader. Quando viene eseguito un costante pattern
ritmico, ad esempio di note della durata di un sedicesimo, la tecnica viene chiamata
baby-scratch. Movimenti di tipo (b) e (e) e la combinazione di (e) e (c) sono i più
frequenti nel baby-scratch. La velocità in cui il turntablist muove il disco influenza sia
l’attacco che il decadimento. Con un lungo rallentamento o una lunga partenza si può
ottenere un effetto glissando. Inoltre, il calo di frequenza dato dal rallentamento farà sì
che l’ascoltatore percepisca un abbassamento dell’ampiezza. Tale dinamica può essere
estrapolata dalle curve di uguale intensità sonora di Fletcher e Munson.
E’ anche possibile adoperare entrambe le mani sul disco per eseguire una tecnica che
consiste nel trascinare indietro il disco con una mano mentre con un dito dell’altra mano
si applica una lieve resistenza nella direzione opposta facendo “sobbalzare” il disco,
riproducendo un suono dalla caratteristica “balbettante” chiamato hydroplane-scratch
(figura 9.4.1). Questa tecnica produce continue interruzioni nel suono. Nello
spettrogramma di un hydroplane-scratch, figura 9.4.2, è possibile individuare i punti nei
quali il disco rimbalza sul vinile. I rallentamenti avvengono con un tasso frequente
producendo un suono simile a un brusio (hamming).
153
Figura 9.4.1
figura 9.4.2
154
9.4.3 Con il crossfader
I controller del volume possono tagliare un suono nell'attacco o nella coda.
Normalmente il turntablist usa il crossfader come una sorta di interruttore per compiere
tagli bruschi del campione sonoro. Il campione può essere facilmente "acceso" e
"spento" diverse volte al secondo, rendendo il suono degli scratch molto veloce. Questa
probabilmente è la ragione per la quale lo scratch suona così riconoscibile ed
inimitabile. Alcune tecniche sono semplicemente dei baby-scratch con diversi utilizzi
del crossfader. Altre invece prevedono un trascinamento più lungo del disco con un
taglio veloce del crossfader.
Il Chirp è una tecnica inventata da Dj Jezzy Jeff.
Nel chirps si possono sentire solo due frammenti di suono riconducibili ad un baby
scratch molto veloce. In ogni movimento del disco in avanti il crossfader viene chiuso
velocemente dopo la partenza, e nel ritorno viene aperto in prossimità dell’ultimo
frammento del suono. Le mani devono muoversi più o meno allo stesso tempo.
Una delle tecniche più discusse tra la comunità dei turntablist è il flare scratch e tutte
le sue variazioni. Prende il nome dal suo inventore, Dj Flare. Fare il flare significa
tagliare il suono durante il trascinamento, le variazioni dipendono da quante volte
avvengono questi tagli e da quanto regolari sono. In un movimento di avanzamento
piuttosto lento che comincia all’iniziare del campione, il suono è velocemente spento e
riacceso facendo rimbalzare il crossfader tra il pollice e l’indice. Le variazioni della
tecnica dipendono dunque dal numero di questi click del crossfader.
Un 2 click flare è un movimento di avanzamento con due click, o buchi sonori, che
producono un totale di tre onset. Un orbit o orbit-flare è lo stesso tipo di scratch
eseguito da entrambe le direzioni (avanti-indietro). In un 2 click orbit-flare ci saranno
un totale di sei onset, tre sul movimento in avanti, uno quando il disco cambia direzione
e due quando torna indietro. La tecnica del flare genera diverse altre tecniche.
155
Il crab, inventato da Dj Qbert, sfrutta la possibilità di poter fare leggeri e rapidissimi
movimenti del crossfader generando un suono che ricorda superficialmente l’effetto
tremolo delle chitarre nel flamenco. Viene eseguita facendo rimbalzare le 4 dita della
mano (dal mignolo all’indice) sul pollice che “blocca” il crossfader (figura 9.4.3). A
causa dei numerosi click che vengono fatti in un singolo movimento, la frequenza di
ogni attacco o suono è piuttosto costante (come si può osservare nella figura 9.4.4).
figura 9.4.3
figura 9.4.4
La vecchia tecnica chiamata transformer (illustrata in figura 9.4.5) è spesso
paragonata a una luce stroboscopica, dal momento in cui il crossfader è spinto avanti e
indietro velocemente e ritmicamente durante un movimento relativamente lungo e lento.
La figura 9.4.6 mostra lo spettrogramma della sezione di un tipo transformer. Il
trasformer generalmente possiede una maggiore varietà tonale rispetto alle tecniche
dove il principale scopo musicale è la rapidità di movimento del crossfader.
156
figura 9.4.5
figura 9.4.6
Lo zig zag scratch (illustrato in figura 9.4.8), inventato da Dj Qbert, è una tecnica
nella quale il vinile viene mosso avanti e indietro con la mano sinistra, mentre la destra,
con movimenti rapidi, fa la spola fra il vinile (per rallentarlo) e il fader del volume (per
abbassarlo ad ogni ripetizione del movimento del disco). Ne risulta un effetto sonoro
“serpeggiante” appunto a zig zag. La ciclicità del movimento e l’abbassamento a scalini
del volume dà l’impressione di un effetto eco, in cui il suono si dissolve a poco a poco,
come si può osservare dalla figura 9.4.7.
figura 9.4.7
157
figura 9.4.8
Le tecniche sono raramente eseguite individualmente per periodi lunghi ma vengono
mischiate e intrecciate per espressioni e frasi musicali più complesse. Quando si
sentono, ad esempio, un 2 click flare e un crab in successione potrebbe essere difficile
distinguere una tecnica dall’altra. I turntablist spesso usano chiamare questi intrecci di
tecniche con il termine flow (flusso), e l’insieme dell’esecuzione è più importante delle
singole sezioni. Padroneggiare uno scratch potrebbe essere paragonato al padroneggiare
una scala in una improvvisazione tonale. Senza le necessarie abilità, i pattern più
complessi non suoneranno bene. Motivo per cui i turntablist come qualsiasi altro
musicista dedicano ore di allenamento ogni giorno per perfezionare le loro abilità.
158
Links materiale audio:
Autoban scratch:
www.karma22.com/shared/keyone/audio/autoban.aiff
Baby scratch:
http://www.karma22.com/shared/keyone/audio/baby.aiff
Boomerang scratch:
www.karma22.com/shared/keyone/audio/boomerang.aiff
Cirp scratch:
www.karma22.com/shared/keyone/audio/cirp.aiff
Crab scratch:
www.karma22.com/shared/keyone/audio/crab.aiff
Flare scratch:
www.karma22.com/shared/keyone/audio/flare.aiff
Hydroplane scratch:
www.karma22.com/shared/keyone/audio/hydroplane.aiff
Transform scratch:
www.karma22.com/shared/keyone/audio/transform.aiff
Zig Zag Scratch:
www.karma22.com/shared/keyone/audio/zigzag.aiff
Freestyle session Keyone:
www.karma22.com/shared/keyone/audio/freestyle.aiff
Links materiale video:
Autoban scratch:
www.karma22.com/shared/keyone/video/autoban.mov
Baby scratch:
www.karma22.com/shared/keyone/video/baby.mov
Boomerang scratch:
www.karma22.com/shared/keyone/video/boomerang.mov
Cirp scratch:
www.karma22.com/shared/keyone/video/cirp.mov
Crab scratch:
www.karma22.com/shared/keyone/video/crab.mov
Flare scratch:
www.karma22.com/shared/keyone/video/flare.mov
Hydroplane scratch:
www.karma22.com/shared/keyone/video/hydroplane.mov
Transform scratch:
www.karma22.com/shared/keyone/video/transform.mov
Zig Zag Scratch:
www.karma22.com/shared/keyone/video/zigzag.mov
Freestyle session Keyone:
www.karma22.com/shared/keyone/video/freestyle.mov
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9.5 Ruoli del Disc Jockey
Dj che mixa brani:
Il tipico compito del dj è quello di mixare dischi ed è svolto dalla maggior parte dei
dj. Normalmente svolgono la loro occupazione professionale in discoteche, locali
notturni, bar, eventi, stazioni radiofoniche. Possono lavorare anche in studi producendo
mixtape più o meno elaborati (una sorta di compilation nella quale i brani sono mixati
tra loro).
Dj produttore:
La linea che separa un dj che mixa da un dj che produce musica è sempre stata
sottile, ed ora che tra gli strumenti del dj sono stati introdotti sistemi digitali lo è ancora
di più. In passato, campionatori analogici e drum machines sono stati utilizzati in
parallelo al vinile, soprattutto per la realizzazioni di basi strumentali usate nei mix o per
i rapper. Con le innovazioni tecnologiche che hanno trasferito l'hardware al software le
possibilità di creare musica sono diventate molto più accessibili.
Riprodurre musica per i rapper:
Dalla sua origine il dj usava fare annunci per intrattenere o presentare i brani
attraverso il microfono mentre suonava. Questa prassi passò di mano a quella che
divenne la figura dell' Mc (master of cerimony) lasciando al dj la sola responsabilità
della musica. Dal momento in cui questi interventi vocali iniziavano a fare più articolati
la figura dell'Mc è diventata parte integrante dello spettacolo musicale iniziando a
rappare sulle strumentali suonate dal dj. Col tempo i ruoli si capovolsero e la figura
dell'Mc passò in primo piano e il dj aveva funzione di accompagnamento.
Spesso i dj si munivano di microfono per sostenere le parti vocali dei rapper (i
backup) o utilizzando campionatori per creare elementi sonori in tempo reale durante
l'esibizione. Si crearono gruppi musicali composti da rapper e dj formando entità
bilanciate con ruoli specifici, come nel caso di Erik B e Rakim, Beastie Boys e dj
Mixmaster Mike o Guru e Dj Premiere.
161
Suonare in una band:
Nei primi anni Ottanta si iniziarono a vedere i dj suonare sia in gruppi hiphop che
come elementi di gruppi musicali, come avvenne del caso di Rockit. Al giorno d'oggi
l'immagine comunichi si ha di un dj è quella di musicista solista in piedi dietro ad alla
cabina di una discoteca. Nonostante moltissimi gruppi musicali degli ultimi anno
avessero al loro interno un turntablist sono effettivamente pochi i dj che suonano in una
band. Anche se il turntablist nasce come musicista solista spesso ha raggiunto il
successo commerciale grazie alla sua appartenenza ad una band di successo aiutando a
caratterizzare il sound di gruppi famosi come Portishead, Limp Bizkit, Sugar Ray,
Linkin Park.
Esistono anche gruppi musicali composti da soli dj, i primi e più famosi sono gli
Invisible Skratch Piklz, o gli italiani Alien Army di Dj Skizo. In questi gruppi spesso i
ruoli vengono suddivisi come in un gruppo composto da strumenti musicali tradizionali,
dunque un dj farà la sezione ritmica, un altro il basso, un altro la voce e via dicendo.
Dj da battaglia:
Il turntabism rappresenta un forte movimento che mira a dimostrare come la musica
fatta dai dj non sia solo una moda derivante dall'hip hop ma una pratica musicale seria. I
turntablist utilizzano scratch, beatjuggling e altre tecniche avanzate in gran parte delle
loro performance. Spesso le battle coinvolgono dj solisti ma ci sono competizioni
dedicate anche a gruppi di turntablist.
162
Bibliografia
"The Talking Phonograph" , Scientific American, 22 dicembre 1877.
<http://reactable.com/> [accesso: 15 marzo 2016].
<http://www.attigo.co.uk/> [accesso: 15 marzo 2016].
<http://www.stantondj.com/stanton-controllers-systems/scs3d.html> [accesso: 15 marzo 2016].
Abrams M. , The Teenage Consumer, London: Press Exchange, 1959.
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