TESI DI DIPLOMA ACCADEMICO DI 1° LIVELLO IN MUSICA ELETTRONICA (INDIRIZZO TECNICO DI SALA DI REGISTRAZIONE) UNA PROSPETTIVA STORICA E CULTURALE DEL VINILE E DELLE TECNICHE DEL TURNTABLISM DIPLOMANDO: Alessandro Cosentino MATRICOLA: 11434 RELATORE: Maestro Giorgio Klauer Anno Accademico 2014/2015 Introduzione.......................................................................................................................5 Parte I...............................................................................................................................13 Supporti e Strumenti........................................................................................................ 13 1. Cenni storici............................................................................................................ 13 1.1 Evoluzione dei supporti.............................................................................................. 23 2. Disco e Artwork...................................................................................................... 33 2.1 Considerazioni............................................................................................................ 48 3. Valutazione del disco.............................................................................................. 51 3.1 Sigle e legende........................................................................................................... 52 3.3 Dischi rari................................................................................................................... 55 4. Trend di mercato..................................................................................................... 57 4.1 Confronto tra cd e vinile............................................................................................. 59 4.2 Processo di stampa..................................................................................................... 64 4.3 Mastering dedicato al vinile....................................................................................... 65 4.4 Conclusioni................................................................................................................ 66 5. Il giradischi............................................................................................................. 69 5.1 Anatomia dello strumento...........................................................................................69 5.2 Il settaggio.................................................................................................................. 74 6. Il Setup.................................................................................................................... 77 6.1 Il mixer....................................................................................................................... 77 6.2 Disposizioni della console.......................................................................................... 83 6.3 Interfacce sperimentali commerciali........................................................................... 85 6.4 Interfacce sperimentali non commerciali.................................................................... 87 6.5.1 DVS – Digital Vinyl Emulation Systems................................................................. 89 6.5.2 Serato...................................................................................................................... 90 PARTE II..........................................................................................................................95 Il Disc Jockey nella storia................................................................................................95 7. Il Dj nelle radio....................................................................................................... 95 7.1 Il Dj nelle discoteche.......................................................................................... 100 7.1.1 Il Sound System.....................................................................................................102 7.1.2 Disco music........................................................................................................... 105 7.1.3 Il Dj Hip Hop.........................................................................................................109 7.2 Il Dj come produttore..........................................................................................120 8. Uso creativo del giradischi....................................................................................125 8.1 Diffusione delle Battles............................................................................................ 129 8.2 Turntablism.............................................................................................................. 132 8.3 Sistemi di notazione................................................................................................. 137 PARTE III...................................................................................................................... 143 Lo Scratch......................................................................................................................143 9.1 Le basi dello scratch:.......................................................................................... 143 9.2 Equipaggiamento:............................................................................................... 145 9.3 Movimenti base...................................................................................................149 9.4.1 Movimenti della mano..................................................................................... 153 9.4.2 Senza crossfader.................................................................................................... 153 9.4.3 Con il crossfader.................................................................................................... 155 9.5 Ruoli del Disc Jockey......................................................................................... 161 Bibliografia.................................................................................................................... 163 3 4 Introduzione Nel seguente lavoro ho voluto offrire una panoramica globale dell’utilizzo che è stato fatto del disco a partire dall’invenzione del fonografo fino ai giorni d’oggi. Ho insistito sull’aspetto storico al fine di comprendere al meglio l’evoluzione tecnica e sociale dello strumento, analizzando le conquiste ottenute dai disc jockey come promotori musicali e re-inventori del mezzo di riproduzione fonografica attraverso il Secolo scorso. Ritenendo la copertina del vinile un elemento inscindibile dallo stesso e capace di dare un importante valore aggiunto all’opera musicale, ho dedicato un capitolo al connubio tra musica ed arti visive nel processo di lavorazione e progettazione dell’artwork grafico citando alcuni degli artisti fondamentali per il progresso di questa forma d’arte. Mi sono dilungato a parlare del dj nell’ambito hip hop perchè è in questo contesto musicale e culturale che lo strumento di riproduzione è stato manomesso al fine di soddisfare scopi musicali e funzionali inediti; i produttori di apparecchiature specifiche si sono confrontati con i dj hip hop per la produzione di macchinari più funzionali ai loro bisogni; non di meno, la figura del dj all’interno di questo genere musicale si è andata trasformando progressivamente da quella di promotore musicale a quella di musicista. Ho trattato alcuni aspetti tecnici fondamentali, andando a descrivere le parti che compongono una console da dj e dando istruzioni inerenti al suo utilizzo e funzionamento. Ho realizzato un breve studio in collaborazione con Dj Keyone per illustrare l’esecuzione di alcune tecniche usate dai dj: dalle più elementari e propedeutiche fino alle loro evoluzioni più complesse, mettendo a disposizione materiale audio e video consultabile. Ho preso in esame diverse statistiche e inchieste sul trend di mercato della vendita del disco in vinile risalente agli ultimi anni, approfittandone per esporre il modo nel quale viene realizzato un LP in termini di stampa e mastering audio dedicato. 5 L’obiettivo della tesi è quello di comprendere il modo in cui uno strumento di riproduzione sia nato, abbia influito in termini economici e sociali e si sia evoluto per diventare uno strumento di produzione musicale nuova. Protagonista di questa trasformazione è il Disc Jockey nelle sue identità di consumatore, produttore ed esecutore musicale. La spinta motivazionale è giunta da diversi punti. L’LP è stato il mio primo contatto con il mondo della musica ed è tutt’oggi il supporto che preferisco. Della figura del turntablist mi appassiona e incuriosisce dai tempi adolescenziali il profilo rivoluzionario, la sua dedizione alla pratica, alla sperimentazione e la sua determinazione nel voler superare i limiti tecnici con l’ingegno e un’attitudine di ricerca continua. Ringraziamenti e dediche: dedico questo lavoro ai miei genitori e a mio fratello Stefano a Claudia Fede e ai dischi che ascolteremo insieme a tutti i miei amici più cari Ringrazio Matteo “Dj Keyone” Rossetto, Mara Stella Nobili, Giulio Natali il corpo docenti del Conservatorio Pollini in particolare il relatore Maestro Giorgio Klauer e il Maestro Emanuele Pasqualin 6 Il XIX secolo ha conosciuto una spinta tecnologica senza precedenti nella storia umana. La figura dell’inventore in questo contesto assume un ruolo determinante. Il suo stereotipo romantico di “artigiano del nuovo secolo” era giustificato dalla sua capacità di unire alla conoscenza scientifica la volontà di superare i limiti umani. Finora l’uomo si era rapportato con l’universo cercando di comprenderlo e catalogandolo attraverso le proprietà fisiche della materia e dei suoi attributi di spazio e tempo. Il concetto di finito, di “essere”, si contrappone così a quello di “infinito”, di non essere. La morte è la barriera più estrema da superare e, come avvenne per l’invenzione della fotografia, anche le nuove tecnologie di fissazione sonora erano state accolte come strumenti per il prolungamento della memoria. Il loro impatto fu enorme soprattutto nelle fasce più povere della popolazione, quelle che non si sarebbero potute permettere di commissionare un ritratto o di partecipare ad un concerto. La fotografia è stata colta prima di tutto come uno strumento rivoluzionario in grado di offrire una ripresa oggettiva della realtà attraverso il suo “occhio imparziale”. Imparziale proprio perché svincolato dall’interpretazione umana e capace di creare di per sé un oggetto finito. A differenza della fotografia, che vedeva nella pittura un suo precedente, la registrazione sonora si è presentata come un evento totalmente inedito. Non era l’evoluzione di nessun’altra pratica già esistente. Mentre la fotografia aveva trovato inizialmente una sua funzione condivisa nella sostituzione della ritrattistica e stava lentamente ampliando le sue potenzialità, l’invenzione del fonografo non andava sostituendosi a niente e di conseguenza nessuno ne sentì immediatamente il bisogno. Tra i vari scopi che lo stesso Edison ha attribuito alla sua invenzione più cara 1 -il fonografo – i principali erano destinati alla preservazione dei discorsi di personaggi illustri e alla possibilità di conservare le voci e le ultime parole dei propri cari [Edison 1877]. Forse non a caso la traduzione anglosassone di “disco” è record, che ci richiama immediatamente alla preziosa funzione di salvare dalla morte i nostri ricordi. 1 Edison il 18 Giugno 1978 nella rivista North American Review stila un decalogo delle funzioni da lui attribuite al fonografo dedicando alla riproduzione musicale il quarto posto. 7 L’invenzione del fonografo ha aperto le porte a un mercato di massa, dove l’informazione si fonde con l’intrattenimento, con la formazione, con le attività ludiche e quelle lavorative, fino a permeare ogni aspetto del vivere sociale. Il contesto è quello della seconda rivoluzione industriale, alle porte del Ventesimo secolo. Le città iniziano ad espandersi a vista d’occhio e l’affiorare di fabbriche e impianti produttivi inizia a stravolgere drasticamente il paesaggio sonoro che Schafer definisce come “cacofonia del ferro” [Schafer 1985]. I rumori scaturiti dalla nuova città industriale sono ben rievocati dallo scrittore Emile Zola che nel Germinale li descrive con toni drammatici: « I getti del vapore eruppero con la violenza di cannonate; in un fragore di tempesta le cinque caldaie si vuotarono, fischiando da far sanguinare le orecchie» [Zola 1885]. La casa e la famiglia iniziano a rappresentare un luogo di rifugio dove il fonografo diventa lo strumento perfetto per riportare agli individui la perduta armonia dei suoni ben ordinati. Con la sua diffusione nelle case i consumatori scoprirono un settore della loro vita che era fino a quel momento sconosciuto. Rispondeva alla necessità sempre maggiore di uno strumento di evasione privata. La musica diventa per la prima volta una faccenda intima [Keightley 1996]. Prima del disco la comunicazione musicale era possibile solo quando esecutore e pubblico erano presenti in un tempo e in un luogo determinati. La musica viene così liberata dai vincoli di spazio e tempo. Il pubblico, che ora può essere composto da un solo individuo, stabilisce il momento e il luogo da dedicare all’ascolto. Inoltre, se prima l’unicità dell’ascolto era vincolata all’esecutore ed ogni esecuzione era per forza di cose diversa dall’altra, ora il brano suonato non subisce variazioni da una riproduzione all’altra. Diventa il fruitore colui che interpreta e determina il senso ultimo di una composizione e non più il suo creatore. I dischi sono la riproduzione fedele di un evento, una fotografia sonora. Ogni volta che se ne avrà voglia sarà possibile rivivere quell’evento esattamente come era nel momento in cui è stato registrato nello studio o nella sala da concerto. Rivivono così avvenimenti passati, morti ma originali in quanto non replicabili. La presenza del musicista in un quadro del genere non è più indispensabile. Si è giunti al paradosso nel quale il disco è percepito come originale e l’esibizione in 8 concerto come una sua riproposizione. La rivoluzione è prima di tutto sociale: i nuovi mezzi di riproduzione permettono di accedere al mondo della musica tutti coloro i quali non avevano il lusso di poter presenziare all’esecuzione dal vivo. La musica diventa così democratica abbattendo le disparità sociali. Questa democratizzazione della musica introduce un’altra conseguenza, come fa notare Umberto Eco: «la diffusione del disco porta a uno scoraggiamento progressivo del dilettantismo musicale. Assistiamo alla scomparsa degli amatori che seguivano piccoli trii o quartetti dell’esecutore privato come la signorina di buona famiglia che suonava il pianoforte in casa. La gente ascolta la musica e non impara più a produrla. Cresce sì il livello generale di alfabetismo culturale, ma quelli che sanno leggere la musica diventano sempre meno e di conseguenza cresce anche l’analfabetismo musicale. La diffusione del disco scoraggia le esecuzioni pubbliche di mediocre livello»[Eco 2001]. Se da un lato il disco ci libera dalla messa in scena di esecuzioni scadenti proponendo solo incisioni di qualità, dall’altro lato incoraggia una certa forma di pigrizia culturale verso la musica. I nuovi musicisti imparano a suonare riproducendo quello che sentono nei dischi, parlano una lingua che hanno imparato ad orecchio, senza conoscerne le regole e senza saperla leggere. Lo spartito diventa superfluo. Il filosofo Walter Benjamin si dice comunque favorevole al prolificarsi della fruizione musicale tra coloro che prima ne erano esclusi. E’ innegabile il modo in cui il grammofono abbia ridefinito l’ascolto, l’ascoltatore e quindi le pratiche culturali legate all’atto della fruizione musicale. L’opera d’arte è sempre stata riproducibile. Una cosa fatta dall’uomo è sempre riproducibile dall’uomo. Anche nel caso di una riproduzione altamente fedele però manca un elemento: il qui ed ora (l’hic et nunc) dell’opera d’arte, la sua esistenza unica è irripetibile nel luogo in cui si trova. E’ proprio l’hic et nunc dell’originale a costituire il concetto della sua autenticità. La sala da concerto si sposta per essere ricollocata nello studio di un amante dell’arte, il coro eseguito in un auditorium ora può essere ascoltato nella propria stanza. La consistenza intrinseca dell’opera d’arte è intatta ma lo stesso mezzo della riproduzione tecnica determina una svalutazione dell’hic et nunc. Per usare le parole di Benjamin « ciò che viene meno è 9 quanto può essere riassunto con la nozione di «aura»; e si può dire: ciò che vien meno nell’epoca della riproducibilità tecnica è l’aura dell’opera d’arte». Ma cos’è l’aura? E’ «l’hic et nunc dell’opera d’arte, la sua esistenza unica e irripetibile nel luogo in cui si trova». La decadenza dell’aura «si fonda su due circostanze, entrambe connesse con la sempre maggiore importanza delle masse nella vita attuale. E cioè: rendere le cose, spazialmente e umanamente, più vicine è per le masse attuali un’esigenza vivissima, quanto la tendenza al superamento dell’unicità di qualunque dato mediante la ricezione della sua riproduzione2». Cambiano così i rapporti tra esecutore ed ascoltatore. L’interprete non svolge la sua interpretazione direttamente ad un pubblico, quindi perde la possibilità di adeguare l’esecuzione al pubblico presente. Il pubblico d’altro canto può esprimere un giudizio senza dover rispondere all’esecutore in persona. Identifica l’interprete nell’apparecchio. Nonostante la perdita dell’aura, secondo Benjamin l’accesso alla cultura da parte delle masse porta con sé un nuovo fermento utile sia all’arte che alle masse. Aldous Huxley non la pensa allo stesso modo: «I progressi tecnici hanno portato alla volgarità» sostiene che «la riproducibilità tecnica e la stampa in rotocalco hanno reso possibile una moltiplicazione illimitata degli scritti e delle immagini. L’istruzione scolastica generale e gli stipendi relativamente alti hanno creato un pubblico molto largo che è capace di leggere e che è in grado di procurarsi oggetti di lettura e materiale illustrativo. Per produrre tutto ciò si è creata un’importante industria. Ora, però, le doti artistiche sono qualcosa di molto raro; da ciò consegue che in ogni epoca e in ogni luogo la maggior parte della produzione artistica è sempre stata scadente. Oggi tuttavia la percentuale degli scarti nella produzione artistica complessiva è maggiore di quanto sia mai stata…» [Benjamin 1966]. 2 10 Benjamin W. ne “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilit; tecnica. Arte e societ; di massa.” Il gesto di acquistare un disco implica secondo Adorno tutta una serie di processi di natura consumistica che portano alla feticizzazione inconscia del supporto stesso. «Il concetto di gusto – scrive il filosofo - è superato in quanto non c’è più una scelta: l’esistenza del soggetto stesso, che potrebbe conservare questo gusto, è diventata problematica quanto, al polo opposto, il diritto alla libertà di una scelta che non gli è più empiricamente possibile. Per chi si trova accerchiato da merci musicali standardizzate, valutare è diventata una finzione» [Adorno 1974]. Quando parla di mercificazione dell’arte la sua è una visione assolutamente compatibile con il pensiero marxista. L’illusione è che l’acquisto di un disco sia la manifestazione della nostra libertà di scegliere quando nella realtà siamo fortemente condizionati dall’industria che ci mette nelle mani l’ennesimo feticcio dello sfruttamento sociale degli individui. Con uguale pessimismo prosegue: «la musica leggera alberga nelle brecce del silenzio che si aprono tra gli uomini deformati dall’ansia, dalla routine e dalla cieca obbedienza. Questa musica viene percepita solo come uno sfondo sonoro: se nessuno è più in grado di parlare realmente, nessuno è nemmeno più in grado di ascoltare» [Adorno 1974]. André Millard sostiene che la tecnologia della musica registrata abbia giocato un ruolo centrale nella diffusione della cultura americana oltremare, perpetuando una sorta di imperialismo culturale imponendo i costumi della cultura americana su tutte le altre. Non a caso i Soviet già nel 1928 proibirono l’importazione e la riproduzione in Unione Sovietica di dischi Jazz americani andando così a ribadire il ruolo politico e l’«effetto di traino» che questi settori apparentemente neutrali e «leggeri» sanno esercitare sul resto delle attività umane [Millard 1995]. Politica a parte è vero che da ora in avanti tutta una stirpe di compositori tra i quali Erik Satie, Edgar Varèse per proseguire fino alla musica concreta di Schaeffer troveranno nella nuova tecnologia a loro disposizione la possibilità di espandere i propri confini. Si inaugura quella che Schafer chiama l’era della «schizofonia», cioè dell’estrapolazione dei suoni dal contesto originario e della loro ritrasmissione 11 attraverso il tempo e lo spazio. Citando le sue parole « la rivoluzione industriale introdusse moltissimi suoni nuovi, che ebbero conseguenze disastrose per molti dei suoni dell’uomo e della natura, che finirono con l’esserne oscurati» [Schafer 1985]. In molteplici contesti la popolazione è stata incoraggiata a servirsi delle nuove tecnologie e raramente il progresso della tecnica è stato percepito minaccioso. Nel caso della musica invece la tendenza è stata quella di opporsi ai progressi tecnologici mentre si stava creando un’arte autonoma e fiera, capace di svincolarsi dai limiti concertistici. Un’arte, questa, nascosta dalla stessa industria che l’ha resa possibile, in nome di un’ideologia e di un senso comune che vuole salvaguardare gli aspetti umani del far musica e che vedeva le innovazioni come false e falsificanti. Penso che il concetto benjaminiano di aura sia fortemente attuale. La musica elettroacustica e la sua (ri)producibilità elettronica offrono oggi la possibilità a chiunque di creare un prodotto che abbia un’aura. Il suo hic et nunc, al quale è connessa l’autenticità dell’opera, ritorna dal momento in cui ogni prodotto è qui e lo è ora, in ogni momento e in ogni parte del mondo. Ecco come la musica oggi può ritrovare la sua aura. 12 Parte I Supporti e Strumenti 1. Cenni storici Il prototipo del disco in vinile moderno è stato sviluppato da Emile Berliner nel 1887 in seguito alla sua invenzione per la riproduzione sonora, il grammofono. L’idea di utilizzare i solchi per riprodurre il suono era già stata utilizzata precedentemente da Edison nel 1877 quando introdusse il fonografo e i cilindri. Entrambe le invenzioni hanno un antenato in comune. Quando Berliner nel 1888 presentò il suo grammofono al Franklin Institute dichiarò che il punto di partenza per lo sviluppo del suo dispositivo di riproduzione fu il fonautografo, inventato da Edouard-Léon Scott de Martinville nel 1856 [Berliner 1888a]. Nel suo discorso al Franklin Institute, Berliner descrisse con cura il funzionamento del fonautografo sottolineando le influenze che questo dispositivo avrebbe avuto sull’invenzione di Edison: «esso ha lo scopo di registrare le vibrazioni sonore su di un cilindro ruotato a mano e spostato in avanti per mezzo di una barra filettata. Il cilindro è ricoperto di carta precedentemente affumicata dalla fiamma di una lampada a petrolio. Uno stilo, collegato al diaframma, sotto l’influenza delle parole pronunciate all’interno di una sorta di boccaglio traccia le vibrazioni sonore sulla superficie affumicata» [Berliner 1888b]. Il suono raccolto da questo pseudo “orecchio” veniva trasmesso a delle setole che a loro volta tracciavano la linea modulata dalle variazioni di pressione dell'aria, determinando così un’impressione grafica delle onde sonore [Sterne 2003]. Questo, sosteneva Berliner, sarebbe stato il prototipo per lo sviluppo di invenzioni future come il fonografo di Edison. 13 C’è comunque una differenza sostanziale tra la macchina di Edison e quella di Scott. Il fonografo di Edison detiene il primato (per lo meno così vuole la versione ufficiale dei fatti) di essere il primo congegno per la riproduzione udibile del suono. Il fonautografo di Scott invece si proponeva di rappresentare il suono solo visivamente. Possiamo dire che aveva fini più legati allo studio dell’acustica dal momento in cui le vibrazioni tracciate venivano fotografate per poi essere analizzate permettendo di avvicinarsi allo studio di un nuovo linguaggio. Non vi era l’intenzione di riconvertire questi tracciati in suono [Horning 2013]. Questa lacuna ha ispirato Edison ad aggiungere l’inevitabile tassello mancante. Nel fonautografo di Scott l’essere umano era sia l’autore che l’interprete del messaggio registrato. Con l’invenzione di Edison lo stilo diventa l’interprete ed uno strumento di scrittura ora è anche in grado di leggere. Un evento senza precedenti che lo stesso Edison ammette essere stato il frutto di una scoperta più che di un’invenzione. Edison ha registrato circa 1093 brevetti e quando gli venne chiesto a quale delle sue creazioni fosse più legato, esclamò «la mia risposta è che tra tutte le mie invenzioni quella che preferisco è il fonografo» [Edison 1948]. Dichiarò inoltre che la registrazione del suono avvenne in seguito ad un inaspettato colpo di fortuna [Millard 1995]. Avvenimento ironico se si considera che dall’altra parte del mondo c’era un uomo che stava cercando di raggiungere proprio quello scopo. Si tratta del francese Charles Cros, un poeta e scienziato dilettante che aveva concepito il fonografo leggermente prima di Edison ma non era riuscito ad ottenere i finanziamenti necessari per lo sviluppo di un modello funzionante. Il 30 aprile del 1877 Cros aveva depositato all’Académie des sciences de France una busta sigillata contenente uno scritto riguardante il «processo di registrazione e riproduzione dei fenomeni acustici»: «In generale» diceva Cros «il mio processo consiste nell’ottenere un tracciato dei movimenti di una membrana vibrante e nell’utilizzo di questo tracciato per riprodurre gli stessi movimenti - con la loro relativa durata e intensità - nella membrana stessa o in un’altra adatta a fornire i suoni risultanti da questa serie di movimenti. Un leggero stilo, connesso al centro della membrana vibrante, termina in un punto su una 14 superficie di carta annerita da una fiamma. Questa superficie fa parte di un disco al quale viene conferito un doppio movimento, rotatorio e progressivo» [Cros 1920]. La prima menzione che ricevette l’articolo di Cros fu in una pubblicazione scritta da Abbé Lenoir per “la Semaine du clergé”, il 10 ottobre 1877. L’autore in questo scritto si è mostrato fortemente lungimirante per due aspetti. In primo luogo fu qui che Abbé Lenoir battezzò l’invenzione di Cros con l’appellativo di “fonografo”. In secondo luogo ebbe l’intuizione di attribuire a tale dispositivo un utilizzo che prevedesse la riproduzione musicale: «per mezzo di questo strumento di cui siamo chiamati ad essere i padrini e vorremmo battezzare con il nome di “fonografo”, sarà possibile fare fotografie alla voce così come facciamo già con i volti.. non è una delle cose più curiose che possano essere immaginate? Sarà possibile sedersi per un po’ ed ascoltare, ad esempio, il cantato di alcuni brani che hanno reso un cantante famoso attraverso un semplice strumento chiamato fonografo»[Buick 1927]. Il 3 dicembre 1877 Cros chiese che la sua busta sigillata fosse aperta, letta e resa pubblica. Mossa forse dettata dai successi che stavano ottenendo gli esperimenti di Edison in America [Gelatt 1977]. La cronologia dei fatti suggerisce che Edison non potesse essere a conoscenza del documento di Cros quando iniziò a progettare la sua macchina. Le idee che stava esplorando Edison facevano riferimento ad una sorta di altoparlante per il telefono, una tecnologia finalizzata alla telegrafia automatica e al modo in cui la Western Union (la compagnia telefonica statunitense) avrebbe potuto adoperarla. In principio Edison, come Scott, voleva rendere il suono visibile. Mentre Scott avanzava attraverso un pensiero scientifico, Edison guardava all’aspetto commerciale. Nel mondo del lavoro, se un oggetto fa risparmiare tempo o soldi e non è troppo difficile da usare, viene immediatamente adottato. Edison in principio voleva capire se, e in che modo, la Western Union avrebbe potuto utilizzare il fonografo, strumento che permetteva alle onde sonore delle chiamate telefoniche di essere catturate visivamente su una sostanza solida e tradotte in testo. Mentre stava lavorando ad una macchina il cui scopo era quello di riprodurre dei caratteri morse si rese conto che, se il 15 cilindro con la carta veniva fatto ruotare velocemente, si poteva udire un ronzio indistintamente simile a quello della voce umana [Edison 1888]. Decise allora di applicare al sistema un diaframma che avrebbe ricevuto le vibrazioni della voce parlata. Pronunciò la parola “hello” incidendo le vibrazioni della sua voce sul materiale impressionabile posizionato nel cilindro. Si accorse che da quel momento in poi sarebbe stato possibile registrare e riprodurre la voce umana attraverso mezzi meccanici ogni volta che si voleva. Edison dunque iniziò a focalizzarsi sulla riproduzione meccanica piuttosto che sulla trascrizione o visualizzazione sonora. Nel suo quaderno degli appunti il 18 giugno 1877 scrive: «ho appena svolto un esperimento utilizzando un diaframma avente una sezione in rilievo, premendolo su della carta paraffinata e muovendolo rapidamente. Le vibrazioni del parlato si sono impresse bene e senza dubbio sarò in grado di incidere e riprodurre perfettamente la voce umana » [Conot 1979] . Successivamente modificò la struttura del supporto usando un cilindro di metallo con avvolto uno strato di carta stagnola 3. La macchina aveva due riproduttori (combinazioni puntina-diaframma): uno per registrare e uno per ascoltare. Le vibrazioni sonore venivano incise dalla puntina con una vibrazione\rotazione verticale chiamata “ hill and dale”. La prima registrazione della storia fu ad opera dello stesso Edison che recitando “Mary had a little lamb” di fronte a un piccolo numero di assistenti fu il primo essere umano nella storia a sentire la propria voce all’esterno del suo corpo. «Non sono mai stato tanto sorpreso in vita mia» commentò successivamente Edison [Edison 1927]. Era il 4 dicembre 1877. 3 16 Da cui “Tinfoil Phonograph” Edison illustra il fonografo agli editori della rivista Scientific America. 15 Marzo 1878 New York Il primo brevetto per il fonografo gli venne riconosciuto il 19 febbraio 1878 e da quel momento chiunque avesse voluto mettere piede nel business della riproduzione sonora avrebbe dovuto ottenere i diritti di produzione o avrebbe dovuto introdurre nuovi dispositivi brevettandoli. L’invenzione di Edison ancora non aveva uno scopo preciso. Nel 1877 affermava nel suo quaderno: «Propongo di applicare il principio del fonografo per fare bambole che parlano, cantano, piangono e di creare una gamma di suoni da applicare a tutti i tipi di giocattoli come ad esempio cagnolini, gufi, rettili o a figura di essere umano per indurli a emettere vari suoni … propongo anche di fare scatole musicali giocattolo che riproducano diverse canzoni o di impiegare il mio sistema negli orologi per fargli scandire le ore » [Conot 1979]. Nel 1878 il fonografo stava girando le fiere di America ed Europa presentando alla gente le sue meraviglie ma nessuna applicazione pratica. Di conseguenza l’interesse per il fonografo iniziò a calare ed Edison tralasciò la sua invenzione per dedicarsi ad altri progetti [Gelat 1977]. Fu l’arrivo del grafofono di Bell a risvegliare il suo interesse. Nel 1880 Alexander Graham Bell vinse il Premio Volta di 10,000 dollari, erogato dal governo francese per la sua invenzione del telefono. Bell investì il capitale della vincita nella realizzazione di un laboratorio per ricerche nel campo dell’elettricità applicata all'acustica, lavorando con il cugino Chichester A. Bell, ingegnere chimico, e lo 17 scienziato Charles Sumner Tainter. I loro miglioramenti all’invenzione di Edison consistevano nell'uso della cera in sostituzione alla carta stagnola e di uno stilo mobile che poteva incidere il cilindro [Read and Welch 1976]. Queste innovazioni furono brevettate il 4 Maggio del 1886. Il mese seguente, l’investitore Jesse Lippincott acquistò i diritti di produzione sia del grafofono che del fonografo fondando la North American Phonograph. Nonostante le sue doti commerciali, Lippincott sottovalutò il potenziale che il fonografo avrebbe potuto avere come strumento di intrattenimento. Per lui si trattava semplicemente di un dettafono e il suo utilizzo era strettamente connesso all’impiego in ufficio. Ma in quel settore il fonografo si rivelò un fiasco (troppo costoso e rudimentale). Al termine del 1890 la North American Phonograph andò in bancarotta [Tschmuck 2006]. La Pacific Phonograph Company, che possedeva le licenze di distribuzione del fonografo di Edison nella costa ovest degli Stati Uniti, fu la precorritrice di quello che successivamente diventerà il business dei juke box. Già nel 1889, Louis Glass, il presidente della compagnia, installò sul fonografo una fessura per gettoni e quattro paia di cuffie, presentando la “scatola musicale” al Royal Saloon di San Francisco 4. Edison incrementò l'offerta di cilindri destinati all’ intrattenimento, che dopo il 1892 vennero prodotti in cera marrone [Garofalo 1997]. Generalmente, un annuncio vocale all'inizio della registrazione ne comunicava il titolo, l'artista, e la compagnia di produzione. L’emigrato tedesco Emile Berliner percorse una strada diversa e per il suo grammofono scelse di utilizzare un formato differente. Brevettato nel 1887, il suo apparecchio utilizzava dei dischi al posto dei cilindri e il suo impiego era finalizzato più alla riproduzione della musica che al lavoro di ufficio. Non essendo il disco in sé un dispositivo brevettabile, il brevetto del grammofono si focalizzava sullo sviluppo dei solchi. Berliner sosteneva che la progressione “hill and dale” di Edison non era ottimale. Influenzato da Scoot e Cros, Berliner per i suoi dischi decise di usare un movimento laterale [Berliner 1887]. 4 18 “coin-actuated attachment for phonographs”, brevetto US428750 A, registrato il 18 dic 1889 Grammofono di Berliner utilizzato al Franklin Institue. 16 Maggio 1988, Phia. In origine il disco era costituito da una sottile lamina di zinco ricoperta di cera con dei solchi che permettevano alla puntina di non vibrare più verticalmente bensì orizzontalmente. L’intenzione di destinare il grammofono all’uso domestico ne decretò il successo. Cavalcando la tendenza che vedeva un aumento nella vendita in quel periodo di beni per la casa studiò un sistema che ne prevedesse la produzione su larga scala. Nel marzo del 1888 Berliner era già in grado di eseguire con risultati assai soddisfacenti le sue prime registrazioni con dei musicisti locali di Washington. Non di meno, la riproduzione dei dischi contenenti le registrazioni non rappresentava un problema. Con le vibrazioni dei suoni catturati da un imbuto, una punta d'acciaio tracciava un solco nel disco (mentre ruotava) ricoperto di un sottilissimo strato di cera resistente agli acidi; cospargendo poi il supporto di acido nitrico, questo penetrava nei solchi e attaccava lo zinco. Berliner ottenne così una incisione indiretta per via chimica. Questi solchi scanalati a seconda dell'intensità della vibrazione dei suono venivano riprodotti con un altra punta appoggiata al disco. Quando questo ruotava ad una velocità costante, le vibrazioni si trasmettevano ad un altro imbuto, che diventava così una tromba di amplificazione [Tschmuck 2006]. Oltre al disco fu lo stesso Berliner a realizzare il riproduttore, il grammofono. Nel 1895, il suo disco di metallo divenne la matrice per la stampa di dischi in bachelite fusa per ottenere la produzione di numerose copie con lo stesso sistema di lettura e funzionanti con lo stesso grammofono, al quale 19 una molla, messa In tensione girando una manovella, dava la rotazione al piatto contenente il disco. Furono i consumatori a dargli ragione, abbracciando la nuova scoperta tecnologica portarono la compagnia di Berliner a dichiarare 1 milione di dollari di guadagno nel 1898 [Tschmuck 2006]. A causa di un susseguirsi di diatribe legali per la contesa delle licenze 5, Emil Berliner, ormai esausto, cedette la sua compagnia all'ingegnere Eldridge R. Johnson che nel 1901 ne cambiò definitivamente il nome in Victor Talking Machine Company 6. Successivi miglioramenti (come l'avvio della produzione di fonografi a motore elettrico) resero il formato a 78 giri sempre più popolare. La Victor iniziò ad arricchire il suo catalogo musicale con canzoni, opere liriche e musica classica avviandosi a diventare l'etichetta discografica più importante all’epoca. L’ampio catalogo musicale e il brevetto per il sistema di ascolto contribuì a far crescere esponenzialmente le vendite del grammofono. Edison cercò di tenere il passo incrementando le potenzialità del fonografo. Diminuì le dimensioni dei solchi per poter effettuare registrazioni più lunghe e la sua qualità audio era la migliore presente all’epoca [Tschmuck 2006]. Sui cilindri venne incisa un'ampia varietà di brani: marce, ballate, inni religiosi, monologhi comici e racconti che narravano la ricostruzione di eventi storici. Migliorò anche gli aspetti dedicati alla duplicazione dei cilindri ma non poté far altro che soccombere dinnanzi all’ascesa del disco. La produzione di cilindri cessò definitivamente nel 1929, l'anno in cui moriva Emil Berliner, inventore del disco piatto che aveva causato la fine dei cilindri. E’ curioso sapere che il formato a disco ebbe la meglio sul cilindro non tanto per una superiorità tecnologica o di qualità di riproduzione ma per una ragione quasi banale: i sottili dischi di gommalacca si prestavano ad essere conservati più comodamente e in minor spazio [Silva, Ramello 1999]. La seconda metà dell’Ottocento, con la rivoluzione industriale, ha conosciuto una crisi strutturale che ha investito svariati settori produttivi. Il divario fra le attività artigianali e quelle industriali si faceva sempre più grande. Dietro la spinta di questa nuova dimensione industriale si stava consolidando il passaggio da forza lavoro a forza capitale. Tutte quelle pratiche che non erano 5 6 20 Faccio riferimento alle contese legali tra la Berliner Gramophone e la concorrente Zonophone Successivamente RCA-Victor. Nel 1929 acquisì l’etichetta discografica His Master’s Voice suscettibili di progresso tecnico iniziavano a risentire della concorrenza con le attività la cui produttività presentava un andamento crescente. La musica, da sempre incentrata sul lavoro dei singoli individui, ossia i musicisti, era esclusa a priori dal concetto di “capital intensive” tanto sentito in quel periodo. I più pessimisti iniziavano a vedere l’estinzione dello spettacolo dal vivo come uno scenario probabile in conseguenza all’invenzione della riproducibilità sonora [Silva, Ramello 1999]. Mentre si può rivedere un procedimento industriale automatizzandolo o apportando miglioramenti per aumentarne la resa, nulla si può fare per aumentare la produttività di un quartetto d’archi, ne tantomeno dimezzare l’organico di un orchestra senza conseguenze sulla resa finale. Con la nuova tecnologia la musica ora diventa un artefatto che può essere riportato agli schemi produttivi della nuova prassi industriale. La musica viene duplicata, confezionata e venduta come tutti gli altri prodotti di largo consumo. Può essere eseguita all’infinito senza gravare sui costi. La registrazione diventa il motore trainante del mercato discografico della musica e il concerto si trasforma in un avvenimento accessorio. Tutti gli strumenti ideati e commercializzati per la registrazione e la riproduzione di suoni tra il 1877 e il 1925 non si avvalevano del contributo dell’elettricità. Il fonografo, il grafofono e il grammofono funzionavano tramite l’uso di manovelle o di semplici meccanismi a molla caricati manualmente. Fu tra il 1924 e il 1925 che l’elettricità fece il suo ingresso nell’arte della registrazione dei suoni attraverso il microfono, che fino alla prima metà degli anni venti del secolo scorso era null’altro che una semplice membrana metallica (diaframma) posta in vibrazione dal moto vibratorio dei suoni che la urtavano. Con il passare del tempo, grazie al microfono elettrificato, le frequenze registrabili avevano un estensione che andava dai 100 ai 5000 Hz, permettendo così una migliore qualità delle registrazioni (specie in merito alla nitidezza dei timbri degli strumenti registrati). La registrazione elettrica soppiantò le passate tecniche di registrazione in pochissimo tempo [Bolis 2015]. Nello stesso periodo fa il suo ingresso l’invenzione delle trasmissioni via radio. Se è vero che la registrazione costituisce la premessa per il mercato della musica, la radio diventa l’amplificatore di tale organismo economico. Tra il 1920 e il 1930 si ha il 21 passaggio dall’era della registrazione acustica a quella elettrica. Il boom dell’industria fonografica e di quella radiofonica avvengono contemporaneamente al termine del primo conflitto mondiale per una serie di cause concomitanti: registrazione, radio e mutate condizioni socio economiche [Silva, Ramello 1999]. Il legame tra la fonografia e la radio in qualche modo è sempre esistito. Edison stesso fece il suo debutto professionale nel 1860 come telegrafista; la creazione del fonografo deriva dagli studi eseguiti per apportare miglioramenti ai suoi strumenti di lavoro. Ricordiamo che il padre del grafofono era Alexander Graham Bell, colui che costituì le basi per l’avvento della telefonia. La radio stessa era inizialmente concepita come «telegrafo senza fili». Ma a differenza del telegrafo, la radio permetteva la trasmissione da un punto emittente ad un molteplice numero di ricevitori. Anche la radio apparteneva al mondo delle «macchine parlanti» e nell’arco di poco entrò in competizione con il grammofono e il fonografo. La popolarità della radio cresceva in modo esponenziale al punto da mettere in discussone la vita stessa dell’industria fonografica. Era diventata un prodigio tecnologico e un pezzo di arredamento indispensabile in ogni casa. Con l’introduzione nell’era della fonografia elettrica ed amplificata i supporti concorrenti smisero i loro conflitti e si allearono [Silva, Ramello 1999]. Fu il progresso tecnologico a salvare l’industria fonografica mentre si celebrava il matrimonio tra radio e fonografo. Dopo le diffidenze iniziali si scoprì il vantaggio nel combinare i due apparecchi. Nel 1923 la Sonora entrò nel nuovo mercato con la sua Sonoradio. L’anno successivo la compagnia di fonografi Brunswick iniziò a collaborare con la RCA per integrare la Radiola all’interno del loro fonografo. Brunswick Empire 360 con RCA Radiola AR-813 integrata. Prodotto nel 1924 costava 650 dollari [Wenaas 2007]. 22 1.1 Evoluzione dei supporti Berliner iniziò a produrre dischi a 78 giri nel 1894. Erano prodotti in gommalacca, un materiale termoplastico estremamente fragile con una struttura della superficie che creava notevole fruscio. Possono ricordare alla lontana un piatto di ceramica, data la loro pesantezza e la fragilità. Un disco a 78 giri da 10” durava poco più di tre minuti ed in principio era inciso da un solo lato. Il passo verso l’incisione della doppia facciata avvenne per merito della Columbia che dal 1904 inizio le incisioni dei “Columbia double disc record”. La loro fragilità richiedeva una cura assai particolare nelle fasi di trasporto e distribuzione. Gli alti costi derivanti da tutta una serie di accortezze estremamente complesse e indispensabili impedirono alle piccole aziende la possibilità di distribuire questi prodotti. Un mercato del genere poteva essere sostenuto solo da grosse major di distribuzione, che esercitando il loro potere di mercato hanno potuto tenere alla larga ogni forma di concorrenza. La prima vera star del 78 giri fu Enrico Caruso che nel 1902 incise 10 arie per l’astronomica cifra (all’epoca) di 100£. Il genere che per eccellenza ha diffuso il 78 giri è il Jazz che assieme al Blues si staccava da un sentimentalismo tipico delle canzoni ottocentesche per offrire una versione più cinica del mondo, più realistica [Tschmuck 2006]. Un altro aspetto fortemente innovativo del Jazz è legato indubbiamente al movimento corporeo irresistibile che ne provocava l’ascolto su disco. Quasi sempre i dischi Jazz erano concepiti con la funzione di far ballare le persone, questo fece sì che il genere divenne immediatamente fautore di un nuovo tipo di fruizione, divertita, della musica. Prima del Jazz la musica era considerata una forma di intrattenimento, non una sfida al sistema. Il Jazz dunque fu rivoluzionario sotto più aspetti: nella musica, con i suoi ritmi sincopati e le armonie innovative; nell’ascolto, con la funzione del ballo; nel mercato dei dischi, con l’incremento delle vendite dei 78 giri. L’Europa, nonostante sembrasse apprezzare il nuovo genere, continuò a focalizzarsi sulla produzione di musica operistica e da camera delineando una differenza tra la produzione europea e quella americana legata indissolubilmente alla cultura dei due continenti. Si può dire che a decretare il successo del disco sia stato il Jazz (e viceversa). 23 Il disco, visto come oggetto di intrattenimento, si trasforma in qualcosa che ha un suo valore culturale e d’uso. Non più un oggetto usa e getta, ma qualcosa che va conservato e raccolto [Assante 2009]. La copia qui assume per la prima volta il valore dell’originale, dal momento in cui l’originale, ovvero l’esecuzione dal vivo, non può essere sempre a disposizione dell’ascoltatore. La Seconda Guerra Mondiale ha avuto un ruolo fondamentale per la diffusione e la conseguente richiesta sul mercato del disco. I militari americani portavano con sé, in giro per il mondo, i propri 78 giri esportando e diffondendo la cultura del disco e della musica Jazz (che si andava lentamente trasformando da folk a popolare) [Assante 2009]. Durante la guerra, a causa delle intense attività di spionaggio, avanzava la richiesta di tempi di registrazione più lunghi. I fini bellici spinsero quindi la ricerca tecnologica a fare un passo in avanti. Dopo due anni di ricerca gli ingegneri della Columbia, guidati da Peter Goldmark, trovarono una soluzione alla richiesta di un supporto capace di contenere registrazioni più lunghe. La svolta avvenne introducendo l’impiego di un nuovo materiale, il vinile, più malleabile e meno fragile. Venne ampliato il diametro di riproduzione e ridotto il numero dei giri da 78 a 33 1/3 al minuto. Nacque così il microsolco che introdusse nel mercato una serie di dispositivi specifici per questo nuovo sistema, come ad esempio puntine più sensibili ai microsolchi e circuiti più sviluppati. Grazie a questi progressi tecnologici la qualità audio fece un balzo in avanti. Misurata dal rapporto segnale\rumore si passò dai 30dB di un 78giri ai 50dB potendo inoltre memorizzare fino a 30 minuti di registrazione per lato [Tschmuck 2006]. L’affermazione dell’LP venne definitivamente sancita da una strategia commerciale ad opera della Columbia, sotto la direzione di Goldmark. Prima di lanciare sul mercato il nuovo standard strinse un accordo con la Philco per mettere a disposizione del pubblico un giradischi economico adatto alla riproduzione del nuovo formato e successivamente allestì un ampio catalogo di offerta musicale. Fissando così il nuovo standard tutti i produttori di apparecchi fonografici furono obbligati ad adottare l’innovazione. Contemporaneamente la concorrente della Columbia, l’RCA-Victor aveva sviluppato un nuovo supporto di riproduzione, il 45 giri (Extended Play o singolo). Sebbene non fosse in grado di registrare molto più materiale di un disco in gommalacca a 78 giri la qualità sonora era nettamente superiore. Nonostante tutte le etichette discografiche più 24 importanti di Europa e Stati Uniti accettarono come standard quello dell’LP, il 45 giri trovò la sua fortuna nel settore dell’intrattenimento proprio grazie alle sue caratteristiche fisiche ridotte. Entrambi i supporti di riproduzione vennero quindi adottati come standard di produzione fonografica, il 45giri per il mercato pop e il 33 giri per repertori di Jazz e classica [Grillo, Silva 1992]. Nel 1954 le vendite dei 45 giri si impennano grazie alla nascita di nuovo genere musicale dal successo planetario, duraturo e resistente a tutti i cambi generazionali, il rock and roll. In un America uscita economicamente illesa dal recente conflitto mondiale fioriva il consumismo, fenomeno riscontrabile soprattutto tra le nuove generazioni e la cui manifestazione più diretta era l’acquisto di dischi. I dischi dovevano essere economici, veloci, dovevano avere copertine colorate e contenere musica più fresca rispetto a quella che ascoltavano i loro genitori [Abrams 1959]. Il rock ’n’roll diventò un prodotto squisitamente discografico che vedeva nella radio il suo canale di diffusione principale. Le registrazioni erano fatte in studio, i 45 giri venivano stampati copiosamente e le radio li facevano circolare indirizzandone le vendite. Per economicità, trasportabilità e durata il 45 giri rappresentava il simbolo di una musica leggera, usa e getta. La stessa copertina, meno sofisticata rispetto quella degli LP, ne conferiva un valore intrinseco minore. Un 45 giri aveva nella facciata A la hit del momento e nel lato B un brano secondario (il B Side). Grazie alle sue dimensioni fisiche ridotte era possibile portare i propri dischi a casa di amici per ballare o ascoltare musica insieme discutendo del cantante in questione [Assante 2009]. L’ascolto non era più individuale e casalingo, per la prima volta venne costruito e diffuso, negli anni Sessanta, il primo mangiadischi portatile (il Philco TPA1). Questi nuovi giradischi portatili funzionavano a batterie, avevano la forma di una valigetta dai colori più diversi e avevano al loro interno un altoparlante integrato. Philco TPA1 (Philco Radio and Television Corp.). Prodotto dal 1955. 25 Il veloce ricambio e l’ascolto sommario attribuito al 45 giri ne fecero lo strumento ideale per i juke box. Una prima forma rudimentale di juke box fu brevettata nel 1889 da Louis Glass, originario di San Francisco, solo due anni dopo l’invenzione del fonografo. Il primo esemplare, installato al Palais Royal Saloon, funzionava a gettoni ed era munito di quattro cuffie per l’ascolto. Il suo aspetto ricorda vagamente le postazioni per l’ascolto dei cd negli odierni negozi di dischi. Dato il discreto successo che queste macchine a gettoni stavano riscontrando Glass decise di installarne altre diciotto, ognuna delle quali incassava circa 1,200 dollari l’anno [Garofalo 1997]. Altre compagnie di distribuzione fiutarono l’affare installando le “macchine musicali” in saloon, parchi giochi e nelle sale d’attesa delle stazioni ferroviarie. Raffigurazione di un "Coin Actuatedt for Phonograph" di Louis Glass presente al Royal Saloon di San Francisco nel1889. I juke box iniziarono a diffondersi negli anni Venti, con l’avvento dell’amplificazione e dei miglioramenti nella qualità di registrazione. Nel 1927 se ne potevano contare 12 mila esemplari sparsi in bar, taverne, caffè e spacci clandestini di tutta America. Durante la crisi economica della grande depressione, i juke box erano uno strumento notevolmente vantaggiosi per i gestori dei locali, essendo molto più economici 26 dell’ingaggio di una band. Furono inoltre essenziali per salvare l’industria fonografica dal fallimento durante la crisi del 1929 quando la vendita dei dischi era precipitata vertiginosamente. Nel 1936 l’etichetta discografica Decca ne gestiva 150 mila. Nel 1939 il rifornimento dei juke box con i dischi più recenti in commercio costituiva il 60% degli introiti derivanti dalla vendita di dischi. All’inizio della seconda guerra mondiale il loro numero era salito a 500 mila [Brewster 2014]. Il juke box era anche un prezioso strumento di marketing. Era possibile calcolare il grado di popolarità di ogni disco in base al numero di volte che questo veniva scelto. Tale aspetto diede vita alla creazione delle classifiche dei dischi più venduti (la Top40 prende il suo nome dal juke box, che come standard poteva immagazzinare appunto fino a 40 dischi) [Brewster 2014]. Con tale strumento la programmazione musicale era affidata al gestore del locale che poteva in questo modo promuovere realtà musicali locali o generi poco adatti alla radiodiffusione , come il Blues. Dopo la seconda guerra mondiale il juke box conquistò definitivamente la scena del mercato estendendo il suo dominio a bar, locali e diner, frequentati da un pubblico giovanile. Il juke box permetteva di rendere privato uno spazio pubblico facendolo diventare un surrogato della propria stanza, permettendo la socializzazione attraverso il ballo e il confronto dei gusti musicali. Diventando un’icona della cultura popolare americana, il juke box contribuì a delineare e diffondere nel mondo il profilo del teenager. In una qualche maniera spianò la strada all’avvento del dj automatizzandone il mestiere ancora prima della sua nascita. Se la fruizione del 45 giri era destinata all’intrattenimento e al ballo, quella del long playing a 33 giri si prestava meglio all’ascolto. La durata di un 45 giri vincolava e limitava le scelte artistiche dei compositori che volevano estendere i loro brani oltre la durata dei 6 minuti. L’artista che voleva comporre qualcosa di più articolato e complesso di una singola canzone doveva servirsi di un supporto adeguato a tali scopi. Con i suoi 50 minuti di riproduzione il 33 giri offriva opportunità compositive inedite stimolando gli artisti a esplorare nuove forme musicali. Questo concetto è particolarmente evidente nel caso del rock progressivo dove i musicisti iniziarono a sfruttare l’intera durata di una facciata rivisitando in chiave moderna i modelli preesistenti come quello della suite o del poema sinfonico. Potevano dedicarsi alla 27 realizzazione di veri e propri concept album, narrazioni musicali il cui percorso si snoda attraverso brani legati da un filo conduttore, oppure dischi in cui le canzoni non hanno alcun legame ma messe insieme assumono il valore di un opera, di un percorso completo che inizia col la prima canzone e termina con l’ultima. L’ascoltatore non doveva far altro che sedersi e, grazie alle possibilità del nuovo supporto, godersi il viaggio dall’inizio alla fine senza interruzioni. L’ascolto del 33 giri configurava quindi un ascolto più riflessivo, dall’estasi del corpo ci si sposta all’estasi della mente. L’introduzione della stereofonia, ad opera di Alan Blumlein permise un tipo di ascolto ancora più coinvolgente. Sviluppata negli anni 30 nei laboratori della EMI, la stereofonia inizia a diffondersi solo nel 1956 ponendo le basi per un ascolto di alta fedeltà. Con l’avvento della stereofonia vennero fatti passi in avanti anche per le nuove forme di design dedicate agli hi-fi. Il sistema SK4 di Rams e Gugelot, sviluppato da Braun nel 1956, presentava due innovazione che sarebbero diventate lo standard industriale futuro. Per la prima volta gli altoparlanti erano separati e potevano essere posizionati lontano dal giradischi. Inoltre, il piano su cui poggiava il disco aveva un coperchio trasparente [Eisenberg 1997]. Citando le parole di Keir Keightley: «la distribuzione su larga scala dei nuovi giradischi e l’avvento dell’alta fedeltà hanno fornito all’uomo un’opportunità di autonomia in un habitat che per lui stava diventando persino più opprimente del posto di lavoro. L’alta fedeltà non è solo passione per la musica: è anche un hobby. incline a quel «fai da te» che per il maschio rappresenta, tradizionalmente, una strategia di riappropriazione dello spazio domestico dominato dalla femmina. L’impianto stereo diventa un’arma nella battaglia dei sessi e i produttori cercano di differenziare il marketing offrendo alle signore mobili integrati nei quali «nascondere» una fonte di minaccia» [Keir Keightley 1996]. Dagli anni Sessanta in poi quello dell’ascolto diventa un rito, da svolgere seduti mentre si contempla l’involucro del disco che ora assume un valore strettamente vincolato alla musica che contiene. 28 Rodgers & Hart – Smash Hits By Thelonious Monk - Monk; 1954; The Beatles- Please Please me; Rodgers & Hart; 1940; Columbia Prestige. 1963; Parlophone The Beatles - Please Please me; The Beatles - Down with the Beatles; The Rolling Stones - The Rolling 1963; Parlophone 1963; Parlophone Stones; 1964; Decca The Beatles - Sgt. Pepper's Lonely Just what is that it makes today's The Velvet Underground & Nico; H e a r t s C l u b B a n d ; 1 9 6 7 ; homes so different, so appealing? 1967; Verve Parlophone Richard Hamilton 1956 29 The Velvet Underground & Nico - The Rolling Stones - Sticky Fingers; The Rolling Stones - Love You Live; White Light/White Heat; 1968; Verve 1971; Rolling Stones Records 1977; Rolling Stones Records Le Stelle - Dedicato a; 1967; BDS Bob Dylan - Self Portrait; 1970; The Band - Music from Big Pink; Columbia 1968; Capitol Records Joni Mitchell - Clouds; 1969; Joni Michell - Turbulent Indigo; Joni Mitchell - Mingus; 1979; Reprise Records 1994; Reprise Records Asylum Records 30 Sex Pistols - Never Mind the Malcolm McLaren - Duck Rock; Patti Smith - Horses; 1975; Arista Bollocks; 1977; Warner Bros 1983; Charisma Records Records Peter Saville - FAC1; The Factory; Joy Division - Unknown Pleasures; Sonic Youth - Dirty ; 1991; DGC 1978 1979; Factory Records Records Black Flag - Jealous Again; 1980; Sonic Youth - Goo; 1990; DGC Foo Fighters - One By One; 2002; SST Records RCA Records 31 New Order - Get Ready; 2001; Pink Floyd - Ummagumma; 1969; Pink Floyd - The Dark Side of the London Records Capitol Records Moon; 1973; Capitol Records Pink Floyd - A Momentary Lapse of Led Zeppelin - Houses of the Holy; 1973; Atlantic Records Reason; 1987; Columbia Records Lou Reed - Transformer; 1972; RCA Queen - II; 1974; EMI Records 32 Iggy Pop e The Stooges - Raw Power; 1973 Columbia Records King Crimson - In the Court of the Crimson King; 1969; Atlantic Records 2. Disco e Artwork Parlare di diverse forme d’arte è come catalogare le gocce di pioggia: esse possono diventare fiumi, correnti e oceani ma sono fatte tutte della stessa sostanza -DON VAN VLIET Il design e la fabbricazione delle copertine non erano preoccupazioni primarie per la nascente industria discografica. Nei primi anni del Novecento la protezione dei dischi era affidata a buste di carta da pacchi marrone, forate al centro, contenenti annunci pubblicitari delle case produttrici stampate con caratteri monocromatici neri, blu o verdi. Si dava maggiore importanza alla colorazione dell'etichetta del disco piuttosto che al suo confezionamento [McKnight 2000]. Un po' alla volta si iniziò ad illustrare le copertine dei dischi per dargli una connotazione particolare, come nel caso della Gramophone Company che nel 1904 distribuì il disco di Nellie Melba in una confezione contente un suo ritratto. Iniziative di questo genere vennero adottate per tutte le uscite di musica classica di alto profilo, nelle quali erano raffigurati gli esecutori e nominati i titoli dei brani registrati,il numero di catalogo e l’etichetta discografica. 33 Altri generi, come ad esempio il Jazz, dovettero attendere fino agli anni Venti per avere copertine distintive. In principio non erano rappresentati i ritratti degli esecutori ma vennero stampati disegni e illustrazioni. Questo rifletteva non solo il basso profilo attribuito alla musica Jazz, ma anche la politica razziale delle compagnie discografiche di allora [Osborne 2012]. Il primo designer di copertine ad introdurre crediti e riconoscimenti sulla confezione di un disco fu Alex Steinweiss, direttore artistico per la US Columbia Phonograph Company dal 1939 al 1954. Nel 1940 riuscì ad ottenere l’autorizzazione da Edward Wallerstein, l'allora presidente della compagnia, per illustrare il disco smash song hits di Rodgers and Hart. Questa pionieristica copertina raffigura l'insegna di un teatro con su scritto "Columbia Records - Imperial Orch under Rich. Rodgers - Smash Song Hits by Rodgers and Hart". L'immagine è sovrapposta ad una grafica di linee concentriche arancioni su sfondo nero. L'idea di Steinweiss non solo rivoluzionò l'approccio al design delle copertine ma fu importante anche per l'impatto che queste nuove vesti grafiche ebbero sulle vendite dei dischi. Inizialmente i clienti potevano scegliere il disco da acquistare consultando un catalogo nel quale erano elencati i titoli disponibili nel negozio. Il personale, quindi, prelevava il disco da uno scaffale posto dietro il bancone. I dischi erano allineati verticalmente e le informazioni si trovavano posizionate nel dorso della confezione. Dopo le innovazioni grafiche di Steinweiss i dischi vennero disposti in appositi contenitori al di là del bancone permettendo ai clienti di poter compiere le loro scelte sfogliando con le mani le nuove copertine sempre più appariscenti. Steinweiss rivisitò la disposizione degli elementi grafici in base al modo in cui i clienti sfogliavano i dischi. Iniziò a posizionare nella parte superiore della copertina i dettagli principali, come il nome dell’artista e il titolo dell’album in modo da agevolare la ricerca dei clienti [McKnight 2000]. Lo stimolo più importante per il design delle copertine musicali avvenne con l’introduzione dell’LP. Questo formato offriva ai designer una superficie maggiore sulla quale operare. Inoltre la quantità di materiale registrato era superiore rispetto ai vecchi dischi in gommalacca, il ché richiedeva una quantità maggiore di informazioni da menzionare. La Columbia presto si rese conto che le vecchie confezioni in carta da 34 pacchi oltre ad essere antiestetiche rovinavano i delicati microsolchi del nuovo formato. La compagnia commissionò a Steinweiss la progettazione di un confezionamento funzionale al nuovo tipo di supporto [Garlick 1997]. Le prime custodie di dischi rispecchiavano le caratteristiche che avevano le copertine dei libri: un fronte colorato e un retro in bianco e nero; il titolo, il nome dell’autore e la casa produttrice erano disposte sul fronte accompagnate da una rappresentazione pittorica adattata al contenuto; nel retro era disponibile una breve descrizione e la foto dell’autore. In questo modo il fronte della copertina era progettato per avere forte impatto visivo, mentre il retro aveva funzione informativa. Quando le grosse compagnie discografiche si resero conto di quanto era importante l’impatto visivo per i clienti nella scelta di un disco, iniziarono a dare enfasi al lavoro artistico delle copertine [Hamilton 1998]. I progressi fatti dalla stampa e dalla fotografia contribuirono a questa trasformazione. L’ingresso del mercato dell’LP era contemporaneo alle nuove tecniche di stampa e alla fotografia a colori che dal 1950 era in costante sviluppo. Le innovazioni musicali del Jazz si riflessero quasi immediatamente anche nel design artistico delle copertine. Le prime etichette di settore, come la Blue Note o la Prestige, crearono (per mano di artisti come Reid Miles) un’identità visuale fortemente distintiva. Nel 1960 Frank Guana disegnò la copertina di Undercurrent per l’artista Bill Evans. Vi era rappresentata la figura monocromatica di una donna vestita di bianco immersa nell’acqua. In controtendenza alle consuetudini dell’epoca la copertina era completamente priva di testo. Questo rappresentava un contrasto evidente in quanto a beneficiarne non erano immediatamente l’artista o la compagnia discografica. Le copertine di Reid Miles erano così originali da essere immediatamente riconducibili all’etichetta di provenienza, la Blue Note, facendole spiccare in mezzo al mucchio delle altre uscite. Questa forte connotazione stilistica era dunque un subdolo strumento promozionale a favore della compagnia discografica. Fu con la diffusione del rock’n’roll e dei suoi derivanti idoli generazionali che l’estetica delle copertine divenne evidente. Da qui si inizia a vedere come la copertina degli LP abbia favorito a fomentare un consumo della musica basato sull’immagine. Il 35 look e il fascino dei cantanti divenne un fattore determinante per la vendita dei dischi. Il design delle copertine britanniche di quel periodo era più sviluppato rispetto a quelle statunitensi. In Inghilterra si aveva una maggiore considerazione per il lavoro artistico delle copertine, venivano già intese come una forma d’arte vera e propria. In principio venne ridotta e ri-orientata la parte testuale. Questa evoluzione stilistica si può osservare confrontando le copertine dei primi due album dei Beatles. Il design del disco di esordio Please Please Me (Marzo 1963) presenta le caratteristiche tipiche di quel periodo. Raffigura un ritratto a colori del gruppo con in alto una grossa scritta del loro nome. Il successo che ottennero con questo lavoro gli permise di avere maggiore controllo sulle scelte artistiche del loro disco successivo. In With the Beatles (Novembre 1963) la copertina mostra una drastica riduzione del testo. Il primo disco dei Rolling Stones, The Rolling Stones (1964) si è spinto ancora oltre. Questo raffigura una foto della band grande quanto l’intera copertina, per la prima volta nella storia della musica pop non compare né il nome del gruppo né titoli di alcun genere se non il logo della compagnia discografica, la Decca. All’epoca della sua uscita fu considerata una scelta fortemente anti commerciale. Il loro manager, Andrew Loog Oldham, ideatore del design, era sicuro che la sua idea avrebbe avuto un potenziale di marketing enorme e infatti la sua creazione stabilì un nuovo paradigma per la realizzazione grafica delle copertine future. Se la prima metà degli anni Sessanta fu caratterizzata della rimozione del testo dalle copertine di musica pop, rendendo l’immagine dei musicisti il fattore di maggiore importanza, nella seconda metà del decennio si ebbe un’inversione di tendenza. Le foto delle band venivano completamente rimosse o distorte. Ancora una volta i Beatles furono pionieri in questo senso. Il successo permise al gruppo di imporre il loro gusto alla casa discografica, scegliendo e decidendo la propria immagine in modo autonomo dalle regole di mercato. La copertina di Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band (1967) è il primo caso nel quale la grafica supera la funzione decorativa, puntando alla comunicazione diretta tra band e pubblico. Il disco segna un brusco cambiamento nell'immagine del gruppo che ora si presenta con barbe incolte e baffi, capelli lunghi, abiti eccentrici e uniformi da circo. 36 La lavorazione della grafica venne affidata a Peter Blake, uno dei precursori della pop art britannica. L'artista era solito lavorare su immagini di musicisti adoperando la tecnica del collage. Le sue pop star non venivano mai ritratte dal vero, erano rappresentate attraverso fotografie ritagliate da articoli di media. In questo modo l’artista proponeva il volto delle celebrità nell’aspetto che il pubblico già conosceva. Per il set di Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band utilizzò sagome di cartone a grandezza reale, modellate e dipinte a mano da Jann Haworth più alcune statue di cera provenienti dal museo di Madame Tussaud. Le silhouette occupavano uno spazio di circa mezzo metro; davanti, sulla pedana di fronte alla batteria, erano schierati i Beatles in divisa bandistica. Ad ogni Beatles, Blake chiese di portare alcuni oggetti per loro significativi. La scelta dei personaggi da inserire nel collage è stata fatta da Blake assieme al gruppo. fotografie scattate da Michael Cooper (1967) durante la lavorazione della copertina di Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band. La copertina divenne famosa anche per aver dato vita a tutta una serie di studi e ipotesi sulle possibili interpretazioni di messaggi subliminali contenutivi. Una di queste riguarda la presunta morte di Paul McCartney in un incidente stradale nel 1966 e vede nella copertina del disco tutta una serie di indizi nascosi che vorrebbero confermare tale ipotesi7. Oltre alla copertina, anche il packaging del disco era innovativo. La busta interna di carta, nella prima edizione, conteneva due tasche: in una era riposto il vinile, nell'altra un cartoncino sul quale erano riprodotte le immagini del Sgt. Pepper, un paio di baffi, 7 Indizi presenti anche nelle copertine di lavori futuri come “Abbey Road” (1969) 37 alcuni distintivi e dei galloni che potevano essere ritagliati per creare la propria versione personale. Blake, oltre alla collaborazione con i Beatles, lavorò con gli Who ( Face Dances, 1981), Pentangle (Sweet Child, 1969), Eric Clapton (24 Nights, 1991), Paul Weller (Stanley Road, 1995). I l White Album dei Beatles fa presagire una rottura tra gli elementi del gruppo. Rappresenta anche l’avvicinamento del gruppo verso l'arte concettuale, in piena sintonia con l'approccio intellettualistico delle neo-avanguardie. La copertina viene affidata a Richard Hamilton, quello che da molti è definito l'autore della prima opera pop: Just what is it that makes today's homes so different, so appealing?. Dopo lunghe trattative, in completa sintonia con Paul MacCartney, Hamilton decise di realizzare una copertina completamente bianca con il nome della band impresso a secco in rilievo, accompagnato da una numerazione a sette cifre su uno sfondo interamente bianco. I Velvet Underground sono i primi a concepire la musica rock come arte creativa pur mantenendosi nei binari del rock. Sanno di poter fare avanguardia senza ricorrere ad un linguaggio elitario pur dimostrando disinteresse per la commercializzazione del prodotto. Per loro viene coniato il termine art rock [Beatrice 2000]. Il loro primo disco è The Velvet Underground and Nico (1967), famoso per la raffigurazione della banana gialla. Sulla copertina, progettata da Andy Warhol, non compare né il nome del gruppo né quello della casa discografica, ma solo la firma dell'artista. Nella seconda edizione venne aggiunto anche il nome del gruppo. Nella versione originale, uscita in tiratura limitata, appare la scritta "peel slow and see" (sbucciare lentamente e osservare): la buccia della banana infatti era adesiva e poteva essere rimossa rivelando un esplicito frutto color rosa. Andy Warhol, narra la leggenda, avrebbe voluto che la banana da sbucciare fosse impregnata di LSD [DeRogatis 2009]. La copertina di White Light/White Heat (1968) è ancora una volta ideata da Warhol ma realizzata da Billy Name, fotografo di punta della sua cerchia di artisti. Apparentemente nera rivela l'immagine di un teschio su fondo nero, il tatuaggio del motociclista del film Bike Boy diretto da Warhol nel 1967. 38 L'artista ha sempre dimostrato particolare interesse per la musica, testimoniato dalle cinquanta copertine di dischi realizzate a partire dal 1949 fino alla morte nel 1987. Tra i dischi da lui illustrati troviamo svariati generi musicali: dalla classica al Jazz, dal pop al rock, dal soul alla new wave. La passione per le copertine, come spiega lo stesso Warhol, era incoraggiata dal formato fisico delle confezioni dei vinili: «Mi piace disegnare sulla forma quadrata perché così non devo decidere qual è il lato lungo e quello corto» rivela su Filosofia di Andy Warhol [Warhol 1975]. Pubblica la sua prima copertina nel 1949, A Program of Mexican Music, ben prima di essere famoso, su commissione del MoMA di New York per la Columbia. Lo stesso anno illustra l'Alexander Nevsky di Prokofiev, successivamente collabora con diversi musicisti Jazz tra cui Count Basie, Kenny Burrel e Joe Newman o per album di musica classica di artisti come Chopin, Čajkovskij, Strauss e Mozart. E' inoltre da citare la sua collaborazione con i Rolling Stones per la realizzazione della copertina di Sticky Fingers (1971). Qui la cerniera dei jeans raffigurata in primo piano si poteva realmente aprire con una vera cerniera lampo. Essendo troppo esplicita venne successivamente sostituita da una versione serigrafata. Warhol collaborerà ancora con i Rolling Stones per la realizzazione della copertina di Love You Live (1977) utilizzando un disegno ricavato a partire da ventiquattro Polaroid nelle quali gli Stones erano immortalati mentre giocano a mordersi. La scritta è opera dello stesso Mick Jagger, inserita contro la volontà di Warhol. Grazie alla sua fama, in futuro riuscì ad avere più libertà decisionale sulle copertine che gli venivano commissionate, permettendosi di eliminare il lettering per lavorare solo con le immagini, rendendo i suoi lavori più vicini ad opere d'arte vere e proprie. Lavora alla copertina di The Academy In Peril (1972) di John Cale ed a Silk Electric (1982) di Diana Ross. Alla fine degli anni Sessanta il connubio Pop Art-musica si manifesta anche in Italia, per mezzo di Mario Schifano, secondo il modello iniziato da Andy Warhol. Schifano era un pittore già affermato a livello internazionale nonché punto di riferimento della nostrana scena underground. 39 La pittura, secondo Schifano, va vista con un occhio contemporaneo, dopo averle tolto l'aura va presa e gettata nel flusso indistinto di parole, suoni, immagini, che sono la linfa vitale della cultura del dopoguerra [Beatrice 2010]. Schifano, oltre alla copertina del disco Stereoequipe (1968) degli Equipe 84, si occupò del lavoro grafico di Dedicato a (1967) del gruppo Le Stelle. Si tratta dell’unico disco inciso da quella che è stata una delle band protagoniste della stagione psichedelica italiana. L’album oggi è fortemente conteso dai collezionisti, sia in quanto rarità discografica, sia per la fotografia, realizzata dallo stesso Schifano, che ritraeva le sue celebri ‘Stelle’, tra i soggetti più amati dall’artista romano. Non sono rari i casi di musicisti tanto versatili da curare loro stessi in prima persona i lavori artistici delle copertine dei propri dischi. Tra questi Bob Dylan confessò di sentirsi più a suo agio a disegnare e dipingere piuttosto che scrivere canzoni [Beatrice 2000]. Molte delle sue copertine furono realizzate da diversi professionisti del mondo della fotografia come Jim Marshall, Don Hunstein, Dan Kramer o Jerry Shatzberg. Altre le realizzò da solo. La più famosa è quella del disco Self Portrait (1970). Si avvicinò al mondo dell’arte in seguito ad un incidente motociclistico che nel 1966 lo costrinse ad una lunga immobilità durante la quale frequentò lezioni di pittura da Norman Roeben. Dylan realizzerà la cover del disco Music From Big Pink dei The Band (1969) e quella del suo disco Planet Waves (1974). Anche Joni Mitchell ha dichiarato più volte di essere «una pittrice innanzi tutto» [Mitchell 1998] , «una pittrice sviata dalle circostanze» [Mitchell 2000]. Disegna la copertina del suo primo album Song To a Seagull (1968), dal carattere surreale e psichedelico. Da qui in poi realizzerà come grafica, pittrice o fotografa le copertine di tutti i suoi lavori, insistendo particolarmente sul tema dell’autoritratto: da Clouds (1969) fino a Travelogue (2002). Clouds, dallo stile vagamente iperrealista, inaugura il modo in cui la Mitchell guarda alla storia dell’arte, in particolare a quei rari modelli femminili che sono riusciti ad imporsi. Qui, ad esempio, il fiore che tiene in mano fa pensare allo stile della famosa pittrice Georgia O’Keeffe. Nella copertina di Turbolent Indigo (1994) esegue una fedele riproduzione del celebre Autoritratto con 40 l’orecchio tagliato di Van Gogh al quale sovrappone il suo volto. L’opera è concepita in un frangente in cui la critica d’arte ha coniato il termine “ appropriazionismo” per definire l’utilizzo letterale di fonti preesistenti. Il suo capolavoro però è Mingus (1979), copertina definita in nota come “audio painting”, dedicata all’amico Charles Mingus con il quale aveva terminato un lavoro due anni prima del suo decesso. La storia artistica della Mitchell va al di là delle copertine dei suoi dischi. Ha esposto le sue opere, disegni, fotografie e dipinti in mostre personali in tutto il mondo. Nei tardi anni Settanta in Gran Bretagna grazie all’influenza dei Sex Pistols si va affermando poco alla volta un fenomeno più culturale che musicale: il Punk. Associato comunemente alla musica il suo immaginario si espande nella grafica, nella moda e nelle arti visivi diventando un campo di sperimentazione ribelle e iconoclasta caratterizzato dall’abbandono definitivo dell’accademismo, dallo spirito del “ do it yourself” ossia l’improvvisarsi nel fare qualsiasi cosa senza una preparazione specifica, da un’estetica precaria e sporca. Figura di riferimento visuale del Punk è Jamie Reid che diventerà l’art director dei Sex Pistols, in futuro definito come il designer più irriverente e politically uncorrect nella storia della musica [Robaski 2013]. Reid è colto, si ispira all’avanguardia Dadaista, al collage Surrealista, all’attivismo dei Situazionisti e allo stile della Mail Art. I suoi lavori per i Sex Pistols riguardano la progettazione grafica di alcuni singoli tratti dal disco Never Mind The Bollocks (1977): Anarchy in The UK, God Save The Queen, Pretty Vacant. L’eco di questo nuovo fenomeno culturale raggiunse presto gli Stati Uniti. Qui il modello britannico venne modificato e messo a punto andando ad affermare ancora una volta il ruolo di centralità assoluta degli Stati Uniti nei fermenti artistici degli anni Ottanta. In questo periodo in America emerse una sorta di cortocircuito tra la musica e l’ambiente delle neo avanguardie artistiche aperte alla comunicazione sociale con il grande pubblico [Beatrice 2000]. Le ricerche nacquero ancora una volta dal basso degli ambienti underground. Non si sa se il termine New Wave sia stato inventato da Diego Cortez nel titolo di una mostra da lui organizzata nel 1980 in una scuola abbandonata del Queens, ma sicuramente da lì si diffonde. All’evento parteciparono tra gli altri: Basquiat, Haring, Mapplethorpe, Scharf e Andy Warhol assieme a nuovi graffitari come Crash, Ali, Dondi, Fab 5 Freddy, Haze, Lady Pink. Questa era la nuova generazione di 41 artisti che potevano diventare ricchi e famosi fin dall’esordio. Gli anni Ottanta a New York si spinsero oltre andando a scegliere i propri miti tra la comunità nera. L’arte qui aveva scelto la strada, in particolare uno strumento di esposizione mobile: il treno. La maggior parte della musica in circolazione era nera. La star per eccellenza era JeanMichel Basquiat, capace di portare la sua pittura dalla strada fino alle più importanti gallerie del mondo, il primo pittore nero riuscito a conquistare il mercato internazionale. Anche i lavori di Keith Haring hanno rappresentato la cultura di strada a New York e di un’intera generazione. Il suo messaggio era semplice: «Mi è sempre più chiaro che l’arte non è un’attività elitaria riservata all’apprezzamento di pochi: l’arte è per tutti e questo è il fine a cui voglio lavorare» [Haring 1996]. Come i suoi contemporanei dj hip hop del Bronx avevano spostato la musica dalle discoteche alle strade affinché tutti ne potessero fruire, allacciandosi abusivamente alla rete elettrica tramite i lampioni, Keith Haring fa uscire l’arte dalle gallerie per portarla in strada. Tra le copertine da lui disegnate, quella per Duck Rock (1983) di Malcolm McLaren è da considerarsi una vera e propria opera d’arte. Raffigura una radio modificata per assomigliare ad un sound system portatile. Il mondo della radio era molto vicino a Keith Haring, che prima di affermarsi come artista era il dj in un’emittente di Manhattan specializzata in musica hip hop e nera. Il debutto discografico di Patti Smith, Horses (1975), è firmato da Robert Mapplethorpe. I due condividevano arte e vita, lei era la sua modella prediletta [Beatrice 2000]. Horses è diventato il simbolo per eccellenza di questo straordinario rapporto creativo. Ritrae l’immagine della Smith degli esordi: capello corto, camicia bianca con cravatta slacciata in abito nero. Alla fortuna del disco non è estranea la copertina, uno dei must nei rapporti tra arti visive e musica del Novecento. La foto è scattata in un appartamento sulla Quinta Avenue. La stanza, dipinta completamente di bianco e priva di mobilio, veniva spesso usata da Mapplethorpe come studio fotografico. La casa discografica avrebbe voluto cambiarle la pettinatura o sistemare in post produzione alcuni dettagli ma sia il fotografo che la cantante si rifiutarono categoricamente. Patti 42 Smith racconta di essersi messa in posa ispirandosi ad un misto tra noncuranza elegante alla Frank Sinatra e alle attrici esistenzialiste. Prima di lei le donne nel rock si presentavano nelle formule convenzionali, lei volle rappresentare un nuovo tipo di persona [Beatrice 2000]. Peter Saville, nato a Manchester, in principio era un grafico appassionato di musica Punk, impegnato a introdurre nella nuova scena le sue teorie sulla new wave e sulla “nuova tipografia”, movimento fondato da Jan Tschichold negli anni Venti, dove la scrittura è definita da esigenze funzionali. Nel 1978 venne assunto per realizzare i manifesti pubblicitari degli eventi di musica dal vivo del Factory, un locale\etichetta discografica di Machester nel quale erano soliti esibirsi anche i Joy Division. Saville creò una locandina che voleva evocare il cartello di “lavori in corso” utilizzato nei cantieri, su un vistoso sfondo giallo. Sia il locale che l’etichetta mantennero al loro interno e nelle loro produzioni un’immagine ispirata al mondo dell’industria e del lavoro, immaginario molto sentito nel tessuto sociale di Manchester. Saville nella realizzazione delle sue copertine accosta elementi futuristici e costruttivisti a icone di album storici, soprattutto quelli dei Kraftwerk. Il personaggio di Saville è fortemente legato al gruppo Joy Divison. Per il loro primo album, Unknown Pleasure (1979), sceglie come design uno sfondo nero con la sovrimpressione del diagramma CP1919, una pulsar in procinto di esplodere in supernova. Non c’è scritto il nome del gruppo, scelta appoggiata dai Joy Division che avrebbero addirittura voluto una cover interamente bianca contenuta in una busta completamente nera [Beatrice 2000]. Fin dai loro primi dischi i Sonic Youth ritennero fondamentale l’art cover quasi quanto la musica. Le loro numerosissime collaborazioni pescano da una serie di artisti contemporanei che in molti casi conoscono personalmente e frequentano: Richard Kern, Tony Oursler, Mike Kelly, Patti Smith, Raymond Pettibon, Christian Marclay, Dan Graham. Alcune delle loro copertine sono destinate a passare alla storia nel rapporto tra arte e rock. Per Dirty (1991) i Sonic Youth si affidano all’amico Mike Kelley, esponente di quella che il critico Ralph Rugoff definisce “pathetic art”, volendo indicare un senso di smarrimento tradotto in opere incerte, realizzate con materiali poveri, di scarto, presi dall’immondizia, come vecchi peluche, coperte o pezzi di cartone. In questa nuova 43 estetica, che coincide con la nascita del grunge, siamo distanti dai trionfalismi degli anni Ottanta, ora la figura dell’artista assomiglia sempre di più a quella di un fallito, di un perdente (il famoso looser cantato nell’omonimo brano da Beck). Per Dirty, Kelly disegna una cover nella quale vengono raffigurati pupazzi sporchi e consumati, intervallati dall’autoritratto fotografico dell’artista. Il 1969, l’anno delle rivolte al Greenwich Village e della disco di Francis Grasso fu un anno chiave. L’anno dello sbarco sulla luna e della fine improvvisa di tutte le utopie sessantottine. L’anno in cui vennero assassinati il senatore Robert Kennedy e il leader nero Martin Luther King, in cui si andava intensificando la guerra in Vietnam. L’anno in cui Charles Manson e i suoi seguaci terrorizzarono Hollywood 8. Manson è visto da alcuni artisti dell’epoca come un eroe incompreso della rivoluzione, simbolo della morte dell’era Hippie, precursore dell’ideologia Punk. Il grafico Frank Kozik sostiene: «Il punk rock si basa sul rifiuto di ogni regola e sul fatto che puoi costruirti da solo la tua cultura. Manson fece tutto questo» [Kozik 1994]. Manson continua ad essere un’icona dell’underground americano e lo dimostrano i tributi che gli hanno reso nel corso degli anni molte band celebri. I Sonic Youth esplorarono il suo mondo in Death Valley ’69 (1985), i Guns n’Roses incisero una cover della sua Look At Your Game Girl, il leader dei Nine Inch Nails affittò la casa di Bel Air in cui avvenne il massacro per trasformarla in uno studio di registrazione. Infine Manson ispira molti artisti visivi tra cui Raymond Pettibon. Disegnatore raffinato, Pettibon mette in scena tutto ciò che di oscuro si nasconde dietro la facciata spensierata del Pop e del Flower Power. Manson è, per l’appunto, uno dei suoi eroi. Disegna spesso figure con le sembianze sue e dei suoi seguaci, rappresentati con il segno X della Famiglia sulla fronte. Usa una tecnica per la quale alcuni elementi vengono ripetuti in diverse illustrazioni conferendo ad ogni immagine un significato diverso a seconda delle situazioni. Pettibon è il disegnatore di punta dell’etichetta SST, per la quale produce copertine, flyer e libretti illustrati. Il suo stile consiste nel simulare il taglio di un 8 44 Il 10 agosto 1969 vennero ritrovati in una villa di Bel Air a Los Angeles i corpi di 5 persone (tra cui quello di Sharon Tate, moglie del regista Roman Polanski, incinta di 8 mesi. Il giorno successivo venne ritrovata un’altra coppia brutalmente uccisa con modalit; analoghe. Gli autori di entrambi i massacri furono Charles Manson e la “family”, una comunit; di hippie di cui era il leader. fotogramma da una storia più lunga, e le immagini, che non sono realizzate appositamente ma provengono dall’ampio archivio di cui dispone, finiscono per diventare la colonna sonora della musica di gruppi come i Black Flag e i Minutemen. Esempi sono: Jealous Again (1980), Everything Went Black (1982) e My War (1984) dei Black Flag; Goo (1990) per i Sonic Youth e One By One (2002) per i Foo Fighters. Quello di Pettibon è senz’altro il cuore nero dell’America. Avvicinandoci agli anni Ottanta ci troviamo sempre più spesso in presenza di artisti che scelgono la fotografia come un mezzo d’espressione. Ciò che distingue un artista da un tecnico è il piegare il mezzo alle proprie esigenze estetiche e il non vedere nel mezzo stesso un limite o una costrizione. Il rapporto tra fotografia e rock si basa principalmente sul ritratto. Da quando esiste, il ritratto fotografico, non si è mai limitato ad immortalare le virtù di un individuo o coglierne significativi aspetti psicologici. I ritratti possono divenire testimoni di un tempo e di un gusto, di stili di vita e abitudini che sembrano comunicare più cose su chi scatta la fotografia piuttosto che su chi sta in posa. Negli ultimi decenni la fotografia di ritratto ha avuto tanto successo da creare una nuova categoria a metà strada tra la fotografia ortodossa e quella artistica. La lista di fotografi e artisti-fotografi che hanno guardato alla musica è lunga: Herb Ritts, Richard Avedon, Annie Leibowitz, Irving Penn e Bruce Weber. Il fotografo Anton Corbijn ha realizzato almeno una cinquantina di cover: per Captain Beefheart Ice Cream For Crow (1982), per Morrissey Viva Hate (1988), per Nick Cave Henry’s Dream (1992), per i Rem Automatic For The People (1991), sono sue le foto all’interno di Load (1996) dei Metallica, per Devils & Dust (2005) di Bruce Springsteen e tanti altri. Gli anni Novanta segnano il definitivo ingresso della fotografia nell’olimpo dell’arte. La nuova estetica si rifà al concetto di Snapshot, ovvero di istantanea, l’esatto contrario dello scatto frutto di lunghe pose in studio. E’ un immagine caratterizzata da uno stile realista, sporco e sgranato; non richiede particolari abilità né attrezzatura costosa. Uno dei maggiori esponenti di questa corrente è Juergen Teller. Teller ha lavorato con artisti come Bjork, Isabelle Huppert, Elton John, Charlotte Rampling. Ha realizzato la foto per la copertina del disco Get Ready (2001) dei New Order, si tratta di un ritratto in bianco e 45 nero, attraversato da una linea rossa, raffigurante un ragazzo che tiene in mano una videocamera digitale. Secondo molti Thorgerson è stato il sesto membro dei Pink Floyd: non ha suonato strumenti, ma ha avuto un ruolo essenziale nell’ideare l’immagine della band. Da A Sauceful of Secrets (1968) in poi, ha disegnato quasi tutte le loro copertine. Thorgerson fondò lo studio Hipgnosis alla fine degli anni Sessanta a Londra, assieme al collega Aubrey Powell, incontrato a Cambridge. Il nome della ditta fu scelto a partire da una scritta sul muro del loro appartamento. Ci troviamo nel periodo di massimo fulgore della psichedelia. Molti gruppi di allora componevano canzoni fatte di viaggi sonori e testi surreali. Per visualizzarle e farne capire l’originalità, lo stile dello studio di Thorgerson e Powell era ideale: «Mi piace esplorare le ambiguità e le contraddizioni. Creare fratture, ma con dolcezza», ricordava Thorgerson [Thorgerson 2008]. I Pink Floyd sono stati i primi clienti della lista, fin dal 1968, ma non sono gli unici nomi famosi. Thorgerson ha elaborato cover per Genesis, Peter Gabriel, Led Zeppelin, Black Sabbath. Una volta sciolta la società, nel 1982, continuò il lavoro in proprio, firmando altri celebri artwork per Alan Parsons, Muse, Cranberries, Biffye Clyro. Descriveva così il suo metodo di lavoro: «Ascolto la musica, leggo i testi, parlo con i musicisti il più possibile. Mi vedo come un traduttore, che traduce un evento uditivo, la musica, in uno visuale, la copertina» [Thorgerson 2008]. Un pioniere della manipolazione fotografica, influenzato da Man Ray, Picasso, Kandinsky, Juan Gris e Ansel Adams. I suoi lavori si ispiravano al surrealismo glaciale di Magritte, erano in parte documentario di eventi casuali, in parte semplice gusto per la saturazione del colore. Un lavoro di fotoritocco e fotomontaggio totalmente artigianale e analogico. Ne fuoriescono così scene di straordinaria quotidianità in cui compare, inatteso, il paradosso, l'assurdo, l'alieno. Un'altra realtà che se non intorno a noi si sviluppa almeno tra i solchi dei dischi. Segue un breve elenco di alcune opere con la descrizione dello stesso Thorgerson [Thorgerson 2008]. 46 Pink Floyd, Ummagumma (1969) La foto alla parete riproduce l’immagine maggiore, ma con i membri della band in pose differenti. Lo scherzo della foto nella foto si ripete quattro volte, fino ad arrivare alla copertina di A Sauceful of Secrets, uscito l’anno prima. «Era un tentativo di rappresentare tanti diversi strati nella loro musica. Nessuna effimera pop band né alcun indovinello, qui: piuttosto strati dietro strati, accordi pieni di significato e tutto questo nella stessa musica». Pink Floyd, The Dark Side of the Moon (1973) «Le tue foto le abbiamo già usate. Ci vuole qualcosa di intelligente, pulito, di classe», aveva detto il tastierista Richard Wright. Di sette elaborati bozzetti, i Floyd scelsero quello giusto in meno di tre minuti. Il prisma, per Thogerson, ricordava una piramide, «qualcosa di ambizioso, cosmico e folle allo stesso tempo: temi presenti nei testi dell’album». Era anche un riferimento ai light show della band. Pink Floyd, A Momentary Lapse of Reason (1987) «Abbiamo dovuto portare 800 letti d’ospedale su una spiaggia del Devon. Mi chiedo chi me l’abbia fatto fare». La creazione di quest’immagine, che doveva evocare «i resti di relazioni evaporate», è durata due settimane. Il deltaplano che si vede in cielo è un riferimento alla canzone Learning to Fly. Il quinto album dei Led Zeppelin, Houses of the Holy (1973), segnò un distacco profondo dal Blues-Rock degli esodi colorandosi di suggestioni progressive,folk e orientaleggianti. La scena, il cui set fu allestito nelle foreste pietrificate di Giants Causeway in Irlanda, trasuda di un paganesimo e di un misticismo potenti. Fanciulli nudi si inerpicano verso quello che pare un enorme altare di pietra su cui una divinità gigante si appresta a celebrare il suo rito. Ma è l'artificiosità di una scala cromatica ipersatura e fiammeggiante (colori caldi sul fronte, freddi sul retro) a restituire quel senso di straniamento e paradosso capace di descrivere tutta la vicenda più come un parabola onirica che una rappresentazione di una concreta realtà. Per questo non c'e scandalo, è una finestra su un mondo ''altro". 47 Artista contemporaneo di Thorgerson è Roger Dean, particolarmente conosciuto per le sue collaborazioni con gli YES e gli Asia. Fu il primo ad aver progettato un vero e proprio logo identificabile e non accidentale ad un gruppo musicale, quello degli YES [Beatrice 2000]. Famoso per la creazione di mondi onirici, i suoi scenari si legano perfettamente con la musica degli artisti con cui collabora. Si definisce come un pittore di paesaggi piuttosto che un artista fantasy. Un altro protagonista degli anni Settanta è l'artista fotografo Mick Rock definito "The Man Who Shot the Seventies" per le sue rappresentazioni iconiche di artisti come David Bowie (Space Oddity), Lou Reed (Transformer), Iggy Pop (Raw Power), Queen (II), The Ramones, Blondie. La copertina di In the Court of the Crimson King fu disegnata nel 1969 da Barry Godber, un giovane programmatore di 23 anni, scomparso prematuramente l'anno successivo per attacco cardiaco. Il dipinto utilizzato per l'esterno della copertina rappresenta il volto di un uomo spaventato, con gli occhi spalancati, mentre urla; l'uomo, con il volto sfigurato e l'orecchio sproporzionato, rappresenta l'uomo schizoide del ventunesimo secolo di cui parla il primo brano. All'interno, invece, è presente un volto apparentemente calmo e sorridente, che mostra anche le mani, in posa ieratica: rappresenta il Re Cremisi, eponimo sia dell'album che del gruppo. In entrambi i dipinti il colore predominante è il rosso cremisi, accompagnato dal blu [Sinfield 1999]. 2.1 Considerazioni La copertina dell’LP è diventata una componente essenziale per l’esperienza di ascolto di un disco. Gli LP e le loro rispettive copertine sono da considerarsi indivisibili. Lo testimonia il fatto che, mentre le ristampe dei libri sono accompagnate spesso da rivisitazioni della grafica, il design delle copertine dei dischi pop è inviolato. Le ristampe dei dischi, anche se rilasciate da compagnie discografiche diverse rispetto versione originale, mantengono gli stessi dettagli della copertina originaria. Questo trascende dal fornire informazioni sul contenuto del disco. Le ristampe recenti del disco Kind of Blue di Miles Davis contengono ancora la scritta “stereo fidelity”. Rimuovere 48 certi dettagli significa privare il disco della sua identità in termini di spazio e tempo. Sono aspetti che aiutano a contestualizzare il momento storico in cui l’opera è stata concepita e toglierli corrisponderebbe a cancellarne una parte di storia. Un altro aspetto che contraddistingue il vinile dai formati digitali è che i primi invecchiando acquisiscono una loro storia. A differenza delle confezioni di cassette o cd, quella del vinile è “aperta” agli elementi esterni. La copertina del vinile invecchia assieme al suo possessore. Caratteristica, questa, che venne sfruttata da designer come Jamie Reid che per il disco Never Mind the Bollocks dei Sex Pistols dichiarò che se la copertina veniva lasciata al sole, il giallo e il rosa sarebbero sbiaditi facendo meglio risaltare il nero dei caratteri testuali [Beatrice 2000]. Inoltre il vinile e la sua copertina condividono un rapporto intimo che altri supporti non hanno. I cd e le cassette sono separati dalle loro copertine dalla plastica mentre il vinile ne è completamente avvolto. Anzi, invecchiando i bordi del disco emergono nella copertina diventando parte integrante del design. A rendere il vinile un oggetto da collezione è la sua propensione a farne edizioni limitate: tasche interne, elementi in rilievo, gadget vari come zip reali o adesivi ed altre caratteristiche particolari. Le sue dimensioni fisiche inoltre hanno la possibilità di incorniciare la fotografia di un volto umano a grandezza reale. Molte copertine hanno sfruttato questa possibilità, come ad esempio Face Value di Phil Collins. Questo aspetto è stato celebrato con l’introduzione di una pratica recente chiamata “sleeveface” che consiste nel “nascondersi” dietro una copertina facendo combaciare la propria sagoma con quella immortalata nell’illustrazione 9. 9 Esempi di tale pratica sono riportati nel sito http://www.sleeveface.com 49 50 3. Valutazione del disco La valutazione di un disco non è semplice data la vastissima quantità di vinile in circolazione. La prima cosa con cui ci si confronta sono le condizioni generali del disco e della copertina. Se un disco ha una quotazione di 100, ci si riferisce all'oggetto nuovo (mai suonato e con copertina integra se non addirittura sigillato). Se appena ascoltato o con qualche segno di usura evidente la quotazione si riduce di un 10/20% per diminuire progressivamente se i segni di ascolto sono evidenti e la copertina riporta piegature, scritte, lievi scolorimenti. Gli altri fattori da considerare sono : la casa discografica, il paese di stampa, il numero di catalogo, l'anno di produzione. La quotazione cambia se siamo in presenza di una prima stampa o di una ristampa, ed a volte solo un occhio esperto può accorgersi delle differenze, poiché l'anno di stampa può essere omesso o risultare lo stesso della prima uscita anche se il disco è stato ristampato. Questo significa che solo un intenditore può stabilire se si è in presenza di un disco originale. La valutazione di un vinile cambia a volte radicalmente a seconda del paese in cui è stato stampato. Un disco dei Queen, ad esempio, può avere un alta quotazione se l'edizione è sudafricana e può avere valore di mercato nullo se stampato in Inghilterra. Cosa o chi determina il valore iniziale? Ci sono delle istituzioni in questo campo, una di queste è il sito inglese Rare Record Price Guide. Qui si possono trovare recensioni, cataloghi e valutazioni di ampia gamma di titoli. La cifra economica è determinata dagli stessi collezionisti ed appassionati, basandosi sulla domanda e sull'offerta. Non è detto che un disco stampato in pochissime copie o a tiratura limitata sia di per sé un disco quotato. Un riferimento per consultare i valori di domanda e offerta nell’ambito delle aste on-line sono i due siti: popsike 10e music price guide11, nei quali è possibile visualizzare le aste che hanno avuto un valore rilevante ai fini del motore di ricerca nel corso degli ultimi anni. 10 http://www.popsike.com/ 11 http://www.musicpriceguide.com/ 51 Altro database on line per ottenere informazioni sulla valutazione di un disco è il sito Discogs12 che oggi contiene all'incirca 5 milioni di titoli, oltre tre milioni di musicisti, 560.000 etichette discografiche, e 168.000 utenti iscritti. 3.1 Sigle e legende Per classificare la condizione dei vinili si fa riferimento alla classificazione Goldmine Standard (la più rigida e selettiva), pubblicata per la prima volta nel 1974 [Neely 2007]. Quasi tutte le classificazioni vengono create basandosi su questo sistema. Di seguito riporto i codici che descrivono la condizione di un disco secondo tale classificazione: Mint (codice: M) Assolutamente perfetto. Il disco può anche essere ancora sigillato (ove indicato) o, in caso contrario, non è mai stato suonato. Near Mint (codice: NM) Quasi perfetto. Il disco non riporta nessun segno di usura, neanche sulla copertina. Il disco è stato ascoltato poche volte. La qualità del suono è perfetta: non ci sono rumori di fondo. In alcuni casi è possibile riconoscere dei segni sottilissimi sulla superficie del vinile; in questo caso i dischi saranno etichettati Near Mint Minus (codice: NM-) Very Good Plus (codice: VG+) Il disco è in buone condizioni ma presenta dei segni dovuti all’uso del precedente proprietario. Tutti i vinili con questa valutazione sono stati suonati più di un paio di volte. La superficie del disco può presentare segni superficiali e piccolissimi graffi, che influiscono in modo minimo sulla qualità del suono. Copertina ed eventuali inserti buoni ma non perfetti. Very Good (codice: VG) Tutti i piccoli difetti che si possono riscontrare nei dischi etichettati VG+ sono più marcati in questa categoria. La qualità del suono diminuisce ma il vinile è assolutamente nelle condizioni di essere suonato e ascoltato. Molte volte i difetti visivi (graffi, segni 12 https://www.discogs.com 52 etc) non si riflettono sulla qualità del suono: il disco, quindi, può sembrare rovinato ma in realtà la qualità del suono è più che accettabile. Qualora i segni sul vinile o i difetti della copertina siano più marcati i dischi saranno etichettati Very Good Minus (codice: VG-). Good Plus (codice: G+) e Good (codice: G) Un disco con il marchio G+ può essere tranquillamente ascoltato senza salti o grossi difetti di sorta. Il disco è stato suonato molte volte. I rumori di fondo saranno più marcati. La copertina presenta pesanti segni di usura. Fair (codice: F) Disco ascoltato moltissimo. A volte il vinile avrà un particolare difetto che incide sulla qualità del suono. Può capitare che la qualità del suono rimanga a un buon livello anche se il disco è molto danneggiato. Copertina ed eventuali inserti con notevoli segni di usura, come pieghe, strappi o scritte. Bad (codice: B) Disco, copertina ed eventuali inserti in pessime condizioni. Copertina Generica (codice: CG) Disco senza copertina originale, inserito in una busta bianca. La sigla RE (Reissue) indica che si tratta di una ristampa; nella scheda del disco sarà indicata la data della ristampa e tra parentesi l'anno dell'uscita originale del disco Esempio: Se si esprime come assoluto un valore di 100 lo stato di conservazione deprime il valore come la tabella riportata: Mint: 100 EX: 80 VG: 50 Good: 30 Fair: 15 Poor: 8 53 Tipi Formati: 7” singolo; comunemente detto 45 giri E.P extended playing (45 giri con più canzoni sia su lato A che B) 78 78 giri vinile di durezza e peso sostenuti. Attenzione sono molto fragili! 12” MIX LP long play DPL doppio lp PDK picture disc (vinile con disegni o fotografie) SPD vinile sagomato CV vinile colorato PRO promozionale Caratteristiche del disco Ps copertina fotografata NC senza copertina CC copertina tagliata Wol scritta sull’etichetta ST stereo MN mono ATG autografato JB copia juke box WOC scritta sulla copertina GF copertina apribile RE ristampa Esempio di una valutazione: Autore Titolo Stampa Label Codice Condizioni Anno Formato Note Valore Beach Boys Surfing USA US Capitol t-1890 Ex LP / 155€ 54 1962 3.3 Dischi rari Nel 2014 la rivista britannica Record Collector Magazine ha stilato una classifica con la valutazione economica dei dischi più rari al mondo [Shirley 2012]. Segue l’elenco dei primi 10 titoli: The Quarrymen - That’ll Be Sex Pistols - God Save The The Beatles - White Album The Day/In Spite Of All The Queen/No Feelings Danger Queen –Bohemian Rhapsody/I’m In Love With My Car John's Children - Midsummer The Beatles - Please Please John Lennon & Yoko Ono - Billy Nicholls - Would You Night’s Scene/Sara Crazy Me Unfinished Music No. 1: Two Believe Child Virgins That’ll Be The Day/In Spite Of All The Danger dei The Quarrymen (1958). The Quarrymen sono coloro i quali sarebbero diventati i Beatles. Ne esiste una sola copia registrata in un negozio di articoli elettrici da Paul McCartney, John Lennon, George Harrison, il batterista Colin Hanton e il pianista John Duff Lowe, ed è valutata 100.000 sterline. Lo stesso singolo, ristampato in 25 copie nel 1981, vale 10.000 sterline ed è il secondo disco più costoso al mondo. Terzo disco più ricercato è God Save The Queen/No Feelings dei Sex Pistols (1977), del valore di 8.000 sterline. Stampato in 300 copie dalla A&M Records non uscì mai nei 55 negozi. Solo alcune copie furono regalate a circa una dozzina di dirigenti della casa discografica, quando l’ufficio di Londra chiuse nel 1998. Quarto disco raro è la primissima stampa, con il numero di serie scritto sul retro, del White Album dei Beatles (1968) del valore di 7.000 sterline. Segue l’edizione speciale contenente alcuni gadget della EMI di Bohemian Rhapsody/I’m In Love With My Car dei Queen (1978), al quinto posto con un valore di 5.000 sterline. Il singolo Midsummer Night’s Scene/Sara Crazy Child dei John’s Children (1967) con Marc Bolan alla chitarra, non fu mai pubblicato. Occupa il sesto posto della classifica dei dischi rari con un valore di 4.000 sterline. Il settimo e l’ottavo posto sono ancora dei Beatles con due stampe di Please Please Me (1963), entrambe del valore di 3.500 sterline. Al nono posto dei dischi più rari c’è l’LP Unfinished Music No. 1: Two Virgins (1968) con un valore di 3000 sterline. E’ la testimonianza della prima notte insieme di John Lennon, che approfitta dell’assenza della moglie Cynthia, per invitare Yoko Ono, conosciuta poco tempo prima ad una mostra d’arte, a casa sua. La copertina dell’LP è una foto di John e Yoko nudi, scattata a casa di Ringo qualche tempo dopo e presto censurata. Chiude la top ten della classifica dei vinili più cari Would You Believe di Billy Nicholls (1968). Ne furono vendute solo poche di copie, che oggi hanno un valore di 3.000 sterline. 56 4. Trend di mercato Le indagini di mercato condotte da diverse agenzie di ricerca indicano una recente impennata nelle vendite del vinile. Il report 2014 della Federazione internazionale dell’Industria fonografica (IFPI) mostra come le vendite del vinile abbiano raggiunto il picco più alto dal 1997 ad oggi. Rispetto all’anno precedente si ha avuto un incremento del 54,7% [Strain 2015]. fonte: IFPI, cifre in USD. Classifica delle vendite di dischi in vinile nel 2014. Un’indagine condotta da ICM Research in Gran Bretagna nel 2013 ha rivelato che la vendita del vinile è maggiore nella fascia di età che va dai 18 ai 24 anni (il 14% avrebbe comprato un disco in vinile nel mese precedente rispetto al 9% della fascia dai 25 ai 34 e il 5% tra i 35 e i 44 anni) [ICM research 2013]. In Inghilterra, secondo le statiche, sarebbe dunque la fascia più giovane a guidare la crescita del mercato del vinile. I dati Nielsen del 2014 vedono un incremento delle vendite del 260% rispetto al 2009 e dagli ultimi dati raccolti, il vinile rappresenta il 6% delle vendite di dischi su supporto fisico [Nielsen 2015]. 57 grafico delle vendite del vinile dal 2010 al 2014. Fonte: Nielsen 2015. Anche Amazon conferma il trend che dal 2005 ha visto un incremento di vendita sempre maggiore [Amazon Inc 2013]. fonte:Amazon Incorporated 2013. Il grafico mostra la crescita delle vendite di dischi in vinile dal 2005 al 2012 da parte di Amazon. Quali sono i motivi di questo rinnovato interesse? Alcuni sostengono che il suono “caldo” analogico del vinile sia di qualità superiore rispetto a quello “freddo” del digitale Compact Disc. 58 4.1 Confronto tra cd e vinile Come funziona un vinile? Il suono registrato sul vinile è analogico. Semplificando molto, una puntina particolare scava in una membrana (che poi diventa il disco master, che fa da punto di partenza per tutte le copie del vinile) un solco che rappresenta il suono. Senza approssimazioni. Come si sente? La puntina del giradischi passa nei solchi del vinile che, a seconda della loro forma, producono delle vibrazioni che vengono ritrasformate in suono. ingrandimenti al microscopio elettrico dei solchi di un vinile. Si può notare come avviene l'incisione stereofonica del canale sinistro e del canale destro. Le variazioni di profondità rappresentano le alterazioni dinamiche del suono. foto di Chris Supranowitz (2014) Come funziona un Compact Disc? Il suono registrato sui Compact Disc è digitale. Per ogni secondo di suono vengono registrati 44.100 campioni e ogni campione è a 16-bit, ovvero il suono di quel campione viene scelto tra 65.536 possibili valori. Come si sente? Il lettore ottico del lettore CD legge i dati salvati sul disco e li converte in un segnale audio analogico. C'è quindi un doppio passaggio: l'audio analogico suonato nello studio di registrazione viene trasformato in audio digitale su CD, che poi viene ritrasformato in audio analogico quando viene riprodotto [Colò 2013]. I 44.100 campioni dei Compact Disc sono il doppio delle frequenze che l'orecchio umano è in grado di sentire. Secondo il teorema del campionamento di Nyquist- 59 Shannon, con questa quantità di informazioni, il digitale e l'analogico sono matematicamente equivalenti [Owsinski 2008]. Almeno scientificamente non è dunque possibile stabilire un primato di qualità sonora ad uno dei due supporti. Inoltre, sempre i dati Nielsen rivelano nel 2014 un incremento dell’ascolto di musica compressa in streaming on-demand del 54% rispetto al 2013 con 164 bilioni di streams (tramite piattaforme come Spotify, Rdio, Beats Music) [Nielsen 2015]. Le ristampe di vecchie edizioni storiche sono accompagnate da una rimasterizzazione digitale del materiale audio per renderlo più conforme agli standard moderni. Questi fattori indicano diversi punti a sfavore nell’ipotesi della ricerca di una maggiore qualità sonora da parte dei consumatori. A decretare il calo delle vendite del CD audio sono stati l’avvento dell’mp3, nella metà degli anni Novanta, e successivamente del primo Ipod (2001) che hanno reso l’ascolto musicale ancora più mobile, decidendo che la quantità di dati memorizzabili e la praticità dell’ascolto vincono sulla qualità audio. Un’ipotesi è che il maggior consumo di musica liquida abbia favorito un ritorno del vinile. Con la distribuzione gratuita di file e video musicali si è avuta una maggiore diffusione della cultura musicale. I più giovani oggi possono accedere facilmente alla scoperta di gruppi storici, e acquistare un vinile per molti di questi significa impossessarsi di un oggetto di antiquariato. Per i meno giovani avviene la riscoperta di gruppi simbolo dei loro tempi attraverso l’uso di un supporto noto. A testimoniarlo la classifica Billboard dei primi dieci dischi in vinile più venduti dal 2010 al 2015 contiene solo 4 titoli più recenti del 2010, assieme a Beatles, Bob Marley e Miles Davies [Brandle 2015]. I consumatori sembrano più disposti ad investire il loro denaro nell’acquisto di un oggetto fisico la cui fragilità e consistenza ne aumenta il valore intrinseco. Uno dei ricordi più felici della mia infanzia fu quando mio padre mi regalò la sua piccola e preziosa collezione di dischi, ammetto che ricevere un hard disk o la password di un account Itunes pieno di files non avrebbe avuto lo stesso fascino. 60 Durante un’intervista lo scrittore Paolo Guglielmino ha ricordato le parole di un adolescente che, cresciuto in piena era digitale, utilizzava per la prima volta un giradischi regalatogli dai genitori. Ne ha descritto lo stupore mentre dichiarava che per la prima volta gli sembrava di possedere la musica che stava riproducendo [Guglielmino 2016]. Nick Bilton in un articolo sul New York Times analizza il modo in cui le tecnologie obsolete stanno tornando una dopo l’altra sovvertendo le regole basilari dell’innovazione che vorrebbero la sostituzione del vecchio con il nuovo [Bilton 2016]. Il ritorno all’analogico riguarda ampiamente anche il campo della fotografia. Una delle più note e utilizzate applicazioni fotografiche per dispositivi mobile, Instagram, dispone di un’ampia gamma di filtri correttivi che richiamano alle vecchie pellicole analogiche. La compagnia statunitense Polaroid, fallita nel 2007 ed acquisita da una piccola società olandese, è tornata a produrre le sue macchine e pellicole analogiche vedendo un aumento negli incassi del 60%. La vendita di rullini, dopo il crollo avvenuto negli anni Duemila, dal 2012 è in lento ma costante aumento. In quell’anno sono stati venduti 35 milioni di rullini contro i 20 milioni dell’anno precedente. La ditta produttrice di pellicole Kodak ha recentemente immesso nel mercato una nuova versione della cinepresa Super 8, accompagnata dall’esultanza di registi del calibro di Spielberg e Tarantino che nel sito della compagnia parlano di una meritata risurrezione dell’analogico. Un sondaggio condotto nel 2014 dalla ditta di pellicole Ilford ha rivelato che il 30% degli intervistati sotto i 35 anni fa uso di pellicole analogiche. I soggetti dell’intervista affermano di utilizzare macchine fotografiche analogiche perché è più “divertente”, “retrò”, perché il mezzo stesso li mette di fronte a tutta una serie di ragionamenti e decisioni necessarie alla riuscita di un buono scatto [Ilford 2015]. Come se il limite delle 36 pose restituisse un valore all’importanza dello scatto. Uno dei meriti dell’analogico sarebbe quello di fare dei propri limiti una forza capace di ridare (oggi quasi provocatoriamente) una personalità al modo di concepire e utilizzare la musica e la fotografia. Il limite della difficile trasportabilità del vinile viene compensato dal fascino delle copertine degli album, complici di aver fatto storia quanto le canzoni dello stesso LP. Non a caso i 78 giri in gommalacca oggi hanno un valore storico, ma non un vero e 61 proprio valore in termini commerciali, in parte per il fatto che quel supporto era privo delle copertine tipiche dei 45 e 33 giri. Uno degli impianti europei leader nel mercato della produzione dei vinili è la ditta tedesca Optimal. Tra i suoi clienti oggi ci sono grosse multinazionali che cavalcando la moda del momento commissionano le ristampe di vecchi classici dei Beatles, Led Zeppelin e David Bowie ma anche compagnie discografiche indipendenti che hanno mantenuto vivo il mercato del vinile negli ultimi vent’anni quando il resto dell’industria musicale aveva abbracciato la tecnologia digitale. Il direttore operativo Peter Runge in un’intervista ha dichiarato che mentre la domanda cresce anno dopo anno i macchinari della Optimal sono vecchi e invecchiano progressivamente. Il doversi rapportare con macchinari vecchi trent’anni significa dover far fronte quotidianamente a tutta una serie di inconvenienti tecnici, riparazioni di fortuna, ricerca di pezzi di ricambio inesistenti perché nel frattempo la casa madre è fallita. Le nuove presse costano circa 20.000 sterline, il doppio rispetto a dieci anni fa, e il mercato del vinile, anche se in crescita, è ancora troppo marginale per poter decidere di investirvi senza il sostegno di grosse compagnie. Inoltre sanno che il fenomeno dell’usato è estremamente forte e ha sempre potuto contare su una cerchia di appassionati e collezionisti che prediligono le prime stampe storiche aquistabili nei negozi specializzati e nelle fiere. La diffidenza è data dal timore che questo boom sia riconducibile ad una sorta di “turismo del vinile” piuttosto che ad un fenomeno realmente stabile e duraturo [Harris 2015]. Negli Stati Uniti la situazione è pressoché simile. Ci sono circa una dozzina di grossi impianti che si spartiscono la domanda. Un articolo inchiesta di Forbes racconta la storia di Rainbo Records, il più vecchio complesso per la stampa in vinile tra quelli in attività. Alla fine degli anni ottanta, mentre il CD stava tirando la spallata definitiva al mercato dei vinili, Rainbo decide di continuare a produrre dischi LP senza smantellare gli impianti. Per tutti gli anni Novanta e i Duemila riesce a tenersi in piedi grazie alla chiusura di quasi tutti gli impianti concorrenti e a un mercato di nicchia autoalimentato, dopodiché il vinile inizia 62 a vendere sempre di più. Oggi tutte le presse di Rainbo funzionano a pieno regime e continuano ad accumulare ritardi per via dell’aumento del lavoro [Huet 2015]. Ne consegue che i tempi di attesa per la realizzazione di un lavoro possono andare dalle quattro settimane ai tre mesi. In un mondo della musica è ormai in mano al digitale questo può far affiorare notevoli complicazioni [Harris 2015]. 63 4.2 Processo di stampa13 I dischi in vinile vengono stampati a caldo per mezzo di una pressa idraulica, utilizzando una matrice realizzata in metallo a partire da un master principale, una sorta di primo disco ottenuto incidendo con la massima precisione i suoni originali (provenienti da registrazioni su supporto magnetico ottenute in sala di registrazione) su cera o guttaperca. Il disco così ottenuto, un "positivo", viene sottoposto a verniciatura con cloruro di argento e stagno. Questa è una sostanza elettroconducente, che permette al bagno galvanico di far sì che sul disco si depositi uno strato di nichel. Da questo supporto si ottiene un primo "negativo", dal quale viene generata una copia metallica chiamata "madre". In una sala di ascolto è possibile eseguire un test acustico sulla matrice per escludere la presenza di imperfezioni prima di procedere con la stampa. Viene eseguito anche un controllo al microscopio per controllare lo stato dei solchi. La matrice viene rivestita da una pellicola protettiva plastificata per evitare che le impurità possano inserirsi nei solchi. Infine la matrice viene perforata nella parte centrale. Dei pellet di PVC vengono risucchiati e distribuiti alle macchine idrauliche di pressa. Queste imprimeranno la forma e i solchi della matrice nelle stampe realizzate con il PVC. Si possono vedere alcuni dettagli di una pressa Emi 1400. Le etichette vengono attaccate al disco per mezzo di una pressa, infine il disco viene riposto nella sua copertina e confezionato per la spedizione. 13 fotografie di Marco Walker (2014) scattate presso The Vinyl Factory (Londra) 64 Nonostante il lavoro di produzione artigianale di un vinile sia oggettivamente affascinante è successo che grosse band abbiano dovuto rimandare il tour per i ritardi nelle consegne dei dischi o che negozianti non avessero puntualmente la merce nei magazzini con i conseguenti danni economici 14 [Gruesome 2015]. La produzione di un vinile è sensibilmente più dispendiosa rispetto a quella di un cd, si può arrivare a pagare 3,18 euro di un LP contro 1,47 del CD con packaging in digipack15. Senza contare gli aspetti inerenti al contenuto fisico della musica che vanno dai 40 minuti di un LP ai 70 di un CD. 4.3 Mastering dedicato al vinile Altro aspetto da considerare è che l’educazione all’ascolto ha avuto negli anni una sua evoluzione tecnica che oggi ci ha condotto nel pieno del fenomeno chiamato loudness war16. La stampa su vinile richiede una sorta di rieducazione tecnica per la preparazione di un master specificamente destinato a tale supporto. Una serie di accorgimenti di cui si può fare a meno in ambito digitale ma che sono di fondamentale importanza per poter incidere correttamente i suoni nei solchi di un disco. Il master che verrà riprodotto dovrà rispettare le seguenti indicazioni: Il livello del volume è inversamente proporzionale alla quantità di musica incisa su ciascun lato dal momento in cui più è alto il volume più sono ampi i solchi. E' consigliabile un bit rate di 16 o 24 bit con frequenza di campionamento di 44100Hz o superiore. Per ottenere una stampa priva di distorsioni è importante gestire la dinamica al fine di ottenere un valore RMS inferiore ai -12dB. 14 Ci si riferisce ai ritardi nella produzione dei vinili di Kendrick Lamar, Björk e D’Angelo. 15 Le cifre fanno riferimento a dei preventivi richiesti dal sottoscritto alla ditta Fader il 21 Marzo 2016. Il formato Digipack per il cd è uno dei più costosi ed elaborati. Il preventivo include la duplicazione e stampa serigrafia-offset a 5 colori (quadricromia su base bianca) con glass master. Il vinile richiesto nell’ordine è nero 140 grammi, stampa su entrambi i lati 22 min per lato. Centrino stampato a colori, inner slave in carta bianca e copertina stampata a colori. 16 Senza entrare nel tecnico il termine fa riferimento a tutte quelle operazioni effettuate in sede di mastering che comportano una minore escursione dinamica RMS a vantaggio di un maggiore volume percepito. 65 Per evitare controfasi sulle basse frequenze, e quindi prevenire problematiche sull'incisione stereo con conseguente discontinuità del solco e salto della puntina è consigliabile rendere monofoniche le frequenze sotto i 150/300 Hz. Frequenze sotto i 20 Hz possono creare gravi problemi di risonanza sul braccio del giradischi causando il salto della puntina. E' importante limitare anche le alte frequenze al fine di evitare distorsioni. Esiste un limite fisico del solco stereo per il quale le frequenze troppo alte non vengono interpretate correttamente dalla puntina del giradischi (in modo particolare dalle puntine sferiche). Non è possibile incidere frequenze superiori ai 14Khz a volumi alti senza distorcere. Per un maggiore rendimento, soprattutto a 33rpm, è consigliabile posizionare le tracce con maggiore presenza di alte frequenze all'inizio della facciata. Durante la preparazione di un master da incidere su vinile è importante conoscere le indicazioni qui schematizzate: più volume -> minore tempo per lato più frequenze basse -> minore tempo per lato più frequenze basse -> possibili salti della puntina più frequenze alte -> basso volume più frequenze alte -> suono distorto Bassi stereo -> basso volume Bassi stereo -> salto della puntina 4.4 Conclusioni C’era un tempo nel quale chi voleva possedere un disco era costretto ad acquistarlo fisicamente pagando cifre anche importanti. Ora l’acquisto dell’oggetto fisico è diventato una scelta. La vendita dei vinili in portali come Amazon è accompagnata da codici omaggio con i quali si può scaricare la versione digitale del disco appena acquistato. Un’operazione di questo tipo fa supporre che mentre i file digitali sono intangibili, impalpabili, il vinile ha ancora un valore fisico che ne giustifica l’acquisto. 66 In quest’ottica il vecchio non muore, ritorna per affiancarsi al nuovo. Non viene comprata solo la musica, ma un’esperienza di ascolto fisica, totalmente diversa da quella digitale. La scelta di acquistare un vinile non è data dalla migliore qualità sonora: è possibile scaricare dalla rete dischi in qualità non compressa. Non è data certamente dalla praticità e comodità di ascolto: richiede strumenti costosi come giradischi, amplificatori, altoparlanti e a metà riproduzione bisogna alzarsi per cambiare lato. Ed è inoltre più costoso e ingombrante rispetto al formato digitale. Eppure il vinile è l’unico supporto fisico che al momento può contare su un gruppo di consumatori affezionati in espansione. In questa chiave di lettura il vinile è senz’altro un grottesco e fascinoso paradosso temporale. 67 68 5. Il giradischi Il giradischi è oggi un apparecchio elettronico composto essenzialmente da una struttura di base solida sormontata da un disco rotante sul quale viene poggiato il disco. Ruotando, ciò che è inciso nei solchi del disco viene letto grazie ad una particolare puntina collegata al resto della struttura per mezzo di un braccio mobile. La puntina decodifica ciò che è inciso nei solchi trasformandolo in segnale elettrico analogico. Questo segnale, attraverso le uscite del giradischi, viene inviato all’amplificatore e da qui agli altoparlanti. estratto del manuale di istruzioni del Technics SL-1200 che ne indica i componenti. 5.1 Anatomia dello strumento Il telaio del giradischi La base (o telaio) del giradischi poggia normalmente (ci sono diverse tipologie di telaio) su quattro piedini regolabili in altezza ed ammortizzati che servono a livellarlo sul piano dove dovrà prendere posto ed a stabilizzarlo da eventuali piccole vibrazioni 69 che potrebbe ricevere. A seconda del tipo di giradischi, il telaio può essere rigido o flottante. Il telaio rigido ha la caratteristica di essere particolarmente facile da regolare anche se, a differenza di quello flottante, è più sensibile alle vibrazioni e quindi, se non regolato ed installato a dovere, potrebbe portare alla generazione dell’effetto Larsen. Il telaio flottante è un tipo di telaio libero di muoversi e di ammortizzare quindi le piccole vibrazioni. Il telaio flottante, è composto da un telaio esterno e da un controtelaio interno disaccoppiato dal precedente tramite un sistema normalmente composto da molle (in realtà le modalità di disaccoppiamento sono molteplici facendo uso ad esempio di supporti in gomma o aria compressa). I giradischi a telaio flottante sono generalmente molto più costosi e particolarmente difficili da installare rispetto a quelli con telaio rigido. La difficoltà d’installazione fa si che spesso sia ritenuta una scelta migliore optare per un giradischi a telaio rigido, il quale può essere installato con precisione senza particolari problemi e quindi, suonare meglio senza bisogno di continui aggiustamenti e tarature. Al di sopra del telaio troviamo il piatto del giradischi che viene fatto girare trasferendogli il moto generato da un motorino elettrico. La trazione del giradischi Un aspetto molto importante del giradischi è la modalità di trasferimento del moto generato dal motorino elettrico al piatto che farà girare il vinile: migliore sarà la qualità della trazione tanto più il sistema sarà esente da vibrazioni. Possiamo considerare due differenti tipologie di trazione: la trazione a cinghia e la trazione diretta. La trazione a cinghia ha la peculiarità di permettere un buon isolamento dalle vibrazioni che il motorino, durante il suo funzionamento, produce. Il moto generato dal motore elettrico viene trasferito al piatto da una cinghia di diametro circolare o piatto. Questo permette di posizionare il motorino sia internamente al telaio che esternamente allo stesso; nel primo caso il motorino è posizionato sotto al piatto rotante e, tramite la cinghia, viene trasferito il moto del motore ad un sottopiatto che mette in movimento il piatto del giradischi. Nel secondo caso, quando il motore elettrico è posizionato esternamente al telaio, la cinghia trasferisce il movimento direttamente al piatto scorrendo sul bordo dello stesso. 70 La trazione diretta, invece, vede il motorino posizionato esattamente sotto al piatto e collegato a quest’ultimo direttamente, senza alcun elemento di trasmissione. Questa tipologia di trasmissione, se implementata a dovere, da ottimi risultati qualitativi in quanto non vede alcun elemento esterno ed elimina i problemi di usura, manutenzione e sostituzione della cinghia che deve trascinare il piatto del giradischi. Un esempio storico di ottima implementazione del sistema a trazione diretta è senza dubbio il Technics SL1210, lo standard utilizzato dai dj. Il braccio del giradischi Può assumere diverse forme ed essere costituito da differenti materiali con l’obbiettivo di renderlo il più possibile rigido e soprattutto leggero. Possiamo paragonarlo ad un tubo dove al suo interno scorrono i fili che portano il segnale elettrico alle uscite audio del giradischi. Tra questi, possiamo distinguere tre tipologie differenti: il braccio di lettura dritto, il braccio ad S ed il braccio di lettura tangenziale. Il braccio di lettura dritto permette di ottenere un braccio che abbia una massa (un peso) più bassa, in genere, rispetto agli altri due in quanto, semplicemente, la quantità di materiale che lo costituisce è minore. Il braccio ad S è così strutturato per tentare di ridurre il più possibile l’errore di lettura tangenziale ed al contempo essere ben bilanciato rispetto ai bracci curvi. Infine, abbiamo i bracci a lettura tangenziale; si tratta di bracci particolarmente articolati nonché costosi che promettono di annullare l’errore di lettura tangenziale in quanto permettono di spostare la puntina sul disco scorrendo sull’asta che li equipaggia. La testina del giradischi La testina, o fonorivelatore, è quel componente del giradischi che permette di trasformare in musica ciò che è stato inciso nei microsolchi del vinile. Senza addentrarci troppo in ambito elettrotecnico, possiamo definire il fonorivelatore come un trasduttore, un dispositivo cioè che permette di trasferire energia da un punto ad un altro alterandone alcune caratteristiche al fine di poter rendere questa energia sfruttabile in base alle nostre esigenze finali. Nel nostro caso, il dispositivo, viene sfruttato per convertire 71 l’energia prodotta dalle vibrazioni che si creano quando la puntina scorre nel solco del disco in segnale elettrico. Possiamo descrivere la testina come composta da una puntina o pick-up di diamante collegata al resto del corpo tramite un piccolissimo braccetto di materiale rigido chiamato cantilever ancorato al resto del corpo della testina tramite un fulcro siliconico che le permette così di oscillare liberamente. Le testine possono essere classificate in tre principali famiglie: “ MM” (Moving Magnet - Magnete Mobile), “MC” (Moving Coil - Bobina Mobile) e quelle dette a “riluttanza variabile” o “ferro mobile”. Testina MM Le testine a MM vedono il cantilever che sostiene un piccolo magnete libero di muoversi tra due piccolissime bobine fisse (se stereo, una bobina se mono). Il magnete posto all’estremità opposta della puntina vibra e quindi si muove, in base alla conformazione del solco nel quale scorre in modo da tale da creare un micro generatore elettromagnetico ed inducendo così una piccola corrente nelle bobine generata dal campo magnetico che si viene a creare. In base al movimento il campo magnetico aumenta e diminuisce generando così il segnale udibile tramite gli altoparlanti. Testina MC Questo tipo di testine, hanno un funzionamento pressoché inverso rispetto alle precedenti: in questo caso, troviamo le bobine posizionate sul cantilever dello stilo che si muovono all’interno di un campo magnetico fisso che viene modificato dal movimento generando così corrente. Le bobine che costituiscono questa tipologia di testina, sono costituite da avvolgimenti di filo sottilissimo che permette quindi di avere un peso inferiore rispetto alle testine MM con conseguente maggior reattività nel tracciamento del solco, quindi maggiore fedeltà audio e maggiore estensione in frequenza. A differenza delle testine MM la tensione di uscita generata con questo sistema è notevolmente inferiore (nell’ordine di poche centinaia di microVolt) in quanto gli avvolgimenti che costituiscono le bobine devono essere minimi per non appesantire troppo il tutto; ciò rende necessario pre-amplificare il segnale prodotto prima di poter essere prelevato dall’amplificatore. 72 Testina a riluttanza variabile Questa tipologia di testine (molto meno diffusa delle precedenti) hanno un elemento ferroso collegato al cantilever “immerso” in un campo magnetico creato da un magnete fisso; vibrando in base alla lettura effettuata dalla puntina sul disco, l’elemento ferroso, genera una sorta di “perturbazione magnetica” nel campo del magnete. Anche in questo caso, la variazione di campo magnetico permette di fornire il segnale elettrico. Le stilo (pick-up) Le stilo o puntina (in inglese pick-up) venivano originariamente costruite in acciaio o fibra con l’estremità appuntita che permetteva loro di affondare bene nel solco del disco. Essendo una delle componenti del giradischi più soggette ad usura, può essere sostituita all’occorrenza. Oggi, dopo aver sperimentato diversi materiali (quali ad esempio lo zaffiro) è stato riconosciuto come standard costruttivo il diamante. Lo stilo, come è facile intuire, è una delle parti più cruciali del giradischi in quanto rappresenta l’unico contatto della macchina col disco (tolto il piatto dove poggia). E’ la parte che si occupa di trasferire le proprie vibrazioni al resto del sistema e ci si aspetta che svolga questo compito con precisione per due motivi fondamentali: deve leggere fedelmente ciò che è inciso e non deve usurare il supporto (il vinile). profilo di una testina Shure M44-7 e descrizione delle sezioni che la compongono 73 Il cantilever Il cantilever è una sorta di “tubicino” che sostiene il pick-up di lettura. Nelle testine più commerciali ed economiche è costituito da alluminio o boro, in quelle più ricercate, possiamo trovare cantilever fatti da rubino, diamante, berillio o addirittura fibra di carbonio per le loro caratteristiche intrinseche di leggerezza ed allo stesso tempo di grande rigidità. 5.2 Il settaggio Peso di lettura: E’ semplicemente la forza con cui la testina appoggia il suo stilo all'interno dei solchi, generalmente con un peso che varia tra 1 e 2 grammi. Il costruttore segnala sempre una forza minima e massima ed è consigliato tenersi più vicini alla massima. Abbassiamo la leva di sollevamento del braccio, teniamo il braccio con le dita e mettiamo a zero l'antiskating. Ruotiamo il contrappeso fino a quando il braccio non resta perfettamente in equilibrio da solo, nello spazio tra il piatto ed il fermo del braccio stesso, in posizione perfettamente orizzontale. Ruotiamo quindi la ghiera numerata fino a segnare lo zero. A questo punto possiamo impostare la forza d'appoggio richiesta dalla testina che stiamo usando, normalmente da 1,5 a 2,5 grammi. Teniamo presente che pesi d'appoggio molto bassi fanno più danno di quelli superiori e che un peso maggiore aumenta la produzione di frequenze basse addolcendo il suono, mentre un peso inferiore sposta il bilanciamento timbrico verso l'alto, aumentando la sensazione di suono veloce e dinamico. L'antiskating (anti slittamento): La testina è sottoposta ad una forza centripeta che tende a "tirarla" verso il centro del disco. L'antiskating deve quindi esercitare una forza contraria, in modo da garantire un corretto equilibrio della testina. Generalmente si regola l'antiskating in modo tale che il suo valore sia pari alla forza di appoggio. 74 Il VTA Appoggiamo un disco sul piatto, appoggiamo la testina sui solchi e osserviamo se il braccio resta parallelo al disco, in caso contrario regoliamo l'altezza di conseguenza. Come regola generale è preferibile un braccio leggermente alto posteriormente piuttosto che uno impennato anteriormente. L'azimuth Guardando frontalmente la testina, questa deve essere perfettamente allineata in verticale con la superficie del disco, senza inclinazioni. L’inclinazione su uno dei due lati darebbe luogo ad un segnale differente per i due canali, oltre a causare possibili distorsioni. Con uno specchietto sul piatto, senza disco, appoggiamo lo stilo sulla sua superficie e, guardando la testina frontalmente, questa deve essere perfettamente perpendicolare alla sua immagine riflessa. Allineamento della testina In fase di incisione del vinile, il tornio viene fatto scorrere in maniera tangente al solco; sui giradischi con bracci standard avremo quindi un errore tangenziale della puntina nel seguire i solchi. Per risolvere questo problema si segue la teoria che prevede l'annullamento dell’errore tangenziale in due punti del disco, collocati all'incirca verso l'inizio e verso la fine del disco. Si può utilizzare uno strumento chiamato dima, fornita con il giradischi o una scaricata dal web. 75 La dima è composta da un reticolo di linee verticali ed orizzontali, con al suo interno due contrassegni evidenziati dove dovremo appoggiare lo stilo, facendo in modo che la testina sia allineata con le linee presenti sulla dima. Con lo stilo esattamente al centro del primo punto di allineamento, regoliamo la testina in modo tale che risulti centrata e parallela alle linee stampate sulla dima. A seguire, verifichiamo l'allineamento con il secondo punto, ruotando leggermente il piatto fino a centrarvi sul secondo riferimento. Se la testina non risulta allineata rispetto alle linee del secondo punto, dovremo tornare al primo punto modificando l'overhang spostando la testina longitudinalmente rispetto alla conchiglia e riallineando esempio di una Dima la testina. Dopo alcuni tentativi riusciremo ad avere un perfetto allineamento per entrambe i punti. 76 6. Il Setup Setup tradizionale per scratchare con il mixer collocato fra i due giradischi ruotati di 90° in senso antiorario per far sì che il braccetto non intralci l’esecuzione. I controlli principali sono: (a) il pitch control (b) testina connessa al braccetto (c) equalizzatore (d) adattatore 45rpm (e) start/stop piatto (f) controller volumetrici (g) crossfader (h) interruttori di linea “line switch” (i) selettori 33 o 45rpm 6.1 Il mixer Esistono sul mercato diversi modelli di mixer dedicati alla professione del dj\turntablist. La quantità dei controlli varia a seconda del modello. Ci sono mixer che integrano dsp per la gestione di sistemi digitali (es Serato o Traktor), questi spesso dispongono di pad programmati per suonare in tempo reale dei suoni, i cuepoint, immagazzinati in un laptop attraverso un software dedicato. I vari modelli possono differenziarsi anche in base alla tipologia della componentistica, in particolare abbiamo 77 diverse tipologie di crossfader (magnetici, innofader, etc) e le rispettive caratteristiche di taglio variano a seconda del modello. Ho preferito utilizzare come esempio il Rane TTM56 per l’essenzialità dei suoi controlli e per il suo utilizzo ampiamente diffuso nella comunità dei turntablist. illustrazione delle parti costituenti di un mixer Rane TTM-56 caratteristiche17: La selezione MODE permette di selezionare due tipologie di curva: MODE1 produce una risposta stereofonica tradizionale 17 Informazioni estratte dal manuale di istruzioni del mixer Rane TTM-56. 78 MODE2 produce un effetto di panning sinistra/destra E’ possibile regolare in modo continuo il CONTOUR di entrambe le curve, rendendo la curva di transizione morbida o brusca. L’interruttore CHANNEL REVERSE permette di invertire la posizione (sinistra o destra) di taglio del crossfader Il CROSSFADER MODE permette di scegliere tra due tipi di curve: MODE1 produce una risposta del crossfader classica da PGM1 a PGM2 MODE2 pone il taglio del crossfader quando questo è al centro (PGM1 e PGM2 sono spenti quando il crossfader è in posizione centrale) Ci sono controlli individuali del CONTOUR, ossia della curva di taglio, per entrambi i lati del crossfader. Il mixer dispone di ingressi e uscite ausiliarie controllabili indipendentemente Il FlexFx permette di assegnare al PMG1, PMG2 o entrambi un effetto loop in postfader. E’ possibile usare i controlli di volume o il fader con effetti di riverberi e delay. La regolazione WET/DRY permette di controllare la quantità di effetto. Equalizzazione a 3 bande per entrambi i canali. Con l’interruttore dedicato è possibile attivare o disattivare l’equalizzazione. Il meter permette una consultazione del livello di volume del master o dual mono. 79 facciata posteriore di un mixer Rane TTM-56 PMG1 e PMG2 hanno entrambi ingressi di linea o phono. Gli ingressi Phono1 e Phono2 hanno entrambi compensazione RIAA. E’ possibile collegare indipendentemente la messa a terra di entrambi i giradischi su due diversi connettori. Gli ingressi di Linea 1 e Linea 2 sono entrambi ingressi di linea sbilanciati. L’ingresso ausiliario può essere usato con una drum machine, campionatore o con l’uscita un altro mixer. L’ingresso microfonico è bilanciato, progettato specificamente per microfono dinamico. 80 Segue l’illustrazione delle curve di taglio possibili per i fader dei volumi e per il crossfader: Illustrazione delle curve di taglio di un crossfader in dotazione al mixer Rane TTM-56 (estratta dal manuale di istruzioni) 81 Illustrazione delle curve di taglio dei fader volumetrici in dotazione al mixer Rane TTM-56 (estratta dal manuale di istruzioni) 82 6.2 Disposizioni della console Ci sono diverse modalità per la disposizione degli strumenti. Ho elencato quelle più utilizzate e conosciute. La disposizione degli elementi varia a seconda delle esigenze pratiche dell’esecuzione. OLD SCHOOL: disposizione utilizzata agli albori del djing. I giradischi sono posizionati nella maniera descritta sul manuale di istruzioni. Dj come Steve Dee e Grandmaster Flash utilizzavano una disposizione di questo tipo. L STYLE: una modalità di disposizione resa famosa da alcuni membri della squadra di turntablist chiamata X-Men. Il vantaggio è la collocazione di entrambi i pulsanti di start/stop dei giradischi vicini al mixer. Disposizione usata da Rob Swift e Mr Sinister. 83 ONE-HANDED: Disposizione che avvantaggia i dj che preferiscono mixare utilizzando una mano piuttosto che due. Con questa disposizione dj Cheese vinse il primo DMC londinese. PHILLY-STYLE: Nato a Filadelfia alla fine degli anni Ottanta è diventata la disposizione standard dei turntablist. Ruotando di 90° entrambi i giradischi è più facile controllare i dischi, inoltre non c’è il rischio di urtare accidentalmente il braccio del giradischi. Disposizione introdotta da Cash Money, Jezzy Jeff e Roc Raider. 84 6.3 Interfacce sperimentali commerciali Pochissime interfacce in commercio hanno cercato di “sfidare” lo strumento convenzionale che abbiamo trattato fin ora. Nella figura 6.3.1 sono mostrate diverse idee sviluppate per lo scratching. Attigo è in linea di principio la simulazione di un giradischi su una superficie touch screen. I controlli del giradischi e una rappresentazione grafica del file suonato sono a disposizione del musicista che può interagire con lo strumento trascinando i file audio sullo schermo. Un grosso vantaggio è che si ha una rappresentazione visiva immediata del file interagendo così in modo diretto con essa e non attraverso lo schermo di un computer. In un setup normale, le due piattaforme touch screen e il mixer sono organizzati come nella disposizione tradizionale. Il DaScratch è simile all’Attigo per quanto concerne la rappresentazione visiva del file audio che anche qui è parte integrante dell’interfaccia, ma il modo di interagire è differente. La superficie di contatto rotonda ha diverse modalità, compresa quella di giradischi virtuale. Possono essere assegnate istruzioni particolari in specifiche aree della superficie sensibili al tocco in modo da modificare una serie di parametri tramite il software dedicato. I l Reactable è un nuovo strumento musicale sviluppato dal 2003. Non è specificatamente un controller per dj ma il modo in cui viene suonato ricorda lontanamente i movimenti eseguiti per controllare una console. Sono state sviluppate inoltre funzioni aggiuntive allo scopo di implementare l’apparecchiatura tradizionale dei dj. Molte interfacce di questo tipo sono state prodotte dalla Vestax, la quale ha commercializzato una serie di prodotti che estendono l’uso tipico di giradischi e mixer. Tre esempi sono mostrati in figura 6.3.1. Il QFO è un’interfaccia dal design unico nella quale sono stati combinati assieme un giradischi e un mixer. E’ stato progettato esclusivamente per lo scratch. Controller One è più esplorativo: ha dei pulsanti che consentono di variare rapidamente la velocità di rotazione a valori definiti, permettendo di suonare scale tonali (caratteristica che lo rende simile ad un campionatore). 85 Il Faderboard è stato commercializzato nello stesso periodo del Controller One. Non permettere il controllo dello scratch ma ha dieci faders e altri controlli ai quali si possono assegnare diversi parametri come pitch, filtri e campioni audio. Il dj, trovandosi maggiormente a suo agio manipolando i faders, trova in questa interfaccia uno strumento musicale che racchiude le caratteristiche di un mixer per dj unite a quelle di un sintetizzatore. Attigo DaScratch (Stanton) Reactable QFO (Vestax) Controller One (Vestax) Faderboard (Vestax) Figura 6.3.1 86 6.4 Interfacce sperimentali non commerciali Seguono una serie di interfacce sperimentali, non commercializzate (figura 6.4.1). Si tratta di prototipi mostrati nelle conferenze accademiche. Tutti i sistemi sono progettati per essere usati con un computer. Alcune interfacce estendono l’attrezzatura tradizionale, altre ne aumentano il controllo attraverso parametri innovativi, altre ancora sono sviluppate per riprodurre i files musicali in modo inedito. Beamish e collaboratori [Beamish 2003] hanno presentato un giradischi che utilizza un interfaccia con feedback aptici per guidare l’esecutore nelle pratiche di mixaggio con segnali derivati dall’analisi dell’informazione audio. In uno dei diversi esempi di tale sistema, chiamato D’Groove, ogni battuta di un ritmo viene accentuata da una vibrazione (“bump”) trasmessa attraverso il vinile. Un’ulteriore modalità di utilizzo è in grado di guidare il dj nella sua esecuzione di scratching aggiungendo una forza di resistenza al movimento del vinile. Il sistema D’Groove è composto da un software e tre componenti hardware:il giradischi, un controller del pitch e un fader motorizzato che sostituisce la puntina indicando la posizione corrente attraverso la durata del brano. Lippit [Lippit 2004] ha sviluppato delle interfacce che si integrano al sistema tradizionale aggiungendo nuove possibilità di controllo. La funzionalità principale del suo Lupa e 16padjoystickconroller è quella di aumentare le capacità del dj di creare suoni esclusivi attraverso il giradischi con un sistema in tempo reale che consente al turntablist di registrare, manipolare e riprodurre quei suoni durante l’esecuzione. Il 16padjoystickconroller è il secondo prototipo del progetto. Il sistema è costituito da un giradischi, un mixer, scheda audio, un laptop e un dispositivo di controllo. I suoni generati da giradischi e mixer sono campionati e manipolati con il laptop prima di tornare all’ingresso del mixer. Tutte le operazioni eseguite attraverso il laptop sono svolte per mezzo del dispositivo di controllo. Il software è stato scritto con max/msp. Fukuchi [Fukuchi 2007] ha presentato nel 2007 un sistema per lo scratch multitraccia. Le varie tracce sono disposte graficamente una sotto l’altra in un display touch sensibile al tocco. L’esecutore è in grado di scratchare toccando con le dita la 87 forma d’onda raffigurata nel display. La velocità e la direzione di riproduzione sono sincronizzate ai movimenti delle dita. Il prototipo prevede cinque tracce simultanee prive di controllo del volume. Il ColorDez di Villar [Villar 2007] permette al dj di preparare fino a sei tracce e ne consente il mixaggio di tre alla volta. I componenti del sistema sono: un programma che permette di caricare le tracce, visualizzarle e riprodurle ; un hard disk modificato (chiamato HDDJ) che permette la manipolazione tattile della velocità di riproduzione; un sensore wireless a forma di cubo, chiamato Cubic Crossfader, che controlla il volume delle singole tracce e permette al dj di mixarle in modi interessanti. D’Groove Figura 6.4.1 88 16padjoystickconroller Multi-Track Scratch ColorDez 6.5.1 DVS – Digital Vinyl Emulation Systems L’ultima grande rivoluzione tecnologia che ha cambiato radicalmente il mondo del djing è avvenuta con l’introduzione nel mercato dei sistemi digitali di simulazione del vinile (chiamati DVS, digital vinyl emulation systems). Per una comunità estremamente legata alla tradizione, come quella dei turntablist, un’innovazione del genere si fece largo con diffidenza. Molti dj veterani erano convinti che il nuovo sistema digitale avrebbe semplificato la loro professione fino a renderla banale. In modo particolare ritenevano che avrebbe potuto compromettere la formazione delle nuove leve, le quali, approfittando dei vantaggi offerti da tale strumento non avrebbero più studiato per lo sviluppo delle loro abilità. Rispetto ad altri sistemi digitali alternativi, come ad esempio i CDj, i DVS avevano una cosa in comune con il modello tradizionale: l’uso del vinile. Questi sistemi hanno permesso ai dj di continuare lo svolgimento della loro professione utilizzando lo strumento tradizionale. Non di meno, hanno risolto una serie di aspetti problematici connessi al peso, costo e inconvenienti tipici del mestiere connessi all’uso dei vinili. I sistemi DVS più utilizzati ad oggi sono il Traktor, il Torq e il più famoso: il Serato. 89 6.5.2 Serato setup di una console che utilizza il DVS Serato Scratch Live SL3 (Rane) Il Serato è composto da due vinili, il software dedicato (installato in un laptop), una piccola scatola nera con diverse uscite e una frusta di cavi rca. A prima vista il vinile del Serato sembra uguale ad un qualsiasi altro disco, osservandolo bene però si può vedere che le linee hanno tutte la stessa larghezza e non c’è nessuna variazione sulla densità dei solchi. Quando si prova a riprodurre un disco del Serato con il sistema digitale scollegato si può udire una lunga sinusoide di alta frequenza nota come segnale di controllo. Quando il sistema è invece connesso alla scatola nera collegata al computer il segnale sinusoidale svanisce e vengono riprodotti i suoni contenuti nel laptop che possono ora essere controllati e manipolati tramite questi dischi particolari. Il disco di controllo deve comunicare tre bits basilari di informazione al software: la velocità del disco, la direzione (avanti o indietro) e la posizione della puntina sulla superficie del disco. Il segnale di controllo è usato per comunicare la velocità e la direzione. Chi ha provato a suonare un giradischi sa che quando il disco rallenta il pitch cala e che quando accelera il pitch sale. Lo stesso accade con il dischi DVS. Quando il pitch del segnale di controllo aumenta o diminuisce, il software del Serato interpreta 90 queste variazioni di frequenza come un cambio di velocità, e la velocità del file audio che sta suonando cambia di conseguenza. Il segnale di controllo è usato anche per misurare la direzione in cui il disco è spinto. Per la precisione ci sono due segnali di controllo stampati in entrambi i dischi, uno per il canale destro e uno per il sinistro, che suonano entrambi la stessa frequenza (ragione per cui viene percepito un segnale unico). I due toni però sono leggermente sfasati. Il software, rilevando questo sfasamento, è in grado di dire che se il segnale nel canale destro è ritardato rispetto al segnale del canale sinistro allora il disco sta muovendosi in avanti. Per riconoscere il posizionamento della puntina nel disco, il Serato ha introdotto del rumore all’interno dei dischi di controllo. Questo rumore, che non può essere udito, varia costantemente, quindi la forma d’onda muta la sua forma in modo sempre differente per tutta la durata del disco. Il software del Serato riconosce queste variazioni e le usa per indicare molto precisamente dove è posizionata la puntina sulla superficie del disco. Questo significa che a seconda di dove il dj fa cadere la puntina suoneranno parti del brano differenti come se si stesse utilizzando un vero vinile. La comunicazione tra disco e computer avviene tramite la scatola nera (interfaccia SL3 Serato). interfaccia SL3 Serato (Rane) Questa è un convertitore ADC che manda informazioni digitalizzate sui cambiamenti del suono prodotto dai dischi al software. Il software traduce i dati in arrivo nei corrispondenti cambiamenti di posizione, velocità e direzione di un file audio digitale. Il dati sono poi incanalati nel mixer dove possono essere manipolati come un qualsiasi segnale audio analogico. 91 software Serato Dj v1.8.2 (Rane) Nella parte inferiore del software sono disposte le informazioni della traccia (nome dell’artista, titolo, ecc.); nella parte superiore invece si svolge l’azione. Sono rappresentati graficamente due cerchi bianchi chiamati “virtual decks”. Questi raffigurano la canzone mentre viene suonata sui giradischi uno e due; inoltre indicano i battiti per minuto (BPM), la lunghezza del brano e la posizione corrente di ascolto. Sopra ai cerchi bianchi si trovano degli interruttori che consentono l’impiego di diverse modalità di riproduzione: absolute (ABS), relative (REL) e internal (INT). In modalità ABS il disco è trattato come se fosse un vinile vero, decretando l’inizio della canzone al margine esterno del disco. Spostare la puntina in avanti significa avanzare rispettivamente con il brano riprodotto. Questo significa che durante una sessione la puntina potrebbe saltare, esattamente come avviene nel sistema tradizionale analogico. Per evitare questo inconveniente si può passare al sistema relative (REL), che registra i movimenti avanti o indietro del disco ma non la posizione della puntina. Questo è il sistema prevalentemente utilizzato durante i dj set in discoteca nei quali non sono richieste tecniche di turntablism avanzate. Infine, la modalità internal permette al dj di manipolare i brani utilizzando esclusivamente il computer, senza l’uso dei giradischi. 92 Questa modalità può tornare molto utile in caso di malfunzionamenti dei giradischi nel mezzo di un dj set. L’utilizzo dei sistemi DVS ha caratterizzato prevalentemente tre aree del mondo tradizionale del dj: il trasporto, l’acquisto e la manipolazione dei dischi. Nelle decadi precedenti all’introduzione di tali sitemi i dj spendevano ore a trasportare dischi da un luogo all’altro e passavano la maggior parte del tempo dei dj set con la schiena china alla ricerca del disco successivo da suonare. Il trasporto dei dischi era un problema notevole per i dj che dovevano viaggiare in aereo per lavoro o per sostenere le battles. Tasse maggiorate, furti, perdita di bagagli e danneggiamenti erano una realtà quotidiana. Dopo gli episodi dell’11 settembre, con l’intensificarsi dei controlli e con l’aumento dei costi, il problema del trasporto ha raggiunto picchi massimi. Con il digitale i dj potevano portare con sé intere librerie musicali all’interno di un laptop, coprendo una selezione musicale enorme. I sistemi DVS non hanno influenzato solo il modo in cui i dj trasportano la loro musica, ma anche il modo in cui la acquistano. Grazie al vinile digitale un dj ha bisogno solamente di due dischi per suonare i files all’interno di un computer. Un dj veterano da battaglia poteva avere all’interno della sua libreria anche 8 copie dello stesso disco, ora per riprodurre lo stesso brano su entrambi i giradischi basta semplicemente trascinare il files audio su entrambi i virtual decks. Inoltre, i files, a differenza dei vinili, non si deteriorano. Grazie ad internet i dj non hanno più la necessità di ricercare i dischi nei negozi specializzati e possono acquistare o procurarsi qualsiasi rarità stando comodamente a casa. E’ un dato di fatto che dall’introduzione dei sistemi DVS i dj acquistano meno vinili. Molta musica uscita di recente non è stata stampata in vinile e spesso accade che nel mezzo di una serata, per rispondere ad una particolare richiesta del pubblico, un dj possa connettersi ad internet e scaricare un brano per suonarlo al momento. Il modo stesso di fare dj set è cambiato negli anni ed oggi si tende a far durare un brano giusto il tempo di una strofa e un ritornello. Cambi così rapidi tra un pezzo e l’altro sarebbero complicati se non impossibili da sostenere con il metodo analogico. 93 94 PARTE II Il Disc Jockey nella storia 7. Il Dj nelle radio L’anno in cui la radio inizia la sua attività è il 1922, prima di questa data c’erano solo pochi scienziati ed hobbisti che si dilettavano ad esplorare il nuovo mezzo di comunicazione. Tra questi, il primo a trasmettere musica via radio fu Lee DeForest nel 1906, fu la sua invenzione del triodo a rendere possibile la radiodiffusione. Dal suo laboratorio nel Parker Building di New York riprodusse l’Ouverture di Guglielmo Tell. A modo suo fu il primo dj della storia. Dopo Lee DeForest ci fu il dottor Elman Meyers che nel 1911 trasmetteva un programma quotidiano di 18 ore composto unicamente da dischi. Qualche anno dopo, nel 1914 Sybil True conduceva un programma intitolato “the little ham program”. Sybil un giorno si recò in un negozio di dischi locale e prese in prestito qualche disco per cercare di aumentare gli ascolti specialmente da parte dei più giovani. I giorni seguenti vide che il suo programma influenzava le vendite del negozio di dischi dal quale si era rifornita. Gli ascoltatori si precipitavano a comprare il disco che Sybil aveva mandato in onda la sera prima. La nuova forza del mezzo di comunicazione stava iniziando a mostrarsi [Brewster 2014]. Nel 1920 iniziò a trasmettere la Kdka di Pittsbugh, prima stazione radiofonica commerciale autorizzata e pochi anni dopo si aggiunsero la Wwj di Detroit e la canadese Xwa. Le prime radio sono esclusivamente americane perchè qui il governo non assunse il monopolio del nuovo mezzo di comunicazione. La radio era intesa come un mezzo pubblicitario di massa, ragione per cui si occupava di intrattenimento 95 popolare. Nel marzo del 1922 gli Stati Uniti contavano 564 stazioni radio [Watson, Hill 2012]. Anche la BBC inizia a trasmettere in Inghilterra lo stesso anno ma il primo disco musicale andò in onda solo nel 1927 per merito di Christopher Stone. Il conduttore trovò diverse resistenze da parte della BBC prima di poter trasmettere un programma interamente incentrato sulla messa in onda di musica Jazz. Il suo format ebbe un enorme successo rendendo Stone una delle prime star radiofoniche. In quell’epoca le trasmissioni diurne erano riempite di notiziari, previsioni del tempo, lezioni su temi scientifici e culturali. Raramente si poteva udire l’esecuzione di un pianista o di un cantante. La sera si trasmettevano le dirette di sale da ballo o da concerto. Nel palinsesto il disco aveva un ruolo estremamente marginale, non solo, era visto con riluttanza. Il ministero del lavoro statunitense accordò licenze agevolate a quelle stazioni che non facevano uso di musica registrata, considerandola una forma di intrattenimento scadente e dunque non necessaria (affermazione in qualche modo giustificata dalla ancora scarsa qualità delle registrazioni) [Watson, Hill 2012]. Durante la Grande Depressione solo le grandi emittenti come NBC e CBS potevano permettersi di trasmettere musica suonata dal vivo, mentre le piccole stazioni si servivano del grammofono. La radio non retribuiva gli artisti che venivano riprodotti dai dischi andando a gravare sul loro lavoro. La American Federation of Musicians, un’associazione di categoria, iniziò una vera e propria crociata contro la radiodiffusione dei dischi. Nel 1941 la Ascap (American Society of Composers, Authors and Publisher) chiese un aumento delle royalty pari al 70% per compensare la perdita di profitto a scapito dei suoi associati derivante dalla radiodiffusione. Il primo agosto 1942 i musicisti dell’Ascap entrarono in sciopero. La AFM (American Federation of Musicians) proibì a tutti i suoi associati di incidere dischi fino a quando le stazioni radio non si fossero adeguate alle loro richieste. Per contrastare il potere della Ascap le stazioni radiofoniche unirono le forze e fondarono la National Association of Broadcasters, la quale creò una propria istituzione che si occupava della tutela del diritto d’autore, la Broadcast Music Incorporated. Durante il periodo dello sciopero fu impedita la trasmissione degli artisti associati Ascap, la quale vantava tra i suoi iscritti molti dei musicisti più acclamati 96 dell’epoca. Per questo motivo la BMI attirò principalmente le nuove leve e i musicisti di colore ai quali l’Ascap aveva impedito la possibilità di associarsi. Al termine dello sciopero l’Ascap ottenne un incremento delle royalty e la BMI aveva favorito la promozione di artisti provenienti da etichette indipendenti minori e di generi poco conosciuti come il Jazz e il Blues. Il termine DJ, ossia Disc Jockey, venne usato per la prima volta il 13 agosto 1941 sulla rivista “Variety” nella quale un giornalista scrisse «Gilbert è un disc jockey che canta sopra i dischi». Il termine “jockey” (letteralmente “fantino”) qui connota probabilmente una valenza negativa poiché viene spesso usato per riferirsi anche ad un imbroglione, un truffatore. Nel 1948, con l’invenzione del transistor, la radio divenne un oggetto alla portata di tutti. Le radio iniziavano a modellare il loro palinsesto sui gusti della gente e per la trasmissione musicale si affidavano sempre di più ai dischi. La figura del dj iniziava ad essere fondamentale. Martin Block fu uno dei primi protagonisti ad emergere per le sue doti carismatiche. Il suo programma chiamato “make believe ballroom” faceva uso massiccio di musica registrata e in soli quattro mesi conquistò quattro milioni di ascoltatori. I suoi annunci promozionali avevano aiutato a vendere 300 frigoriferi durante una bufera di neve. Se suonava un disco questo diventava un successo immediato, dote che gli conferì lo pseudonimo di “Re Mida della musica” [Segarini 2011]. La sua figura e il suo potere come disc jockey fecero sorgere nel mondo dell’industria musicale la figura del promotore discografico. Le etichette iniziarono a spedire le proprie novità discografiche ai dj più influenti al fine di ottenere una produzione radiofonica. Nel 1942 Billboard introdusse una classifica chiamata Harlem Hit Parade, tre anni dopo si iniziò a parlare di dischi “race” per fare riferimento ai dischi realizzati da musicisti di colore. Il termine, che aveva connotazioni razziste, fu sostituito nel 1949 con “rhythm’n’Blues”. 97 Dal momento in cui «una voce non ha colore» come sosteneva la rivista Ebony nel 1947, le stazioni radiofoniche iniziarono ad assumere dj di colore al fine di conquistare anche la fetta di ascoltatori afroamericani. Al Benson fu il primo dj nero a non utilizzare la parlata dei bianchi. Il suo slang conquistò la gente di colore che si identificava in lui e ne era orgogliosa. Oltre all’influenza musicale di questi dj la vera innovazione era data dal loro modo di parlare. Utilizzavano uno slang afroamericano, parlavano solitamente in rima e iniziavano a costruire i loro programmi come un vero e proprio show [Pecknold 2007]. Douglas “Jocko” Henderson conduceva da Harlem il suo 1280 Rocket utilizzando il rumore di un razzo per iniziare il programma e facendo spesso riferimento allo spazio e ai missili spaziali. Bill Brewster lo definisce come un « ritmonauta». Jacko dimostrò che il dj radiofonico poteva essere considerato un artista creativo. Il suo stile avrebbe avuto enorme influenza tra i dj dei sound system giamaicani che ne copiarono la parlata in rima. Il problema del razzismo negli stati uniti era ancora forte e la possibilità di condurre per i dj di colore era un’occasione rara. Paradossalmente venivano assunti per insegnare il loro slang ai dj bianchi che quando andavano in onda potevano adoperare la loro parlata per accattivarsi il pubblico nero [Brewster 2014]. Lo stesso termine R’n’B venne ribattezzato “rock’n’roll” da Alan Freed, un dj della Wjw che nel 1951 conduceva un programma chiamato The Moon Dog House Rock 'n Roll Party, come stratagemma per rendere accessibile quel genere di derivazione nera alla fascia più giovane della comunità bianca [Torres 1998]. Freed nel 1952 sfruttò il suo potere mediatico per organizzare il Moondog Coronation Ball, un concerto R’n’B che ebbe un successo dalle dimensioni inaspettate. Il luogo di tale evento, la Cleveland Arena, aveva una capacità di 10 mila posti. Alle 23.30 si contavano 25 mila persone, quasi tutte di colore. In seguito all’episodio la stampa locale, fortemente contrariata, iniziò una campagna per obbligare Freed a lasciare la città. La sua influenza commerciale era tale che se suonava un disco, il giorno dopo avrebbe venduto 10 mila copie. Tale potere era talmente forte da determinare l’insorgere 98 di una pratica denominata “payola”. Questa consisteva nella programmazione radiofonica musicale dietro compenso illecito ai conduttori da parte delle compagnie discografiche al fine di far affermare determinati dischi o prodotti sul mercato. Alan Freed fu uno degli indagati in una maxi inchiesta condotta nel 1959. Sebbene il fenomeno della payola fosse una realtà accertata, l’eccessivo accanimento dell’FBI nei confronti di Freed aveva motivazioni razziste 18. Secondo molti, l’inventore del rock’n’roll trasmettendo musica nera stava «traviando le menti dei giovani americani». Questo spiegherebbe la maggior severità della pena a lui riservata (500 dollari e sei mesi di reclusione) in confronto a altri colleghi ritenuti colpevoli ma mai giudicati, come Dick Clark. Quest’ultimo dichiarò successivamente che per merito di Freed e del rock’n’roll molti ebbero il primo vero contatto con la cultura afroamericana [Brewster 2014]. 18 Colleghi ritenuti colpevoli tanto quanto Freed dalle indagini dell’FBI subirono condanne decisamente più lievi o non vennero condannati affatto. 99 7.1 Il Dj nelle discoteche La figura del dj iniziò ad uscire dalle radio quando Jimmy Savile, un giovane americano con la passione per lo swing, decise di riprodurre la sua collezione di dischi di fronte ad un pubblico. Nel 1943 affittò una sala parrocchiale e fissò il prezzo d’entrata a uno scellino. La sua dotazione era composta da una pila di 78 giri e apparecchiatura di fortuna. Il precario sistema di amplificazione, costruito da un amico con materiale di recupero, finì per andare in corto circuito quasi subito ponendo immediatamente fine alla serata. Savile ci riprovò con un impianto più mobile e robusto, composto da un unico giradischi e altoparlanti da 6 centimetri. Il successo delle sue serate gli valse l’ingaggio da parte della Mecca Ballrooms 19, proprietaria di numerose sale da ballo in tutta l’Inghilterra, per portare in giro il suo spettacolo. Savile, per eliminare i silenzi tra un brano e l’altro, decise di impiegare un secondo giradischi, diventando l’artefice dell’idea che diede origine al djing odierno [Brewster 2014]. Nel 1960 il twist portò ad una rivoluzione culturale enorme. Il nuovo ballo era tanto disprezzato dai giornalisti quanto amato dai giovani e sicuramente contribuì ad abbattere le barriere razziali. Richiamava i movimenti delle antiche danze tribali ghanesi, la sua forza stava nella sua semplicità, poteva essere ballato senza partner e senza la conoscenza di passi specifici. Non bisognava più focalizzarsi sul proprio compagno di ballo ma ci si univa al divertimento collettivo, bastavano un disco e un dj. Questa nuova concezione del ballo riscrisse le regole che vigevano in pista dando origine alla concezione moderna della discoteca. Negli Stati Uniti la musica veniva fruita maggiormente per mezzo della radio, che qui era uno strumento di comunicazione privato, dunque libero. Al contrario, nel Regno Unito la radio era uno strumento governativo, di conseguenza l’unico modo per ascoltare musica americana era frequentare le sale da ballo. L’affermazione delle discoteche in Inghilterra fu merito di una sub cultura giovanile sorta alla fine degli anni Cinquanta, i mod. Provenivano da famiglie della classe operaia e adoravano ballare musica giamaicana e afroamericana. Il locale di riferimento per i mod era lo Scene, 19 Mecca Leisure Group, proprietari di diversi nightclub, hotel, parchi divertimento. 100 situato a Ham Yard a Soho. Si distingueva dagli altri locali per il dj che vi suonava, Guy Stevens. Accorrevano da tutto il paese per sentire la sua selezione di R’n’B, persino stars come Beatles, Eric Clapton o gli Stones frequentavano il locale [Brewster 2014]. Cavalcando l’onda del successo che stava ottenendo la club culture britannica, negli Stati Uniti iniziarono ad affiorare svariati locali appariscenti ed eleganti. Tra questi uno dei più frequentati era l’Arthur, nel quale suonava i dischi Terry Noel. Terry fu il primo dj a mixare i brani. Non si limitava solo alla selezione musicale, voleva gestire l’organizzazione di ogni cosa. Chiese al tecnico del suono dell’Arthur di realizzare altoparlanti che funzionassero indipendentemente l’uno dall’altro, con i controlli della frequenza separati in modo da poter gestire il suono a suo gusto. Stava offrendo alla gente uno show completo diventando un modello per le successive generazioni di dj. Come fa notare Brewster: «Quando il dj abbandonò le radio per scendere nell’arena del ballo, il suo lavoro era cambiato radicalmente. Ora non doveva più semplicemente selezionare musica e creare mode, ma dedicarsi alla risposta del pubblico. Ora che la relazione tra musica e pubblico era diventata interattiva, quest’ultimo costituiva parte dell’evento: in un certo senso il pubblico era l’evento e il dj aveva il compito di controllare il suo livello di divertimento». Nonostante la club culture fosse un fenomeno più radicato in Inghilterra rispetto che negli Stati Uniti, i dj inglesi rifornivano le loro selezioni musicali di dischi provenienti dal Nuovo Continente. Un legame reso ancora più solido dalle somiglianze sociali tra la classe operaia inglese e la comunità nera americana. Un’altra sottocultura che delineò un ulteriore modello per la figura del dj è quella del Northern soul, genere musicale sviluppato nel nord dell’Inghilterra e caratterizzato da ritmi veloci simile al soul di Detroit. Quando gli artisti della Motown smisero di produrre musica che soddisfacesse i canoni estetici dei dj Northern soul, questi iniziarono a scavare alla ricerca di dischi più rari. Questi dischi spesso erano gli insuccessi di gruppi di minore importanza, prodotti da piccole etichette indipendenti sconosciute dimenticati negli Stati Uniti e riportati alla luce nel nord dell’Inghilterra. La 101 figura del Northern soul ha trasformato il dj in un collezionista e intenditore di musica. Essendo la sua filosofia fondata sulla ricerca accurata delle rarità e non sulle hit del momento, il Northern soul tramutò il dj in un archeologo di reperti musicali. Gli appassionati avrebbero viaggiato chilometri per ascoltare quel particolare disco raro e la fama di un dj poteva decollare non appena fosse venuto in possesso di un particolare titolo introvabile. Uno dei dischi più rari e quotati dell’epoca era Do I love You? di Frank Wilson. Per salvaguardare l’esclusività della propria selezione musicale, i dj del Northern soul presero dai colleghi giamaicani l’idea di strappare o coprire l’etichetta dei dischi che suonavano, pratica chiamata cover-up. Quelle del cover-up era una delle tante innovazioni nate in Giamaica e destinate a diffondersi nelle abitudini dei dj di tutto il mondo. 7.1.1 Il Sound System In Giamaica nacque il concetto di sound system, ossia enormi impianti mobili di casse e amplificatori progettati per suonare musica all’aperto con più potenza possibile. Date le condizioni di povertà in cui versava la maggior parte della popolazione, pochi potevano permettersi l’acquisto di dischi da suonare a casa, questo permise ai sound system di radicarsi profondamente nella cultura dell’isola. Una delle prerogative del sound system era quella di costruire l’impianto più potente di chiunque altro. Questo obiettivo generò un’accesissima rivalità tra i dj dell’isola, i quali godevano di un altissimo sostegno popolare. Negli anni Sessanta si iniziavano ad organizzare degli scontri testa a testa, chiamati sound clash, nei quali i sound system rivali si disponevano l’uno di fronte all’altro per guadagnare la supremazia. La vittoria andava a chi possedeva l’impianto più potente e la selezione musicale migliore. La competizione portò allo sviluppo di tecniche, prassi e strategie nuove come quella di inserire un intervento vocale dal vivo nei momenti in cui i brani erano privi del cantato, sotto forma di rime e testi improvvisati che si rifaceva allo stile e al gergo usato dai conduttori radiofonici afroamericani. Dal 1956 in poi, per merito di Winston Machuki, non ci sarà più un’unica figura che mette i dischi e li 102 presenta al microfoni, i ruoli verranno suddivisi tra il selector e il deejay (termine qui utilizzato per definire lo speaker) [Henriques 2011]. Dj come U-Roy iniziarono a sovrapporre i propri testi su delle basi ritmiche prese da vecchi brani rocksteady dando alla luce hit dall’enorme successo commerciale. Generi quali reggae, ska, rocksteady nacquero come musica da suonare in un sound system. L’enfatizzazione delle frequenze basse in questi generi musicali deriva dal fatto che i grossi impianti suonavano in ampi spazi aperti, dove le frequenze più gravi tendevano a disperdersi con facilità a causa delle loro proprietà fisiche. I primi produttori di questi generi musicali non a caso erano tutti proprietari di un sound system. Quando il materiale proveniente dagli Stati Uniti non era più confacente al gusto del pubblico giamaicano, dj come Duke Reid e Coxone Dodd iniziarono a recarsi nelle sale di incisione alla ricerca di un sound più consono, diventando così anche produttori di brani esclusivi. Iniziarono a registrare versioni strumentali di famosi brani r’n’b americani ma aggiungendo alcune caratteristiche inedite, come il basso più accentuato e un ritmo di chitarra più shuffle. Queste registrazioni, chiamate version, venivano incise su un acetato per uso esclusivo del dj e non erano fatte per essere vendute. Il materiale di cui erano fatte era delicato e i solchi si logoravano dopo una quindicina di riproduzioni. Questi dischi di cera erano chiamati dubplate20. Essendo brani interamente strumentali, i dj potevano eseguire i loro interventi per tutta la durata del brano e non più solo nelle parti prive di cantato. Nel 1959 furono pubblicati i primi 45 giri destinati alla vendita, i dj iniziarono ad estendere il loro operato anche al campo della produzione di brani inediti aprendo i propri studi di registrazione. Con i dubplate un sound system poteva avere a disposizione una gran quantità di dischi esclusivi. La version era il punto di partenza per una nuova canzone alla quale venivano aggiunti la voce del dj e spesso altri elementi come chitarra ed organo. Il cuore di queste produzioni è costituito dal riddim, nel quale basso e batteria hanno un ruolo rilevante. Uno stesso riddim può venire riutilizzato in centinaia di brani diversi. Uno dei più famosi e usati è death in the arena, che ha preso la linea di basso dal brano funky donkey di Bernard Purdey (1968). 20 Il dubplate in genere fa anche riferimento al disco di acetato utilizzato negli studi di masterizzazione al fine di controllare la qualit; ed esaminare le incisioni prima del master finale. 103 Le versions evolsero e si svilupparono soprattutto per merito della tecnologia. In principio le incisioni venivano fatte su registratori ad una singola pista, in questo modo tutti gli strumenti e la voce erano registrati simultaneamente in presa diretta. Questo fino a quando Coxsone Dodd, di ritorno da un viaggio in Inghilterra, portò con se nuove attrezzature per il suo studio di registrazione, lo Studio One. Tra queste c’era un registratore a due piste che permetteva di incidere la parte strumentale indipendentemente da quella vocale, per cui ogni pezzo registrato allo Studio One poteva essere inciso senza la linea vocale. In questo modo la traccia ritmica poteva essere riutilizzata e modificata a piacimento realizzando infinite rielaborazioni dello stesso ritmo caratterizzate dallo stile e dall’ingegno del dj del momento. Duke Reid e il suo sound system Trojan alla fine degli anni Sessanta Il fenomeno delle version subì un’accelerazione ulteriore nel 1967 quando Ruddy Redwood, proprietario di un sound system, mise le mani su una particolare copia in acetato di un brano conosciutissimo, on the beach dei Paragons. La peculiarità di quella copia era che, per una svista del tecnico audio, mancava la linea vocale. In una serata, dopo aver fatto ascoltare la versione originale del brano, Redwood suonò la versione senza traccia vocale e la gente andò in visibilio intonando in coro i versi del brano. Il dj suonò il disco talmente tante volte nel corso della serata che il giorno dopo era inutilizzabile [Henriques 2011]. Dato il successo che ebbero le version tra il pubblico giamaicano, il genere smise di essere appannaggio esclusivo dei sound system e dal 1971 vennero stampati 45 giri con la versione strumentale del brano incisa nel lato B. 104 L’esigenza dei dj di avere dischi sempre più esclusivi gettò le basi per quello che diventerà il remix dance. 7.1.2 Disco music L a disco music fu alla base di alcune delle più radicali innovazioni nel modo di concepire, creare e consumare la musica. Cambiò radicalmente la fisionomia del club e della radio. Le canzoni venivano concepite per essere destinate alla pista da ballo, dovevano essere funzionali. Il dj con la disco iniziò ad acquisire le prime tecniche di mixaggio. La disco fece da sfondo ad un’epoca di cambiamenti sociali (legalizzazione dell’aborto, pillola anticoncezionale) che contribuirono a mutare l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti del sesso andando ad ammorbidire le rigide posizioni relative ai rapporti tra omosessuali. Fu, non di meno, la colonna sonora della fuga da una realtà fatta di guerra in Vietnam, crisi petrolifera e regressione economica. La notte del 21 giugno 1969, di fronte allo Stonewall Inn del Greenwich Village a Manhattan, ci fu un'accesa rivolta gay in seguito alla quale le minoranze composte da omosessuali, ispanici e neri si unirono per riscattarsi da anni di repressione e oppressione. La disco music era la voce di queste minoranze che ora non dovevano più nascondersi ed iniziarono ad affollare i locali notturni. La club culture ereditata dagli anni Sessanta e simboleggiata da locali come l'Arthur di New York non aveva ispirato nessun nuovo movimento musicale. Gravi episodi di cronaca misero bruscamente fine alle ideologie della comunità hippie e la musica si stava trasformando diventando sempre più riflessiva e meno ballabile. Il jet set e il suo seguito avevano abbandonato le discoteche lasciando un vuoto che sarebbe stato riempito da neri, ispanici e bianchi proletari facendo tornare la notte nelle mani delle classi sociali più basse. Nel periodo delle sommosse del Greenwich Village, poco distante dai luoghi degli scontri, c’era un locale chiamato Haven nel quale lavorava quello che è accreditato come il padre di tutti i dj moderni: l’italo americano Francis Grasso. Grasso cambiò radicalmente il rapporto fra il dj e il suo pubblico, introdusse tecniche e prassi che oggi utilizzano tutti i dj del mondo. Francis fin dall’inizio della sua carriera utilizzava una 105 tecnica chiamata beat-mix, la quale consisteva nella sovrapposizione della parte finale di una traccia con la parte iniziale di un’altra in modo che entrambe le canzoni suonassero sincronizzate. Non fu il primo ad utilizzare questa tecnica ma sicuramente era uno dei migliori a padroneggiarla riuscendo a far suonare due tracce sincronizzare, contemporaneamente, per più di due minuti. I giradischi che utilizzava Grasso all’epoca non erano dotati di pitch control, di conseguenza non era possibile aumentare o rallentare la velocità di un brano per farlo andare a tempo con l’altro 21. Una volta lanciato il disco non si poteva rimediare in caso di errore. I giradischi che utilizzava Francis erano dei Thorens TD125 con trazione a cinghia, fermare il disco con le mani avrebbe potuto deteriorarne il motore rompendo il giradischi. giradischi Thorens TD125AB utilizzati da Francis Grasso. Prodotti dal 1968 al 1975. Successivamente, per agevolare la tecnica del beat mixing, perfezionò lo slip-cue. Questa pratica, oggi di uso comune, consiste nell’applicare un disco di feltro (oggi è un panno elettrostatico) tra il vinile e il piatto metallico del giradischi. In questo modo, eliminando l’attrito, il disco poteva essere tenuto fermo con la mano mentre il piatto continuava a girare permettendo al dj di far partire il disco nel momento voluto. Francis scoprì questa tecnica vedendola usare da un dj radiofonico, Bob Lewis, e la utilizzò per migliorare ulteriormente i suoi mixaggi. Oltre all’invenzione e al perfezionamento delle prime tecniche da parti di pionieri come Francis Grasso, Micheal Cappello e Steve D’Acquisto, la rapida ascesa del dj da 21 Inoltre la musica che suonava era composta da musicisti e non da drum machines, di conseguenza il tempo dei brani aveva un margine di errore che ne rendeva difficile e imprevedibile il mixaggio. 106 discoteca fu possibile grazie alle innovazioni nel campo degli impianti audio. Un ruolo fondamentale lo ebbe Alex Rosner, un ingegnere che aveva impiego nell’industria militare. Per hobby conduceva esperimenti su impianti audio stereofonici assecondando la sua passione per l’alta fedeltà. Rosner costruì il primo sistema stereofonico al mondo destinato alle discoteche, prima di allora tutti gli impianti erano monofonici [Brewster 2014]. Successivamente iniziò a lavorare per la progettazione di impianti da discoteca. Lavorò anche all’Haven, dove realizzo il primo mixer stereo, un sistema molto rudimentale e poco preciso, soprannominato Rosie per via del suo colore rosso acceso. Rosner contribuì alla nascita del primo mixer disponibile per il pubblico, il Bozak 1971. Nella progettazione diede preziosi suggerimenti al suo inventore, Louis Bozak, in merito alle specifiche fondamentali che doveva avere un mixer da discoteca. «Finchè non arrivò il mixer di Bozak mi toccò “inventare la ruota”» ..«Ma aiutai Bozak a progettare il suo mixer; gli diedi consigli per migliorarlo. Aveva già un mixer a dieci canali, gli dissi che bastava fare delle piccole modifiche per trasformarlo in un mixer stereo da discoteca: ci riuscì al primo tentativo». Il prototipo di Bozak divenne lo standard industriale per i successivi quindici anni [Brewster 2014]. mixer Bozak CMA-10-2DL progettato da Bozak nel 1971 con i suggerimenti di Rosner. Un ruolo chiave nella definizione della figura del dj come lo conosciamo oggi lo ha avuto David Mancuso. Mancuso esigeva un’ottima qualità del suono. Non mixava i brani, sostenendo che i dischi vanno ascoltati nella loro interezza senza manipolarli. Il suo locale, il Loft (era effettivamente il loft nel quale viveva), era luogo di una serie di 107 feste private nelle quelli erano invitati solo amici intimi. All’ingresso si pagavano due dollari e cinquanta e nel prezzo erano compresi guardaroba, cibo e musica. Per Mancuso la qualità del suono era importante almeno quanto la selezione musicale, e lui curava nei minimi dettagli entrambi gli aspetti. Nel 1971 conobbe Rosner il quale si offrì di migliorare il suo sistema di ascolto. La fedeltà dell’impianto creato da Rosner al Loft divenne lo standard per le discoteche di tutto il mondo. Per la realizzazione dei suoi impianti d’ascolto Rosner faceva quello che nessuno aveva mai fatto, applicava le tecniche audiofile dell’alta fedeltà nella progettazione degli impianti da discoteca. Per raggiungere i risultati voluti sostituiva i componenti scadenti con quelli di migliore qualità, sapeva dove e come collocare gli altoparlanti per farli suonare al meglio. Mancuso e Rosner formarono un duo formidabile, il primo proponeva idee funzionali al miglioramento del suo lavoro e Rosner le realizzava materialmente. Il Loft all’epoca si serviva di altoparlanti Klippschorn (progettati da Paul Klippsh negli anni Venti e famosi per la loro semplicità e purezza del suono), composizioni di tweeter Jbl, giradischi Mitchell Cotter e testine Koetsu realizzate a mano (da un costruttore giapponese di spade per samurai) [Brewster 2014]. Nonostante conoscesse e sapesse usare le tecniche moderne di mixaggio la sua attitudine non prevedeva assolutamente la sovrapposizione dei brani. Lasciava sempre un po’ di spazio tra una canzone e l’altra suonandole dall’inizio alla fine, senza modificarne il pitch o l’equalizzazione. La sua abilità e caratteristica distintiva non consisteva tanto nel mixaggio quanto nella capacità di impiegare i dischi per raccontare una storia. Usava i dischi per comporre selezioni musicali che creassero stati d’animo in continuo mutamento. Ogni brano seguiva quello precedente in un’intensa narrazione musicale. Il suo Loft era un logo di aggregazione unico. C’era un mix di preferenze sessuali, razze e ceti sociali diversi. Aveva contribuito alla creazione di un ambiente in cui le barriere sociali e razziali non esistevano, dove il collante era la musica. La selezione dei suo brani era ricercatissima: suonava soul bianco, nero, afro-funk, brani strumentali e tutto quello che riusciva a esprimere sentimento, speranza, orgoglio e amore. 108 giradischi Mitchell Cotter B1 utilizzati da David Mancuso I dj erano in grado di rendere popolare un brano portandolo al successo. Come dice Vince Aletti in un articolo apparso sul Rolling Stone del 12 settembre 1973: «I migliori dj da discoteca sono star underground che scoprono album precedentemente ignorati»…«Essendo più vicini ai repentini cambiamenti di gusti musicali della gente, questi dj sono i primi a riflettere tali mutamenti nella musica che suonano». Le basi della club culture odierna si fondando sulle innovazioni e intuizioni di questi artisti visionari ai quali tutti i dj odierni devono qualcosa. 7.1.3 Il Dj Hip Hop A pochi passi dal Loft di Mancuso e dell’Heaven di Grasso si stava compiendo un’altra rivoluzione al termine della quale il giradischi si trasformò da dispositivo di riproduzione a vero e proprio strumento musicale. Ci troviamo nel Bronx, uno dei quartieri più violenti al mondo. Kool Herc, dj di origine giamaicana, doveva organizzare una festa per far sì che la sua sorella minore potesse acquistare nuovi vestiti per andare a scuola. Kool Herc prese in prestito lo stereo dal padre, lo fece modificare da suo fratello e selezionò le migliori novità funk, soul e rock per un discreto gruppo di invitati. La festa fu un successo e non meno importante rappresentò un momento di evasione dai continui episodi di violenza che 109 caratterizzavano il quartiere. Herc continuò a organizzare feste nel Bronx, il suo sound system stava guadagnando potenza e la sua collezione di dischi iniziava a prosperare. Nei suoi eventi Herc volle ricreare uno spazio sicuro per i partecipanti, era attento a far si che i momenti di violenza fossero evitati in ogni modo. Il motto che ben rappresentava lo spirito di quelle feste era “peace, love unity and hanving fun”. Ancora una volta la musica diventa uno strumento di evasione dalla realtà dei problemi quotidiani. Le feste si svolgevano prevalentemente nelle palestre locali o in strada prelevando la corrente allacciandosi abusivamente ai lampioni pubblici. I dj del Bronx spostarono la musica dalle discoteche alle strade permettendo a tutti di poterne fruire. La popolarità di Kool Herc e delle sue feste lo resero il dj dominante del Bronx. Fu lui ad introdurre negli Stati Uniti il concetto di sound system replicandone la formula dal modello nato in Giamaica. Come a Kingston anche nel Bronx i dj organizzavano competizioni chiamate “battles” (battaglie) che ricalcavano i sound clash giamaicani [Marshall 2009]. I dj studiavano le apparecchiature usate dai sound system rivali, i loro dischi e tecniche usate, impiegando ore di lavoro per assemblare impianti sempre più potenti. L’attrezzatura veniva recuperata in ogni modo possibile, dall’immondizia o dalle macchine abbandonate, e successivamente modificata per essere funzionale alla costruzione dei sound system. Nelle battles la reputazione di un dj poteva essere costruita o distrutta in una sera, potevano essere conquistati o persi territori in cui suonare, si potevano inventare, perfezionare o collaudare nuove tecniche. Nessuno diventava ricco grazie alle battles, raramente la posta in palio erano i soldi. Più verosimilmente il vincitore si accaparrava il mixer o il giradischi del dj rivale. Ma più importante dei beni materiali era la conquista della fama. La concezione delle battles cambiò nel 1976 quando si iniziò a pensare che un dj doveva distinguersi non tanto per la musica che suonava, quanto per il modo in cui la suonava. La tecnologia in questa transizione ebbe ancora un ruolo essenziale. Quando al termine degli anni Sessanta furono introdotti nel mercato i primi giradischi a trazione diretta e i primi mixer specifici, i dj poterono iniziare ad espandere il loro repertorio tecnico. Dj come Kool Herc o Africa Bambataa erano più concentrati sui singoli frammenti musicali, suonando solo la parte di un brano che ritenevano funzionale al loro scopo. Erano meno preoccupati di come quei frammenti fossero collegati tra loro e spesso il risultato era un 110 susseguirsi stridente di generi, ritmi, timbri e stati d’animo diversi. Herc, come Mancuso, era solito suonare il disco dall’inizio alla fine. Il ballo in questo contesto era di primaria importanza e qui era strettamente connesso al concetto di break. Il break è un breve assolo di percussioni, tipicamente situato nel mezzo o alla fine di un brano funk. Il suo potere era quello di far muovere letteralmente le persone. Era durante questi frammenti percussivi che i ballerini potevano sfoggiare i loro passi migliori definendo a poco a poco un nuovo genere di ballo. Questi ballerini si chiamavano B-Boys e B-Girls (dove la B sta per Breaks). I breaks più famosi si potevano trovare in brani come “Mary Mary” (1967) dei Monkees, in "Rock Steady” (1971) di Aretha Franklin, “It’s Just Begun” (1972) di Jimmy Castor Bunch,in “The Mexican” (1972) di Babe Ruth, in “Take Me to the Mardi Gras” (1975) di Bob James, in “Walk this Way” (1975) degli Aerosmith e il più famoso di tutti che è sul brano “Apache” (1973) degli Incredible Bongo Band. Questo nuovo modo di ballare non sarebbe potuto fiorire senza l'intervento del dj dal momento in cui questi frammenti erano estremamente brevi. In origine per far ripartire i breaks si utilizzava la tecnica del needle dropping che consisteva nel rilasciare la puntina sul solco esatto del disco in cui ricominciava il frammento desiderato. Quando ancora i mixer dedicati al disc jockey non erano disponibili in commercio i dj avevano affinato molto bene questa tecnica riducendo al minimo i tempi di silenzio tra le ripetizioni del break e raggiungendo una precisione quasi chirurgica nell’individuare il solco su cui far cadere la puntina. Il primo mixer per dj disponibile in commercio era quello progettato nel 1971 da Rosner e prodotto da Bozak, il Bozak CMA-10-2DL, molto pesante e costoso (intorno ai mille dollari), usato in diversi club di Manhattan tra i quali l’Heaven di Francis Grasso. Non aveva il crossfader e gli slide che troviamo nei mixer moderni ma una fila di diciannove manopole montate sulla sua facciata verticale. I primi modelli non erano venduti nei negozi e anche se fosse solo pochi dj potevano permettersene uno. Un altro mixer molto ambito era il Clubman 2, introdotto nel 1975. Rispetto al precedente mixer di Bozak il Clumban aveva gli sliders al posto delle manopole ed era munito di un 111 crossfader orizzontale. Anche se più economico del Bozak era comunque inaccessibile a molti dj. Per mixare i brani senza avere interruzioni tra un pezzo e l’altro, prima di poter mettere le mani su un mixer, i djs del Bronx ricorrevano a vari stratagemmi. Ad esempio, due dj si disponevano ai lati opposti di una stanza e quando un brano stava per giungere al termine venivano fatti dei segnali di luce con una torcia elettrica per avvisare l’altro dj che prontamente si preparava a lanciare il disco successivo [Katz 2012]. Quando nel 1975 dj Grandmaster Flash riuscì ad avere il suo primo mixer (un Bozak 1971) iniziò a studiare un sistema per collegare i breaks senza perdere la battuta in modo che gli ascoltatori e i ballerini non avrebbero sentito interruzioni nella musica. Aveva già a disposizione l'equipaggiamento necessario: due giradischi Technics SL-23, un mixer e due copie dello stesso disco. La sua intuizione fu la seguente: per controllare meglio il suono bisognava toccare il disco. Questo principio violava un taboo vecchio come l’invenzione del fonografo, si sarebbe dovuta infrangere la consuetudine che imponeva di non toccare mai la superficie del disco come le mani. Era permesso toccarlo solamente dai bordi se non lo si voleva contaminare con le impronte delle dita. In origine Grandmaster Flash si accorse che mettendo la mano sul disco era possibile far si che il piatto continuasse a girare mentre il disco restava fermo e dunque non veniva riprodotto alcun suono. Quando la mano veniva rilasciata dal disco ecco che la musica partiva. Per realizzare tale pratica era indispensabile sostituire il disco di gomma posizionato sopra il piatto metallico del giradischi con un panno di stoffa che non facesse attrito. In questo modo il panno permetteva al disco di essere tenuto fermo con la mano mentre il piatto metallico continuava a girare. Il panno poteva essere ricavato da qualsiasi materiale a portata di mano. La tecnica dello slipmat, già utilizzata da dj come Francis Grasso con finalità differenti, servì a Grandmaster Flash per compiere un passo successivo. Tenere un disco fermo nello stesso punto non era sufficiente, bisognava sapere in che punto esatto del disco cominciava e finiva il break. Grandmaster Flash allora toccò nuovamente il disco e vi tracciò con una matita due linee sull’etichetta. Le due linee avevano origine al centro del disco: la prima corrispondeva all’inizio del break e la seconda alla sua conclusione. Da questa intuizione Flash sviluppa quella che chiamerà 112 “clock theory”. Con l’etichetta del disco rivolta verso l’alto vi ha tracciato a matita le suddivisioni che usiamo per leggere l’ora e le sue linee fungevano da lancette per vedere a che “ora” iniziava il break e a che “ora” finiva. Grandmaster Flash ora aveva il necessario per ripetere un break a loop. La sua idea, chiamata Cutting o Backspinning, è schematizzata come segue: mettere due copie dello stesso disco sui giradischi con entrambe le puntine posizionate all’inizio del break. far scorrere il crossfader nella posizione di sinistra, in modo da far suonare il giradischi 1. utilizzando i segni sull’etichetta come guida, suonare il disco sul giradischi 1 dall’inizio del break. mentre il giradischi 1 sta suonando, avviare il giradischi 2 tenendo fermo con la mano il disco in modo da non far scorrere la puntina, e quindi, senza farlo suonare. nel momento esatto in cui il break suonato dal giradischi 1 finisce, muovere rapidamente il crossfader verso destra e far partire il disco del giradischi 2. mentre il break sta suonando dal giradischi 2, ruotare manualmente il disco sul giradischi 1 fino al punto d’inizio del break e tenere fermo il disco in quel punto con la mano. nel momento esatto in cui il break suonato dal giradischi 2 finisce, muovere rapidamente il crossfader verso sinistra e far partire il disco del giradischi 1. continuare a piacimento In questo modo il break poteva suonare ininterrottamente all’infinito. raffigurazione della clock theory di Grandmaster Flash dove la linea rossa rappresenta la demarcazione dell'inizio del break e quella blu la sua conclusione 113 Alcuni dj volendo rendere questa prassi più spettacolare agli occhi del pubblico iniziarono a fare delle piroette tra un cambio e l’altro o a muovere il crossfader facendo passare il braccio dietro la schiena o sotto le gambe, oppure utilizzando i gomiti o il naso. Questi movimenti virtuosistici, chiamati “body tricks”, possono ricordare alla lontana un Mozart che suonava il pianoforte bendato o Jimi Hendrix che suonava la chitarra con i denti [Katz 2012]. giradischi Technics SL-23 a doppia cinghia utilizzati da Grandmaster Flash. Prodotti dal 1976. Nel 1975 Grandmaster Flash frequentava un dj chiamato Gene Livingstone. Il fratello dodicenne di Gene, Theodore, passava molto tempo a utilizzare i giradischi e nonostante la giovane età padroneggiava molto bene la tecnica del needle drop. Guardando lo spessore dei solchi era in grado di capire dove iniziava una parte di break. Il suo nome entrerà nella storia per l’invenzione di una tecnica che rivoluzionerà l’utilizzo dei giradischi. Se Edison inventò accidentalmente il fonografo, si può dire che Grand Wizzard Thoedore reinventò, anch’egli per caso, l’uso del giradischi. In un giorno d’estate stava suonando in casa dei dischi a volume eccessivamente alto. Aveva la mano ferma sul giradischi sinistro pronta ad essere rilasciata per far iniziare il brano seguente quando irruppe nella stanza sua madre a intimargli di abbassare il volume. Mentre la madre lo rimproverava, per non perdere la battuta, Theodore iniziò a muovere ripetutamente avanti e indietro la mano sul disco di sinistra. Non si era accorto che il crossfader era al centro così poté udire il suono che stava generando muovendo la mano sul disco. I dj non avevano mai mosso un disco in quel modo per non danneggiare 114 i solchi e la cinghia del giradischi. Il suono che aveva prodotto quel gesto mai osato prima venne chiamato scratch. Theodore non era stato sicuramente il primo a generare quel suono con un disco. Quando i dj si preparavano ad entrare con un nuovo brano in battuta spostando leggermente avanti e indietro il disco avevano già udito qualcosa di simile. Ma Theodore fu il primo a vedere in quel suono un potenziale e fu il primo ad introdurlo al pubblico come nuova forma musicale [Katz 2012]. . Mentre gli altri dj fino ad allora utilizzavano il giradischi esclusivamente come strumento di riproduzione musicale, Grandmaster Flash e Grand Wizzard Theodore lo avevano trasformato in uno strumento per fare nuova musica. Ci si può chiedere cosa significhi un’affermazione del genere e come una tale trasformazione effettivamente abbia luogo. Quasi tutto può potenzialmente diventare uno strumento musicale. Una tavola zigrinata utilizzata per il lavaggio dei panni se sfregata o percossa può diventare uno strumento musicale percussivo, dei cucchiai con il dorso rivolto l’uno sull’altro possono diventare anch’essi uno strumento musicale a percussione. Sia la washboard che i cucchiai, ed ora il giradischi, sono oggi utilizzati come strumenti associati alle pratiche musicali dalla comunità afroamericana. Ma il giradischi presenta un caso più complesso. A differenza di washboard e cucchiai nasce per riprodurre musica. Di norma però non è la persona che suona il disco ad essere l’autore della musica che sta suonando, la musica è già stata fatta e ne sta avvenendo una riproduzione attraverso un lettore musicale. Questo è il motivo principale per cui le persone spesso hanno difficoltà ad identificare nel dj un musicista che suona uno strumento musicale. Il senso comune lascia intendere che chiunque sappia porre un disco su un giradischi, adagiare la puntina e premere il tasto di avviamento. In che modo questo rende il giradischi uno strumento musicale? Ma Grand Wizzard Theodore e Flash stavano facendo più di questo. Come ogni strumentista stavano creando e manipolando suoni in tempo reale. Quando Flash escogitò un modo per ripetere una sequenza ritmica all’infinito manipolando i dischi, o quando mentre un brano stava suonando nel giradischi sinistro sovrapponeva dei brevissimi fraseggi di fiati riprodotti con il giradischi di destra, lui non stava semplicemente riproducendo un disco. Stava creando qualcosa di nuovo e lo stava facendo in quel preciso momento. 115 C’è una differenza tra un oggetto che viene trattato come strumento e uno che è identificato e accettato come tale. La trasformazione di un oggetto in uno strumento musicale è il processo di un insieme di atti che coinvolgono un’intera comunità. Non penso esista un paradigma per determinare la “strumentalità”, ma penso che un oggetto possa essere considerato uno strumento quando: prevede la manipolazione del suono in tempo reale ha un suono caratteristico distintivo possiede un corpus di tecniche e gesti sviluppati specificatamente sia esso stesso un oggetto progettato o sviluppato per fare musica il suono generato è ritenuto come musicale da una comunità di ascoltatori Come si è già visto i dj manipolano il suono in tempo reale. Il giradischi, come tutti gli strumenti tradizionali, ha il suo repertorio di tecniche idiomatiche. La sola tecnica dello scratch è suddivisa in un’enorme quantità di varianti, quella inventata da Theodore si chiama “baby scratch”, esistono poi il crab, tear, flare, transformer etc. Anche le tecniche più elementari richiedono attenzione nella posizione della mano, un buon orecchio e moltissima pratica. Lo sviluppo di queste tecniche ha portato alla formazione di un suono distintivo che successivamente aiuterà a definire il giradischi uno strumento musicale. Il suono dello scratch è fortemente connotato al giradischi esattamente come il suono di un rullante è associato immediatamente alla batteria. A differenza degli altri strumenti però, un giradischi non ha solo il suo suono ma può riprodurre perfettamente anche il suono di qualsiasi altro strumento riproducendone semplicemente la registrazione. Questo è un vantaggio ma allo stesso tempo non rende immediatamente chiaro se ciò che si sta udendo derivi da una registrazione o sia frutto di una creazione in tempo reale. C’è una sconnessione dal rapporto di causa-effetto, mancano le prove visive del rapporto diretto che si crea tra il musicista e lo strumento che suona. Prove immediatamente chiare quando un chitarrista suona le corde della chitarra o un pianista preme i tasti del pianoforte. Parte della questione deriva dal fatto che il giradischi non nasce come strumento musicale. Si può comunque affermare che 116 non tutti gli strumenti musicali nascono come tali, come le già citate washboard o i campanacci. E nonostante le washboard o i campanacci potessero essere suonate come strumenti nella loro forma originaria, i musicisti iniziarono a modificarli per ottenere gli scopi desiderati. Un processo simile ha luogo con il giradischi. In principio i dj utilizzavano quello che avevano a disposizione, dopo iniziarono a fare una serie di modifiche sullo strumento: hanno sostituito il panno di gomma 22 con uno splipmat, hanno iniziato ad appesantire il braccio del giradischi per far si che la puntina non saltasse mentre facevano scratch, hanno modificato gli altoparlanti per enfatizzare le basse frequenze. Solo più tardi i produttori di equipment iniziarono a conformare le loro attrezzature in risposta alle esigenze dei dj. Furono aggiunti più controlli per i giradischi, le puntine furono adattate per lo scratch, i mixer furono completamente ridisegnati e vennero introdotti sistemi digitali per completare ed estendere il lavoro delle macchine analogiche. Avere tecniche idiomatiche, un suono caratteristico e un design specializzato non è abbastanza per definire un oggetto uno strumento musicale. Serve anche il verdetto di una comunità di ascoltatori che riconosca universalmente i suoni prodotti da quell’oggetto come musica, decretando l’oggetto stesso uno strumento per fare musica. Se Grand Wizzard Theodore mette un disco nel giradischi e si siede ad ascoltarlo, il suo giradischi è un apparecchio di riproduzione musicale. Se prima di sedersi decide di improvvisare qualche battuta di scratch ecco che lo strumento si trasforma da apparecchio di riproduzione a strumento musicale nel giro di pochi secondi. Se il giradischi soffre di una forma di crisi d’identità è perché effettivamente è entrambe le cose. Data la sua schizofrenia, o forse Schizofonia, sorprende constatare come il giradischi sia evoluto nel raggiungere la sua identità di strumento musicale mentre diversi altri strumenti introdotti nel ventesimo secolo siano in gran parte scomparsi. Un altro fattore che ne ha facilitato il successo è la semplicità: l’essenzialità della sua interfaccia offre un infinito numero di possibilità musicali. Macchine come il Technics 1200 o i migliori modelli di Vestax e Numark sono estremamente robusti, richiedono poca manutenzione e possono subire urti senza danneggiarsi. Si può pensare che il 22 Un giradischi è fornito di un robusto disco di gomma, sul quale adagiare il disco, posizionato sopra il piatto metallico. La tecnica dello slipmat prevede appunto la sostituzione di questo disco con uno di stoffa (oggi viene utilizzato un materiale antistatico) per ridurre l’attrito del disco. 117 giradischi sia stato adottato perché negli anni settanta era piuttosto facile da reperire. Non è del tutto vero. Un giradischi era uno strumento relativamente costoso e non tutti potevano permetterselo. E’ pur vero che molte famiglie ne possedevano uno ma nella maggior parte dei casi questi giradischi erano inadatti per utilizzo che ne facevano i dj. In sostanza esistevano modi più semplici per accedere al mondo della musica. La sola presenza del giradischi non spiega il motivo della proliferazione della cultura dei dj. La ridefinizione del giradischi come strumento musicale è avvenuta perché un qualcosa riguardante il giradischi aveva colpito un gruppo di adolescenti del Bronx. In primis il potenziale illimitato di esplorazione sonora offerto dal mezzo forniva uno sbocco creativo per una ricerca nuova. Nelle mani di un dj il giradischi poteva diventare uno strumento di trasgressione, di protesta. Semplicemente toccare la superficie di un disco violava un taboo universalmente riconosciuto, e i dj toccano i dischi nei modi meno ortodossi possibile. Lo scratch è la massima espressione della trasgressione dei dj. Scratchare un disco significa danneggiarlo, è una tecnica che deteriora il suo stesso mezzo. Una forma di vandalismo che possiamo ricondurre a quella del graffitismo, altro fenomeno nato nel Bronx nello stesso periodo. Mentre i graffitari firmavano il paesaggio con il proprio nome, i dj usavano il giradischi per caratterizzare con la loro identità il paesaggio sonoro della città. I dj hanno preso una tecnologia data per finita e l’hanno manipolata per renderla funzionale ai loro scopi. Possiamo definirli inventori? Sicuramente se affianchiamo le loro innovazioni alle invenzioni di Edison la definizione stride. Lo storico Rayvon Fouché parla di “black vernacular technological creativity” [Fouché 2006] per analizzare l’approccio della comunità afroamericana con la tecnologia; rapporto caratterizzato da un impiego innovativo dei materiali e basato su un’estetica nera che potremmo definire “tecnologia di stilizzazione”. L a black vernacular technological creativity deriva dalla resistenza alle tecnologie pre-esistenti per includere tecniche di appropriazione strategica dei materiali al fine di consentire agli afroamericani di recuperare differenti livelli di operatività tecnologica. Ci sono due modalità di black vernacular technological creativity: riconcezione e ricreazione. Come spiega Fouché, la riconcezione implica la ridefinizione della tecnologia in un impiego che ne trasgredisce le funzioni designate e le intenzioni dominanti, senza 118 necessariamente alterare la tecnologia stessa. Il dj ha ri-concepito il giradischi, originariamente designato come apparecchio di riproduzione, per renderlo uno strumento musicale. I dj hanno anche ricreato il giradischi, alterandolo fisicamente per soddisfare le loro pratiche e necessità estetiche. Un esempio interessante è quello di dj Ivan “Doc” Rodriguez, il quale sentiva l’esigenza di riprodurre un disco al contrario mentre la tecnologia nativa dei giradischi lo impediva. Prese un giradischi economico e rimosse la testina incollandola sul lato superiore del braccetto in modo che la puntina fosse rivolta verso l’alto e non più verso il basso. Successivamente tagliò a metà il cartone di un rotolo di carta igienica e lo adagiò sopra il perno del giradischi in modo da elevare il disco al di sopra della puntina. Ora, dal momento in cui il disco stava sopra alla puntina e non sotto, la progressione dei solchi procedeva in senso antiorario ed il suo obiettivo era raggiunto. I giradischi di oggi permettono di far ruotare il disco in senso antiorario premendo un tasto, ma quando le tecnologie non erano disponibili i dj dovevano ingegnarsi. L’italiano Dj Keyone ricorda: «Ai tempi eravamo tutti un po’ inventori. Ricordo che sul mio primo mixer sprovvisto di crossfader montai uno dei cursori del volume ruotato e modificato affinché assolvesse alle stesse funzioni di un fader. Modificare la strumentazione era pressoché obbligatorio per riuscire a suonare come si desiderava e in merito a questo ricordo poi gli esperimenti per modificare le curve di taglio, ad esempio, o gli interminabili warm up a cui sottoponevo le puntine> [Keyone 2016]>. Quella che potrebbe essere considerata una soluzione rapida e disordinata per aggirare una lacuna in realtà è una riconcezione e ricreazione radicale di una tecnologia secolare. Lo stesso Grandmaster Flash ha definito il suo approccio al mixaggio come “clock theory” affermando recentemente «io sono uno scienziato prima di qualsiasi altra cosa» [Grandmaster Flash 2009]. GrandWizzard Theodore parla dei suoi continui test ed elaborazioni sulle tecniche di scratch allo scopo di « farne una scienza» [Fricke 2002]. Doc Rodriguez vantandosi delle sue modifiche tecnologiche le definisce innovative. Dj Steve Dee descrive il beatjuggling, una tecnica complessa di mixaggio introdotta alla fine degli anni Ottanta, in termini di formule ed equazioni e chiamava 119 “laboratorio” il luogo in cui si esercitava. Per i dj l’innovazione ha un ruolo centrale e la tecnologia è il veicolo attraverso il quale potevano evolvere. 7.2 Il Dj come produttore Nella tarda metà degli anni Ottanta, da una costola del djing hip hop, è nata una nuova forma d’arte: quella del produrre strumentali (in gergo beats). Ci sono evidenti differenze tra la figura del producer e quella del dj, questi ultimi performano dal vivo maneggiando dischi di fronte ad un pubblico, mentre i producers compongono in studio di registrazione, spesso lentamente e faticosamente, utilizzando campionatori digitali, drum machines, sintetizzatori e computer. La figura del producer è stata generata da quella del dj come sua evoluzione o estensione. La maggior parte dei produttori prima di comporre beats erano dj. Nel periodo delle prime registrazioni di brani hip hop, dal 1979 al 1985, il dj aveva una scarsa presenza in studio. In principio i dj erano sostituiti dai musicisti, successivamente iniziarono ad essere utilizzate drum machines e campionatori digitali. La figura del dj e la sua utilità in studio di registrazione stavano andando lentamente alla deriva. Nel 1985, un dj proveniente dal Queens di New York, Marley Marl, introdusse una nuova tecnica di campionamento che rinnovò l’interesse per la figura del dj all’interno degli studi di registrazione. Marl stava utilizzando un campionatore E-Mu Emulator quando vi catturò il suono della registrazione di un rullante preso da vinile. Si accorse, suonando i tasti del campionatore, che poteva ricostruire una struttura ritmica diversa da quella originaria del brano dal quale aveva campionato. A quel tempo i campionatori venivano programmati con una serie di suoni che gli utenti potevano modellare e personalizzare per le loro composizioni ma non erano progettati con lo scopo di campionare registrazioni esterne [Katz 2012]. Marl stava esplorando un territorio mai varcato, introducendo nuove importanti possibilità di componimento. Poteva riprodurre con un campionatore le tecniche di backspinning che eseguivano i dj dal vivo campionando una traccia di batteria registrata su vinile per ricostruirne ex novo la struttura ritmica. Nel 1986 divenne il primo producer hip hop a campionare e riconfigurare un break 120 utilizzando l’inizio di “impeach the President” degli Honeydrippers (1973) per comporre la strumentale di “the bridge”. L’innovazione di Marley Marl può essere considerata un abuso creativo della tecnologia. Il modo in cui si usa la tecnologia non è influenzato unicamente dalle sue limitazioni, ma anche dalla storia e dall’estetica della comunità che la usa. Quando i produttori hip hop hanno messo mano sui campionatori avevano già a disposizione un decennio di tecniche sviluppate dai dj. Inoltre, le canzoni dalle quali campionavano erano le stesse che i dj avevano suonato per anni. Quando Afrika Islam si approcciò al producing, riferendosi al suo campionature E-MU SP1200 disse: «non avevo mai usato un SP1200 prima, ma conoscevo tutti i breaks che avevo programmato perché ero un dj e la mia fornitura di dischi era illimitata. Ho solo dovuto imparare a tradurre quello che già sapevo fare utilizzando il campionatore» [Coleman 2007]. La figura del dj, essendo testimone in prima persona dei gusti musicali che meglio si addicono al pubblico, poteva trasferire questa conoscenza nella produzione di musica nuova. Per moltissimi produttori l’esperienza come dj è stata la principale forma di educazione musicale, attraverso la quale hanno potuto familiarizzare con una vasta gamma di musica, imparando a smontare e rimontare i brani. Alcuni, come ad esempio Dj Premier -dj e produttore del gruppo Gangstarr e autore di alcuni dei migliori lavori che il genere possa vantare- sostengono l’importanza del valore della tradizione nell’approccio alla produzione: «La mia mentalità da dj è ciò che mi ha formato e che mi tiene produttivo nei canoni dell’hip hop per come lo conosco io. Le cose che trasmettono alla radio oggi, le hit, le top ten, so di cosa si tratta e proprio non è il mio stile. Non devo fare quelle cose. Io lo faccio nel modo tradizionale. Qualcuno deve occuparsi della tradizione; come avviene per la musica country, devono esserci al mondo un Hank Williams o un Patst Clines» [Premier 2011]. Come suggeriscono le parole di Premier, la consapevolezza e la fedeltà alla tradizione sono valori centrali nel mondo del produttore hip hop. 121 Nello studio del campionamento possono essere definiti tre aspetti principali: l’aspetto estetico, relativo alla dichiarazione del contenuto audio campionato (vale a dire la scelta del suono giusto); l’aspetto filosofico o musicologico dell’utilizzo di musica pre-registrata per comporne di nuova; e gli aspetti legali derivanti dall’utilizzo di musica coperta da copyright. Oswald [1985] e Cutler [1994] definiscono il campione audio come un dispositivo compositivo e strategico. Oswald spiega che i dj usano campioni per una necessità compositiva dovuta alla mancanza di altri strumenti che meglio si adattano alle loro esigenze, mentre Cutler vede nell’uso dei campioni una protesta contro la cultura istituzionale della musica. Hesmondhalgh [2006] suggerisce che le correnti norme sull’uso del campionamento scoraggiano molto la creatività musicale per il timore di sanzioni economiche. Le leggi sono ancora più sfavorevoli per molti dei musicisti che vengono campionati dal momento in cui alcuni di questi provengono da tradizioni musicali meno affermate o che non sono coperti dal diritto d’autore o troppo di nicchia per schierarsi contro grosse etichette discografiche. Cito l’esempio di Kathleen Firrantello -figlia del musicista Joe Farrel- che nel 2008 ha istituito un procedimento legale nei confronti dei produttori Kanye West, Method Man, Redman, Common e altri artisti hip hop per aver utilizzato (campionato) una porzione del brano “Upon this rock” senza approvazione. Firrantello chiese un risarcimento danni per 1 milione di dollari e pretese che venisse cessata la vendita dei suddetti brani usciti senza diritti [Billboard 2008]. Ci sono convenzioni, regole non scritte, per quanto riguarda il campionamento nell’hip hop, e i produttori tendono ad attenersi a tali regole. Per esempio, la tradizione vuole che la fonte dei campioni sia il vinile. Le fonti possono provenire da qualsiasi autore e genere ma i brani più campionati appartengono alla musica Jazz, Soul, Blues, Funk, Folk, Rock progressive e colonne sonore. Non è ben visto campionare da compilation, da musica recente o campionare dall’hip hop stesso. I più integralisti rifiutano l’utilizzo dei pacchetti di librerie commerciali preconfezionate. Molti produttori sono restii a dichiarare pubblicamente l’origine di un campione per mantenerne la segretezza. Più rara è la fonte e meno saranno le possibilità che lo stesso campione sia già stato utilizzato da qualcun altro o possa essere riutilizzato. La ricerca 122 delle fonti e lo stile nella ri-programmazione dei campioni contribuiscono alla creazione del suono caratteristico di un produttore. Tale ricerca può durare anni. E’ pratica comune non limitarsi ad una sola fonte per la realizzazione di un beat, possono essere impiegati più vinili combinando insieme frammenti diversi per la realizzazione di un’unica strumentale 23. La scelta del valore dei battiti per minuto, BPM, è condizionata dal fatto che nella maggior parte dei casi queste composizioni sono destinate alle esecuzioni dei rappers. La maggior parte oscillano prevalentemente tra i 70 ed i 100 BPM. Le prime produzioni hip hop erano caratterizzate da ritmi più veloci e serrati. Nel corso degli ultimi vent’anni il metronomo si è progressivamente rallentato. Alcuni producer tendono a lasciare il campione originale esteso per anche 4 battute senza riorganizzarne la struttura, limitandosi a variarne il pitch per adeguarlo al ritmo scelto; ad esempio: “Mama Said Knock You Out” (1990) di LL Cool J campionata dal producer Marlay Marl da “Trip to Your Heart” (1967) di Sly & the Family Stone, batterie prese da “Funky Drummer” (1970) di James Brown e cori presi da “Chicago Gangsters” (1975) dei Gangter Boogie. “Worst Comes to Worst” (2001) dei Dilated Peoples campionata dal producer Alchemist da “I Forgot to Be Your Lover “ (1969) di William Bell. “Outlive the Wat” (2006) Jedi Mind Tricks campionata dal producer Stoupe da “noi siamo Zingarelle” (1853) di Giuseppe Verdi Altri produttori preferiscono campionare brevissimi frammenti, o, attraverso la tecnica del chopping, stravolgere completamente il campione originale rendendolo irriconoscibile; ad esempio: “Full Clip” (1999) dei Gangstarr campionata da Dj Premier da “Walk on By”(1969) di Cal Tjader. “Bolo By Night” (2004) di Inoki campionata da dj Shocca da “Jessica“ (1969) di Herbie Hancock 23 Strumentale, produzione, beat sono usati come sinonimi 123 Il s i t o di ri fe ri m e nt o pe r l ’i de nt i fi c a z i one de i c a m pi ona m e nt i è www.whosampled.com , composto da una vastissima libreria che permette l’ascolto del brano originale con accanto la versione campionata. Come nella pratica del djing, nella quale la scelta dell’attrezzatura si è confinata ad una manciata di marche, anche in questa sue estensione si è finito con l’adottare solo alcuni modelli di campionatori che sono diventati un riferimento comune. Tra questi ci sono: Akai s950, MPC2000xl, MPC60, MPC3000, E-Mu SP1200, EMU ASR-X, Ensoniq Mirage. Queste macchine, utilizzate fin dagli albori dell’hip hop, hanno contribuito a delineare un suono caratteristico che ancora oggi viene ricercato attraverso il loro utilizzo. L’impiego ai giorni d’oggi di questi campionatori ormai datati è superfluo, numerosi software gratuiti o commerciali possono sostituirne l’utilizzo mantenendo e arricchendo le possibilità creative. Ciononostante molti produttori continuano ad utilizzare i vecchi campionatori riconoscendo nel loro suono caratteristico un modo per mantenere viva la tradizione restando fedeli al suono originale e originario. Tra gli strumenti più recenti in commercio troviamo l’ MPC Renaissance (Akai) e il Maschine (Native Instruments), entrambi interfacciabili via USB con un computer. L’atto di ricerca delle rarità in vinile è definito dai produttori “ digging in the crates”, o abbreviato: “digging”. Il termine, tradotto come “scavare nelle cassette” deriva dal fatto che i negozianti di dischi usati erano soliti disporre la loro merce all’interno delle cassette di legno o plastica destinate al trasporto della frutta. Il fenomeno del digging ha contribuito a mantenere vivo il mercato dell’usato del disco. Il producer è un collezionista di dischi attento alla discografia che sceglie in base alle sue esigenze creative. Per i suoi acquisti si rivolge particolarmente alle fiere, ai negozi specializzati o alle aste on-line. 124 8. Uso creativo del giradischi Gli usi creativi del giradischi nella musica contemporanea hanno una storia ben più lunga dello scratch. I primi esperimenti per creare musica servendosi di un fonografo iniziarono nel 1915 e furono portati avanti nelle tre decadi successive da Stephan Wolpe, Paul Hindemith, Ernest Toch, Percy Grainger, Edgar Varese, Darius Milhaud e Laszlo Moholy-Nagy. Nessuno di questi compositori era un turntablist e nessuno di questi ha mai scritto composizioni per giradischi. L’uso che facevano del giradischi i compositori sopracitati non prevedeva la composizione o esecuzione musicale attraverso la manipolazione del mezzo (o del disco) tramite una serie di tecniche specifiche convenzionali. Quindi, gli studi delle opere di tali autori fanno più riferimento al disco come mezzo di riproduzione piuttosto che al modo in cui esso veniva utilizzato. Un articolo di Palombini [2003] descrive come Pierre Sheaffer abbia usato il giradischi per comporre étude aux chemins de fer nel 1948 dando inizio alla sua Musica Concreta. Nonostante i primi lavori di Cage e di altri compositori prima di Scheaffer aprirono la strada all'uso del giradischi per lo più come strumento di riproduzione in una composizione, egli viene solitamente menzionato dalle bibliografie dedicate alla storia del dj come il primo compositore ad aver manipolato campioni sonori in modo analogo a quello dei turntablist. E' bene dire che il concetto di “musica concreta” introdotto da Sheaffer è il risultato di una manipolazione dei nastri tanto quanto del vinile e le sue pratiche sarebbero state implementate con buona probabilità anche senza l’uso del grammofono. Imaginary Landscape No.1 (1939) di John Cage fu la prima composizione pubblicata avente il giradischi come strumento all’interno dell’organico orchestrale. Fu scritta per pianoforte, cimbalo cinese e due giradischi. I dischi che dovevano essere suonati erano un Victor 84519 e un 84522. Si tratta di dischi da 78rpm contenenti tracce di singole frequenze audio usate per eseguire test acustici o per la calibrazione degli impianti. 125 Nello specifico: Victor 84522B= sinusoide di 1000 Hz suonato a 78rpm; sinusoide di 433 Hz se suonato a 33rpm (durata di circa 6 minuti) Victor 84519B= 200 Hz a 78rpm; 84 Hz a 33 rpm (durata di circa 6 minuti sul lato opposto al precedente) Victor 84522A= un continuo glissando da 1000 Hz a 30 Hz a 78rpm; da 4273Hz a 13 Hz. Durante l’esecuzione veniva sollevata e ricollocata la puntina nei vari punti del disco a ritmi precisi e la velocità del grammofono veniva alternata da 78rpm a 33 rpm creando una serie di glissando simili al suono di un theremin [Cage 1939] . Un altro artista che agli inizi degli anni Ottanta ha utilizzato il giradischi in modo decisamente creativo è Christian Marclay. Egli non era interessato alla musica contenuta nei dischi ma piuttosto al modo in cui poteva essere manipolato il mezzo per creare suoni totalmente nuovi. Ha scoperto ed esplorato il concetto di loop quando era studente universitario a Boston nel 1978. Mentre stava percorrendo a piedi una strada particolarmente trafficata, vide sul ciglio della strada un disco malconcio che probabilmente più di una macchina aveva impunemente investito. Incuriosito decise di prenderlo e suonarlo. Essendo malridotto, la puntina saltava copiosamente. Fu proprio questo aspetto a colpire Marclay. Saltando, la puntina creava interessanti figure ritmiche e suoni caratteristici. Marclay decise di ricreare l’effetto applicando sulla superficie del disco pezzi di nastro adesivo in modo da far saltare la puntina a intervalli desiderati[Kahn 2003]. Questo è dunque l’aspetto che forse accomuna Marclay, Cage e Grand Wizard Theodoro. Tutti loro hanno sentito un disco fare qualcosa di inconsueto e senza sottrarsi ne sono stati ispirati per la ricerca di nuovi orizzonti sonori, ognuno caratterizzato dal proprio contesto e dalla propria personale visione e necessità espressiva. Per diversi aspetti Jazz e turntablism sono partner naturali. Il primo esempio è la già citata collaborazione tra Hancock e Grandmixer D.ST. Il giradischi infatti è uno strumento estremamente versatile capace di creare in tempo reale timbri, texture e ritmi 126 di ogni genere. Rob Swift, che ha collaborato sia con il tastierista di Jazz fusion Bob James - compositore del brano pluricampionato “Take Me to the Mardi Gras”- che con il sassofonista Dave McMurray, vede una forte affinità tra i turntablist e i musicisti Jazz: «Quando suoniamo non abbiamo difronte un leggio con la composizione musicale da seguire. Noi suoniamo dal cuore e abbiamo un approccio alla musica da autodidatti. Impariamo osservando le altre persone, ci istruiamo reciprocamente, tu sai cosa ha fatto quel dj e cerchi di imparare rifacendo quello che ha fatto lui. Penso che questo tipo di approccio sia simile a quello che hanno i musicisti Jazz » [Katz 2013]. Entrambi i gruppi tendono a imparare la loro arte nello stesso modo, tramite l’osservazione e il confronto reciproco. Entrambi danno estrema importanza alla conoscenza dei loro patrimoni musicali storici, dei loro capostipiti e delle pietre miliari. Il Jazz non ha sempre goduto di ottima fama: nei suoi primi giorni è stato giudicato essere più rumore che musica nonché una grave minaccia per la morale e la sensibilità delle nuove generazioni. Sorte che successivamente toccò anche al turntablism e al genere musicale che ne ha dato origine, l’hip hop. Non tutto il mondo del Jazz è favorevole ad abbracciare il turntablism o a riconoscervi una lontana parentela o somiglianza. Al dj Kid Koala fu impedito di esibirsi ad un festival Jazz perché gli organizzatori non riconoscevano il giradischi come uno strumento musicale. Anche musica classica e turntablism hanno avuto un episodio di collisione nella storia della musica. Il 2 ottobre del 2005 la distanza tra questi due mondi si è annullata quando sul palco della Carnegie Hall si sono esibiti insieme un dj ed un’orchestra sinfonica per eseguire un brano chiamato “Concerto per Turntables”, di Raul Yanez con dj Radar come solista. L’orchestra era composta dagli studenti di alcune delle scuole di musica più prestigiose del Paese. Molti di loro, complice la giovane età, non avevano mai sentito suonare un giradischi. Radar venne subito accettato e gli venne riconosciuto il titolo di violinista onorario: «come un violinista la tecnica di un turntablist è incentrata sul come produrre il suono e sul come modellarlo» nota Young Kim, una delle strumentiste dell’orchestra 127 « Il principio è lo stesso di ogni altro strumentista: il controllo delle articolazioni, del volume e del tono dello strumento» [Kim 2005]. Al momento dell’esibizione la sala era insolitamente gremita di gioventù. Kim ricorda «Non avevo mai visto così tanti giovani ascoltatori al Carnegie Hall! E’ stato bellissimo poter suonare per un pubblico della nostra stessa generazione che muoveva le mani ed era estremamente partecipe alla nostra esecuzione». Per Yanez non era strettamente necessario scrivere su spartito la parte di dj Radar. Era stata studiata appositamente per lui e i due erano d’accordo sulle linee guida generali da seguire dando per scontata una buona dose di improvvisazione per il dj. Radar insistette per avere la sua parte completamente annotata in modo che la sua esecuzione potesse essere risuonata da qualsiasi altro dj. L’opera finale di Yanez somigliava in diversi aspetti alla forma di un concerto classico. Aveva i tre movimenti caratterizzati dal tipico veloce-lento-veloce e una cadenza alla fine del primo movimento in cui il solista avrebbe dovuto improvvisare sul tema introdotto precedentemente. Inoltre, i temi dei primi due movimenti ritornavano nel finale. Quello di “Concerto per Turntablist” non è stato un caso isolato. Nel 1999, uno studente di composizione della McGIll University di Montreal, per la sua tesi, ha composto un altro brano per orchestra e dj dal titolo “RPM for Large Ensamble and Solo Turntablist” [Lizée 2000]. Per molti turntablist l’esigenza di scrivere su pentagramma una notazione dedicata è strettamente legata alla ricerca di legittimare il giradischi come strumento. Un modo per assicurare allo scratch un posto nella storia della musica scritta. Nel periodo in cui Radar e Raul Yaner stavano collaborando per la realizzazione del loro concerto altri dj stavano iniziando a sviluppare sistemi di notazione per turntablist chiamandoli “ scratch notation” o “turntablature”24. 24 Per un approfondimento sui sistemi di notazione dei dj consultare il capitolo 8.3 128 8.1 Diffusione delle Battles Il suono dello scratch è stato diffuso e reso noto al grande pubblico per la prima volta nel 1983 grazie ad un famoso brano di Herbie Hancock, “Rock it”. Il dj che vi suonò è Grandmixer D.ST e grazie a alla popolarità di Rock it una generazione si avvicinò a qualcosa che non aveva mai visto prima. Non era tanto la sua diffusione radiofonica ad essere stata cruciale, il suono degli scratch poteva già essere udito in diverse canzoni precedenti all’uscita di Rock it. Herbie Hancock eseguì il brano dal vivo in occasione dei Grammy Awards di MTv del 1984, in questo modo gli ascoltatori poterono finalmente scoprire come quei suoni venivano generati; molti di questi, rimanendone impressionati, iniziarono ad approfondire il fenomeno. Nei primi anni Ottanta la scena delle battaglie tra dj si espanse significativamente. Queste divennero molto comuni e andavano formalizzandosi integrando la presenza di giudici di gara. Le aziende produttrici di equipment per dj iniziarono a fare da sponsor nelle sfide fornendo premi in apparecchiatura. Le gare iniziarono ad essere registrate e filmate per essere vendute ad un pubblico di fan e aspiranti dj provenienti da tutto il mondo. Nel corso di tutto il decennio le battles tra dj divennero un affare internazionale promosso su scala globale. Nella fase di divulgazione ebbero cruciale importanza gli eventi organizzati dal “new music seminar battle for world supremacy” e dal DMC world championship, che trasformarono radicalmente il fenomeno. Tom Silverman, produttore discografico fondatore della Tommy Boy, etichetta che produsse i primi dischi di Afrika Bambataa, nel 1980 inaugurò insieme ad alcuni partner il primo New Music Seminar al quale parteciparono centinaia di musicisti e discografici legati a diversi generi musicali. L’anno successivo Silverman organizzò la prima competizione tra dj, chiamata Battle for World Supremacy. Il NMS ha incoronato alcuni dei più famosi e rispettati dj del mondo come Jazzy Jeff (1986), Dj Cash Money (1987), Dj Steve Dee (1990) e Mixmaster Mike (1992). L’evento fu svolto dal 1981 al 1994, facilitando la creazione di un’altra serie di battaglie internazionali, il DMC World Championships, le cui sfide sono state centrali per la diffusione del fenomeno in tutto il mondo per oltre un quarto di secolo. 129 L’inglese Tony Prince fondò le battles del DMC inspirandosi al New Music Seminar di cui era un frequentatore. Quando Prince viaggiava dall’Inghilterra fino a New York per frequentare i seminari di Silverman, ebbe modo di vedere una gran quantità di approcci differenti al djing. Notò in modo particolare che i dj erano più concentrati nella pratica dello scratch rispetto a quella del mixaggio (in controtendenza a quello che avveniva nel suo Paese). Quando l’anno successivo dj Cheese, il vincitore del NMS, partecipò al primo DMC di Londra fu l’unico a scratchare. Gli altri concorrenti arrivavano prevalentemente da generi come house e dance limitandosi a mixare brani in modo più o meno innovativo. Dj Cheese fece qualcosa che nessun altro aveva mai fatto prima, posizionò entrambi i giradischi alla sinistra del mixer. Tenendo la mano destra sul crossfader del mixer, con la sinistra muoveva rapidamente i vinili nei due giradischi, come se fosse un giocoliere che faceva ruotare due palline. La folla londinese non aveva mai visto nulla del genere ed esplose proclamandolo vincitore. La routine 25 di Cheese segnò l’ingresso dell’hip hop nel DMC [Katz 2012]. Dal 1990 la Technics iniziò a sponsorizzare il DMC premiando i vincitori con un’edizione limitata placcata in oro di un Technics SL1200, che divenne immediatamente il simbolo del più alto riconoscimento e prestigio auspicabile per un dj da battaglia. Nel 1992 la partecipazione alle sfide venne espansa non più solo ai singoli ma anche ad intere squadre di dj. Le battaglie si svolgevano in brevi round eliminatori testa a testa in aggiunta a routine lunghe sei minuti eseguite in forma di showcase che ogni concorrente svolgeva in successione. Contemporaneamente il fenomeno si espanse anche geograficamente con tornei regionali previsti in dozzine di paesi. Il NMS e il DMC sono le battles più importanti, ne esistono altre relativamente minori organizzate dai produttori di equipment, come ad esempio l’ITF (International Turntablist Federation) organizzata da Vestax. In generale ci sono due tipologie di battle: il testa a testa e lo showcase. Il testa a testa risale ai primi periodi, quando i dj si scontravano l’uno contro l’altro in forma diretta. Successivamente le battles si sono andate formalizzando e questi testa a testa ora 25 Per routine si intende una composizione studiata, non improvvisata, nella quale il turntablist si esibisce nell’uso di svariate tecniche 130 coinvolgono due turntablist che svolgono uno dopo l’altro una routine di fronte ad una giuria la quale decreta il vincitore che può procedere al turno successivo. Queste eliminatorie continuano fino ad incoronare il campione. Nei testa a testa i turntablists si alternano in routine di circa due minuti l’una, mentre nella versione showcase hanno sei minuti a testa. In entrambe le tipologie di gara la maggior parte degli organizzatori fornisce giradischi e mixer (spesso sponsorizzati da brand di settore) mentre il dj è tenuto a portare le proprie puntine, panni e cuffie. Caratteristica fondamentale è che le routine non prevedono l’improvvisazione, si tratta di composizioni create e memorizzate dai dj per l’occasione. Ogni routine deve essere unica e originale, i dj non devono e non possono copiare gli avversari o utilizzare gli stessi dischi di un altro. L’originalità è dunque la virtù più importante. La regola numero 4 di una di queste competizioni, la Gong Battle, dice: «è severamente vietato rubare o riprodurre la routine di un avversario. La pena è la squalifica da parte della giuria. E’ consentito tributare o mostrare un’influenza particolare ma la riproduzione di una routine già eseguita e l’utilizzo degli stessi dischi (fatta eccezione per l’uso di dissing) è vietata, pena l’eliminazione» [Roc Raida 2008]. Nonostante le routine debbano essere uniche e originali presentano alcuni elementi comuni. La maggior parte è costituita da scratch e beatjuggling, da elementi verbali (wordplay, ossia giochi di parole) ed elementi fisici (bodytricks). I wordplay sono un aspetto interessante e importante delle sfide. Il riscontro avuto dalla folla a volte non si ottiene in base a quello che i turntablist fanno, ma in base a quello che dicono. Le loro “parole” provengono dai dischi che suonano, scelte e accostate appositamente per creare dialoghi finalizzati all’autocelebrazione delle proprie abilità o per deridere e denigrare gli avversari (dissing). Queste offese possono apparire immotivatamente crudele e sagaci, ma sono di norma accettate dalla comunità come parte del gioco. Uno degli esempi più famosi dell’uso del word play è rappresentato dalla sfida fra dj 8-ball e dj Noize nel 1993 nella battle del NMS. 131 8.2 Turntablism Nel 1980 il vocabolario tecnico del dj era modesto, composto da una una manciata di tecniche tra le quali lo scratch, il looping (backspinning), needle dropping e poco altro. Nella decade successiva le tecniche dei dj iniziarono ad espandersi in modo significativo, alimentate dalla crescita delle dj battles e delle loro registrazioni su video. I dj, in questo nuovo contesto, non dovevano più conquistare la folla attraverso una selezione musicale, ma per mezzo delle loro doti puramente tecniche con le quali sfidavano gli avversari per prevaricarli. La tecniche più importanti di quel periodo erano il transforming e il beatjuggling. Il transforming, quando fu inventato, ebbe un enorme impatto sui dj. Veniva usato nelle routine durante le battaglie o negli assoli delle canzoni hip hop. Tra queste cito: “ The Magnificent Jazzy Jeff ” (1987) di DJ Jazzy Jeff and the Fresh Prince, “Rebel Without a Pause” dei Public Enemy’s (1988) con Terminator X e Johnny “Juice” Rosado alla console, “DJ Premier in Deep Concentration” dei Gang Starr. Il transformer fu importante perché rappresentò la base per la creazione di altre tecniche, come il twiddle, inventato da Dj Exel, o il crab di Qbert [Katz 2012]. Il transformer ha anche ispirato la rivisitazione del design di alcuni mixer, che vennero dotati di un interruttore specifico per agevolare l’esecuzione di tale tecnica: nel famoso modello TTM-56 della Rane, ad esempio, venne irrobustito l’interruttore line-phono per permettere l’esecuzione del transforming senza danneggiarlo, chiamandolo appunto “interruttore transformer” . Altri mixer invece aggiunsero nuovi pulsanti allo scopo di ottenere lo stesso risultato. L’importanza di questa tecnica è inequivocabile. Le suo origini però non sono altrettanto chiare. La paternità potrebbe spettare a Jazzy Jeff o Cash Money. "transformer switch" del mixer Rane TTM56 132 Nel beatjuggling invece il dj suona contemporaneamente due dischi (in genere due copie dello stesso vinile), manipolandoli per creare nuove composizioni. Se in una qualche maniera l’antenato del transformer è il baby scratch di GrandWizard Theodore, il beatjuggling è il nipote del backspinning (nominato anche cutting) di Grandmaster Flash. A metà degli anni Novanta venne coniato un termine specifico per definire i dj che si esercitavano nell’uso e nell’evoluzione delle tecniche: turntablist. Il nuovo appellativo, diffuso da Dj Babu, voleva tracciare una linea per separare coloro i quali usavano il giradischi semplicemente per mixare i brani da quelli che lo utilizzavano come uno strumento musicale. Babu sosteneva: «non possiamo più definirci dj. Ci sono i chitarristi, i pianisti, perché non i turntablist?»[Dj Babu 1997]. I “giradischisti” dunque si prefiggevano di designare un tipo distintivo di djing. Vedevano loro stessi come strumentisti che non dovevano semplicemente riprodurre musica ma ne creavano di nuova. A differenza dei colleghi dj, i turntablist creavano musica destinata all’ascolto, non al ballo. Quando performano stanno mettendo in scena un’esibizione, non una selezione di brani. Chi non si è mai cimentato nella pratica può pensare che scratchare sia una cosa banale praticabile da chiunque, eppure il turntablism richiede duro allenamento e soprattutto l’utilizzo di apparecchiatura dedicata (o modificata per tale fine). Rispetto ai primi tempi oggi sono disponibili materiali specifici che rispondo alle esigenze degli strumentasti ma come ricorda dj Disco Wiz: «agli albori non si usava molto fare backspinning perché la puntina saltava facilmente. L’attrezzatura che c’era allora non è niente paragonata a quella di oggi. Dovevamo mettere una monetina sulla testina per appesantirla in modo da non farla saltare» [Katz 2012]. La maggior parte dei dj usava le puntine più economiche che trovava, spesso erano delle Radio Shack. Le più costose spesso non erano adatte in quanto lo stilo era molto sottile essendo destinato all’ascolto in alta definizione. Raramente, dunque, l’attrezzatura a loro disposizione gli permetteva di fare quello che volevano. 133 A volte capitava che i dj venissero a contatto con materiale che sembrava fatto appositamente per loro, come nel caso dei Technics 1200 o di un modello di puntina che veniva usato dai dj radiofonici e si mostrava particolarmente adatta all’uso che ne volevano fare i turntablist. Si trattava della Stanton 500AL. Dj Craze, già campione mondiale e celebrità nel mondo delle battles, ne era un utilizzatore. Anche lui come altri ne modificò il peso appoggiandovi sopra una moneta. La Stanton rispose all’entusiasmo dell’artista producendo un modello di puntina personalizzata con il suo nome, la Stanton 520-SK Craze. Come racconta Craze: « La Stanton mi contattò per sponsorizzarmi, offrendomi la mia puntina personale. Io gli dissi che apprezzavo la 500s così com’era e non avrei voluto apportare modifiche. Mi sarebbe bastato solamente che la chiamassero con il mio nome» [Katz 2012]. A metà degli anni Novanta, una vecchia puntina catturò l’attenzione dei turntablist diventando immediatamente la loro prima scelta. La Shure M44-7 fu introdotta nel 1963 senza riscuotere alcun successo. Era piuttosto costosa se paragonata ad altri modelli e aveva una risposta in frequenza piuttosto limitata, da 20Hz a 17000Hz. Possedeva però una caratteristica che interessava quasi esclusivamente i turntablist: aveva una notevole forza di tacking (intesa come forza esercitata dallo stilo, a forma di V, sui lati dei solchi) superiore di almeno tre volte ai modelli concorrenti. Era dunque perfetta per l’utilizzo che ne avrebbero fatto i turntablist essendo robusta e stabile. Per anni fu quasi introvabile e ne era stata addirittura sospesa la vendita dalla casa produttrice americana. La M44-7 fu introdotta alla comunità dei turntablist statunitensi quando la squadra dj chiamata Beat Junkies la scoprì durante un tour in Giappone. La Shure si accorse dell’interesse improvviso nei confronti del loro prodotto e vedendo un potenziale di mercato riprese la produzione pubblicizzandola ora come puntina dedicata espressamente ai turntablist. Shure e Stanton non erano le uniche compagnie che producevano puntine specifiche per il turntablism; la Ortofon, con il suo modello caratteristico chiamato “concorde”, caratterizzato dall’originale forma allungata, diventò particolarmente richiesta. Questo anche grazie alla promozione che ne fece dj Qbert e al fatto che per tre anni fu la puntina ufficiale delle battaglie DMC. 134 In principio i dj dovettero modificare il loro equipment per rendederlo funzionale, ma quando il fenomeno del turntablism divenne globale i produttori iniziarono a soddisfare le loro esigenze con materiale specializzato. Quello che avvenne per le puntine accadde anche per i mixer. Qbert nel 1995 inventò il crab, una tecnica eseguita facendo scattare in successione le quattro dita contro il pollice. Questi colpi venivano fatti con il crossfader tra le dita in modo da farlo rimbalzare velocemente avanti e indietro tagliando l’audio in rapida successione, mentre con l’altra mano il disco viene mosso lentamente. Questa tecnica negli anni Ottanta non sarebbe mai potuta essere eseguita perché i mixer dell’epoca erano completamente inadatti, in modo particolare il crossfader. I primi crossfader erano progettati per miscelare gradatamente le sorgenti provenienti dai giradischi di destra e di sinistra ed erano caratterizzati da un’alta resistenza di movimento, erano sostanzialmente rigidi. Quello che agevolava i dj tradizionali creava un handicap ai turntablist. Senza mixer dedicati i turntablist alla fine degli anni Ottanta stavano raggiungendo il limite delle loro possibilità creative. Per sopperire a tali lacune si sono sempre dovuti ingegnare manomettendo i dispositivi. Alcuni hanno aperto i mixer, smontato il crossfader e utilizzato il lubrificante impiegato nella pulizia delle armi da fuoco per ridurne l’attrito dei cursori. Uno degli spray più utilizzati era il WD40. Altri per generare ed eseguire nuove tecniche smontarono il crossfader per rimontarlo al contrario, in modo da invertire il senso di apertura-chiusura del suono. Tecniche come il crab e il twiddle, in questo modo possono essere eseguite più facilmente. Alla fine i produttori di equipment hanno iniziato a prestare attenzione ai turntablist rispondendo a poco a poco con l’aggiunta di elementi ricercati dai dj. Il primo mixer realizzato interamente per il turntablism fu il PMX-2, introdotto nel 1989 dalla ditta giapponese Melos. Il Vestax PMC-06-Pro è stato progettato con il contributo di dj Qbert come evoluzione del modello PMC-05-Pro che a sua volta era stato progettato in base ai suggerimenti di dj Shortkut. Quest’ultimo era in tour in Giappone quando ebbe l’occasione di incontrare i rappresentati della Vestax ad Osaka. Gli venne chiesto di progettare un mixer che tutti i turntablist del mondo avrebbero desiderato, che soddisfacesse tutte le richieste possibili e che fosse migliore dei modelli venduti dalla concorrenza. Che fosse in sostanza diretto e funzionale, senza fronzoli. Quando il modello fu pronto Shortkut venne chiamato in Giappone per testarlo e ne rimase 135 estasiato. Il dj non aveva nessun accordo commerciale o formale con la Vestax e non venne mai pagato per il suo contributo. In un’intervista Shortkut ricorda «All’epoca non pensavamo ai soldi. Volevamo qualcosa di pratico da poter utilizzare. Avevo circa 18 anni ed ero più colpito dal fatto che una grossa multinazionale era disposta ad ascoltarmi per rispondere alle mie esigenze. Era perfetto così» [Katz 2012]. Qualche anno dopo Akihiro Kaneko, il progettista capo della Vestax, spiegò il rapporto dell’azienda con i dj dal suo punto di vista. Egli riconosce l’influenza che questi dj hanno avuto sulla compagnia ma li considerava più come clienti che come partners [Fouché 2009]. Melos PMX-2 136 Vestax PMC-05 Pro Vestax PMC-06 Pro 8.3 Sistemi di notazione Uno dei primi turntablist a sviluppare un sistema di notazione per dj è stato A-Trak, campione mondiale di diverse battles. In principio utilizzata una forma rudimentale di annotazione che fungeva da richiamo mnemonico e stimolo creativo. Iniziò a disegnare semplici figure, spesso linee diagonali a forma di dente di sega. Le interruzioni sulle linee indicavano quando il suono doveva essere tagliato dal crossfader e segni tratteggiati sulle linee diagonali indicavano i “click” del fader. Tutte le varie linee erano disposte su un’asse orizzontale sulla quale venivano scandite le battute. Creò questo sistema in primis per annotare le sequenze dei suoi scratch più complessi ma anche per sviluppare un sistema che permettesse la comunicazione tra turntablist data la complessità dell’esplicazione orale di tali tecniche. Per il regista John Carluccio la volontà di dare legittimità al turntablism è stata una spinta primaria per lo sviluppo del suo sistema chiamato Turntablist Transcriprion Methodology, o TTM. Nel suo sito infatti promuove il suo modello dicendo «La comunicazione facilita il progresso. Il Turntablist Transcription Methodology (TTM) offre il beneficio di un linguaggio ad una cultura che fino ad ora è stata solo orale»… «Le possibilità sono infinite. Il rafforzamento dell'informazione per mezzo di una rappresentazione grafica produce un'espansione della comprensione. La prossima generazione di turntablist che emergerà usando diversi nuovi metodi di trascrizione, presumibilmente scoprirà nuove tecniche e strutture che mai nessuno prima aveva immaginato» [Carluccio 2008]. Il TTM è nato nel 1997 dalla collaborazione tra Carluccio, un designer industriale chiamato Ethan Imboden e Ray Pirtle (dj Raydawn) ed è protetto da copyright dal 1999, data nella quale pubblicarono la prima versione 1.1 in un opuscolo diffuso tramite il loro sito web http://ttm-dj.com/ . Il metodo funziona rappresentando gli scratch come linee tracciate lungo un grafico rettangolare in cui l’asse orizzontale rappresenta il tempo e quello verticale rappresenta la rotazione del disco. La notazione può anche indicare il campione da utilizzare, se il 137 disco sta suonando o meno, il senso di rotazione del disco e il posizionamento di suoni percussivi: cassa, rullante o piatti. Nel sito il sistema è illustrato dettagliatamente con la presenza di esempi audio che ne facilitano la comprensione. Carluccio: «Tuttavia, anche con tutta la tecnologia disponibile e le più complicate ed intricate composizioni immaginabili, il suono più importante che emergerà in una performance è il risultato dello spirito del turntablist. Le tue emozioni sono l'anima della tua musica. Anche se sei in grado di riprodurre le routine dei più grandi dj, senza le stesse emozioni e lo stesso spirito la performance risulterà vuota» [Carluccio 2008]. Segue un estratto del modello di notazione TTM consultabile dal sito http://ttmdj.com/: 138 139 140 Nonostante gli sforzi evidenti e la cura maniacale dei dettagli nella progettazione di questi sistemi, la maggior parte dei dj pensa di poterne fare a meno. Vede in questi paradigmi una forzatura per accademizzare un qualcosa che non può e non deve essere addomesticato. Uno degli aspetti che rende interessante lo scratch è l’insieme delle sfumature d’accento che è in grado di riprodurre. Queste, in alcune tecniche, hanno una variabilità tanto alta da non poter essere trascritte come avviene per gli strumenti tradizionali. Inoltre, buona parte dell’esecuzione di un turntablist è data dall’improvvisazione, nonché da un’interpretazione personale dell’uso dello strumento, dove, pur essendoci l’impiego di tecniche formalizzate e standardizzate, lo stile personale rimane ancora una componente determinante. Componente, tra l’altro, quasi impossibile da ricreare attraverso una notazione seppure precisa e dettagliata in tutti gli aspetti. Ecco ancora ritornare la somiglianza del turntablist con il musicista Jazz. Il Jazz ha un’estetica che trova nell’improvvisazione la strategia per rinnovare, attraverso l’istinto, una struttura data. Come spiega Stefano Bollani in un’intervista pubblicata nel suo sito web: «Alcuni dei più grandi musicisti del Jazz erano pressoché analfabeti con un background di emarginazione sociale e povertà. Bix Beiderbecke era incapace di leggere uno spartito, Ella Fitzgerald non ha mai seguito una lezione di canto e Freddie Keppard non ha mai inciso un disco per paura che gli altri potessero copiare il suo stile. Parker non ha mai teorizzato in vita quali fossero le scale ben definite che in maniera del tutto consapevole utilizzava, ma individuate dai suoi adepti sono poi diventate la grammatica basilare del Jazz moderno » [Bollani 2012]. La capacità di saper leggere uno spartito e la sua utilità stessa, di fronte all’abilità di chi improvvisando veramente riesce a costruire una cosa talmente bella formalmente da non poter pensare che sia stata improvvisata, passa in secondo piano. Anzi, la volontà di attribuirgli regole grammaticali derivanti dalla musica classica può compromettere l’animo stesso del Jazz decretandone la morte . Potrei espandere la questione ai dibattiti estetici nati con l’introduzione dei primi spartiti di musica elettronica nell’ambito delle avanguardie. Questa, come il turntablism, ha nel suo dna la distruzione del linguaggio musicale tradizionale. Enrico Fubini scrive 141 « la musica elettronica vera e propria ha abolito il problema della notazione, a meno che non si vogliano chiamare con questo nome i diagrammi che indicano i valori di tempo e le frequenze che serviranno come guida alla realizzazione della composizione». «L’interpretazione, il vecchio problema che sembrava inscindibilmente connesso alla musica viene così eliminato. La condizione nuova della musica, la sua struttura spesso libera, aperta, i nuovi suoni inediti prodotti non solo da strumenti, cioè i rumori, i suoni senza un’altezza determinata, le strutture ritmiche non contemplate da nessuna tradizione, tutto ciò doveva essere in qualche modo scritto. Il pentagramma con la notazione tradizionale si è dimostrato completamente inadeguato per tale scopo» [Fubini 1968]. Il richiamo con i recenti tentativi di notazione dedicata ai giradischi appare evidente e l’estetica di allora può tornare in auge definendo A-Trak e Carluccio esponenti (forse) inconsapevoli di una neo-avanguardia. 142 PARTE III Lo Scratch 9.1 Le basi dello scratch: Lo scratch è stato introdotto a metà degli anni Settanta e da allora è divenuto la forma musicale più riconoscibile dell'hip hop, assieme al rap. E' eseguito da un Dj, disc jockey, che usa una mano per variare la velocità di riproduzione di un giradischi e l'altra mano per accendere e spegnere il suono tramite un mixer audio. Questo modo di produrre suoni, negli ultimi trent’anni, ha reso il giradischi uno strumento popolare per esecuzioni soliste o d’insieme in differenti stili musicali. Diversi generi e forme musicali hanno adottato l’uso del giradischi nei loro scenari compositivi: Rock, Metal, Pop, Disco, Jazz, musica sperimentale, colonne sonore, musica contemporanea etc. Lo scratch è solo uno dei diversi impieghi creativi del giradischi che i Dj utilizzano, negli anni si sono sviluppate all’interno della comunità dei turntablist delle consuetudini26 sui modi di suonare lo strumento con le quali i Dj hanno familiarizzato e tendono a seguire. Questo processo avviene in maniera simile anche per gli strumenti tradizionali, con l'eccezione che il giradischi non è stato progettato per essere usato come strumento musicale. Di conseguenza, senza chiare istruzioni sulle modalità di concepire la musica con i giradischi, non ci sono metodi formali per imparare a suonare questo strumento. Oggi, lo stile più formalizzato è lo scratch, specificatamente in riferimento ai gesti manuali che costituiscono le tecniche di scratching. Il termine "tecnica" si riferisce quasi esclusivamente a combinazioni di movimenti della mano sul disco e dell'altra mano sul mixer. Il crossfader e il mixer sono i componenti principali 26 Per “consuetudini” si fa riferimento all’approvazione condivisa di una (nuova) tecnica, all’insieme delle gesture musicali da utilizzare, alle tipologie di equipaggiamento. 143 dello strumento del dj. I dj che eseguono e sperimentano l’uso di tecniche chiamano se stessi con l’appellativo di “turntablist” e lo stile musicale composto da scratch e cut è chiamato “turntablism”. Il termine fu introdotto da Luis "DJ Disk" Quintanilla e diffuso nel 1995 da dj Babu per differenziare chi utilizza il giradischi come strumento musicale da chi lo adopera per riprodurre musica. Questi termini sembrano oggi comunemente accettati, come è recentemente accettato che un turntablist sia uno strumentista e il giradischi uno strumento. Nei primi anni Ottanta i turntablist iniziarono ad apparire nelle registrazioni dei brani di artisti come John Zorn (1982), Herbie Hancock (1983), Mr Bungle (1991), Portishead (1994), David Byrne (1997) and Tom Waits (1999) facendo conoscere ad un vasto pubblico il suono del loro strumento. Gli strumentisti devono imparare a incorporare una varietà di tecniche e metodi per la manipolazione del tono delle loro esecuzioni, questo presupposto è stato il terreno fondamentale per la creazione di un vastissimo assortimento di tecniche. In seguito verrano esplicate alcune tecniche fondamentali universalmente riconosciute ed utilizzate, mentre moltissime altre, derivando da quelle qui illustrate non verranno incluse. Il turntablism include sia lo scratch, che prevede l’uso di un solo giradischi, che il beat juggling, il quale prevede l’uso di due giradischi. Lo scratch è tipicamente uno stile musicale solistico, comparabile a quello della chitarra elettrica. Il musicista esegue un insieme intricato di pattern ritmici e strutture tonali. 144 9.2 Equipaggiamento: Qualsiasi giradischi può essere utilizzato per scratchare, ma lo standard prevedere l’uso di un giradischi a trazione diretta con il piatto montato sul motore. Lo scratch si serve anche di un mixer con controlli di volume che sono utilizzati per controllare gli onset e gli offset dei suoni. Quindi, il giradischi inteso come strumento musicale è composto da: giradischi, puntina, panno antistatico (slipmat), mixer e un disco in vinile. In rapporto alla popolarità e alle prospettive di guadagno sono pochi i produttori che sono riusciti ad inserirsi nel mercato con attrezzatura dedicata. I turntablist sembrano essere scettici ad adattarsi alle innovazioni radicali, specie a quelle che semplificano eccessivamente il modo di suonare. Un esempio è l’entrata in commercio di un mixer che ha permesso la realizzazione di tecniche molto complesse con estrema facilità. Questo mixer particolare, il Vestax Samurai (2002), non ha mai avuto molta attenzione da parte dei professionisti anche se avrebbe potuto aiutarli a sviluppare nuove tecniche. Il motivo di tale disinteresse e le conseguenze che questo può comportare nell’evoluzione della scena è una discussione complicata. In sostanza, un cambiamento di tecnologia potrebbe essere avvertito come complice di un impoverimento delle abilità tecniche, il che spiegherebbe l’esitazione a passare da una vecchia tecnologia ad una nuova. Un elenco dei maggiori produttori di attrezzature dedicate ai dj\turntablist sono: Technics e Vestax che forniscono giradischi per turntablist, Vestax, Numark, Ecler, dj Tech e Rane che producono specialmente mixer dedicati; e Shure, Stanton e Ortofon che producono puntine adatte allo scratch. La console standard per molti turntablist è composta da: due giradischi Technics SL1200Mk2 con puntine Shure M44-7 e mixer audio stereo privo di controlli superflui. Normalmente la console è disposta in modo da avere un il mixer posizionato al centro fra i due giradischi e questi ultimi vengono ruotati di 90° in senso antiorario in modo che il braccetto non disturbi l’esecuzione. La trazione diretta al quarzo dei Technics è preferibile rispetto alla trazione a cinghia per rapidità di velocità nella partenza e nella forza del motore (la coppia di avviamento 145 di un Technics è 1.5Kg/cm). Quando premo il tasto di avviamento raggiungo la velocità massima a 33 1/3 rpm (giri al minuto) in un terzo di giro (0.7 s) e lo stop avviene ancora più rapidamente. Il meccanismo delle testine è progettato e calibrato appositamente per scratchare al fine di evitare che la puntina salti da un solco all’altro. Anche la puntina stessa è disegnata per facilitare lo scratch. Normalmente per l’ascolto in alta fedeltà si utilizzano puntine ellittiche che si adattano meglio ai solchi, mentre per lo scratch vengono usate puntine con taglio sferico e più robuste. Una testina M44-7 può sostenere tre volte la forza di tracking (forza che mantiene la puntina nei solchi) rispetto ad una testina per hifi Shure V15 VxMR. La prima pesa 3.0 grammi contro l’1.00 della seconda. Il voltaggio di una testina per scratch è 3-4 volte maggiore rispetto ad una per hi-fi. Una testina per hi-fi ha una migliore risposta in frequenza, da 10 a 25000Hz, rispetto alla M44-7 che va da 20 a 17000 Hz. Un mixer ha altre funzioni oltre a quella di amplificare il segnale, le più importanti sono quelle svolte dai controlli del volume e dal crossfader. I mixer in origine erano stati progettati per miscelare in modo fluido le due sorgenti sonore provenienti dai due rispettivi giradischi al fine di mixare due brani. Tutti i mixer hanno per entrambi i canali stereo almeno un controller del volume e un equalizzatore che permette di controllare frequenze basse,medie e alte di ogni rispettivo canale. Il controller centrale è il crossfader, posizionato nel lato inferiore del mixer in posizione orizzontale. Il crossfader permette di selezionare quale dei due giradischi si vuole ascoltare, se posizionato a sinistra si sentirà il giradischi di sinistra e viceversa. E’ una sorta di interruttore. In quasi tutti i modelli di mixer recenti è possibile regolare la curva di taglio, brusca o più morbida. Tra i migliori crossfader in commercio ci sono quelli magnetici prodotti dalla Rane. Qualsiasi vinile può essere utilizzato per scratchare ma si possono acquistare dei dischi realizzati appositamente per tale scopo con al loro interno una selezione di frammenti musicali particolarmente funzionali. Questi dischi, chiamati “battle records” contengono, in un unica traccia lunga quanto la durata del disco, brevi frammenti di percussioni, accordi di chitarra, colpi orchestrali, frasi e grida, intervallati tra loro da pause brevissime. 146 esempio di un battle records: Dj Stile - Turntablust Toolz vol.1 (1998) A seconda della caratteristica del campione e della sua lunghezza si possono applicare tecniche diverse. Difatti, il tipo di suono utilizzato può influire sull'esecuzione: il tono di attacco, l'altezza, la durata e il timbro dipendono dalla sorgente sonora. E' comprensibile che l'esecuzione sarà adattata al tipo di campione suonato, in modo tale che ad esempio ci saranno movimenti brevi in presenza di un campione sonoro corto, minor uso del crossfader se il campione presenta diversi onset, movimenti all'indietro silenziati se il campione ha un rapido decadimento, e così via. materiale utilizzato: Per questo breve studio ho chiesto a Dj Keyone, esperto turntablist, di eseguire alcune tecniche basilari al fine di analizzare il suono che queste producono. Come suggerito da Dj Keyone siamo partiti dalla pratica basilare, il baby scratch, per proseguire con le sue evoluzioni più complesse. Gli esempi audio e video possono essere consultati on-line essendo immagazzinati nell’ftp del mio sito web personale. Abbiamo scelto di adoperare un unico suono per tutti gli esempi, il più utilizzato e conosciuto dai dj di tutto il mondo. Si tratta del campione vocale “ahhh breathy” estratto dal brano “change the beat”, un B side di Fab Five Freddie del 1982. giradischi: Vestax PDX 3000 mkII testina: Shure M35x mixer: Rane TTM56 scheda audio: Mbox digidesign daw: Ableton Live software di analisi: wavesurfer 27 27 Scaricabile gratuitamente dal sito https://sourceforge.net/projects/wavesurfer/ 147 148 9.3 Movimenti base figura 9.3.1: otto modi di iniziare e terminare un movimento avanti-indietro lungo la stesura di un campione audio I movimenti basilari della mano sono distinti in due entità separate: movimenti del disco e movimento del mixer (crossfader). La maggior parte delle tecniche di scratching vengono eseguite tramite movimenti semplici ma veloci. I movimenti del disco e del crossfader dipendono fortemente l’uno dall’altro, analogamente all’uso che si fa della mano destra e della mano sinistra quando si suona una chitarra. Esistono anche tecniche che prevedono l’utilizzo di entrambe le mani sullo stesso dispositivo(es: hydroplane). Una regola generale è per quella di usare, per i destrimani, la mano sinistra per muovere il disco e la destra per muovere il crossfader, viceversa per i mancini. I controlli del volume (specie il crossfader) sono manovrati con i polpastrelli e sono spesso fatti rimbalzare fra il pollice e l’indice. Il disco invece è spinto avanti e indietro in ogni modo immaginabile. In genere il disco viene fatto scorrere da una distanza che va da meno di 10° a più di 90° in entrambe le direzioni. Gli onset e gli offset sono condizionati dalla posizione del campione quando si inizia a scratchare, dall’uso del 149 crossfader e dalla velocità del movimento. Qualsiasi suono può essere privato del suo attacco originario semplicemente escludendone l’inizio usando il crossfader. La figura 1 mostra la sezione di un disco con sopra disegnato un campione sonoro. L’asse delle y rappresenta la posizione nel campione. Ci sono otto differenti tipologie di movimento avanti-indietro, segnate (a)-(h). Tutti i tipi di movimento sono permutazioni delle partenze, rotazioni e arresti con o senza il campione sonoro. Movimenti di tipo (a)(b) e (e)-(f) iniziano prima del suono, i movimenti (c)-(d) e (g)-(h) iniziano con il suono. I movimenti (a), (c), (e) e (g) hanno il cambio di direzione fuori dai confini del campione, mentre (b), (d), (f) e (h) cambiano direzione con il suono. I movimenti (a)-(d) terminano fuori dai confini del campione, mentre (e)-(h) terminano prima che il campione finisca. Oltre ai punti di partenza, di rotazione e di arresto, diversi altri fattori caratterizzano il suono risultante da un semplice movimento avanti-indietro: la direzione, intesa nel verso di inizio, ossia se tiro indietro o se spingo in avanti. Oltre a controllare i suoni con il movimento della mano sul disco, il crossfader offre al dj l’opportunità di produrre onset e offset alternativi. La tipologia del campione audio scelto può influenzare pesantemente tutte le variabili. figura 9.3.2 La figura 9.3.2 mostra la forma d’onda e lo spettrogramma di uno scratch molto semplice (nello specifico si tratta di un baby-scratch) simile al movimento (b) in figura 9.3.1. Il suono originale (ahhh) è caratterizzato da un rumore con banda ampia, che lascia percepire comunque una nota. 150 Mano a mano che il movimento acquisisce velocità si può avvertire un aumento del tono e dell’intensità sonora. Figura 9.3.3 La figura 9.3.3 mostra un frammento della durata di circa 0.9 secondi del baby scratch. Si può notare dalla forma d’onda che il movimento in avanti è più lento rispetto a quello all’indietro, ha un attacco brusco e una discesa relativamente morbida. Il suono prodotto ha un’intonazione che possiamo ricondurre ad un Fa5. Il movimento all’indietro ha un attacco più rapido rispetto al decadimento del movimento che lo precede, è più breve e rapido, ha ampiezza maggiore e un’intonazione che possiamo ricondurre a un Do6. E’ comunque difficile definire un rapporto tonale a causa dell’effetto glissando. La spiegazione di questa differenza tra le due intonazioni si spiega nella diversa velocità dei movimenti di direzione (aventi e indietro) del disco. Nel esempio in figura 9.3.3, la direzione che procede da avanti a indietro è più veloce rispetto alla direzione opposta (da dietro ad avanti). Quando il disco è spinto indietro si ha dunque una velocità maggiore rispetto a quando viene spinto in avanti. Normalmente per scratchare si utilizza il giradischi regolato a 33 1/3 rpm, ma è possibile impostarlo anche a 45 rpm. Questi valori (33 1/3 e 45 rpm) possono essere variati in una certa percentuale tramite un controller posizionato nell’estremità laterale del giradischi. Un Technics può, ad esempio, incrementare o diminuire la velocità di rotazione fino all’ 8%. Il tono percepito durante lo scratch è comunque caratterizzato maggiormente dai movimenti della mano piuttosto che dalla regolazione impostata nel giradischi. Non ci sono restrizioni musicali (tonali) rispetto a quale nota deve essere 151 usata e non interessa preservare l’intonazione della sorgente riprodotta. Per un suono di 500Hz raggiungere i 15KHz significa riprodurlo a una velocità di 30 volte maggiore rispetto all’originale, che corrisponderebbe a 1000 rpm, risultato impossibile da ottenere per un essere umano. Ad ogni modo possono essere utilizzate diverse sorgenti sonore per coprire l’intero spettro di frequenze, tenendo sempre presente il range di frequenza fisicamente riproducibile dal modello di testina che si sta utilizzando. 152 9.4.1 Movimenti della mano Ogni dj ha il suo personale approccio, stile, nel muovere un disco, anche se la finalità è quella di riprodurre una tecnica ben definita. Sembra esserci una sorta di convenzione tra gli esecutori su come una tecnica debba suonare piuttosto che sul come eseguirla. Dal momento in cui il disco ha una vasta area nella quale posizionare le dita e la piattaforma può essere ruotata o inclinata a piacimento, i movimenti possono essere organizzati in modo diverso. 9.4.2 Senza crossfader La tecnica fondamentale, il primo approccio allo scratch, è fatta spingendo il disco in avanti e indietro senza usare il crossfader. Quando viene eseguito un costante pattern ritmico, ad esempio di note della durata di un sedicesimo, la tecnica viene chiamata baby-scratch. Movimenti di tipo (b) e (e) e la combinazione di (e) e (c) sono i più frequenti nel baby-scratch. La velocità in cui il turntablist muove il disco influenza sia l’attacco che il decadimento. Con un lungo rallentamento o una lunga partenza si può ottenere un effetto glissando. Inoltre, il calo di frequenza dato dal rallentamento farà sì che l’ascoltatore percepisca un abbassamento dell’ampiezza. Tale dinamica può essere estrapolata dalle curve di uguale intensità sonora di Fletcher e Munson. E’ anche possibile adoperare entrambe le mani sul disco per eseguire una tecnica che consiste nel trascinare indietro il disco con una mano mentre con un dito dell’altra mano si applica una lieve resistenza nella direzione opposta facendo “sobbalzare” il disco, riproducendo un suono dalla caratteristica “balbettante” chiamato hydroplane-scratch (figura 9.4.1). Questa tecnica produce continue interruzioni nel suono. Nello spettrogramma di un hydroplane-scratch, figura 9.4.2, è possibile individuare i punti nei quali il disco rimbalza sul vinile. I rallentamenti avvengono con un tasso frequente producendo un suono simile a un brusio (hamming). 153 Figura 9.4.1 figura 9.4.2 154 9.4.3 Con il crossfader I controller del volume possono tagliare un suono nell'attacco o nella coda. Normalmente il turntablist usa il crossfader come una sorta di interruttore per compiere tagli bruschi del campione sonoro. Il campione può essere facilmente "acceso" e "spento" diverse volte al secondo, rendendo il suono degli scratch molto veloce. Questa probabilmente è la ragione per la quale lo scratch suona così riconoscibile ed inimitabile. Alcune tecniche sono semplicemente dei baby-scratch con diversi utilizzi del crossfader. Altre invece prevedono un trascinamento più lungo del disco con un taglio veloce del crossfader. Il Chirp è una tecnica inventata da Dj Jezzy Jeff. Nel chirps si possono sentire solo due frammenti di suono riconducibili ad un baby scratch molto veloce. In ogni movimento del disco in avanti il crossfader viene chiuso velocemente dopo la partenza, e nel ritorno viene aperto in prossimità dell’ultimo frammento del suono. Le mani devono muoversi più o meno allo stesso tempo. Una delle tecniche più discusse tra la comunità dei turntablist è il flare scratch e tutte le sue variazioni. Prende il nome dal suo inventore, Dj Flare. Fare il flare significa tagliare il suono durante il trascinamento, le variazioni dipendono da quante volte avvengono questi tagli e da quanto regolari sono. In un movimento di avanzamento piuttosto lento che comincia all’iniziare del campione, il suono è velocemente spento e riacceso facendo rimbalzare il crossfader tra il pollice e l’indice. Le variazioni della tecnica dipendono dunque dal numero di questi click del crossfader. Un 2 click flare è un movimento di avanzamento con due click, o buchi sonori, che producono un totale di tre onset. Un orbit o orbit-flare è lo stesso tipo di scratch eseguito da entrambe le direzioni (avanti-indietro). In un 2 click orbit-flare ci saranno un totale di sei onset, tre sul movimento in avanti, uno quando il disco cambia direzione e due quando torna indietro. La tecnica del flare genera diverse altre tecniche. 155 Il crab, inventato da Dj Qbert, sfrutta la possibilità di poter fare leggeri e rapidissimi movimenti del crossfader generando un suono che ricorda superficialmente l’effetto tremolo delle chitarre nel flamenco. Viene eseguita facendo rimbalzare le 4 dita della mano (dal mignolo all’indice) sul pollice che “blocca” il crossfader (figura 9.4.3). A causa dei numerosi click che vengono fatti in un singolo movimento, la frequenza di ogni attacco o suono è piuttosto costante (come si può osservare nella figura 9.4.4). figura 9.4.3 figura 9.4.4 La vecchia tecnica chiamata transformer (illustrata in figura 9.4.5) è spesso paragonata a una luce stroboscopica, dal momento in cui il crossfader è spinto avanti e indietro velocemente e ritmicamente durante un movimento relativamente lungo e lento. La figura 9.4.6 mostra lo spettrogramma della sezione di un tipo transformer. Il trasformer generalmente possiede una maggiore varietà tonale rispetto alle tecniche dove il principale scopo musicale è la rapidità di movimento del crossfader. 156 figura 9.4.5 figura 9.4.6 Lo zig zag scratch (illustrato in figura 9.4.8), inventato da Dj Qbert, è una tecnica nella quale il vinile viene mosso avanti e indietro con la mano sinistra, mentre la destra, con movimenti rapidi, fa la spola fra il vinile (per rallentarlo) e il fader del volume (per abbassarlo ad ogni ripetizione del movimento del disco). Ne risulta un effetto sonoro “serpeggiante” appunto a zig zag. La ciclicità del movimento e l’abbassamento a scalini del volume dà l’impressione di un effetto eco, in cui il suono si dissolve a poco a poco, come si può osservare dalla figura 9.4.7. figura 9.4.7 157 figura 9.4.8 Le tecniche sono raramente eseguite individualmente per periodi lunghi ma vengono mischiate e intrecciate per espressioni e frasi musicali più complesse. Quando si sentono, ad esempio, un 2 click flare e un crab in successione potrebbe essere difficile distinguere una tecnica dall’altra. I turntablist spesso usano chiamare questi intrecci di tecniche con il termine flow (flusso), e l’insieme dell’esecuzione è più importante delle singole sezioni. Padroneggiare uno scratch potrebbe essere paragonato al padroneggiare una scala in una improvvisazione tonale. Senza le necessarie abilità, i pattern più complessi non suoneranno bene. Motivo per cui i turntablist come qualsiasi altro musicista dedicano ore di allenamento ogni giorno per perfezionare le loro abilità. 158 Links materiale audio: Autoban scratch: www.karma22.com/shared/keyone/audio/autoban.aiff Baby scratch: http://www.karma22.com/shared/keyone/audio/baby.aiff Boomerang scratch: www.karma22.com/shared/keyone/audio/boomerang.aiff Cirp scratch: www.karma22.com/shared/keyone/audio/cirp.aiff Crab scratch: www.karma22.com/shared/keyone/audio/crab.aiff Flare scratch: www.karma22.com/shared/keyone/audio/flare.aiff Hydroplane scratch: www.karma22.com/shared/keyone/audio/hydroplane.aiff Transform scratch: www.karma22.com/shared/keyone/audio/transform.aiff Zig Zag Scratch: www.karma22.com/shared/keyone/audio/zigzag.aiff Freestyle session Keyone: www.karma22.com/shared/keyone/audio/freestyle.aiff Links materiale video: Autoban scratch: www.karma22.com/shared/keyone/video/autoban.mov Baby scratch: www.karma22.com/shared/keyone/video/baby.mov Boomerang scratch: www.karma22.com/shared/keyone/video/boomerang.mov Cirp scratch: www.karma22.com/shared/keyone/video/cirp.mov Crab scratch: www.karma22.com/shared/keyone/video/crab.mov Flare scratch: www.karma22.com/shared/keyone/video/flare.mov Hydroplane scratch: www.karma22.com/shared/keyone/video/hydroplane.mov Transform scratch: www.karma22.com/shared/keyone/video/transform.mov Zig Zag Scratch: www.karma22.com/shared/keyone/video/zigzag.mov Freestyle session Keyone: www.karma22.com/shared/keyone/video/freestyle.mov 159 160 9.5 Ruoli del Disc Jockey Dj che mixa brani: Il tipico compito del dj è quello di mixare dischi ed è svolto dalla maggior parte dei dj. Normalmente svolgono la loro occupazione professionale in discoteche, locali notturni, bar, eventi, stazioni radiofoniche. Possono lavorare anche in studi producendo mixtape più o meno elaborati (una sorta di compilation nella quale i brani sono mixati tra loro). Dj produttore: La linea che separa un dj che mixa da un dj che produce musica è sempre stata sottile, ed ora che tra gli strumenti del dj sono stati introdotti sistemi digitali lo è ancora di più. In passato, campionatori analogici e drum machines sono stati utilizzati in parallelo al vinile, soprattutto per la realizzazioni di basi strumentali usate nei mix o per i rapper. Con le innovazioni tecnologiche che hanno trasferito l'hardware al software le possibilità di creare musica sono diventate molto più accessibili. Riprodurre musica per i rapper: Dalla sua origine il dj usava fare annunci per intrattenere o presentare i brani attraverso il microfono mentre suonava. Questa prassi passò di mano a quella che divenne la figura dell' Mc (master of cerimony) lasciando al dj la sola responsabilità della musica. Dal momento in cui questi interventi vocali iniziavano a fare più articolati la figura dell'Mc è diventata parte integrante dello spettacolo musicale iniziando a rappare sulle strumentali suonate dal dj. Col tempo i ruoli si capovolsero e la figura dell'Mc passò in primo piano e il dj aveva funzione di accompagnamento. Spesso i dj si munivano di microfono per sostenere le parti vocali dei rapper (i backup) o utilizzando campionatori per creare elementi sonori in tempo reale durante l'esibizione. Si crearono gruppi musicali composti da rapper e dj formando entità bilanciate con ruoli specifici, come nel caso di Erik B e Rakim, Beastie Boys e dj Mixmaster Mike o Guru e Dj Premiere. 161 Suonare in una band: Nei primi anni Ottanta si iniziarono a vedere i dj suonare sia in gruppi hiphop che come elementi di gruppi musicali, come avvenne del caso di Rockit. Al giorno d'oggi l'immagine comunichi si ha di un dj è quella di musicista solista in piedi dietro ad alla cabina di una discoteca. Nonostante moltissimi gruppi musicali degli ultimi anno avessero al loro interno un turntablist sono effettivamente pochi i dj che suonano in una band. Anche se il turntablist nasce come musicista solista spesso ha raggiunto il successo commerciale grazie alla sua appartenenza ad una band di successo aiutando a caratterizzare il sound di gruppi famosi come Portishead, Limp Bizkit, Sugar Ray, Linkin Park. Esistono anche gruppi musicali composti da soli dj, i primi e più famosi sono gli Invisible Skratch Piklz, o gli italiani Alien Army di Dj Skizo. In questi gruppi spesso i ruoli vengono suddivisi come in un gruppo composto da strumenti musicali tradizionali, dunque un dj farà la sezione ritmica, un altro il basso, un altro la voce e via dicendo. Dj da battaglia: Il turntabism rappresenta un forte movimento che mira a dimostrare come la musica fatta dai dj non sia solo una moda derivante dall'hip hop ma una pratica musicale seria. I turntablist utilizzano scratch, beatjuggling e altre tecniche avanzate in gran parte delle loro performance. Spesso le battle coinvolgono dj solisti ma ci sono competizioni dedicate anche a gruppi di turntablist. 162 Bibliografia "The Talking Phonograph" , Scientific American, 22 dicembre 1877. <http://reactable.com/> [accesso: 15 marzo 2016]. <http://www.attigo.co.uk/> [accesso: 15 marzo 2016]. <http://www.stantondj.com/stanton-controllers-systems/scs3d.html> [accesso: 15 marzo 2016]. Abrams M. , The Teenage Consumer, London: Press Exchange, 1959. Adorno T. , Introduzione alla sociologia della musica, Einaudi, 1971. Adorno T. , Dissonanze , Feltrinelli , Milano 1974. AMAZON Inc; http://www.amazon.co.uk/ , <http://phx.corporate-ir.net/phoenix.zhtml?c=251199&p=irol-vinylInfo> [accesso marzo 2016] , 2013. Assante E. , Copio dunque sono: La rivoluzione elettronica che ha cambiato la musica, Coniglio Editore, 1 gennaio 2009. 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